Impegno: tra lo scontro e l'incontro

3
Dr. Antonio Coco psicologo email: [email protected] mob: +39 3462394173 Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia Iscrizione num. 2916 del 28/04/2009 Partita IVA: 06982370725 Codice Fiscale: CCONTN82T03A662W Impegno: tra lo scontro e l'incontro Le tre parole che danno il titolo al mio intervento, tenuto durante il seminario autunnale del 2011, racchiudono con estrema semplicità tutte le affascinanti sfide del lavoro con i migranti. Sfide, certo; come definire altrimenti un lavoro che è allo stesso tempo scontro ed incontro? Mi piacerebbe parlare dello scontro, prima di tutto. Se si adotta il termine "cultura" per designare una dimensione collettiva in cui convergono lingue, religioni, miti, ma anche oggetti, artefatti, strategie di sopravvivenza e modi di produzione propri di un determinato gruppo in una determinata fase della sua storia ed in relazione con uno specifico ambiente; si comprende come necessariamente da luoghi diversi originano "culture" diverse, visione del/sul mondo diverse. Ognuna ha dunque una sua dignità ad esistere, riprodursi e perchè no, modificarsi. Fino a qui tutto bene, tutto chiaro, ma che succede quando la modernità permette spostamenti (fisici o virtuali che siano) per enormi spazi in rapidi tempi? Attenendosi all'idea di "cultura" come descritta sopra, non è pensabile che si possa verificare il paradosso di essere nel medesimo luogo con due culture diverse o che due culture diverse possano coesistere nel medesimo luogo. Come se due imbarcazioni navigassero verso la medesima boa, e allora lo scontro diventerebbe inevitabile! La parola scontro, quando si parla di immigrazione o più in generale di comportamenti umani, evoca immediatamente scenari di conflitti, guerre, violenze, prevaricazioni e chi più ne ha più ne metta. Sono immagini che, sicuramente, allo psicologo clinico che lavora con lo straniero non appaiono affatto come estranee o aliene; il più delle volte sono immagini che rappresentano il pane quotidiano della prima accoglienza psicologica. Non si vuole quindi, con questo scritto, sminuire le criticità e le difficoltà insite nel concetto di scontro; si vuole invece recuperare il potere strutturante del conflitto. Si pensi ad un esempio: alcuni studi sulle vittime di tortura ci descrivono come il seviziato diventi pian piano una massa informe di umanità, desiderosa di riversarsi nella prima forma possibile che possa contenerla e ridarle forma...molto spesso è il boia! Ecco che l'aggressore viene interiorizzato, vittima e carnefice allo stesso tempo. Il lavoro terapeutico non potrà a questo punto prescindere dal dare valore alla "sana collera" del paziente che prefigura

description

Intervento al seminario autunnale dell'associazione YWCA - UCDG. Appunti di lavoro di uno psicologo in servizio presso centri di accoglienza per richiedenti Asilo Politico

Transcript of Impegno: tra lo scontro e l'incontro

Page 1: Impegno: tra lo scontro e l'incontro

Dr. Antonio Coco psicologo

email: [email protected]

mob: +39 3462394173

Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia

Iscrizione num. 2916 del 28/04/2009

Partita IVA: 06982370725

Codice Fiscale: CCONTN82T03A662W

Impegno: tra lo scontro e l'incontro

Le tre parole che danno il titolo al mio intervento, tenuto durante il seminario autunnale del

2011, racchiudono con estrema semplicità tutte le affascinanti sfide del lavoro con i

migranti. Sfide, certo; come definire altrimenti un lavoro che è allo stesso tempo scontro

ed incontro?

Mi piacerebbe parlare dello scontro, prima di tutto.

Se si adotta il termine "cultura" per designare una dimensione collettiva in cui convergono

lingue, religioni, miti, ma anche oggetti, artefatti, strategie di sopravvivenza e modi di

produzione propri di un determinato gruppo in una determinata fase della sua storia ed in

relazione con uno specifico ambiente; si comprende come necessariamente da luoghi

diversi originano "culture" diverse, visione del/sul mondo diverse. Ognuna ha dunque una

sua dignità ad esistere, riprodursi e perchè no, modificarsi. Fino a qui tutto bene, tutto

chiaro, ma che succede quando la modernità permette spostamenti (fisici o virtuali che

siano) per enormi spazi in rapidi tempi? Attenendosi all'idea di "cultura" come descritta

sopra, non è pensabile che si possa verificare il paradosso di essere nel medesimo luogo

con due culture diverse o che due culture diverse possano coesistere nel medesimo

luogo. Come se due imbarcazioni navigassero verso la medesima boa, e allora lo scontro

diventerebbe inevitabile!

La parola scontro, quando si parla di immigrazione o più in generale di comportamenti

umani, evoca immediatamente scenari di conflitti, guerre, violenze, prevaricazioni e chi più

ne ha più ne metta. Sono immagini che, sicuramente, allo psicologo clinico che lavora con

lo straniero non appaiono affatto come estranee o aliene; il più delle volte sono immagini

che rappresentano il pane quotidiano della prima accoglienza psicologica. Non si vuole

quindi, con questo scritto, sminuire le criticità e le difficoltà insite nel concetto di scontro; si

vuole invece recuperare il potere strutturante del conflitto. Si pensi ad un esempio: alcuni

studi sulle vittime di tortura ci descrivono come il seviziato diventi pian piano una massa

informe di umanità, desiderosa di riversarsi nella prima forma possibile che possa

contenerla e ridarle forma...molto spesso è il boia! Ecco che l'aggressore viene

interiorizzato, vittima e carnefice allo stesso tempo. Il lavoro terapeutico non potrà a

questo punto prescindere dal dare valore alla "sana collera" del paziente che prefigura

Page 2: Impegno: tra lo scontro e l'incontro

Dr. Antonio Coco psicologo

email: [email protected]

mob: +39 3462394173

Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia

Iscrizione num. 2916 del 28/04/2009

Partita IVA: 06982370725

Codice Fiscale: CCONTN82T03A662W

l'espulsione dell'alterità negativa; solo così il conflitto potrà diventare strutturante e ridare

vitalità, autenticità, nuova linfa vitale.

Nel caso di torture e violenze si naviga certamente in acque profonde e perigliose, ma

anche in condizioni di mare sereno le cose non sono poi tanto diverse. Nella relazione con

lo straniero, di qualsiasi tipo di relazione si tratti, quello che non è definibile spaventa e la

non-definizione crea odio; è probabilmente l'angoscia ancestrale più profonda quella di

non sentire di avere una forma, non poter essere definibili. La difficoltà nel "modellizzare"

l'altro significa essere messi faccia a faccia con la difficoltà a modellizzare sè stessi, a

definire sè stessi. Lo scontro con l'alterità è in questo senso scontro con sè stessi,

rappresenta lo scontro di una società chiamata a sforzarsi a non aver bisogno di "definire".

Tornando all'immagine citata prima, e cioè alle due imbarcazioni proiettate verso la

medesima boa, si può immaginare una narrazione di questo tipo: due società, due culture

che non hanno bisogno di definirsi, che riescono a pensarsi continuamente in maniera

creativa sono due imbarcazioni capaci di smontarsi e rimontarsi continuamente durante la

navigazione. Sono imbarcazioni abili sempre, metro dopo metro, a restare a galla

cambiando la disposizione dei propri pezzi e capaci entrambe d'immaginare che alla boa

dovranno integrarsi in una nuova forma, in una nuova barca, capace essa stessa di

rimanere ancora a galla e tenere ancora il mare. E nessun pezzo è superfluo, e nessuna

storia o nessun vissuto possono essere messi da parte. Sono due imbarcazioni che hanno

comunicato e immaginato insieme il futuro. Sono due imbarcazioni capaci di tradurre (dal

latino trans-ducere, "far passare da un luogo all'altro").

Ma cosa succede arrivati alla boa?

L'incontro ha generato una nuova imbarcazione: essa è più grande, più complessa, ha

una forma che ricorda le due precedenti ma che non è uguale a nessuna di quelle.

Non può esistere infatti il paradosso di essere nel medesimo luogo con due culture

diverse: nello stesso istante in cui si intuisce l'esistenza dello straniero, del migrante o

dell'altro più in generale la propria visione del/sul mondo cambia, i pezzi cambiano

disposizione, l'energia scorre e si è un passetto più avanti all'incontro con l'altro, a

completarsi. Alla boa, nel luogo d'incontro la cultura sarà più grande, più complessa e

pronta per navigare verso un nuovo orizzonte.

Nel lavoro con il migrante non si è sempre disarmati o senza attrezzi e lo scontro non è

mai solo distruzione inesorabile: i mediatori culturali possono operare in maniera

incantevole traducendo (o meglio trans-ducendo per ricollegarsi all'etimologia illustrata

Page 3: Impegno: tra lo scontro e l'incontro

Dr. Antonio Coco psicologo

email: [email protected]

mob: +39 3462394173

Iscritto all’Ordine degli Psicologi della Regione Puglia

Iscrizione num. 2916 del 28/04/2009

Partita IVA: 06982370725

Codice Fiscale: CCONTN82T03A662W

prima), l'etnopsicoterapia contemporanea permette orizzonti di terapie non più unicamente

occidentalocentriche (e qui si aprirebbe una questione grande che riguarda l'assoluta

inutilità, a parer mio, dei manuali diagnostici nell'incontro psicologico con persone

provenienti da altri contesti), l'antropologia fornisce mirabili esempi di come possano

essere discutibili e fuorvianti categorie come giusto/sbagliato - normale/anormale etc. etc.

Non si deve dimenticare, inoltre, come gli esseri umani posseggano ancestrali e

funzionalissimi dispositivi di socializzazione tarabili continuamente ed automaticamente: si

pensi ad uno splendido, caloroso e sincero sorriso!

Scontro ed incontro, quindi, rappresentano due facce della stessa medaglia, esattamente

come smontare e ricreare continuamente utilizzando la stessa argilla. L'immagine artigiana

e creativa che questo scenario comporta, evoca nitidamente la dimensione dell'"impegno"

pensabile come: introspezione, fiducia in se stessi e nell'altro, fiducia nel cambiamento,

sguardo verso il futuro, critica, creatività, fine ma insieme rinascita, dolore ma insieme

bellezza...

Insomma...vita!