Impianto idroelettrico del Fiume Basento
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Impianto idroelettrico del Fiume Basento
Valutazione di incidenza
R2K Srl
Sviluppo impianti di produzione da energia rinnovabile
Via Isca del Pioppo 144/A, 85100 Potenza
CF/PIVA 01863200760
PEC: [email protected]
Regione Basilicata
Provincia di Potenza Comune di Pietrapertosa
Impianto idroelettrico del Fiume Basento
Progetto Definitivo
AUTORIZZAZIONE UNICA
DL 29 dicembre 2003 n.387
RICHIESTA DI COMPATIBILITA’ AMBIENTALE
LR dicembre 1998 n.47
Codice progetto: BA7
Codice elaborato: R8 Valutazione di Incidenza
Relazioni e allegati
- R1 – Relazione tecnica
- R2 – Relazione idrologica
- R3 – Relazione idraulica
- R4 – Relazione strutturale
- R5 – Studio Preliminare Ambientale
- R6 – Relazione paesaggistica
- R7 – Fotomontaggi
- R8 – Relazione d’incidenza
- R9 – Relazione geologica
- R10 – Progetto delle opere di rete
Progettista:
Maggio 2014
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Impianto idroelettrico del Fiume Basento
Valutazione di incidenza
Sommario
1. Premessa ................................................................................................................................................ 3
2. Inquadramento dell’area d’intervento ............................................................................................. 5
3. Quadro di riferimento ambientale................................................................................................... 14
4. Tipologia delle opere in progetto ................................................................................................... 29
4.1 Paratoia gonfiabile e scale di risalita per l’ittiofauna ........................................................ 29
4.2 Cabina Enel e cavidotto aereo MT ......................................................................................... 32
5. Documentazione fotografica ............................................................................................................ 33
6. Incidenza del progetto ....................................................................................................................... 37
6.1 Incidenza legata alla fase di cantiere .................................................................................... 37
6.2. Incidenza legata alla fase di esercizio .................................................................................. 42
7. Conclusioni .......................................................................................................................................... 46
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Valutazione di incidenza
1. Premessa
Questo documento è finalizzato a verificare gli effetti ambientali del progetto sul territorio
circostante e valutare l’incidenza che le opere hanno sulle aree protette ricadenti nell’area di
intervento. Il documento descrive le caratteristiche del progetto e ne illustra gli aspetti ambientali,
verifica la coerenza con gli strumenti di pianificazione e programmazione, analizza gli habitat e le
specie, valuta il potenziale degrado, la potenziale perturbazione e la significatività degli impatti
ambientali. Lo studio per la valutazione di incidenza verrà redatto secondo gli indirizzi del DPR
357/97:
lo studio per la valutazione di incidenza debba contenere: una descrizione dettagliata del piano o
del progetto che faccia riferimento, in particolare, alla tipologia delle azioni e/o delle opere, alla
dimensione, alla complementarietà con altri piani e/o progetti, all’uso delle risorse naturali, alla
produzione di rifiuti, all’inquinamento e al disturbo ambientale, al rischio di incidenti per quanto
riguarda le sostanze e le tecnologie utilizzate; un’analisi delle interferenze del piano o progetto
col sistema ambientale di riferimento, che tenga in considerazione le componenti biotiche,
abiotiche e le connessioni ecologiche.
A livello regionale gli indirizzi di cui al DPR 357/97 sono stati recepiti tramite la D.G.R. n. 2454 del
22 dicembre 2003 “INDIRIZZI APPLICATIVI IN MATERIA DI VALUTAZIONE D’INCIDENZA”.
Nell’Allegato 2-a vengono elencati i contenuti necessari alla redazione degli studi di incidenza
relativi a progetti:
1. Inquadramento dell’opera o dell’intervento negli strumenti di programmazione e di
pianificazione vigenti;
2. Normativa ambientale di riferimento vigente;
3. Descrizione delle caratteristiche del progetto con riferimento, in particolare: - alle tipologie delle
azioni e/o opere; - alle dimensioni e/o ambito di riferimento; - alla complementarietà con altri piani
e/o progetti; - all'uso delle risorse naturali; - alla produzione di rifiuti; - all'inquinamento ed ai
disturbi ambientali; - al rischio di incidenti per quanto riguarda, le sostanze e le tecnologie
utilizzate.
4. Area Vasta di influenza del progetto - Descrizione delle interferenze del progetto sul sistema
ambientale considerando: - le componenti abiotiche; - le componenti biotiche; - le connessioni
ecologiche.
5. Dati ed informazioni di carattere ambientale, territoriale e tecnico, in base ai quali sono stati
individuati e valutati i possibili effetti che il progetto può avere sull’ambiente e le misure che si
intendono adottare per ottimizzarne l’inserimento nell’ambiente e nel territorio circostante, con
riferimento alle soluzioni alternative tecnologiche e localizzative considerate ed alla scelta
compiuta.
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Il presente progetto prevede la realizzazione di un impianto mini idroelettrico sfruttando il Fiume
Basento in un’area insistente interamente in Comune di Pietrapertosa. Tale intervento rientra nella
tipologia degli impianti così detti a “salto concentrato”, ossia senza un’effettiva derivazione
dell’acqua e sfruttando solitamente, come in questo caso, una briglia esistente.
Le opere consistono di:
- Opere di presa: ripristino della soglia parzialmente divelta della briglia esistente e
installazione di una paratoia mobile, realizzazione di un canale con sgrigliatore
- Scale di risalita per l’ittiofauna: due manufatti, uno consistente in uno scivolo, per le
anguille, l’altro in una scala a bacini per la restante parte dell’ittiofauna
- Vano turbina: un locale completamente interrato posto all’estremità del canale
dissabbiatore e destinato a ospitare turbina, generatore e tubo aspiratore/diffusore
- Cabina elettrica: un prefabbricato contenente i quadri elettrici, la cabina di trasformazione
e il locale di consegna ENEL
- Opere di allacciamento alla rete elettrica: cabina di consegna e cavidotto aereo della
lunghezza di circa 400 m fino alla linea MT Laurenzana.
Riassunto delle specifiche dell’impianto:
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2. Inquadramento dell’area d’intervento
L’intervento in progetto ricade in un’area a nord del Comune di Pietrapertosa in prossimità del
Fiume Basento, in un punto in cui il corso d’acqua si presenta come spartiacque tra due differenti
comuni della provincia di Potenza: appunto Pietrapertosa e Campomaggiore.
Inquadramento dell’area di intervento
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Il Fiume Basento
Il Fiume Basento, di lunghezza pari a circa 149 km, è il corso d’acqua più lungo dell’intera
Regione Basilicata, nasce nell'Appennino lucano settentrionale e precisamente dal Monte Arioso,
scorre da nord-ovest a sud-est nelle province di Potenza e Matera e infine sfocia nel Golfo di
Taranto, nei pressi di Metaponto, direttamente nel Mar Ionio. Il suo bacino si estende lungo tutto
in territorio lucano per circa 1537 km2
.
Bacini idrografici della Regione Basilicata
Il Torrente Camastra, sicuramente il più importante affluente in destra idrografica, risulta essere
sbarrato dall’omonima imponente diga.
I principali affluenti del Fiume Basento sono: il Torrente Camastra, il Torrente Tora, il Torrente
Tiera, il Torrente Rifreddo, il Torrente Rummolo, il Torrente Gallitello, il Torrente Monaco.
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La diga di Camastra
Veduta panoramica dell’invaso della diga di Camastra
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Il Fiume Basento
Il Fiume Basento nasce dal Monte Arioso, la cui altitudine raggiunge nel punto maggiore 1722 m.
Il comprensorio di cui fa parte il Monte Arioso è un’importante meta sciistica della Basilicata. A
pochi chilometri da Potenza, infatti, e nel cuore del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano,
sorge la località turistica Sellata-Arioso. Le abbondanti nevicate e le attrezzature di cui è dotata ne
fanno una grande attrazione per gli amanti degli sport invernali e della natura.
La Sellata viene raggiunta da Potenza mediante una strada diretta che sale a 1255 m di altitudine.
La manutenzione delle piste ha raggiunto uno standard qualitativo elevatissimo grazie al
quotidiano lavoro dei mezzi battipista: con l'ausilio di motoslitte presenti sul posto è possibile
inoltre raggiungere le piste del versante costituito dal monte Arioso e Serra Giumenta in località
Sasso di Castalda, consentendo con un solo skipass di sciare su un totale di 7 km di piste. Gli
impianti sciistici sono immersi nella stupenda cornice verde dei rigogliosi boschi lucani. Nel
comprensorio sciistico è presente la scuola sci Sellata-Arioso e L'Hotel Pierfaone situato alle
pendici del Monte Pierfaone in località Sellata accanto agli impianti sciistici del Comprensorio.
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La località Sellata-Arioso
Un impianto sciistico del comprensorio Sellata-Arioso
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L’area ricade nelle vicinanze delle aree protette del parco delle Dolomiti di Pietrapertosa e della
Foresta di Gallipoli-Cognato, inserendosi all’interno del primo (per una maggiore comprensione si
rimanda all’estratto della cartografia del PSP - TAV 09 – Protezione della natura).
il SIC Dolomiti di Pietrapertosa è compreso nei comuni di Pietrapertosa, Castelmezzano e
Accettura. Il sito è incluso interamente nel Parco Regionale di Gallipoli Cognato – Piccole Dolomiti
Lucane. L’area del SIC-ZPS Dolomiti di Pietrapertosa è situata nell’Appennino Lucano e domina la
parte centrale della Val Basento. Include inoltre il complesso di rilievi denominato"Piccole Dolomiti
Lucane", ed è caratterizzato da alte guglie e creste rocciose che ricordano alcune delle vette più
note delle Dolomiti alpine vere e proprie.
Le Dolomiti di Pietrapertosa
La foresta di Gallipoli Cognato rientra nei territori comunali di Accettura, Calciano e Oliveto
Lucano e occupa una superficie complessiva di 4.159 ettari. La foresta, derivante dalla fusione di
due distinte tenute boschive, rispettivamente il bosco Gallipoli (1.117 ha) e il bosco Cognato
(3.357 ha), è caratterizzata da una notevole variabilità altimetrica. Si passa infatti da quote
prossime ai 200 m sui terreni confinanti con l’alveo del Basento ai 1.319 m del Monte Impiso. Nel
territorio è possibile distinguere diversi ambienti forestali e vegetali, alcuni dei quali occupano
vaste e continue estensioni, mentre altri hanno una diffusione puntiforme e localizzata.
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Il parco regionale Gallipoli Cognato
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Comune di Pietrapertosa
A 1088 metri d’altitudine sul livello del mare nasce la cittadina superstite dell’antica “Petra”
d’occidente, che ha riscontro solo in quella d’Oriente in Palestina nella zona abitata dai Nabatei.
Pietrapertosa conserva ancora oggi il suo aspetto di roccaforte, collocata a ridosso delle creste
rocciose che la proteggono e la nascondono.
Le origini del paese sono incerte anche se le teorie più accreditate attestano una fortificazione,
attorno al IV secolo a.C., da parte della tribù Utiana che occupava l’alta e media valle del Basento.
Notizie più certe si hanno a partire dal X secolo quando il borgo fortificato fu occupato da una
banda di Saraceni guidata dal capo Luca, un greco convertitosi all’Islam che compì numerose
scorrerie nei centri limitrofi finché fu scacciato dall’intervento del Catepano. Il castello fu ampliato
successivamente dai Normanni per assicurare una migliore difesa del luogo contro eventuali
incursori. La fortezza, a cui si accede da una scalinata situata a ridosso delle ultime case del
paese, poggia direttamente sulla roccia e domina sull’abitato di Pietrapertosa. Oggi, dell’antico
fortilizio, sono visibili parte delle mura perimetrali, l’arcone d’ingresso costruito con grossi blocchi
che formano un arco a tutto sesto, lievemente ribassato, un torrione di avvistamento ed alcuni
alloggiamenti incisi nella roccia. Alcuni gradini scavati direttamente sulla parete rocciosa, portano
ad un osservatorio con un arco ricavato nell’arenaria. Sembra ormai chiaro che la maggior parte
degli interventi di scavo nella roccia viva debbano ascriversi al periodo di costruzione mentre il
versante settentrionale del castello presenta elementi architettonici riconducibili al XV e XVI
secolo, opera delle dominazioni successive.
Il Comune di Pietrapertosa
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Vista aerea del Comune di Pietrapertosa
Suggestiva visuale notturna del Comune di Pietrapertosa
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3. Quadro di riferimento ambientale
Per quanto riguarda gli strumenti di pianificazione territoriale, si faccia riferimento allo Studio
Preliminare Ambientale e alla Relazione Paesaggistica.
Di seguito si riporta la programmazione relativa alla normativa ambientale ed alle aree protette
presenti nell’area di intervento.
- Parco Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane
L’Ente gestore dell’area protetta di Gallipoli Cognato e delle Piccole Dolomiti Lucane è stato
istituito con Legge Regionale n. 47 del 1997.
L’area del Parco naturale di Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti Lucane comprende i territori dei
Comuni di Pietrapertosa, Castelmezzano, Accettura, Calciano e Oliveto Lucano così come
compresi nel Piano Territoriale Paesistico di area vasta GalIipoli-Cognato, approvato con legge
regionale 12 febbraio 1990 n. 3 e fatta esclusione della porzione di territorio sulla quale ricade la
Riserva antropologica Monte Crocciaistituita con D.M. 11 settembre 1971 dal Ministero
Agricoltura e Foreste.
Il Piano persegue l’obiettivo di assicurare uno sviluppo sostenibile che salvaguardi il diritto di
ciascuno di fruire, con pari possibilità, delle risorse del territorio senza depauperarle. Le
disposizioni aventi rilevanza paesistica perseguono altresì l’obiettivo di tutelare e valorizzare
l’identità del paesaggio, renderne evidenti i caratteri distintivi e assicurare l’integrità ecosistemica.
Il Piano contiene le previsioni e gli indirizzi progettuali per: a) la tutela e il miglioramento degli
habitat, della fauna e della flora del Parco; b) il recupero e il miglioramento degli ecosistemi
forestali e l’eventuale utilizzazione degli stessi anche ai fini selvicolturali, didattici, scientifici e
turistici; c) lo sviluppo e l’incentivazione delle attività agricole, zootecniche ed artigianali; d) la
razionalizzazione .
L’ambiente naturale dell’area sottesa dal Parco Regionale Gallipoli Cognato Piccole Dolomiti
Lucane presenta caratteristiche fisiche e biologiche estremamente eterogenee alle quali
corrispondono differenti paesaggi vegetazionali. Tali realtà naturali spaziano dal sistema collinare
a quello montano, dal bacino torrentizio alla steppa ed alle garighe. Nell’area considerata, inoltre,
spiccano nettamente le zone di montagna e di collina, in corrispondenza delle quali le foreste
sono ancora, se pur in eccezionali tratti degradate, ben rappresentate. La Foresta di Gallipoli
Cognato in esame è la più estesa delle foreste demaniali della Basilicata ed è compresa tra il
limite occidentale della Provincia di Matera, il territorio del Comune di Accettura ed a settentrione
il fiume Basento. Nella parte orientale confina con il bosco di Santa Domenica, il Monte Croccia,
mentre il confine meridionale in parte è costituito dalle sponde del torrente Salandrella e in parte a
Nord con terreni agricoli privati. Il confine occidentale, infine, coincide con quello delle province di
Matera e di Potenza seguendo il crinale della Costa della Rossa. Il territorio è caratterizzato dal
frazionamento del sistema montuoso, formato da diversi gruppi di rilievi nei quali affiorano i
complessi argillosi ad assetto caotico del Cretacico - Paleogene. I restanti rilievi sono caratterizzati
da calcari e calcari marnosi del Giurassico-Miocene, dislocati ad Est. La zona in esame presenta
due punti di vetta rappresentati dal Monte Malerba (1083 m slm) e dal Monte la Croccia (1151 m
slm). Le quote minime, invece, si riscontrano lungo il Basento, pari a circa 300 m s.l.m. e la
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Salandrella di circa 500 m s.l.m. L’idrologia superficiale ha spesso creato nel tempo fossi e valloni
che scendono a ventaglio verso valle e da cui le acque superficiali defluiscono per riversarsi nel
Basento o nel torrente Salandrella.
Dal punto di vista fitoclimatico, il settore in esame appartiene all’Area climatica mediterranea, e
della stessa vanta la presenza di quasi tutti i Piani vegetazionali.
Al suo interno, infatti, si possono osservare comunità di piante appartenenti al piano
termomediterraneo, caratterizzato dalla presenza di vegetazione spiccatamente termofila
dominata dalle sclerofile quali gli oleo-lentisceti o i pini mediterranei, oppure la vegetazione
appartenente al piano meso – mediterraneo; sono facilmente riconoscibili le comunità
vegetazionali dominate dal Leccio (Quercus ilex ).
Spostandosi dalle valle del Basento verso l’alto, detti piani sono sovrastati dal piano supra –
mediterraneo con i suoi caratteristici querceti caducifogli, ed ancora da zone appartenenti al
piano mediterraneo montano nel quale vegetano lembi di foresta ad Abies alba anche se di
dubbia origine naturale. Il clima mediterraneo è caratterizzato in generale da periodi di scarse
precipitazioni soprattutto in primavera ed estate.
Secondo la classificazione del Pavari (1916), le zone collinari dell’area in esame rientrano nel
Castanetum (sottozona calda e fredda) e Lauretum (con le varie sottozone). Il piano basale rientra
nella sottozona calda del Lauretum del secondo tipo con siccità estiva. Uno studio relativo alla
flora italiana effettuato da PIGNATTI nel 1982 ha rivelato che sono ben 2279 le specie spontanee,
coltivate e naturalizzate, che vegetano all’interno del territorio lucano su 5800 specie presenti in
tutta Italia. In tale contesto, sono molteplici le espressioni della vegetazione d’interesse forestale e
non che s‘incontrano lungo il territorio da tenersi in particolare considerazione. L’ambito di Parco
cosi individuato comprende le seguenti aree SIC-ZPS di cui alle Direttive Habitat 92/43 CE e 97/62
CE e Uccelli 79/409:
1. IT9220130 - Foresta Gallipoli Cognato - Superficie (ha) 4.289 SIC e ZPS
2. IT9210105 – Dolomiti di Pietrapertosa - Superficie (ha) 1.312 SIC e ZPS
3. IT9220030 – Bosco di Montepiano - Superficie (ha) 514 SIC
4. IT9220260 – Valle Basento-Grassano scalo - Superficie (ha) 779 SIC e ZPS
In particolare, le aree “Foresta di Gallipoli Cognato” e “Dolomiti di Pietrapertosa” rientrano
integralmente nell’area di Parco, mentre le aree Valle Basento-Grassano Scalo e Bosco di
Montepiano ricadono in area di parco rispettivamente per 145,50 ha e per 440,35 ha, nei territori
di Accettura e Pietrapertosa per il SIC “Bosco di Montepiano” e Calciano per il SIC ZPS “Valle
Basento - Grassano scalo”.
Pertanto circa 6.153,50 ha (22,76%), dei 27.027 complessivi di Parco, fanno parte della Rete
Natura 2000.
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Posizionamento delle opere in relazione ai confini del parco
Estensione complessiva del parco
L’intervento in progetto risulta posizionato al confine con la delimitazione dell’area parco, e
nelle vicinanze dei SIC IT9220130 - Foresta Gallipoli Cognato/ IT9210105 – Dolomiti di
Pietrapertosa.
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Attualmente è in corso la Valutazione Ambientale Strategica per l’adozione del Piano del Parco.
Secondo la Proposta di Piano, il territorio del parco è stato suddiviso in “zone” così come previsto
dalle norme regionali e nazionali vigenti e in particolare riferimento a quanto indicato nella Legge
394/91 –“Legge Quadro sulle Aree protette” che al comma 2 dell’art. 12 recita: “Il piano suddivide
il territorio in base al diverso grado di protezione, prevedendo:
- riserve integrali nelle quali l'ambiente naturale è conservato nella sua integrità;
- riserve generali orientate, nelle quali è vietato costruire nuove opere edilizie, ampliare le
costruzioni esistenti, eseguire opere di trasformazione del territorio. Possono essere
tuttavia consentite le utilizzazioni produttive tradizionali, la realizzazione delle
infrastrutture strettamente necessarie, nonché interventi di gestione delle risorse naturali
a cura dell'Ente parco. Sono altresì ammesse opere di manutenzione delle opere
esistenti, ai sensi delle lettere a) e b) del primo comma dell'articolo 31 della legge 5
agosto 1978, n.457;
- aree di protezione nelle quali, in armonia con le finalità istitutive ed in conformità ai criteri
generali fissati dall'Ente parco, possono continuare, secondo gli usi tradizionali ovvero
secondo metodi di agricoltura biologica, le attività agro-silvo-pastorali nonché di pesca e
raccolta di prodotti naturali, ed è incoraggiata anche la produzione artigianale di qualità.
Sono ammessi gli interventi autorizzati ai sensi delle lettere a), b) e c) del primo comma
dell'articolo 31 della citata legge n.457 del 1978, salvo l'osservanza delle norme di piano
sulle destinazioni d'uso;
- aree di promozione economica e sociale facenti parte del medesimo ecosistema, più
estesamente modificate dai processi di antropizzazione, nelle quali sono consentite
attività compatibili con le finalità istitutive del parco e finalizzate al miglioramento della
vita socio-culturale delle collettività locali e al miglior godimento del parco da parte dei
visitatori.
Partendo da tali assunti si è inteso prevedere aree di tipo a – Riserve Integrali e b- Riserve generali
orientate, laddove le valenze ambientali erano tali da condizionare in modo assoluto o prioritario
gli usi antropici; sono state individuate invece aree di tipo c - aree di protezione e di tipo d - aree
di promozione economica e sociale laddove la salvaguardia e la valorizzazione del contesto
ambientale è stata considerata funzione di una rivitalizzazione controllata ed adeguatamente
gestita degli usi antropici.
L’area di intervento risulta situata al confine con zona di protezione di tipo “B2: miglioramento degli equilibri ambientali”
Aree di protezione di Tipo B:
“aree di protezione degli ambiti di valore ecologico per presenza di mosaico vegetazionale”
Comprende quelle aree del parco costituite da un mosaico di territori semi naturali e coltivati. Si
estendono in agro di Pietrapertosa ed Accettura. In agro di Pietrapertosa si sviluppano lungo il
versante della Montagna di Caperrino nella porzione non occupata dalla zona di protezione di tipo
A) e lungo il versante occidentale del crinale dell’Impiso a partire da Serra Cristina a Nord, fino a
Manca di Mona a Sud. In agro di Accettura, invece, occupano una porzione di territorio che dalla
stretta valle a sud est del crinale di Serra della Russia raggiunge contrada San Giovanni a sud,
per poi svilupparsi lungo i versanti adiacenti il Torrente Salandrella fino alle pendici di Monte
Cortaglia. Altra fascia di territorio rientrante in questa categoria di protezione è costituita dal
crinale che da Tempa Cortaglia si estende verso sud intercettando Tempa Fica e Case Frassino,
fino a Case Gennariello immediatamente a valle della Colonia Montana in località Montepiano.
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Proposta di zonazione del parco
SIC e ZPS IT9220130 Foresta Gallipoli Cognato
Il SIC ZPS corrisponde con la più estesa delle foreste demaniali della Basilicata. Si estende a
nord-ovest fino a comprendere un tratto del fiume Basento, mentre a sud-est il confine si spinge
fino al torrente Salandrella. Il limite sud-occidentale segue il crinale di Costa La Rossa che
digrada ripidamente nella Valle della Rossa. Il territorio comprende i rilievi di M.te La Croccia
(1151 m s.l.m.), M.te Malerba (1093 m s.l.m.) e numerosi valloni che si sviluppano da nord-ovest
a sud-est. L’area inclusa nel sito ricade nei comuni di Accettura, Calciano e Oliveto Lucano
occupando una superficie complessiva di 4.289 ettari.
Si tratta di un sito di rilevante interesse paesaggistico e naturalistico, quasi interamente ricoperto
da foreste decidue prevalentemente rappresentate da querceti caducifogli dominati dal cerro
(Quercus cerris), a cui si possono trovare associati il farnetto (Q. frainetto), la roverella (Q.
pubescens s.l.), la rovere meridionale (Q. petraea ssp. austrotyrrhenica).
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Estensione del SIC Foresta Gallipoli Cognato
Questi boschi sono in gran parte riferibili all’habitat 91M0 Foreste Pannonico-Balcaniche di cerro e
rovere in cui sono stati recentemente inquadrati i querceti decidui dell’Italia meridionale, simili per
composizione floristica e caratteristiche ecologiche a quelli della penisola balcanica.
Lungo le linee d’impluvio e su suoli più umidi si rinvengono aspetti di cerreta caratterizzati dalla
presenza abbondante di Fraxinus oxycarpa, con un ricco strato erbaceo e con un’abbondante
fioritura di Ranunculus velutinus.
In alcuni casi il frassino diviene dominante e questi aspetti sono stati riferiti all’habitat 91B0
Frassineti termofili a Fraxinus angustifolia. Un’altra variante interessante della cerreta tipica è
quella caratterizzata dalla presenza di Quercus frainetto, che in alcune stazioni tende a diventare
codominante insieme al cerro. In condizioni più termofile e su superfici più drenate prevale il
bosco sempreverde caratterizzato dalla dominanza del leccio (habitat 9340 Foreste di Quercus
ilex e Quercus rotundifolia). Le leccete più estese ricadono ai margini del sic, in particolare lungo il
versante sud-occidentale di Costa la Rossa. Sempre a bassa quota si rinvengono boschi a
roverella (Q. pubescens) quasi sempre mista al cerro e/o al leccio, riconducibili al Centaureo-
Quercetum pubescentis (Zanotti et al., 1993). Queste formazioni possono essere inquadrate
nell’habitat 91AA* Boschi orientali di quercia bianca, a cui sono stati recentemente riferiti i boschi
di roverella dell’Italia peninsulare secondo il manuale italiano d’interpretazione degli habitat
d’interesse comunitario.
Lungo i versanti più accidentati il querceto si arricchisce di elementi tipici delle forre umide come
Tilia platyphyllos, Corylus avellana, Acer sp. pl., Ostrya carpinifolia. Si rinvengono lembi di bosco
ripariale lungo il margine del sito che costeggia il Fiume Basento: si tratta di formazioni
caratterizzate da specie igrofile quali Populus nigra, Alnus glutinosa, Salix sp. pl.
Importante significato ecologico assumono le piccole pozze artificiali utilizzate per il bestiame, in
alcuni casi le sponde si sono naturalizzate e sono colonizzate da specie acquatiche quali
Potamogeton nodosus, Lemna minor, Callitriche stagnalis, Alisma plantago-aquatica, ecc. In
primavera queste pozze d’acqua sono completamente ricoperte da vistose fioriture di ranuncoli
acquatici e anfibi quali Ranunculus sardous, R. ophioglossifolius, R. aquatilis, R. tricophyllus.
Relativamente all’accertamento dello status delle zoocenosi presenti nel sito, si deve fare
riferimento alla presenza di valori di particolare pregio conservazionistico in cui gli elementi di
maggiore rilevanza e la presenza di specie rare e vulnerabili sono di per sè indice di un alto valore
ambientale del sito considerato.
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Dalla sintesi dei risultati delle indagini sulla fauna vertebrata è stata prodotta la lista delle specie
fino a questo momento osservate nell’area, corredata anche da utili riferimenti normativi. Per una
corretta interpretazione dello status riportato nella lista bisogna ovviamente tener presente che
alcune specie presentano un home range di grandi dimensioni, per cui lo status non può
espressamente essere riferito al sito ma include parti dei territori immediatamente limitrofi o
addirittura l’intero territorio lucano.
Tra le specie presenti nell’area che presentano un home range di grandi dimensioni riportate in
allegato I della direttiva uccelli, alcune specie, quali il Falco pecchiaiolo, il Nibbio bruno, il Nibbio
reale, il Biancone, il Lanario e il Pellegrino, utilizzano l’area per la nidificazione compiendo
spostamenti importanti per la ricerca del cibo, mentre altre come ad esempio la Cicogna nera, il
Capovaccaio e il Gufo reale frequentano l’area per ragioni trofiche costruendo il nido in aree
distanti anche decine di km. Dall’analisi delle specie rinvenute, emerge la presenza nel sito di
diverse specie prioritarie ai sensi della direttiva 79/409/CEE tra cui il Nibbio reale, il Lanario, il
Falco pellegrino, il Picchio rosso mezzano che vivono stabilmente nell’area ed altre, quali il
Capovaccaio, il Biancone, il Nibbio bruno, il Falco pecchiaiolo, l’Averla piccola, il Cuculo, vi
giungono nel periodo primaverile per riprodursi. L’Aquila minore, l’Averla cenerina, la Balia dal
collare sono presenti esclusivamente nel periodo migratorio, mentre l’Airone bianco con un
numero limitato di esemplari sverna nelle aree di confine presso il fiume Basento. Il sito svolge un
ruolo prioritario per la conservazione delle popolazioni italiane nidificanti di Nibbio reale, che
risultano concentrate soprattutto nelle regioni centro-meridionali ed insulari, distribuite in maniera
discontinua ma con densità molto variabili ed altamente frammentate.
Dall’ analisi delle specie riscontrate, riportate in elenco allegato ed indicate della direttiva habitat
92/43/CEE allegato II, che inoltre rientrano nella categoria delle specie a home range di grandi
dimensioni, si inseriscono il Lupo e la Lontra. Le popolazioni italiane di Lupo rappresentano una
delle priorità di conservazione del nostro paese e rivestono particolare importanza anche a livello
internazionale, essendo una delle poche popolazioni superstiti dell’Europa occidentale. Il Lupo,
un tempo ritenuto presenza abbondante, è presente con pochi individui appartenenti
probabilmente ad una piccola popolazione residua locale. Nell’area e nei territori confinanti, tale
specie è stata avvistata non di rado e spesso esercita predazione al bestiame domestico. La
conservazione della specie considerata prioritaria ai sensi della Direttiva Habitat è l’applicazione
dello specifico Piano d’azione per la conservazione del Lupo edito dal Ministero dell’ambiente e
della tutela del territorio e dall’istituto nazionale per la fauna selvatica, deve rappresentare una
parte importante dello sforzo che deve essere messo in atto nel sito al fine di garantire la
funzionalità degli ecosistemi, mantenere la biodiversità ed assicurare il mantenimento e la
conservazione della specie non solo nell’area ma in tutto il territorio nazionale. Tra i mammiferi
terrestri europei presenti nell’area attualmente, la Lontra è la specie più vulnerabile e a più elevato
rischio di estinzione. Infatti la specie, pur essendo a vasta ripartizione geografica (il suo areale
abbraccia l’intera Europa, il Nordafrica, l’Asia minore e gran parte dell’Asia centrale),
recentemente ha assistito ad un drammatico crollo delle sue popolazioni, soprattutto all’interno
del nostro Paese dove è scomparsa dalla maggior parte del suo areale tradizionale. Le
popolazioni della Sottospecie italiana (Lutra lutra lutra), originariamente diffuse in tutta la penisola,
non entrano più in contatto tra loro e risultano confinate lungo i corsi d’acqua di un limitato
numero di regioni soprattutto centro-meridionali ed in condizioni prossime all’estinzione. Studi
effettuati dal 1987 al 1991 sulle popolazioni dei fiumi Agri, Basento, Fiora, Sele, Calore individuate
quali ultime roccaforti della specie, hanno evidenziato che le popolazioni residue di Lontra, molto
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localizzate e tra loro isolate, erano gravemente minacciate da inquinamento, distruzione
dell’habitat e ridotta consistenza numerica. Le informazioni raccolte sul mustelide nell’area si
limitano a rilevazioni certe, rappresentate dai caratteristici escrementi contenenti resti di pesce e
rettili nonché delle orme che sono state osservate lungo entrambe le rive del confine sud del
sic/zps. Rimangono altresì sconosciuti i parametri demografici, cosi come lo status e l’identità
genetica delle popolazioni. La presenza della specie nell’area deve essere considerata prioritaria
in virtù delle finalità stesse della rete ecologica natura 2000 e capace di qualificare enormemente il
sito considerato. La Lontra, inoltre, può essere considerata un “indicatore biologico” ad elevato
valore intrinseco, in quanto specie con debole capacità di sopportare variazioni ambientali
importanti. La popolazione di Lontra presente nel sito risulta gravemente minacciata dalla
presenza della linea ferroviaria ad un binario e dalla strada statale 407 Basentana che insistono
nel sito, che hanno fatto registrare negli ultimi anni la morte diretta di alcuni soggetti per incidente
stradale. Inoltre, la presenza della via ferroviaria e spazi associati, la S.S. 407, rappresentano un
forte limite ai processi di dispersione e di colonizzazione di aree fluviali adiacenti.
Nell’area risulta quindi prioritario prevedere programmi di ricerca specifici sulle qualità ambientali
al fine di assicurare una concreta protezione delle residue popolazioni di Lontra, da estendersi a
tutto il bacino idrografico del Basento in cui essenzialmente occorre: monitorare i livelli
d’inquinamento delle acque, mantenere e migliorare lo stato della vegetarione riparia, bloccare e
revisionare le opere di arginatura artificiale dei tratti fluviali, monitorare ed eventualmente
ripristinare i popolamenti ittici dal punto di vista qualitativo e quantitativo al fine di assicurare una
soddisfacente disponibilità trofica, tutelare le possibili vie di dispersione degli individui attraverso i
vari bacini idrografici con rimozione e mitigazione delle barriere che possano determinare un
impatto diretto sui soggetti in dispersione.
Nell’ambito dell’attività di ricerca sulla fauna selvatica e stata accertata, all’interno del sito, la
presenza di popolazioni vitali di Lepre italica (Lepus corsicanus). La determinazione specifica al
taxon d’appartenenza è stata effettuata dai tecnici dell’Istituto Nazionale per la Fauna Selvatica
(INFS), che hanno analizzato anche su base genetica due esemplari (deceduti) rinvenuti
all’interno del sic/zps nei pressi di Monte la Croccia. Le conoscenze su biologia, status e
distribuzione della Lepre italica, specie endemica dell’Italia centro-meridionale, sono ancora
piuttosto carenti, anche se è stato accertato il cattivo stato di conservazione che caratterizza la
specie, considerata “minacciata” secondo i criteri IUCN. Nel sito, la specie è stata osservata
frequentemente oltre che durante i censimenti notturni anche nelle ore diurne, soprattutto in
corrispondenza di radure e prati-pascoli, facendo ipotizzare buone densità della popolazione.
Nel sito in oggetto, oltre a quelle brevemente descritte sopra, si evidenziano nelle liste riportate in
allegato un gran numero di taxa animali quali ad esempio il Tasso, l’Istrice, il Gatto selvatico, varie
specie di chirotteri e micromammiferi, che testimoniano direttamente il grado di importanza dei
sic/zps per la conservazione di specie prioritarie e di alto valore biogeografico e
conservazionistico. All’interno del sito, l’unico Ungulato presente allo stato selvatico e il Cinghile:
nell’area la specie, come nella maggior parte dei paesi europei, ha fatto registrare negli anni uno
spettacolare aumento della distribuzione geografica. Nel territorio del Parco regionale di Gallipoli
Cognato - Piccole Dolomiti Lucane, la specie esercita un forte impatto negativo sulle attività
agricole e ha generato la nascita di forti conflitti tra diverse categorie sociali coinvolte ed il
continuo proliferare delle richieste di risarcimento danni.
Lo studio sui Chirotteri presenta un rilevante interesse dal punto di vista sistematico,
zoogeografico, fisiologico, ed ecologico, ma nonostante l’indubbia importanza che questo
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gruppo zoologico riveste nello studio della fauna italiana e nella conservazione della biodiversità,
sono ancora poche le notizie disponibili per queste specie in Italia ed in particolare nel sito
indagato. I due siti raramente coincidono, in molti casi anzi si trovano a distanza ragguardevole.
Appare evidente che dimensione e struttura delle comunità di Chirotteri sono difficili da definire e
da stimare. Quantificare con precisione il numero di pipistrelli appartenenti a una medesima
popolazione è nella pratica estremamente difficoltoso, in quanto la stima è complicata in maniera
sostanziale da fattori che dipendono dalle loro stesse caratteristiche biologiche.
Nibbio Reale Lontra
SIC e ZPS IT9210105 – Dolomiti di Pietrapertosa
Il SIC è compreso nei comuni di Pietrapertosa, Castelmezzano e più limitatamente in quello di
Accettura, per una superficie totale di 1312,52 ettari (vedi figura 5). L’area del SIC-ZPS Dolomiti di
Pietrapertosa domina la parte centrale della Val Basento. Il sito include il complesso di rilievi
denominato"Piccole Dolomiti Lucane", caratterizzato da alte guglie e creste rocciose che
ricordano alcune delle vette più note delle Dolomiti alpine vere e proprie. Percorrendo la
direzione Nord-Sud dell’area SIC, si assiste ad un progressivo sviluppo verticale del territorio che
va dal tratto vallivo a 450 m.s.l.m. della base della Gola Caperrino (una profonda gola scavata in
corrispondenza di lineazioni tettoniche dal torrente Rio di Caperrino, affluente di destra del
Basento) al picco di 1.319 m.s.l.m. del Monte dell’Impiso. Le rocce affioranti che
contraddistinguono il particolare assetto geomorfologico sono attribuite al Flysch di Gorgoglione.
Il Flysch di Gorgoglione è costituito da un’alternanza di termini litologicamente ben distinguibili e
datato al Langhiano superiore-Tortoniano inferiore. I paesi di Pietrapertosa e Castelmezzano
sono situati prevalentemente sul termine arenaceo, costituito da arenarie grossolane, arenarie
stratificate a grana medio-fine che localmente presentano lamine oblique. A Monte dell’Impiso,
punto più alto della dorsale su cui si sviluppa il Sic, è affiorante il massimo spessore della
formazione di circa 1.400 m dove affiora il membro arenaceo con microconglomerati e il membro
arenaceo-pelitico. La successione ha la struttura di una monoclinale di circa 15 km di lunghezza
(Castelmezzano-Monte dell’Impiso) allungata in direzione appenninica (NW-SE).
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Estensione del SIC Dolomiti di Pietrapertosa
Il sito ha un indiscusso valore paesaggistico per la presenza del complesso di affioramenti
rocciosi di origine sedimentaria innanzi descritti, la componente biotica, però, riveste anch’essa
un rilevante significato, sia per il valore paesaggistico che contribuisce a dare al sito, sia per
l’interesse strettamente naturalistico che assumono soprattutto le biocenosi rupicole. L’ambiente
rupestre è sempre interessante dal punto di vista floristico e vegetazionale, in quanto il substrato
roccioso favorisce una flora altamente specializzata e in genere ricca di endemismi o specie a
distribuzione ristretta. La particolare natura del substrato delle rupi di Pietrapertosa, con la
presenza di sedimenti ricchi di quarzo e cemento calcareo, ha probabilmente favorito la
coesistenza di specie rupicole prevalentemente calcicole con specie tendenzialmente più
acidofile. Le comunità che si rilevano possono essere riferite all’habitat 8210 Pareti rocciose
calcaree con vegetazione casmofitica per la presenza di specie quali Phagnalon rupestre,
Athamanta sicula, Scabiosa crenata, Teucrium flavum, Lomelosia crenata, Aurinia saxatilis,
Dianthus gr. sylvestris, Centaurea gr. deusta, ma richiedono indagini più approfondite per una
interpretazione strettamente fitosociologica. La vegetazione strettamente rupicola, caratterizzata
da una prevalenza di specie ad habitus camefitico, e alternata a praterie a carattere orofilo,
riferibili all’habitat 6210, e a lembi di vegetazione prativa più termofila riferibile all’habitat 6220*.
Spesso gli elementi dei tre habitat coesistono formando un mosaico vegetazionale difficilmente
interpretabile, ma particolarmente ricco floristicamente nel suo complesso. In questo contesto si
rilevano popolazioni di specie particolarmente interessanti fra le quali è da citare la presenza di
Stipa austroitalica, endemismo dell’Appennino meridionale, incluso nell’All.II della Dir. Habitat
come specie di interesse prioritario. Sono stati rilevati piccoli popolamenti sia sulle rupi sotto
Castelmezzano, che nei prati aridi a forte pendenza di Costa Cervitale. Questi prati possono
essere in parte riferiti all’habitat 62A0. I pascoli di origine secondaria sono invece più chiaramente
riferibili all’habitat 6210. Piuttosto ricco e anche il contingente di orchidee che caratterizza e
valorizza l’habitat 6210 (Orchis tridentata, Orchis papilionacea, Orchis mascula, Ophrys
tethrendinifera, Orchis provincialis, Orchis quadripuntata, Anacamptis pyramidalis,
Himantoglossum adriaticum, Epipactis meridionalis). Sempre sulle rupi, nei valloni in cui si ha un
maggiore accumulo di suolo, si instaura una boscaglia caratterizzata dalla dominanza di specie
decidue quali Pistacia terebintus, Quercus virgiliana, Fraxinus ornus, Ostrya carpinifolia, Coronilla
emerus. Queste formazioni sono state inquadrate nell’habitat 91AA*, a cui sono stati di recente
riferiti i boschi mediterranei e submediterranei adriatici e tirrenici adominanza di Quercus
virgiliana, Q. dalechampii, Q. pubescens e Fraxinus ornus. La porzione del sito che si congiunge
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Valutazione di incidenza
all’area di Montepiano (Colle dell’Impiso), grazie alla minore acclività, ospita boschi di cerro
piuttosto estesi, in continuità con le cerrete di Gallipoli- Cognato e di Montepiano, riferiti all’habitat
91M0 Foreste Pannonico-Balcaniche di cerro e rovere. Questi boschi sono caratterizzati dalla
dominanza del cerro a cui si associano più sporadicamente aceri (Acer neapolitanus, Acer
campestre), l’orniello (Fraxinus ornus) e la carpinella (Ostrya carpinifolia). Sui fianchi del vallone
del Torrente Caperrino, tra l’abitato di Pietrapertosa e quello di Castelmezzano, grazie alla
maggiore umidità atmosferica il bosco di cerro si arricchisce sempre più di elementi tipici dei
boschi di forra quali il nocciolo (Corylus avellana), il tiglio (Tilia cordata), ecc. tanto da poterlo
attribuire all’habitat 9180* Foreste di versanti, ghiaioni e valloni del Tilio-Acerion fino ad entrare in
contatto, nel fondovalle con la boscaglia igrofila a salici e pioppi e con aspetti puntiformi
dell’habitat 6430 Bordure planiziali, montane e alpine di megaforbie idrofile, dominate da
Petasites hybridus e Carex pendula.
L’intero SIC si pone come un’area strategica per la conservazione di alcune specie di Uccelli
aventi una distribuzione discontinua e localizzata nell’intero areale. Il territorio accidentato,
caratterizzato da imponenti rupi e affioramenti quasi integri sotto il profilo dell’antropizzazione,
rendono l’area particolarmente idonea alla nidificazione di alcune specie di interesse comunitario,
inserite nell’All. I della Dir. 79/409 CEE:
- Cicogna nera (Ciconia nigra). La specie si riproduce con una coppia all’interno del
SIC, dove la sua nidificazione è conosciuta almeno dal 2002 (Bordignon, 2005). La
popolazione italiana di questo raro ciconiiforme è stimata in 10-11 coppie al 2009,
delle quali 5-6 presenti in Basilicata. Il SIC “Dolomiti di Pietrapertosa”, dunque, svolge
un ruolo primario per la conservazione della specie, fungendo anche da potenziale
bacino di espansione per la colonizzazione di altri territori limitrofi. I principali fattori di
minaccia riguardano il rischio di impatto con cavi sospesi, il disturbo ai nidi a seguito
della messa a punto di vie ferrate per l’arrampicata sportiva e l’inquinamento delle
acque fluviali utilizzate come aree di foraggiamento.
- Biancone (Circaetus gallicus). Almeno una coppia nidifica all'interno del SIC. Specie
piuttosto rara e localizzata nel centro-Sud, con appena 15-18 coppie stimate per la
Basilicata. E’ in corso il progetto di studio “Biancone” in cui grazie al sistema GPS è
possibile localizzare i bianconi con precisione e quindi valutare le rotte di migrazione
utilizzate per attraversare il Mediterraneo e il Sahara, nonché le aree di svernamento in
Africa tropicale ed in Sicilia. I possibili fattori di rischio sono da individuare nel disturbo
ai nidi, tagli indiscriminati in particolare lungo i versanti, abbattimenti illegali, impatto
contro linee elettriche e cavi sospesi.
- Falco pellegrino (Falco peregrinus). Nidificante con almeno 2 coppie sulle estese
formazioni rupicole tra Castelmezzano e Pietrapertosa. La specie ha conosciuto un
forte incremento numerico in tutto il suo areale europeo a partire dalla meta degli anni
’80, riconquistando territori da cui era scomparso. Il sito è senza dubbio di particolare
rilevanza per la conservazione della specie, e potrebbe ospitare un numero di coppie
più elevato, data la disponibilità di ambienti idonei alla nidificazione. I fattori di
minaccia sono da ricondurre nell’arrampicata sportiva (disturbo ai nidi), abbattimenti
illegali e impatto contro cavi sospesi.
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Di particolare rilevo, inoltre, risulta la comunità ornitica rilevata in corrispondenza degli ambienti
cacuminali localizzati nella porzione meridionale del SIC, tra la vetta del “Mt. Dell’Impiso” e “Costa
Cervitale”, dove sono stati rilevati importanti popolazioni di Calandro (Anthus campestris),
Culbianco (Oenanthe oenanthe), Codirossone (Monticola saxatilis), Sterpazzola (Sylvia
communis), Averla Piccola (Lanius collurio) e Zigolo muciatto (Emberiza cia). Di un certo
interesse, inoltre, risulta la presenza del Codirossone (Monticola saxatilis), nidificante in prossimita
della “Tempa Pizzuta” e nell’area di “Costa Cervitale. E’ importante inoltre sottolineare la
nidificazione di alcune coppie di Merlo acquaiolo (Cinclus cinclus) lungo il T. Caperrino. Si tratta
di una specie la cui distribuzione è tuttora quasi del tutto sconosciuta in Italia meridionale,
ecologicamente legato a tratti fluviali o torrentizi con portata minima garantita, con acque a rapido
scorrimento, non inquinate e ricche di macroinvertebrati bentonici.
L’erpetofauna del SIC si caratterizza per la presenza della Salamandrina dagli occhiali
(Salamandrina terdigitata), endemismo dell’Italia centro-meridionale e inserita nell’All. II della Dir.
“Habitat”. Sono stati individuati due siti riproduttivi nella zona di “Cinto dei Forni” e in localita
“Acquarra”. Un altro endemismo appenninico, la Rana appenninica (Rana italica), inserita nell’All.
IV della Dir. “Habitat”, è risultata essere ben distribuita nel SIC; è stata rilevata in prossimità dei
corsi d’acqua presenti ma anche in fontanili e abbeveratoi. Il Tritone Italiano (Lissotriton italicus) è
stato rilevato in tutti gli ambienti idonei (fontanili, abbeveratoi, pozze anche temporanee). I fattori
che possono influenzare negativamente la conservazione di queste specie sono da individuare
nella gestione delle piccole zone umide presenti. La “ripulitura” periodica di alcuni manufatti come
fontanili e abbeveratoi di fatto elimina ogni traccia di vegetazione acquatica, indispensabile a
queste specie per deporre le uova. Tale pratica è stata osservata ad esempio in localita “Costa
Cervitale”, dove un antico fontanile in pietra e risultato essere completamente privo di
vegetazione. Le captazioni idriche inoltre, se non opportunamente regolate, possono produrre
gravi scompensi in prossimità di sorgenti o piccoli corsi d’acqua a carattere torrentizio,
compromettendo gli ambienti idonei per la riproduzione delle Salamandrina dagli occhiali.
Interessante, infine, la presenza del Cervone (Elaphe quatuorlineata), inserito nell’All. II della Dir.
“Habitat” e del Saettone occhirossi (Zamenis lineatus) endemismo dell’Italia centromeridionale
inserito nell’All. IV della Dir. “Habitat”.
La coppia di cicogne nere Il Biancone Egidio ”marchiato” col gps
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Siti di interesse archeologico
Il Parco oltre che custode di un prezioso ecosistema naturalistico è contenitore di importanti
testimonianze storico-archeologiche da tempo oggetto di interesse da parte della comunità
scientifica ed attestate all’interno dei confini distrettuali dei cinque comuni di Accettura, Calciano,
Oliveto Lucano, Pietrapertosa e Castelmezzano.
Alle prime esplorazioni archeologiche di fine ‘800-inizi ‘900 hanno fatto seguito altri interventi
principalmente rivolti agli insediamenti di età antica promossi dalla Soprintendenza ai Beni
Archeologici della Basilicata.
L’interesse storico-archeologico per il luogo rinnovato nel tempo ha il principale obbiettivo di
ampliare sia le conoscenze relative al sistema insediativo dei centri di altura nella Lucania
preromana, sia le informazioni legate ai processi di trasformazione originatisi nel luogo con l’inizio
dell’espansione romana nel sud della penisola. Se da un lato dunque la frequentazione in età
antica è in parte testimoniata dal riscontro di natura archeologica e dalla possibilità di poter
usufruire di dati editi, lo stesso non può dirsi per le fasi di frequentazione di età Tardoantica (note
solo da poche notizie preliminarmente edite) e soprattutto Medievale. L’esistenza di casali,
cappelle rurali o altro è spesso desumibile infatti solo dalla sopravvivenza di un toponimo e/o da
una scarsa documentazione storica e storiografica di riferimento, essendo pressoché inesistenti al
momento per la zona in esame, pubblicazioni pertinenti ad indagini archeologiche rivolte al
Medioevo. I luoghi sono elencati in ordine di comune di appartenenza, di cronologia di riferimento
e di tipologia insediativa rappresentata.
Accettura
Noti da bibliografia edita sono nello specifico i siti individuati nelle località di Croccia Cognato,
Acqua di Fra Benedetto, Pietra della Mola, Masseria Fontanelle, Tempa Cortaglia, loc.
Caruso, Tempa dei Casaleni, Tempa del Monte, Tempa S. Angelo, Pantaleno, Platola.
Si tratta di centri tra loro vicini, testimoniati dalla presenza di strutture murarie, quali edifici a
destinazione abitativa e cultuale, di cinte difensive e sepolture riconducibili nel loro insieme ad un
arco temporale piuttosto ampio compreso tra l’Eneolitico e il IV-III sec. a.C. il centro fortificato di
Croccia Cognato (sito3) ubicato sulla cima del Monte Croccia (1049 m s.l.m. ) a dominio di uno
dei rilievi della dorsale che fa da spartiacque tra i fiumi Basento, Sauro e Salandrella, costituisce al
momento uno dei siti archeologicamente meglio documentati intorno all’areale del Parco
Regionale di Gallipoli Cognato. L’interesse documentario nei confronti del sito di Monte Croccia,
distribuito su uno spazio di poco più di 60 ha (di cui 19 riservati all’acropoli) è noto sin dalla
seconda metà del 1800.
Pietrapertosa
Gli unici dati archeologici al momento editi su Pietrapertosa in età storica, rimandano alla
presenza di un centro fortificato ubicato sull’altura detta Rupe San Rocco (sito 26). Anche questo
sito è assimilabile per tipologia e cronologia agli altri di età greca sin qui segnalati proponendosi
infatti, come un centro difeso da una doppia cinta muraria datata al IV sec.a.C., in opera
poligonale e costituita da blocchi di pietra calcarea di forma e dimensioni irregolari messa in
opera con l’aiuto di numerosi rincalzi e tasselli lapidei.
Castelmezzano
La maggior parte delle notizie di tipo archeologico relative al territorio di Castelmezzano
rimandano quasi esclusivamente alla presenza di sepolture che abbracciano un arco cronologico
piuttosto ampio compreso tra l’età arcaica e quella romana. Le prime attestazioni riferiscono di
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rinvenimenti in ambito urbano nei pressi dell’attuale cimitero con tombe solo genericamente
datate ad età arcaica(sito 29); a queste si aggiungono la necropoli di VII sec. a. C in località Aia
Orlando (sito 30), quella di età preromana in contrada Annunziata (sito 31) e, di età romana
rinvenuta in contrada Chiascia Maro(sito 32).
VIABILITA’ ANTICA
In un lavoro dedicato allo studio del tessuto viario antico in Basilicata realizzato alla fine degli
anni’70 del secolo scorso da R. J. Buch, si possono riconoscere alcune arterie di collegamento
tra l’area oggetto di questa relazione e l’entroterra lucano.
Al proposito Buch segnala una strada che si origina dall’insediamento di Civita di Tricarico e che
all’altezza di Serra del Cedro si dirama in varie direzioni raggiungendo importanti siti di età coeva
(IV sec. a .C.), la zona delle Dolomiti Lucane e il sito fortificato di Monte Croccia in particolare.
Percorsi di età antica indicati da Bhuck nel SE della Lucania
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Estratto della carta dei siti di interesse archeologico
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4. Tipologia delle opere in progetto
Come già accennato, il presente progetto prevede la realizzazione di un impianto mini
idroelettrico della tipologia così detta “a salto concentrato”, ossia sfruttando una briglia già
esistente sul Fiume Basento. Tale tipologia di impianti è considerata universalmente quella a
minore impatto tra gli impianti idroelettrici, in quanto non comporta sottensione dell’alveo e
quindi annulla l’impatto principale che gli impianti idroelettrici solitamente comportano
sull’ecosistema, in particolare la riduzione delle portate defluenti in alveo per tratti più o meno
lunghi del corso d’acqua.
Il progetto proposto prevede una miglioria rispetto allo stato di fatto: la costruzione di una scala di
risalita per l’ittiofauna. In condizioni attuali infatti le specie ittiche presenti nel corso d’acqua non
riescono a risalire il salto generato dalla briglia, comportando di fatto un frazionamento della
popolazione ittica in comunità separate, con conseguente impoverimento delle stesse. La scala di
risalita di progetto è dimensionata invece in modo da garantire il passaggio a tutte le specie
presenti.
4.1 Paratoia gonfiabile e scale di risalita per l’ittiofauna
La briglia esistente interessata dal progetto presenta dimensioni imponenti, con spessore che
varia da 1,5 m sulle spalle ammorsate alle sponde a 1 m nella parte centrale della gaveta di
magra. Il progetto prevede la il ripristino della soglia della gaveta centrale nello stato attuale
parzialmente divelta, con collocazione di una paratoia mobile gonfiabile nei 9 metri di larghezza
della stessa. La collocazione della paratoia all’interno della gaveta consente di aumentare il salto
utile sfruttabile al livello della gaveta di piena ordinaria (80 cm più alta). La funzionalità della
gaveta bassa non viene però compromessa in quanto la paratoia si sgonfia automaticamente al
superamento di un determinato livello. Il livello proposto per lo sgonfiamento totale della paratoia
è la piena annuale, corrispondente a 100 mc/s di portata.
Sezione della briglia, stato attuale
Parte della gaveta più bassa viene rimossa e riprofilata, nella figura sottostante si indica in rosso
tratteggiato l’intervento di riprofilatura:
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Indicazione dell’intervento di riprofilatura
Una volta ottenuto il nuovo profilo della briglia, si procede a realizzare la platea in calcestruzzo su
cui ancorare la paratoia, al fianco della quale viene posta la scala di risalita, nella figura seguente
si riporta in rosso l’area occupata dalla paratoia gonfiabile in stato di esercizio.
Area occupata dalla paratoia gonfiabile
Come anticipato, la paratoia è dotata di un sistema meccanico regolabile, che ne provoca lo
sgonfiamento automatico al superamento di un determinato livello di portata anche in caso di
interruzione di corrente. La sezione di deflusso in caso di sgonfiamento della paratoia è
equivalente a quella attuale.
Indicazione dell’intervento di riprofilatura
In destra idrografica, a valle della briglia di presa, sono previsti i manufatti di risalita dedicati
all’ittiofauna:
- una scala del tipo a bacini successivi per rovelle, barbi, cavedani, scardole, tinche, carpe
ed eventuali altre specie non censite nella carta ittica
- una scala in acciaio con setole di plastica per le anguille
La scala è formata da una serie di otto bacini collegati, che nell’arco di 6 metri di sviluppo
permettono di superare il dislivello della briglia. Una nona vasca è collocata a monte della briglia,
ed è collegata alle vasche sottostanti tramite la luce di rilascio del DMV. La luce è collocata 11 cm
al di sotto del livello del pelo libero a monte della briglia, e misura 1,7 m per 0,3 m.
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Le vasche sono collegate tra di loro tramite una luce e uno stramazzo. Queste presentano
larghezza di 1,15 m e profondità di 80 cm, con un dislivello di 30 cm l’una dall’altra.
La scala così dimensionata rispetta le linee guida standard per la realizzazione di scale di risalita
in relazione alle esigenze specifiche delle specie presenti nel tratto in esame.
Sezione scala di risalita
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4.2 Cabina Enel e cavidotto aereo MT
Così come riportato nel preventivo di connessione di Enel Distribuzione S.p.a. [TICA (T0561848)],
l’impianto idroelettrico verrà collegato alla rete elettrica tramite nuovo cavidotto di lunghezza pari
a circa 400 metri, da realizzare in derivazione da linea in MT esistente. Verrà inoltre installata una
nuova cabina di trasformazione MT/BT (DG 2061 Ed.7) ed un dispositivo di sezionamento su palo.
Si riporta di seguito l’estratto della Tavola 1, in cui si indica il percorso del nuovo tracciato deciso
di concerto con Enel.
Estratto tavola 1B – in arancione tratteggiato il tracciato della linea elettrica aerea
La cabina elettrica prevista verrà posizionata nel punto più idoneo già concordato con l’ente
distributore in fase di sopralluogo.
La cabina risulta costituita da un unico locale tecnico ad uso esclusivo dell’Ente Distributore,
suddiviso in due parti una dedicata esclusivamente all’alloggiamento del misuratore e l’altro
contenente le apparecchiature di protezione e comando MT. I locali risultano realizzati
conformemente a quanto previsto nella CEI 0-16 ultima edizione, alla guida per le connessioni alla
rete elettrica di Enel Distribuzione ultima edizione, nonché conformemente alle prescrizioni Enel
Distribuzione ultima revisione.
I componenti elettromeccanici verranno interamente assemblati in stabilimento assieme alle
strutture secondo la norma CEI EN 62271-202. Nel box Enel completo di vasca di fondazione, che
misura m 6,90 x 2,50 x h 2,65, saranno installati gli scomparti secondo specifiche Enel.
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Valutazione di incidenza
5. Documentazione fotografica
Indicazione della visibilità e dei punti di ripresa fotografica
Foto1
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Foto 2
Foto 3
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Foto 4
Foto 5
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Foto 6
Foto 7
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6. Incidenza del progetto
6.1 Incidenza legata alla fase di cantiere
In fase di cantiere è necessario valutare la potenziale incidenza sulle aree di conservazione
coinvolte dall’intervento.
Nel caso in esame, vista la generale accessibilità delle opere, non saranno necessarie aperture di
nuove piste di cantiere, nonché l’ampliamento di quelle esistenti.
E’ infatti presente un’ampia strada sterrata di accesso, dalla quale risulta possibile accedere con
tutti i mezzi necessari alla realizzazione dell’opera.
Percorso dallo svincolo di campomaggiore
La cantieristica ha impatto sulle biocenosi acquatiche per quanto riguarda le operazioni in alveo.
Durante le operazioni di movimentazione in alveo e deviazione temporanea della corrente sarà
scavato un “solco” (o savanella) profondo almeno 50 cm con andamento planimetrico identico a
quello del corso d’acqua, in modo da assicurare il completo convogliamento della portata di
magra ed evitare così fenomeni di prosciugamento; sulla stessa linea “planimetrica” potranno
essere posizionati massi ciclopici in grado di fornire rifugio agli animali.
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Realizzazione di savanella di magra durante operazioni in alveo
E’ previsto un monitoraggio naturalistico durante le fasi di cantiere atto a garantire che la
salvaguardia delle biocenosi tipiche sia in linea con le prescrizioni indicate, nonché verificare la
corretta attuazione delle stesse da parte della direzione lavori.
Il disturbo alla fauna ittica durante le operazioni in alveo è riconducibile alla cattura e al
ricollocamento a valle della zona dei lavori e al locale intorbidamento delle acque dovuto alle
operazioni in alveo.
Lo svolgimento delle operazioni previste nel progetto possono causare un disturbo alla fauna
terrestre inducendola ad allontanarsi, almeno nel periodo coincidente con la durata dei lavori.
L’interferenza può risultare maggiore durante il periodo riproduttivo ma data la natura del cantiere
e viste le caratteristiche della zona interferita non si ritiene necessaria l’interruzione dei lavori
durante il periodo riproduttivo.
Il solo impatto prevedibile durante la costruzione delle opere in alveo, con potenziali ripercussioni
sulla fauna acquatica, è l’intorbidamento delle acque causato dalla presenza dei mezzi meccanici.
La realizzazione della savanella di magra permette di minimizzare questo rischio, garantendo che
le portate di magra rimangano indisturbate.
Le caratteristiche dell’alveo garantiscono comunque il ristabilirsi delle condizioni iniziali a breve
distanza dal sito del cantiere. Sarà in ogni caso necessario mettere in atto tutte le misure possibili
per ridurre gli sconvolgimenti a carico dell’alveo.
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Valutazione di incidenza
Quanto sopra, unitamente alle ridotte dimensioni delle opere da realizzare ed alla brevità prevista
degli interventi, consentono di prevedere un impatto di media intensità, ma breve e totalmente
reversibile a carico sia degli invertebrati che dei vertebrati presenti.
Nella fase di costruzione delle opere in progetto e delle relative infrastrutture di servizio, come per
qualsiasi cantiere in area seminaturale, si può avere una temporanea interferenza con i corridoi
ecologici utilizzati da alcune specie animali, causando in particolare l’intercettazione dei corridoi
preferenziali stagionali e giornalieri di spostamento e l’alterazione temporanea dei modelli
comportamentali. Non si rileva comunque un interferenza irreversibile né di impatto rilevante.
L’impatto della fase di cantiere sulla componente flora si concretizza nella necessità del taglio di
alcuni alberi ricadenti nella fascia ripariale e nella boscaglia perifluviale.
Estratto della carta forestale con indicazione delle aree interessate dai tagli
Da un’analisi dei tipi vegetazionali presenti si evince una distribuzione a mosaico, in cui sono
presenti principalmente coltivi di origine antropica, Boschi di querce mesofile o mesotermofile e
formazioni igrofile ripariali. Le aree interessate dal cantiere risultano poste nei lembi marginali tra
formazioni naturali(fasce perifluviali) e quelle di origine antropica (coltivi, strade). L’accesso a tutte
le aree di realizzazione dell’impianto è possibile tramite viabilità esistente, pertanto in queste aree
non si prevede alcun impatto sulla componente flora.
L’area interessata dalla realizzazione dell’allacciamento alla rete risulta caratterizzata da coltivi di
origine antropica, pertanto non sarà necessaria il taglio di vegetazione arborea.
Non molto diffusa, se non in alcune aree perifluviali, la proliferazione di specie avventizie ed
infestanti soprattutto (rovi e arbusti).
Dal punto di vista del valore naturalistico delle specie non si è rilevata la presenza di particolari
elementi di importanza a livello di rarità, endemicità, relittualità. In particolare non si sono
rinvenute specie elencate nell’Allegato II della Dir. 92/43/CEE. Considerata comunque la macchia
presente si prevede che in un lasso di tempo relativamente breve (1-2 anni) la naturale
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espansione della vegetazione possa andare a ricoprire tutte le aree interessate dai movimenti
terra.
Il progetto Corine Land Cover (CLC) è nato a livello europeo specificamente per il rilevamento e il
monitoraggio delle caratteristiche di copertura e uso del territorio, con particolare attenzione alle
esigenze di tutela ambientale.Con questo progetto si è inteso realizzare un mosaico Europeo
all’anno 2006 basato su immagini satellitari SPOT-4 HRVIR, SPOT 5 HRG e/o IRS P6 LISS III, ed è
stata derivata dalle stesse la cartografia digitale di uso/copertura del suolo all’anno 2006 e quella
dei relativi cambiamenti.
Dalla cartografia degli Habitat e Valutazioni a livello regionale 1:50.000 si conferma quanto rilevato
dalla carta forestale regionale, in cui si evidenzia che l’area di intervento risulta al confine tra
un’area con presenza di formazioni di origine antropica (vigneti), ed un’area con presenza di
formazioni igrofile ripariali, nello specifico pioppeti ripari.
Corine land cover
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Gli interventi che interessano la vegetazione riparia, che costituisce maggior pregio rispetto ai
coltivi di origine antropica, risultano alquanto circoscritti, complessivamente ricadenti nella
sponda destra, per uno sviluppo di circa 20/25 m in lunghezza, per 3/5 di larghezza.
La fascia riparia in sponda destra risulta inoltre “compressa” tra l’alveo e la strada sterrata
parallela al Fiume, con la presenza delle arginature in gabbioni. Siamo quindi di fronte ad una
formazione con potenzialità ridotte, in quanto già confinata nella sola area colonizzabile che
risulta alquanto ristretta.
Vegetazione riparia in sponda destra
Con riferimento agli endemismi di pregio presenti all’interno del Parco, le lavorazioni in alveo non
costituiscono interferenza rilevante, se attuate con i suesposti accorgimenti, in quanto la
continuità fluviale viene mantenuta in fase di cantiere.
Trovandosi in presenza di pregi faunistici che frequentano gli ambienti fluviali principalmente per
la fase trofica (avifauna ittiofaga, lontra), risulta importante mantenere la suddetta funzione,
garantendo la continuità fluviale ed evitando la banalizzazione degli habitat acquatici, così da
garantire la presenza di ittiofauna disponibile alla predazione.
Inoltre l’opera in progetto prevede lavorazioni particolarmente circoscritte, sia relativamente alla
fase di lavorazione in alveo, che interesserà un’area di qualche decina di metri quadrati del corso
d’acqua, sia per le lavorazioni tradizionali, che consisteranno nella realizzazione dei vani tecnici,
che interesseranno aree complessivamente inferiori ai 100 mq.
Si può quindi escludere che le opere in progetto in fase di cantiere possano comportare
interferenze con i principi di conservazione dell’area protetta.
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6.2. Incidenza legata alla fase di esercizio
La realizzazione di un impianto idroelettrico comporta come impatto principale la sottrazione della
risorsa idrica dal corso d’acqua.
Trattandosi di impianto a salto concentrato, nel caso in esame l’impatto generato dalla sottrazione
della risorsa idrica è da ritenersi nullo, in quanto la portata prelevata a monte della traversa viene
restituita subito a valle della stessa, senza di fatto comportare alcuna alterazione al naturale
deflusso della corrente.
Pertanto tutti gli aspetti fondamentali da trattare in relazione ai potenziali impatti legati alla
componente acqua (deflusso minimo vitale e mantenimento della qualità) risultano superflui, in
quanto non c’è alcun rischio di impoverimento del corso d’acqua sia dal punto di vista qualitativo
che quantitativo.
In fase di esercizio invece si avrà un miglioramento rilevante sulla componente ecologica del
corso d’acqua, in quanto la realizzazione della scala di risalita comporta un miglioramento
rilevante a tutto il comparto ambientale, andando a ricostituire la continuità fluviale di un tratto
rilevante di corso d’acqua (circa 2 km complessivi).
Tratto interessato dal ripristino della continuità fluviale
La possibilità della risalita delle specie ittiche comporta il miglioramento genetico delle
popolazioni che attualmente risultano isolate, con conseguente aumento dell’abbondanza e della
strutturazione della fauna ittica.
Al fine di garantire la funzionalità della scala, si fa riferimento alle specie che vi devono transitare,
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per renderla compatibile con le velocità di scatto delle stesse. Una volta conosciuta questa, si può
procedere a definire la lunghezza della scala, la pendenza, la dimensione delle vasche e degli
sfioratori.
Tutte le specie censite nella stazione di campionamento della carta ittica possono transitare su
una scala a bacini, fatta eccezione per l’anguilla, che necessita di un manufatto dedicato.
Entrambe le scale, di lunghezza di 8.6 metri, sono collocate in sponda destra.
Rappresentazione delle opere di derivazione e collocazione scale di risalita
La scala per le anguille consiste in uno scivolo in acciaio dotato di setole in plastica e substrati
irregolari sul fondo (o ghiaia) che agevolano la risalita. Lo scivolo è lungo 6 metri e largo 35 cm e
richiede un’irrorazione minima (< 1 l/s) per essere funzionale.
Dettaglio di anguilla che completa la risalita di una scala
La scala tradizionale a bacini, dedicata alla restante ittiofauna, ha una lunghezza complessiva di
8.6 metri e una larghezza di 1,7 metri. È divisa in 8 vasche comunicanti tramite stramazzi posti
all’altezza di 60 cm dal fondo e collocati alternatamente a destra e a sinistra delle vasche stesse.
La larghezza interna delle vasche è di 1,6 metri.
Il dimensionamento della scala a bacini invece parta dalla verifica delle velocità di scatto delle
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specie transitanti. Le velocità di scatto sono direttamente proporzionali alla velocità di contrazione
dei muscoli anaerobici ed alla lunghezza dell’individuo.
Una pubblicazione della Provincia di Modena (Progettazione di passaggi artificiali per la risalita
dei pesci nei fiumi), finalizzata appunto al dimensionamento delle scale di risalita, mette in
evidenza il rapporto tra velocità di scatto e lunghezza, valida per range di temperatura da 2° C a
25° C:
Dal grafico soprastante, per una temperatura di 15° la velocità di scatto di esemplari di 10 cm
risulta di circa 1,75 m/s, soglia che quindi fissiamo come massima per il dimensionamento della
scala.
Le velocità da calcolare per il dimensionamento della scala sono tre:
La velocità di ingresso della portata nella scala tramite lo stramazzo collocato in cima alla
briglia
La velocità degli stramazzi tra le vasche della scala
La velocità del flusso nelle vasche
La prima e la terza devono essere coerenti con le velocità di scatto, per consentire ai pesci di
passare da una vasca all’altra e di saltare attraverso lo stramazzo finale completando la risalita
della briglia. La seconda invece deve essere inferiore a 0,2 m/s, velocità che consente ai pesci di
riposare e prendere slancio per lo scatto necessario al salto successivo.
Lo stramazzo sulla briglia, largo 1,6 metri, viene collocato 11 cm al di sotto del pelo libero,
garantendo quindi un tirante minimo di 15 cm. La formula degli stramazzi in parete grossa è:
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dove rappresenta la formula della velocità torricelliana e la sezione di deflusso
contratta sullo stramazzo in parete grossa. In questo caso quindi avremo una velocità di deflusso
dallo stramazzo pari a 1,47 m/s, sul grafico precedente compatibile, a una temperatura di 10° con
esemplari di 10 cm.
All’interno della singola vasca, la velocità è data dalla semplice formula:
Essendo la velocità inversamente proporzionale alla sezione, consideriamo la sezione minima
come la più conservativa e trascuriamo quindi la vena stramazzante. La sezione minima sarà pari
alla larghezza interna per l’altezza degli stramazzi posti tra una vasca e l’altra, quindi 1,6 * 0,6 =
0,96 mq. In questa sezione, la velocità in corrispondenza di una portata di 100 l/s è pari a 0,1/0,96
= 0,1 m/s.
L’effetto migliorativo sull’ittiofauna va a ripercuotersi positivamente su tutto il comparto
faunistico presente nell’area, con particolare riferimento alle specie di pregio meritevoli di
maggior tutela (es. lontra e cigno nero), per le quali la fauna ittica risulta il l’anello cardine
della catena trofica.
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7. Conclusioni
Sulla base di quanto esposto si conclude quanto segue:
1. Le opere in progetto comportano impatti ridotti legati alla cantieristica, dati dalla piccola
dimensione delle opere e dalla presenza di vie d’accesso, per i quali non si rilevano
elementi di rischio in relazione ai principi di conservazione delle aree protette se attuati
adottando le comuni buone norme per la gestione dei cantieri in aree naturali.
2. Le opere in progetto non comportano alcun impatto in fase di esercizio, in quanto non
avviene alcuna alterazione o impoverimento della risorsa naturale acqua sfruttata per la
produzione di energia.
Inoltre la scala di risalita costituisce un significativo miglioramento sotto il profilo
ambientale, con particolare riferimento anche alla fauna di pregio presente nell’area
protetta.