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BIBLIOTECA DELLA SOCIETÀ STORICA VERCELLESE

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SOCIETÀ STORICA VERCELLESE

VERCELLI

NEL SECOLO XIV

ATTI DEL QUINTO CONGRESSO STORICO VERCELLESE

VERCELLI, AULA MAGNA DELL’UNIVERSITÀ A. AVOGADRO,BASILICA DI S. ANDREA

28 - 29 - 30 NOVEMBRE 2008

A CURA DI

ALESSANDRO BARBERO E RINALDO COMBA

VERCELLI

2010

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SOCIETÀ STORICA VERCELLESEvia Fratelli Garrone, 20 - 13100 Vercelli - Tel. 0161.254269

[email protected]://www.retor.it

COMITATO SCIENTIFICO:

Dr. Rosaldo Ordano, prof. Alessandro Barbero, prof. Rinaldo Comba, prof. Grado A. Merlo, prof. Aldo A. Settia,

prof. Maria Antonietta Casagrande, prof. Claudio Rosso.

IMPAGINAZIONE E STAMPA:

tipografia edizioni SAVIOLO - Vercellitel. 0161.391000 - fax 0161.271256

www.savioloedizioni.it

Proprietà letteraria riservata2010

ISBN 978-88-96949-00-9

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PREFAZIONE

Questo congresso è stato realizzato in collaborazione con laFondazione Cassa di Risparmio di Vercelli, cui va il ringraziamentodella Società Storica Vercellese. Mi piace poi ricordare che proprio ilpresidente della Fondazione, avv. Dario Casalini, ne è stato l’entusiastapropugnatore.

Un ringraziamento particolare è poi dovuto ai professori RinaldoComba e Alessandro Barbero – ambedue soci della nostra SocietàStorica - il cui contributo scientifico ed organizzativo è stato assoluta-mente decisivo per rendere possibile questo evento.

Siamo così giunti al quinto congresso storico vercellese. Ricordo cheil primo Congresso fu indetto nel lontano 1982 con il tema “Vercelli nelsec. XIII”, il secolo più glorioso della storia di Vercelli; seguì nel 1992il secondo congresso su “L’Università di Vercelli nel Medioevo”, unadelle massime glorie del comune di Vercelli; il terzo congresso avvenu-to nel 1997 fu dedicato all’“Abbazia di Lucedio”, il quarto, celebrato nel2002, ebbe come tema “Vercelli nel secolo XII”, secolo che vide ilnascere e il consolidarsi del comune di Vercelli.

Questo quinto congresso è stato dedicato a “Vercelli nel sec. XIV”.Perché?

Fondamentalmente perché la storia di Vercelli di questo secolo nonfu mai studiata in modo adeguato. Se avessimo dovuto compilare unabibliografia della storia vercellese del secolo XIV non saremmo riuscitia mettere insieme neppure una diecina di titoli validi. Eppure questosecolo è stato un secolo decisivo. Un secolo, diciamolo subito, che nonfu dei migliori, anzi è quello che segna negativamente la sorte diVercelli, cambiando in modo radicale la storia della città. Per Vercelli,infatti, nel sec. XIV cessa la gloriosa età comunale e cessa per sempre.La città, incapace di darsi uno stabile ordine interno, nel 1335 entra nellasignoria viscontea donandosi ad Azzone Visconti, donec vixerit. Unaformula illusoria. Nel 1339 muore Azzone e Vercelli passa sotto quelladi Luchino e dell’arcivescovo Giovanni. Dopo la morte di Luchino(1349) il Consiglio generale di Milano affermò l’ereditarietà della signo-ria viscontea; poi con Gian Galeazzo (1395) la signoria viscontea si tra-sformò in un ducato. Il destino di Vercelli era segnato in mododefinitivo.

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Sotto la signoria viscontea Vercelli fu amministrata abbastanza bene.Il comune come apparato amministrativo e fiscale non subì grandi cam-biamenti. Nel Medioevo si rifuggiva dalle novità formali, non certo daquelle sostanziali. La sostanza era infatti radicalmente cambiata:Vercelli divenne una proprietà dei Visconti, un bell’oggetto di cui pote-vano liberamente disporre; così nel 1427 la donarono ai Savoia comeregalo di nozze. Gli ignari vercellesi si accorsero di aver cambiatopadrone quando videro arrivare in città le truppe sabaude. Seguirono perVercelli i tempi peggiori di tutta la sua storia.

Il sec. XIV ha quindi avuto un’importanza decisiva nella storia diVercelli e meritava di essere studiato, così com’è stato fatto in questoquinto congresso.

Rosaldo Ordano

Presidente della Società Storica Vercellese

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RINALDO COMBA

Università degli Studi di Milano_________

A PARTIRE DA VERCELLI NEL SECOLO XIV:UN CONVEGNO E UN PROGETTO DI RICERCA

SULLA DOMINAZIONE VISCONTEA IN PIEMONTE

1. Dal comune alla signoria: una nuova attenzione per un tema storicodimenticato?

Benché alcuni lavori recenti evidenzino tracce sicure di un rinnova-to interesse storiografico per il Trecento nel suo complesso1 e in parti-colare – con riferimento alla prima metà del secolo – per il grande temache tradizionalmente viene definito il passaggio dal libero comune allasignoria2, non sembra che la medievistica italiana abbia riavviato unariflessione sistematica su questi temi a lungo sostanzialmente dimenti-cati. Le importanti messe a punto realizzate fra gli anni Sessanta eSettanta del XX secolo ancora paiono, in effetti, soddisfare a tutt’oggile esigenze di molti studiosi3. In particolare, la celebre panoramica che

1 Il rinnovato interesse per il secolo e per molti dei temi presi in considerazione inquesto quinto Congresso Storico Vercellese è evidenziato, per esempio, da una mostra eda un convegno realizzati nella regione Friuli-Venezia Giulia. Cfr. Medioevo a Trieste:istituzioni, arte, società nel Trecento, Catalogo della mostra presso il Civico Museo delCastello di San Giusto a Trieste (30 luglio 2008 – 25 gennaio 2009), a cura di P.CAMMAROSANO e M. MESSINA, Milano, Silvana Editoriale, 2008; Gemona nella Patriadel Friuli: una società cittadina nel Trecento, Atti del Convegno di studio, 5-6 dicem-bre 2008, a cura di P. CAMMAROSANO, Trieste 2009.

2 Senza pretese di esaustività, fra le opere più recenti mi restringo a citare: G.CICCAGLIONI, Dal comune alla signoria? Lo spazio politico di Pisa nella prima metà delXIV secolo, in “Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio evo”, 109 (2007), pp.235-269; R. RAO, Il sistema politico pavese durante la signoria dei Beccaria (1315-1356): “élite” e pluralismo, in “Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen Age”,119 (2007), pp. 151-187; Storia di Cremona: Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIVsecolo), a cura di G. ANDENNA e G. CHITTOLINI, Cremona 2007.

3 Cfr. P. GRILLO, Un dominio multiforme. I comuni dell’Italia nord-occidentale sog-getti a Carlo d’Angiò, in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382), a cura diR. COMBA, Milano 2006, pp. 31-101 (a p. 31).

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Rinaldo Comba

Ernesto Sestan propose in una lezione romana del 1961 è stata giudica-ta per almeno un ventennio esauriente, come dimostrano le riedizioni dicui è stata ripetutamente oggetto4. I successivi contributi di GiorgioChittolini5 fornirono poi un solido quadro interpretativo, mirato da unlato a “rifiutare esegesi moraleggianti della transizione dal comune allasignoria, vista come un cammino verso le più articolate forme di gover-no tardomedievali e rinascimentali, dall’altro a sottolineare la continuitàdella costruzione politico istituzionale cittadina anche nel Quattrocento,quale elemento costitutivo delle nuove strutture statali di dimensioneregionale”6. Non sembra un caso, del resto, che si tenda oggi “a rivalu-tare la creazione delle signorie urbane come momento organico alla sto-ria del comune di popolo, accentuando gli elementi di compatibilità ditali regimi con la tradizione amministrativa municipale”7.

Considerazioni non dissimili esprimeva nel 1973-74 GiovanniTabacco, che nell’incapacità delle autorità cittadine di stabilire un accet-tabile ordine interno vedeva il frutto del dinamismo sociale caratteristi-co della società urbana8. Nella sua ottica, “potevano costituire altrettan-te risposte a tale pericolosa instabilità l’istituzione di una “signoria”,

4 E. SESTAN, Le origini delle signorie cittadine: un problema storico esaurito?, in“Bullettino dell’Istituto storico italiano per il Medio Evo”, 73 (1962), pp. 41-69, ripub-blicato in ID., Italia medievale, Napoli 1966, pp. 192-223, e in La crisi degli ordinamenticomunali e le origini dello Stato del Rinascimento, a cura di G. CHITTOLINI, Bologna1979, pp. 53-75.

5 Cfr. G. CHITTOLINI, La crisi delle libertà comunali e le origini dello stato territo-riale, in “Rivista storica italiana“, LXXXII (1970), pp. 99-120, ora anche in ID., La for-mazione dello stato regionale e le istituzioni del contado, Torino 1979, pp. 3-35.

6 GRILLO, Un dominio multiforme cit., pp. 31-32.7 R. RAO, Signorie cittadine e gruppi sociali in area padana fra due e trecento:

Pavia, Piacenza e Parma, in “Società e storia”, XXX (2007), pp. 673-706 (alle pp. 673-674), con riferimento ad A. ZORZI, Una e trina: l’Italia comunale, signorile e angioina.Qualche riflessione, in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale cit., pp. 435-443 (alle pp.441 sgg.); G. MILANI, I comuni italiani, Roma-Bari 2005, pp. 133-139; G. M. VARANINI,Aristocrazie e poteri nell’Italia centro-settentrionale dalla crisi comunale alle guerred’Italia, in R. BORDONE, G. CASTELNUOVO, G. M. VARANINI, Le aristocrazie dai signo-ri rurali ai patriziati, Roma-Bari 2004, pp. 121-193; G. CHITTOLINI, “Crisi” e “lungadurata” delle istituzioni comunali in alcuni dibattiti recenti, in Penale, giustizia, pote-re. Metodi, ricerche, storiografie. Per ricordare Mario Sbriccoli, a cura di L. LACCHÉ,C. LATINI, P. MARCHETTI, M. MENCARELLI, Macerata 2007, pp. 125-154.

8 G. TABACCO, La storia politica e sociale. Dal tramonto dell’Impero alle prime for-mazioni di stati regionali, in Storia d’Italia, a cura di R. ROMANO e R. VIVANTI, II, Dalla

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come si verificò nella maggior parte delle città padane, la chiusura oli-garchica di un ceto dirigente, come avvenne a Venezia, o, come inToscana, la sopravvivenza formale delle vecchie istituzioni comunali epopolari in un contesto, però, di progressivo irrigidimento della mobi-lità sociale e, in parallelo, delle strutture politiche”9.

Nei decenni seguenti, le riflessioni complessive sulla genesi dellesignorie nella Penisola non sono del tutto assenti. Tra di esse spicca –per la ricostruzione in chiave europea della convergenza, tutta italiana,“di esperienza cittadina e di secolari ambizioni familiari”, caratterizza-te da peculiari stili di vita, forme di civiltà e di mecenatismo, orienta-menti di governo di matrice aristocratica – il discorso di apertura che ilTabacco tenne a un congresso storico internazionale svoltosi a Folignonel 198610. In genere, però, tali riflessioni o sono state inserite in piùampie rassegne degli sviluppi socio istituzionali post-comunali o sonorimaste confinate in volumi dalla limitata circolazione. Soltanto nelVeneto sono state effettuate indagini fondamentali sulla crisi dei comu-ni e su alcune importanti dominazioni politiche11.

2. Dalle autonomie regionali alle dominazioni principesche nell’Italianord-occidentale

Nell’Italia nord-occidentale il superamento di un assetto fondatoessenzialmente sulle autonomie comunali portò all’imporsi di domina-zioni principesche capaci di agire su scala almeno regionale, come lacontea di Savoia e il principato visconteo. Erano dominazioni non solopiù ampie, ma in certa misura strutturalmente diverse rispetto alle sem-plici signorie cittadine. Per quest’area, infatti, gli studi degli ultimidecenni si sono collocati non tanto nella tradizionale prospettiva del

caduta dell’Impero romano al secolo XVIII, t. I, Torino 1974, poi in ID., Egemoniesociali e strutture del potere nel Medioevo italiano, Torino 1979.

9 Cfr. GRILLO, Un dominio multiforme cit., p.32. 10 G. TABACCO, L’Italia delle signorie, in Signorie in Umbria tra Medioevo e

Rinascimento: l’esperienza dei Trinci, Atti del congresso storico internazionale diFoligno, 10-13 dicembre 1986, I, Perugia 1989, pp.1-21 (alle pp. 4 e 13).

11 Il Veneto nel Medioevo. Le signorie trecentesche, a cura di. A. CASTAGNETTI, G.M. VARANINI, Verona 1995, con riferimento anche alle approfondite indagini della primametà degli anni Novanta del secolo scorso.

A partire da Vercelli nel secolo XIV

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passaggio dal comune alla signoria, quanto in quella dell’origine dellostato territoriale, che lo si chiami “stato moderno”, “stato delRinascimento” o “stato del XIV e XV secolo”, per citare le formula-zioni in passato più diffuse nella storiografia italiana ed europea. Il pro-gredire delle ricerche sta mettendo in luce, tuttavia, un processo cosìarticolato e contraddittorio, capace di investire così in profondità lasocietà nel suo complesso, che anche un’analisi collocata nella pro-spettiva della ‘formazione dello stato’ rischia di apparire limitativa: inrealtà, sono la trasformazione dirompente di tutta una società, ancoraaffascinata ai suoi vertici dall’ideologia cavalleresca, e una nuova cul-tura politica, che si rivelano attraverso le forme di conflitto politicoproprie del Trecento.

E infatti: all’inizio del secolo l’Italia nord-occidentale appariva pun-teggiata di medie e piccole città a regime comunale, in gran parte influen-zate – come Vercelli – dall’egemonia milanese12, ma senza che la supre-mazia della metropoli lombarda si traducesse in forme di coordinamentostabile né, tanto meno, in una soppressione delle singole autonomie urba-ne. Molti vescovi conservavano quote di potere in città, oltre a una basefondiaria e vassallatica che consentiva loro di ritagliarsi un ruolo non insi-gnificante nel conflitto politico13; almeno nell’area corrispondente all’at-tuale Piemonte, ma non soltanto, una forte aristocrazia militare, spessoorganizzata in consortili numerosi, manteneva una salda egemonia sulmondo rurale, pur partecipando attivamente alla vita politica urbana.

Alla fine del Trecento il quadro risulta radicalmente mutato. Unadopo l’altra le medie e piccole città hanno perduto la propria libertà,legandosi alle dominazioni dei Savoia e dei Visconti con patti che pre-vedono, sì, una sottomissione negoziata e condizionata, ma che confi-gurano comunque di fatto la fine dell’autonomia comunale. Gli spazid’azione dei vescovi si sono ovunque drasticamente ridotti, la lorodominazione signorile ridimensionata, le loro clientele vassallatiche

12 Su cui P. GRILLO, Milano in età comunale (1183-1276). Istituzioni, società, eco-nomia, Spoleto 2001.

13 Per due esempi relativi all’area qui analizzata: G. S. PENE VIDARI, Vescovi e comu-ne nei secoli XII e XIV, in Storia della Chiesa di Ivrea. Dalle origini al XV secolo, a curadi G. CRACCO, Roma 1998, pp. 925-971 (alle pp. 951 sgg.); F. PANERO, Una signoriavescovile nel cuore dell’Impero. Funzioni pubbliche, diritti signorili e proprietà dellaChiesa di Vercelli dall’età tardocarolingia all’età sveva, Vercelli 2004.

Rinaldo Comba

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vanificate dai nuovi patti di fedeltà, vassallatica o meno, che i principiterritoriali impongono ovunque alle aristocrazie14. Al tempo stesso unnuovo soggetto politico è apparso sulla scena: le comunità rurali, chenella dialettica apertasi fra poteri signorili locali e governi principeschitrovano uno spazio di manovra prima inesistente. Concessione di fran-chigie, redazione di statuti, tentativi di liberarsi dall’egemonia signorileo cittadina attraverso una soggezione diretta al principe, e in qualchecaso anche l’esplosione di rivolte dall’evidentissimo carattere politicopunteggiano questa affermazione delle comunità rurali, che nel periodotardomedievale avranno, in quest’area, uno dei loro periodi di massimacapacità d’azione.

3. Il Piemonte trecentesco: un variegato campo di studio di grande inte-resse scientifico

I tempi appaiono oggi maturi per un programma di ricerca che si pro-ponga di analizzare sistematicamente i diversi soggetti politici attivi inuna stessa epoca e su uno stesso territorio, di ricostruire nella loro com-plessità le dinamiche del conflitto politico e di recuperare una visionepiù ampia e articolata dei processi che tradizionalmente si riconduconosotto le categorie storiografiche dell’origine della signoria cittadina edella nascita dello stato territoriale.

Il panorama che abbiamo qui tratteggiato evidenzia come ilPiemonte trecentesco si presenti all’occhio dello storico come un campodi studio di rilevante interesse per la coesistenza sul suo territorio di unamolteplicità di dominazioni sovralocali organizzate secondo modellidiversi. Vi ambivano, tra gli altri, a un ruolo egemone i conti di Savoiae i principi d’Acaia, dalla cultura di governo di tradizione schiettamen-te transalpina, basata principalmente sull’uso dello strumento feudaleper il disciplinamento dei poteri locali15 e contemperata dalla consulta-

14 Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre eQuattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio, a cura di F. CENGARLE, G.CHITTOLINI, G. M. VARANINI, Firenze 2005.

15 A. BARBERO, G. CASTELNUOVO, Governare un ducato. L’amministrazione sabau-da nel tardo medioevo, in “Società e storia”, 57 (1992), pp. 465-511, ripreso in parte, macon ampliamenti sostanziali, in A. BARBERO, Il ducato di Savoia. Amministrazione ecorte di uno stato franco-italiano (1416-1536), Roma-Bari 2002, pp. 3-47.

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zione periodica degli stati generali, ma capaci anche, senza snaturarsi,di coordinare attorno a sé sia piccole città come Ivrea, Aosta, Torino16 –che talora, come quest’ultima, si trovavano al centro di circoscrizionidiocesane assai vaste – sia, soprattutto, di attrarre nella propria orbitaimportanti centri commerciali o manifatturieri (come Chieri oRacconigi) a vocazione urbana.

Un ruolo di rilievo svolsero pure, nella prima metà del secolo, gliAngiò di Napoli e di Provenza, che, attraverso il sistema dei siniscalca-ti e delle clavarie, miravano alla creazione di più significativi strumen-ti di controllo territoriale trasferendovi forme e metodi di governo lar-gamente sperimentati, che modificavano sensibilmente le consuetudiniamministrative locali17. Si sa però che nel mondo angioino, oggetto, treanni or sono, di un importante convegno sull’Italia nord-occidentale, leincrinature non tardarono a manifestarsi e “la coordinazione guelfa potèmantenersi solo al prezzo di faticosi compromessi”18. Nella dominazio-ne dei marchesi di Monferrato il dominio si basava invece prevalente-mente su legami feudali e su un ampio coinvolgimento delle comunitàsoggette, attestato dalla diffusione dei parlamenti, come illustrano chia-ramente le relazioni presentate al convegno casalese su Teodoro I mar-chese di Monferrato, i cui atti, attentamente curati da Aldo A. Settia,sono freschi di stampa19.

Insomma, nei primi anni di questo millennio hanno visto la luce con-tributi importanti e innovatori sulla dominazione angioina e sul mar-chesato di Monferrato, frutto delle indagini scientifiche coordinate di un

16 Per la crisi dello schema tripartito dei ceti avvenuta nel mondo cittadino e tuttaviaresistente nel principato sabaudo, pur orientato verso il controllo delle civitates e deimaggiori nuclei a vocazione urbana nella regione subalpina, cfr. TABACCO, L’Italia dellesignorie cit., pp. 14-16: “l’espansione verso le città comunali d’Italia non poteva inci-dere se non marginalmente sugli orientamenti del governo sabaudo, né in alcun modoincideva sulle forme di vita della dinastia, che proseguiva nelle sue tradizioni, di castel-lo in castello”.

17 Cfr. Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale cit., p. 7.18 A. BARBERO, Prolusione, in Gli Angiò cit., p. 10.19“Quando venit marchio grecus in terra Montisferrati”. L’avvento di Teodoro I

Paleologo nel VII centenario (1306-2006), Atti del Convegno di studi: CasaleMonferrato, 14 ottobre; Moncalvo, Serralunga di Crea, 15 ottobre 2006, a cura di A. A.SETTIA, Casale Monferrato 2008, con riferimento prevalente ai saggi di P. Grillo (Ilgoverno del marchesato, pp. 103 - 11) e di G. S. PENE VIDARI (Teodoro I e il Parlamentodel Monferrato, pp. 119-128).

Rinaldo Comba

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articolato gruppo di lavoro, variamente integrato nelle sue competenze,attento alle dinamiche politiche e socio-istituzionali, le cui fatiche giàconsentono qualche prima comparazione fra i modi di governo e gli attiformali in cui essi si traducono: si tratti di stipulazioni di patti con icomuni maggiori o di fedeltà vassallatiche prestate da famiglie signori-li, da confrontare, ovviamente, con le più note forme di governo dellacontea sabauda oggetto, in anni un po’ meno recenti, degli studi inno-vatori di Guido Castelnuovo e di Alessandro Barbero20.

4. Il Piemonte visconteo: un’opportunità e un programma di ricerca

Nel vivace contesto di studi politico-istituzionali sul Piemonte trecen-tesco è, però, l’analisi della dominazione viscontea a presentarsi oggicome un’eccezionale opportunità di ricerca, non soltanto nella prospettivadi una migliore conoscenza delle dinamiche di affermazione della dinastia,ma anche, grazie alle articolate possibilità di comparazione, come fonda-mentale occasione di riflessione nel più ampio ambito della transizione dalcomune alla signoria, prima, allo stato regionale poi21. Il recente rifioriredi indagini su tale dominazione, a lungo prevalentemente studiata con rife-rimento alla fase finale del processo di formazione degli stati regionali, siè esteso al secolo XIV, concentrandosi sulle località poi comprese nei piùristretti limiti del ducato di Milano22, e invita ad approfondire le ricercheanche sulla tumultuosa espansione trecentesca della signoria visconteanell’Italia centro-settentrionale. Per quanto riguarda l’affermazione di taledominio su gran parte della regione subalpina, che giunse a portare nellemani della dinastia milanese quasi tutto l’attuale Piemonte orientale e

20 G. CASTELNUOVO, Principati regionali e organizzazione del territorio nelle Alpioccidentali: l’esempio sabaudo (inizio XIII – inizio XV secolo), in L’organizzazione delterritorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, a cura di G. CHITTOLINI e D.WILLOWEIT, Bologna 1994, pp. 81-92. Cfr. sopra, nota 15.

21 Scarsi elementi di comparazione, per quanto riguarda l’organizzazione distrettua-le urbana, riscontrava ancora una quindicina di anni or sono G. M. VARANINI:L’organizzazione del distretto cittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV (MarcaTrevigiana, Lombardia, Emilia), in L’organizzazione del territorio in Italia e Germaniacit., pp. 133-233 (alle pp. 220 sgg.).

22 A. GAMBERINI, Lo Stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali,Milano 2005; Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia centro-settentrionalecit.

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meridionale (da Novara a Vercelli, ad Alessandria, Tortona, Asti, Alba,Cherasco, Bra, Mondovì, Cuneo, Demonte e la valle Stura), bisogna infat-ti ancora riferirsi alle pagine di Francesco Cognasso23.

Come è stato messo in luce da una lunga tradizione di studi24, nelcorso del XIV secolo il dominio visconteo, che si presentava come uncoordinamento di città attorno alla figura del signore, dovette confron-tare le sue modalità di governo con le caratteristiche di un’area di scar-sa urbanizzazione, in cui la presenza di grossi borghi autonomi e dipotenti formazioni signorili frammentava e limitava il controllo deicomuni maggiori sulle campagne. In tale prospettiva le soluzioni elabo-rate dai domini meritano oggi una nuova attenzione, che si è cercato ditradurre in un ponderato e a lungo discusso progetto di ricerca coinvol-gente studiosi appartenenti ad associazioni locali di grande prestigio,come, appunto, la Società Storica Vercellese a cui molti di noi si onora-no di appartenere, e a varie università. Rispetto alla ricostruzione rigi-damente istituzionalista del Cognasso, il progetto, coordinato daAlessandro Barbero e dal sottoscritto, a lungo discusso con il Presidentee il Consiglio Direttivo della Società Storica Vercellese e con alcunirelatori ai convegni angioino e monferrino a cui si è fatto riferimento, èaperto ai nuovi orientamenti storiografici più attenti alla dialettica fra idiversi poteri che agivano sul territorio: magistrature signorili, città,comuni rurali, signori locali, enti ecclesiastici e monastici25.

5. Vercelli nel XIV secolo: primi passi di un’indagine

Il quinto Congresso Storico Vercellese, che oggi si apre in questasede prestigiosa, reso suggestivo da una candida coltre di neve, chiude

23 F. COGNASSO, Note e documenti sulla formazione dello Stato visconteo, in“Bollettino della Società pavese di Storia patria”, XXIII (1923), pp. 23-179, ripreso inID., L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, Milano 1955,pp. 1-567. Cfr. ID., I Visconti, Milano 1966, pp. 201 sgg. Innovativi sono i saggi di P.GRILLO, L’espansione viscontea nel Piemonte medievale e Bra sotto il dominio viscon-teo, pubblicati recentemente in Storia di Bra dalle origini alla Rivoluzione francese, acura di F. PANERO, I, Savigliano 2007, pp. 267-293.

24 Per tutti: CHITTOLINI, La formazione dello Stato regionale e le istituzioni delcontado cit.

25 Il più efficace punto problematico di riferimento è ancora costituito dai saggi

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in qualche modo la prima fase delle nostre ricerche sulla storia viscon-tea, innestandosi e coordinandosi felicemente con l’ambizioso progettodi storia urbana promosso dalla Società Storica cittadina, che, sin quiper i secoli XII e XIII, in quattro fondamentali congressi ha sviscerato afondo aspetti di primaria importanza relativi alla storia istituzionale,culturale e monastica di Vercelli e del suo territorio26. L’approfondimen-to delle modalità di funzionamento e di radicamento locale di una vastae potente dominazione territoriale si incontra così, e fa tutt’uno per ilperiodo considerato, con le indagini indispensabili al proseguimento inchiave non localistica della Storia di Vercelli, alla cui realizzazionehanno tenacemente lavorato per decenni gli storici vercellesi sotto laguida illuminata e lungimirante di Rosaldo Ordano. Un secondo innestocon la storia di un grosso borgo di nuova fondazione è previsto per laCherasco del Trecento, in collaborazione con le istituzioni e le associa-zioni storico-culturali locali e con un più attivo impegno di medievistitorinesi guidati da Francesco Panero, ma è chiaro che la realizzazionedel progetto, che dovrebbe concludersi con un incontro comparativofinale (e potrebbe, forse, essere ipotizzato proprio a Vercelli) non potràche giovarsi dell’avanzamento delle indagini in corso su Alba, Cuneo eMondovì, oltre, che ovviamente, di quanto è stato scritto su Voghera e,più recentemente, su Bra27.

Delle sezioni in cui il colloquio si articola, tre – Istituzioni e vitapolitica, Cultura e scritture di governo e Città e territorio – si riallac-

raccolti in Le origini dello Stato. Processi di formazione statale in Italia fra Medioevoed Età Moderna, a cura di G. CHITTOLINI, A. MOLHO, P. SCHIERA, Bologna 1994.

26 Cfr. Vercelli nel XIII secolo, Atti del primo Congresso storico vercellese: 2-3 otto-bre 1982, Vercelli 1984; L’università di Vercelli nel Medioevo, Atti del secondoCongresso storico vercellese: 23-25 ottobre 1992, Vercelli 1994; L’abbazia di Lucedioe l’ordine cistercense nell’Italia Occidentale nei secoli XII e XIII, Atti del terzoCongresso storico vercellese: 24-26 ottobre 1997, Vercelli 1999; Vercelli nel secolo XII,Atti del quarto Congresso storico vercellese: 18-20 ottobre 2002.

27 In particolare, si rimanda a Alba medievale, a cura di R. COMBA, Alba 2010; Storiadi Mondovì e del Monregalese, II, L’età angioina (1260-1347), a cura di R. COMBA, G.GRISERI, G. M. LOMBARDI, Cuneo-Mondovì 2002; P. GRILLO, La monarchia lontana:Cuneo angioina, in Storia di Cuneo e del suo territorio. 1198-1779, a cura di R. COMBA,Savigliano 2002, pp. 49-123; ID., Istituzioni e società fra XII e XV secolo, in Storia diVoghera, I, Dalla preistoria all’età viscontea a cura di E. CAU, P. PAOLETTI, A. A.SETTIA, Voghera 2003, pp. 165-224; ID., Bra sotto il dominio visconteo cit.

A partire da Vercelli nel secolo XIV

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ciano più esplicitamente alle tematiche a cui si è brevemente accennato:forme di controllo milanese della città e del territorio, rapporti con fami-glie, con il potere vescovile e con le signorie rurali aristocratiche, costi-tuzione di un’apposita rete di ufficiali viscontei, ristrutturazione dellegerarchie amministrative e giudiziarie, disciplinamento dell’attivitànotarile, adeguamento della normativa statutaria alla dottrina giuridicaeuropea. Ma c’è anche una relazione che, soprattutto per il Trecento,riprende sulla base di nuovi dati e contestualizzazioni ulteriori un temagià affrontato da Irma Naso nel secondo Congresso Storico Vercellese28:quale il peso della cultura, quale il ruolo dell’Università di Vercelli sottoi Visconti, che dal 1361 avranno in Pavia il controllo di una prestigiosacittà universitaria? Con le tematiche in esse sviluppate si integra piena-mente la sezione dedicata alla Chiesa eusebiana, che, oltre ad approfon-dire l’accertamento sulla rappresentanza sociale dei canonici vercellesie sulla base economica e istituzionale del potere episcopale in città e nelterritorio, affronta un tema-chiave, molto caro a Grado Merlo, per la sto-ria vercellese: quello dei rapporti con la Sede Apostolica, guastatisi peri-colosamente ai tempi di Federico II. Quali sono nel Trecento i nuovirapporti con il papato avignonese, sopravvissuto come potere universa-le al fallimento dell’Impero?

Parlare della storia di una città, come Vercelli, nel Trecento senzaaffrontare il tema-chiave della crisi demografica ed economica checaratterizzò quel secolo sarebbe grave. Stando alle stime di FrancescoPanero alla fine del XIII secolo Vercelli avrebbe contato non meno di10.000 abitanti29: quale fu l’impatto del crollo demografico? Purtroppo

28 I. NASO, La fine dell’esperienza universitaria vercellese, in L’Università diVercelli nel Medioevo cit., pp. 335-357.

29 F. PANERO, Popolamento e movimenti migratori nel contado vercellese, nelBiellese e nella Valsesia (secoli X-XIII), in Strutture familiari, epidemie, migrazioninell’Italia medievale, a cura di R. COMBA, G. PICCINNI, G. PINTO, Napoli 1984, pp. 329-354 (alle pp. 347-348), ora, con qualche variazione e con il titolo Popolamento e movi-menti migratori, anche in ID., Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale,Bologna 1988, pp. 17-42 (alle pp. 36-37, nota 68); ID., L’inurbamento delle popolazio-ni rurali e la politica territoriale e demografica dei comuni piemontesi nei secoli XII eXIII, in Demografia e società nell’Italia medievale (secoli IX-XIV), a cura di R. COMBA

e I. NASO, Cuneo 1994, pp. 401-440 (soprattutto alle pp. 413-421). Cfr. M. GINATEMPO,L. SANDRI, L’Italia delle città. Il popolamento urbano tra Medioevo e Rinascimento(secoli XIII-XVI), Firenze 1990, pp. 65 e 247.

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la documentazione viscontea e cittadina, a differenza di quella sabauda,non consente di affrontare di petto tale interrogativo. Si è preferito, perla sezione Economia e strutture materiali, seguire una strategia, per cosìdire, aggirante: da un lato, mettere a frutto una documentazione notari-le straordinariamente ricca rispetto alle altre città e ai maggiori centripiemontesi a vocazione urbana (ma soltanto per la seconda metà delsecolo), portando, su questa base documentaria sinora praticamente ine-splorata, nuovi elementi di conoscenza e di valutazione; d’altro lato,offrire a una riflessione più generale nuovi dati (sinora sottoutilizzati daipunti di vista economico, sociale e istituzionale) sulle strutture materia-li, sugli investimenti edilizi nella costruzione di nuovi edifici pubblici ereligiosi, sul rinnovamento delle strutture fortificate disseminate nel ter-ritorio. Dovrebbe così emergere, sia pure indirettamente, un quadrod’insieme sufficientemente indicativo.

Quello che, con questo quinto Congresso Storico Vercellese, si offrealla nostra attenzione, in un contesto culturale, che, come invita a spe-rare la produzione scientifica più recente della scuola medievistica trie-stina, appare assai più attento che in passato al secolo qui preso in con-siderazione30, è dunque un tentativo di ricostruzione storiografica a piùmani, aperta a nuovi temi e a nuovi interrogativi di ricerca, ma costan-temente convergente verso il baricentro problematico dell’evoluzionedelle forme di vita associata nella coesistenza e interrelazione dei grup-pi parentali aristocratici con la persistente impronta urbana, da leggereanche nei rapporti con i poteri grandi e piccoli con cui Vercelli era incollegamento.

Nuove tematiche di ricerca possono offrire utili spunti di analisi,focalizzando in particolare le vivacissime dinamiche del conflitto poli-tico e del negoziato, spesso sorretto da una consumata esperienza e cul-tura giuridica. Se infatti la crisi e il rinnovamento dell’economia sonol’aspetto più noto di quel secolo cruciale per la storia d’Italia, non menorilevante appare il mutamento politico e culturale: gli assetti ammini-strativi conobbero, com’è ormai ben noto, una costante evoluzione, colrafforzamento degli apparati burocratici e il primo articolarsi della com-

30 Cfr., oltre ai volumi citati nella nota 1, l’approfondita ricerca su un tema-chiave,per lo studio del Trecento, come quello migratorio di M. DAVIDE, Lombardi in Friuli.Per la storia delle migrazioni interne nell’Italia del Trecento, Trieste 2008.

A partire da Vercelli nel secolo XIV

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pagine di stati regionali che avrebbe poi inquadrato il territorio italianofino all’Unità31; nella società il conflitto si manifestò in forme nuove,spesso dirompenti, e si affermarono soggetti politici capaci di azioneorganizzata, dai governi principeschi alle comunità rurali, mentre altri,come i signori locali, i vescovi e in molti casi gli stessi comuni urbani,conoscevano un declino più o meno irreversibile; nella cultura e nel-l’arte, rispetto al pubblico destinato a fruirne come rispetto ai valori cheesse esprimevano, si accentuarono le tendenze elitarie, spesso tradottenel mecenatismo dei governi signorili, innestato sulle tradizioni cultura-li dell’età comunale rivisitate alla luce delle nuove esigenze politiche.

31 I. LAZZARINI, L’Italia degli Stati territoriali. Secoli XIII-XV, Roma-Bari 2003.

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RICCARDO RAO

Università degli Studi di Bergamo_________

COMUNE E SIGNORIA A VERCELLI (1285-1335)

Rispetto alla vitalità degli studi su Vercelli nella piena età comunale,la fase di transizione dal libero comune alla dominazione viscontea nonha goduto di particolare attenzione. Il punto di riferimento più sicurorimane la poderosa opera ottocentesca di Vittorio Mandelli, che, malgra-do gli iniziali propositi di spingersi sino alla dedizione della città adAzzone Visconti del 1335, si arresta alla pacificazione fra Bicchieri eAvogadro del 1254: in realtà, nel quarto volume della sua storia delcomune di Vercelli lo storico eusebiano non mancò di tracciare in manie-ra sintetica un’ossatura solida, per quanto non priva di alcuni fraintendi-menti, delle vicende politico istituzionali successive1. Nella prospettivadel Mandelli, le lotte di fazione che caratterizzarono l’ultima fase di vitadel comune rappresentavano il male minore rispetto alla perdita dell’in-dipendenza. Si delineava, nel complesso, un periodo di crisi rispetto allaprima metà del Duecento: gli aspri conflitti intestini e i continui capo-volgimenti alla guida del regime municipale ebbero soltanto l’effetto diprocrastinare il lento declino verso l’egemonia viscontea.

Nel panorama storiografico nazionale, gli studi recenti tendono aripensare l’etichetta di ‘crisi’ applicata al periodo di transizione dalcomune alla signoria, evidenziandone le specificità. Pur senza negare ledifficoltà politiche ed economiche delle amministrazioni municipali inquesto periodo, si deve sottolineare che il cinquantennio a cavallo fraDue e Trecento fu animato da uno spiccato dinamismo degli assetti isti-tuzionali, sollecitati a sintetizzare le nuove pratiche di governo intro-dotte da alcune dominazioni sovralocali con la tradizione di partecipa-

Abbreviazioni: ACaV = Archivio del Capitolo di Sant’Eusebio di Vercelli; ACV =Archivio Storico del Comune di Vercelli; ASV = Archivio di Stato di Vercelli; OSA =Archivio dell’Ospedale di Sant’Andrea; AST = Archivio di Stato di Torino

1 V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo, vol. IV, Vercelli 1861, pp. 95-205.

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Riccardo Rao

zione dei ceti cittadini propria del comune2. Nell’Italia padana dell’epo-ca, un ulteriore elemento di originalità è costituito dai tentativi di ege-monia familiare e personale attuati su scala urbana: per esempio, iBeccaria a Pavia, i Tornielli a Novara, i Vistarino a Lodi, gli Scotti aPiacenza, i Correggio a Parma, i Pepoli a Bologna o i Rusca a Como. Sitratta di esperienze che rivestirono una decisiva funzione di mediazionetra la vita cittadina e il più vasto quadro regionale. Di rado esse assun-sero configurazioni istituzionali evidenti, preferendo per lo più mano-vrare all’interno dell’apparato comunale e riuscendo talora a rappresen-tare istanze sociali più vaste3.

Alla luce di una simile chiave interpretativa, è possibile sostituirel’immagine, ereditata dal Mandelli, delle vicende vercellesi dal 1290 al1335 come di un’epoca nel complesso negativa e confusa, a stento rico-struibile se non sotto il profilo événementiel, recuperandone gli elemen-ti di sperimentazione e di creazione di nuovi assetti istituzionali. In par-ticolare, sottolineare la compresenza di influenze sovralocali, di egemo-nie familiari e di partecipazione politica della cittadinanza nei regimivercellesi della prima metà del Trecento contribuisce a sdrammatizzarela distanza tra le differenti configurazioni istituzionali adottate. La sto-ria cittadina di questo periodo si presenta non tanto come una contra-stata alternanza tra forme di signoria esterna, progetti di affermazione dialcune famiglie urbane e momenti in cui il comune riuscì a reggersi inmaniera autonoma, quanto come una fase in cui tali dinamiche coesi-stettero, tutt’al più con un diverso dosaggio negli equilibri di potere.

Il presente contributo prenderà in esame tali differenti livelli, a par-tire dalla lunga, ancorché discontinua, egemonia viscontea sulla città. In

2 All’interno di un’ampia bibliografia, si rimanda a G.M. VARANINI, Aristocrazie epoteri nell’Italia centro-settentrionale dalla crisi comunale alle guerre d’Italia, in R.BORDONE, G. CASTELNUOVO, ID., Le aristocrazie dai signori rurali ai patriziati, Roma-Bari, 2004, pp. 121-193, qui alle pp. 134-145; P. GRILLO, Un dominio multiforme. Icomuni dell’Italia nord-occidentale soggetti a Carlo I d’Angiò, in Gli Angiò nell’Italianord-occidentale (1259-1382), a cura di R. COMBA, Milano, 2006, p. 31-101. Una recen-te sintesi sull’argomento in G. CHITTOLINI, «Crisi» e «lunga durata» delle istituzionicomunali in alcuni dibattiti recenti, in Penale Giustizia Potere. Metodi, Ricerche,Storiografie. Per ricordare Mario Sbriccoli, a cura di L. LACCHÈ, C. LATINI, P.MARCHETTI, M. MECCARELLI, Milano 2007, pp. 125-154.

3 R. RAO, Signorie cittadine e gruppi sociali in area padana fra Due e Trecento:Pavia, Piacenza e Parma, in «Società e storia», 118 (2007), pp. 673-706.

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seguito saranno considerati i progetti di affermazione di SimoneAvogadro di Collobiano e di Riccardo Tizzoni. Infine sarà affrontato ilruolo del comune e delle forze che gravitavano attorno a esso, espri-mendo politiche non riconducibili al solo scontro tra schieramenti ari-stocratici contrapposti. Il filo rosso che guiderà la trattazione sarà costi-tuito dall’attenzione alle relazioni dialettiche tra potere e società urbanae alle politiche di controllo del territorio.

1. L’egemonia milanese

Nel cinquantennio considerato, Vercelli rientrò per lo più nell’area diegemonia viscontea: dal 1290 al 1302, dal 1316 al 1328, dal 1333 al1335, anche se solo per periodi limitati l’influenza della discendenzamilanese assunse un’esplicita configurazione istituzionale signorile. Ledominazioni di Matteo Visconti, a Vercelli come in altri centri, presen-tano tratti comuni: la stretta supervisione imposta al movimento popo-lare, di cui Matteo cercò un inquadramento istituzionale verticale; l’uti-lizzo di personale politico di sicura fedeltà, spesso reclutato tra i suoifamiliari; una politica di larghe concessioni ai fedeli locali secondomeccanismi che eludevano le tradizionali regole municipali a salva-guardia degli interessi della cittadinanza, soprattutto sotto il profilodella fiscalità e del disciplinamento del territorio; il rafforzamento deglistrumenti militari di controllo della città, dalla presenza di guarnigionimilanesi alla costruzione di fortezze urbane4.

a) Matteo Visconti capitano del popolo (1290-1302)

Matteo si affermò una prima volta nel 1290. Secondo una notizia ditradizione erudita, il Visconti avrebbe assunto per cinque anni la carica

4 Le prime dominazioni viscontee mancano di studi esaustivi prodotti in tempirecenti. Si deve ancora fare affidamento su F. COGNASSO, L’unificazione dellaLombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, La signoria dei Visconti, Milano, 1955,pp. 1-567. Sulla prima affermazione viscontea si veda ora P. GRILLO, «Reperitur inlibro». Scritture su registro e politica a Milano alla fine del Duecento, in AA.VV., Libri,e altro. Nel passato e nel presente. Per Enrico Decleva, Milano 2006, pp. 33-53. Per lostacco rispetto alle forme di governo attuate dalle signorie monocittadine si rimandaanche a RAO, Signorie cittadine e gruppi sociali cit., pp. 695-697.

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di capitaneus5. L’informazione pare attendibile ed è confermata daun’ulteriore scrittura dell’agosto 1295, in cui egli si intitolava capitanodel popolo di Milano e delle altre civitates soggette, tra cui Vercelli6.L’attribuzione a tempo dell’ufficio di comando del populus, frequentenell’Italia settentrionale dell’ultimo quarto del Duecento, rispondevaalla necessità di conseguire, oltre a una lauta remunerazione, il verticedelle organizzazioni popolari: all’epoca queste ultime avevano per lopiù avocato prerogative centrali nel funzionamento del comune e costi-tuivano, con il loro dinamismo, la maggiore minaccia alla conservazio-ne del governo civico. L’assunzione della carica si poteva accompagna-re alla concessione di garanzie al popolo, quali il giuramento del rispet-to dei suoi diritti, come lo stesso Matteo aveva fatto a Milano nel 1289,al momento del rinnovo quinquennale del capitanato del popolo7: simi-li aspetti per Vercelli non possono essere verificati, poiché la testimo-nianza del capitanato del Visconti è tramandata da un laconico passag-gio cronachistico. La soluzione adottata non era soltanto in linea conquella sperimentata dallo stesso Matteo a Milano. Anche per la cittàeusebiana l’attribuzione dell’ufficio di capitano aveva un significato dicontinuità istituzionale: nel 1278, Guglielmo VII di Monferrato avevaricevuto il titolo di capitaneus civitatis, con durata quinquennale, poidivenuta vitalizia nel 1285, impegnandosi a nominare un vicario resi-dente all’interno delle mura8.

L’assenza di ulteriori evidenze documentarie che confermino l’eser-cizio dell’ufficio di capitano da parte del Visconti parrebbe indicare la

5 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 117, dice di aver trat-to la notizia dagli Annales Mediolanenses ab anno MCCXXX usque ad annum MCCC-CII, in RIS, XVI, a cura di L.A. MURATORI, Milano 1730, coll. 635-839, qui alla col.682, che si limitano ad asserire: «Mattheus Vicecomes fit dominus Vercellarum». Unasimile indicazione compare invece in due cronache manoscritte del XVII secolo con-servate alla Biblioteca civica di Vercelli, GIOVANNI BATTISTA MODENA, Dell’antichità enobiltà della città di Vercelli, 1629 ca., e CARLO AMEDEO BELLINI, Annali della città diVercelli sino all’anno 1499: è probabile che la notizia fosse stata tratta da materialedocumentario conservato a Vercelli.

6 Annales Placentini, in MGH, Scriptorum, XVIII, a cura di G.H. PERTZ, Hannover,1863, pp. 403-581, qui alla p. 407. Per l’assunzione del titolo di capitano del popolo, nel1292, a Como, cfr. L. ROVELLI, Storia di Como, Milano 1962, pp. 231-233.

7 BERNARDINO CORIO, Storia di Milano, a cura di A. MORISI GUERRA, Torino 1978,vol. I, pp. 535-536.

8 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, pp. 102-103. Cfr.

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sua latitanza in città: egli governava, come Guglielmo VII, attraverso isuoi emissari. Finito il mandato, dal 1296, si registra l’attribuzione dellacarica di capitano del popolo con durata annuale a personale forestiero,comunque milanese vicino al Visconti: si tratta della prima circostanzain cui a Vercelli si ha traccia esplicita di un capitano del popolo recluta-to attraverso le modalità per lo più diffuse nelle altre civitates comuna-li. Il capitanato pluriennale adottato prima d’allora da Guglielmo diMonferrato e da Matteo Visconti, condizionato dalle soluzioni istituzio-nali ‘proto-signorili’ caratteristiche all’epoca nell’Italia comunale, noncostituì dunque una trasformazione, funzionale all’affermazione perso-nale, del capitaneus populi con durata annuale: tale figura fu tempora-neamente introdotta in città dall’esterno solo in seguito, proprio attra-verso il veicolo di simili esperienze9.

b) Matteo Visconti «dominus generalis» (1316-1321)

La seconda dominazione di Matteo, dal 1316 al 1321, rivendicò informe aperte, anche sul piano istituzionale, una connotazione autorita-ria. In un documento del 1316, il Visconti risultava essere «vicarius acrector generalis et defensor civitatis et dixtrictus Mediolani ac civitatiset dixtrictus Vercellarum dominus generalis»10. Dalla carica emerge laduplice valenza del ruolo di Matteo, che mentre a Milano, almeno inquell’occasione, declinava la sua autorità in forme più sfumate e

Statuta comunis Vercellarum ab anno MCCXLI, a cura di G. B. ADRIANI [in realtà V.MANDELLI], in Leges municipales, II, Torino 1876 (HPM, XVI), coll. 1088-1584, quialle coll. 1478-1479.

9 È possibile che la presenza viscontea si fosse associata a forme di governo popo-lari, come parrebbe suggerire l’attuazione di procedure caratteristiche di tali regimi,quali le operazioni di recupero delle comunanze, per le quali a Vercelli esiste una signi-ficativa testimonianza del 1291 (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1823, doc. in data 1291,novembre 14: cfr. G. FERRARIS, L’ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII.Religiosità, economia, società, Vercelli 2003, p. 162). Sulla scomparsa della carica, altermine dell’esperienza viscontea, cfr. oltre, testo corrispondente alla nota 95. Per un’al-tra epoca e un’altra area, una significativa introduzione di esperienze istituzionali popo-lari dall’esterno è stata ricostruita da T. LAZZARI, Esportare la democrazia? Il governobolognese a Imola (1248-1274) e la creazione del «popolo», in La norma e la memoria.Studi per Augusto Vasina, a cura di T. LAZZARI, L. MASCANZONI, R. RINALDI, Roma2004, pp. 399-439.

10 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 178.

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ammiccanti verso il consenso urbano, a Vercelli preferiva una denomi-nazione autocratica (dominus generalis), diffusasi in quegli anni e pre-sto divenuta caratteristica dell’esperienza viscontea (Matteo la usò – percitare soltanto le situazioni meglio studiate – a Milano nel 1313, aBergamo tra il 1315 e il 1317 e a Pavia nel 1320-1321; il figlio Galeazzonel 1313 a Piacenza)11.

La concessione di esenzioni fiscali sul territorio a favore degli ari-stocratici fedeli, in deroga alla politica comunale, è un tratto caratteri-stico dell’impostazione di governo di Matteo in tale periodo. Negli annidella sua seconda dominazione, il Visconti fu assai lesivo nei confrontidegli equilibri cittadini. Nel 1316, egli concesse ai nobiles Giacomo eMichele Buonsignore e Giovanni Arborio, con tutta probabilità guelfi,l’esenzione dagli onera riscossi dal comune di Vercelli, in ricompensadell’aiuto prestato nella sottomissione di Gattinara12. Nello stesso anno,Lodrisio Visconti impose un estimo, che suscitò vivaci proteste da partedegli ecclesiastici13; nel 1318, Matteo intraprese la costruzione di unafortezza urbana14. Negli anni 1319-1321, attraversati da accesi scontricon l’esercito angioino, i Visconti rafforzarono il controllo militare diVercelli, inviando in città e in alcuni castelli del distretto guarnigioniprovenienti dalla metropoli lombarda: fra il 1319 e il 1320, è attestato

11 Per Milano cfr. COGNASSO, L’unificazione della Lombardia sotto Milano cit., p.112, che insiste, forse esagerando, piuttosto sulla natura «comunale» dell’intitolazione,rilevando il contestuale abbandono, da parte di Matteo, della carica di vicario. PerPiacenza e Pavia cfr. RAO, Signorie cittadine e gruppi sociali cit., p. 683. Per Bergamocfr. B. BELOTTI, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, Bergamo 1959, vol. II, p. 86.

12 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 178. UmbertoBuonsignore era tra i sostenitori di Simone da Collobiano nel 1310 (I Biscioni, 1/1, acura di G.C. FACCIO e M. RANNO, Torino 1934, BSSS 145, doc. 184, p. 377). Gli Arboriosono una famiglia spaccata al suo interno: se Pietro Arborio, nel 1311, era ricordato trai ghibellini, il grosso della famiglia, in particolare gli Arborio di Gattinara, era schiera-to per gli Avogadro (ibidem). Sugli Arborio si veda anche F. FERRETTI, Le famiglie delconsorzio signorile di Arborio nei secoli XIV-XV, in «Bollettino storico vercellese», 33(1989), pp. 5-42; ID., I Signori di Arborio del ramo «de castro Arborii», in «Bollettinostorico vercellese», 45 (1995), pp. 69-88.

13ACaV, Statuti e patti, cartella 91, doc. in data 1316 agosto 18. È possibile che ilprovvedimento colpisse l’asse tra la chiesa vercellese e gli Avogadro.

14 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, marzo 4: «pretextu construendifortalicia seu castrum noviter factum intra fortalicia sive castrum Advocatorum [...] demandato domini Mathei Vicecomitis Dei gratia et cetera et comunis Vercellarum et pro

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un connestabile milanese del castrum di Caresana15; nel 1320 alcuni sti-pendiari ambrosiani erano di stanza a Salussola16; nel 1321, infine, imilanesi Bertramino e Perrino Pozzobonelli e Faciolius de Merate agi-rono in veste di capitanei, alla guida di cento pedites preposti «ad custo-diam civitatis Vercellarum»17.

c) Il governo della città: ghibellini, guelfi e popolo nel 1318

Si possono meglio precisare i contenuti della dominazione di Matteoattraverso alcune scritture del 1318, rogate dal cancellarius comunale,il fedele ghibellino Giacomo Scutario. Il 30 giugno il podestà, il mila-nese Castellano de Gluxiano, riunì il consiglio della credenza e dellaSocietà di Giustizia del Popolo (Societas Iusticie Populi) nel palazzodegli Alciati. Il giudice del rettore urbano, Grazio da Vimercate, chieseal giudice della societas, Giacomo Falconi, e al consiglio della stessa diprovvedere all’esecuzione delle direttive impartite da Matteo Visconti,«comunis Vercellarum dominus generalis», attraverso una lettera reca-pitata a Grazio e al podestà. Matteo aveva elargito un privilegio aGiovanni, ai suoi fratelli e a Gionselino, signori di Castellengo, consen-tendo loro di recuperare una somma consistente, 13.000 lire, comepagamento dei danni subiti dal castello ad opera del comune nel 1301 enel 130218.

È probabile che per il versamento della somma già Lodrisio Visconti,

utilitate maxima dicti comunis et hominum Vercellarum causa faciendi fortiliciam pre-dictam et ad honorem dicti domini Mediolani et ad honorem et utilitatem et pacificumstatum comunis et hominum Vercellarum». Al riguardo cfr. il contributo di V.DELL’APROVITOLA, in questo stesso volume.

15 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1326, luglio 30.16 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1321, agosto 20.17 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1321, agosto 24. Si tratta degli anni di

massima pressione delle forze angioine, che nel 1322 arrivarono a nominare Gastone deLomania «pro Sancta matre Ecclesia et regia maiestate in episcopatu et districtuVercellarum» vicarius et capitaneus generalis (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1832,doc. in data 1322, agosto 9: suo luogotenente era Bonifacio di Collobiano). Un deLomania, Oddeto, è menzionato nel 1332 come scutiferus caporalis angioino attivo inPiemonte (G.M. MONTI, La dominazione angioina in Piemonte, Torino 1930, BSSS 116,doc. 22, p. 373).

18 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, giugno 30: «pro emenda et resti-tutione dampnorum et sumptuum et guastorum».

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podestà di Vercelli nel 1316, avesse predisposto un estimo, ma che isignori di Castellengo non fossero stati fino a quel momento rimborsa-ti19. La questione fu oggetto di discussione nell’assemblea della socie-tas. Per primo parlò Riccardo Tizzoni, proponendo una soluzione cheaderiva in buona misura alle richieste di Matteo20. Egli suggerì di stipu-lare in consiglio un «instrumentum promissionis» a favore dei condo-mini, in cui si stabilisse il saldo dell’imposta di Lodrisio, specificandoche essa era stata decisa come rimborso dei danni e impegnando, nelcaso di insolvenza dell’interesse dovuto, il fodro su tre località vicine aCastellengo: Monte Livone, Montebruardo e Prato Celso21. Di diversoavviso era Ardizzone Avogadro di Quaregna, secondo cui, per ilmomento, bisognava soprassedere all’affare, indagando prima i dirittidel comune, poiché si diceva che i Castellengo avessero rinunciato allarifusione del danno22. Una terza posizione fu espressa da taleCodartinus Cochus, che suggerì di scrivere una carta a favore deiCastellengo, contenente l’importo tassato da Lodrisio Visconti, e dieffettuare la soluzione entro dieci anni. Messa ai voti, passò la propostadi Riccardo Tizzoni. Il podestà stabilì quindi che si versassero aGionselino e fratelli le 13.000 lire entro la festa di Ognissanti, preoccu-pandosi di far inserire una serie di clausole volte a evitare che il paga-mento fosse disatteso. In particolare, si specificò che la soluzione doves-se avvenire nonostante uno statuto della societas che imponeva il votodella credenza dell’associazione per le somme eccedenti 10.000 lire23.

19 Doc. cit.: «de dando et solvendo eisdem dominis illam quantitatem pecunie quetaxata fuit tempore regiminis domini Lodrixii Vicecomitis potestatis Vercellarum et quein instrumento seu pronunciatione dicte taxationis declaratur pro restitucione et emendadampnorum suorum».

20 Doc. cit.: «ad hoc ut mandata et gesta per ipsum nostrum dominum exequantur etsorciantur effectum dominus Ricardus de Tizionibus miles surgens ad arengaria consu-luit».

21 Tali località furono progressivamente soppiantate da Mottalciata, fondata proba-bilmente durante la dominazione angioina sulla città (al riguardo si veda il contributo diA. BARBERO, in questo stesso volume, nn. 95 e 225).

22 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, giugno 30: «dominus ArdicioAdvocatus de Quaregna consuluit quod super dictum negocium supersedeatur ad pre-sens et quod iura communis diligenter inquirantur ad defenssionem predictorum cumdiceretur dictos dominos de Castellengo de dictis dampnis fecisse remissionem et finemcomuni».

23 Doc. cit.

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Tali atti offrono la possibilità di seguire in profondità i meccanismidel governo civico negli anni di Matteo. Le lettere spedite da Milanovenivano recepite dall’apparato visconteo presente in città, che provve-deva alla loro attuazione attraverso il confronto con le istituzioni muni-cipali24. Con la disposizione, il Visconti premiava una famiglia di fede-li, i Castellengo (nel 1311, Gionselino era ricordato fra i ghibellini ver-cellesi vicini ai Tizzoni25), a scapito delle casse del comune, interrom-pendo la tradizionale politica di difesa delle prerogative urbane sul ter-ritorio da parte delle autorità municipali26.

Nei documenti del 1318 è conservata la prima menzione dell’unicasocietà popolare trecentesca, sorta durante la signoria di Matteo e scom-parsa, probabilmente, verso la sua fine, nel 132027. È possibile che pro-prio il Visconti ne avesse promosso, o comunque accettato, la creazio-ne, con l’intento di incanalare le istanze dei cives in un interlocutore isti-tuzionalizzato e controllabile. Una struttura societaria con la medesimadenominazione, Societas Iustitie, era stata istituita nel 1311 da Matteoanche a Milano, dove l’ente raccolse l’eredità della Credenza diSant’Ambrogio28. Non bisogna tuttavia trascurare le possibili sollecita-zioni provenienti dal basso: analizzando la successione degli ufficialiviscontei dal 1316 al 1321, Castellano de Gluxiano risulta l’unico pode-stà a non essere stato scelto fra i consanguinei di Matteo, che vedevanell’invio di cadetti della dinastia uno degli strumenti più sicuri per

24 A. GAMBERINI, Lo stato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali,Milano 2005, pp. 40-52.

25 I Biscioni, 1/2, a cura di G.C. FACCIO, M. RANNO, Torino 1939 (BSSS 146), doc.197, p. 32.

26 Al riguardo cfr. anche oltre, § 3.27 Un’ulteriore attestazione in ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1326, luglio

30, con riferimento a provvedimenti del 1319 e del 1320. Cfr. anche I Biscioni, 2/3, acura di R. ORDANO, Torino 1994 (BSS 211), doc. 547, p. 69. Dopo la fine della domi-nazione di Matteo si ricorda soltanto un richiamo al «generali consilio ac credenciacommunis et populi» nel 1335, contenuto nell’atto di dedizione della città ad AzzoneVisconti: I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici, a cura di R. ORDANO, Torino2000 (BSS 216), doc. 15, p. 65.

28 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia sotto Milano cit., pp. 71-72; ID.,Storia di Novara, Novara 1971, p. 323. Tale denominazione non è peraltro estranea adaltre società popolari di area piemontese: nel 1301, una Societas Iustitie è documentataad Alessandria (GUILLIELMI SCHIAVINAE Annales Alexandrini, a cura di V. FERRERO

PONZIGLIONE, in HPM, XI, Scriptorum IV, Torino 1863, coll. 1-688, qui alla coll. 283).

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garantire il controllo della città29: a Pavia, per esempio, tra il 1315 e il1319 fu podestà Luchino Visconti. A Novara, Vercellino Visconti resseil medesimo ufficio nel 1315 e tra il 1318 e il 1320; dalla medesima stir-pe discendeva Stefano, rettore nel 1318. Ad Alessandria Marco fu pode-stà dal 1315 al 1322. A Vercelli, l’incarico fu affidato nel 1316 aLodrisio, nel 1317 a Vercellino, nel 1319 e nel 1320 di nuovo a Lodrisio,nel 1321 a Stefanino30. È dunque possibile che la nomina del deGluxiano e la costituzione, forse nello stesso anno, della Societas fosse-ro state concesse da Matteo in risposta a una richiesta da parte dellapopolazione urbana di maggiori margini di autonomia, forse anche inreazione all’aggressiva politica viscontea nei confronti dei diritti muni-cipali: la questione del rimborso dei Castellengo era sorta nel 1316,sotto Lodrisio Visconti, e la clausola degli statuti societari che stabilival’intervento dell’associazione per le erogazioni superiori alle 10.000 lireparrebbe esprimere un’esigenza di supervisione della spesa pubblica daparte della cittadinanza.

Del resto, pur in un contesto disciplinato, la Società di Giustizia erain grado di esprimere posizioni articolate, che rispecchiavano l’accesodibattito presente all’interno della società urbana. Nessuna delle tre pro-poste implicava un’erogazione immediata, ma senza dubbio quella delleader ghibellino Riccardo Tizzoni era la più sollecita a soddisfare lerichieste di Matteo. Se l’intervento di Codartinus Cochus, forse porta-voce, come meglio si vedrà, di uno schieramento non inquadrato nellarete fazionaria, si limitava a suggerire una dilazione del pagamento, l’ar-ringa di Ardizzone Avogadro di Quaregna era intransigente e parrebbeesprimere posizioni filo-guelfe. Nel 1313, Ardizzone era stato tra i guel-fi vercellesi banditi da Enrico VII31. La sua presenza in città era resa

29 Egli fu, peraltro, tra i Milanesi vicini ai Visconti che nel 1322 trattarono con i lega-ti imperiali la destituzione di Galeazzo Visconti e l’assegnazione della signoria sullametropoli lombarda a Giovanni della Torre: Chronica Mediolani seu manipulus florumauctore GUALVANEO DE LA FLAMMA, in RIS, XI, a cura di L.A. MURATORI, Milano 1727,coll. 537-739, qui alle coll. 727-729.

30 R. RAO, Il sistema politico pavese durante la signoria dei Beccaria (1315-1356):«élite» e pluralismo, in «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Age», 119(2007), pp. 151-187, qui a p. 154; G. GARONE, I reggitori di Novara, Novara 1865, pp.171-175; GUILLIELMI SCHIAVINAE Annales Alexandrini cit., coll. 313-316; MANDELLI, Ilcomune di Vercelli nel Medioevo, vol. III, Vercelli 1861, p. 283.

31 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 209.

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possibile da un provvedimento del Visconti, che, al momento del suoarrivo a Vercelli, aveva pronunciato una pace fra le parti («pacem pro-nunciatam per suprascriptum dominum Matheum Vicecomitem interpartes Vercellarum»)32. Con la disposizione, Matteo aveva probabil-mente risparmiato alcuni membri di stirpi guelfe dai bandi e dalle con-fische, che pure dovevano esserci state: pochi mesi prima, in marzo,Matteo aveva ordinato la costruzione del castello urbano sui «fortaliciasive castrum» degli Avogadro33. Lo stesso Simone, tuttavia, nel 1317 erain città per riscuotere un credito di cento lire nei confronti del comunedi Viverone34. Dagli atti dell’archivio comunale emergono ulteriori testi-monianze della sopravvivenza latente di una fazione guelfa: nel 1317,l’ufficio di notaio esattore fu acquisito, dopo vari passaggi di mano, daLanfranco e Giacomo Calvi, appartenenti a una famiglia che nel 1285 enel 1311 compariva fra i sostenitori degli Avogadro35. Tra coloro cheavevano ceduto i diritti figuravano membri di discendenze guelfe comei de Moxo e gli Arborio36.

La tolleranza in città di esponenti guelfi e di una società popolare,anche se dissenzienti rispetto all’operato dei Visconti, era compensatadal saldo controllo del governo civico da parte dei fautori vercellesidella discendenza milanese: le votazioni del consiglio della Societas –di cui non è nota la composizione – premiarono la posizione di RiccardoTizzoni, che pure sembrerebbe lontana dagli obiettivi per tradizione per-seguiti dal movimento popolare. Riccardo era l’unico personaggio a cuiera attribuita la qualifica di miles: il notaio sembra rilevare, attraverso illessico della distinzione, la sua egemonia37.

32 I Biscioni cit., 2/3, doc. 547, p. 69.33 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, marzo 4.34 ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1831, doc. in data 1317, aprile 25.35 Cfr. Statuta comunis Vercellarum ab anno MCCXLI cit., col. 1477; I Biscioni cit.,

1/2, doc. 197, p. 34.36 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1317, ottobre 9. La cacciata degli

Avogadro avvenne soltanto nel 1321 (cfr. anche oltre, nota 122).37 Già impiegata nel 1314 (cfr. testo corrispondente alla nota 70), tale qualifica

divenne in seguito abituale per Riccardo: cfr. anche I Biscioni. Nuovi documenti e rege-sti cronologici cit., doc. 15, p. 65, doc. 17, p. 71; L’abbazia di San Genuario di Lucedioe le sue pergamene, a cura di P. CANCIAN, Torino 1975 (BSS 193), doc. 36, p. 157; ASV,OSA, Pergamene, mazzo 1832, 1320, maggio 21. Sul lessico della distinzione, cfr. S.CAROCCI, Una nobiltà bipartita. Rappresentazioni sociali e lignaggi preminenti a Roma

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2. La costruzione di una signoria cittadina: Avogadro e Tizzoni

Nei primi decenni del Trecento Avogadro e Tizzoni diedero avvio apeculiari tentativi egemonici. Caratterizzati da prassi politiche differen-ti, essi sono tuttavia accomunati dal basso profilo istituzionale adottato,che esprime in maniera efficace la volontà di far convivere le aspirazio-ni di affermazione personale e familiare con gli indirizzi politici tradi-zionali del comune tardo-duecentesco. La forte concentrazione del pote-re economico e politico nelle mani di pochi lignaggi e le difficoltà delcomune nelle finanze e nel controllo del territorio trovarono un puntod’incontro nella creazione di un regime ‘invisibile’ alle istituzioni daparte dei due leader fazionari.

a) L’ascesa di Simone di Collobiano

Nel 1318, Ardizzone Avogadro di Quaregna aveva espresso unaposizione in cui le motivazioni antighibelline convergevano con alcunequestioni care al movimento popolare. Pur all’interno di una propria benprecisa via egemonica, gli Avogadro in più occasioni erano riusciti a farconvivere la loro volontà di affermazione con le istanze del popolo e tal-volta persino a rappresentarle. Nel 1243 la famiglia aveva sostenuto ungoverno filo-popolare durante lo scontro con i Bicchieri e nel 1266 e nel1270 aveva offerto due suoi esponenti, Guglielmo e Filippo, alla guidadel populus e dei paratici in veste di podestà38. Gli Avogadro proveni-vano tuttavia da una tradizione di militanza nella societas aristocraticanei primi decenni del XIII secolo e anche nella seconda metà del seco-lo erano percepiti essenzialmente come magnati39.

Segnato da alleanze d’opportunità e da reciproche diffidenze, unsimile rapporto proseguì nei primi anni del Trecento, quando, dopo la

nel Duecento e nella prima metà del Trecento, in «Bullettino dell’Istituto StoricoItaliano per il Medio Evo e Archivio Muratoriano», 95 (1989), pp. 71-122.

38 A. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII, Pisa 1996, p. 66.39 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese dei secoli XII e XIII cit., pp. 63, 67-68. Sulle

scelte politiche della stirpe cfr. anche R. RAO, Politica comunale e relazioni aristocra-tiche: gli Avogadro tra città e campagna, in Vercelli nel XII secolo, IV Congresso dellaSocietà storica vercellese, Vercelli 2005, pp. 189-216. Si vedano inoltre le circostanzedella pace del 1285 (cfr. oltre, testo corrispondente alla nota 94).

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cacciata dei Tizzoni, gli Avogadro instaurarono una forma di signoriaper poco più di un decennio. Per il periodo 1302-1315 l’autorità delladinastia, in particolare del suo esponente di maggior rilievo, SimoneAvogadro, è sottolineata dalle cronache dell’epoca: secondo PietroAzario, «erat autem tunc temporis civitas Vercellarum possessa perillos de Advocatis», e a quel tempo «in ipsa civitate fuerunt leges etplebiscita coacte»40. Per l’Astigiano Guglielmo Ventura, Simone diCollobiano «tyrannice regebat»41. Per il Fiorentino Giovanni Villani eper il Milanese Galvano Fiamma, Simone era semplicemente «signoredi Vercelli», mentre per il Reggiano Pietro della Gazzata egli «posse-deva quella terra» («ipsam terram tenebat»)42. Per Giovanni daCermenate, egli era princeps «in Vercellis»: tale giudizio ispirò forseBernardino Corio, un cronista quattrocentesco che attingeva a materia-li più antichi, secondo cui il Collobiano «di Vercelle [...] teneva il prin-cipato»43.

La crescente egemonia di Simone sulla politica cittadina si segueagevolmente, anche se si deve fin d’ora sottolineare che, a dispetto dellasua tangibile percezione denunciata dai contemporanei, essa non conse-guì mai un’evidenza istituzionale, rimanendo nascosta, come moltedominazioni urbane dell’epoca, dietro l’ombra delle strutture di gover-no comunali. L’unico incarico esecutivo rivestito da Simone di cui èsopravvissuta testimonianza è quello di sapiente, esercitato nel 1302 e

40 PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. COGNASSO, Bologna, 1926(RIS2, XVI/4), pp. 18-19.

41 GUILIELMI VENTURAE Memoriale de gestis civium Astensium et plurium aliorum,in HPM, V, Scriptorum III, Torino 1848, coll. 701-816, qui alla col. 780.

42 GIOVANNI VILLANI, X, CX, 25; Manipulus florum auctore GUALVANEO DE LA

FLAMMA cit., col. 719: «Symon Advocatus domino Vercellensi»; Chronicon Regiense. LaCronaca di PIETRO DELLA GAZZATA nella tradizione del codice Crispi, a cura di L.ARTIOLI, C. CORRADINI, C. SANTI, Reggio Emilia 2000, p. 142. Anche per NICOLAI EPI-SCOPI BOTRONTINENSIS Relatio de itinere italico Henrici VII imperatoris, in RIS, IX, acura di L.A. MURATORI, Milano 1726, coll. 887-934, qui alla col. 889, Simone era domi-nus della sua città.

43 Historia IOHANNIS DE CERMENATE notarii Mediolanensis, a cura di L.A. FERRAI,Roma 1889, p. 23; CORIO, Storia di Milano cit., vol. I, pp. 593-594. Anche il Morigiaricordava «Symonem Advocatum Vercellarum tenentem primatum»: ChroniconModoetiense ab origine Modoetiae usque ad annum MCCCXLIX ubi potissimum agiturde gestis priorum Vicecomitum principum auctore BONINCONTRO MORIGIA synchrono, inRIS, XII, a cura di L.A. MURATORI, Milano, 1728, coll. 1055-1184, qui alla col. 1095.

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nel 130444. Se i consigli ristretti durante tale periodo ebbero un impor-tante ruolo decisionale, il consiglio generale, la credenza, pare convo-cato con una notevole frequenza, che si intensificò in particolar modonegli ultimi anni di supremazia guelfa, quando il dominio della città fuconferito agli Angiò45.

Ciononostante, il ruolo nella politica cittadina di Simone, così comedegli Avogadro, emerge con chiarezza e legittima la qualifica signorileattribuitagli dai cronisti coevi, i quali, del resto, non individuavano nelriconoscimento istituzionale il tratto distintivo dei domini. Egli compa-re spesso in prima posizione negli uffici esercitati, in posizione di pri-mus inter pares: apre l’elenco dei sapientes del 1302 e del 1304, cosìcome quello dei credendari che nel 1303 approvarono l’accordo delcomune con i conti di Masino46. Nel 1305 fu il primo degli otto perso-naggi che coadiuvarono il podestà Rizzardo Pietrasanta nella prepara-zione di un compromesso con i governatori del marchesato diMonferrato per la questione di Trino47. Tali annotazioni indicano un’in-fluenza sulle decisioni politiche che proseguì anche durante il dominioangioino, fra il 1313 e il 1316: nell’agosto 1314, in particolare, assie-me a Pietro Cho di Robbio, il Collobiano si recò come ambasciatore alparlamento angioino convocato dal siniscalco a Cremona48.

Il passaggio agli Angiò fu probabilmente mediato da un congiunto diSimone, il vescovo di Vercelli, Uberto: la cronaca dell’itinerario di EnricoVII lo ricorda fervente sostenitore di re Roberto, tanto che dopo esserestato consacrato a Novara nel 1312, alla presenza dell’imperatore, appenatornato nella sua città appose le insegne del sovrano napoletano («insigniaregis Roberti in Vercellis posita et in suo hospicio specialiter»)49.L’ordinario diocesano non esitò a prendere le redini della politica urbana,

44 Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea, a cura di G.COLOMBO, Pinerolo 1901 (BSSS 8), doc. 169, p. 291; I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p.285.

45 Si tratta di aspetti legati anche alle procedure stabilite dalle disposizioni statuta-rie, non facilmente ricostruibili: essi sono comunque significativi del maggiore coinvol-gimento della popolazione urbana in tale periodo.

46 Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., doc. 169, p.290; I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p. 285, doc. 148, p. 317.

47 I Biscioni cit., 1/1, doc. 136, pp. 286-288.48 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1314, agosto 30.49 NICOLAI EPISCOPI BOTRONTINENSIS Relatio cit., col. 892.

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arrogandosi la difesa della città, come ricordava un documento del 30gennaio 131350. È verosimile che egli avesse utilizzato le risorse dellachiesa eusebiana per propugnare la causa guelfa, come testimonia l’inve-stitura, effettuata il 1° gennaio 1313 a favore della città, di un feudo su cuiconvergevano ampie prerogative51. L’autorità acquisita da Uberto nellagestione degli affari pubblici è confermata da un atto del 1314, con cui gliufficiali municipali attribuirono l’esazione del fodro su sei località aGiovanni Montonaro, in pagamento di un prestito erogato per saldare ildebito dovuto al vicario di Filippo d’Acaia, Andrea della Rovere.Quest’ultimo si impegnò a sua volta a cedere a Giovanni e al comune isuoi diritti su Masserano, Rovasenda e Gattinara, cedutigli dal vescovoattraverso un instrumentum del 1° febbraio 131352.

L’ascesa di Simone di Collobiano si accompagnò a una crescentecoloritura guelfa delle magistrature cittadine, su cui si tornerà in segui-to: fin d’ora si può tuttavia accennare alla cospicua presenza di membridei vari rami degli Avogadro nelle magistrature comunali o, semplice-mente, quali testimoni agli atti di rilievo. Alcuni importanti uffici, comequelli di procuratore o di notarius camere, furono rivestiti in manierapressoché esclusiva da rampolli di eminenti discendenze guelfe, peresempio i Calvi e i Cocorella.

È, tuttavia, sul piano delle relazioni economiche fra Simone e gliAvogadro da un lato e il comune dall’altro che si possono cogliereappieno i contenuti della signoria urbana nel primo quindicennio delTrecento. Durante tale periodo gli Avogadro – che sembrano trarre lebasi della loro ricchezza, come altre signorie cittadine padane, per esem-pio i Beccaria di Pavia, dalla grande proprietà fondiaria e dall’attivitàfeneratizia53 – supplirono alla carenza di denaro del comune: esso fuprestato dalla famiglia dominante, che, se consentiva in tal modo la rea-lizzazione degli obiettivi politici municipali, ne approfittò anche per

50 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1313, gennaio 30: «cum venerabilis inChristo Patre dominus Ubertus episcopus Vercellensis et comes expenssas magnas sub-stineret pro defenssione civitatis et comunis et hominum Vercellarum ac defenssioneeiusdem civitatis».

51 I Biscioni cit., 1/2, doc. 194, pp. 20-24. Cfr. in questo stesso volume il contributodi A. BARBERO, testo corrispondente alla n. 68.

52 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1314, marzo 12.53 La vivacità economica di Simone e dei suoi congiunti è confermata da una scrit-

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assumere un marcato controllo sulle finanze urbane. Le disponibilitàeconomiche e la penetrazione negli affari comunali paiono proporsi,sotto forme non dissimili da quelle verificate per le esperienze signorilidi Guglielmo Cavalcabò a Cremona o di Romeo Pepoli a Bologna neglistessi anni, come la via privilegiata per l’affermazione del Collobianoquale principale referente politico locale, che veicolava le decisioni col-lettive e che si prendeva carico, in prima persona, di alcune necessitàpubbliche54.

I prestiti elargiti in questi anni da Simone e dagli Avogadro – maanche, in misura minore, da altri guelfi – furono assai numerosi e siaccompagnarono a importanti concessioni da parte dell’erario municipa-le ai vari rami della stirpe e, più in generale, agli appartenenti alla fazio-ne guelfa. Da una scrittura del 1308 risulta che in quell’anno il comuneaveva un debito di 900 lire con il Collobiano55. Nel 1314, FrancescoCocorella e Riccardo Avogadro erogarono alcune quantità di denaroall’erario civico, rispettivamente per una liberazione di ostaggi e persanare il processo di indebitamento («occaxione sanandi debita dicticomunis»), ricevendo in cambio alcuni appalti relativi alla riscossionedel fodro e di alcune cavalcate56. Nel settembre del medesimo anno,Simone di Collobiano versò soldi per provvedere al pagamento di unataglia imposta dal siniscalco angioino, Ugo des Baux, per pagare gli sti-pendiari del Delfino Guido57. Nel 1315, lo stesso Simone intervenne perriparare al crescente impegno di uffici municipali al fine di conseguire

tura del 1318, che impegnava l’abate di Sant’Andrea a versare 154 staia di segale «promercandia et ficto dictorum dominorum», a causa di un precedente credito di 1400 liredi pavesi elargito dal Collobiano (AST, Materie ecclesiastiche, Abbazia di Sant’Andrea,mazzo 5, doc. in data 1318, agosto 20). Un debito di Santa Maria di Lucedio con iCollobiano è attestato nel 1331 (AST, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Lucedio,Deposito Ospedale di Carità, mazzo 5, inventario delle scritture).

54 Per Romeo Pepoli cfr. M. GIANSANTE, Patrimonio familiare e potere nel periodotardo-comunale. Il progetto signorile di Romeo Pepoli banchiere bolognese (1250 c.-1322), Bologna 1991; ID., Romeo Pepoli. Patrimonio e potere a Bologna fra Comune eSignoria, in «Quaderni medievali», 53 (2002), pp. 87-112; per Guglielmo Cavalcabò cfr.P. MAINONI, «Cremona Ytalie quondam potentissima». Economia e finanza pubblica neisecoli XIII-XIV, in Storia di Cremona, Il Trecento. Chiesa e cultura (VIII-XIV secolo), acura di G. ANDENNA, G. CHITTOLINI, Cremona 2008, pp. 318-373, qui alle pp. 355-364.

55 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1308, settembre 4.56 ACV, Pergamene, mazzetta 7, docc. in data 1314, marzo 21, 1314, luglio 23.57 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 175.

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58 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1315, gennaio 7. Cfr. anche i creditielencati in Le carte dell’archivio comunale di Biella fino al 1379, a cura di L.BORRELLO, A. TALLONE, I, Voghera 1927 (BSSS, 103), doc. 162, pp. 253-256.

59 Hec sunt statuta comunis et alme civitatis Vercellarum, Vercelli 1562, ff. 145-146.Negli stessi anni, dal 1302 al 1314, gli statuti riportano numerosi affitti di beni del comune,alcuni dei quali confiscati a ghibellini, a favore di guelfi, quali Giudici, Pettenati, de Raymundo.

60 Già nel 1296, il comune aveva costruito una «turrim novam cum sua bastia» nelterritorio di Donato. La custodia era stata assegnata alle comunità di Sala, di Donato edi Magnano, previa una cospicua fideiussione di Simone di Collobiano, Guala di SanGermano e Martino di Montonario (ACV, Pergamene, mazzetta 5, doc. in data 1296,novembre 24. Per la reazione negli anni seguenti della vicina comunità di Andrate, sot-toposta al vescovo di Ivrea, cfr. ivi, mazzetta 7, doc. in data 1309, giugno 11).

61 I Biscioni, 2/1, a cura di R. ORDANO, Torino 1970 (BSS 181), doc. 63, p. 111:«cum dominus Symon Advocatus dictus de Colobiano petitionem obtulerit dominispotestati, sapientibus et comuni Vercellarum, qua petiit sibi dari per ipsum comunelocum seu circuitum loci Burgeti de Pado qui est eremus et inhabitatus, volendo ipsumlocum facere reaptari et reddificari et gentibus habitari».

62 Per un confronto, si veda la transazione tra il comune di Piacenza e Alberto Scottiper la località di Fombio (RAO, Signorie cittadine e gruppi sociali cit., pp. 680-681).

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denaro, sborsando 200 lire «super certis officiis ipsius comunis aliapignoratis»58. A inizio Trecento, inoltre, alcuni esponenti degli Avogadroricevettero case e rogge in affitto dal comune: la transazione conferma ilcanale privilegiato stabilito fra la casata e le casse municipali59.

b) Simone di Collobiano, il comune e il controllo del territorio

In alcune questioni relative al controllo del territorio risalta il nessosimbiotico venutosi a creare tra finanziamenti, necessità collettive, poli-tica comunale e affermazione signorile del Collobiano60. Nel 1306,Simone richiese al podestà e ai sapienti, reclutati in quegli anni per lopiù tra guelfi vicini all’Avogadro, di potere acquisire la villanova abban-donata di Borghetto Po, al fine di ripopolarla61. La credenza urbana, riu-nitasi per deliberare, gli concesse il villaggio in cambio di 150 lire, giàversate da Simone per il pagamento di un contingente di soldati stanziatia Trivero contro l’eretico Dolcino.

Si deve sottolineare che l’iniziativa insediativa programmata daSimone, per quanto sospinta da un tornaconto personale di incrementodei possedimenti nel territorio comitatino e resa possibile dai creditivantati nei confronti del comune, trovava una significativa convergenzacon gli interessi dell’amministrazione civica62. Quest’ultima grazie al

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Collobiano aveva provveduto alle operazioni militari contro Dolcino,aveva alleggerito il proprio debito e con la vendita di Borghetto avevacontribuito, in forma indiretta, al consolidamento del contado, ripopo-lando un abitato ubicato al confine con il marchesato di Monferrato.Sebbene nei decenni seguenti fosse andato incontro all’insuccesso, èprobabile che il progetto fosse stato effettivamente avviato: a pochi annidi distanza, nel 1310, la comunità di Morano, che nel periodo prece-dente aveva oscillato tra l’influenza marchionale e quella vercellese, sisottomise alle autorità municipali, ottenendo che i suoi abitanti non fos-sero accolti nel Burgus Crescens, il nome con cui veniva altrimenti indi-cato Borghetto Po63. Peraltro, nell’alienazione del 1306, il comune ver-cellese preservò i suoi diritti fiscali sul villaggio, che, pur ridotti a unasomma poco congrua per i successivi venti anni, forse anche in previ-sione delle operazioni di ripopolamento, l’Avogadro si impegnava aversare.

L’anno seguente, nel 1307, scoppiò una lite fra il comune e Pietrod’Azeglio per il versamento dell’estimo dell’omonimo castello64. Pietroscelse come suo procuratore Simone di Collobiano, mentre il governocivico fu rappresentato da un uomo vicino all’Avogadro, il guelfoFederico Cocorella. La disputa fu risolta nel 1308 attraverso un com-promesso, mediato dal podestà e da alcuni giurisperiti. La sentenza arbi-trale costituiva un successo per il comune, che vedeva ribaditi i suoidiritti. Essa imponeva all’Azeglio di contribuire alle responsabilità mili-tari e fiscali: egli doveva fornire una cavalaricia di un destriero e di unronzino, partecipare all’esercito generale («quocienscumque comuneVercellarum iret ad exercitum generale cum militia et populo») ed esse-re iscritto nell’estimo per 120 lire. Il dominus era tenuto a versare arre-trati per 350 lire e, in aggiunta, un emolumento di 100 lire al podestà,più una somma inferiore ai giurisperiti per il loro lavoro nella prepara-zione dell’arbitrato. Il libro delle entrate del comune non registrò tutta-via consistenti introiti: o meglio, Simone di Collobiano versò sì 100 lire«nomine Petri de Azelio pro fodris, bannis et aliis de causis quas daredebebat communi», ma le tenne per sé come compenso per la custodia

63 I Biscioni cit., 1/1, doc. 187, pp. 386-390.64 Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., docc. 172-175,

pp. 296-302.

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del castello di Casalvolone («dominus Symon retinuit in se pro custodiacastri Casaligualoni»). Il Collobiano effettuò anche un altro versamentodi 70 lire, ma pure quelle rimasero nelle sue tasche, per un non meglioprecisabile affare approvato dalla credenza: «pro contracambio domino-rum Iacobi de la Scala, Iacobi Lioris et Nicole de Monte, et hoc secun-dum reformationem consilii credencie». Solo 5 lire furono sborsatedall’Avogadro, per il consiglio prestato dai giudici65.

Al di là della mancata aderenza delle somme registrate nel libro conquelle pattuite, che potevano anche essere state dilazionate, l’incaricorivestito dal Collobiano come procuratore di Pietro d’Azeglio ricevenuova luce da tali scritture. L’Avogadro aveva offerto, con una sorta dipartita di giro, il fondamentale ruolo di mediazione affinché si potessegiungere a un accordo con un ridotto esborso di denaro. Il comune vede-va garantiti i suoi diritti giurisdizionali, con la possibilità di potere sfrut-tare in futuro le risorse fiscali e militari di Azeglio. Anche se non siconoscono i termini dell’accordo fra Simone e l’Azeglio, il Collobianoaveva stretto i suoi legami di amicizia con il signore rurale, che avevachiuso il contenzioso limitando i danni ed evitando una spesa insosteni-bile, forse indebitandosi con il signore cittadino. Si deve, inoltre, osser-vare che quando si passa dai diritti militari teorici del comune, le caval-cate imposte ai centri del contado, che potevano essere sostituite dallacorresponsione di un’imposta66, all’effettiva difesa del territorio, l’ap-porto del signore, Simone, appare decisivo nella custodia diCasalvolone così come nel ripopolamento di Borghetto Po.

Pur all’interno di un processo di indebolimento della tradizione par-tecipativa della popolazione urbana e di crescente delega delle funzionipubbliche da parte delle autorità municipali, l’affermazione di Simonepassò attraverso una relazione assai calibrata con il comune, di cuirispettò le istituzioni, le forme delle riunioni consiliari, e a cui, soprat-tutto, garantì la presa in carico di impegni finanziari e il perseguimentodi istanze condivise dalla cittadinanza.

65 I Biscioni, 2/2, a cura di R. ORDANO, Torino 1976 (BSS 189), pp. 312-313.66 Cfr. ACV, Pergamene, mazzetta 8, docc. in data 1314, marzo 21 (incanto di alcu-

ne cavalcate), 1328, gennaio 21 (all’interno degli accordi tra il comune e iConfalonieri di Villata di Candia si addiviene alla quantificazione di una cavalcata in80 lire di pavesi).

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c) Responsabilità collettive e interessi finanziari durante il vicariato diFilippo d’Acaia.

Il parallelo percorso di assunzione di responsabilità collettive efinanziarie dei capifazione può essere verificato attraverso un episodiodel 1311: in Vercelli, allora retta, assieme a Pavia e a Novara, da Filippod’Acaia, erano rientrati, a seguito di una pacificazione mediata dappri-ma da Enrico VII e quindi dallo stesso principe d’Acaia, i Tizzoni67. Sulfinire dell’anno, Filippo chiese una cospicua somma di denaro in paga-mento del suo salario e di quello dei suoi soldati, preposti alla custodiadella città, ma secondo l’Acaia talmente privi di denaro da esserecostretti a impegnare le armi, così da risultare inabili nel momento in cuifosse stato necessario combattere («cum soldati causa festi indigeantpecunia pro expensis et equos et arma habeant in pignore per hospiciaita quod dictum vicarium et comune Vercellarum servire non possent sinecessitas inveniret»). A tal fine, si decise di vendere per 1200 lire lagabella del sale a Riccardo Tizzoni e a Simone di Collobiano, che apri-vano anche la lista dei dodici sapienti del comune in carica.

L’operazione rischiava di essere assai impopolare, perché, rispetto alpassato, imponeva il monopolio comunale, eliminando la vendita liberadel prodotto e duplicandone il prezzo. L’approvazione dei due capifa-zione costituiva un tassello essenziale per la realizzazione del provvedi-mento, conseguito con importanti elargizioni: era loro concesso di ven-dere il sale senza dazi e di poter associare chi avessero voluto nell’affa-re. Tali clausole furono decise in maniera sommessa, nell’abitazione diun privato, Tixius de Arborio, dai rappresentanti dell’Acaia e dai sapien-ti. Essi si premurarono tuttavia di lasciare la ratifica formale al consigliocittadino, a cui fu assegnato il compito di appaltare l’imposta. La gabel-la fu incantata nella credenza e ceduta, per la somma convenuta, a unricco intermediario vicino alle posizioni guelfe, Nicola Riccio deMargaria, che probabilmente evitò un effettivo esborso di denaro daparte dei due leader68. Pur privi di un adeguato riconoscimento istitu-zionale, Riccardo e Simone furono individuati come figure in grado di

67 I Biscioni cit., 1/1, doc. 184, pp. 375-380; I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, pp. 31-40.68 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1311, ottobre 21.

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garantire l’efficacia della transazione e di assumersene la responsabilitàpolitica ed economica di fronte alla collettività urbana.

d) Affari e potere: i Tizzoni e l’egemonia ghibellina

Le modalità di affermazione dei Tizzoni presentano alcuni aspettianaloghi a quelli verificati per l’egemonia di Simone di Collobiano:scarsa visibilità istituzionale, leadership politica scavata all’internodelle strutture di tradizione comunale, rappresentanza delle esigenzecollettive69. Come per il Collobiano, la guida della parte costituì il tram-polino per l’ascesa di Riccardo Tizzoni. La dimensione ‘pubblica’assunta dagli organismi fazionari e il ruolo del Tizzoni fra i ghibellinisono ben espressi da una scrittura del 1314: a Crescentino, Riccardoemanò una salvaguardia dalle molestie dei fuoriusciti da lui capeggiatia favore di Santa Maria di Lucedio, intitolandosi «millex et anzianuspartis Tizionorum»70. In maniera analoga a quanto verificato per lasignoria dell’Avogadro, l’egemonia dei Tizzoni e delle famiglie ghibel-line si accompagnò a una forte penetrazione negli apparati finanziari delcomune71. Nel 1325, per esempio, alcuni importanti redditi, dalla gabel-la del sale al dazio sul vino, risultavano impegnati a Enrico Bondoni,Gionselino di Castellengo, Filippo di Sonamonte e Riccardo Tizzoni72.Inoltre, le attestazioni di emendationes equorum subirono un’impenna-ta, tanto che sembra possibile ipotizzare, sulla scia di suggestioni assainote alla storiografia italiana, che esse rappresentassero per il ristretto

69 Per più ampi approfondimenti sul ruolo dei Tizzoni a Vercelli si rimanda al con-tributo di S. POZZATI in questo stesso volume.

70 AST, Materie ecclesiastiche, Abbazie, Lucedio, Deposito Ospedale di Carità,mazzo 5, doc. in data 1314, giugno 12.

71 Come gli Avogadro di Collobiano, anche Riccardo Tizzoni risulta prestare dena-ro a enti ecclesiastici: cfr., per esempio, Le pergamene di Santo Stefano in Vercelli(1183-1500), a cura di G. BOLOGNA, Milano 1972, doc. 36, p. 59.

72 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1325, febbraio 13. Occorre comunquesottolineare che sia sotto Simone di Collobiano, sia sotto Riccardo Tizzoni un buonnumero di cospicui lignaggi popolari, slegato dalla fazione dominante, continuò a frui-re di rilevanti spazi economici nell’amministrazione municipale: è il caso di Guglielmode Masino, che operò sotto entrambe le amministrazioni (ivi, mazzetta 7, doc. in data1315, febbraio 17; ivi, mazzetta 8, doc. in data 1325, febbraio 13) o di Giovanni deEcclesia (ivi, mazzetta 7, doc. in data 1315 marzo 50).

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numero di stirpi al potere la garanzia «di uno stato sociopolitico moltovantaggioso, ma anche la possibilità di realizzare a più riprese guadagnisostanziali gonfiando o inventando di sana pianta le perdite»73. Fra il1321 e il 1327 si è conservata una ventina di rimborsi per destrieri peri-ti, che costituiscono la tipologia documentaria più diffusa tra le perga-mene comunali vercellesi di questo periodo. La relativa omogeneità deinomi dei richiedenti contrasta con il gran numero di emendationes:Giacomo Vialardi, Enrico e Uberto Bondoni, Giacomo, Ubertino eMartino de Bulgaro, Emanuele de Ripis, Perrino Scutario, GuglielmoBentivoglio, Bondono Guiscardi, Francesco Mussi, Sozzo diSonamonte, Tommaso ed Enrico Toleo costituivano anche una buonafetta dell’élite ghibellina al potere. Risalta anche la differenza di valuta-zione dei destrieri, che, se di norma si aggirava tra le 12 e le 30 lire, inpiù occasioni poteva oscillare fra le 50 e le 100, fino alle 340 reclamateda Sozzo di Sonamonte nel 132374.

Alla conservazione dell’apparato istituzionale civico, nel caso deiTizzoni si aggiunse la capacità di qualificarsi come fedeli interlocutoridei Visconti, che costituivano l’altro polo dell’esperienza egemonicadella famiglia vercellese. È emblematico di una simile bipolarità il fattoche la larvata signoria di Riccardo Tizzoni e dei magnati ghibellini siaprisse con il già citato intervento nel consiglio comunale in appoggiodi Matteo del 1318 e si chiudesse nello stesso modo, nel 1335, con l’ar-ringa che sancì la definitiva sottomissione ad Azzone, che già dall’annoprecedente era dominus della città75. Lungo tutto il ventennio di predo-minio, i Tizzoni lasciarono intatto il funzionamento dell’organismo

73 J.-C. MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e società nell’Italiacomunale, Bologna 2004, p. 176.

74 ACV, Pergamene, mazzetta 8, docc. in data 1321, agosto 6, 1322, ottobre 19,1323, giugno 23, 1323, dicembre 2, 1326, agosto 2, 1327, dicembre 23. La preoccupa-zione di speculazioni sulle emendationes è ben espressa dagli statuti viscontei, che sta-bilirono come somme massime 70 lire per destriero e 10 per ronzino, evase dai rimbor-si del periodo 1321-1328 (Hec sunt statuta comunis et alme civitatis Vercellarum cit., f.160v).

75 Per i due consigli cfr. ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1318, giugno 30e I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici cit., doc. 15, pp. 65-68. Per l’effetti-vo dominio di Azzone già dall’anno precedente cfr. I Biscioni cit., 2/3, doc. 547, p. 67.Anche il Corio ricorda che il 7 marzo del 1334, «Vercellesi dopo varii concilii unita-mente trasferirono il principato de la lor cità sotto il dominio di Azo Vesconte» (CORIO,Storia di Milano cit., vol. I, p. 733).

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municipale, governando attraverso il controllo degli uffici municipali e,quando veniva riunita, della credenza: venivano per lo più approvate learringhe pronunciate da Riccardo in consiglio, al cui successo potevarivelarsi utile anche il possesso di abilità retoriche, ma soprattutto l’au-torità di cui godevano il Tizzoni e le stirpi a lui collegate76.

Rispetto alla signoria degli Avogadro, si possono riscontrare due fon-damentali differenze: innanzitutto il minore coinvolgimento, pur nelrispetto delle istituzioni municipali, dei consigli, ristretti e allargati. Senegli anni della dominazione angioina la credenza veniva convocata confrequenza, per una tipologia di atti piuttosto varia, sotto i Tizzoni essacompare nei documenti comunali più di rado. Anche i sapienti sembra-no cambiare fisionomia in confronto al periodo di egemonia di Simonedi Collobiano, quando la magistratura, per quanto ben controllata daiguelfi, è attestata con una certa continuità77. È possibile che alcune fun-zioni rivestite dalle assemblee fossero state trasferite ai sindaci, che frail 1321 e il 1328 sono bene documentati. Non ne sono noti i meccani-smi di nomina, poiché non sono sopravvissuti atti di procura da partedella credenza, ma è probabile che, una volta effettuata l’elezione, essiagissero con ampia balia: ciò potrebbe spiegare le riunioni meno fre-quenti del consiglio cittadino.

In secondo luogo, la dominazione della fazione ghibellina ebbe uncarattere meno individuale, dando luogo a una diarchia di RiccardoTizzoni con Sozzo di Sonamonte, assai attenta alla difesa degli interes-si del gruppo di famiglie legate alla parte, quali i Vialardi, gli Scutario,i Bondoni e i de Bulgaro. Anche per tale ragione, oltre che per la forteinfluenza viscontea, un simile progetto signorile fu meno evidente diquello del Collobiano agli occhi dei cronisti coevi, anche se l’Azarioafferma che Ludovico il Bavaro «investì Riccardo Tizzoni e Sozzo diSonamonte della città di Vercelli»78.

76 Modalità di affermazione simili sono documentate per i Beccaria a Pavia, dovenegli anni Venti del Trecento Musso Beccaria tenne accese arringhe approvate in formaplebiscitaria dal consiglio cittadino: cfr. RAO, Il sistema politico pavese cit., pp. 156-157.

77 In particolare tra il 1321 e il 1329 sono documentate due sole riunioni, nel 1325,per un atto di procura (ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1325, settembre 19) enel 1326, per un lasciapassare concesso all’Ospedale di Sant’Andrea (ASV, OSA,Pergamene, mazzo 1833, doc. in data 1326, settembre 16). Per il periodo monferrino cfr.oltre, testo corrispondente alla nota 82.

78 PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia cit., p. 27: «Robaldonum et Calcinum

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La progressiva occupazione degli uffici comunali da parte deiTizzoni e dei loro aderenti appare evidente sin dagli anni della signoriadi Matteo Visconti e della nota arringa pronunciata da Riccardo nel1318. Nel 1321, Delfino Tizzoni agì come sindaco del comune, in unatto che vide presenti, in veste di testimoni, molti membri della famigliaVialardi79. Il medesimo incarico fu rivestito nel 1323 da BertolinoTizzoni, Pietro Bondoni e Giovanni Vialardi, assieme a un esponente diun lignaggio popolare, meno coinvolto nella rete di appartenenze fazio-narie, il giurisperito Aimerico Ghigalotus; nel 1326, tale ufficio fu asse-gnato in un’occasione a Giovanni Tizzoni e Pietro de Blatino e in un’al-tra a Sozzo di Sonamonte, Guglielmo Masino, Bartolomeo de Bulgaroe Uberto Bondoni; nel 1327, a Francesco Tizzoni, Giacomo Freapane,Preposito conte di Langosco e Guieto di Pezzana80.

e) Differenti piani di signoria: Tizzoni e marchesi di Monferrato

In tali circostanze la crescente presenza di appartenenti all’élite poli-tica ghibellina era stata bilanciata dall’inserimento di popolari81. Neglianni seguenti, con la discesa di Ludovico il Bavaro, si aprì una fase diinstabilità istituzionale, durante la quale i progetti egemonici dei Tizzonie delle famiglie a loro vicine si incrociarono con l’affermazione dellasignoria sovralocale dei marchesi di Monferrato e con una maggiorerichiesta di pluralismo da parte della popolazione cittadina. La cronolo-gia degli avvenimenti non è sicura: sembra comunque che Ludovico ilBavaro avesse emanato alcuni privilegi, che secondo l’Azario avrebbe-ro rafforzato il dominio dei Tizzoni e dei Sonamonte. È invece più certoche nello stesso periodo, dalla fine del 1328, Teodoro Paleologo avreb-be assunto la carica di dominus generalis, probabilmente con l’avalloimperiale, e avrebbe cercato di fare rientrare gli Avogadro82.

fratres de Torniellis, de dominio civitatis Novarie investivit, Rycardum de Tizionibus,Suzium de Sonamontis, de civitate Vercellarum».

79 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1321, agosto 24.80 ACV, Pergamene, mazzetta 8, docc. in data 1323, giugno 23, 1326, febbraio 13,

1326, agosto 21, 1327, dicembre 23.81 Per l’utilizzo della categoria di élite politica nel contesto delle prime signorie si

rimanda a RAO, Il sistema politico pavese cit., pp. 174-176. 82 Rimane valida la ricostruzione di MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo

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Il governo monferrino fu precario e non riuscì né a sovvertire le basidi potere delle discendenze ghibelline, né a consentire agli Avogadro dimettere piede in città. Nella riapertura degli equilibri di potere creatadalla difficile convivenza della signoria di Teodoro con le ambizioni deiTizzoni, la cittadinanza recuperò alcuni spazi di partecipazione cancel-lati negli anni precedenti. Nel 1331, un consiglio generale stabilì che gliuffici comunali non potessero essere assegnati se non nella credenza,probabilmente per evitare eccessive ingerenze da parte del dominusgeneralis83. Nel contempo, tornano a essere frequenti le menzioni di cre-denze generali e di consigli di provvisione, pur reclutati in buona misu-ra fra maggiorenti ghibellini84.

L’incremento di pluralismo procedette parallelamente all’afferma-zione monferrina, ma non scalzò la signoria di Riccardo Tizzoni: si devericordare che quest’ultimo aveva rapporti pregressi con il Paleologo,rafforzati da un non meglio precisabile rapporto di comparaggio85. I trepiani di dominio coesistono in maniera armonica nell’autentica di unprivilegio di Ludovico, rogata nel novembre 1329 nel luogo dove si

cit., vol. IV, pp. 192-202. Il Cognasso confuta la datazione al 1328 proposta dall’Azarioper l’emanazione dei diplomi a favore di Tizzoni e Sonamonte, collocandola nel 1327 onel 1329 (PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia cit., p. 27). Nell’ottobre 1329Ludovico emanò un diploma a favore della cittadinanza. In tale occasione ne venne con-cesso un altro che elargiva alcuni privilegi a favore dei Tizzoni per località del contado:non si può escludere che l’Azario avesse frainteso simili concessioni. Nello stesso perio-do, la città era monferrina, sicché si potrebbe desumere un sostegno del Bavaro, chericordava i meriti di fedeltà della città a tale dominazione. È, inoltre, possibile che giàtra la fine del 1327 e l’inizio del 1328 si fossero verificati patti per il rientro di alcunifuoriusciti: nel dicembre 1327, pur essendo podestà un ufficiale tratto dal circuitovisconteo, Francesco Tettoni, compare come procuratore del comune – a fianco diFrancesco Tizzoni, Giacomo Freapane e Guieto Pezzana – Preposito conte di Langosco,forse guelfo (cfr. supra, testo corrispondente alla nota 80). Nel gennaio dell’annoseguente i Confalonieri di Villata, sino a quel momento in conflitto con il comune, siaccordarono con le autorità municipali (ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1328,gennaio 21).

83 Hec sunt statuta cit., f. 162r.84 Nel 1329 (I Biscioni cit., 2/3, doc. 555, p. 79; ivi, doc. 575, p. 96), nel 1330 e nel

1331 (Hec sunt statuta cit., f. 162). «Sex sapientes» sono menzionati nel 1331 (ibidem).Un consiglio di provvisione è ricordato nel 1331 e nel 1332 (ibidem; I Biscioni cit., 2/3,doc. 556, p. 80).

85 AST, Ducato del Monferrato, Materie economiche, mazzo 8, registro dal 1322 al1325, lettera in data 1323, settembre 3: «nobili et potenti militi compatrui suo illustris-

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esercitava la giustizia. Il podestà di nomina monferrina, Ranieri diMazzé conte di Valperga, era affiancato dai «sapientes presidentes nego-tiis comunis Vercellarum», nominati sia fra membri di lignaggi popola-ri, sia tra leader della fazione ghibellina86. L’ordine del podestà fu ema-nato alla presenza di numerosi Vercellesi («pluribus civibus»), tra cuisono ricordati anche in quest’occasione, a fianco dei maggiorenti legatiai Tizzoni, alcuni populares87: l’elenco, in particolare, è aperto daRiccardo Tizzoni, unico esponente qualificato come miles88. Si notiperaltro che la famiglia, mentre apriva spazi di partecipazione in città,consolidava i domini nelle campagne, legittimati da privilegi emanatidallo stesso Ludovico89.

La signoria diretta di Teodoro Paleologo si concluse nel 1331, conla transizione affidata nel 1332 al podestà Lanfranco Mussi deiCavallazzi di Novara90. Un atto redatto nel marzo di quello stesso

simo domino Ricardo de Tiçonibus, Theodor et cetera salutem et in omnibus prosperi-tatem». Su Teodoro cfr., in particolare, i contributi contenuti nel volume «Quando venitmarchio grecus in terra Montisferrati»: l’avvento di Teodoro primo Paleologo nel VIIcentenario (1306-2006), a cura di A.A. SETTIA, Casale Monferrato 2008. È possibile chei legami fra i Tizzoni e Teodoro si fossero annodati nel 1312, quando Teodoro, già pas-sato allo schieramento imperiale, aveva retto per breve tempo Vercelli. Durante la domi-nazione angioina, il marchese si era imposto come riferimento per il fuoriuscitismo ver-cellese: significativamente nel 1315 egli concesse una salvaguardia all’Ospedale diSant’Andrea, garantendo per i «forenses Vercellarum, Casalis, Ast, Alexandrie, et aliosnostros iuratos vassallos coadiuctores et sequaces nostros ac se se reducentes in terranostra» (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1830, doc. in data 1315, febbraio 12).

86 Cfr. anche oltre, testo corrispondente alla nota 112.87 Si tratta di Giovanni Vialardi, Enrico di Masino, Ardizzone Cagnola, Pietro di

Albano, Francesco di Bulgaro, Guglielmo de Bonello, Pietro Scutario, FrancescoCordario, Giacomo de Moxo, Uberto Passardo.

88 I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici cit., doc. 17, pp. 71-74. Sullaqualifica di miles cfr. supra, testo corrispondente alla nota 37.

89 Cfr. il contributo di S. POZZATI in questo stesso volume. Il binomio tra governi cit-tadini a base popolare e privilegi imperiali di legittimazione dei possessi familiari è fre-quente sotto Ludovico il Bavaro: per esempio, per Pavia cfr. RAO, Il sistema politicopavese cit., p. 158. Per i diplomi elargiti ai Landi nel 1327, nel 1328 e, da Giovanni diBoemia, nel 1331, cfr. Archivio Doria Landi Pamphilj: fondo della famiglia Landi.Regesti delle pergamene: 865-1625, a cura di R. VIGNODELLI RUBRICHI, Parma 1984,reg. 1640, 1646, pp. 414-415; reg. 1653, p. 417; per le conferme dei possessi da parte diLudovico e di Giovanni di Boemia ai Terzi e ai Rossi, cfr. P.I. AFFÒ, Storia della città diParma, Parma 1795, vol. IV, docc. 19-20, pp. 370-371.

90 Si deve osservare che nel 1331, secondo diverse notizie cronachistiche, Vercelli si

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anno, la cui contestualizzazione rimane ancora incerta, evidenziacome il potere in città non si esercitasse più soltanto nelle sedi muni-cipali: era ben accettata l’autorità, non formalizzata in un’adeguatamagistratura di governo, di Riccardo Tizzoni e dell’élite politica ghi-bellina. Nella casa di Riccardo questi, assieme a Francesco e Giacomodi Guala Tizzoni, Guglielmo Bondoni, Girardino de Bulgaro,Ardizzone di Sonamonte e Giacomo di Verrone, promise, in base a unpronunciamento di Sozzo di Sonamonte e del frate Simone Messarola,di donare 600 lire al podestà Cavallazzi, in quanto «multa et multummagna obsequia tam tempore preterito quam presenti fecerit pro ami-cis et comuni Vercellarum»91. Non è possibile stabilire se la donazio-ne fosse effettivamente un riconoscimento a Lanfranco o se da que-st’ultimo non fosse stata in qualche modo estorta. Ad ogni modo lascrittura sintetizza in maniera efficace la funzione pubblica acquisitadai Tizzoni e dagli «amici», pur in assenza di qualsiasi configurazio-ne istituzionale negli ordinamenti municipali. Significativamente ildocumento, rogato nell’abitazione del leader ghibellino, risulta tra-mandato dall’archivio civico.

sarebbe sottomessa a Giovanni di Boemia. Secondo Galvano Fiamma, inoltre, nel 1332Vercelli fu assoggettata dai Visconti (Manipulus florum auctore GUALVANEO DE LA

FLAMMA cit., col. 734; ID., Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et JohanneVicecomitibus ab anno MCCCXXVIII usque ad annum MCCCXLII, in RIS2, XII/4, acura di C. CASTIGLIONI, Bologna 1938, p. 11; nel 1333 per gli Annales Mediolanensescit., col. 707). È difficile ricostruire la situazione di questi anni, anche se sembra chevenissero nominati podestà vicini ai Monferrato, ma non avversi ai Visconti. IlCavallazzi era già stato rettore per il marchese nel 1330 (ACV, Pergamene, mazzetta 9,doc. in data 1338, giugno 4, con legato atto del 1331, 18 aprile: «in libro fodri solidosX pro libra impositi tempore regimimis, domini Lanfrachi Mussi potestatis VercellarumMCCCXXX»). Lo stesso Cavallazzi era stato però negli anni passati inserito nel circui-to funzionariale visconteo: nel 1322 era stato podestà di Milano, nel 1321 e nel 1323 diPavia (Manipulus florum auctore GUALVANEO DE LA FLAMMA cit., col. 727; G. ROBOLINI,Notizie appartenenti alla storia della sua patria raccolte ed illustrate, vol. IV/2, Pavia1832, p. 299). Gli successe Beccario Beccaria, proveniente da una famiglia per la quale,per un periodo posteriore di poco più di un decennio, sono testimoniati legami con imarchesi di Monferrato (RAO, Il sistema politico pavese cit., p. 178). La presenza, nel1333, del podestà Uberto di Cocconato potrebbe suggerire che Vercelli non era uscitadall’orbita monferrina.

91 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1332, marzo 24. Il Messarola era mona-co e camerlengo del monastero di Santo Stefano (Le pergamene di Santo Stefano inVercelli cit., doc. 40, p. 63).

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3. Una prospettiva dal basso: la voce del comune

Dall’esame delle forme di signoria di Simone di Collobiano e diRiccardo Tizzoni emerge anche un sistema di contrappesi alla loro auto-rità, capace di costringere l’egemonia delle parti a esprimersi per lo piùnel rispetto della sovranità popolare e delle istituzioni municipali. Daiprimi decenni del Trecento, Avogadro e Tizzoni raccolsero il testimonedella tradizione comunale – rivitalizzata con le loro basi economiche emilitari di potere –, riprendendo motivi ricorrenti della politica urbana,come l’imposizione degli oneri fiscali e militari nel territorio. Il ruolodel governo civico è risultato finora soprattutto passivo: occorre antici-pare che una simile situazione non dipende soltanto dalla chiave diinterpretazione, ma pare in stretta connessione con la fisionomia socio-istituzionale di Vercelli, caratterizzata dalla fragilità del popolo. Un piùattento esame delle fonti permette, tuttavia, di evidenziare forme di par-tecipazione estese al di fuori della ristretta élite politica cittadina e inte-se ad affermare propri obiettivi politici. L’esistenza di schieramentialternativi agli interessi aristocratici sarà verificata attraverso l’esamedei consigli maggiori e minori della città e delle politiche di controllodel territorio.

a) Popolo e signoria

Più che in altri centri dell’Italia nord-occidentale, nella città eusebia-na i due schieramenti fazionari, a carattere magnatizio, riuscirono a con-seguire ampi margini di intervento sulla politica cittadina. Essi ebberocome interlocutore un populus nel complesso fragile, che, dopo unperiodo di crescita nella prima metà del Duecento, nell’ultimo quartodel secolo compare in maniera episodica nelle fonti, a indizio di unascarsa capacità di organizzazione autonoma. Negli anni Sessanta delXIII secolo, esso si strutturò come unione dei paratici, facendosi guida-re da contrapposti esponenti di primo piano del conflitto fazionario: frail 1259 e il 1263 da membri di famiglie ghibelline, quali UbertoLongario Bondoni e Bucino Tizzoni, dal 1266 al 1270 da appartenentiagli Avogadro. Già da tale periodo, che pure costituisce una fase di rilie-vo del movimento popolare, l’affermazione di quest’ultimo parrebbe inbuona misura subordinata a forme di accordo con le parti e di delega a

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queste ultime dell’iniziativa politica92. Dopo un’accentuata spinta popo-lare nel primo lustro degli anni Settanta, quando sono attestati i rectoressocietatum, dalla dominazione di Guglielmo VII di Monferrato il popu-lus, in particolare le sue componenti artigianali, paiono avere rivestitoun ruolo limitato, quale gruppo di pressione esterno sugli ordinamentimunicipali93.

Qualora si cambi scala di analisi, è tuttavia possibile ricostruire lapresenza, per quanto in tono minore, di un’espressione politica cherivendicava propri obiettivi identificabili in buona misura con la tuteladelle prerogative comunali e che, almeno in certi periodi, riuscì ad esse-re alternativa alle fazioni di Tizzoni e Avogadro. L’estensione a duratavitalizia del mandato di capitano di Guglielmo VII, nel 1285, era statadecisa dalla credenza, a cui era intervenuta una «magna universitas mili-tum et popularium»: essa era riuscita a fare giurare al marchese cherispettasse gli accordi di pace con gli Avogadro, nei quali si prevedevala protezione dei popolari dalle angherie dei magnati («et maxime popu-lares ab opressionibus magnatorum»)94. Il conferimento della leadershipcittadina al marchese si era coniugato con la domanda di tutela delpopolo nei confronti dei grandi. Il declino istituzionale delle organizza-zioni autonome di popolo non aveva implicato la rinuncia alla rivendi-cazione di una propria politica, che il governo civico, anche a guida per-sonale o signorile, doveva farsi carico di rappresentare.

Un sistema di equilibri analogo è verificabile durante l’egemonia diMatteo Visconti, negli anni Novanta del Duecento: contrariamente aquanto finora creduto, il suo avvento coincise con una minore predo-minanza delle fazioni, sia ghibelline sia guelfe, nella vita politica citta-dina e con una forma di salvaguardia nei confronti del populus, di cuiil Visconti aveva favorito l’associazione attorno alla figura del capita-no del popolo. Alla luce di una simile funzione di rappresentanza degliinteressi popolari da parte di Matteo è possibile definire meglio gli epi-sodi del quinquennio a cavallo tra il 1298 e il 1302, in particolare il

92 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 65-69. 93 DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., p. 76. Sul popolo come gruppo di pres-

sione cfr. P. RACINE, Le «popolo», groupe social ou groupe de pression?, in «Nuova rivi-sta storica», 73 (1989), pp. 133-150.

94 Statuta comunis Vercellarum ab anno MCCXLI cit., coll. 1479, 1481.

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temporaneo allontanamento dalla città, nel 1299, dei Visconti, rientratidopo pochi mesi. Il capitano del popolo è documentato per l’ultimavolta a Vercelli nel 1298, quando l’ufficio fu assegnato a un consan-guineo di Matteo, Filippo. Nel 1299, tale figura non è testimoniata enon ricompare neppure dopo il ripristino della dominazione milanese.È probabile che sul finire del secolo si fosse interrotta la sintonia fra lacittadinanza e Matteo, che aveva provato a ridisegnare in termini auto-cratici la sua egemonia95. In tale contesto politico si potrebbe anchemeglio collocare la prima attestazione del castello visconteo:Guglielmo Ventura, a dispetto dell’interpretazione erudita, non ha maiassegnato l’episodio al 1290, ma, in un passaggio scarno di riferimen-ti cronologici, soltanto all’ultimo decennio del Duecento, probabil-mente alla fine96. Un primo progetto di costruire una fortezza urbanapotrebbe avere preso corpo nel momento in cui si era deteriorato il rap-porto con il populus, immediatamente prima del 1299 oppure neglianni seguenti sino al 1302, quando, come si è visto, in un clima di con-trapposizione con i ceti popolari, il Visconti non reintrodusse la magi-stratura del capitano.

Pur all’interno di un crescente processo di delega dell’esercizio delpotere da parte della cittadinanza alle classi politiche e alle fazioni, non

95 Sono poco noti i personaggi che ressero il temporaneo governo instaurato nel1299, all’indomani della cacciata viscontea: Uberto Ghigalotus, un individuo di estra-zione popolare, fu affiancato da Francesco Mussi, membro di una casata aristocraticaattestata fin dal XII secolo, in veste di procuratore del comune (I Biscioni cit., 2/1, doc.19, pp. 41-46).

96 GUILIELMI VENTURAE Memoriale de gestis civium Astensium cit., col. 719. Inrealtà, le attestazioni documentarie rimandano con sicurezza soltanto al 1318. Un attorinvenuto dal MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, pp. 131-132 èassai ambiguo, poiché cita la distruzione di alcune case nei pressi del castrum et turrimcastri porte Servi, per cui il comune promosse un risarcimento nell’agosto 1299: non èesplicito il nesso tra costruzione del castello e distruzione delle case, che pure potrebbeessere verosimile. Anche in tal caso rimane da precisare la natura della fortificazione, seuna semplice difesa annessa al sistema delle mura in vista delle operazioni belliche dacui la città era interessata o una vera e propria fortezza urbana. Risalta, inoltre, il fattoche il provvedimento della credenza fu preso nell’agosto del 1299, quando Vercelli nonera ancora stata ripresa dai Visconti: se si dovesse ascrivere a questi ultimi l’iniziativa,essi avrebbero potuto erigere il castello immediatamente prima della loro cacciata, sic-ché la credenza avrebbe provveduto a rimborsare gli espropriati. Al riguardo cfr. il con-tributo di V. DELL’APROVITOLA, in questo stesso volume.

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si interruppe la richiesta della collettività urbana di avere un governorappresentativo delle proprie istanze. Anche se sempre meno visibile dalpunto di vista istituzionale, il popolo costrinse le fazioni a muoversi inun orizzonte sociale e a mediare le loro ambizioni egemoniche con ilrispetto degli equilibri istituzionali municipali.

b) I «communales»

L’esistenza di una terza voce, non sempre assimilabile a quella deidue contrapposti collegati di famiglie, era emersa come si ricorderà dal-l’analisi del consiglio della Società di Giustizia del 1318. In quell’occa-sione, dopo Riccardo Tizzoni e Ardizzone Avogadro di Quaregna chie-se la parola un esponente di un lignaggio poco noto, Codartinus Cochus,non preceduto, come i membri dei due importanti lignaggi magnatizi,dalla qualifica di dominus. Non essendogli attribuito alcun titolo istitu-zionale, non sembrerebbe identificabile con la figura di sindaco delcomune che nei dibattiti consiliari aveva la funzione di opporsi alladecisioni lesive dell’interesse pubblico97.

Un indizio più sicuro, in grado di individuare un terzo schieramentoin città, può essere rintracciato nella pace pronunciata nel 1311 daFilippo d’Acaia «inter Tizonos et Advocatos Vercellenses», come recitala rubrica dei Biscioni. In realtà, a dispetto di una simile denominazio-ne, gli accordi portarono alla formalizzazione di tre partiti: oltre aTizzoni e Avogadro, compaiono i «communales de dicta civitate etdistrictus»98. Prima di affrontare la questione si impongono alcune pre-cisazioni. Innanzitutto, non bisogna intendere queste liste come indica-tive di schieramenti cristallizzati. L’analisi prosopografica degli elenchimostra una notevole permeabilità, soprattutto per le discendenze di ori-gine popolare, spesso compresenti in più fazioni. I Freapane, per esem-pio, sono attestati in tutti e tre i raggruppamenti: laddove non si tratti diun caso di omonimia, Giorgio Freapane sembrerebbe pronunciare, il 18settembre 1311, un primo giuramento fra gli aderenti agli Avogadro perpoi essere elencato, il 28 settembre, fra i communales99.

97 Per un esempio coevo, cfr. RAO, Il sistema politico pavese cit., p. 157.98 I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, p. 38.99 I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, pp. 34, 38.

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L’assenza nelle fonti dell’epoca di ulteriori ragguagli sui communa-les, di cui non è nota l’epoca di formazione, che poteva anche essererecente, consente di formulare soltanto ipotesi sulla loro natura. È pos-sibile che tale partito avesse preso vita all’interno della fazione guelfa:diversi nomi sono documentati fra i sapienti reclutati durante il periododi egemonia di Simone di Collobiano100. Per alcuni di essi, come PietroCho di Robbio, è nota la militanza guelfa anche in seguito a tale data:egli sostenne la dominazione angioina nel 1313-1316 e si batté a fiancodegli Avogadro nel 1320101. Numerose stirpi, quali i Montonario, i deMoxo, i de Vassallo, i Freapane, erano inoltre compresenti sia nelle listedegli Avogadro, sia in quelle dei communales.

Sebbene non se ne possano meglio precisare i contenuti, è possibileche tale schieramento fosse fautore, come parrebbe anche indicare ladenominazione, di una politica di salvaguardia delle istituzioni comunali,che intendesse prescindere in buona misura dalle clientele familiari.L’esistenza di una divisione tra i guelfi, di cui una parte sembra sorregge-re le istanze popolari e l’altra spostarsi su posizioni magnatizie, è verifi-cabile in quegli stessi anni in diverse città dell’Italia settentrionale, comeParma, Piacenza e Cremona102. L’ipotesi di una convergenza tra guelfismoe istanze popolari troverebbe una parziale conferma nell’analisi prosopo-grafica dei communales: lo schieramento pare essere composto da alcunestirpi dell’aristocrazia rurale lomellina assai coinvolte nella militanza filo-papale – quali i da Robbio, da cui discendeva lo stesso Pietro Cho, e i daPalestro – e, soprattutto, da lignaggi abbienti di origine popolare. Gli

100 Per esempio, Gionselino da Palestro, Giuliano de Cremona, Ottone Freapane,sapientes provisionis, facevano parte di stirpi documentate tra i communales(Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., doc. 169, p. 291).Giorgio da Palestro e Giorgio Freapane, che rivestirono il medesimo incarico nel 1304,giurarono tra i communales (I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p. 285). I giurisperitiGuglielmo della Serrata e Paxino de Cremona, anch’essi communales, avevano confe-zionato il compromesso mediato dal Collobiano nel 1308 tra il comune e i signori diAzeglio. Giovanni de Moxo, infine, fu chiavaro nel 1308 (I Biscioni cit., 2/2, doc. 505,p. 312).

101 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1314, agosto 30; PETRI AZARII Libergestorum in Lombardia cit., p. 23.

102 Per la «pars antiqua ecclesie» di Parma e Piacenza cfr. RAO, Signorie cittadine egruppi sociali cit., pp. 689, 693; per Cremona si veda M. GENTILE, Dal comune cittadi-no allo stato regionale: la vicenda politica (1311-1402), in Storia di Cremona, IlTrecento cit., pp. 260-301, qui alle pp. 267-268.

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Alciati, in particolare, erano una ricca casata affermatasi sin dal XII seco-lo. Fino alla metà del Duecento, essi erano stati fra i leader della societaspopolare di Santo Stefano e durante la crisi della metà del secolo eranorimasti ancorati al populus, restando estranei allo scontro fra Bicchieri eAvogadro103. Le condanne rivolte a membri della famiglia da parte diEnrico VII potrebbero suggerire che la casata avesse assunto posizionianti-imperiali104. Erano, inoltre, communales stirpi quali gli Almonserio, ide Bertholo, i de Moxo, i da Cremona, i Ferrarotti, i di Biandrate, i dellaSerrata, i Rossignolo, i de Turriono e i Ghigalotus, di origine popolare e,talora, con un passato duecentesco di militanza nelle società di SantoStefano e della Comunità105. Potrebbe avvalorare l’interpretazione dell’e-sistenza di uno schieramento svincolato dalle reti nobiliari e promotore diuna politica a favore dell’integrità delle istituzioni comunali un passodell’Itinerario di Enrico VII, dove si ricorda che l’imperatore, entrato incittà, nominò come vicario un genovese guelfo e, dopo avere imposto lapace, ricevette il giuramento «del vescovo, dei nobili e del comune»106.

c) Rappresentanza politica e composizione sociale nei consigli cittadi-ni

Pur all’interno di una documentazione assai scarna, si può cercare diverificare in maniera sommaria l’esistenza di spinte popolari nel gover-

103 Cfr. DEGRANDI, Artigiani nel Vercellese cit., pp. 62-63.104 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., vol. IV, p. 209. Ad ogni modo,

alcuni decenni dopo, fra il 1334 e il 1335, gli Alciati risultavano in buoni rapporti con iVisconti (si vedano gli accordi stipulati in questi anni per Mottalciata, per i quali sirimanda al contributo di A. BARBERO, in questo stesso volume, n.95).

105 I Biscioni cit., 1/2, doc. 197, p. 38. Per la partecipazione di Alciati, di Biandrate,de Moxo e de Masino a tali società si veda Il libro dei «pacta et conventiones» del comu-ne di Vercelli, a cura di G.C. Faccio, Novara 1926 (BSSS 97), doc. 394, pp. 379-380; IBiscioni cit., 1/1, doc. 48, p. 142, doc. 80, p. 180. Almonserio e Rossignolo sono stirpiche entrano a far parte del consiglio cittadino durante il governo popolare degli anni1243-1246 (I Biscioni cit., 2/1, doc. 106, p. 167). I Ferrarotti, discendenti da un lignag-gio di notai, contavano tra le loro fila un iurisperitus, Giorgio (Il Libro degli Acquisti, acura di A. OLIVIERI, Roma 2009, vol. II, doc. VIII-337, p. 706). Per quanto riguarda iGhighalotus, Leonardo nel 1290 risultava essere un prestatore: Cartario del monasterodi Muleggio e di Selve, a cura di G. SELLA, Pinerolo 1917 (BSSS 85/1), doc. 92, p. 145.Uberto nel 1299 fu procuratore del comune, allora alleato di Pavia contro Milano (IBiscioni cit., 2/1, docc. 19-20, pp. 41-46).

106 NICOLAI EPISCOPI BOTRONTINENSIS Relatio de itinere italico cit., col. 892, che rac-

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no della città, capaci di coesistere con il dominio delle fazioni e in parteassimilate da queste ultime, ricostruendo le istituzioni consiliari operan-ti e la loro fisionomia sociale. Si tratta di un’indagine destinata a offri-re risultati interlocutori, sia perché le fonti riportano di rado la compo-sizione di tali organismi, sia perché non si conoscono le regole che nedeterminavano il reclutamento. Si è già detto della continuità di funzio-namento del consiglio generale, la credenza, convocata con frequenza aitempi di Simone di Collobiano e della dominazione angioina, di scarsoimpiego durante il periodo di egemonia dei Tizzoni, ma con una decisarivitalizzazione negli anni monferrini. Si è conservato un solo elenco dicredendari, relativo al 1303107. Alla riunione erano presenti 123 indivi-dui, che si identificavano in buona misura con le famiglie della classedirigente urbana. A fianco dell’aristocrazia guelfa, cittadina ma ancherurale, sono attestati numerosi lignaggi minori, provenienti per lo piùdai settori elevati del popolo: i Borromei, cospicui mercanti poco impe-gnati in politica, i della Serrata, giudici, i di Biandrate, artigiani arric-chiti, i notai Gionselino, Simone de Arro e Giacomo de Margaria, ilmagister Campanus, gli speziali Giovanni e Giacomo e tante altrediscendenze poco note108.

Rispetto al consiglio maggiore, quelli ristretti rivestirono più accen-tuate funzioni decisionali. Si tratta di organismi che ebbero larga diffu-sione nelle città comunali di questo periodo e che a Vercelli ebbero unnumero e una denominazione oscillante: sapientes, consciliarii, sapien-tes provisionis, consilium de provisione oppure, durante il periodo delvicariato imperiale di Filippo d’Acaia, consilium o sapientes de botto e,in epoca monferrina, nel 1329, sapientes presidentes negotiis comunisVercellarum109. Nei primi tempi della signoria di Simone di Collobiano,fino al 1306, i sapienti furono convocati con una certa regolarità.

conta l’entrata di Enrico VII a Vercelli: «ibidem unum vicarium de Ianua de Malosellis quiguelphi sunt dimisit, consanguineum domini comitis Sabaudie. Ibique pace inter eos factaet bona concordia receptisque fidelitatibus domini episcopi, nobilium et communis».

107 I Biscioni cit., 1/1, doc. 148, pp. 317-318.108 Per i Borromei e per il ruolo degli speciarii a Vercelli si veda il contributo di B.

DEL BO, in questo stesso volume.109 Per le attestazioni documentarie di simili consigli si rimanda alle note seguenti.

Per l’identificazione dei sapientes de botto cfr. ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. indata 1313, gennaio 30.

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Simone è sempre ricordato, attorniato da altri fedeli guelfi come TixiusArborio e da individui in seguito riportati nella lista del 1311 degli ade-renti agli Avogadro110. La presenza di lignaggi non inquadrati nella reteclientelare della stirpe dominante pare pressoché irrilevante, come quelGiuliano Cremona sapiente nel 1302, membro di una casata di originepopolare specializzata nella professione giuridica111.

I Tizzoni fecero scarso uso di una simile magistratura: dopo un’atte-stazione isolata nel 1326, essa compare nel 1329, nel 1331 e nel 1332,nel periodo della dominazione monferrina. Nel 1329, in particolare, ilrettore cittadino era affiancato dai «sapientes presidentes negotiis comu-nis Vercellarum», reclutati fra alcuni personaggi di primo piano dellafazione al comando. Si tratta di Uberto Bondoni, Tesauro Vialardi eVercellino Scutario, ma anche di individui di estrazione meno elevata e,a quanto è dato di sapere, non particolarmente legati ai Tizzoni: il giuri-sperito Ottone Lavezzi, Giacomo Ghigalotus e Pietro Bulla112. Il ruolodella magistratura potrebbe essere stato quello di creare un polo di pote-re che controbilanciasse l’autorità del Paleologo, ma fu forse anchelegato a una maggiore richiesta di partecipazione della cittadinanza, chel’arrivo di Ludovico il Bavaro risvegliò anche in altri centri, come nellavicina Pavia113. Se nel 1329 il consiglio pareva di dimensioni contenute,nel 1331 un analogo collegio, chiamato consilium de provisione, com-prendeva sedici persone114. Per il 1332, infine, si ha soltanto un accen-

110 Per esempio nel 1302 furono sapientes provisionis Simone da Collobiano,Gionselino da Palestro, Giacomo Arborio, Giuliano de Cremona, Ottone Freapane,Tixius Arborio, Tommaso de Meleto, Nigro Pettenati, Ubertino Vassallo, GiacomoRaimondo (Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., doc. 169,p. 291). Nel 1304, il medesimo incarico fu rivestito da Simone di Collobiano, TixiusArborio, Martino di Montonario, Giacomo Arborio, Giorgio da Palestro, Guala diCollobiano, Francesco Cocorella, Prevosto de Moxo, Pietro Quaregna, Pietro de Ast,Gotofredo Avogadro di Cerrione e Giorgio Freapane (I Biscioni cit., 1/1, doc. 135, p.285).

111 Per il testamento di Giuliano cfr. AST, Materie ecclesiastiche, Abbazia diSant’Andrea, mazzo 5, doc. in data 1302, dicembre 23.

112 I Biscioni cit., 2/3, doc. 575, p. 96; I Biscioni. Nuovi documenti e regesti crono-logici cit., doc. 17, p. 72. Il Lavezzi, per esempio, era fra i Vercellesi presenti all’ele-zione di arbitri fra il marchese di Monferrato e il comune nel 1306, epoca in cui que-st’ultimo era sotto gli Avogadro (Il Libro degli Acquisti cit., vol. II, doc. IX-369, p. 707).

113 RAO, Il sistema politico pavese cit., p. 165.114 Non è noto se i sei sapienti attestati nel 1329 (quattro in un’occasione, tre in

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no ai sapientes Vercellarum, forse identificabili nei personaggi, in partelegati al populus vercellese, che lo stesso anno, sotto il podestà BeccarioBeccaria, verificarono la correttezza di alcuni provvedimenti di naturadaziaria: Mazia de Turrino, Uberto Natta, Agnello Alciati, AmbrogioCarbono, Francesco Guastarello, Tesauro Vialardi, ArdizzoneCagnola115. Non si deve tuttavia enfatizzare eccessivamente tali testi-monianze, che rivelano comunque una certa stabilità e uno scarso avvi-cendamento di nomi fra i sapienti documentati nel 1326 e quelli diepoca monferrina116. Costituisce un caso a parte la situazione venutasi acreare durante il vicariato di Filippo d’Acaia, fra il 1311 e il 1312: l’a-nalisi dei dodici sapienti documentati nel 1311 farebbe intendere unaspartizione dei posti fra Tizzoni, Avogadro e communales117.

Nel complesso, il ruolo di una simile magistratura appare più esiguoche in altre realtà urbane coeve118. Le due signorie cittadine ebbero latendenza a egemonizzare i consigli ristretti o addirittura a sopprimerli,concedendo limitati spazi a individui estranei alla fazione. La convoca-zione della magistratura fra 1302 e 1306 sembra essere stata usata daSimone di Collobiano come un elemento di continuità con la tradizionepartecipativa comunale per legittimare la propria autorità119.

La frequente consultazione di una credenza dalla fisionomia socialepiuttosto aperta, per quanto confinata nei settori elevati del popolo, per-mise tuttavia la sopravvivenza, pur in maniera sommessa, di limitatispazi di pluralismo: essi furono ampliati, forse anche sulla scia di una

un’altra) rappresentassero la totalità degli appartenenti alla magistratura: è comunqueprobabile che dovessero essere più della metà perché le loro decisioni avessero validità.I loro nomi coincidono in parte con quelli del 1331 (Hec sunt statuta cit., ff. 161v-162r).

115 Hec sunt statuta cit., ff. 189v, 191r.116 I sapienti del 1326 erano Riccardo Tizzoni, Pietro Bondoni, Nicolino di

Sonamonte, Giovanni di Castellengo, Giovanni Vialardi, Enrico di Masino, EnricoTizzoni, il giurisperito Aimerico Ghigalotus, Guido Pezzana e Pietro Bulla (cfr. sopra,n. 77).

117 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1311, ottobre 21: Riccardo Tizzoni,Simone di Collobiano, Francesco de Varali iudex, Francesco Cocorella, Delfino Tizzoni,Giorgio Freapane, Giacomo Freapane, Benedetto Ferrarotti, Leonardo Ghigalotus,Martino de Montonario, Ranieri di Sonamonte, Anriotus de Masino.

118 Per un confronto con la vicina Pavia, cfr. RAO, Il sistema politico pavese cit., pp.154-157.

119 Sulla ricerca da parte dei signori cittadini del consenso delle popolazioni urbanecfr. VARANINI, Aristocrazie e poteri nell’Italia centro-settentrionale cit., p. 140.

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precisa richiesta proveniente dalla cittadinanza, dalle dominazionisovralocali, in particolare da quella angioina, da quella di Filippod’Acaia, da quella monferrina e persino dalla seconda signoria diMatteo Visconti, sebbene quest’ultima sia stata molto più accondiscen-dente nei confronti delle fazioni fedeli ed eversiva del sistema di equili-bri comunale.

d) Politiche comunali nel controllo del territorio

Un ultimo campo di verifica è quello della continuità degli obiettivipolitici comunali della prima metà del Trecento con quelli del secolopassato. Da questo punto di vista, sarebbe erroneo esasperare eccessi-vamente gli elementi di contrapposizione fra l’azione comunale, coe-rente con gli orientamenti duecenteschi, e i propositi delle fazioni, chein tale periodo identificarono in buona misura le loro possibilità di suc-cesso con l’adesione all’apparato municipale120. Sembra comunque pos-sibile ricostruire una pronunciata sensibilità dell’amministrazionecomunale nell’imposizione degli oneri fiscali e militari alle comunità eai signori del contado, anche quando questi ultimi erano stretti collabo-ratori del partito al potere.

Senza tornare sulle già ricordate situazioni di Borghetto Po e diAzeglio, il comune, pur faticando a esercitare in prima persona la dife-sa militare del territorio ed essendo in più occasioni costretto a delegar-la alle fazioni, si premurò di assicurarsi le prestazioni fiscali delle comu-nità e dei signori rurali. Sono sopravvissuti solo estratti dei libri fodro-rum del distretto redatti durante tale periodo: essi mostrano tuttavia con-sistenti introiti che dai centri delle campagne si riversavano nell’erario

120 Sulle possibilità di convergenza tra governi cittadini e fazioni cfr. G. MILANI,L’esclusione dal comune. Conflitti e bandi politici a Bologna e in altre città italiane traXII e XIV secolo, Roma 2003, pp. 431-432 e ID., I comuni italiani, Roma-Bari 2005, pp.129-139. Per le fazioni in area veneta all’inizio del Trecento cfr. G.M. VARANINI, Nellecittà della Marca Trevigiana: dalle fazioni al patriziato, in Guelfi e Ghibellini nell’Italiadel Rinascimento, a cura di M. GENTILE, Roma 2005, pp. 563-602, soprattutto alle pp.563-578. Simili considerazioni si inseriscono in un quadro storiografico che ha ormaisottratto le fazioni al «mondo del disordine», evidenziandone la capacità di regolare eorganizzare la politica (cfr., in particolare, M. GENTILE, Guelfi, ghibellini, Rinascimento.Nota introduttiva, ivi, pp. VII-XXV, soprattutto alle pp. IX-XII).

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civico121. Nel 1314, per esempio, i da Palestro, fedeli guelfi, versaronocospicui importi estimali all’amministrazione comunale angioina122. Ilpagamento delle cavalcate e dell’estimo fu, inoltre, garantito dagliaccordi con la comunità di Morano nel 1310 e da quelli con i signori diCarisio, nel 1325, e di Villata, nel 1328123. Anche qualora alcune loca-lità venissero alienate, come nel caso di Trivero, ceduta al vescovo nel1313, le autorità municipali si assicurarono che tali prerogative fosseroeccettuate dalla cessione124.

La difesa delle prerogative municipali pare essere stata elusa conmaggiore frequenza soltanto dalle dominazioni sovralocali, in particola-re da Enrico VII, da Matteo Visconti e da Ludovico il Bavaro125. EnricoVII, fra il 1311 e il 1312, esentò dal fodro Pietro d’Azeglio, contraria-mente agli accordi stabiliti con il comune nel 1308, concesseCrescentino a Riccardo Tizzoni e riconobbe a Simone di Collobiano,dietro versamento dell’ingente somma di 120.000 lire di imperiali, pienidiritti su alcune località del contado, inclusa l’esenzione dal fodro.

121 Per la riscossione del fodro a Trino e a Piverone e Palazzo cfr. inoltre I Biscionicit., 1/1, doc. 109, pp. 252-253; I Biscioni cit., 2/3, doc. 547, p. 68, doc. 559, pp. 83-85,doc. 564, pp. 90-92, . Per gli oneri versati da Motta dei Conti all’inizio del Trecento siveda invece Hec sunt statuta cit., f. 146v. Per Asigliano e Pertengo: I Biscioni cit., 2/1,doc. 64, pp. 113-114 (1290, maggio 25).

122 ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in data 1314, agosto 30.123 I Biscioni cit., 1/1, doc. 177, pp. 386-390; ACV, Pergamene, mazzetta 8, doc. in

data 1328, gennaio 21. Da quest’ultima pattuizione emerge anche, ma è cosa ovvia, chedurante il fuoriuscitismo i signori e le comunità soggette non pagavano più il fodro alcomune: i Confalonieri della Villata chiesero che non fosse conteggiato il versamentodegli arretrati dal 1321, data della cacciata degli Avogadro. In maniera analoga, gliuomini di San Germano nel 1338 si rifiutarono di saldare gli arretrati del fodro, poiché«steterunt et sunt de parte Advocatorum» e, in base alla pace imposta da Teodoro diMonferrato, non erano tenuti a versare tali somme (ivi, mazzetta 9, doc. in data 1338,giugno 4). Si deve osservare che in questi anni i fuoriusciti controllavano diverse loca-lità del contado. A Caresana, nel 1326, per esempio, un da Robbio era capitaneus (AST,Ducato del Monferrato, Feudi per A e B, mazzo 12, doc. in data 1326, ottobre 27). Nel1325, San Germano era ricordato tra i «loca periculossa et suspecta» ai quali non si pote-va accedere «sine mortis periculo propter guerrarum pericula et discrimina occurrentiaet imminentia in civitate Vercellarum et districtu» (ASV, OSA, Pergamene, mazzo 1833,doc. in data 1325, aprile 16).

124 ACV, Pergamene, mazzetta 7, doc. in data 1313, gennaio 30.125 Per le concessioni dei Visconti, oltre a quanto riferito supra, § 1, cfr. gli accordi

con i conti di Masino stipulati nel 1316 (I Biscioni cit., 1/1, docc. 160-161, pp. 339-347).

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L’imperatore assegnò contestualmente a Simone anche una rendita sullariscossione di regalie possedute in città e nella diocesi («redditus annuosquingentarum librarum imperialium annis singulis de regalibus nostrisin civitate et diocesi Vercellensi colligendos»)126. Il Collobiano, chedurante il periodo di egemonia in città era stato assai rispettoso delleprerogative municipali, approfittò della presenza imperiale per conclu-dere simili transazioni: è possibile che nel periodo precedente il con-fronto con la domanda di rappresentanza della popolazione urbana aves-se sconsigliato simili iniziative. Tali provvedimenti mantennero tuttaviaun carattere esterno: più che del rafforzamento delle signorie locali, essisembrano indicativi soprattutto dell’approccio demaniale degli impera-tori e, in misura minore, dei Visconti127.

La convergenza di interessi fra istanze cittadine e forme di egemoniasignorile nell’attuazione di una politica territoriale di stampo comunaleè espressa in maniera esemplare dal già menzionato privilegio diLudovico il Bavaro del 1329128. I Vercellesi chiesero all’imperatore laconferma dell’acquisizione effettuata dal comune, con la mediazionedel legato apostolico Gregorio da Montelongo, nel 1243, del distrettosulle località sotto la giurisdizione dell’episcopato e, in particolare, deidiritti legati all’esercizio della fiscalità, della giustizia e delle imposi-

126 I Biscioni cit., 2/2, doc. 510, pp. 318-319; AST, Archivio Avogadro di Collobianodella Motta, mazzo 36, doc. in data 1311, gennaio 27. Il documento, tramandato da unacopia del XVIII secolo, prevedeva anche la cessione del titolo comitale su tali località,probabilmente frutto di un’interpolazione successiva: cfr. A. BARBERO, Da signoria rura-le a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra il distretto del comune di Vercelli, la signo-ria viscontea e lo stato sabaudo, in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italiasettentrionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio, acura di F. CENGARLE, G. CHITTOLINI, G.M. VARANINI, Firenze 2005, pp. 31-45, qui a p.37. Più in generale si vedano i contributi di A. BARBERO, par. 3, e di S. POZZATI, in que-sto stesso volume. Cfr. anche Le carte dell’archivio comunale di Biella cit., p. 255.

127 La questione della concessione del ruolo dei poteri sovrani, in particolare del-l’impero, nella legittimazione delle signorie costituisce un tema sviluppato a fondo dallastoriografia fin dai primi decenni del Novecento: per una sintesi sull’argomento cfr. D.QUAGLIONI, Il processo Avogari e la dottrina medievale della tirannide, in Il processoAvogari (Treviso, 1314-1315), a cura di G. CAGNIN, Roma 1999, pp. V-XXIX.

128 Sottolinea i tratti di continuità fra la politica di controllo del territorio del comu-ne e quella delle signorie monocittadine G.M. VARANINI, L’organizzazione del distrettocittadino nell’Italia padana dei secoli XIII-XIV (Marca Trevigiana, Lombardia, Emilia),in L’organizzazione del territorio in Italia e Germania: secoli XIII-XIV, a cura di G.CHITTOLINI, D. WILLOWEIT, Bologna 1994, pp. 133-233, qui alle pp. 195-196.

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zioni militari («merum et mistum imperium et semplicem iurisdictio-nem, et ius fodrendi et omne ius in causis civilibus et criminalibus cumfodris, bannis, cavalcatis prestatis, exercitibus»)129. L’importante riven-dicazione territoriale si inseriva all’interno della conflittualità del gover-no civico ghibellino con l’ordinario diocesano, di posizioni guelfe, maavveniva in un preciso momento di trasformazione degli assetti istitu-zionali. Pur rimanendo la città sotto la signoria di Riccardo Tizzoni, ladominazione monferrina, appoggiata dal Bavaro, si era accompagnataall’apertura di nuovi spazi di partecipazione per la cittadinanza.

Conclusione

Gli assetti istituzionali vercellesi fra il 1290 e il 1335 sembrano attra-versati da alcune dinamiche di fondo, capaci di convivere su piani diver-si nel sistema politico cittadino. Innanzitutto, si delinea la progressivaintegrazione di Vercelli nel quadro regionale. La popolazione urbanadovette confrontarsi a più riprese con dominazioni sovralocali di matri-ce differente: angioina, viscontea, imperiale, sabauda e monferrina. Nelcomplesso, Vercelli stazionò a lungo nell’orbita viscontea. Nei momen-ti di debolezza della dinastia milanese, legati alle discese di Enrico VIIe di Ludovico il Bavaro e agli effimeri successi della Lega guelfa e degliAngiò, si aprirono spazi per cambiamenti di fronte. In tali occasioni siverificarono ‘effetti domino’, che legarono le sorti della città eusebianaa quelle dei centri circostanti: la crisi ghibellina del 1299 portò a uncambio di regime a Vercelli, ma anche a Bergamo, Pavia e Novara.L’arrivo in Italia settentrionale di Enrico VII favorì una dominazionecongiunta da parte del vicario imperiale Filippo d’Acaia su Vercelli,Pavia e Novara: reazioni simili causò la venuta di Ludovico il Bavaro.Lo slancio angioino in Lombardia nel 1312 causò dedizioni a catena aRoberto: di Asti, Casale, Pavia e Vercelli130.

129 I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici cit., doc. 17, pp. 69-74 (cita-zione da p. 73). Sulla complessa questione cfr. F. PANERO, Particolarismo ed esigenzecomunitarie nella politica territoriale del comune di Vercelli (secoli XII-XIII), in ID.,Comuni e borghi franchi nel Piemonte medievale, Bologna 1988, pp. 73-99, qui alle pp.81-95; BARBERO, Da signoria rurale a feudo cit., pp. 35-36.

130 Per un quadro d’insieme delle dedizioni agli Angiò nel 1312 cfr. MONTI, La domi-nazione angioina in Piemonte, cit., pp. 131-133.

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Più in generale, si deve sottolineare il crescente collegamento dellevicende vercellesi con le esperienze dei centri vicini: le signorie diMatteo Visconti nell’ultimo decennio del Duecento e tra il 1316 e il1321 conobbero episodi analoghi a Novara, Pavia, Piacenza,Alessandria e Bergamo131. Pur rapportandosi in maniera differente congli assetti istituzionali urbani, le forze sovralocali, quando acquisironola dominazione effettiva di Vercelli, si accompagnarono in diverse occa-sioni a importanti presenze militari: il trasferimento della giurisdizionee il controllo armato si tradussero per lo più in una nuova capacità fisca-le, con l’imposizione di pesanti esborsi alla popolazione. Filippod’Acaia, per esempio, introdusse una gravosa gabella del sale per paga-re il suo stipendio e quello dei suoi soldati.

È possibile seguire l’affermazione al vertice del governo urbano dialcune famiglie, in particolare degli Avogadro e dei Tizzoni. Si tratta diesperienze differenti, accomunate tuttavia dalla capacità di agire in sim-biosi con le istituzioni municipali, in più occasioni finanziandone lecasse (ma anche avvantaggiandosene ampiamente) e facendosi promo-tori di iniziative politiche funzionali al comune. Anche se, rispetto adaltri centri dell’Italia nord-occidentale, a Vercelli le élite che si conten-devano la scena politica sembrano essere riuscite a concentrare in buonamisura il potere decisionale, lasciando minori margini di partecipazioneal resto della popolazione urbana, una simile egemonia si espresseall’interno delle strutture costituzionali comunali. A quanto risulta dalladocumentazione, i privilegi imperiali conseguiti da tali lignaggi non riu-scirono a modificare gli assetti istituzionali e a legittimare la signoria:essi furono tuttavia in grado di corroborare le prerogative e i possessisignorili nelle campagne, in controtendenza rispetto alle tradizionalirelazioni fra domini e comune.

Si può ricostruire la sopravvivenza di una tradizione di rispetto delleistituzioni e di rappresentanza delle istanze sociali reclamata dalla citta-dinanza: in tale aspetto risiede il filo rosso in grado di collegare il siste-ma cittadino della piena età comunale con gli esiti successivi132. Una

131 Per Bergamo, cfr. BELOTTI, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi cit., vol. II, pp.84-87.

132 Cfr. VARANINI, Aristocrazie e poteri nell'Italia centro-settentrionale cit., pp. 125-130, 134-143.

Comune e signoria a Vercelli (1285-1335)

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simile tradizione a Vercelli risulta meno evidente che altrove, a causa diun movimento popolare nel complesso fragile, che appare scarsamenteistituzionalizzato e che emerge in maniera discontinua nelle fonti. Perquanto risalti per lo più in chiaroscuro, è verificabile per tutto il perio-do preso in considerazione la richiesta dei ceti popolari di una politicacomunale non asservita agli equilibri familiari e attenta a istanze piùgenerali, soprattutto per quanto concerne l’estensione della fiscalitàurbana, il controllo del territorio e l’integrità delle istituzioni municipa-li. I progetti egemonici delle famiglie maggiori e delle dominazionisovralocali furono costretti a confrontarsi con le sollecitazioni prove-nienti dalla popolazione urbana, talora supportandole o accogliendoleparzialmente, nel caso degli Avogadro, degli Angiò e della dominazio-ne dei Tizzoni, talora, come per Matteo Visconti, cercandone una piùrigorosa istituzionalizzazione, attraverso la creazione di magistraturepopolari controllate. In particolare, è stato possibile evidenziare l’esi-stenza di sinergie nell’ultimo quarto del Duecento fra alcune domina-zioni territoriali, quali quelle di Guglielmo di Monferrato e MatteoVisconti, e il populus vercellese, che le vedeva come elemento di prote-zione e di garanzia nei confronti delle violenze magnatizie.

Ne risulta un quadro complesso e mutevole, che non consente ecces-sive semplificazioni nell’individuazione dei rapporti di forza. Il periododi transizione verso la dominazione di Azzone Visconti non è né l’epo-ca dell’arbitrio signorile, né quella della sopravvivenza dell’egemoniapopolare duecentesca, soltanto mascherata dietro il conferimento dellaleadership cittadina ad alcuni potenti. Si tratta piuttosto di una fase dimetamorfosi, che, a dispetto degli elementi di continuità e della persi-stente legittimità dei quadri di governo creati dagli ordinamenti munici-pali, propone dinamiche originali.

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SIMONETTA POZZATI

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LA FAMIGLIA TIZZONI NELLA POLITICAVERCELLESE DALLE ORIGINI

ALLA DEDIZIONE DEL 1335

1. Il nucleo familiare tra XII e XIII secolo

I Tizzoni, destinati a capeggiare per secoli una delle due fazioni incui si divide l’aristocrazia vercellese, non appartengono al gruppo dicives che dà origine all’istituzione comunale: come molte altre famigliecittadine, essi appaiono sulla scena politica alla fine del XII secolo, inuna fase di allargamento del consiglio di Credenza. I primi ad affacciar-si alla vita politica sono Dromone e Delfino, figli dell’eponimo Tizzone,attestati come membri della Credenza per molti anni a partire dal 11841.Questa improvvisa comparsa nel ceto politico cittadino – di Tizzone inrealtà non sappiamo quasi nulla – pone il problema delle origini dellafortuna familiare.

La presenza di Dromone, nel 1186, a un arbitrato del console di giu-stizia Ardizzone Alciati, in una causa che coinvolge il capitolo di S.Eusebio, farebbe propendere per la sua appartenenza al gruppo degliesperti di diritto2. Questa attestazione è infatti più significativa di quelche si potrebbe credere a prima vista. I testimoni dell’arbitrato sono ungiudice, Lantelmo de Marcho, un membro della famiglia de Iudicibus,Tealdo, poi Dromone “et alii”: segno, come minimo, che il Tizzoni era

Abbreviazioni: ACV = Archivio Storico del Comune di Vercelli; AST = Archivio diStato di Torino; ASV = Archivio di Stato di Vercelli; BRT = Biblioteca Reale di Torino;OSA = Archivio dell’Ospedale di Sant’Andrea

1 Il libro dei «Pacta et conventiones» del comune di Vercelli, a cura di G.C. FACCIO,Novara 1926, p. 296, doc. 273.

2 Le carte dell’archivio capitolare di Vercelli, a cura di D. ARNOLDI, G.C. FACCIO, F.GABOTTO, G. ROCCHI, Pinerolo 1914, p. 183, doc. 470. Ardizzone Alciati sentenzia suuna questione tra Manfredo, prevosto della chiesa di S. Eusebio, e “presbiterum deMarello” per una terra sita sulla riva del Sesia, ordinando che la terra sia restituita al pre-vosto.

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uno dei personaggi considerati di maggior rilievo rispetto ad altri pre-senti, e forse anche di una sua vicinanza al gruppo dei giurisperiti citta-dini. Questo dato resterebbe solo un’ipotesi, se non fosse che nel 1197Dromone è attestato come console di giustizia, e che negli anni succes-sivi occuperà la stessa carica almeno altre due volte3. Appare quindiplausibile che all’affermazione della famiglia abbia contribuito ancheuna formazione giuridica di alcuni suoi esponenti; mentre non pare chei Tizzoni siano caratterizzati dall’attività notarile: alcuni di loro sarannoattestati come notai, ma solo nel Quattrocento inoltrato4.

Già nella generazione di Dromone e Delfino la famiglia sembra avvi-cinarsi nei comportamenti al gruppo dei milites cittadini. Nel febbraio1192, in seguito a una prolungata protesta popolare, i consoli avvianoun’inchiesta al fine di individuare quali beni comuni, situati in due areedel suburbio vercellese, fossero detenuti in modo indebito e da chi. Ipossessori espropriati in questa occasione, che evidentemente si eranoavvalsi della propria influenza per privatizzare illegalmente quote deicomunia, sono per lo più enti ecclesiastici o membri dell’aristocraziamilitare cittadina; è dunque significativo trovare fra loro ancheDromone Tizzoni5. Di lì a poco, la crescita politica della famiglia è con-sacrata dall’accesso al consolato del comune: Delfino è console nel

3 Su questo si veda A. BARBERO, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercellinel XII secolo, in Vercelli nel secolo XII. Atti del quarto congresso storico vercellese,Vercelli 2005, pp. 217-309, alle pp. 304 e 308.

4 Sul ruolo dei giudici all’interno delle aristocrazie comunali obbligatorio è il riferi-mento a J.-C. MAIRE VIGUEUR, Gli «iudices» nelle città comunali: identità culturale edesperienze politiche, in Federico II e le città italiane, a cura di P. TOUBERT e A.PARAVICINI BAGLIANI, Palermo 1994, pp.161-176. Per il caso vercellese, si veda A.DEGRANDI, Vassalli cittadini e vassalli rurali nel Vercellese del XII secolo, in “Bollettinostorico-bibliografico subaplino”, XCI (1993), pp. 5-45, alle pp. 30-36.

5 Pacta et conventiones cit., pp. 128 sgg., doc. 60. Il recupero fu promosso e inco-raggiato direttamente dal movimento popolare, che trovava espressione e appoggio poli-tico nella società di S. Stefano, i cui vertici peraltro, spesso coinvolti nell’appropriazio-ne indebita, escono assai danneggiati da tale operazione. Tra il 1202 e il 1209 alcunedelle famiglie inquisite nel 1192 protestano per l’acquisizione da parte del comune, daloro considerata illegittima, di terre che essi dichiaravano di loro proprietà. In questavicenda, i Tizzoni compaiono non come parte in causa, bensì come testimoni, oppure trai consoli di giustizia, ai quali è stato affidato il giudizio delle cause (op. cit., pp. 134-186, docc. 61-100). Per l’interpretazione di questa azione del comune del 1192 si vedaR. RAO, I beni del comune di Vercelli, Vercelli 2005, pp. 23-43, sp. p. 37.

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1196, e Dromone per l’anno 1205-12066. Il pieno conseguimento di quelprestigio sociale, che si accompagna tanto alla qualificazione giuridicaquanto alla condizione cavalleresca, sarà poi confermato col più giova-ne cugino Federico, credendario dal 1199 al 1236, e tre volte console digiustizia: è lui il primo dei Tizzoni ad essere indicato col titolo di domi-nus nell’elenco dei credendari del 12247.

La presenza dei Tizzoni nella vita politica cittadina non diminuiscecol passaggio al comune podestarile: pur essendosi affermati alquantotardi, i Tizzoni si erano inseriti stabilmente nel gruppo dirigente vercel-lese, venendo costantemente rappresentati da almeno un membro all’in-terno del consiglio di Credenza8. Alla vigilia dei conflitti di parte chespaccarono l’aristocrazia vercellese dagli anni Quaranta del XIII seco-lo, la famiglia era presente già da due generazioni ai vertici delle istitu-zioni cittadine, anche se il suo peso non era certamente paragonabile aquello di altri grandi nuclei parentali come gli Avogadro o i Bicchieri.Curiosamente, però, la preminenza dei Tizzoni si limita alle sole magi-strature comunali, perché essi sono del tutto assenti non solo dall’epi-scopato vercellese, ma anche dai canonicati della cattedrale, contraria-mente a quelli che diverranno i loro avversari storici, ovvero gliAvogadro. Un fatto, questo, da segnalare come peculiare della famiglia

6 I Biscioni, I/3, a cura di R. ORDANO, Torino 1956, p. 78, doc. 516. Il 15 agosto 1196Delfino Tizzoni e Corrado Avogadro, consoli del comune, ricevono da parte di GiliusQualia una terra con casa vicino alla porta Aralda, nella zona della chiesa di S. Eusebio.Per Dromone, si vedano gli atti editi in Pacta et Conventiones cit., p. 336, doc. 337 e p.342, doc. 341.

7 L’attestazione di Federico del 9 febbraio 1224 è citata da Francesco Panero, secon-do il quale, per questo atto, “l’unica conclusione possibile (…) è quella di ritenere chesiano qualificati come domini gli individui di ascendenza militare, oppure possessori didiritti signorili acquisiti, che siano al tempo stesso capifamiglia e quindi detentori, deiure, di tali diritti signorili” (F. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli. Dalle origini delcomune alla costituzione dello studio (1228), in L’università di Vercelli nel Medioevo.Atti del secondo congresso storico vercellese, Vercelli 1994, pp. 77-165, p. 164, nota194), mentre Alessandro Barbero ricorda che, anche a Vercelli come in altre città italia-ne, il ceto dominante cittadino non si definiva in base all’addobbamento rituale, ma soloin base al possesso e all’uso dei cavalli da guerra (BARBERO, Vassalli vescovili cit., p.267, nota 164, e J.-C. MAIRE VIGUEUR, Cavalieri e cittadini. Guerra, conflitti e societànell’Italia comunale, Bologna 2004, p. 347).

8 Per gli intervalli tra una magistratura e l’altra, si veda V. MANDELLI, Il comune diVercelli nel medioevo: studi storici, IV voll., Vercelli 1857-1861, I, p. 15.

La famiglia Tizzoni nella politica vercellese

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fin dall’inizio, ma non certo da collegare a una troppo anticipata mili-tanza ghibellina dei Tizzoni e alla loro contrapposizione agli Avogadro,che, come vedremo tra poco, non è riscontrabile a livello documentariofin dopo la metà del XIII secolo.

2. Il ruolo dei Tizzoni nella prima e nella seconda guerra civile vercellese

I Tizzoni sono sempre stati presentati dalla tradizione storiograficacome gli immediati successori dei Bicchieri alla guida dello schieramentoghibellino dopo la morte di Pietro Bicchieri nel 1250. Tra il 1243 e il 1254,in realtà, i Tizzoni si dimostrano piuttosto defilati dalla politica comunale,e l’individuazione del loro profilo politico non è priva di oscillazioni. In unprimo momento, infatti, essi appartengono al gruppo delle grandi famiglievercellesi che appoggiano la politica popolare degli Avogadro di acquisi-zione del districtus vescovile. Nei primi mesi del 1243 Giovanni Tizzoni èconsole della società di S. Stefano: in questa veste partecipa alle decisioniprese dai consoli delle società e da quelli del comune in vista del passag-gio di Vercelli dallo schieramento imperiale a quello papale9; partecipainoltre alle riunioni con Gregorio da Montelongo che precedono la vendi-ta formale del districtus nell’aprile 124310. Quando poi i Bicchieri vengo-no banditi nell’estate di quell’anno11, i Tizzoni rimangono in città, mostran-do così di non poter essere ancora identificati con la loro parte. Quandoperò nel 1249 i Bicchieri rientrano e vengono cacciati gli Avogadro12, iTizzoni continuano ad essere attestati in Vercelli: è il primo possibile indi-zio di adesione alla parte filoimperiale, nel quadro, comunque, di un note-vole spirito di adattamento alle varie contingenze politiche.

A conferma della fluidità delle parti in questo periodo possiamo porta-re il caso dei Pettenati, anch’essi attestati in Vercelli il 16 marzo 124913,

9 Statuta communis Vercellarum ab anno MCCXLI, Statuta et documenta nova, acura di G.B. ADRIANI, in Monumenta Historiae Patribis, XVI, Leges Municipales II-2,Torino 1876, docc. 12-16.

10 ACV, Pergamene, m. 3, n. 149.11Documenti dell’archivio comunale di Vercelli relativi a Ivrea, a cura di G.

COLOMBO, Pinerolo 1901, p. 201, doc. 124.12 Statuta cit., coll. 1306 segg.13 I Biscioni, a cura di R. ORDANO, II/1, Torino 1970, p. 216, doc. 131. Si tratta di una

compravendita tra il comune e Ardizzone e Giovanni Pettenati di alcuni mulini siti nelle vici-nie di S. Lorenzo e S. Agnese. RAO, I beni del comune cit., pp. 185-186.

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ovvero in un momento in cui gli Avogadro sono banditi dalla città; mentredi lì a pochi anni saranno elencati tra i più fedeli alleati degli Avogadro,proprio nel momento in cui costoro rimangono estrinseci dopo la pacifica-zione del 125414. Le contemporanee e ininterrotte presenze in città sia deiPettenati sia dei Tizzoni in un periodo di così repentini rivolgimenti politi-ci mostrano assai chiaramente come sia lo schieramento filopapale siaquello filoimperiale fossero ancora ben lontani dalla struttura fissa e rigidache spesso è stata loro attribuita in questo momento. È quindi da nonsopravvalutare la permanenza dei Tizzoni in città all’epoca del primobando contro gli Avogadro, anticipando così la successione politica dellafamiglia nella guida dello schieramento filoimperiale subito dopo la mortedi Pietro Bicchieri, nel 1250, in un periodo in cui non appare neppure cosìsolida la loro adesione a questa parte15. Il primo indizio indiretto di unruolo significativo assunto dai Tizzoni nella vita politica del comune aguida ghibellina si ha soltanto nel 1252, quando il comune stanzia dei fondiper riscattare i cavalli di “dominus Iacobus de Tizzone” che erano statiimpegnati per conto del comune stesso16.

Alla pacificazione del 1254 segue un periodo di concordia cittadinarotto solo nel 1265, con l’arrivo di Carlo d’Angiò e il rientro di Vercellinell’orbita milanese. Nel 1266 viene assassinato il podestà vercellesePagano della Torre17: i Tizzoni vengono accusati di aver partecipato alfatto, e sono dichiarati malesardi18, ma non sono ancora identificaticome i capi dei ghibellini vercellesi. Tale riconoscimento avviene solo

14 Statuta cit., coll. 1491-1500. Si veda anche l’atto con cui, nel 1249, il conte pala-tino Enrico di Lomello, podestà di Vercelli, vende a Lanfranco Pettenati una casa nelvicus di S. Donato, mostrandoci ancora una volta “gli ottimi rapporti che intrattenevacon la fazione imperiale allora, e da breve tempo, a capo della città a danno della fazio-ne guelfa capeggiata dagli Avogadro” (A. OLIVIERI, I Pettenati nel Tardo Medioevo.Produzione documentaria e cultura archivistica in una famiglia dell’aristocrazia ver-cellese tra XIII e XIV secolo, Tesi di Dottorato di Ricerca in Storia Medievale, Torino1996, p. 33). A testimoniare la familiarità dei Pettenati con ruoli di responsabilità nelleistituzioni comunali, monopolizzate in quel momento da parte ghibellina, sta anche chiriceve il pagamento di Lanfranco, il clavario del comune, Ardizzone Pettenati.

15 Statuta cit., col. 1584.16 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., I, p. 319.17 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., III, p. 38.18 Compendium seu index documentorum omnium quae in Archivio civitatis

Vercellarum et in regestis seu voluminibus sequentibus in pergamenta continetur ordinequidem chronologico servato, a cura di S. CACCIANOTTI, Vercelli 1868, p. 216.

La famiglia Tizzoni nella politica vercellese

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il 24 agosto 1271 quando Giacomo giura fedeltà “pro se et parte extrin-seca Vercellarum” al re di Castiglia, che sta coordinando intorno a sé eal marchese di Monferrato, suo genero, i ghibellini italiani19. Solo a par-tire da quella data dunque i Tizzoni possono essere definiti la famigliaghibellina più importante di Vercelli, anche se a comandare davverosono prima il marchese di Monferrato, nominato capitano a vita dellacittà nel 128520, e poi i Visconti che, alla sua morte, si sostituiscono inin-terrottamente a lui nell’egemonia politica fino alla fine del secolo.

Le fonti mostrano una grande intraprendenza economica dei Tizzoniper il periodo compreso tra il 1286 e il 1301. Ad occuparsi degli affaridi famiglia sono soprattutto Giacomo Berloffa e Delfino, zio e nipote,che costituiscono un binomio quasi indivisibile. Li si ritrova impegnatinella gestione di un vasto patrimonio immobiliare, protagonisti di com-pravendite e affitti21, preoccupati di accrescere la ricchezza familiare inmolteplici modi: ottenendo dal comune di Vercelli concessioni di terrein cambio di affitti annui22; gestendo i beni della chiesa di S. Cristoforodi Vercelli23; naturalmente col prestito ad usura24.

3. La cacciata dei Tizzoni da Vercelli

La coesistenza di guelfi e ghibellini, prima sotto il marchese diMonferrato poi sotto i Visconti, viene meno alla fine del Duecento.Secondo Mandelli, a scuotere la pace che regnava a Vercelli fin dal 1285sono nuovamente circostanze esterne, imputabili questa volta alla setedi dominio, ma forse soprattutto di vendetta, del marchese Giovanni I,figlio di quel Guglielmo VII morto nelle prigioni alessandrine. Già nel

19 Annales Placentini Gibellini, in MGH, Scriptores, XVIII, a cura di G. H. PERTZ,Hannover 1863, p. 553.

20 Statuta cit., col. 1467-1484.21 AST, Provincia di Vercelli, m. 8, 20 maggio 1293, 1 novembre 1293; BRT, Fondo

Scarampi-Tizzoni, c. 2462, 16 aprile 1298; AST, Provincia di Vercelli, m. 8, 22, 23, 29ottobre 1299: in questi tre atti, Giacomo Tizzoni nomina suo procuratore il nipoteDelfino. Si veda anche in ASV, OSA, Pergamene, m. 1828, 3 maggio 1308, dove inrealtà viene riassunta una serie di prestiti che Giacomo Berlofa e Delfino hanno con-cesso tra il 1293 e il 1298.

22 CACCIANOTTI, Compendium seu index cit., p. 232, 3 e 4 maggio 1289.23 AST, Provincia di Vercelli, m. 8, 16 aprile 1293 e 9 giugno 1293.24 ASV, OSA, Pergamene, m. 1832, 13 febbraio 1324.

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1299 il marchese e gli Avogadro si alleano, cacciando nel marzo di quel-l’anno il podestà filovisconteo Musso da Monza25.

Non ci sono prove documentarie che nel 1299 vengano cacciati anchei Tizzoni: una buona parte delle fonti cronistiche fissa infatti l’esilio deighibellini vercellesi al marzo 130126. È da rilevare che il 6 e 7 maggio1301 Giorgio Tizzoni, giudice e console di giustizia, pronuncia presso ilbanco di giustizia di Vercelli una sentenza a favore dell’ospedale di S.Andrea: il cognome di questo personaggio è però accompagnato dallaqualifica de Laude, il che porterebbe piuttosto a pensare a una curiosaomonimia27. A dimostrazione invece che l’esclusione dal comune aVercelli colpisce solo i maschi delle famiglie bandite, è da segnalare ilmatrimonio celebrato nel 1304 tra Agnese, figlia di Giacomo BerloffaTizzoni, e Uberto Vassallo, membro di una famiglia guelfa già attestatafra gli esiliati del 128528: si tratta senza alcun dubbio di un’unione poli-tica e certamente finalizzata a una riconciliazione tra le due parti. Assentedal gruppo dei testimoni del contratto di nozze qualunque membro ricon-ducibile al clan dei Tizzoni, in quel momento extrinseci, mentre sonopresenti solo aderenti allo schieramento guelfo, a cominciare daGiacomo Vassallo e Pietro Avogadro di Quaregna.

4. Enrico VII e il primo trentennio del Trecento

L’esilio dei Tizzoni dura fino all’arrivo di Enrico VII in Italia. RiccardoTizzoni, esule da Vercelli da nove anni, si preoccupa immediatamente di

25 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., IV, p. 127.26 Su tutti, si vedano GUGLIELMO VENTURA, Chronicon Astense, in Antiche cronache

astesi, Asti 1978, col. 720, e GALVANO FIAMMA, Manipulus Florum, in Rerum ItalicarumScriptores, XI, Mediolani 1727, cap. CCCLIX, p. 716. Mandelli ci attesta che i Tizzoniesuli da Vercelli si rifugiano a Milano presso Matteo Visconti: MANDELLI, Il comune diVercelli cit., IV, p. 135 e note corrispondenti.

27 ASV, OSA, Pergamene, m. 1826. Come ha dimostrato Heers per il caso genovese,l’aggiunta di un altro cognome sottolinea la provenienza da un altro nucleo familiarerecentemente ammesso in un consortile più importante; raramente quest’uso si conservanelle generazioni successive alla prima. J. HEERS, Il clan familiare nel Medioevo: studisulle strutture politiche e sociali degli ambienti urbani, Napoli 1976, p. 123.

28 AST, Provincia di Vercelli, m. 8. Giacomo concede a sua figlia una dote di 500lire metà in beni immobili e l’altra metà in contanti. Il giorno delle nozze, Uberto siimpegna a donare alla moglie 25 lire.

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fargli conoscere la sua lealtà: per questo motivo gli scrive il 28 maggio1310 da Trento, dove forse si era spinto proprio per avvicinarsi all’impe-ratore, promettendo di fargli da scorta in tutte le tappe del suo viaggioverso Milano29. In dicembre il corteo imperiale giunge a Vercelli, doveEnrico impone una pacificazione generale, giurata dalle parti tra il 15 e il16 del mese30, ordina che gli esuli ritornino in possesso dei loro beni, ponesotto il bando imperiale tutti coloro che romperanno il giuramento di man-tenere la pace. Probabilmente in questa occasione l’imperatore nomina ilfedele Riccardo Tizzoni vicario di Cremona e gli concede la signoria delborgo di Crescentino, sottraendolo al districtus della città di Vercelli31.

Neanche un anno dopo, nel settembre 1311, il vicario imperiale diVercelli, Filippo d’Acaia, deve intervenire per pacificare le parti con unnuovo arbitrato, che riprende quasi integralmente quello giurato nel131032. Ma ormai l’equilibrio tra le parti è rotto: la datazione topica diuna seduta del consiglio di Credenza del 6 febbraio 1312, avvenuta nonnel palazzo del comune, né quello nuovo né quello vecchio, bensì nellacasa di uno dei nobili di parte guelfa, Tixio di Arborio, “ubi nunc tene-tur et fit regimen Vercellarum”33, porta a pensare che in quel momento

29 Heinrici VII Constitutiones, in MGH, a cura di J. SCHWALM, Hannover 1906, IV, p.306. L’assenza di Riccardo dal Vercellese, del tutto priva di giustificazioni o di altre atte-stazioni, è ancora più curiosa se pensiamo che i guelfi, appena prendono il potere, proi-biscono a chiunque di uscire dai confini del vescovato vercellese. D. CAPELLINA, I Tizzonie gli Avogadri. Saggio di storia vercellese dalla venuta di Arrigo VII sino alla cadutadella repubblica esposta con documenti, Torino 1842, pp. 16-17.

30 I Biscioni, I/1, a cura di G. C. FACCIO, M. RANNO, Torino 1934, p. 375, doc. 184.31 Non è conservato l’atto di nomina a vicario di Cremona di Riccardo Tizzoni, che

però viene attestato in questa veste il 5 agosto 1311: W.M. BOWSKY, Henry VII in Italy.The Conflict of Empire and City-State. 1310-1313, Lincoln 1960, p. 113 e note corri-spondenti. In occasione di questo incontro vercellese, l’imperatore investe RiccardoTizzoni del feudo di Crescentino. Cfr. il saggio di Alessandro Barbero in questo stessovolume, p. 432.

32 I Biscioni, I/2, a cura di G.C. FACCIO, M. RANNO, Torino 1939, p. 31, doc. 197. Lecause di questo nuovo scontro, dopo così poco tempo dalla pacificazione imperiale, nonsono state riportate a livello documentario, ma non è certo da scartare l’interpretazionedata da Avogadro di Vigliano, che afferma che i ghibellini “reclamando un numero mag-giore di cariche cittadine, furono di bel nuovo attaccati dagli Avogadro e dai loro seguaci,quindi sopraffatti ed ancora una volta cacciati dalla città”: F. AVOGADRO DI VIGLIANO,Uberto Avogadro di Nebbione e Valdengo vescovo di Vercelli (1310-1328), in Pagine distoria vercellese e biellese, a cura di M. CASSETTI, Vercelli 1989, pp. 2-15, p. 6.

33 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., IV, p. 139. Non risulta quindi molto attendi-

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l’egemonia degli Avogadro e della loro pars sulla città sia assoluta.Stando al cronista astigiano Guglielmo Ventura, tra il luglio e l’agostodel 1312 a Vercelli iniziano nuovi scontri: un terzo della città è incen-diata, i Tizzoni hanno la peggio e sono cacciati, mentre SimoneAvogadro “tyrannice gubernabat”. Egli si oppone anche all’imperatore,che vuole far rientrare in città gli esiliati Tizzoni: Enrico viene battuto,e i Tizzoni rimangono esuli34.

Alla notizia della ripresa delle ostilità tra i vercellesi, il conteGuarnerio di Homberg, capitano generale della Lombardia, chiamatodai Tizzoni accorre a Vercelli con l’aiuto dei milanesi35. Riportatamomentaneamente la pace, il conte Guarnerio entra in urto col vicarioFilippo d’Acaia: per questo si rende necessario un arbitrato pronuncia-to dal vescovo di Lione, dal delfino Guido e dalla contessa di Savoia, iquali stabiliscono che sia Filippo, sia Guarnerio devono lasciareVercelli, seguiti da diciotto della parte dei Tizzoni e dodici di quelladegli Avogadro, e impongono una tregua di due mesi. Appena ripartitol’Homberg, Filippo di Langosco, alleato dei guelfi, fa sì che si riaccen-dano gli scontri: entra in Vercelli e incendia le case dei Tizzoni col favo-re del vescovo Uberto Avogadro36. Il 14 luglio 1313 Enrico VII dichia-ra ribelli e posti al bando dell’impero la città di Vercelli, SimoneAvogadro e Filippo di Langosco, che vengono privati di “ogni privile-

bile l’affermazione di Cognasso, basata esclusivamente sulla condanna pronunciata daEnrico VII del luglio 1313, secondo la quale i Tizzoni sarebbero stati cacciati da Vercellinon prima dell’aprile 1313. Si veda P. AZARIO, Liber gestorum in Lombardia, a cura diF. COGNASSO, in Rerum Italicarum Scriptores, n. ed., XVI, Bologna 1939, p. 18, nota 7.

34 Chronicon Astense cit., col. 780.35 Op. cit., col. 782. 36 Op. cit., ma anche PIETRO DA RIPALTA, Chronica Placentina. Nella trascrizione di

Iacopo Mori (MS PALLASTRELLI 6), a cura di M. FILLIA e C. BINELLO, Piacenza 1996, p.94, che riporta come nell’agosto 1312 ci fosse in Vercelli una nuova fase della guerracivile definita “grande e implacabile”. In aiuto dei guelfi accorrono la contessa diSavoia, Filippo d’Acaia, e Filippo di Langosco, mentre per i ghibellini arrivano MatteoVisconti e suo figlio Marco, il marchese del Monferrato e Guarnerio di Homberg. Dopo49 giorni di guerra le parti decidono di sottostare all’arbitrato della contessa di Savoia,del marchese di Monferrato e di Filippo d’Acaia, rifiutato solo da Filippo di Langosco.L’imposta pacificazione prescrive innanzitutto che escano da Vercelli “tutti quelli cheerano venuti da fuori”. I Visconti pongono il loro campo nei pressi di Bulgaro, l’odier-na Borgo Vercelli; il campo viene assaltato dal Langosco, che, “simulans se esseMarcum Vicecomitem” (sic), riesce ad entrare in Vercelli, facendo aprire le porte ai

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gio, grazia, ragione, franchigie, libertà”37; ordina inoltre che la città diVercelli sia distrutta dalle fondamenta, e che paghi una multa di 6000lire. Se le condanne pronunciate non vengono eseguite, è solo per lamorte improvvisa dell’imperatore, che non era ancora riuscito a prende-re la città38.

5. Il ritorno dei Visconti a Vercelli e l’anno terribile: il 1320

La morte di Enrico VII permette alla parte guidata da SimoneAvogadro di rimanere al comando delle istituzioni vercellesi almenofino al maggio 1316, quando Matteo Visconti viene eletto “signoregenerale della città e distretto” di Vercelli, e iniziano ad essere attestatipodestà di Vercelli membri della famiglia Visconti39. C’è motivo di pen-sare che sebbene i Visconti siano alla testa del ghibellinismo italiano, inquesto caso l’alleanza con Vercelli sia stata negoziata con i guelfi loca-li; inoltre, anche se le più importanti cariche del comune sono in manoviscontea, i Tizzoni non sono attestati in Vercelli prima del giugno 131840.

Nel luglio 1320 arriva in Piemonte Filippo di Valois, che tenta diinstaurare la propria dominazione anche in Vercelli, provocando così

guelfi che cacciano i ghibellini. Analizzando la cronaca piacentina, Gabotto afferma chenell’arbitrato ivi riportato Filippo d’Acaia è il rappresentante dei guelfi, mentre il mar-chese del Monferrato agisce come delegato dei Tizzoni: solo la contessa di Savoia, quin-di, sarebbe stata la reale mediatrice: F. GABOTTO, Storia del Piemonte nella prima metàdel secolo XIV (1292-1349), Torino-Firenze-Roma 1894, pp. 243-244. TeodoroPaleologo in questo momento sostiene i ghibellini vercellesi: questa sua scelta politicaè confermata anche da un documento del 1315 con il quale egli promette protezione almonastero di S. Andrea di Vercelli su alcuni luoghi, dando ai suoi uomini la possibilitàdi “andare, stare, lavorare e tornare sicuramente, pur di non offendere il marchese, i fuo-riusciti di Vercelli e i loro aderenti, e non favorirne gli avversari”. MANDELLI, Il comu-ne di Vercelli cit., IV, p. 176. Mandelli riporta anche, rifiutandolo piccato, il giudizio dialcuni autori lombardi che mostrano come Filippo d’Acaia, invece di svolgere il propriocompito di vicario imperiale, “maneggiasse a mezza via tra i guelfi e i ghibellini”, accu-sandolo di favorire i primi piuttosto che i secondi, op. cit., p. 140.

37 GABOTTO, Storia del Piemonte cit., pp. 73.38 Op. cit.; BOWSKY, Henry VII in Italy cit., p. 182, e AVOGADRO DI VIGLIANO, Uberto

Avogadro cit., pp. 6-7.39 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., IV, pp. 178-179, e AZARIO, Liber gestorum

cit., p. 18.40 Si veda l’intervento di Riccardo Rao in questo stesso volume.

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nuovi scontri di strada tra Tizzoni e Avogadro41. Pietro Azario ci rac-conta di una città posseduta per tre quarti dagli Avogadro, mentre laquarta parte era occupata dai Tizzoni e dai loro alleati. Dobbiamo imma-ginare Vercelli anche fisicamente divisa tra le due parti, che avevanooccluso alcune strade con muri e travi e altre barriere atte a separare net-tamente la città; solo la porta di S. Stefano era in mano ai ghibellini42,mentre le altre erano controllate dai guelfi che notte e giorno le teneva-no aperte controllando e filtrando chi entrava e chi usciva43. SimoneAvogadro il 1 agosto 1320 riunisce la propria parte nel palazzo vesco-vile e non nel palazzo del comune, perché questo, sito nella parte di cittàsotto il controllo dei Tizzoni, risulta parzialmente distrutto dai sassi lan-ciati dai ghibellini44. Da un mese i Tizzoni subiscono un assedio che licostringe a cibarsi solamente di fave45: in loro aiuto i Visconti invianoun contingente di soldati tedeschi, che pongono l’assedio a Vercellinella zona compresa tra il fiume e la città46. Contemporaneamente aitedeschi, si accampa presso Vercelli anche Filippo di Valois, chiamatodagli Avogadro, che gli promettono in cambio del suo aiuto l’enormecifra di 10000 fiorini d’oro47.

A questo punto la situazione subisce uno stallo di alcuni mesi, duran-te i quali non arrivano gli aiuti al francese, bensì ai Tizzoni: da Novaraarrivano i cavalieri e i fanti radunati dai figli di Matteo Visconti, che nelfrattempo aveva compreso come ottenere la vittoria evitando una vera epropria battaglia. Dopo soli tre giorni, Filippo di Valois viene prelevato daun soldato inviato da Matteo, che lo conduce in luogo segreto. Cosa sisiano detti i due non è riportato da alcuna fonte, ma sta di fatto che Filippotoglie il campo per ritornare in Francia48. Il Ventura e l’Azario sono con-cordi nell’affermare che Matteo ha comprato la partenza di Filippo; ma,

41 Chronicon Astense cit., col. 805.42 AZARIO, Liber gestorum cit., p. 23 e segg.43 Op. cit., p. 22.44 Archivio di Stato di Biella, Archivio Avogadro di Valdengo, pergamene Avogadro

di Collobiano (cartella unica).45 AZARIO, Liber gestorum cit., p. 22.46 Op. cit., p. 22.47 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., IV, p. 145.48 Chronicon Astense cit., col. 805.

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mentre Ventura si limita a dire che Matteo ha pagato “molti fiorini”,Azario è più preciso, dicendo che, durante questo “murmuramentum”Matteo Visconti ha pagato due botti piene di soldi d’argento49.

Vercelli rimane in balia dei Tizzoni e delle truppe viscontee, che asse-diano gli Avogadro asserragliati nelle loro torri cittadine. Sfiancato da unassedio di circa sei mesi, Simone Avogadro, anche per aver salva la vitadei suoi, è costretto ad arrendersi, e raggiunge un accordo con i figli diMatteo Visconti: ai ghibellini vengono cedute tutte le fortezze detenutedai guelfi vercellesi. A garanzia dell’accordo, Simone e altri dodici mag-giorenti della sua parte sono condotti prigionieri a Milano da MatteoVisconti50. Il vescovo Uberto Avogadro, che tanto si era adoperato persalvare i suoi, è costretto a fuggire nottetempo verso Biella, tradizionaleroccaforte dei vescovi vercellesi, dove morirà nel 132851.

6. Il legame dei Tizzoni con i Visconti e l’accusa di eresia

Nonostante alcune contraddizioni dovute all’occasionale presenza incampo di altri giocatori, come l’imperatore Enrico VII o il principed’Acaia, durante i primi venti anni del Trecento la relazione tra Tizzonie Visconti si rinforza sempre più, sino a raggiungere una sorta di ratifi-ca formale per via matrimoniale, con l’unione tra Uberto Tizzoni eBernardina Visconti. Non sappiamo quando siano state decise e cele-brate le nozze; del contratto di matrimonio ci resta solo una sinteticamemoria inserita all’interno di un documento più tardo rogato l’8 mag-

49 Op. cit. e AZARIO, Liber gestorum cit., p. 23, ma anche MATTEO VILLANI,Chronica, a cura di G. PORTA, Parma 1995, lib. IX, cap. 108. Per il giudizio della tradi-zione erudita sul comportamento di Filippo di Valois, MANDELLI, Il comune di Vercellicit., IV, pp. 144-148, GABOTTO, Storia del Piemonte cit., pp. 98-99, ma anche G.TABACCO, La casa di Francia nell’azione politica di Papa Giovanni XXII, Roma 1953,pp. 198-199. Bisogna pure ricordare che c’è chi ha parlato di uno scambio di doni, che“diedero lo spunto ai cronisti del tempo, ignari di quel che è trattativa diplomatica, diparlare di corruzione del principe francese da parte degli astuti Visconti”. F. COGNASSO,L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano, V, La signoria deiVisconti (1310-1392), Milano 1955, p. 135.

50 Ampio il dibattito in sede erudita sulle circostanze della morte di Simone diCollobiano. L’ipotesi più fondata è che egli sia morto nel 1322 prigioniero di MatteoVisconti, e traslato in un secondo momento nella chiesa vercellese di S. Marco, sita nelquartiere degli Avogadro. MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., IV, pp. 154-160.

51 AVOGADRO DI VIGLIANO, Uberto Avogadro cit., pp. 13-14.

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gio 1324, ovvero la richiesta formale presentata a Guala Tizzoni, erededi Uberto, da Ludovico e Gaspare Visconti, figli di Pietro e fratelli diBernardina, per la restituzione della dote della sorella, rimasta vedova,di 1500 lire imperiali52.

La relazione con i Visconti, se certamente ha giovato molto aiTizzoni dal punto di vista politico, militare e di prestigio, in almenoun’occasione si è rivelata una fonte non piccola di guai: mi riferiscoall’accusa di eresia avanzata da papa Giovanni XXII contro MatteoVisconti, un’accusa dalla quale devono difendersi anche i Tizzoni. I fattisono noti: Giovanni XXII considera il ghibellinismo una dottrina anti-papale, anticlericale, una vera e propria eresia da colpire come conce-zione e come costruzione politica. Nel gennaio 1317 il papa invia inItalia due frati di grande autorità, il francescano Bertrand de La Tour eil domenicano Bernard Gui, per intimare sotto pena di scomunica aMatteo Visconti di deporre il titolo di vicario imperiale ricevuto daEnrico VII: nonostante Matteo ubbidisca all’ordine papale, il 4 gennaio1318 viene comunque scomunicato. E da scomunicato morirà, il 24 giu-gno del 1322, dichiarato eretico e scismatico da Giovanni XXII53.

In questo contesto matura l’inchiesta che colpisce anche gli alleati diMatteo Visconti, in un primo momento non toccati dall’accusa di eresia.Il 6 aprile 1322 Aicardo, arcivescovo di Milano, Barnaba, priore dellaprovincia della Lombardia superiore dei frati minori, e Pasio di Vedano,inquisitore, invitano a comparire gli aderenti ai Visconti di varie localitàdella pianura padana: tra questi troviamo citati anche i loro alleati ver-cellesi, primi fra tutti Riccardo, Guala, Enrico, Giacomo Berloffa eDelfino Tizzoni, oltre a molti della loro parte54. Lo scopo dichiaratodegli inquisitori è capire se e quanto gli alleati dei Visconti siano comeloro da considerare eretici, e in caso affermativo decidere come proce-dere nei loro confronti. Questa fase del processo inizia in un momentoparticolarmente delicato per il fronte ghibellino: approfittando dellamalattia di Matteo Visconti, Giovanni XXII spera forse di spezzare il

52 BRT, Fondo Scarampi-Tizzoni, c. 2467.53 Chronicon Astense cit., coll. 806-812, e F. COGNASSO, I Visconti, Milano 1966, pp.

124-133.54 G. FERRARIS, La pieve di Santa Maria di Biandrate, Vercelli 1984, p. 669, doc. 1.

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fronte avversario. Esattamente un mese dopo, il 6 maggio, è pronuncia-ta la condanna: il gruppo di vercellesi è scomunicato ufficialmente e incontumacia, giacché si è ben guardato dal comparire al cospetto degliinquisitori55.

Ci si può chiedere, a titolo di ipotesi, se non sia proprio in questocontesto che nasce il falso breve con cui papa Clemente V nomine-rebbe nell’agosto 1307 i Tizzoni fra i protagonisti principali della cro-ciata contro fra’ Dolcino56, arso vivo in Vercelli all’inizio di giugnodello stesso anno. In un momento tanto delicato come quello nato daun’accusa di eresia, forse i Tizzoni si sono preoccupati di cercareprove evidenti, o in loro assenza di crearne, per mostrare la loro tota-le adesione alla ortodossia cattolica, e soprattutto la loro fedeltà allaSanta Sede: e quale prova migliore della loro partecipazione a una cro-ciata contro gli eretici57? E poco importa che in quel momento iTizzoni fossero esuli da Vercelli e in rottura aperta con il vescovo e gliAvogadro, i veri protagonisti della crociata. La falsificazione non sem-bra comunque ottenere il risultato sperato: i Tizzoni vengono scioltidalla scomunica solo nel 1328, e presumibilmente dopo l’elezione daparte di Ludovico il Bavaro dell’antipapa Niccolò V, avvenuta il 12maggio di quell’anno. Non che i Tizzoni si fossero improvvisamentescoperti guelfi: molto più semplicemente, se pensiamo che il loroappoggio al Bavaro non aveva prodotto risultati evidenti e importanti,il riavvicinamento al papa può essere loro apparso un atto di opportu-no realismo politico58.

55 Op. cit., p. 676, doc. 3.56 Carte valsesiane fino al secolo XV conservate negli archivi pubblici a cura di C.G.

MOR, Torino 1933 (BSSS 124), p. 171, doc. 67.57 Si deve concordare con Ordano, che nel 1972 ha dimostrato la falsità di questo e

altri documenti che si riferiscono alle vicende della lotta contro Dolcino, e ha bollatol’atto dell’11 agosto 1307 come “tanto grossolano da rasentare il ridicolo”, mentreCognasso lo definisce una “spudorata falsificazione”. R. ORDANO, Dolcino, in“Bollettino Storico Vercellese”, I (1972), pp. 21-36; a p. 36 Ordano dichiara di avervolutamente trascurato nella redazione dell’articolo tre documenti pubblicati in F.TONETTI, Storia della Valsesia e dell’alto Novarese, Varallo 1875, pp. 350-353. Si vedaanche F. COGNASSO, Storia di Novara, Novara 1975, p. 303.

58 GABOTTO, Storia del Piemonte cit., p. 125 e MANDELLI, Il comune di Vercelli cit.,IV, pp. 197-198.

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7. Il ruolo dei Tizzoni nella dedizione ai Visconti del 1335

Dal 1322 al 1328, dunque dalla morte di Matteo Visconti alla calatadel Bavaro, Vercelli è rimasta saldamente in mano ai ghibellini: lo dimo-stra chiaramente la serie dei podestà del comune, tutti appartenenti allafamiglia dei Visconti, o ad essi legati59. Per questi anni rimane testimo-nianza di una sola riunione del consiglio di Credenza, convocata il 16settembre 1326 su ordine del podestà Ottone Visconti, per discutere del-l’imposizione di alcuni dazi60. Nell’elenco dei credendari sono attestatisolo membri di famiglie ghibelline: Riccardo Tizzoni, Pietro Bondoni,Nicolino di Sonomonte, Giovanni di Castellengo, Giovanni Vialardi,Enrico di Masino, Enrico Tizzoni, Aimerico de Ghigalotis giudice,Guido di Pezzana, Pietro Bulla.

Per quanto riguarda la politica vercellese di Ludovico il Bavarorimandiamo all’intervento di Riccardo Rao, in questo stesso volume:noi ci limiteremo a ricordare che l’imperatore cerca di favorire condiverse concessioni i suoi alleati vercellesi, primi fra tutti i Tizzoni, eche secondo l’Azario avrebbe addirittura investito Riccardo Tizzoni eSucio de Sonomonte della città di Vercelli, un’affermazione di cui nonè facile stabilire la portata61. Dopo il fallimento del Bavaro la situa-zione politica non accenna a semplificarsi, e la discesa di Giovanni diBoemia scombina ulteriormente gli schieramenti. A Vercelli vienenominato podestà per il secondo semestre del 1331, in rappresentanzadel marchese del Monferrato, il suo bastardo Giovanni, che instauraun regime di fatto dittatoriale, coadiuvato da 12 credenzieri da luinominati, tutti appartenenti allo schieramento ghibellino: RiccardoTizzoni in primis62, ma anche Giorgio Tizzoni, attestato tra i consoli di

59 Op. cit., pp. 160-161.60 ASV, OSA, pergamene, m. 1833.61 Nel 1328 l’imperatore Ludovico il Bavaro investe Riccardo Tizzoni e Sucio de

Sonamonte della città di Vercelli (AZARIO, Liber gestorum cit., p. 311); nel 1329 i figlidi Giacomo Berloffa, Bertolino e Francesco, ricevono da Ludovico, forse in un tentati-vo estremo di tener legati a sé alleati tanto fedeli, boschi e gerbidi posti nella diocesi diVercelli tra le località di Ronsecco e Tricerro come risarcimento per aver combattutonelle schiere imperiali, BRT, Fondo Scarampi-Tizzoni, c. 2468.

62 Essi sono: Riccardo Tizzoni, Giovanni Vialardi, Enrico di Masino, Pietro diMandello, Francesco Vialardi, Francesco Tizzoni, Pietro di Albano, Ottone Lavezio,

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giustizia del comune63. Sebbene la signoria del marchese di Monferratofosse scaduta nel dicembre del 1331, è evidente come la presenza diGiovanni di Boemia in Italia l’abbia di fatto, se non di diritto, prolun-gata fino al 1334. Il 2 aprile viene ancora attestato come podestà un per-sonaggio legato al marchese, mentre il successivo 18 aprile AzzoneVisconti, podestà di Vercelli, viene nominato signore generale dellacittà64.

Neanche un anno dopo, il 26 settembre 1335, nel palazzo del comu-ne di Vercelli, durante una riunione del consiglio di Credenza, RiccardoTizzoni, “unus ex consciliaris dicti conscilii”, provvede a far sì che ilconsiglio di Credenza acconsenta a concedere tutta la potestà, il mero emisto impero e tutta la giurisdizione che compete al comune di Vercellial “magnifico et potenti domino domino Azoni Vicecomiti, generalidomino Mediolani, usque ad vitam”, ratificando formalmente la premi-nenza viscontea e palesando l’egemonia ghibellina, pur in un clima dipacificazione già avviato all’inizio dell’anno, quando Azzone, forteforse di un vasto consenso, concede diritti e risarcimenti agli Avogadro,tra i quali pure gli eredi di Simone Avogadro66. Anche in questo caso,come già nel 1334, è evidente che sono stati i Tizzoni a manovrare perquesto rivolgimento, per non perdere i privilegi acquisiti durante lasignoria di Teodoro Paleologo, in un momento in cui, essendosi il mar-chese nuovamente alleato con i guelfi, i ghibellini sentivano il pericolodi un riorientamento marchionale in grado di influire anche sugli equi-libri politici interni alla città67.

Aymerico de Ghigalotis, Guglielmo di Masino, Giovanni della Motta, Pietro Bulla,Pietro Scutario, Enrico Tizzoni, Giacomo Tizzoni e Tesauro Guidalardi. Per la seduta del28 agosto 1331, MANDELLI, Il comune di Vercellli cit., III, p. 47.

63 AST, Provincia di Vercelli, m. 8. Giorgio Tizzoni de Laude è attestato come con-sole di giustizia anche il 26 maggio 1330 (AST, Abbazia S. Andrea di Vercelli, m. 6).Ovviamente non possiamo essere del tutto certi che si tratti dello stesso personaggioattestato nel 1301, ma la persistenza del doppio cognome lo suggerisce: sopra, n. 27.

64 MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., IV, p. 196.65 Statuta cit., coll. 1499-1506.66 AST, Archivio Avogadro di Collobiano della Motta, mazzo 65, 15 gennaio 1335.

Si vedano anche I Biscioni cit., I/1, doc. 185.67 Tale è il giudizio dato da GABOTTO, Storia del Piemonte cit., p. 29.

Simonetta Pozzati

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PAOLO GRILLO

Università degli Studi di Milano_________

ISTITUZIONI E PERSONALE POLITICO SOTTO LA DOMINAZIONE VISCONTEA (1335-1402)

Il Trecento visconteo non ha goduto di grande fortuna, né fra gli stu-diosi vercellesi, né, più in generale, fra chi si è occupato della storia ita-liana dell’epoca. Dopo gli studi del Cognasso1, in particolare, l’atten-zione verso la famiglia milanese e i suoi domini si è concentrata soprat-tutto sull’epoca del ducato e a lungo si è interpretata l’età precedentecome un semplice, lungo prodromo ai più maturi sviluppi in senso sta-tale compiutisi sotto Gian Galeazzo e Filippo Maria. Solo di recente,alcuni ricercatori hanno iniziato ad occuparsi del XIV secolo2, ma anchefra costoro bisogna osservare che pochi si sono spinti prima degli annidi Galeazzo e Bernabò (ossia, prima del 1354)3 e che la maggior parte

1 Soprattutto F. COGNASSO, Note e documenti sulla formazione dello stato visconteo,in “Bollettino della Società pavese di storia patria”, XXIII (1923), pp. 23-169 e ID.,L’unificazione della Lombardia sotto Milano, in Storia di Milano della fondazioneTreccani degli Alfieri, V, La signoria dei Visconti (1310-1392), Milano 1955, pp. 3-567.

2 P. MAINONI, Economia e politica nella Lombardia medievale. Da Bergamo aMilano fra XIII e XV secolo, Cavallermaggiore 1994, M. DELLA MISERICORDIA,Dividersi per governarsi: fazioni, famiglie aristocratiche e comuni in Valtellina in etàviscontea (1335-1447), in “Società e storia”, 86 (1999), pp. 715-766, A. GAMBERINI, Lostato visconteo. Linguaggi politici e dinamiche costituzionali, Milano 2005. Una primaricognizione è fornita da G. CICCAGLIONI, Ricerche recenti sulla Lombardia viscontea,in “Società e storia”, 107 (2005), pp. 141-155.

3 Indispensabili per la prima età signorile sono le importanti ricerche di C. STORTI

STORCHI, Aspetti generali della legislazione statutaria lombarda in età viscontea, inLegislazione e società nell’Italia medievale. Per il VII centenario degli statuti di Albenga(1288), Bordighera 1990, pp. 71-101, EAD., Giudici e giuristi nelle riforme viscontee delprocesso civile per Milano (1330-1386), in Ius Mediolani. Studi di storia del diritto mila-nese offerti dagli allievi a Giulio Vismara, Milano 1996, pp. 47-187, EAD., FrancescoPetrarca: politica e diritto in età viscontea, in Petrarca e la Lombardia, Atti del Convegnodi studi, 22-23 maggio 2003, a cura di G. FRASSO, G. VELLI, M. VITALE, Roma-Padova2005, pp. 77-121. Da un altro punto di vista, spunti interessanti offre anche P. BOUCHERON,Tout est monument. Le mausolée d’Azzone Visconti à San Gottardo in Corte (Milan, 1342-1346), in Liber largitorius. Études d’histoire médiévale offertes a Pierre Toubert par sesélèves, a cura di D. BARTHÉLÉMY, J.-M. MARTIN, Genève 2003, pp. 303-329.

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degli studi è stata dedicata alla parte orientale del dominio (ossia quellasoggetta a Bernabò): conosciamo dunque bene il governo di Bergamo,Reggio Emilia o Cremona4, ma mancano ricerche aggiornate per quasitutti i comuni occidentali5.

Le ricerche più recenti hanno avuto il grande merito di sottolinearela non linearità dello sviluppo del dominio visconteo, la pluralità dellescelte a disposizione di ognuno dei membri della famiglia, le differenzedi ideologia e di comportamento politico che contraddistinsero i diversisignori succedutisi al potere6. Per i primi due terzi del secolo, però,rimangono ancora quasi sconosciuti i modi con cui il dominio stessoveniva governato, i rapporti che intercorrevano tra i Visconti, Milano ele altre città soggette, i gruppi sociali con i quali i nuovi signori aveva-no contatti privilegiati e quelli che rischiavano di venir penalizzati7, lacapacità di intervento del nuovo potere nel consolidare o nel modifica-re i rapporti pregressi fra i comuni urbani e i loro contadi e, più in gene-rale, la percezione che i Visconti avevano del territorio a loro sottomes-so, ossia se questo venisse pensato come un’unità organica, come unasommatoria di distretti differenti o una semplice estensione della prece-dente area di egemonia milanese8.

4 P. MAINONI, Le radici della discordia. Ricerche sulla fiscalità a Bergamo tra XIIIe XIV secolo, Milano 1997, A. GAMBERINI, La città assediata. Poteri e identità politichea Reggio in età viscontea, Roma 2003, M. GENTILE, Dal comune cittadino allo statoregionale: la vicenda politica (1311-1402), in Storia di Cremona. Il Trecento. Chiesa ecultura (VIII-XIV secolo), a cura di G. ANDENNA, G. CHITTOLINI, Cremona 2008, pp.260-301.

5 Con l’eccezione di alcune aree periferiche o di località minori: Metamorfosi di unborgo. Vigevano in età visconteo-sforzesca, a cura di G. CHITTOLINI, Milano 1992, Glistatuti medievali di Monza. Saggi critici, Milano 1993, DELLA MISERICORDIA, Dividersiper governarsi cit., P. GRILLO, Istituzioni e società fra XII e XV secolo, in Storia diVoghera, I, Dalla preistoria all’età viscontea a cura di E. CAU, P. PAOLETTI, A.A. SETTIA,Voghera 2003, pp. 165-224, ID., Bra sotto il dominio visconteo, in Storia di Bra dalleorigini alla Rivoluzione francese, a cura di F. PANERO, I, Savigliano 2007, pp. 280-294.

6 GAMBERINI, La città assediata cit., pp. 18-20.7 Per l’età di Bernabò e di Gian Galeazzo si veda invece MAINONI, Economia e poli-

tica cit.8 Una prima ricognizione in quest’ultima direzione è offerta da F. CENGARLE, Le

arenghe dei decreti viscontei (1330ca-1447): alcune considerazioni, in Linguaggi poli-tici nell’Italia del Rinascimento, a cura di A. GAMBERINI, G. PETRALIA, Roma 2007, pp.55-88.

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In quest’ottica, è parso utile concentrare l’attenzione su un aspettoparticolare, ma estremamente significativo della dominazione, studian-do il personale politico destinato a governare Vercelli a nome deiVisconti. In Italia, tale filone di ricerche ha ormai dimostrato le suepotenzialità sia con alcune indagini sulle realtà statali del pienoQuattrocento9, sia, soprattutto, con la vasta ricerca coordinata da Jean-Claude Maire Vigueur sui podestà dell’età comunale, che ha visto laluce nel 200010. I due fondamentali volumi hanno potuto popolare lericostruzioni delle vicende politico-istituzionali dell’Italia duecentescadi figure dai profili definiti, restituendo ai protagonisti del governourbano i loro diversi retroterra di formazione culturale, esperienza pro-fessionale, abilità personali e, non ultime, idee politiche11.

Anche per la prima età signorile un simile approccio di ricerca si èrivelato assai fruttuoso, sia per la comprensione delle dinamiche locali,sia per lo studio del processo e delle modalità di costruzione dei domi-ni sovracittadini12. In primo luogo, dal punto di vista delle comunitàsoggette, le caratteristiche dei rettori nominati dai signori rappresenta-vano un importante segnale di continuità o di discontinuità rispetto alpassato autogoverno, poiché era possibile che i domini rispettassero latradizione preesistente, continuando a rivolgersi a bacini di arruolamen-to consolidati, o, al contrario, imponessero drastici cambiamenti, adesempio affidando gli incarichi a loro protetti, a personaggi di estrazio-ne rurale anziché urbana o addirittura provenienti da aree estraneeall’Italia comunale13. Ancora, verificare se gli statuti urbani venivano

9 F. LEVEROTTI, Diplomazia e governo dello Stato: i Famigli cavalcanti diFrancesco Sforza. 1450-1466, Pisa 1992.

10 I podestà dell’Italia comunale, parte I, Reclutamento e circolazione degli ufficia-li forestieri (fine XII sec. – metà XIV sec.), a cura di J.-C. MAIRE VIGUEUR, 2 voll., Roma2000 (Nuovi studi storici, 51 – Collection de l’École française de Rome, 268).

11 Mi si permetta di rimandare a P. GRILLO, I podestà dell’Italia comunale: recentistudi e nuovi problemi sulla storia politica e istituzionale dei comuni italiani nelDuecento, in “Rivista storica italiana”, CXV (2003), pp. 556-590.

12 Per due esempi: P. GRILLO, Un dominio multiforme. I comuni dell’Italia nord-occidentale soggetti a Carlo I d’Angiò, in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382), a cura di R. COMBA, Milano 2006, pp. 31-101, ID., Un’egemonia sovracittadina:la famiglia della Torre di Milano e le città lombarde (1259-1277), in “Rivista storica ita-liana”, 120 (2008), pp. 694-730.

13 Così, ad esempio, gli Angiò rispettarono i precedenti meccanismi di designazione

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rispettati ai sensi della durata e della reiterazione degli incarichi puòoffrire notizie significative sul rispetto che i signori intendevano accor-dare alla normativa locale e sul tipo di rapporto che volevano costruirecon le comunità14.

Pure dal punto di vista del governo signorile, d’altro canto, l’analisidel personale politico locale può fornire importanti informazioni sulruolo predominante o meno di alcune località, sull’esistenza di rapportiprivilegiati fra il signore e determinati gruppi sociali, sull’importanza deilegami personali, delle clientele, delle parentele nella costituzione delnucleo dei principali collaboratori del dominus15. Nel caso del dominiovisconteo, in particolare, è di grande interesse verificare la validità del-l’affermazione del Cognasso, che vi “fu ovunque una vera invasione dimilanesi – o tali veramente od elementi colà stanziatisi – podestà, giudi-ci, castellani etc.” anche se, sempre secondo lo studioso torinese, “appli-cando dei criteri rigidamente livellatori, i Visconti unirono all’elementomilanese gli elementi provenienti dalle varie città del dominio o da altreregioni magari, senza distinzione di sorta, solo pensierosi di formarsi unaclasse di esecutori di ordini, strettamente fedeli ed obbedienti”16.

1. I podestà nell’edificio politico visconteo

Almeno per i primi decenni del Trecento, il controllo sulla nominadei podestà rappresentò la chiave dell’effettivo potere esercitato daiVisconti sulle città assoggettate e il tramite del dialogo fra il governo dei

del personale politico in Lombardia, mentre in Piemonte imposero rettori per lo piùestratti dall’aristocrazia militare provenzale: GRILLO, Un dominio multiforme cit.

14 Sul problema della vigenza e del rispetto effettivo della normativa statutaria, bastiqui il rimando a G. CHITTOLINI, La validità degli statuti cittadini nel territorio(Lombardia, sec. XIV-XV), in “Archivio storico italiano”, CLX (2002), pp. 47-78 e allabibliografia ivi citata.

15 G. CASTELNUOVO, Ufficiali e gentiluomini. La società politica sabauda nel tardomedioevo, Milano 1994, G. M. VARANINI, Reclutamento e circolazione dei podestà fragoverno comunale e signoria cittadina: Verona e Treviso, in I podestà dell’Italia comu-nale cit., I, pp. 169-201, GRILLO, Un dominio multiforme cit., pp. 59-68, R. RAO, La cir-colazione degli ufficiali nei comuni dell’Italia nord-occidentale durante le dominazioniangioine del Trecento. Una prima messa a punto, in Gli Angiò nell’Italia nord-occiden-tale cit., pp. 229-290.

16 COGNASSO, Note e documenti, p. 64.

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signori e le élites locali17. Questi ufficiali vennero poi affiancati daicastellani, a cui era attribuita la custodia delle fortezze cittadine, e, versola metà del secolo, dai cosiddetti referendari, ufficiali destinati a veglia-re sull’amministrazione fiscale e sulla gestione finanziaria18. Costoro,però, non minarono il ruolo dei podestà, limitandosi a collaborare conloro e a integrarne le prerogative.

Prima di procedere all’analisi dei podestà viscontei di Vercelli, sof-fermiamoci un istante sul loro ruolo nel governo cittadino. I patti di sot-tomissione della città ad Azzone prevedevano esplicitamente che eglipotesse “delegare suum merum et mistum imperium alii et aliis secun-dum quod eo domino placuerit” e che i salari dei podestà e rettori pre-senti e futuri nominati da Azzone fossero retribuiti dal comune19. Ilruolo del principale ufficiale urbano venne poi definito dagli statutiriformati nel 134120. Si noti, innanzitutto, che l’incarico era molto benpagato, tanto da renderlo sicuramente appetibile per i membri dell’ari-stocrazia milanese. Gli statuti prevedevano infatti un lauto stipendio diben 2.500 lire al semestre (erano 700 all’anno nel Duecento), anche sebisogna considerare che la somma includeva anche i pagamenti dovutialla numerosa familia che accompagnava l’ufficiale. Per assicurare ilgoverno della città, infatti, questi doveva contare su un folto nucleo dicollaboratori, che includeva cinque giudici, 12 fra cavalieri e scudieri edue cuochi. Egli doveva portare con sé 10 cavalli, di cui quattro da guer-ra. A spese del comune, si sarebbe poi procurato 30 fanti assoldati, gui-dati da un connestabile. La forza militare di cui il podestà disponeva nonera dunque trascurabile, soprattutto se ad essa si aggiungevano i 40 fantiche presidiavano il castello agli ordini del castellano21.

Il podestà nel suo governo doveva attenersi al dettato degli statuti,

17 GAMBERINI, La città assediata cit., pp. 27-36.18 M. TAGLIABUE, La politica finanziaria del governo di Gian Galeazzo Visconti, in

“Bollettino della società pavese di storia patria”, XV (1915), pp. 19-75, C. SANTORO, Glioffici del comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco (1216-1515), Milano1968, pp. 213-216 e 231-232.

19 R. ORDANO, I Biscioni. Nuovi documenti e regesti cronologici, Torino 2000 (BSS,216), doc. 15, pp. 65-68, a p. 66.

20 Statuta generalia Vercellarum, Vercelli 1541.21 Lo stesso numero di fanti posti a guardia della fortezza è indice della relativa insi-

curezza della posizione viscontea in città; nel primo Quattrocento la forza del presidio

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sopra i quali era tenuto a giurare all’inizio del suo mandato, e al termi-ne dell’incarico veniva sottoposto a sindacato – ossia all’analisi del suooperato alla ricerca di eventuali mancanze o scorrettezze – da parte delleautorità cittadine. Non poteva modificare il dettato degli statuti senza ilconsenso del consiglio comunale e neppure nominare altri ufficiali urba-ni di propria iniziativa. Il suo incarico era semestrale e non poteva veni-re iterato prima che passassero tre anni22. In teoria, dunque, l’operato delpodestà era sottoposto a rigidi vincoli; in pratica, però, i Visconti pote-vano autorizzarlo a ignorare i divieti imposti dallo statuto: come vedre-mo, le norme sulla durata e sulla ripetizione dell’incarico erano fre-quentemente disattese, mentre solo indagini più approfondite potrannoverificare il ruolo dei podestà nella quotidiana prassi amministrativa23.

Nell’edificio politico visconteo il podestà aveva in primo luogo ilcompito di assicurare il dialogo fra i comuni soggetti e i domini. In cittàl’ufficiale interagiva con i consigli cittadini, che presiedeva e di cuipoteva condizionare lo svolgimento, soprattutto dettandone l’ordine delgiorno24. Si noti che, sebbene i Visconti avessero tentato di favorirenella maggior parte delle città a loro soggette lo sviluppo di consigliristretti (dei sapienti) a scapito di quelli larghi25, a Vercelli le riunioni delconsiglio maggiore (la “credenza”) risultano attestate per buona partedel Trecento, a riprova di una buona vitalità dell’organismo assemblea-re, che aveva il potere di confermare o respingere i pareri dei sapienti26.

fu dimezzata a soli 20 uomini: T. ZAMBARBIERI, Castelli e castellani viscontei. Per lastoria delle istituzioni e dell’amministrazione ducali nella prima metà del XV secolo,Bologna 1988, p. 38.

22 Statuta generalia cit., pp. 1r-6r, 13r.23 Data l’assenza, a mia conoscenza, di documenti simili negli archivi vercellesi, può

essere interessante segnalare la lettera con cui il 4 gennaio 1378 Gian Galeazzo Visconti,saputo del buon operato di Francesco Scotti come podestà a Vercelli, lo conferma ancheper il II semestre, ma gli fa sapere di non poter rimettergli né il costo del sigillo, né quel-lo della casa, perché quei prelievi gravano sulle entrate ordinarie che Galeazzo II suopadre gli ha lasciato e se egli li rimettesse a lui, dovrebbe farlo anche con gli altri pode-stà. ARCHIVIO DI STATO DI REGGIO EMILIA, Archivi Privati, Archivio Malaspina TorelloScotti, Cartulario Scotti (sec. XV), f. 226, 1378 gennaio 4, Pavia. Ringrazio AndreaGamberini per la gentile segnalazione.

24 S. BERENGO, L’Europa delle città. Il volto della società urbana europea traMedioevo ed Età moderna, Torino 1999, pp. 39-40.

25 STORTI STORCHI, Aspetti generali della legislazione statutaria cit., pp. 96-100. 26 Interazioni fra i podestà e il consiglio maggiore sono ad esempio attestate in

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Il rettore signorile doveva dunque rendere conto del suo agire a un’as-semblea ampia e rappresentativa, fatto che sicuramente non mancò dicondizionarne l’operato. Con il consolidamento del dominio visconteoe la conseguente stabilizzazione politica scomparirono invece quelleforme di rappresentanza esterne alle istituzioni comunali, come lasocietà del Popolo o la società di Giustizia, che avevano caratterizzato idecenni precedenti27.

Più complicati dovevano essere i rapporti con i domini. Questi inte-ragivano con le città soggette soprattutto tramite lettere e decreti daloro inviati, ma, come ha rilevato Andrea Gamberini, a causa dellascarsa organizzazione della cancelleria e dei suoi archivi i Viscontinon avevano il pieno controllo sui privilegi e gli ordini da loro stessiemanati, che spesso risultavano contraddittori28. Nel complesso rap-porto fra città, comunità del contado e famiglie signorili si creavanocosì ingarbugliate vertenze, in cui ciascuna delle parti era in grado dimostrare rescritti viscontei che avvaloravano la propria posizione.Nell’Archivio storico civico di Vercelli non manca una bella serie diesempi in tal senso29. Si noti che in questi casi, di norma il podestà sifaceva fautore e portavoce degli interessi della comunità urbana da luigovernata e che, di conseguenza, spesso la decisione nella lite finivacol venir avocata direttamente a Milano, dai signori stessi o dai loroufficiali diretti30.

ORDANO, I Biscioni cit., pp. 147-150, doc. 11; ARCHIVIO STORICO CIVICO DI VERCELLI

(d’ora in poi ASCVc), Pergamene, mazzetta 10, 1340 marzo 21, mazzetta 11, 1347 [...]14, 1349 dicembre 4, 1353 maggio 26.

27 Si veda in questo stesso volume il contributo di R. Rao.28 A. GAMBERINI, Istituzioni e scritture di governo nella formazione dello stato

visconteo, in ID., Lo stato visconteo cit., pp. 35-67.29 Si segnala in particolare la vertenza che nel 1343 vide il comune opposto a Ottone

di Azeglio per il pagamento del fodro, nel corso della quale le due parti esibirono unaserie di lettere signorili palesemente contraddittorie (ASCVc, Pergamene, mazzetta 10,1343 giugno 4): cfr. in questo stesso volume il contributo di A. Barbero, testo corri-spondente alle nn. 99-101.

30 Così, ad esempio, la causa citata nella nota precedente venne infine attribuita algiudizio del vicario generale dei domini a Milano, Giacomo Stricto. La curia dei giudi-ci e dei vicari signorili fu istituita prima del 1339 e operava in forma stragiudiziale einappellabile: STORTI STORCHI, Giudici e giuristi cit., pp. 103-105, EAD., FrancescoPetrarca cit., pp. 84-85.

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2. Gli anni di Azzone (1335-39)

È opportuno ora esaminare più dettagliatamente chi erano i podestàvercellesi di nomina viscontea, come venivano scelti e come evolvettela loro figura nel corso degli anni. Vercelli si consegnò nelle mani diAzzone Visconti il 26 settembre del 1335, quando il potere già detenu-to dal signore di Milano a partire dalla primavera dell’anno precedentevenne reso perpetuo dal consiglio generale del comune, presieduto dalpodestà Giovanni da Bizzozzero, un fedelissimo del Visconti31. Azzonesi presentava di solito come signore-pacificatore, il cui intento era supe-rare le divisioni di parte e ricostruire i fondamenti di una pacifica con-vivenza civile, sotto la sorveglianza del nuovo signore32. A Vercelli,però, vi furono difficoltà supplementari, dato che il cronista GalvanoFiamma afferma che Azzone “contrariamente alle sue abitudini, nondiede pace a questa città”. Gli accordi con gli Avogadro, già banditi nel1334, non servirono probabilmente a tranquillizzare del tutto la situa-zione33.

Forse in conseguenza del perdurante stato di tensione, negli anni diAzzone le podesterie furono lunghe e affidate a uomini di particolarefiducia, come Giovanni da Bizzozzero, che fu il protagonista della sot-tomissione di Vercelli e di gran parte delle prime conquiste viscontee.Già podestà di Novara nel 1331 e fra 1333 e 1334, dopo due anni dimandato vercellese (1335-36) nel 1337 fu inviato quale podestà aCremona e nell’anno successivo fu a Brescia, primo rettore della cittàdopo la conquista viscontea; seguì, nel biennio 1339-40, la podesteria diBergamo. Terminò la sua carriera con incarichi militari, quale capitano

31 Cfr. sopra, nota 19. Per il contesto: COGNASSO, L’unificazione della Lombardiacit., p. 261.

32 COGNASSO, Note e documenti cit. Si vedano anche le recenti osservazioni di N.COVINI, Castellani e castellanie del ducato visconteo-sforzesco, in De part et d’autredes Alpes: les châtelains des princes a la fin du Moyen Âge, Actes de la table ronde deChambéry, 11 et 12 octobre 2001, a cura di G. CASTELNUOVO, O. MATTEONI, Paris 2006,pp. 113-152, qui a p. 117.

33 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum de rebus gestis ab Azone, Luchino et JohanneVicecomitibus ab anno MCCCXXVIII usque ad annum MCCCXLII, a cura di C.CASTIGLIONI, Bologna 1938 (RIS2, XII/4), p. 11. Per le mosse amichevoli di Azzone neiconfronti degli Avogadro si veda il contributo di Alessandro Barbero in questo stessovolume, par. 4b.

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generale dell’esercito sia per Luchino, sia per Giovanni, sia per BernabòVisconti. Altro personaggio di fiducia fu Bonriolo da Castelletto, cheresse Vercelli per oltre due anni dal 1338 al primo semestre del 1340,dopo una lunga carriera che l’aveva visto podestà di Novara nel 1317,nel 1322 e nel 1328-29, nonché della Valtellina nel 1336. La sua carrie-ra finì precocemente, poiché nel 1340 fu coinvolto nella fallita congiu-ra antiviscontea promossa da Francesco Pusterla e, rimosso repentina-mente dalla podesteria vercellese, fu imprigionato e messo a morte34.

Per la scelta degli ufficiali potevano però essere predominanti anchemotivazioni più squisitamente politiche, come dimostra la nomina diGasparino dei Grassi di Cantù a podestà di Vercelli nel 1337. Solo dueanni prima, infatti, Azzone aveva ricondotto i Grassi all’obbedienzasignorile, dopo che per quasi un decennio essi avevano governato auto-nomamente il grosso borgo brianzolo, tentando anche di impadronirsi diComo per creare un proprio dominio nella Lombardia settentrionale35.La riconquista di Cantù era stata incruenta ed è probabile che l’incaricoa Gasparino abbia rappresentato un segno dell’immediata riammissionedella famiglia nelle grazie del dominus, nonché una ricompensa per lamancata resistenza al ritorno milanese. Egli peraltro doveva essere dota-to anche di buone capacità di governo, dato che era già stato podestà diPiacenza fra 1336 e 1337 e vi tornò nel 1338-133936.

3. Gli anni di Luchino e Giovanni (1339-1354)

Alla morte di Azzone Visconti il potere passò a Giovanni, vescovo diNovara, e Luchino. Essi riuscirono a riavvicinarsi al papa, che nel 1341concesse a entrambi il vicariato imperiale su Milano e nel 1342 nominòil primo arcivescovo della sede ambrosiana37. I due signori cercaronoanche la legittimazione della popolazione di Milano, ottenendone l’in-

34 Si veda l’Appendice prima.35 Da ultimo si veda P. GRILLO, Rivolte antiviscontee a Milano e nelle campagne fra

XIII e XIV secolo, in Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento. Unconfronto, a cura di M. BOURIN, G. CHERUBINI, G. PINTO, Firenze 2008, pp. 197-216, allepp. 211-212.

36 Si veda l’Appendice prima.37 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., p. 292. Sull’attività di Giovanni

quale arcivescovo: R. CADILI, Giovanni Visconti arcivescovo di Milano, Milano 2007.

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vestitura in consiglio generale38. Negli anni di Luchino si ebbe la primagrande espansione viscontea in Piemonte, aperta il 9 agosto 1342, dallasottomissione di Asti e culminata fra il 1347 e il 1348 con la conquistadi Alba, Mondovì, Cuneo e Cherasco. La morte di Luchino, nel 1349,segnò la fine di questo tumultuoso allargamento del dominio39.Giovanni governò poi da solo fino alla sua scomparsa, avvenuta il 5ottobre 1354. Il dominio fu spartito fra i tre nipoti, Matteo (morto peròdopo meno di un anno), Bernabò e Galeazzo. A quest’ultimo toccaronole terre occidentali, fra cui Vercelli, che rimase nelle sue mani fino al137340.

Un’analisi della durata e dei rinnovi degli incarichi podestarili portaa concludere che la situazione vercellese sembra esser stata abbastanzatranquilla durante il dominio di Luchino, Giovanni e Galeazzo. Il perio-do qui preso in considerazione è di 33 anni, ma per cinque di essi non ènoto il nome del podestà. Sui 28 anni rimanenti, si possono contare 31differenti podesterie, affidate a 26 personaggi diversi (cinque, infatti,reiterarono la carica), con una durata media dell’ufficio inferiore all’an-no. La lettera degli statuti, che prevedeva una durata semestrale, non erarispettata, ma è comunque evidente che vi era un ricambio frequente,che doveva impedire un eccessivo radicamento locale degli ufficiali e laformazione di blocchi di clientele e di favoritismi. Pochissimi incarichiebbero durata superiore all’anno, e anche ciò avvenne solo in caso disituazioni di particolare emergenza, solitamente in occasione delle noninfrequenti guerre contro i Monferrato e i Savoia41.

La provenienza degli ufficiali mandati a reggere Vercelli conferma lenote lamentele dell’Azario42 e le parole del Cognasso, già ricordate, sulladiffusione capillare dei Milanesi negli incarichi di governo del dominio43.

38 F. SOMAINI, Processi costitutivi, dinamiche politiche e strutture istituzionali delloStato visconteo-sforzesco, in Comuni e signorie nell’Italia settentrionale. LaLombardia, Torino 1998 (Storia d’Italia diretta da G. GALASSO, vol. VI), pp. 681-786,pp. 715-717.

39 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., p. 322.40 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., pp. 361-364.41 Si veda l’Appendice prima.42 PETRI AZARII Liber gestorum in Lombardia, a cura di F. COGNASSO, Bologna, s.d.

(RIS2, XVI), p. 70.43 Sopra, nota 16.

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Su 26 rettori noti fra 1339 e 1372, ben 19 furono milanesi (il 73%), spes-so appartenenti a famiglie che già avevano avuto una lunga tradizionequali fornitrici di podestà, sin dall’età comunale, come i Mandelli, iPietrasanta, i Pirovano, i Burri44. Si trattava di figure rassicuranti per i rap-presentanti del comune vercellese, compartecipi di una lunga tradizione digoverno cittadino, al quale erano certamente meno estranei, ad esempio,dei nobili monferrini imposti dal marchese Teodoro I durante la sua brevesupremazia sulla città negli anni 1331-133345.

I non milanesi rappresentavano un gruppo poco omogeneo, anche seè evidente che la maggior parte di loro ottenne l’incarico per le propriespiccate attitudini militari. Due, il bolognese Taddeo Pepoli e il verone-se Bartolomeo dal Verme (rettori rispettivamente nel 1363 e nel 1372),erano veri condottieri, inviati a difesa della città minacciata durante leguerre fra i Visconti e i principi piemontesi coalizzati. Altri due,Guglielmo e Giovanni Pelavicini, dovevano essere comunque vocati intal senso46. Maffeo Foresti e Febo Anguissola erano invece esponenti didue famiglie, rispettivamente di Bergamo e di Piacenza, di solide radicighibelline e filoviscontee47. Si noti che i due Pelavicini erano gli uniciesponente dell’aristocrazia rurale, mentre tutti gli altri erano di tradizio-ne schiettamente urbana.

La maggior parte dei podestà nominati a Vercelli era composta dapersonaggi esperti e dotati di competenze di governo. Pochi erano i giu-risperiti, mentre molti rettori portavano il titolo di “cavaliere addobba-to”. Ricostruendo l’attività professionale dei podestà vercellesi, si puòconstatare che quasi tutti esercitarono incarichi in più città nel corsodella loro vita, talvolta alternandoli ad altri uffici di governo o militarial servizio dei Visconti. Si possono così ricostruire delle vere e propriecarriere podestarili, che talvolta, per numero di incarichi, poco hanno adinvidiare a quelle dei rettori di età comunale, anche se geograficamentesembrano esser state limitate entro i confini del dominio visconteo.

44 Si veda l’Appendice prima. Su queste famiglie: P. GRILLO, Milano in età comu-nale (1183-1276). Istituzioni, società, economia, Spoleto 2001, ad indicem.

45 P. GRILLO, Il governo del marchesato, in “Quando venit marchio Grecus in terraMontisferrati”, L’avvento di Teodoro I Paleologo nel VII centenario (1306-2006), acura di A.A. SETTIA, Casale Monferrato 2008, pp. 103-118.

46 Si veda oltre, testo corrispondente alle note 80 e 90.47 Si veda l’Appendice prima.

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Come si può vedere dagli esempi presentati nell’Appendice seconda, inun ideale cursus honorum funzionariale, Vercelli si situava fra i primiincarichi attribuiti, preceduta spesso da uffici in località del contado.Come Como, Novara o Tortona, Vercelli era una città di dimensioni noneccessive ed era relativamente tranquilla, per cui poteva essere assegna-ta a personaggi all’inizio della carriera, che poi avrebbero terminato inruoli di maggior responsabilità nelle più grandi e ricche realtà del domi-nio, come Cremona, Piacenza o Pavia o in un centro sempre turbolentoper i conflitti di fazione, quale Bergamo.

Ovviamente, le capacità personali svolgevano un ruolo di rilievonella scelta, soprattutto in occasione di eventi o di decisioni particolar-mente delicate, come alcuni esempi possono dimostrare.

Nel 1341 Luchino e Giovanni Visconti promossero la revisionedegli statuti di Vercelli e la realizzazione di un nuovo codice che sosti-tuisse quello duecentesco, “ad amplificationem reverentie, honoris etlaudis magnificorum dominorum Iohannis atque Luchini deVicecomitibus”48. I Visconti, in effetti, annettevano grande importanzaa tale prassi. La revisione degli statuti urbani segnò la loro presa didominio nella gran parte delle città, dalla stessa Milano (1330) aBergamo (1333), a Como (1335) e a molti altri centri minori49. È pro-babile che a Vercelli la redazione del 1341 abbia segnato la definitivaaffermazione del nuovo dominio, dopo i problemi incontrati daAzzone, e la riuscita pacificazione con quell’aristocrazia guelfa che,come ha messo in evidenza Alessandro Barbero, ottenne dai Viscontiprotezione e legittimazione50.

Non ci si soffermerà in questa sede sui contenuti della riforma nor-mativa, qui oggetto dell’analisi di Elisa Mongiano51. A sovrintendervi,quale podestà non venne posto un giurista – questo fu probabilmente ilruolo spettante al suo vicario, il parmigiano Sandrino Spadarecta – maun uomo di assoluta fiducia dei Visconti, Protasio Caimi. Il Caimi infat-ti si era distinto nella battaglia di Parabiago, combattuta nel 1339 da

48 Statuta generalia Vercellarum cit., primo foglio non numerato.49 STORTI STORCHI, Aspetti generali della legislazione statutaria cit., EAD., Giudici e

giuristi cit.50 Si veda il contributo di Alessandro Barbero in questo stesso volume.51 Si veda il contributo di Elisa Mongiano, in questo stesso volume.

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Azzone contro il tentativo di usurpazione da parte di Loderisio Visconti;in quell’occasione venne anche addobbato cavaliere52. Dopo l’incaricovercellese fu podestà di Como nel 1342 e di Asti probabilmente nel1343. In seguito ebbe incarichi di grandissima responsabilità nel gover-no del dominio e, secondo la testimonianza dell’Azario, diventò poi unodei consiglieri più fidati di Galeazzo II53.

Nel 1342 scoppiò un duro conflitto fra Luchino e il vescovo diVercelli, Lombardo della Torre54, che portò a scontri armati e all’inva-sione delle signorie episcopali e di Biella da parte delle forze viscon-tee55. La responsabilità dell’azione fu affidata a un altro personaggio dirilievo, ossia Paganino da Bizzozzero, noto soprattutto per la sua amici-zia con Francesco Petrarca. Egli non era privo di esperienza, dato cheera già stato podestà di Bergamo nel 1340. In seguito fu rettore diCremona, nel primo semestre del 1346, e nella seconda metà dello stes-so anno divenne fu il primo podestà visconteo di Parma, dopo la con-quista da parte di Luchino Visconti56.

4. Galeazzo II e la crisi del dominio visconteo (1354-1373)

Sebbene nelle scelte dei podestà si possa istituire una continuità fra ilperiodo di Giovanni e Luchino e i primi anni del dominio di Galeazzo II,i rapporti di quest’ultimo con la città furono profondamente segnati dalpeggioramento del quadro politico nazionale, con la formazione di unaserie di grandi coalizioni antiviscontee che, sebbene puntassero principal-mente all’eliminazione di Bernabò, non mancarono di coinvolgere anchela parte occidentale del dominio57. In più occasioni, dunque, Vercellivenne a trovarsi in prima linea, minacciata in particolare dalle velleitàespansionistiche dei marchesi di Monferrato e dei conti di Savoia.

52 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum cit., p. 29.53 Si veda l’Appendice prima.54 CADILI, Giovanni Visconti cit., p. 111.55 Nel 1342, infatti, Lombardino scomunicò il Bizzozzero, reo di “fecisse exercitum

contra dictum episcopum sepedictum ac eciam contra certas terras et loca ac hominesecclesie Vercellensis”. Il provvedimento fu revocato l’anno successivo: ASCVc,Pergamene, mazzetta 10, 1343 aprile 24.

56 Si veda l’Appendice prima.57 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., pp. 364-450.

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Già nel 1356 la guerra investì il Piemonte, dove si formò una coali-zione di signori locali decisi a sbarazzarsi del predominio milanese, cheriuniva i marchesi del Carretto, Giovanni II Paleologo di Monferrato,Tommaso II di Saluzzo, Amedeo VI di Savoia e la regina Giovannad’Angiò. L’offensiva dei coalizzati portò a un’impressionante serie disuccessi: a gennaio, i marchesi del Carretto riprendevano Ceva e altricentri minori, mentre contemporaneamente Giovanni II Paleologo diMonferrato si impadroniva di Asti, Alba e Mondovì e, a febbraio,Tommaso II di Saluzzo entrava in Cuneo. Nel Piemonte meridionale,soltanto Bra, isolata, rimase nelle mani dei Visconti58.

Dal 1356 al 1358, dunque, Vercelli si trovò direttamente esposta all’of-fensiva dei principi piemontesi, che nel 1357 giunsero a conquistareanche Novara, arresasi senza combattere grazie a un colpo di mano dellefamiglie antiviscontee59. L’offensiva diplomatica lanciata dal marcheseGiovanni di Monferrato verso le antiche fazioni guelfe e popolari coin-volse anche Vercelli, dove gli Avogadro, appoggiati anche dal vescovoGiovanni, tentarono di aprire le porte ai coalizzati; il podestà però reagìprontamente, facendo presidiare massicciamente le mura, sicché il tenta-tivo fallì e le forze marchionali dovettero ritirarsi60. Gli Avogadro furonoconseguentemente colpiti da bando e allontanati dalla città61, mentre moltiostaggi furono portati a Milano, dove ancora si trovavano nel 136062.

Rimasta assieme a Bra quale unica enclave viscontea in Piemonte,Vercelli si trovò in prima linea nei duri scontri degli anni seguenti. Inconseguenza del fallito colpo di mano guelfo, nel 1357 il territorio ver-cellese fu saccheggiato dalla Grande Compagnia del conte di Landau,che prese Gattinara e Arborio e per tutto l’inverno combatté ai marginidel Canavese63. Secondo il Corio, Vercelli subì poi un vero e proprio

58 GRILLO, Bra sotto il dominio visconteo cit.59 Cronica di MATTEO VILLANI a miglior lezione ridotta coll’aiuto dei testi a penna,

III, Firenze 1847, p. 257. 60 Cronica cit., p. 258. Per la posizione del vescovo: F. GABOTTO, L’età del Conte

Verde in Piemonte secondo nuovi documenti (1350-1383), in “Miscellanea di storia ita-liana”, XXXIII (1895), pp. 75-333, qui a p. 96.

61 B. CORIO, Storia di Milano, a cura di A.M. MORISI GUERRA, vol. 1, Torino 1979,p. 843.

62 AZARII Liber gestorum cit., p. 157.63 AZARII Liber gestorum cit., pp. 87-88.

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assedio, nel corso del 135864. Dopo tre anni il conflitto si concluse perl’estenuazione delle due parti, come efficacemente racconta MatteoVillani: “quasi per spazio di tre anni era continovata la guerra da’ signo-ri di Milano a’ collegati lombardi, nella quale erano i signori diMantova, di Ferrara e di Bologna e il marchese di Monferrato, Genovae Pavia ... e come che la possanza de’ signori di Milano fosse grandissi-ma, pure avevano perduto la maggior parte delle terre che tenere solea-no nel Piemonte, e Novara, Como, Pavia e Genova e Savona ... ma tuttoche queste terre fossero loro tolte, per loro entrata e potenza conducea-no gente d’arme e nuove osti faceano avendo più forza l’un dì che l’al-tro, almeno in apparenza”65. Fra il giugno e l’agosto del 1358 si arrivò auna pace che restituiva Alba, Ceva e Novara a Galeazzo. Anche Astiavrebbe dovuto tornare al Visconti, ma Giovanni di Monferrato si rifiutòdi cederla66.

In queste circostanze difficili, la difesa di Vercelli fu indubbiamenteun successo per il governo visconteo. Protagonisti del periodo furono ineffetti tre rettori particolarmente vocati in senso militare. Fu questo ilcaso di Ambrosolo Trivulzio, podestà nel 1356; egli aveva già governa-to Cremona nel 1350: era dunque un uomo di provata esperienza che,contrariamente al solito, venne inviato nella critica posizione vercellesedopo aver avuto esperienza in una città assai più grande67. AncheGianazzo Aliprandi, che lo sostituì, era esponente di una famiglia chestava costruendo la sua ascesa sociale grazie all’arte delle armi68. Nel1358, infine, si trova in carica Giovannolo da Pirovano, che aveva giàretto la città nel 1353 e che quindi doveva ben conoscere la situazionelocale, potendo forse contare su appoggi e clientele fidate. Egli vi rima-se infatti per un intero biennio, fra il 1358 e il 1359. La sua buona provalocale fu compensata da una brillante carriera successiva, che dopo lapodesteria di Piacenza, nel primo semestre 1355, lo vide governareNovara nel 1360, nel 1362 (ancora una volta in una posizione di grande

64 CORIO, Storia di Milano cit., I, p. 797.65 Cronica cit., p. 310.66 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., p. 399.67 Si veda l’Appendice prima.68 Pinalla Aliprandi era stato comandante militare per Azzone Visconti e operò

contro l’usurpatore Lodrisio nel 1337: CORIO, Storia di Milano cit., I, p. 739.

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responsabilità, dato che dovette fronteggiare la minaccia della BiancaCompagnia inglese), nel 1368-69 e nel 1370, nonché Pavia nel 136169.

La perdurante conflittualità col marchese Giovanni II Paleologo fecesì che Vercelli continuasse a trovarsi impegnata in una logorante guerradi confine. Nel 1360, infatti, le truppe viscontee utilizzarono la cittàquale base per una serie di puntate offensive verso terre del Monferratoe del Canavese70, alle quali non mancarono le risposte, come attestano iprovvedimenti presi dal comune nell’aprile del 1361 per aiutare i signo-ri di Arborio, danneggiati dalla “guerra presente”71. La situazione tornòad aggravarsi nella tarda primavera di quell’anno, quando comparvesulla scena la Bianca Compagnia, inviata da papa Innocenzo VI controMilano e passata attraverso i territori monferrini con l’appoggio esplici-to di Giovanni II72. Guidati da Albert Sterz e forti di almeno 2-3.000cavalieri i mercenari inglesi penetrarono in Piemonte nel maggio del1361 e nel novembre di quell’anno si accordarono col marchese diMonferrato per operare comunemente contro i nemici viscontei e sabau-di73. Nel 1362 la compagnia assalì Romagnano, conquistandola, poi sispostò a sud, contro Pavia e contro Voghera, che cadde in mani monfer-rine74. Agli inizi del 1363 gli inglesi si spinsero fino ai sobborghi diMilano e a maggio si combatté la battaglia di Canturino, nel Novarese,durante la quale la Grande Compagnia del conte di Landau fu sconfittae distrutta75. La pace giunse solo nel gennaio del 1364, col riconosci-mento al marchese del controllo di Asti e vari aggiustamenti territorialiminori76.

69 Si veda l’Appendice prima.70 AZARII Liber gestorum cit., p. 109.71 ORDANO, I Biscioni cit., pp. 90-93, doc. 7, a p. 91.72 La bibliografia sulla Bianca Compagnia e la sua campagna piemontese è vastissi-

ma. Basti qui il rinvio ai più recenti D. BALESTRACCI, Le armi, i cavalli, l’oro. GiovanniAcuto e i condottieri nell’Italia del Trecento, Roma-Bari 2003 e W. CAFERRO, JohnHawkwood. An English Mercenary in Fourteenth-Century Italy, Baltimore 2006, dovesarà possibile reperire anche i riferimenti alle opere precedenti.

73 W. CAFERRO, “The Fox and the Lion”. The White Company and the HundredYears War in Italy, in The Hundred Years War. A Wider Focus, a cura di L.J.A.VILLALON, D.J. KAGAY, Leiden-Boston 2005, pp. 179-195.

74 GRILLO, Istituzioni e società cit., p. 181.75 BALESTRACCI, Le armi, i cavalli, l’oro cit., p. 26.76 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., p. 425.

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Vercelli e il suo contado, sebbene non investiti direttamente, patiro-no assai per le conseguenze degli scontri e della presenza degli Inglesi77.Galeazzo non mancò comunque di prendere provvedimenti al fine diguarnire la città e di garantirne la difesa, nominando podestà alcuni per-sonaggi di provate competenze militari. Già nel 1360 arrivò in cittàOttino de Marliano. Non a caso Ottino era un cavaliere addobbato78 edera stato collaterale signorile, ossia responsabile militare, dal 1348 al1351. Egli non mancava inoltre di esperienza amministrativa, dato cheaveva già governato Bergamo nel 1357-58 e Novara nel 1358-59, raffor-zandovi il potere visconteo – anche con maniere assai brutali – dopo ilritorno della città nelle mani di Galeazzo; egli fu poi inviato a Piacenzanel secondo semestre del 136079. Si noti che egli operò nelle due metàdel dominio, sia al servizio di Galeazzo II, sia agli ordini di Bernabò, aulteriore riprova delle sue capacità, che furono riconosciute da entram-bi i signori.

A Ottino subentrò Giovanni dei marchesi Pelavicini di Scipione, cherimase fino al 1361 e rappresenta la prima importante eccezione allaprevalenza totale di rettori milanesi. Anche in questo caso le capacitàmilitari del personaggio, uno dei capitani dell’esercito di Bernabò, ebbe-ro sicuramente un ruolo nella scelta. Giovanni aveva comunque ancheuna solida esperienza amministrativa, dato che era già stato rettore diNovara, nel primo semestre del 1360, e passò poi a Como nel secondosemestre del 1361 e a Pavia nel 136480. Il Pelavicino fu rimpiazzato aVercelli da Speronolo da Concorezzo, personaggio poco noto, ma sicu-ramente di grande fiducia visto che nel 1378 venne nominato “familia-re” di Gian Galeazzo81.

Si ignora purtroppo il nome del podestà per il 1362, mentre estrema-mente significativa per il 1363 è la presenza di Taddeo Pepoli, bologne-se, che nel biennio precedente era già stato in prima linea quale rettore

77 AZARII Liber gestorum cit., pp. 128-129.78 AZARII Liber gestorum cit., p. 108.79 Si veda l’Appendice prima.80 Si veda l’Appendice prima. La carriera di Ottino attesta una sostanziale uniformità

amministrativa del dominio, pur in presenza di differenze nello stile di governo dei duefratelli (sulle quali si veda GAMBERINI, Lo stato visconteo cit., p. 46).

81 Si veda l’Appendice prima.

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di Novara. Il Pepoli era uno dei migliori comandanti militari a disposi-zione dei Visconti, tanto che sarebbe poi stato destinato alla carica diCapitano generale del Piemonte nel 1368 e a quella di comandante del-l’esercito contro il Monferrato nel 1370 e contro i Savoia nel 1373. Sitrattava dunque di una figura dal profilo schiettamente militare, posta algoverno della città con il compito di organizzare il contrasto a un’even-tuale irruzione nel territorio da parte della Bianca Compagnia82.

È probabile che gli eventi del 1360-63 abbiano ulteriormente mina-to la solidità del domino visconteo in Vercelli erodendo il consenso dicui i signori ancora godevano. Oltre all’insicurezza che regnava nel con-tado, l’aumento incontrollato della pressione fiscale finì per suscitare unforte malcontento. L’Azario ricorda che dal 1360 al 1363 a Vercellioperò come ufficiale delle entrate Mazzacane de Melegnano, “familia-re” di Galeazzo83, di cui il cronista sottolinea l’esosità, tanto da affer-mare che meglio sarebbe stato chiamarlo “Mazzauomini”84. L’autorenovarese ricorda ancora le gravose spese richieste ai centri soggetti perle feste di nozze fra Gian Galeazzo (il figlio di Galeazzo) e Isabella diValois, nel settembre 136085. In effetti, il peso finanziario del dominovisconteo, anche per l’opera di tesorieri poco scrupolosi, doveva essereparticolarmente gravoso86. Sin dal 1349, infatti, il comune si era trova-to grandi difficoltà finanziarie, tanto che quell’anno dovette ricorrereall’incanto degli uffici “per pagare il ‘salarium domini’ (ossia la ciframensile che tutti i centri del dominio erano tenuti a versare ai Visconti),la taglia per Parma, e i soldati a cavallo e a piedi che presidiano la città,il castello di Salussola, e il castello del signore sito nella città di Vercelli,lo stipendio del podestà e il debito verso Francesco Mazzocchi tesorie-re comunale per 14.000 lire di Pavia”87. Quasi un decennio di guerraininterrotta finì coll’aumentare gli aggravi ed esasperare la situazione.Inoltre, gli Avogadro e i loro seguaci restavano banditi88, con tutti i

82 Sul Pepoli quale Capitano del Piemonte si veda P. GRILLO, L’espansione viscon-tea nel Piemonte medievale, in Storia di Bra cit., pp. 267-279, a p. 276.

83 ORDANO, I Biscioni cit., p. 90, doc. 7.84 AZARII Liber gestorum cit., p. 109.85 Ibid.86 In generale, si può ancora rimandare a TAGLIABUE, La politica finanziaria cit.87 ASCVc, Pergamene, mazzetta 11, 1349 dicembre 4.88 CORIO, Storia di Milano cit., I, p. 843.

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problemi connessi, soprattutto nel controllo di quelle parti del contadodove la famiglia era più solidamente radicata89.

Le difficoltà del dominio si riflessero nella politica urbana e nellescelte dei podestà. Nel 1368, come è noto, iniziò l’edificazione della cit-tadella volta a rafforzare il controllo militare del centro urbano, sia versol’esterno, sia verso le possibili sommosse interne. L’operazione fu effet-tuata durante la lunga podesteria di Giovanni Pelavicini, che dopo labuona prova fornita durante la guerra del 1361-63 fu nuovamente nomi-nato nel 1368 e, stando alla documentazione in nostro possesso, rimasein carica per ben 4 anni fino al 1371: una durata straordinaria, che benillustra il momento di grave difficoltà del dominio. Non a caso in questistessi anni, a protezione della città, soggiornava nel contado la compa-gnia di ventura tedesca di Anechino Bongarten, uno dei principalicomandanti dell’epoca, molto legato ai Visconti90.

La situazione, come era prevedibile, tornò in effetti a peggiorare. Nel1369 Giovanni II di Monferrato, approfittando della presenza di forzeinglesi nel Piemonte meridionale, tentò di eliminare la presenza visconteanell’area. Galeazzo reagì duramente: già entro la fine dell’anno ricondus-se in suo potere Cuneo e Cherasco; in seguito il capitano generale diPiemonte, il già ricordato Taddeo Pepoli, attaccò direttamente il marchesa-to, strappando al Paleologo Valenza e Casale, che venne assediata a con-quistata nel novembre del 1370. La morte di Giovanni II, nella primaveradel 1372, sconvolgendo quanto restava degli equilibri regionali, finì conl’allargare la guerra. Amedeo VI di Savoia e Ottone di Brunswick, tutoredegli eredi di Giovanni II, si allearono e trovarono l’appoggio di Giovannad’Angiò. I coalizzati antiviscontei potevano anche contare sull’appoggio dipapa Gregorio XI e sulle sue larghe disponibilità finanziarie91.

89 A. BARBERO, Da signoria rurale a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra ildistretto del comune di Vercelli, la signoria viscontea e lo stato sabaudo, in Poterisignorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fon-damenti di legittimità e forme di esercizio, a cura di F. CENGARLE, G. CHITTOLINI, G. M.VARANINI, Firenze 2005, pp. 31-45.

90 GABOTTO, L’età del Conte Verde cit., pp. 196-197. Su Anechino Bongarten: S.SELZER, Deutsche Söldner im Italien des Trecento, Tübingen 2001, pp. 371-373.Sull’edificazione della cittadella cfr. il contributo di V. Dell’Aprovitola in questo stessovolume.

91 Per tutto ciò: COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., pp. 467-488.

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Non è il caso di ripercorrere qui nel dettaglio le operazioni belliche.In questi anni Vercelli si trovò in prima linea contro le forze sabaude eprobabilmente tornarono ad accrescersi le tensioni interne. Di conse-guenza, alcune grandi famiglie videro nei Savoia una valida alternativaai Visconti e non tardarono a fare atto di dedizione ai conti, soprattuttoper i loro domini posti ai confini con il territorio sabaudo. Anche ilvescovo Giovanni Fieschi fece una scelta simile consegnando al contemolti castelli92.

In queste drammatiche circostanze, il ruolo militare della caricapodestarile prese decisamente il sopravvento. Nel 1372, infuriando ilconflitto contro il conte di Savoia e il marchese di Monferrato, fu invia-to a Vercelli quale rettore Bartolomeo dal Verme, condottiero di origineveronese93. Si noti che alla guida delle forze milanesi che si battevanocontro il Monferrato si trovava Iacopo Dal Verme, nipote diBartolomeo: si realizzava così una sorta di blocco familiare che gestivala resistenza nel Piemonte orientale.

Vercelli venne infine investita direttamente dalla guerra. Nella pri-mavera del 1373, scomunicati Bernabò e Galeazzo, le forze coalizzatetentarono l’invasione della Lombardia. Sebbene la campagna si fosserisolta in un sostanziale fallimento, Amedeo VI di Savoia con l’appog-gio del vescovo e delle forze del novarese Ottone Brusato riuscì adentrare in Vercelli, anche se per un altro anno la cittadella resistettenelle mani dei viscontei94. L’autunno vide i contendenti in situazione distallo e il conflitto si arrestò per l’inverno. Le parti, ancora una volta,erano sfinite: il 6 giugno 1374, visto che il loro scontro minacciava difavorire un ritorno in forze degli Angiò, Galeazzo e Amedeo VI con-clusero la pace. Nel luglio del 1375, anche il papa, sotto le pressionidiplomatiche di Carlo V di Francia, rinunciò alla guerra. La crisi inPiemonte fu risolta solo due anni dopo, il 7 luglio 1377, con la pace fraMonferrato e Visconti, che vide infine Vercelli tornare sotto il control-lo di Milano95.

92 CORIO, Storia di Milano cit., I, p. 841. Cfr. in questo stesso volume il contributodi A. Barbero, par. 5.

93 Si veda l’Appendice prima.94 CORIO, Storia di Milano cit., I, p. 842.95 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., pp. 489-490.

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5. Le innovazioni di Gian Galeazzo (1378-1402)

Come si è detto, nonostante le difficoltà incontrate durante la signo-ria di Galeazzo II Visconti a causa dei conflitti interni ed esterni, i rap-porti dei primi quattro esponenti della dinastia con Vercelli risultanoesser stati abbastanza omogenei, e si espressero in una sequenza dipodestà di prevalente origine milanese, che spesso ebbero l’incariconella prima fase della loro carriera, essendo la città considerata tran-quilla, almeno fino al 1357. Molto mutò invece durante il dominio diGian Galeazzo, iniziato alla morte del padre, nel 1378, proprio quandoVercelli e il suo territorio tornarono all’obbedienza viscontea.

Gian Galeazzo aveva un’idea profondamente differente del propriogoverno rispetto al padre e agli altri membri della famiglia. Egli tentò diseparare i destini della dinastia da quelli della città di Milano, anche conatti dal profondo significato simbolico, quale la crescente attenzioneverso le antiche tradizioni regie di Pavia96, dove sempre più spesso lacorte si recò a soggiornare e dove venne fondata la nuova Certosa, cheavrebbe dovuto diventare il vero tempio dinastico dei Visconti97. Laconcessione del titolo ducale da parte imperiale, nel 1396, non fu chel’episodio culminante di un processo di ridefinizione e di rilegittima-zione98 del potere signorile, non più emanazione della prevalenza mila-nese, ma dominio praticamente “monarchico” su un territorio omoge-neo, su “un’unità giurisdizionale all’interno della quale è opportunoridurre al minimo le interferenze esterne e interne”99.

Dall’osservatorio vercellese è ben visibile una conseguenza di que-sta tendenza, ossia il crollo del numero dei cittadini milanesi fra i colla-boratori signorili. Il mutamento fra Gian Galeazzo e i suoi predecessoriè evidente: su 19 podestà attestati fra il 1378 e il 1402, soltanto cinquefurono cittadini milanesi (Lanfranco Porro, Guido da Vimercate,

96 P. MAJOCCHI, Pavia città regia. Storia e memoria di una capitale altomedievale,Roma 2008.

97 E. S. WELCH, Art and Authority in Renaissance Milan, New Haven-London 1995,pp. 24-29.

98 Sull’investitura, da ultimo, SOMAINI, Processi costitutivi, dinamiche politiche cit.,pp. 719-720.

99 CENGARLE, Le arenghe dei decreti viscontei cit., p. 75.

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Balzarolo da Baggio, Paolo Mantegazza, Giovanni Pusterla), a cui sipossono aggiungere due esponenti dalla famiglia Visconti (Azzone eAntonio); nove provenivano da altre città del dominio o dall’esterno(Francesco Scotti di Piacenza, Giovanni Guarzoni di Lucca, TaddeoPepoli di Bologna, Castellino Beccaria di Pavia, Loterio, Corradino eAliolo Rusca di Como, Comino Suardi di Bergamo e Rizzardo Abati diParma) e tre appartenevano all’aristocrazia rurale (Spinetta dellaMirandola, il conte Goffredo degli Ubaldini, Giovanni Malaspina mar-chese di Varzi)100.

Ancora, risulta evidente una drastica rivitalizzazione del ruolo delle“parti”, forse anche in occasione dello scontro con la guelfa Firenze, cheportò i Visconti a cercare di “accreditarsi davanti a tutta l’Europa comei grandi campioni del ghibellinismo italiano”101. La maggior parte deirettori menzionati, dai Beccaria di Pavia ai Rusca di Como ai Porro diMilano, per non parlare degli Ubaldini, appartenevano infatti a stirpi dischiettissima e ormai secolare tradizione ghibellina. L’unica eccezioneè rappresentata dal guelfo piacentino Francesco Scotti, non a caso ilprimo ufficiale inviato dopo il ritorno di Vercelli nel dominio visconteo,probabilmente quale garante nei confronti degli Avogadro e dei loroseguaci, che avevano accettato di rimanere in città anche sotto il nuovoregime. Pure in questo caso, dunque, si riscontra una netta frattura dellescelte di Gian Galeazzo rispetto alla logica più pacificatrice dei suoi pre-decessori, che sembrano aver piuttosto premiato fedeltà, competenza edesperienza.

Non che queste ultime, in realtà, non avessero un peso. Ancora unavolta, l’analisi ravvicinata delle carriere degli ufficiali nominati da GianGaleazzo rivela che i rettori cittadini venivano scelti in un gruppo dipersonaggi di provata fiducia, che di solito percorsero carriere signifi-cative all’interno del vasto quadro del dominio, talvolta alternando inca-richi nei comuni urbani ad altri uffici amministrativi o militari. Il primopodestà inviato a Vercelli dopo il ritorno nelle mani dei Visconti fu, adesempio, una figura di peso, Francesco Scotti, che oltre ad essere uno

100 Si veda l’Appendice prima.101 F. SOMAINI, Il binomio imperfetto. Alcune osservazioni su guelfi e ghibellini a

Milano in età visconteo-sforzesca, in Guelfi e ghibellini nell’Italia del Rinascimento, acura di M. GENTILE, Roma 2005, pp. 131-216, qui a p. 146.

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dei maggiorenti di Piacenza, aveva già acquisito un’importante espe-rienza di governo, avendo retto Bologna nel 1376102. Gli seguirono altridue uomini fidatissimi, il giovane Azzone, figlio illegittimo di GianGaleazzo, che a sua volta si era già fatto le ossa a Novara nel 1375, e illucchese Giovanni Guarzoni, che a Vercelli iniziò una brillante carriera,destinata poi a portarlo ad amministrare Cremona, Piacenza e ReggioEmilia103. Negli anni successivi si ebbero altri personaggi di rilievo,strettamente legati al signore, quali il milanese Lanfranco Porro, il pave-se Castellino Beccaria, il comasco Loterio Rusca, nonché TaddeoPepoli, già noto ai vercellesi, e un altro Visconti, Antonio. È dunque evi-dente che Gian Galeazzo voleva consolidare il ritrovato dominio sullacittà ponendole a capo una schiera di funzionari di provata fede politica– il Porro, il Rusca e il Beccaria erano a capo delle fazioni ghibellinenelle rispettive città – e di affidabile esperienza104.

Negli anni di Gian Galeazzo, la situazione vercellese sembra essersistabilizzata, anche se non mancavano gli attriti, soprattutto per l’attra-zione che i conti di Savoia esercitavano verso i signori e le comunitàsituate nella parte occidentale del distretto105. Il conte di Virtù tentòcomunque di instaurare buoni rapporti con gli stessi Savoia e con i mar-chesi di Monferrato106, sicché le guerre di conquista compiute dal nuovosignore si diressero soprattutto verso il Veneto e verso la Toscana,risparmiando l’area piemontese che perse di interesse e, dopo la cessio-ne di Asti agli Orléans, nel 1387, visse un periodo di tranquillità107.Nello specchio delle nomine podestarili appaiono evidenti da un lato lapresenza di personaggi politicamente schierati e di buona esperienza –talvolta, è il caso di Guido da Vimercate, anche militare – dall’altro laregolarità nella rotazione degli incarichi, che sembrano essersi attestati

102 Si veda l’Appendice prima.103 Si veda l’Appendice prima.104 Si vedano le loro schede nell’Appendice prima. 105 BARBERO, Da signoria rurale a feudo cit.106 COGNASSO, L’unificazione della Lombardia cit., p. 524. Nel 1387 vi furono

comunque scontri al confine fra contado vercellese e territori sabaudi: F. GABOTTO,Documenti inediti sulla storia del Piemonte al tempo degli ultimi Principi d’Acaia(1383-1418), in “Miscellanea di storia italiana”, XXXIV (1896), pp. 113-341, p. 136,doc. 38.

107 GRILLO, L’espansione viscontea cit., pp. 278-279.

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su una durata annuale, superiore a quella prevista dagli statuti, ma tuttosommato ben distante da quanto si era verificato nel difficile crepusco-lo del dominio di Galeazzo II.

6. Una conclusione generale

Nonostante la scarsa disponibilità di notizie cronachistiche e la man-canza di fonti seriali almeno fino agli anni Ottanta del Trecento, lo stu-dio del personale politico ha consentito di individuare con maggior det-taglio l’evoluzione del dominio visconteo in Vercelli. In particolare, èpossibile così proporre una periodizzazione di massima dei rapporti frala città e i suoi signori.

Il quinquennio 1335-1340 rappresentò il momento del primo asse-stamento del regime visconteo, caratterizzato da podesterie eccezionalidi lunga durata, affidate a personaggi di esperienza e di provata fedeltàal dominus.

I quindici anni fra il 1341 e il 1356 furono un periodo di progressivastabilizzazione del nuovo governo. Il consolidamento del dominio, san-cito dalla redazione dei nuovi statuti, vide probabilmente i Viscontigodere di un certo consenso, soprattutto come protagonisti del ritornoalla pacificazione e all’ordine interno. Il periodo, di conseguenza, fucaratterizzato da podesterie brevi, affidate a personaggi di estrazioneurbana, prevalentemente milanesi. Nonostante lo scontro fra il comunee il vescovo, del 1343, e le prime difficoltà finanziarie, la situazionedella città risultava tranquilla, sicché vi venivano inviati podestà all’ini-zio della carriera.

Nel periodo 1356-1363 si verificò la prima crisi del dominio viscon-teo. Il continuo stato di guerra contro il marchese di Monferrato e la rin-novata conflittualità di parte, con il nuovo esilio degli Avogadro, causa-rono una forte stretta repressiva in città e un forte aumento del prelievofiscale. La pestilenza del 1361 e il passaggio della Bianca Compagniainglese non fecero che aggravare una situazione già tesa. Di conseguen-za mutò la composizione del personale politico, con maggiore attenzio-ne verso le qualità militari: ciò portò a una presenza più significativa dinon milanesi, legati a questo ambito.

La crisi si aggravò ulteriormente negli anni 1364-1373. Per reagire,

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Galeazzo II ordinò l’edificazione della cittadella, al fine di rafforzare ilcontrollo militare sulla città. In parallelo, ci fu un aumento della duratastraordinaria delle podesterie, che divennero pluriennali, affidate a per-sonaggi di grande esperienza in campo bellico. Nonostante queste con-tromisure, la situazione politica generale e la nuova recrudescenza dellaparzialità interna portarono alla momentanea perdita della città, rimastanelle mani dei Savoia e dei legati pontifici fino al 1377.

Infine, nel periodo 1378-1402 si ebbero profondi mutamenti nellemodalità di governo della città, ritornata sotto il dominio visconteo. Ilregime di Gian Galeazzo si propose sotto vesti completamente nuove,con una connotazione meno “milanese” e vocato a una maggiore inte-grazione fra le diverse componenti del dominio. La proclamazione delducato, nel 1396, sancì ufficialmente la nuova situazione. I podestà, untempo prevalentemente ambrosiani, vennero ora arruolati in tutto il ter-ritorio del ducato e si ebbe una crescita del peso dei rettori di originerurale e signorile rispetto a quelli di estrazione cittadina108.

Per tutto il secolo, comunque, un dato rimase costante: i Visconti, dinorma, si rivolsero a personaggi di ampie competenze, che, qualunquefosse la loro provenienza, ebbero quasi sempre una vivace carriera, reg-gendo un buon numero di città e alternando agli incarichi podestarilialtri ruoli in seno al governo civile e militare del dominio. La potenzadella dinastia milanese, per oltre un secolo, seppe basarsi non solo sulledoti personali dei signori e sulla ricchezza della metropoli ambrosiana edelle terre vicine, ma anche sulla capacità di scegliere oculatamente unconsistente gruppo di validi collaboratori e di circondarsi di persone acui affidare con buon esito la responsabilità di reggere le città e i terri-tori da esse dipendenti.

108 Per l’età di Gian Galeazzo si segnala anche che la disponibilità di fonti seriali,assenti per le epoche precedenti, consentirebbe un’analisi molto più dettagliata delleinterrelazioni fra ufficiali viscontei e poteri cittadini, purtroppo impossibile da condur-re in questa sede.

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Appendice prima: i podestà di Vercelli durante la signoria viscontea,fino alla morte di Gian Galeazzo (1335-1373, 1377-1402).

L’elenco qui presentato si basa sui dati forniti da Vittorio MANDELLI,Il comune di Vercelli nel Medio Evo, III, Vercelli 1858, pp. 283-286.Laddove i dati documentari da me raccolti hanno fornito integrazioni ocorrezioni alla cronologia proposta dal Mandelli, ho segnalato il fatto innota.

AZZONE VISCONTI (1335-1339)

1335 – 1336 Giovanni da Bizzozzero di Milano. Fu uno dei prota-gonisti della grande espansione viscontea nella prima metà del Trecento.Già rettore di Novara nel 1331 e nel 1333-34, dopo il governo diVercelli, nel 1337 fu inviato quale podestà a Cremona e nell’anno suc-cessivo fu a Brescia, primo rettore della città dopo la conquista da partedi Azzone. Nel 1339-40 fu podestà di Bergamo, nel 1343 di Piacenza109.Consigliere di Giovanni, nel 1354 venne inviato a Brescia quale suorappresentante110. Ebbe importanti incarichi militari per Luchino,Galeazzo e Bernabò. Divenne comandante dell’esercito di quest’ultimosotto le mura di Bologna nel 1361, vi fu sconfitto e catturato per poimorire in prigionia alcuni anni dopo111.

1337 Gasparino Grassi di Cantù. Membro della famiglia che avevatentato di insignorirsi del borgo di Cantù, poi riconciliatasi coi Visconti.Era già stato podestà di Piacenza fra 1336 e 1337 e vi tornò nel 1338-1339112.

1338-1339 Bonriolo de Castelletto di Milano. Fedelissimo diAzzone, già rettore di Novara nel 1317, nel 1322 e nel 1328-29113 nel

109G. GARONE, I reggitori di Novara, Novara 1865, pp. 182-183, 188, SANTORO, Glioffici cit., pp. 89 e 95; B. BELOTTI, Storia di Bergamo e dei Bergamaschi, II, Bergamo1959, p. 422.

110 SANTORO, Gli offici cit., p. 235.111 G. GIULINI, Memorie spettanti alla storia, al governo ed alla descrizione della

città e campagna di Milano ne’ secoli bassi, V, Milano 18562, pp. 453-454.112 SANTORO, Gli offici cit., p. 342.113 GARONE, I reggitori di Novara cit., pp. 173, 175, 178, 179.

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1336 era stato podestà della Valtellina114. Nel 1340 fu coinvolto nellafallita congiura antiviscontea promossa da Francesco Pusterla e con-dannato a morte115.

LUCHINO E GIOVANNI VISCONTI (1340-1349)

inizi 1340 Bonriolo de Castelletto di Milano. Vedi all’anno 1338. da aprile 1340 Guglielmo Pelavicini di Borgo San Donnino. Nel

1338-39 era stato podestà e capitano di Como e forse nel 1347 fu pode-stà di Tortona116. Nel 1348 ricevette la sottomissione di Asti a nome diLuchino117. Nel 1351 combatté nella zona di Arezzo contro i Fiorentinie nel 1353 fu rettore di Genova a nome di Giovanni Visconti118. Nel1352 fu inviato con Protasio Caimi per firmare la pace con Firenze esuoi alleati119.

II sem. 1340120 – I sem. 1341 Protasio Caimi fu Stefano di Milano,cavaliere. Protasio fu un personaggio molto vicino alla corte viscontea:apparteneva a un’importante famiglia milanese, distintosi nella battagliadi Parabiago, dove fu addobbato cavaliere121, nel 1350 aprì l’elenco deitestimoni presenti all’assegnazione della dote a Bianca di Savoia, sposadi Galeazzo II122; fu podestà di Como nel 1342 e di Asti, probabilmentenel 1343123, nel 1352 fu inviato con Guglielmo Pelavicini per firmare lapace con Firenze e suoi alleati124, e secondo la testimonianza dell’Azario

114 SANTORO, Gli offici cit., p. 301115 CORIO, Storia di Milano cit., I, pp. 748-749.116 SANTORO, Gli offici cit., pp. 292 e 353.117 CORIO, Storia di Milano cit., I, p. 766.118 SANTORO, Gli offici cit., p. 326.119 Repertorio diplomatico visconteo. Documenti dal 1263 al 1402 raccolti e

pubblicati in forma di regesto, I, 1263-1363, Milano 1911, p. 60, reg. 548.120 Per la presenza del Caimi nel secondo semestre 1340: ASCVc, Pergamene,

mazzetta 10, 1340 novembre 9.121 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum cit., p. 29.122 C. SANTORO, La politica finanziaria dei Visconti. Documenti, vol. I, Settembre

1329-agosto1385, Milano 1976, p. 50, doc. 73.123 SANTORO, Gli offici cit., p. 292.124 Repertorio diplomatico cit., I, p. 60, reg. 548.

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diventò poi uno dei consiglieri più fidati di Galeazzo II, ricoprendo ruolidi grande responsabilità nel governo del dominio125.

II sem. 1341 – I sem. 1342 Paganino da Bizzozzero di Milano. Giàpodestà di Bergamo nel 1340, giunse a Vercelli alla fine del 1341 e sitrovò a dover reperire 16.000 lire che il comune doveva agliAvogadro126. Agli inizi del 1346 fu podestà di Cremona127. Nel secondosemestre dello stesso anno fu il primo podestà di Parma, conquistata daLuchino Visconti. Il cronista parmigiano Giovanni da Cornazzano lodefinisce “aspro e feroce rettore”128. Diversa l’opinione del Petrarca chene fu amico e corrispondente129.

II sem. 1342 – I sem. 1343 Tommasino Lampugnani di Milano. Fupodestà della Valtellina nel 1338 e di Bergamo nel 1341130.

II sem. 1343 – I sem. 1344 Pietro Visconti fu Gasparino di Milano.Apparteneva al ramo dei Visconti di Somma Lombardo, possedeva ilcastello di Ierago, nel Varesotto, e nel 1334 era stato esentato da ognionere per i suoi beni fondiari131. Personaggio di fiducia e di esperienza,nel 1352 fu podestà di Cremona, nel 1353 di Brescia, nel 1355 e poi nel1358-59 e nel 1365-66 e nel 1374-75 di Bergamo, nel 1368 di Parma,nel 1372 ancora di Cremona132

II sem. 1344 – I sem. 1345 Giovanni Scacabarozzi di Milano.Distintosi nella battaglia di Parabiago, dopo la quale fu addobbato cava-liere133, fu podestà di Bergamo nel 1343-44, di Tortona nel 1348 e addet-to all’arruolamento di truppe nel 1361 e nel 1362134.

125 AZARII Liber gestorum cit., p. 153, si veda anche SANTORO, Gli offici cit., p. 235.126 Repertorio diplomatico cit., I, p. 27, reg. 246.127 SANTORO, Gli offici cit., p. 319.128 Historiae Parmensis fragmenta, auctore fratre IOHANNE DE CORNAZANIS, a cura

di L.A. Muratori, in Rerum Italicarum scriptores, XII, Mediolani 1728, coll. 727-754,qui col. 746.

129 P.G. RIZZI, Bizzozzero Paganino da, in Dizionario biografico degli italiani, X,Roma 1968, pp. 751-752.

130 SANTORO, Gli offici cit., p. 301, BELOTTI, Storia di Bergamo cit., II, p. 422.131 SANTORO, La politica finanziaria cit., I, p. 8, doc. 7 e nota. 132 SANTORO, Gli offici cit., pp. 286, 319-20; BELOTTI, Storia di Bergamo cit., II, p.

423, A. PEZZANA, Storia della città di Parma, I, 1346-1400, Parma 1837, p. 85.133 GALVANEI DE LA FLAMA Opusculum cit., p. 30.134 Repertorio diplomatico cit., I, p. 28, reg. 257, p. 36, reg. 332, p. 133, reg. 1166,

p. 134, regg. 1171, 1174, p. 135, reg. 1178; BELOTTI, Storia di Bergamo cit., II, p. 422.

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II sem. 1345 – I sem 1346 Giovannolo Mandelli di Milano.Giurisperito, fu rettore di Novara dal 1343 agli inizi del 1345, podestà ecastellano di Piacenza nel 1347, podestà di Cremona nel 1349, di Pavianel 1351, di Bergamo nel 1355-56135.

II sem. 1346136 – I sem. 1347 Enrico (o Enricolo) Burri di Milano.Podestà di Crema nel 1343, della Valtellina nel 1343, di Como prima del1343, di Piacenza nel 1348/inizi 1349137.

II sem. 1347 – I sem 1348138 Febo Anguissola di Piacenza. Non ènota la sua ulteriore carriera politica.

II sem. 1348 – I sem 1349 Francesco Scacabarozzi di Milano.Podestà di Novara nel 1345-46139.

II sem. 1349 Guidetto de Casate di Milano140. Fu poi podestà diBergamo, nel 1352141.

GIOVANNI VISCONTI (1350-1354)

1350 IgnotoI sem. 1351 Maffeo de Foresti di Bergamo. Appaltatore del teloneo

del ferro a Bergamo nel 1323, di famiglia di magnati bergamaschi ghi-bellini142, nel 1329 aveva ricevuto da Ludovico il Bavaro prerogativepari a quelle di un conte palatino143.

II sem. 1351 – 1352 Pietro Visconti di Milano. Vedi sopra, all’an-no 1343-44.

I sem. 1353 Giovannolo da Pirovano di Milano. Podestà di

135 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 195; SANTORO, Gli offici cit., pp. 319, 343;BELOTTI, Storia di Bergamo cit., II, p. 423.

136 ASCVc, Pergamene, mazzetta 11, 1346 ottobre 21 in copia del 1347 maggio.137 SANTORO, Gli offici cit., pp. 301, 316, 343.138 Per la presenza dell’Anguissola nel primo semestre del 1348, cfr. ORDANO, I

Biscioni cit., p. 97, doc. 10.139 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 195.140 È errata la dizione “de Casale” del cognome riportata dal Mandelli. Cfr. ASCVc,

Pergamene, mazzetta 11, 1349 dicembre 4.141 BELOTTI, Storia di Bergamo cit., II, p. 423.142 MAINONI, Le radici della discordia cit., pp. 71 e 130.143 BELOTTI, Storia di Bergamo cit., II, p. 94.

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Piacenza nel 1 semestre 1355, di Novara nel 1360 e di Pavia nel 1361 eancora di Novara nel 1362, nel 1368-69 e nel 1370144.

II sem. 1353 - 1354 Uberto Pietrasanta di Milano145. Nel 1363 fucapitano di Pavia e nel 1367 podestà di Novara146.

GALEAZZO II VISCONTI (1355-1373)

1355 IgnotoI sem. 1356 Ambrosolo Trivulzio di Milano. Già podestà di

Cremona nel 1350147

II sem. 1356 -1357 Gianazzo Aliprandi di Milano. Di famiglialegata all’arte delle armi148

1358 - 1359 Giovannolo da Pirovano di Milano. Vedi sopra, all’an-no 1353.

I sem. 1360 Ottino de Marliano di Milano. Collaterale signorile dal1348 al 1351149. Fu inoltre rettore di Bergamo nel 1357-58, di Novaranel 1358-59 e di Piacenza nel secondo semestre del 1360150.

II sem. 1360 – I sem. 1361 Giovanni marchese Pelavicini diScipione. Fu tra i capitani che guidarono le truppe di Bernabò contro laLega Guelfa nel 1363 e fu rettore di Tortona nel 1357, di Como, nelsecondo semestre del 1361, di Pavia nel 1362 e nel 1364, di Novara nel1369 e nel 1379151.

II sem. 1361 Speronolo da Concorezzo di Milano. Nel 1378 vienenominato familiare di Gian Galeazzo152.

144 GARONE, I reggitori di Novara cit., pp. 208, 210, 212, 213, SANTORO, Gli officicit., pp. 330, 344, COGNASSO, Note e documenti cit., p. 117.

145 Per la presenza del Pietrasanta nel secondo semestre 1354, cfr. ORDANO, IBiscioni cit., p. 124, doc. 3.

146 G. ROBOLINI, Notizie appartenenti alla storia della sua patria, vol. V/1, Pavia1834, p. 30, GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 212.

147 SANTORO, Gli offici cit., p. 319148 P. MAINONI, Guerra e finanza privata a metà del Trecento, in EAD., Economia e

politica cit., pp. 129-157, a p. 146 nota.149 SANTORO, Gli offici cit., p. 258.150 BELOTTI, Storia di Bergamo cit., II, p. 423, GARONE, I reggitori di Novara cit., pp.

207-8, SANTORO, Gli offici cit., p. 330, 344.151 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 213, G. ROVELLI, Storia di Como, III/1,

Como 1802, p. 17, AZARII Liber gestorum cit., pp. 108n e 159.152 Repertorio diplomatico cit., II, p. 287, reg. 2432.

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1362 Ignoto1363 Taddeo Pepoli di Bologna. Uno dei principali condottieri a

disposizione di Galeazzo. Già podestà di Novara nel 1361-62, ebbe lacarica di Capitano generale del Piemonte nel 1368 e quella di coman-dante dell’esercito contro il Monferrato nel 1370, nell’anno successivoresse ancora Novara, come pure fra 1380 e 1381153. Nel 1379 partecipòalla conclusione della tregua fra Giovanni III di Monferrato e GianGaleazzo Visconti154.

1364 Balzarolo da Baggio di Milano. Fu poi rettore di Piacenza nel1370 e di Parma nel 1382155.

1365 Ignoto1366 Ignoto1367 Nicola Pepoli di Bologna. Cavaliere addobbato, era già stato

rettore di Novara, nell’anno precedente156.1368 Giovanni de Scipiono marchese Pelavicini. Si veda sopra,

all’anno 1361.1369 Forse lo stesso1370 Forse lo stesso1371 Forse lo stesso1372 Bartolomeo dal Verme di Verona. Condottiero e capo milita-

re, Bartolomeo era stato bandito da Verona nel 1354, assieme a suo fra-tello Luchino157, era già stato castellano di Vercelli nel 1370 e fu rettoredi Novara nel secondo semestre del 1372 e nel 1373158. Morì nel 1379.

1373 Ignoto

1374-1376: DOMINIO DELLA CHIESA

GIAN GALEAZZO VISCONTI (Signore di fatto dal 1377, di diritto dal 1378,duca dal 1395)

153 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 210, 213, 217, GRILLO, L’espansioneviscontea cit., pp. 276-277.

154 ROBOLINI, Notizie cit., p. 45.155 SANTORO, Gli offici cit., p. 345, PEZZANA, Storia della città di Parma, cit., p. 142.156 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 214.157 D. MALLETT, Dal Verme Iacopo, in Dizionario biografico degli Italiani, XXXII,

Roma 1986, pp. 262-267, a p. 262.158 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 214.

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II sem. 1377 – I sem. 1378 Francesco Scotti di Piacenza. Dettoanche Franceschino, era capo dell’omonima squadra (fazione) piacenti-na159. Nel 1376 fu podestà di Bologna e nel 1396 di Verona160.

II sem. 1378 – I sem. 1379 Azzone Visconti. Figlio illegittimo diGian Galeazzo, era già stato podestà di Novara nel 1375 ed era proba-bilmente giovanissimo, dato che nel 1378 non aveva l’età per sposarsi emorì “ancor giovinetto” nel 1381161.

II sem. 1379 – I sem. 1380 Giovanni Guarzoni di Lucca. Uno deipiù fidati collaboratori di Gian Galeazzo, fu suo ambasciatore pressol’imperatore Venceslao nell’aprile del 1379 e podestà di Cremona, nel1383, di Piacenza, nel 1388, di Reggio Emilia, fra la fine del 1382 e l’i-nizio del 1384162.

II sem. 1380 – I sem. 1381 Lanfranco Porro di Milano. Era uno deileader della fazione ghibellina in Milano163. Fu podestà di Tortona, nel1376, di Novara nel 1381 e di Reggio nel 1386164.

II sem. 1381 – I sem. 1382 Taddeo Pepoli di Bologna. Si vedaall’anno 1363.

II sem. 1382 – I sem. 1383 Castellino Beccaria di Pavia. Sembraimprobabile che fosse davvero nato verso il 1365, come ritiene un suobiografo165, visto che nel 1375 ricoprì la carica di podestà di Como166.Dopo l’incarico vercellese, fu rettore di Novara nel 1385-86, di Crema,nel 1397 e ancora di Novara nell’anno successivo167. Insignoritosi di

159 GAMBERINI, La città assediata cit., p. 68.160 GAMBERINI, Lo stato visconteo cit., p. 240, G. SOLDI RONDININI, La dominazione

viscontea a Verona (1387-1404), in Verona e il suo territorio, IV/1, Verona 1981, pp. 3-237, a p. 149.

161 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 215.162 Repertorio diplomatico cit., II, p. 298, reg. 2522, SANTORO, Gli offici cit., pp. 321,

245, 350.163 Sul ruolo politico dei Porro, signori di Pollenzo, in Piemonte si veda anche P.

GRILLO, Pollenzo feudo visconteo, in Storia di Bra cit., pp. 298-304.164 SANTORO, Gli offici cit., p. 353, GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 217,

GAMBERINI, La città assediata cit., p. 31n; ID., Lo stato visconteo cit., p. 58n.165 N. CRINITI, Beccaria di Robecco Castellino, in Dizionario biografico degli

Italiani, VII, Roma 1970, pp. 478-482, a p. 478.166 ROVELLI, Storia di Como cit., III/1, p. 31.167 SANTORO, Gli offici cit., p. 316, GARONE, I reggitori di Novara cit., pp. 218, 221,

CRINITI, Beccaria di Robecco Castellino cit., p. 479.

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Voghera dopo la morte di Gian Galeazzo, fu accusato di tramare controFilippo Maria Visconti e fatto uccidere nell’ottobre del 1413168.

II sem. 1383 – 1384 Antonio Visconti di Milano. Personaggio dispicco nella vita milanese e cavaliere addobbato, fu tra i comandantidella Compagnia della Stella e poi rettore di Novara nel 1364, membrodel consiglio di Provvisione di Milano nel 1385, 1386 e 1388 e consi-gliere del comune nel 1403 e nel 1408 e deputato della Fabbrica delDuomo quasi ininterrottamente dal 1390 al 1408169. Fu anche podestà diCremona nel 1397-98170

1385 Loterio Rusca di Como. Imparentato coi Tizzoni diVercelli171, fu uno dei maggiori collaboratori di Gian Galeazzo Visconti.Fu podestà di Milano nel 1373, di Piacenza, 1374, di Pavia nel 1376, diAsti nel 1380, di Parma nel 1386, di Verona nel 1389-90172. Dopo lamorte di Gian Galeazzo Visconti si fece signore di Como, che poi cedet-te nuovamente a Filippo Maria nel 1416, in cambio della creazione dellacontea di Lugano e della sua nomina a titolare173.

1386 Comino Suardi di Bergamo. Podestà di Cremona, nel 1387174. 1387 – I sem 1388 Spinetta della Mirandola. Figlio di Paolo dei

Pico della Mirandola, fu un fedele alleato dei Visconti e venne compen-sato con la podesteria vercellese, che però pare esser stata l’unica tappadella sua carriera politica175.

II sem 1388 Guido da Vimercate di Milano. Giureconsulto e contepalatino. Podestà di Parma nel 1362, di Cremona, nel 1370, di Piacenza,

168 CRINITI, Beccaria di Robecco Castellino cit., GRILLO, Istituzioni e società cit., pp.191-193.

169 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 211, SANTORO, Gli offici cit., pp. 127, 129,131, 238, Annali della Fabbrica del Duomo di Milano dall’origine fino al presente.Indice generale, Milano 1885, p. 328.

170 SANTORO, Gli offici cit., p. 322.171 GABOTTO, Documenti inediti cit., p. 123, doc. 16.172 SANTORO, Gli offici cit., pp. 112 e 345, ROBOLINI, Notizie cit., p. 348, F.

CENGARLE, Feudi e feudatari del duca Filippo Maria Visconti. Repertorio, Milano 2007,pp. 214-215, doc. 39, PEZZANA, Storia della città di Parma, cit., p. 162, SOLDI

RONDININI, La dominazione viscontea cit., p. 147.173 F. CENGARLE, Immagini di potere e prassi di governo. La politica feudale di

Filippo Maria Visconti, Roma 2006, pp. 16 e 23.174 SANTORO, Gli offici cit., p. 321.175 GAMBERINI, La città assediata cit., pp. 226-227.

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nel 1390176. Capitano di Parma, nel 1374 e nel 1376177. È forse da iden-tificare con un Guidolo da Vimercate, capitano di Brescia nel 1359, nel1363 e nel 1364178, che nel 1364, con l’incarico di collaterale, ebbe l’in-carico di arruolare e pagare la compagnia di Anechino Bongarten nelBresciano179.

1389 Corradino Rusca di Como. Podestà di Novara nel 1387-88 emembro del consiglio di Provvisione di Milano, nel 1410180.

1390 – I sem 1391 Balzarolo da Baggio di Milano. Milite, giàpodestà di Piacenza dal 1370 al 1372, nell’anno 1400 fu al servizio dellaFabbrica del Duomo181

II sem 1391 - I sem. 1393 Paolo Mantegazza di Milano. Consiglieredi provvisione nel 1385; podestà di Parma nel II semestre 1393 e diCrema, nel 1399182. Fu denunciato come usuraio, e confessò, nel 1403183.

1394 Conte Goffredo degli Ubaldini di Perugia. Rettore diCremona, nel 1390-91 e di Novara, nel 1391-92 184.

I sem 1395 Aliolo Rusca di Como. Podestà di Brescia, nel 1391185. II sem 1395 – 1396 Paolo Mantegazza di Milano. Vedi all’anno

1391-92.1397 Giovanni Pusterla di Milano. Cavaliere addobbato, era fra i

più ricchi milanesi chiamati a contribuire all’estimo del 1395, moltoattivo in prestiti, presi e concessi186. Prima dell’incarico vercellese furettore di Novara, nel 1395-96 e di Alessandria nel primo semestre1397, nonché castellano di Monza nel 1404187. Imparentato con Gian

176 PEZZANA, Storia della città di Parma cit., p. 69n, SANTORO, Gli offici cit., p. 320,345.

177 GAMBERINI, La città assediata cit., p. 235n, PEZZANA, Storia della città di Parmacit., p. 117.

178 SANTORO, Gli offici cit., p. 287. 179 MAINONI, Economia e politica cit., p. 150.180 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 221, SANTORO, Gli offici cit., p. 134.181 SANTORO, Gli offici cit., p. 345, Annali della Fabbrica cit., I, p. 201.182 PEZZANA, Storia della città di Parma cit., p. 193, SANTORO, Gli offici cit., p. 128,

316.183 MAINONI, Economia e politica cit., p. 175.184 SANTORO, Gli offici cit., p. 321, GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 222.185 SANTORO, Gli offici cit., p. 290.186 MAINONI, Economia e politica cit., pp. 172, 176.187 GARONE, I reggitori di Novara cit., p. 223-24.

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Galeazzo ebbe un ruolo di rilievo nella cerimonia dell’investitura duca-le. Capofazione ghibellino, fu coinvolto nei tumulti del 1404 e vennemesso a morte nel 1408188.

1398 – I sem. 1399 Giovanni Malaspina marchese di Varzi.Vassallo dei Visconti189, è forse da identificare con il GiovanniMalaspina che fu podestà visconteo di Genova nel 1426190.

II sem. 1399 – I sem.1401 Conte Goffredo degli Ubaldini. Vediall’anno 1394.

II sem 1401 – I sem 1402 Rizardo de Abatis de Parma.

188 Su Giovanni si vedano le notizie raccolte in B. BETTO, Il testamento del 1407 diBalzarino da Pusterla, milanese illustre e benefattore, in “Archivio storico lombardo”,114 (1988), pp. 261-302.

189 Inventari e regesti del R. Archivio di Stato in Milano, I, I registri viscontei, a curadi C. Manaresi, Milano 1915, p. 6, reg. 98.

190 R. Musso, Le istituzioni ducali dello “stato di Genova” durante la signoria diFilippo Maria Visconti, in L’età dei Visconti. Il dominio di Milano fra XIII e XV secolo,a cura di L. CHIAPPA MAURI, L. DE ANGELIS CAPPABIANCA, P. MAINONI, Milano 1993,pp. 65-111, a p. 96.

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Appendice seconda: le carriere di alcuni podestà viscontei191

191 Sono stati presi in considerazione i personaggi di cui siano noti almeno quattroincarichi.

Paganino da Bizzozzero 1340 Bergamo1341-42 Vercelli 1346 Cremona1346-48 Parma

Pietro Visconti 1343-44 Vercelli1352 Cremona 1353 Brescia1355 Bergamo1358-59 Bergamo1365-66 Bergamo1368 Parma1372 Cremona1374-75 Bergamo

Giovannolo Mandelli 1343-45 Novara1345-46 Vercelli1347 Piacenza 1349 Cremona1351 Pavia1355-56 Bergamo

Giovannolo da Pirovano1353 Vercelli1355 Piacenza1358-59 Vercelli,1360 Novara1361 Pavia

1362 Novara1368-69 Novara1370 Novara1372 Tortona

Ottino de Marliano. 1357-58 Bergamo1358-59 Novara1360 Vercelli1360 Piacenza

Giovanni Pellavicini1357 Tortona1360-61 Vercelli1361 Como1362 Pavia1364 Pavia1369 Novara1379 Novara

Giovanni Guarzoni1379-80 Vercelli1383 Cremona,1388 Piacenza1382-84 Reggio

Lanfranco Porro1376 Tortona 1380-81 Vercelli1381 Novara1386 Reggio

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Castellino Beccaria1375 Como. 1382 Vercelli1385-86 Novara 1397 Crema1398 Novara

Loterio Rusca1373 Milano1374 Piacenza 1376 Pavia 1380 Asti 1385 Vercelli1386 Parma1389-90 Verona

Guido da Vimercate1362 Parma 1379 Cremona1388 Vercelli1390 Piacenza

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ANTONIO OLIVIERI

Università degli Studi di Torino_________

LA SOCIETÀ DEI NOTAI DI VERCELLI E I SUOI STATUTI ALLA FINE DEL TRECENTO

1. Introduzione

Si sa assai poco, oggi, della storia della Società dei notai di Vercellinel Trecento. Per le vicende anteriori alla sua rifondazione del 1397restano poco più che tracce1, utili quasi soltanto a testimoniare la suaesistenza. Per l’epoca stessa della rifondazione e per gli anni immedia-tamente posteriori la documentazione è scarsa e per di più unilaterale:accanto al Libro della matricola, giunto in originale, che testimoniadella puntuale applicazione di un capitolo degli statuti societari, sidispone soltanto di questi ultimi, in un esemplare, allegato all’unicocodice superstite degli statuti viscontei di Vercelli, sulla cui tradizionetestuale non è facile formulare un giudizio. Della ricca produzionedocumentaria prevista da quello stesso statuto e connessa alle attivitàdel Collegio, produzione alla quale si dedicherà qualche cenno in que-sta relazione, non si è conservato nulla – almeno, che io sappia, per ilTrecento e il Quattrocento – a parte la citata matricola.

Le conseguenze di questa povertà documentaria appaiono gravi,soprattutto se si opera un confronto con situazioni più fortunate, quali,per fare solo pochi esempi, quelle ben note di Genova e di Perugia2,

1 Statuti del 1341, l. IV, cap. 8 (f. 60v; stampa 1541, ff. 63v-64r): «Item quod qui-cumque de cetero fuerit potestas Vercellarum sub debito iuramenti et librarum quinqua-ginta Papiensium pro qualibet vice amissionis sui salarii teneatur et debeat infra decemdies a tempore introitus sui regiminis convocare coram se vel eius familia consules col-legii notariorum et sex iudices collegii iudicum Vercellarum et vigintiquatuor notariosde melioribus collegii notariorum communis Vercellarum et plures si sibi placuerit etocto de aliis bonis viris laicis civitatis vel districtus Vercellarum (…)». Si veda anchenello stesso libro il cap. 11 (f. 61r): «Item statutum est quod circa confectionem instru-mentorum…». Per il codice manoscritto degli statuti viscontei e per la copia a stampadi essi del 1541 si vedano le indicazione date qui oltre, n. 8.

2 G. COSTAMAGNA, Il notaio a Genova tra prestigio e potere, Roma 1970; Il notariatoa Perugia. Mostra documentaria e iconografica per il XVI Congresso nazionale del nota-riato (Perugia, maggio-luglio 1967), catalogo a cura di R. ABBONDANZA, Roma 1973.

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oppure quella di Milano3 o, per menzionare realtà di scala più vicina aquella di Vercelli, quelle di Como4 e di Treviso5.

Come è noto gli statuti municipali, le loro successive redazioni e leloro rinnovazioni - o invece, talvolta, la mancanza di tali interventi -possono costituire un indice significativo del modo in cui mutano o siconsolidano gli equilibri nei rapporti tra principe e città, del modo in cuinuovi rapporti si instaurano nel mutare complessivo dei regimi politici6.Su scala diversa non ha minore rilievo la vicenda degli statuti societari.Nel caso degli statuti dei collegi notarili, le successive conferme, i muta-menti, le redazioni ex novo attestano bene il ruolo chiave, evidentegeneratore di tensioni, che i notai e le loro associazioni rivestono inambito cittadino e nei rapporti che la città intrattiene con i poteri regio-nali7. Da parte loro i capitoli che disegnano le basi normative dell’ope-ra di rifondazione della società notarile vercellese, pur costituendo unasorta di masso erratico che si erge entro un panorama documentario spo-glio, riescono per i caratteri loro propri, come si vedrà, a documentarein modo efficace la coesistenza di valutazioni assai diverse sul ruolo ele funzioni da assegnare alla corporazione nello spazio sociale e istitu-zionale di una città dominata.

3 A. LIVA, Notariato e documento notarile a Milano. Dall’Alto Medioevo alla finedel Settecento, Roma 1979.

4 M. L. MANGINI, Il notariato a Como. “Liber matricule notariorum civitatis et epi-scopatus Cumarum” (1427-1605), Varese 2007.

5 Per il collegio notarile di Treviso nel Trecento si vedano le ricerche e le edizionidi fonti di Bianca Betto: Uno statuto del collegio notarile di Treviso del 1324, inContributi dell’Istituto di storia medievale. Raccolta di studi in onore di Sergio MochiOnory, I, Milano 1968, pp. 10-60; Strutture e compiti del Collegio notarile di Trevisoattraverso documenti editi ed inediti del secolo XIV, Contributi dell’Istituto di storiamedievale. Raccolta di studi in onore di Sergio Mochi Onory, II, Milano 1972, pp. 53-251; Il collegio dei notai, dei giudici, dei medici e dei nobili di Treviso, secc. XIII-XVI,Venezia 1981, pp. 19-129.

6 Cfr. p. es. E. FASANO GUARINI, Gli statuti delle città soggette a Firenze tra ‘400 e‘500: riforme locali e interventi centrali, in Statuti città territori in Italia e Germani traMedioevo e Età moderna, a cura di G. CHITTOLINI e D. WILLOWEIT, Bologna 1991, pp.69-124 e, nello stesso volume, G.M. VARANINI, Gli statuti delle città della terrafermaveneta nel Quattrocento, pp. 247-317.

7 Si pensi, per esempio, alla travagliata vicenda trecentesca degli statuti notarili tre-vigiani, illustrata dai lavori citati sopra (n. 5).

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2. La redazione statutaria e la (ri)fondazione del collegio

Lo statuto del rinnovato collegio notarile di Vercelli reca in apertural’approvazione di Gian Galeazzo Visconti in forma di lettere inviate dalduca al podestà e agli anziani della città di Vercelli. Il duca aveva rice-vuto («Vidimus») settanta capitoli che il podestà e gli anziani, agendo«sub nomine communis nostri Vercellarum», avevano fatto redigere perla regolazione («pro ordinatione») del collegio dei notai della città e deldistretto di Vercelli. Li aveva fatti esaminare e correggere e li avevaquindi rimessi al podestà e agli anziani, ratificandoli con le lettere stes-se cui erano allegati, riservandosi in pari tempo l’arbitrio di emendare emutare gli statuti e di derogarvi secondo le esigenze, precisando chel’approvazione non si intendeva effettuata in deroga dei decreti ducalivigenti e futuri. Ordinava poi di inserirli nel volume degli altri statuti delcomune, facendoli osservare inviolabiliter8.

Le lettere viscontee recavano la data del 26 maggio 1397. Nel prolo-go degli statuti, con ogni probabilità anteriore all’approvazione ducale,si legge che essi erano stati approvati e confermati dalla credenza gene-rale della città di Vercelli (dunque gli anziani cui si rivolgeva GianGaleazzo erano verosimilmente i credenziari) il precedente 10 aprile. La

8 Citerò lo statuto del Collegio dei notai dal manoscritto degli statuti viscontei diVercelli conservato presso l’Archivio Storico Civico di Vercelli. Nel volume appenacitato lo statuto societario occupa la parte finale (ff. 195r-216r), mentre nell’ampia por-zione iniziale trovano luogo gli statuti municipali del 1341. Occorre tenere conto delfatto che nell’attuale legatura, risalente probabilmente al XVIII secolo, la fascicolazio-ne della porzione del codice che reca lo statuto del collegio dei notai presenta delle irre-golarità e che la stessa cartulazione moderna mostra degli scarti. Per una analisi deifascicoli di questa parte del codice si veda P. KOCH, Die Statutengesetzgebung derKommune Vercelli im 13. und 14. Jahrhundert, Frankfurt am Main 1995, pp. 174-177.Dopo il f. 202, ultimo di un quaterno, e fino al f. 211, primo di un terno che non pre-senta irregolarità, la sequenza attuale della cartulazione moderna è la seguente: 204(manca il 203), 205, 207[bis] (Koch lesse 203), 206, 207, 208, 209, 210. La sequenzagiusta, cui si farà riferimento nelle note seguenti, è: 207[bis], 208, 209, 204, 205, 206,207, 210. Una copia a stampa del detto codice statutario venne pubblicata a Vercelli nel1541: in essa lo statuto del collegio dei notai, i cui capitoli si presentano nella giustasequenza, occupa i ff. 204v-228r. Per gli statuti cittadini del 1341 e per l’esemplare astampa si veda il saggio di Elisa Mongiano in questo stesso volume; si veda ancheKOCH, Die Statutengesetzgebung der Kommune Vercelli cit., pp. 171-256. Le lettere diGian Galeazzo stanno al f. 195r (stampa 1541, f. 204v).

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credenza aveva naturalmente agito in presenza e con il consenso delpodestà visconteo di Vercelli, il milanese Giovanni de Pusterla, e del suovicario, il dottore di leggi pavese Agostino de Ozula, mentre alla reda-zione degli statuti erano stati deputati «octo sapientes cives», dei qualipurtroppo ignoriamo i nomi. Una volta approvati dal signore gli statuti,essi, prevedeva il prologo, avrebbero dovuto essere inserti nel volumedegli altri statuti del comune e osservati «pro lege municipali prout aliadicti comunis observantur statuta»9.

L’altra importante fonte di cui disponiamo sul rinnovato collegionotarile di fine Trecento è, come si accennava, il libro della matricola10.Il prologo di tale libro veicola, sotto il velo di una retorica sostenuta edistorcente, notizie decisive: l’officium tabellionatus della città e deldistretto di Vercelli, già compromesso da inconvenienti, varietates eerrori, disperso da circostanze di eccezionale gravità, viene ridotto aunità in un collegio che ci si spinge a definire sacrum11. A onore delprincipe, a tutela della res publica della città e per ovviare agli erroresche avevano disperso il notariato vercellese viene redatto «liber istemembraneus sive matricula» nel quale i notai che desideravano operareper la clientela privata («instrumenta conficere») ed exercere gli actapublica, vale a dire essenzialmente operare in uno dei molti offici nota-rili previsti entro le articolate strutture istituzionali del comune, aveva-no depositato il loro segno tabellionale e il testo della loro sottoscrizio-ne. Ciò era accaduto al tempo, come già sappiamo, del podestariato delgenerosus miles Giovanni de Pusterla e del vicario Agostino de Ozula diPavia famosus legum doctor. Quest’ultimo era anzi il fondatore stessodel collegio, colui che «pro statu bono dicte civitatis dictum collegiumadunavit et ipsius extitit adinventor», nell’anno 139712.

9 F. 195r (stampa 1541 ff. 204v-205r). 10 Anch’esso conservato presso l’Archivio Storico Civico di Vercelli. Una edizione

del libro della matricola con riproduzione fotografica completa è stata pubblicata dalComune di Vercelli su CD-Rom: Liber matriculae. Il libro della matricola dei notai diVercelli (sec. XIV-XVIII), ideazione e realizzazione di A. BUONOCORE e C. DE VITA, edi-zione e testi a cura di A. OLIVIERI, Vercelli 2000.

11 Un prologo di pari drammaticità, impostato sulla metafora della malattia e dellasua cura, è quello che apre gli statuti del collegio dei notai di Treviso del 1324: BETTO,Uno statuto del collegio notarile di Treviso cit., p. 28 (e cfr. p. 17 sg.).

12 Libro della matricola del collegio dei notai di Vercelli, f. 1r.

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Il collegio, visto attraverso la lente del prologo della matricola, risulta-va quindi una istituzione nuova, di cui il famoso giurista Agostino de Ozulaera stato addirittura il fondatore, reagendo allo stato di dispersione e pro-strazione in cui versavano non i notai di Vercelli ma quell’entità astrattache veniva significativamente denominata officium tabellionatus13, la cuiimmensa bonitas veniva, per essere salvaguardata, ridotta a unità, raccoltain un sacrum collegium. Ma non era poi solo a una condizione di gravedecadimento, determinato, come si potrebbe pensare, da una colpevoleinerzia, che si faceva fronte, quanto anche a veri e propri disordini, ad azio-ni nefande (enormitates) che, per essere accuratamente taciute, non dove-vano risultare meno chiare alle persone che le avevano vissute. Che dove-vano essere poi, innanzi tutto, i cittadini di Vercelli, le élites della ricchez-za e della politica, ma anche, in qualche misura, gli altri abitanti della cittàe del distretto, e poi i funzionari del principe e il principe stesso.

Il senso in cui si era proceduto è chiaro, e il suo carattere peculiarenon sta tanto nell’impronta schiettamente autocratica, del resto sconta-ta, impressa all’intera operazione, quanto nell’incardinamento del colle-gio e delle norme che ne dovevano regolare la vita nelle istituzionicomunali e, attraverso queste ultime, per saldi tramiti, nelle strutturedello stato visconteo: l’unitas rivendicata nel prologo della matricola erasì quella del collegio, ma in quanto collocato entro quell’universo poli-tico gerarchizzato costituito, innanzi tutto, dal principe, con il suo honore il suo status che occorreva conservare, e poi dalla res publica cittadi-na. Tale incardinamento era simboleggiato in modo efficacissimo dal-l’inserimento degli statuti notarili, prescritto dal mandato visconteo, nelvolume degli statuti del comune della città di Vercelli, anzi nel volumedegli altri statuti («aliorum statutorum») cittadini, e dalla prescrizione

13 Nel primo capitolo dello statuto notarile l’espressione tabellionatus officium risul-ta accostabile o sovrapponibile a quella di collegium: (f. 195rv, stampa 1541 f. 220v)«DE MODO PRINCIPIANDI OFFICIUM NOTARIORUM RUBRICA. In primis ut modus debitusapponatur in principiando fidelem ordinem istius tabellionatus officii statutum est quoddominus potestas Vercellarum vel eius vicarius una cum aliquibus ex sapientibus dictecivitatis eligere debeant sex vel octo ex intelligentibus et prudentibus notariis ipsiuscivitatis, qui in principio dicti tabellionatus officii et donec officiales notariorum officiisecundum ordinem comprehensum in presenti volumine ordinabuntur, una cum ipsodomino potestate vel eius vicario ad dictum tabellionatus officium sufficientes et ido-neos admittendos admittant et alios insufficientes omittant».

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che fossero osservati «pro lege municipali, prout alia dicti comunisobservantur statuta».

Inoltre il comune stesso, insieme con il duca, appariva promotoredella redazione del corpo statutario. Lo stesso Gian Galeazzo lo avevadichiarato nel mandato posto in testa allo statuto: i 70 capitoli erano statiredatti per volontà del podestà visconteo e dei membri della credenza(gli anziani) della città «sub nomine communis nostri Vercellarum proordinatione collegii notariorum dicte civitatis et districtus». Prima diessere proposti all’approvazione del signore i capitoli erano stati appro-vati e confermati «per generale consilium credentie civitatisVercellarum, facta ad ordinationem notariorum civitatis et districtusipsius civitatis». Era insomma la città in quanto organismo politico-amministrativo a volere e proporre l’ordinatio dei notai della città e deldistretto, quindi del loro collegio. Il che poi, in senso generale, noncostituiva affatto una novità, data la tradizionale attenzione del comunenei confronti del notariato come fatto di pubblico interesse14. Qui, nellospecifico, è l’esibizione della sollecitudine del comune verso l’organiz-zazione corporativa dei notai l’elemento di cui bisogna tenere conto.

Sembrerebbe, in sostanza, di poter dire che il collegio non fosse statoistituito come corpo accanto ad altri corpi amministrativi cittadini, conuna propria giurisdizione normata da uno ius proprium, dunque con unproprio autonomo, sia pure particolare, spazio giuridico, insomma comeuna corporazione d’età comunale. Il collegio veniva invece presentatocome una sorta di articolazione dell’istituto comunale, come una magi-stratura destinata a disciplinare un settore della vita istituzionale di uncomune cittadino nell’età del principato. Si vedrà di seguito come inrealtà questa esibita integrazione del collegio dei notai entro l’organi-smo comunale non avesse trovato nello statuto coerente realizzazione.Da un lato infatti il gruppo cittadino dei redattori dello statuto lo avevaconcepito come un corpo tendenzialmente autonomo, dai poteri limita-ti, certo, ma rilevanti, dunque altra cosa rispetto al comune. Ma dall’al-

14 Si veda, come esempio tra i molti possibili della sollecitudine del comune cittadinoper il corretto esercizio dell’officium notarie e nei confronti dell’organizzazione societariadei notai, quanto traspare dagli statuti notarili di Bergamo della seconda metà del Duecento:Statuti notarili di Bergamo (secolo XIII), a cura di G. SCARAZZINI, Roma 1977; cfr. ancheC. PECORELLA, Statuti notarili piacentini del XIV secolo, Milano 1971, pp. 23-27.

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tro i revisori incaricati dal principe avevano agito, per quel che si puòvedere, per semplice sottrazione, inserendo clausole che correggevanoil dettato statutario, talvolta in modo drastico.

Su questa interferenza tra i due orientamenti istituzionalmente distin-ti vorrei soffermarmi. Ma prima di affrontare qualcuno dei problemi dimaggiore interesse posti dalla normativa assegnata alla rifondata societàdei notai di Vercelli, mi sembra necessario, da un lato, offrire alcuneinformazioni sulle grandi scansioni dello statuto collegiale, dall’altromostrare, attraverso la normativa societaria, il rapporto tra notai aderential collegio e notai esercitanti l’ars notaria a Vercelli e nel distretto.

Quanto allo statuto, esso risulta diviso in due sezioni. Tale divisionenon viene annunziata né dalle lettere di approvazione di Gian Galeazzoné dal proemio vero e proprio dello statuto, ma da un «Prohemiumsecunde partis» che si situa dopo il capitolo 36, che è quindi l’ultimocapitolo della prima parte. Tale proemio costituisce una vera e propriacerniera tra le due parti dello statuto, che in esso è definito liber statu-torum. Nel dichiarare terminata la prima parte, che dice consistere inuna ordinatio dedicata agli statuti dei consoli e degli altri officiali, ilproemio introduce la successiva, dedicata agli statuti monitorii et pena-les riguardanti tutti i notai della città e del distretto15. La seconda sezio-ne risulta composta da 33 capitoli: un capitolo in meno rispetto allacompilazione originaria – che, come si ricorderà, doveva contare in tutto70 capitoli – per la caduta di uno statuto cui si accenna in un capitolodella prima parte (il cap. 25) che ne cita anche la rubrica, rubrica chenon è dato rinvenire nell’esemplare di cui disponiamo16.

15 F. 207r, stampa 1541 f. 220v: «PROHEMIUM SECUNDE PARTIS LIBRI STATUTORUM ET

ORDINAMENTORUM NOTARIORUM VERCELLARUM. Compilata et finita prima parte huiuslibri statutorum circa ordinationem predictam de statutis consulum vel aliorum officia-lium specialem faciente mentionem, nunc sequitur secunda pars dicti libri de statutismonitoriis et penalibus spectantibus ad omnes et singulos notarios dicte civitatis etdistrictus. Que quidem statuta secunde partis predicte sub rubricis et tenoribus infra-scriptis per ordinem continentur».

16 Riporto il periodo di apertura del citato cap. 25, che è quanto qui interessa, omet-tendo il resto (f. 209v, stampa 1541 f. 216v): «Item statutum et ordinatum est quod con-sules dicti collegii qui de cetero fuerint teneantur et debeant precise infra quindicem diespost introitum sui regiminis legi facere et notificare cuilibet sacriste comunisVercellarum statutum positum infra, in secunda parte, scriptum sub rubrica “De nonfaciendo per sacristam communis Vercellarum aliquas scripturas de libris et cetera”».

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Si ha dunque uno statuto bipartito nel quale la prima serie di capi-toli dovrebbe disegnare l’architettura del collegio e le sue competenze,la seconda raccogliere i capitoli concernenti gli obblighi e i divietiimposti ai notai e le pene previste per le infrazioni a essi. Che è quan-to grosso modo accade, non senza però l’introduzione di elementi cheturbano questo limpido schema e che rivelano, a un’analisi attenta acogliere i profili giuridici e istituzionali dell’ente, importanti incon-gruenze interne.

Questo non apparirà strano per chi conosca, anche solo a grandilinee, i caratteri della legislazione tardomedievale italiana. Essa si con-figura come un accumulo alluvionale di norme che possono, come ingenere accade, essere in contraddizione tra loro. È questo un tratto nondirò fisiologico ma certamente costitutivo del sistema, ben noto ai giu-risti e ai pratici del diritto del tempo, risolto, quando veniva a costituireun problema, in modo empirico oppure per decisione del principe che,sul piano giuridico, aveva il potere – come qui si è già visto – di scio-gliere ogni contraddizione, di derogare a qualsiasi norma17. Gli statutinotarili del 1397 segnalano l’eventualità: i consoli del collegio prima dientrare nell’ufficio devono giurare nelle mani dei consoli uscenti diosservare per quanto in loro potere gli «statuta et ordinamenta ac refor-mationes» del collegio «dummodo non sint sibi ad invicem repugnantesvel repugnantia»18.

Quanto invece al secondo punto preliminare, quello del rapporto tranotai collegiati e notai esercitanti nella città e nel distretto di Vercelli,preciso subito che non parlerò dei criteri di ammissione al collegio, cheerano poi quelli ordinari, previsti dallo statuto al cap. 16, e quelli straor-

17 Si veda p. es. G. P. MASSETTO, Le fonti del diritto nella Lombardia delQuattrocento, in Milano e Borgogna. Due stati principeschi tra Medioevo eRinascimento, a c. di J.-M. CAUCHIES e G. CHITTOLINI, Roma 1990, pp. 49-65.

18 Cap. 7 (f. 197r, stampa 1541 ff. 206v-207r); ma si veda anche il cap. 5 (f. 196rv,stampa 1541 f. 206rv): « Et quod predicti consules et quilibet ipsorum teneantur etdebeant observare, attendere et executioni mandare omnia statuta in presenti voluminecontenta et que in futurum fieri contingerint nisi tractarent aliquo modo directo vel perobliquum contra honorem et statum illustris principis ac magnifici et excelsi dominidomini nostri ac reformationes, provisiones et consilia ipsius collegii factas et facta,fiendas et fienda, dum tamen non obstent vel repugnent alicui statuto dicti collegii in hocvolumine contento vel quod fieri contingerit in futurum».

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dinari previsti da una disposizione transitoria posta in testa allo statuto19,relativa al primo reclutamento dei notai effettuato nelle fasi preliminaridi istituzione del rinnovato collegio, «in principiando fidelem ordinemistius tabelionatus officii». Accennerò piuttosto al fatto che il collegio,tramite i suoi aderenti iscritti alla matricola, si riservava il monopoliodell’esercizio della pratica notarile nella città e nel distretto, stabilendo(cap. 17) che nessun notaio «civis vel districtualis seu de episcopatuVercellarum» oppure straniero di qualsivoglia condizione, stato e grado,non ricevuto nella societas del collegio e non iscritto alla matricola,potesse rogare istrumenti o redigere atti civili o criminali e neppure sot-toscriversi in atti o istrumenti scritti e traditi da un notaio del collegio.In caso contrario istrumenti e atti sarebbero stati ipso iure nulli e prividi valore, i contraffacenti avrebbero dovuto essere puniti dai consoli odai sindacatori del collegio, e il provento della pena pecuniaria avrebbedovuto essere consegnato per metà alla camera del principe e per metàal collegio20. Questa disposizione doveva avere valore generale, e si hatraccia di istrumenti annullati, e poi rifatti, per essere stati rogati in vio-lazione a questa norma21. Gli statuti accennano a scritture redatte danotai non appartenenti al collegio, ma in passaggi in cui la questionenon viene tematizzata e ai quali non si saprebbe che valore dare.

19 Riporto qui il testo di questa disposizione preliminare, che io considero qui comecap. primo dello statuto notarile (f. 195rv, stampa 1541 f. 205r): «DE MODO PRINCIPIAN-DI OFFICIUM NOTARIORUM RUBRICA. In primis ut modus debitus apponatur in principian-do fidelem ordinem istius tabelionatus officii, statutum est quod dominus potestasVercellarum vel eius vicarius una cum aliquibus ex sapientibus dicte civitatis eligeredebeant sex vel octo ex intelligentibus et prudentibus notariis ipsius civitatis, qui in prin-cipio dicti tabellionatus officii et donec officiales notariorum officii secundum ordinemcomprehensum in presenti volumine ordinabuntur una cum ipso domino potestate veleius vicario ad dictum tabelionatus officium sufficientes et idoneos admittendos admit-tant et alios insufficientes omittant». Per il cap. 16 si veda il f. 201r-202v (stampa 1541ff. 211v-213r).

20 Cito il testo della rubrica del cap. 17 (f. 202v, stampa 1541 f. 213r): «De unamatricula notariorum societatis dicti collegii de novo fienda per consules et alios offi-ciales dicti collegii et de forma subscriptionis fienda in ipsa per notarios recipiendos etde nullitate instrumenti facti per notarium qui non sit de collegio et de pena contrafa-cientibus».

21 Conosco per ora solo un caso del primo Cinquecento: il notaio Giovanni GiacomoCara di San Germano il 4 marzo 1504 rogò nel castello di Mottalciata la vendita di unapezza di terra da parte di Giovanni Bartolomeo de Ludovico del fu Lorenzo Alciati dei

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3. La giurisdizione del collegio

La forte curvatura ideologica che caratterizza i discorsi proemiali deidue importanti documenti di cui disponiamo – lo statuto collegiale e lamatricola – consente, mi sembra, di individuare alcuni dei problemi dimaggiore momento. Essi riguardano la posizione e il ruolo che al colle-gio vennero assegnati dallo statuto, proposto dalla città e passato alvaglio visconteo, i suoi spazi di autonomia, i suoi rapporti con il comu-ne e con gli officiali viscontei. Se è impossibile affrontare qui tali que-stioni nel loro complesso, si può forse tentare di metterle a fuoco da unpunto di vista particolare, studiando quali fossero gli spazi giurisdizio-nali riservati al collegio in quanto istituzione pubblica22. Affidata allamagistratura societaria più importante, i due consoli, coadiuvati talvol-ta da sapienti scelti tra i notai collegiati, l’azione giurisdizionale del col-legio ricadeva, come subito si vedrà, su due ambiti ben individuabili: dauna parte quello dei facta et negocia relativi al collegio, dall’altra quel-lo, sul quale maggiormente mi soffermerò, che riguardava l’eserciziodell’officium notarie, ovvero l’esercizio delle pratiche notarili sia entroi ruoli riservati ai notai all’interno delle articolazioni istituzionali delcomune sia, e soprattutto, nel campo della documentazione dei rapportigiuridici di diritto privato.

nobili del castello di Mottalciata a Francesco figlio di Uberto Pettenati agente in nomedi suo padre; tre giorni dopo il notaio Gerolamo de Raspis, essendo l’istrumento appe-na citato non valido in quanto rogato da un notaio non appartenente al collegio dei notaidella città di Vercelli, nel cui distretto di trovava Mottalciata, redasse un rogito in sosti-tuzione di quello precedente (Archivio di Stato di Vercelli, Fondo Berzetti diMurazzano, m. 60, nn. 45-46).

22 Sulla giurisdizione delle arti il contributo fondamentale resta quello di A. PADOA

SCHIOPPA, Giurisdizione e statuti delle arti nella dottrina del diritto comune, in Id.,Saggi di storia del diritto commerciale, Milano 1992, pp. 11-63; ediz. orig. del saggioin «Studia et documenta historiae et iuris», 30 (1964), pp. 170-234. Al tema della giuri-sdizione esercitata dalle corporazioni notarili, pur spesso tacitamente trattato illustrandole competenze dei collegi, non vengono in genere riservate esplicite riflessioni: unaeccezione di rilievo è costituita da LIVA, Notariato e documento notarile a Milano cit.,pp. 217-240; spunti di grande interesse in Il notariato a Perugia cit., pp. 83-85, 95 sg.,103-105, 343 sg. e tavv. dopo p. X e dopo p. 264 (tav. VIII), che riproducono due minia-ture perugine raffiguranti il tribunale dei notai, con i priori del collegio (nel primo casodue, nel secondo tre) assisi su un alto banco nell’atto di rendere giustizia a personedisposte in basso in primo piano, divise in due ali che convergono al centro intorno a unnotaio seduto nell’atto di verbalizzare gli atti della seduta giudiziaria.

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Lo spazio giurisdizionale bipartito riservato all’azione dei consolivenne definito in uno dei primi capitoli dello statuto (il quinto). Essoprevedeva che per i fatti rilevanti, non necessariamente di natura giudi-ziaria, che emergevano da tale area i consoli potessero convocare l’in-tero collegio (con il consiglio dei sei sapienti) o alcuni suoi appartenen-ti o anche uno solo dei notai collegiati. Le cause giudiziarie inoltre –stando al cap. 5, ma ciò come si vedrà costituisce un problema – dove-vano svolgersi inter notarios tantum, e i consoli avevano il potere diemanare precetti, condurre indagini, prendere conoscenza delle positio-nes delle parti, ecc., pronunziare infine la sentenza, con il consiglio tut-tavia di un giurisperito non sospetto alle parti, che poteva anche appar-tenere alla curia del podestà di Vercelli. La procedura doveva esseresommaria ed erano espressamente proibiti gli appelli23.

Il dettato dello statuto appena visto è molto chiaro. Nella secondasezione della raccolta normativa venivano dettate regole relative a puntideterminati dell’esercizio dell’ars soggetti al controllo dei consoli, e lepene, prevalentemente pecuniarie, relative alle loro violazioni. Così, peresempio, il primo articolo imponeva al notaio del collegio di non redi-gere istrumenti senza che lui stesso o almeno uno dei testimoni ne cono-scesse i contraenti; di scrivere nell’istrumento l’ora e il luogo della tra-ditio dell’istrumento stesso, i nomi dei contraenti, dei loro padri e i loroluoghi di provenienza, ecc.24 Vi sono poi norme relative ai mestieri proi-biti (p. II, cap. 4); all’esclusione dal collegio di notai che avessero otte-nuto benefici ecclesiastici o fossero stati promossi agli ordini sacri o

23 Rubrica (f. 196rv, stampa 1541 f. 206rv): «De baylia consulum requirendi, consi-lia inquirendi, precipiendi et condamnandi sine remedio appellationis et recipiendi nota-rios et servandi statuta et de tenendo secreta quecumque provisa fuerint et proponenda».

24 «DE MODO TENENDO PER QUEMLIBET NOTARIUM IN TRADENDO QUODLIBET INSTRU-MENTUM SIBI ROGATUM ET DE PENA NOTARII CONTRAFACIENTIS RUBRICA. Item statutum etordinatum est quod aliquis notarius de dicto collegio notariorum Vercellarum non faciataliquod instrumentum nisi ipse notarius, vel saltem unus ex testibus notus ipsi notario,cognoscat contrahentes. In quo instrumento ipse notarius ponat et ponere debeat horamet locum traditi instrumenti et nomina contrahentium et patris contrahentis et cognomen,et de qua terra sunt si contrahens non fuerit civis Vercellarum, et similiter de testibusinstrumenti sub pena arbitrio consulum dicti collegii usque ad libras centum terciolorumauferenda pro quolibet contrafaciente, inspecta qualitate et quantitate facti et negocii. Dequorum contrahentium vel testis noti cognitione stetur sacramento dicti notarii si ob hoccontra eum procedi contingat» (f. 207r, stampa 1541 f. 206rv).

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ascritti a un ordine religioso (p. II, cap. 5); ai notai che disattendevanoi precetti dei consoli del collegio (p. II, capp. 6 e 7); alle intitolazioni dadare ai registri redatti dai notai nell’esercizio di offici notarili del comu-ne (p. II, cap. 11); ecc.25.

Sembrebbe quindi a prima vista che la cognizione dei comporta-menti devianti dei notai spettasse ex officio ai consoli della società. Vaosservato però che i comportamenti devianti sanzionati nella secondaparte dello statuto sono classificabili il più delle volte come sempliciinfrazioni, punite mediante l’imposizione di ammende pecuniarie.Violazioni, insomma, accertate e punite per via molto sommaria nelcorso delle due sedute settimanali prescritte ai consoli pro ratione red-denda, al mattino di lunedì e giovedì «ad banchum seu tribunal solitumdicti collegii»26. Nella sua prima sezione, che di fatto non venne riser-vata solo alla ordinatio dei consoli e degli altri officiali, lo statuto dettainvece norme su questioni di maggiore rilievo sostanziale. È proprio talenormativa a offrire, come si vedrà, i dati più degni di riflessione.

Intanto, mi sembra opportuno richiamare l’attenzione sul contenutodi due statuti che, come il quinto, offrono orientamenti di carattere gene-rale. I capitoli 13 e 14 tornano a definire le competenze del tribunaleconsolare, ribadendo la struttura bipartita, per così dire, dello spaziogiurisdizionale del collegio. Sotto questo profilo nessuna novità.Qualcosa di nuovo essi dicono invece riguardo alle modalità di apertu-ra dei procedimenti: se essi venissero avviati su iniziativa dei consoli,dunque ex officio, oppure mediante la presentazione di un’accusa for-male, sulla base, quindi, di una logica di tipo accusatorio27.

Il capitolo quinto non dava indicazioni chiare a questo proposito, manell’assegnare ai consoli la possibilità di convocare i notai del collegio,di «precepta facere, inquirere et inquisitionem facere, procedere, cogno-

25 Si vedano i ff. 207v, 210r sgg.; stampa 1541 f. 120v sgg.26 Cap. 3 (f. 196r, stampa 1541 f. 205v): «(…) qui consules teneantur et debeant ire

et stare bis in ebdomada, videlicet in die lune et iovis horis terciarum tantum, ad ban-chum seu tribunal solitum dicti collegii pro ratione reddenda sub pena solidorum duo-rum tertiolorum pro quolibet et qualibet vice, nisi hoc remanserit casu fortuito vel iustoimpedimento vel tempore feriato ordinato per comune Vercellarum in honorem Dei etsanctorum eius».

27 Cfr. M. VALLERANI, La giustizia pubblica medievale, Bologna 2005, in partic. icapp. III, V e VI.

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scere positiones», ecc., sembrava alludere a procedure di tipo inquisito-rio. I capitoli ora in esame, pur continuando a impiegare un vocabolariosimile, suggeriscono invece, sia pure in assenza di una esplicita tema-tizzazione della questione, la necessità di un formale atto di accusa chemetta in moto le procedure giudiziarie: i consoli devono inquirere«totiens quotiens ab eis fuerit requisitum» (dove ab eis vuol dire a loro,ai consoli), devono «reddere rationem» a persone, comunità, università(cap. 13)28; o ancora, con maggiore chiarezza, devono definire le que-stioni relative al collegio «que mote fuerint coram eis post contestatio-nem litis vel contradictionem seu comparitionem partis adverse adrequisitionem partis vel partium» (cap. 14)29.

Prima di procedere è opportuno riassumere brevemente le questionisul tappeto. L’analisi delle normativa relativa alle competenze giurisdi-zionali del collegio, poste in capo alla magistratura più importante diesso, i consoli, viene qui intrapresa con lo scopo di valutare il peso pro-grammatico che si intendeva attribuire al collegio entro il quadro delleistituzioni cittadine vercellesi. Gli statuti individuano uno spazio giuri-sdizionale specifico e individuano anche subito, nel quinto capitolo, siapure ex negativo, l’esistenza di un problema fondamentale, del quale iredattori erano coscienti: quello dei limiti da assegnare al potere di inter-vento dei consoli entro l’ambito individuato, relativo al collegio e all’of-ficium notarie. Quali erano i soggetti che i consoli potevano convocare?Quali erano i soggetti sui quali la giustizia dei consoli poteva agire? Ilcapitolo quinto risponde in modo chiaro: i consoli potevano convocaresolo gli aderenti al collegio, in numero maggiore o minore; le causedovevano svolgersi inter notarios tantum. Questione diversa ma collega-ta alle precedenti è poi quella delle modalità di apertura dei procedimen-ti. Il capitolo quinto non è chiaro su questo punto, ma è forse possibileipotizzare che, almeno su certe materie ordinarie, di peso limitato, i con-soli potessero assumere l’iniziativa in modo autonomo. Altri statuti sem-brano invece postulare la necessità della richiesta formale di una parte.

Si vedrà ora, studiando le norme relative a materie di grande rilievo,come proprio sui punti ora segnalati emergano indicazioni contrastanti.

28 F. 200rv, stampa 1541 f. 210v.29 Ff. 200v-201r, stampa 1541 f. 211r.

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Segnale, a mio parere, che quella della giurisdizione del collegio nota-rile era una questione oggetto di vedute divergenti.

Il capitolo 20 dello statuto vietava ai consoli di obbligare i notai ariparare errori commessi nel redigere istrumenti o imbreviature30.L’opportunità di correggere tali errori doveva essere anzi lasciata allacoscienza dei notai e i consoli dovevano astenersi da qualsiasi tipo diintervento autonomo. In caso di errori commessi nella redazione diistrumenti i consoli erano tenuti a intervenire solo se lo avesse richiestoil notaio collegiato che ne era responsabile: se un notaio collegiato aves-se commesso errori nella redazione di un istrumento e lo avesse poi con-segnato in pubblica forma a uno dei contraenti o ad altra persona, i con-soli del collegio, su richiesta del notaio, avrebbero dovuto, anche ricor-rendo agli strumenti coercitivi messi a disposizione dal podestà delcomune, costringere la persona che aveva ricevuto l’istrumento a resti-tuirlo al notaio che aveva dichiarato di avere commesso l’errore e desi-derava correggerlo. Se colui che aveva ricevuto tale istrumento si fosserifiutato di restituirlo entro il termine stabilito dai consoli, questi ultimiavrebbero dovuto assoggettare tale persona all’interdetto del collegiofinché non avesse soddisfatto la volontà dei consoli. Il contravvenientesarebbe stato ipso iure et facto interdetto e il suo nome scritto nel librodegli interdetti del collegio.

30 F. 208rv, stampa 1541 f. 215r: «DE NON PRECIPIENDO PER CONSULES ALICUI NOTA-RIO UT SUUM ERROREM ALICUIUS INSTRUMENTI REVOCET RUBRICA. Item statutum et ordi-natum est quod consules dicti collegii non debeant precipere alicui notario ut revocet ali-quem errorem alicuius instrumenti vel abbreviature ipsius notarii per ipsum tradite etimbreviate seu traditi vel imbreviati, nec ut suppleat aliquem defectum qui fuerit in ali-quo huiusmodi instrumento vel imbreviatura, sed possit ille notarius errorem in suidefectum supplere iuxta coscientiam suam. Nec possint consules super predictis veloccasione predictorum aliquid aliud committere nec consilium inde habere. Et si aliquisnotarius de dicto collegio erraverit in aliquo instrumento et ipsum instrumentum inpublicam predictam formam dederit vel dari fecerit alicui ex contrahentibus vel alii per-sone, quod consules dicti collegii teneantur et debeant ad requisitionem ipsius notarii eteorum posse cogere et cogi facere cum brachio et auxilio domini potestatis Vercellarumdictum talem ex dictis contrahentibus vel aliam personam qui seu que dictum instru-mentum receperit ad reddendum et restituendum dictum instrumentum dicto notario quisic se errasse dixerit et voluerit suum errorem corrigere. Et si dictus tali contrahens veldicta persona qui seu que dictum instrumentum receperit restituere recusaverit dictonotario infra terminum eis statuendum per consules, quod ipsi consules possint, teneantet debeant dictum contrahentem vel aliam personam habentem seu que habuerit dictum

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Insomma, in casi del genere il collegio poteva intervenire solo surichiesta del notaio che aveva commesso un errore e intendeva riparar-lo. È significativo, d’altra parte, che lo statuto prevedesse per i consolila possibilità di assoggettare all’interdetto del collegio, che dovevadotarsi di un libro degli interdetti, la controparte, vale a dire un clientedel notaio che nella più gran parte dei casi doveva essere esterno al col-legio non essendo a sua volta notaio.

Tale possibilità era contemplata anche da un altro importante statu-to, relativo all’obbligo - per il notaio - della consegna dell’istrumentoalla parte che, avendone diritto, ne avesse fatto richiesta, e dell’obbligocorrispettivo di pagare il prezzo per il rilascio della carta (cap. 30)31.Poteva infatti accadere che colui che aveva richiesto al notaio di redige-re in mundum un documento – fosse una singola persona o un ente – nonse lo facesse poi consegnare e non pagasse quindi al notaio il prezzorelativo: in questo caso i consoli, su richiesta del notaio rogatario, sareb-bero dovuti intervenire per fare in modo che il committente saldasse alnotaio il prezzo dovuto; se il committente si fosse rifiutato i consoliavrebbero dovuto, sempre su richiesta del notaio danneggiato, porre ilcliente sotto l’interdetto del collegio.

La possibilità di esercitare il potere giurisdizionale, sia pure suquestioni relative all’ars notarie, su persone estranee al collegio è, conogni evidenza, un fatto notevolissimo. Il conferimento di una tale pre-rogativa era, da un canto, il segno tangibile della disponibilità, daparte della commissione che aveva redatto lo statuto, ad assecondarele ambizioni dell’élite dei notai che dovevano dare corpo al collegio;ma era anche, d’altro canto, segno della volontà di porsi sul solco diuna tradizione corporativa che poteva vantare una più che secolarevigoria.

instrumentum ponere et tenere interdicto dicti collegii quousque satisfecerit voluntaticonsulum dicti collegii. Et sic revocandum errorem suum de errore suo non possit accu-sari nec contra ipsum ullo modo procedi. Et si contrafecerit ipso iure et facto sit inter-dictus et in libro interdictorum dicti collegii ponatur, de quo eximi non possit donec sati-sfecerit voluntati consulum et notarii accusati. Et predicta habeant locum in his qui suntde collegio notariorum in quolibet capitulo supradicto».

31 F. 204v, stampa 1541 f. 217v-218r: «De ratione reddenda cuilibet per consulesconquerenti de aliquo notario, occasione alicuius instrumenti rogati et scripti reddendiet consequens exigendi et de pena ipsorum rubrica».

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Il conferimento al collegio di un così ampio potere di interventorimase però allo stato di intenzione, di pura ambizione, frustrata dallasemplice aggiunta, da parte dei revisori incaricati dal principe, di clau-sole che senza correggere materialmente il contenuto dei capitoli, difatto lo svuotavano. Di particolare rilievo appare la clausola posta infondo al cap. 20: essa, contraddicendo il disposto della norma, stabilivache le azioni giudiziarie prescritte dovessero interessare solo gli appar-tenenti al collegio dei notai («habeant locum in his qui sunt de collegionotariorum»)32. Allo stesso modo operava la clausola posta in calce alcap. 30: essa ordinava che quanto prescritto avesse luogo solo quandocolui che aveva richiesto al notaio di fare l’istrumento, sul quale era natapoi la lite, fosse un notaio del collegio: «Si autem non fuerit de collegioreservetur predicta questio iudici ordinario»33.

Erano questi i frutti più evidenti della revisione viscontea. Essi inte-ressano sia per il modo, affatto sbrigativo, di procedere, sia per la dire-zione impressa al processo di revisione stesso, volta a operare uno svuo-tamento della giustizia corporativa, limitando la sua efficacia ai soli ade-renti al collegio. Norme che prevedevano una grande ampiezza di inter-vento venivano ridotte a provvedimenti intesi a sedare, con strumenti digrande severità (l’interdetto), le sole beghe tra notai.

Accanto a questo punto, che mi sembra decisivo, occorrerebbe anche

32 In realtà il testo intero della clausola suona «Et predicta habeant locum in his quisunt de collegio notariorum in quolibet capitulo supradicto» (f. 208v, stampa 1541 f.215r): essa si riferiva quindi non al solo cap. 20 ma a tutti i capitoli precedenti. La com-missione viscontea doveva aver lavorato sull’esemplare giuntole da Vercelli, almeno incasi come questo o altri simili, mediante aggiunte apposte negli spazi bianchi del mano-scritto. Le copie tratte da questo esemplare ‘corretto’ – copie solenni e ufficiali o copiei lavoro – avevano poi, almeno in casi come quello dell’esemplare di cui oggi disponia-mo, posto in modo indebito la clausola d’ordine generale di cui ci stiamo occupandocome clausola finale di un singolo statuto.

33 «Et predicta locum habeant quando ille qui fecerit fieri instrumentum vel instru-menta fuerit de collegio. Si autem non fuerit de collegio reservetur predicta questio iudi-ci ordinario» (f. 204v, stampa 1541 f. 218r). Si veda anche il cap. 36 (ff. 206v-207r,stampa 1541 f. 220r): «DE BAYLIA CONSULUM PROCEDENDI ET PUNIENDI, CONDAMNANDI ET

EXECUTIONI MANDANDI CUM AUXILIO COMUNIS VERCELLARUM ET RECTORUM IPSIUS QUOS-CUMQUE EIS INOBEDIENTES RUBRICA. Item ut delicta non remaneant impunita statutum estet ordinatum quod consules dicti collegii possint et valeant libere, licite et impune, sum-marie, simpliciter et de plano, sine strepitu et figura iudicii et in scriptis et sine scriptisprocedere contra quoscumque inobedientes seu contra contenta in statutis dicti collegii

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valutare il rilievo che ha la netta esclusione, nel dettato delle due normeappena viste, della possibilità per i consoli di intervenire in modo auto-nomo, ex officio. E si tratta qui del dettato che esse avevano nella for-mulazione originale, precedente all’intervento visconteo. Sembrerebbeinsomma che, a parte ciò che riguardava le infrazioni punibili con unasemplice ammenda, il collegio non potesse intervenire se non su istan-za di un suo associato. La procedura di tipo accusatorio costituiva la cor-nice entro cui si esplicava l’intervento giurisdizionale dei consoli. Glispazi di tale intervento erano stati poi ulteriormente limitati, come si ègià visto, dalla drastica restrizione, sanzionata dall’intervento visconteo,del novero dei soggetti che potevano essere sottoposti alla giustiziasocietaria, limitato ai notai collegiati.

Così, per citare un’altra norma statutaria (cap. 24)34, simile delresto al cap. 30 prima sommariamente citato, i consoli del collegiopotevano essere richiesti da un notaio – detto prima aliquis de ipsocollegio poi notarius – di porre un altro notaio sotto interdetto, negan-dogli in tal modo «omne exercitium et beneficium notarie», per debi-to derivante da questioni strettamente attinenti l’esercizio dell’offi-cium notarie (la redazione di scritture e il loro prezzo). Nell’ambito diuna procedura sommaria i consoli erano tenuti a verificare la fonda-tezza dell’accusa. Nel caso quest’ultima fosse stata provata, scattaval’interdetto e il nome del condannato doveva essere posto nel libro giàcitato («liber in quo scribantur omnes qui fuerint interdicti, et qua decausa et annus, mensis et dies»). Il condannato sarebbe potuto usciredall’interdetto solo giungendo ad un accordo con il notaio che neaveva richiesto la condanna.

Nella norma appena vista veniva ipotizzata una controversia ver-tente tra aderenti alla medesima società, relativa ad aspetti pertinentiall’arte praticata dagli associati. La controparte veniva, in ultima ana-

vel aliquid ipsorum faciendis et condamnare et condamnationes facere et executionimandare et auxilium comunis Vercellarum et quorumcumque rectorum et officialiumdicti comunis petere et executioni mandare, omni tempore statuto aliquo in contrariumnon obstante. Et predicta locum habeant in concernentibus officium notarie tantum etcollegium notariorum».

34 F. 209rv, stampa 1541 f. 216rv: «De modo et forma tenenda per consules superinterdictis petitis concedendis et faciendis et quibus de causis ad petitionem cuius fieridebeant interdicta rubrica».

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lisi, accusata del reato di morosità. Sommariamente provata la fonda-tezza dell’accusa, la sanzione consisteva nella temporanea esclusionedel reo dal collegio e dunque nella sua temporanea sospensione dal-l’esercizio dell’officium notarie. Un eventuale sequestro dei beni deldebitore moroso e la susseguente messa in solutum di tali beni nonsembra fosse questione di pertinenza del collegio (ma si veda il cap.2135). L’esclusione da quest’ultimo era una pena di pertinenza dellagiustizia societaria, accessoria rispetto ai provvedimenti che potevanoessere assunti dalle istanze giudiziarie del comune, che erano poi quel-le della giustizia ordinaria. Questo carattere accessorio della giustiziadel collegio, esercitata a difesa e ausilio degli associati, non è che unaspetto specifico del dovere generico, prescritto ai consoli come a tuttii componenti del collegio, di una solidarietà corporativa da esibire indifesa del consocio, del notaio quindi, che soffra di attacchi portati allasua persona o al suo avere: i consoli, il collegio e tutti i notai del col-legio devono «defendere, conservare et manutenere omni suo iure» inotai del collegio «in avere et personis, ne fiat eis tortum sive iniuriamvel violentiam» contro chiunque, persona, universitas o comunitas36.Si noti: «omni suo iure», quindi mobilitando tutte le prerogative lega-li del collegio.

Verrò ora brevemente, prima di concludere, alle norme relative alle

35 F. 208v, stampa 1541 f. 215rv: «DE BAYLIA CONSULUM ET SINDICATORUM CAPIENDI

ET PIGNORANDI QUOSCUMQUE CONDAMNATOS ET INOBEDIENTES ET EORUM BONA SEQUE-STRANDI ET VENDENDI RUBRICA. Item statutum et ordinatum est quod consules dicti col-legii et sindicatores ipsius collegii et quicumque ipsorum possint quoscumque inobe-dientes de dicto collegio et condamnatos seu qui condamnati fuerint tam per formamstatutorum quam per ipsos consules cum brachio et auxilio domini potestatisVercellarum capere et pignorare in avere et personis et eorum bona sequestrare et ven-dere quomodolibet eis et cuilibet ipsorum placuerit expensis condamnatorum et daredebentium collegio suprascripto».

36 Ho citato dal cap. 26 (f. 209v, stampa 1541 f. 216v): «DE CONSERVANDO ET MANU-TENENDO PER CONSULES COLLEGII OMNES NOTARIOS DE DICTO COLLEGIO ET OMNIA SUA

BONA ET IURA CONTRA QUOSCUMQUE MOLESTANTES ET DAMNIFICANTES IPSOS ET BONA IPSO-RUM PER VIOLENTIAM RUBRICA. Item statutum et ordinatum est quod consules universi etsinguli dicti collegii qui nunc sunt et pro temporibus fuerint et totum collegium et omnesnotarii de dicto collegio teneantur et debeant precise defendere, conservare et manute-nere omni suo iure omnes et singulos notarios suprascripti collegii et quemlibet nota-rium de dicto collegio in avere et personis, ne fiat eis tortum sive iniuriam vel violen-tiam contra quamlibet personam vel universitatem vel comunitatem». Si veda anche il

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competenze di maggiore rilievo dei consoli: da un lato quella regolantela concessione dell’autorizzazione al rifacimento di istrumenti già altravolta consegnati in mundum alle parti; dall’altro quelle relative alleprovvidenze volte a tutelare i protocolli dei notai defunti o sospesi dal-l’esercizio della professione.

La decisione di autorizzare il rifacimento di un istrumento «quodappareat alias explicatum», di un istrumento che era già stato quindiestratto dai protocolli del rogatario una prima volta, era certamenteuna delle prerogative giudiziarie più importanti del collegio37. La com-plessa procedura prevista per tali rifacimenti riguardava esclusiva-mente quattro generi di istrumento: di debito o mutuo, di deposito, dicomodato e di soccida «ad capitale salvum»; in termini giuridici idocumenti relativi a obbligazioni. Sulle ragioni, del resto scontate,dell’esclusione di altri generi di documento da questa procedura nonmi soffermerò. Facendo salva in ogni caso la giurisdizione del giudi-ce ordinario – come prescriveva in calce alla norma una clausola cheha tutta l’aria di essere frutto della revisione viscontea –, il capitolo 28dello statuto notarile stabiliva quale fosse la procedura che i consolidel collegio dovevano seguire per il rifacimento di un istrumentoappartenente a una delle quattro categorie appena viste e per la reda-zione obbligatoria di una scrittura definita nel testo come repertorium.Cosa fosse questo repertorium non è detto né nel capitolo in questio-ne né in altro capitolo dello statuto societario (e questo è una circo-stanza di per sé interessante): si può ipotizzare che fosse un registro incui si dovevano depositare i dati essenziali relativi alla proceduraseguita per decretare il rifacimento del documento e le publicationes eil contenuto di quest’ultimo.

Tralascio qui i particolari della procedura38, per soffermarmi a riflet-

cap. 31, del quale riporto qui la sola rubrica (ff. 204v-205r, stampa 1541 f. 218r): «Deconsulibus et notariis dicti collegii offensis, damnificatis vel molestatis pro <stampa et>consignatione honoris dicti collegii et pro publicatione et remotione aliquorum notario-rum falsariorum et inobedientium ipsis consulibus manutenendis, defendendis et con-servandis contra quoscumque rubrica».

37 Lo statuto del Collegio dei notai di Vercelli ne tratta in particolare al cap. 28 (f.204r, stampa 1541 f. 217rv) del quale trascrivo qui la rubrica: «De repertoriis fiendis etde modo et forma tenendis per consules ipsorum occasione repertoriorum fiendorum etque instrumenta possunt nisi semel rubrica».

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tere sul fatto che la norma sopra esaminata riservava ai consoli del col-legio una competenza giurisdizionale – limitata dalla riaffermazione,appena ricordata, dell’intangibilità della sfera della giurisdizione ordi-naria – su un ambito chiave per le società urbane del pieno e tardomedioevo: quello del credito. Il rifacimento di istrumenti che attestava-no il diritto di qualcuno a ricevere entro e non oltre un determinatomomento (o anche, a determinate condizioni, oltre un certo momento)una prestazione in denaro o in beni era questione delicatissima, come ènoto, e gli statuti comunali italiani, che riservavano ampi spazi alle que-stioni relative al credito e alla sua tutela, trattavano l’argomento consomma circospezione. Si rischiava, per farla breve, che qualcuno riu-scisse per via giudiziaria a ottenere la restituzione di un debito che gliera già stato altra volta saldato. Il collegio aveva insomma competenzasu un aspetto particolare della regolamentazione delle operazioni credi-tizie e dei loro esiti contenziosi. Aspetto connesso con la prassi squisi-tamente notarile della redazione in mundum dell’istrumento, ovvero del-l’estrazione dell’istrumento dal registro delle imbreviature e della anno-tazione sulla stessa imbreviatura del compimento di siffatta operazione.

Va detto, per altro, che se la competenza sul rifacimento degli istru-menti riservava de facto al collegio una competenza sul corretto svolgi-mento delle operazioni creditizie, ciò avveniva in grazia dell’incidenzasul credito di un fatto tecnico-documentario.

L’ambito di elezione della giurisdizione del collegio era, dunque,quello relativo alla gestione dei prodotti documentari frutto dell’eser-cizio dell’officium notarie, più che un controllo diretto su tale eserci-zio – sempre che la distinzione abbia motivo d’essere. Risulta chiaro,di conseguenza, come la salvaguardia dei protocolli da perdite edispersioni, ovvero la tutela del prodotto di maggiore rilievo dell’at-tività di notarile, fosse uno dei punti di più vivo interesse per il col-legio. Lo statuto di quest’ultimo dedica a tale salvaguardia, da garan-tire soprattutto nel momento delicato immediatamente posteriore allamorte del notaio, alcune importanti norme. Di là dal loro specificocontenuto, esse confermano abitudini e comportamenti consolidati e

38 Che consisteva essenzialmente nell’accertamento, esperito mediante la citazionee la deposizione della controparte e il giuramento del richiedente, del diritto di que-st’ultimo a ottenere il rifacimento e la connessa repertoriazione di un istrumento.

Antonio Olivieri

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ampiamente diffusi altrove nello stesso periodo. I fatti di cui tenereconto sono essenzialmente due: i protocolli e le scritture notarili assi-milabili ad essi costituivano un bene patrimoniale del notaio ed eranoquindi oggetto di successione volontaria o ab intestato; allo stessotempo protocolli e imbreviature erano veicolo di interessi legittimi diprivati e istituzioni tutelati ovunque, nell’Italia comunale e post-comunale, dalle istituzioni pubbliche cittadine, ossia dalle autoritàcomunali oppure dalle corporazioni notarili39. A Vercelli, a partirealmeno dal tardo Trecento visconteo e poi per un lungo periodo suc-cessivo, la tutela di questi interessi veniva garantita dal collegio indue modi40:

a) facendo redigere in un libro apposito un inventario analitico dellescritture appartenute al notaio defunto entro un certo numero di giornidalla notizia della sua morte;

b) controllando la destinazione delle scritture – che, come si è si è giàdetto, venivano devolute per normali vie successorie – e affidandone lagestione diretta a un notaio del collegio (è la cosiddetta commissio), ilcui nome veniva registrato in un secondo libro, da conservare come ilprimo nella sacrestia del collegio.

Quest’ultimo passaggio necessita forse di un chiarimento: l’affida-mento da parte dei consoli e dei sapienti del collegio della gestionediretta delle scritture del notaio defunto non costituiva una complica-zione se gli eredi del defunto erano notai appartenenti al collegio: essierano i naturali affidatari dei protocolli; nel caso in cui non fossero notaitali scritture dovevano essere affidate a un notaio collegiato che avesseil gradimento degli eredi; infine, in mancanza di eredi l’affidamentosarebbe avvenuto ad arbitrio degli officiali del collegio.

Una norma analoga regolava la gestione dei protocolli dei notaipublicati, vale a dire espulsi dal collegio41. Tali protocolli dovevano per-

39 Si vedano p. es. COSTAMAGNA, Il notaio a Genova cit., 217-249; LIVA, Notariatoe documento notarile a Milano cit., pp. 112-125; Statuti notarili di Bergamo cit., pp.26-28; PECORELLA, Statuti notarili piacentini del XIV secolo cit., pp. 26 sg., 77-80.

40 Faccio qui riferimento alla norma contenuta nel cap. 32 (ff. 205r-206r, stampa1541 f. 218v-219v) aperta dalla seguente rubrica: «De breviariis, notis, prothocollis etscripturis notariorum defunctorum et de inventario de ipsis fiendo et de ipsis commi-tendo per consules et cui, quando et quomodo ipse commissiones fieri debeant et depenis contrafacientibus rubrica».

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venire al collegio, evidentemente dopo essere stati sequestrati, ed esse-re riposti nella sacrestia, l’archivio del collegio. L’estrazione degli ori-ginali dai protocolli sequestrati doveva essere operata a turno («tempo-ribus successive») da notai eletti a sorte, a cui il diritto a eseguire le ope-razioni di estrazione (non l’affidamento dei protocolli, che restavanodepositati nella sacrestia) veniva attribuito mediante l’atto formalizzatodella commissio. A differenza di quanto accadeva per i protocolli deinotai defunti le commissiones ricadevano sotto la responsabilità delpodestà di Vercelli, o di un suo giudice o vicario, e contemporaneamen-te dei consoli del collegio («et fieri debeant dicte commissiones perdominum potestatem Vercellarum vel aliquem eius iudicem vel vica-rium et consules dicti collegii»). Nel caso in cui il notaio publicatusavesse figli o eredi notai la commissio doveva essere fatta in favore diuno di loro, ma anche in questo caso i protocolli dovevano rimaneredepositati presso il collegio.

4. Conclusione

Lo studio di un testo normativo, se non è accompagnato da indaginicondotte su fonti in grado di illuminare la prassi quotidiana, i compor-tamenti reali delle istituzioni e degli individui cui la legge è indirizzata,non consente di andare oltre l’esplorazione di ideali, principi, intenzio-ni, rappresentazioni che della realtà si dà chi propone la legge e chi, dal-l’altra parte, la valuta, la corregge, la approva. Il che sarebbe, beninte-so, già moltissimo, e in ogni caso molto di più di quanto si sia fatto nellepagine che precedono. In queste si è cercato, mediante una descrizionedelle competenze giurisdizionali riservate per legge a una istituzionenon autonoma, come il collegio notarile di Vercelli, di vedere quali fos-sero gli spazi di azione che si progettava di concederle, quali i controllie i condizionamenti ai quali veniva programmaticamente assoggettata,

41 Si tratta del cap. 33 (f. 206r, stampa 1541 f. 219v): «De breviariis notariorumpublicatorum perveniendis in collegium supradictum et commitendis notariis per con-sules rubrica». Per i notai publicati si vedano i capp. 19, 22, 23, 31 (rispettivamente ff.207[bis]r-208r, 208v, 208v-209r, 204v-205r e stampa 1541 ff. 214r-215r, 215rv, 215v,218r).

Antonio Olivieri

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quale, in ultima analisi, il peso politico che si voleva fosse attribuito allacategoria che veniva organizzata entro le sue strutture. Il caso degli sta-tuti tardo-trecenteschi del collegio dei notai di Vercelli è di particolareinteresse perché non ci consegna, come forse nessuno statuto fa, un’im-magine statica delle competenze che vengono assegnate all’ente: i con-dizionamenti che hanno pesato sulla sua redazione e le esigenze chehanno impresso un determinato orientamento al processo di revisionedello statuto da parte del principe generano punti di tensione che emer-gono con evidenza sul tessuto normativo.

Nello statuto si avverte quindi la coesistenza di due idee molto dif-ferenti del ruolo che deve essere riservato al collegio dei notai entro leistituzioni e la società cittadine. Viene disegnato, da un lato, il profilo diun organismo societario che, pur essendo saldamente inserito nel siste-ma delle istituzioni politico-amministrative controllato dal principe,conserva ampi poteri di intervento negli ambiti suoi propri.L’assegnazione di competenze così larghe non fu la conseguenza divalutazioni di natura tecnica. Essa aveva anzi una valenza politica, radi-cata in un retroterra ideale che considerava con favore la coesistenza,accanto al maggiore organismo politico-amministrativo della città, dicentri di potere giurisdizionale competenti su ambiti delimitati della vitaassociata – per esempio il commercio, l’esercizio delle professioni giu-ridiche, l’esercizio del notariato – con capacità di intervento, per certifatti, su tutti i membri attivi della società. Nel caso specifico dello sta-tuto del collegio dei notai di Vercelli, nel determinare un orientamentosiffatto aveva certo giocato la forza della tradizione corporativa notari-le, che era certo anche una tradizione normativa, e l’influenza delle éli-tes notarili. Resta tuttavia difficile valutare esattamente il peso dellediverse influenze.

Dall’altra parte, quella ducale, si manifesta l’evidente volontà dilimitare le competenze del collegio, ai cui membri viene comunqueriservato il monopolio dell’esercizio dell’ars notarie nel territorio ver-cellese. Alla società si riservano compiti di garanzia del corretto svolgi-mento del lavoro notarile e la risoluzione dei conflitti tra notai per fattiriguardanti l’officium notarie. I casi che coinvolgono soggetti esterni alcollegio, i conflitti emergenti nel rapporto notai-società, vengono inve-ce riservati alla cognizione della giustizia ordinaria, saldamente con-

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trollata dal principe. Si vuole insomma, consolidando il processo diaccentramento del potere, ridurre entro stretti confini l’autonomia del-l’organizzazione corporativa.

Il lavoro che resta da fare sul collegio è molto: un’analisi puntualedella matricola consentirebbe di studiare sia alcuni aspetti delle primis-sime fasi di vita del collegio sia alcuni sviluppi successivi. Ma è soprat-tutto lo studio della documentazione quattrocentesca, in particolarequella dei numerosi protocolli notarili conservati, che può riservaredelle sorprese. Se si riuscisse a individuare qualcuno dei protocolliappartenuti a coloro che ricoprirono la carica di notaio del collegio sipotrebbe osservare nel vivo l’attività della società, verificare quali fos-sero gli aspetti pratici, sostanziali e procedurali, dell’azione ammini-strativa e giurisdizionale del collegio.

Antonio Olivieri

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ELISA MONGIANO

Università del Piemonte Orientale_________

LA RIFORMA STATUTARIA DEL 1341

Nel 1341 il comune di Vercelli, ormai stabilmente inserito nell’orbi-ta del dominio visconteo1, attendeva alla revisione della propria legisla-zione statutaria, ad un secolo esatto dalla precedente riforma, realizzataappunto tra il 1241 ed il 1242.

L’iniziativa venne avviata dal podestà in carica, il milanese Protasiode Caymis, coadiuvato dal proprio vicario generale SandrinoSpadaretta, giusperito di Parma. A quanto si ricava dal proemio deglistatuti, alla revisione attesero, in una prima fase, «sex sapientes tamiuris peritos quam alios congruos et expertos ad opus predictum», appo-sitamente designati dal podestà; l’opera degli statutarii fu, quindi, esa-minata «per alios vigintiquattuor sapientes», nominati, questa volta, dalconsiglio cittadino sentito il parere del collegio dei giureconsulti, e, daultimo, sottoposta all’approvazione del consiglio di credenza.

La redazione trecentesca è tramandata dall’elegante codice membra-naceo conservato presso l’Archivio storico comunale2, il solo superstitedei tre esemplari della raccolta statutaria previsti proprio dalle normedel 1341, di cui uno era destinato a stare «ad domum domini potestatis»,l’altro ad essere gelosamente custodito «ad cameram turris librorumcommunis Vercellarum», ossia nell’archivio, facendo fede di originale,ed il terzo a rimanere esposto, ben «firmus et cathenatus», «in domo ubiius redditur», a disposizione di chiunque volesse prenderne visione otrarne copia. Ed è, appunto, quest’ultimo l’esemplare pervenuto.

A distanza di duecento anni, il corpus statutario trecentesco venne,poi, dato alle stampe, nell’edizione, sostanzialmente fedele al testo

1 Sulle vicende del comune vercellese conseguenti all’avvento del dominio viscon-teo, cfr. per tutti, oltre ai riferimenti contenuti nell’ormai classico lavoro di C.DIONISOTTI, Memorie storiche della Città di Vercelli precedute da Cenni statistici sulVercellese, II, Biella 1864, pp. 239-259, quanto illustrato da R. ORDANO, Storia diVercelli, Vercelli 1982, pp. 193-210

2 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Sezione Codici.

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Elisa Mongiano

manoscritto, curata dal giureconsulto e dottore collegiato Paolo Alciatie realizzata nella tipografia vercellese di Giovanni Maria Pellipari, che,come risulta dall’explicit del volume, ne terminò l’impressione il 23giugno 15413. È ovvio che la stampa, di per sé, non comportava alcuneffetto sul piano giuridico, trattandosi di un’iniziativa del tutto privata,analoga a quelle avviate nello stesso arco di tempo da varie altre comu-nità dell’Italia settentrionale, mosse dall’esigenza di rendere maggior-mente accessibile una delle fonti principali del diritto locale e, talora,anche dall’aspirazione a celebrare ciò che restava di un’autonomia nor-mativa ormai fortemente compressa dal potere signorile4.

Per quanto specificamente si riferisce a Vercelli, la vigenza degli sta-tuti trecenteschi era semmai garantita dalla conferma ducale concessadal duca Amedeo VIII nel luglio 1428, a pochi mesi dal passaggio sottola dominazione sabauda5. Tuttavia la «consolidazione» in un testo astampa della legislazione statutaria sicuramente contribuì alla sua con-servazione come fonte del diritto locale sino alla codificazione, ossiafino alla prima metà del XIX secolo6. Del resto, quella cinquecentescaera destinata ad essere l’unica edizione a stampa della raccolta vercelle-se, che non risulta essere stata oggetto di ulteriori edizioni, né finalizza-te alle necessità della pratica forense, né rivolte alla valorizzazione inchiave storica della tradizione comunale e delle fonti normative che neerano state, al tempo stesso, simbolo e prodotto. Fu in effetti la compi-lazione del 1241-42 ad essere accolta nel programma di pubblicazionedei Monumenta Historiae Patriae e ad essere pertanto stampata, nel

3 Hec sunt statuta communis et alme civitatis Vercellarum, impressum Vercellis, perIohannem Mariam de Peliparis de Palestro, 1541, a cui vanno riferite le citazioni deltesto statutario riportate nel presente contributo. Per la storia dell’edizione, si rinvia aquanto riferito da G. FERRARIS, A 450 anni dalla prima edizione degli statuti di Vercelli,in «Bollettino storico vercellese», XX (1991) n. 2, pp. 106-108.

4 In ordine a tali edizioni, cfr. G.S. PENE VIDARI, Censimento ed edizione degli sta-tuti, con particolare riferimento al Piemonte, in Dal dedalo statutario. Atti dell’incon-tro di studio dedicato agli Statuti, Bellinzona 1995, pp.261-288, ed in specie pp. 266-268, nonché C. STORTI STORCHI, Edizioni di statuti del secolo XVI. Qualche riflessionesul diritto municipale in Lombardia tra Medioevo ed età moderna, ibid., pp. 193-218,ora anche in EAD., Scritti sugli statuti lombardi, Milano 2007 , pp. 153-192 ed in parti-colare p. 179.

5 Nel merito DIONISOTTI, Memorie storiche cit., pp. 261-294; ORDANO, Storia diVercelli cit., pp. 211-223.

6 In proposito, si rinvia a quanto segnalato infra.

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1876, nel secondo dei volumi dedicati alle Leges Municipales, con brevicenni, nella nota introduttiva all’edizione, alla riforma trecentesca7; edancora ad essere pubblicata singolarmente, l’anno successivo, a spesedel comune8. Della redazione del 1341 resta, invece, un’ampia sintesi,dovuta al magistrato e storico vercellese Carlo Dionisotti, nel volumeXXIV del Dizionario geografico del Casalis, apparso nel 1853, allavoce Vercelli9.

Date tali premesse, appare chiaro che l’attenzione della storiografiasia stata maggiormente sollecitata dal testo duecentesco, più risalente epiù legato alla fase di piena espressione dell’autonomia comunale. Ciònondimeno, la redazione trecentesca non è certamente priva di interes-se, sia nella forma che nella sostanza, e merita rilievo non foss’altro per-ché in concreto fu quella applicata più a lungo e, dunque, quella che, persecoli, effettivamente costituì la base del diritto municipale. I cento anniche la separano dalla precedente revisione non sono sicuramente inin-fluenti sotto il profilo della tecnica legislativa, mentre risultano assaimeno rilevanti sotto quello dei contenuti, che, nonostante adattamentied integrazioni talvolta anche significativi, restano in buona misuraimmutati.

7 Statuta communis Vercellarum ab anno1241, in Historiae Patriae Monumenta,vol. XVI, Leges Municipales, t. II/2, coll. 1089-1264.

8 Statuti del Comune di Vercelli dell’anno 1241 aggiuntivi altri monumenti storicidal 1243 al 1335, ora per la prima volta editi e annotati a cura del prof. commendato-re Giovambatista Adriani, Torino 1877. Sulla pubblicazione e sulla condotta non deltutto limpida, sotto il profilo della correttezza scientifica, dell’Adriani, per «la graveappropriazione» da questi compiuta del lavoro di edizione svolto dal Mandelli, cfr. I.M.SACCO, Unicuique suum (a proposito di Giovan Battista Adriani), in «Comunicazionidella Società per gli Studi Storici Archeologici e Artistici per la provincia di Cuneo», VI(1934) n. 2, pp. 33-38. La questione è stata, più di recente, ripresa ed ulteriormenteapprofondita da I.M. ADORNO, Un “giallo” storico. L’edizione ottocentesca degli “sta-tuti antichi” di Vercelli, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», LXVI (1993), pp. 491-511; G.S. PENE VIDARI, Giovan Battista Adriani e la Deputazione di Storia Patria, inL’opera di Giovan Battista Adriani fra erudizione e storia, a cura di D. LANZARDO e F.PANERO, Cuneo 1996, pp. 19-37 ed in specie pp. 25-29 e 33-34; ID., Vittorio Mandelli el’edizione degli statuti di Vercelli del XIII secolo, in Vittorio Mandelli (1799-1999). Attidel convegno di studi, Vercelli, s.d., pp. 41-72.

9 Sunto degli Statuti della Città di Vercelli, in G. CASALIS, Dizionario geografico sto-rico-statistico-commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna, XXIV, Torino 1853,pp. 453-552. Per l’attribuzione al Dionisotti, si veda il cenno fattone dallo stesso Casalis(ibid., p. 144).

La riforma statutaria del 1341

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Di certo la riforma del 1341 si colloca in un quadro politico ed isti-tuzionale sensibilmente diverso rispetto a quello che aveva fatto dasfondo alla revisione duecentesca. Una novità essenziale è ovviamentela presenza del potere signorile, anche se, almeno stando a quel che siricava dall’esame delle disposizioni statutarie, si tratta di una presenzaancora non troppo incombente.

La revisione trecentesca si inserisce pure in una diversa fase dellacultura giuridica europea10. È nei decenni a cavallo tra Due e Trecentoche, attraverso l’apporto della dottrina e il contributo, non meno rile-vante, della pratica, si definisce e precisa il rapporto fra le diverse fontidel diritto, tra diritto generale e diritti particolari, tra ius commune – rap-presentato dalla tradizione del diritto romano giustinianeo, riscoperto edinterpretato dalla scienza giuridica medievale, e dal diritto canonico – eiura propria, siano essi municipali, signorili o regi, secondo un’impo-stazione che accresce l’autorità dell’interprete, facendone per moltiversi la chiave di volta del sistema normativo11.

Gli statuti del 1341 sono in vari punti lo specchio fedele del nuovoorientamento; tenterò in questa sede di accennare almeno ai principali.

Un primo punto è costituito dal fatto che, con la revisione trecentesca,la scientia iuris fa, per così dire, il suo ingresso nella legislazione delcomune vercellese. Particolarmente significativo si rivela il confronto frai proemi delle due raccolte. Nel testo duecentesco si punta esclusivamen-te a chiarire le finalità della compilazione, che vengono, tra l’altro, espres-

10 Per un quadro delle linee fondamentali che contraddistinguono l’esperienza giuri-dica medievale tra XIII e XIV secolo, cfr. specialmente M. BELLOMO, L’Europa del dirit-to comune, Roma 1994, pp. 163-217; E. CORTESE, Il Rinascimento giuridico medievale,Roma 1992, soprattutto p. 43 sgg.; ID., Il diritto nella storia medievale, II, Il BassoMedioevo, Roma 1995, pp. 391-452; P. GROSSI, L’ordine giuridico medievale, Roma-Bari1995, soprattutto pp. 187-235; ID., L’Europa del diritto, Roma-Bari 2007. pp. 37-64.

11 Sulla progressiva «elevazione» del diritto romano giustinianeo a «diritto comune»e sull’influenza esercitata in proposito dagli statuti comunali e specialmente da «prassigiudiziarie e statutarie», cfr. la ricostruzione proposta da A. GUZMAN BRITO, Historia delas nociones de «derecho común» y «derecho proprio», in Homenaje al profesor AlfonsoGarcía Gallo, Madrid 1996, I, pp. 207-240, e da E. CORTESE, Agli albori del concetto didiritto comune in Italia (sec. XII-XIII), in El dret comú i Catalunya. Actes del VIIISímposi Internacional, Barcelona 1999 , pp. 173-195, recentemente ripresa da M.CARAVALE, Federico II e il diritto comune, in Gli inizi del diritto pubblico, II, DaFederico I a Federico II, a cura di G. DILCHER - D. QUAGLIONI, Bologna-Berlin 2008,pp. 87-109 e in specie pp. 87-89.

Elisa Mongiano

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se in modo estremamente succinto, ancorandole all’esigenza, eminente-mente pratica, di rendere «aperior» a chiunque l’insieme delle disposizio-ni statutarie ed alla conseguente necessità di eliminare la confusione deri-vante dalle aggiunte, cancellature e correzioni via via apportate al corpusnormativo12. Nella redazione trecentesca, il proemio acquista una vestesolenne, ridondante di cultura giuridica. Le motivazioni concrete dellarevisione, in sostanza del tutto analoghe a quelle della precedente, sonoprecedute e, in certo modo, fatte derivare da principi di ordine generale.

Con ampie e pressoché testuali citazioni tratte dalle fonti canonisti-che, in particolare dal Decretum di Graziano, e da quelle civilistiche, inspecie dal Digesto, si richiama la necessità di norme per regolare l’agi-re umano e si afferma l’esigenza di realizzare il sommo bene della giu-stizia per il tramite delle norme di diritto positivo13, ossia «tam legumRomanorum principum quam etiam municipalium seu particulariumstatutorum», ponendo, in certa misura, entrambe le fonti sullo stessopiano, atteso che «municipalium statutorum effectus et robur a Romanislegibus emanavit que universis urbibus tribuerunt auctoritatem conden-di statuta»14. Si tratta in tutta evidenza di un passaggio che sembra unirel’interpretazione, al tempo ormai prevalente, della pace di Costanza(privilegium pacis Constantiae) in ordine al riconoscimento della pote-stas condendi statuta dei comuni e quella della lex Omnes populi, il bennoto passo del Digesto15 da cui i giuristi del tempo avevano preso lemosse per costruire il rapporto teorico tra ius commune e iura propria16.

12 Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1089-1093. 13 Il proemio riproduce pressoché alla lettera il ben noto passo di derivazione isido-

riana sull’origine delle leggi, contenuto nella prima parte del Decretum di Graziano (D.4, c. 1), secondo cui: «Factae sunt autem leges, ut earum metu humana coherceaturaudacia, tutaque sit inter improbos innocentia, et in ipsis improbis formidato suppliciorefrenetur nocendi facultas» (Corpus iuris canonici, ed. E.A. FRIEDBERG, I, DecretumMagistri Gratiani, Leipzig 1879 [ripr. anast. Graz 1959], col. 5).

14 Hec sunt statuta cit., c. I r.-v.15 D. 1.1.9. Al riguardo si rinvia alle osservazioni formulate da V. PIERGIOVANNI,

Statuti e riformagioni, in Civiltà comunale: libro, scrittura, documento, Genova 1989(Atti della Società Ligure di Storia Patria, Nuova serie – vol. XXIX (CIII), fasc. II), pp.83-86, e con specifico riferimento alle posizioni espresse da Alberico da Rosciate inesordio delle sue Quaestiones statutorum.

16 Nel merito si rinvia in particolare a quanto illustrato da G. DOLEZALEK, I com-mentari di Odofredo e Baldo alla pace di Costanza, in La pace di Costanza, 1183. Undifficile equilibrio di poteri fra società italiana ed Impero, Bologna 1984, pp. 59-75; ID.,

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Sempre sulla base del diritto canonico e di quello civile si giustifica,infine, il fatto che le norme umane possano modificarsi «secundumvarietatem temporum»17, per passare quindi agli aspetti concreti dellariforma ed alla descrizione del complesso iter seguito per la revisione.

Un secondo punto degno di nota, in quanto elemento di differenzia-zione tra la redazione duecentesca e quella trecentesca, è costituito dal-l’impianto sistematico che le caratterizza. La transizione dalla forma-zione di singoli statuti, risultato di una produzione normativa spessodisorganica ed ispirata da esigenze contingenti, alla redazione di un veroe proprio liber statutorum, ossia di una compilazione unitaria destinataa riunire le norme via via sedimentatesi nel tempo, si può dire già inparte realizzata dalla raccolta duecentesca. Questa, tuttavia, appareancora il risultato di un’aggregazione alluvionale e per stratificazionisuccessive, che, partendo da un nucleo chiaramente più risalente dinorme, procede per addizioni, inserite nel testo secondo un ordine mera-mente cronologico. È solo con la revisione trecentesca che si imprimeal codice statutario una diversa sistemazione, che mira a rifondere ipreesistenti materiali in modo tendenzialmente organico, raggruppando-li per materie, ed ad integrarli, aggiornandoli con nuove disposizioni18.Da tale operazione, in linea con le tendenze del tempo, deriva appuntola ripartizione degli oltre novecento capitoli che compongono gli statu-ti trecenteschi in sette libri, anche se tradizionalmente considerati otto,essendo il quarto ripartito in due distinte parti.

Der Friede von Konstanz 1183 in der Literatur des «Ius Commune», in Gli inizi deldiritto pubblico cit., pp. 277-307.

17 Il tema è, tra l’altro, accennato nell’arenga della costituzione Non debet emanatada papa Innocenzo III nel Concilio Lateranense IV del 1215 (Extra, 4, 14, 8), ove, conriferimento alle modifiche introdotte in tema di impedimenti matrimoniali derivanti dalgrado di parentela o affinità tra gli sposi, viene appunto sottolineato che: «Non debetreprehensibile iudicari, si secundum varietatem temporum statuta varientur humana,praesertim quum urgens necessitas vel evidens utilitas id exposcit» (Corpus iuris cano-nici, ed. E.A. FRIEDBERG, II, Decretalium Collectiones, Leipzig 1879 [ripr. anast. Graz1959], col. 703). Il corrispondente canone conciliare è edito in Constitutiones Conciliiquarti Lateranensis una cum Commentariis glossatorum, edidit A. GARCIA Y GARCIA,Città del Vaticano 1981, pp. 90-91.

18 Sulla formazione delle raccolte statutarie nell’ambito degli ordinamenti comuna-li cittadini, cfr. M. BELLOMO, Società e istituzioni dal Medioevo agli inizi dell’EtàModerna, Roma 19936, pp 363-373.

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Si tratta nel complesso di una sistematica ricorrente in varie altre rac-colte coeve, che, seguendo una prassi largamente diffusa, esordisce conla materia pubblicistica, stante, tra l’altro, l’ovvia aspirazione del comu-ne a porre in primo luogo le norme fondamentali del governo cittadino.Il primo libro, intitolato de officio potestatis et eius vicarii, tratta in pre-valenza della figura del podestà e, come d’uso, si apre con il giuramen-to da prestarsi al momento dell’ingresso nell’ufficio, che ne sintetizza,nel formulario, incombenze ed obblighi. Mentre, nei successivi capito-li, vengono definiti più in dettaglio le attribuzioni e gli oneri attinentialla carica podestarile, si dispone in merito al giudizio di fine mandatosull’operato del podestà stesso e dei collaboratori, che ne compongonola familia19, e vengono pure fissate rigorose regole di condotta, volte asottrarre il podestà ‘forestiero’ da interferenze esterne e ad impedirne ilcoinvolgimento in interessi di parte, a garanzia dell’autonomia delcomune e della sua pace interna. A ques’ultima esigenza paiono, delresto, da ricollegarsi tanto la riduzione di durata del mandato, che passadalla annuale, stabilita nei capitoli duecenteschi, a quella semestrale,sancita dal testo trecentesco, quanto il connesso divieto di rivestire nuo-vamente la funzione podestarile prima che sia decorso un triennio dallaconclusione del precedente incarico20. Alle norme direttamente riguar-danti il podestà se ne aggiungono poi di ulteriori: come quelle sul fun-zionamento degli organi comunali, ed in specie del consiglio di creden-za, sui rapporti con le terre facenti parte del districtus Vercellarum, suglioneri imposti a seguito dell’acquisto della cittadinanza ed altre simili,che concorrono, insieme con le precedenti, a formare la base della«costituzione» comunale.

Il secondo libro, intitolato ai consoli di giustizia (de consulibus), èprincipalmente dedicato al processo civile, ma comprende pure talunenorme di diritto privato. Per quanto si riferisce alla materia processuale,la raccolta consolida le modifiche apportate all’ordinamento giudiziariodel comune vercellese agli inizi del Trecento e tendenti a concentraremaggiormente nelle mani del podestà le competenze giurisdizionali. In

19 Hec sunt statuta cit., cc. III v.- IIII r.20 Sulla scarsa efficacia delle norme statutarie volte ad assicurare l’estraneità del

podestà alle fazioni interne ed in specie sulla tendenza ad eludere con vari mezzi ildivieto di rielezione immediata, cfr. BELLOMO, Società e istituzioni cit., pp. 250-251.

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base ad esse l’amministrazione della giustizia veniva ad essere ripartitafra il podestà e cinque giudici, ossia il vicario, al quale spettava l’eser-cizio della giurisdizione, civile e penale, riservata al podestà in caso diassenza o impedimento di quest’ultimo, ed il iudex maleficiorum, aven-te il compito di svolgere funzioni di giudice istruttore e di pubblicoaccusatore nel campo penale, entrambi nominati dal podestà, nonché idue consoli di giustizia, competenti nei giudizi civili, e il iudex damno-rum datorum, la cui designazione spettava al consiglio di credenza21.Era pure prevista la nomina, sempre da parte del comune, di consuleslaici de iustitia, incaricati dell’aggiornamento degli estimi catastali edell’assistenza ai minori22.

Il capitulum generale, con il quale appunto si apre il secondo libro,stabilisce le attribuzioni rispettivamente spettanti, nel campo civile, alpodestà, ed in sua vece al vicario, ed ai consoli di giustizia23. A questiultimi era, infatti, assegnata la giurisdizione ordinaria di primo grado,mentre il tribunale podestarile giudicava in grado di appello, ma svol-geva pure funzione di giudice di prima istanza in alcune cause, espres-samente individuate dal capitolo statutario24, rispetto alle quali era pre-vista la possibilità d’appello, entro il termine di sei mesi, dinnanzi alvescovo25.

Nelle successive disposizioni, che occupano un buon numero dicapitoli, si tratta in modo specifico dello svolgimento del processo civi-le, delle funzioni del giudice, dell’esecuzione delle sentenze, dellegaranzie delle obbligazioni, del pignoramento. Anche la raccolta ver-cellese, in accordo con l’indirizzo adottato da altre legislazioni statuta-rie, prevede un’estesa applicazione della procedura sommaria, ossia del

21 Durante tutto il suo periodo di mandato, il podestà era affiancato da cinque giudi-ci, dei quali «unus sit vicarius, seu assessor, et alius ad officium maleficiorum, et duo adconsulatum qui sint consules et iudices iustitie Vercellarum, et qui in causis civilibusdebeant unicuique reddere iusticie complimentum, et alius iurisperitus super exigendisbannis, condemnationibus, fodris, introitibus communis Vercellarum, et conoscere etdefinire et exigere super damnis datis et dandis» (Hec sunt statuta cit., c. II r.-v.). Sulpunto, cfr. inoltre Sunto degli Statuti della Città di Vercelli cit., p. 458.

22 Nel merito, cfr. pure le notizie riferite da DIONISOTTI, Memorie storiche cit., pp.410-413.

23 Hec sunt statuta cit., c. XXVI r.-v.24 Ibidem.25 Ibid., c. XXXVI v.

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rito abbreviato che si era venuto formando proprio nell’ambito dellagiurisdizione comunale in un’ottica di semplificazione delle formalitàpreviste dal processo romano-canonico e quindi di abbreviazione deitempi processuali, e che aveva poi trovato, agli inizi del Trecento, piùprecisa sistemazione in ambito canonico tramite la decretale Saepe dipapa Clemente V26. In proposito, le norme vercellesi stabiliscono che lecause di competenza del tribunale consolare debbano giudicarsi som-mariamente e, qualora di valore non superiore alle cento lire, esoneranol’attore dal dichiarare al giudice l’azione sulla quale intende fondare lapropria richiesta, e dal presentare il libello introduttivo della lite. È inol-tre prescritto che, secondo la formula tipica del processo planario,richiamata appunto dalla clementina Saepe e riportata pure nei capitolistatutari, si debba procedere «summarie et de plano sine strepitu et figu-ra iudicii» in quelle cause che, a prescindere dal loro valore, richiedanouna celere definizione, avuto riguardo o allo specifico oggetto del con-tendere – come, tra l’altro, nel caso della riscossione del prezzo di benimobili, del pagamento di fitti, dell’esazione di decime, di deposito e dicommenda27 – o alla particolare condizione dei litiganti, come nel casodi persone indigenti28, e, comunque, nei giudizi d’appello29. Quanto,invece, alle norme di contenuto privatistico, esse risultano non soloridotte nel numero, ma anche circoscritte nella sostanza a taluni, speci-fici settori, secondo un’impostazione tipica delle fonti statutarie. Talidisposizioni, di prevalente formazione consuetudinaria, regolanosoprattutto questioni attinenti alle successioni, ai rapporti patrimonialifra i coniugi e, più in generale, al diritto di famiglia, in una prospettiva

26 Clem. 5,11,2. Nel merito della decretale Clementina e specialmente in rapporto aiproblemi di datazione della medesima tra il 1312 e il 1314, cfr. E. CORTESE, Il dirittonella storia medievale cit., II, pp. 372-373 con la bibliografia ivi citata. Per una com-plessiva ricostruzione dell’emergere della cognizione sommaria nell’ambito della legi-slazione municipale e delle norme canoniche, sempre validi restano i contributi di G.SALVIOLI, Storia della procedura civile e criminale, in Storia del diritto italiano, pub-blicata sotto la direzione di P. DEL GIUDICE, III/2, Milano 1927 [ripr. anast.Frankfurt/Main - Firenze 1979], pp. 327-343; A. LATTES, Il procedimento sommario oplanario negli statuti, in ID., Studi di diritto statutario, Milano 1887, pp. 3-66.

27 Hec sunt statuta cit., c. XXXVII r.28 Ibid., c. XXVI r.29 Ibid., c. XXXVI v. Per un dettagliato elenco, cfr. Sunto degli Statuti della Città di

Vercelli cit., p. 494.

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che riflette la tendenza ad assicurare l’integrità del patrimonio familia-re nei passaggi da una generazione all’altra, privilegiando la trasmissio-ne dei beni in capo alla discendenza maschile30.

Il terzo libro (de officialibus) tratta dei principali ufficiali comunali,dai due tesorieri (clavarii), l’uno del comune e l’altro di giustizia, all’e-conomo (massarius) ed ai ragionieri (rationatores), dai verificatori dipesi e misure ai messi, e, in special modo, dispone sulle funzioni disegretari affidate ai notai, tanto nell’amministrazione della giustiziaquanto in quella finanziaria. L’attività di documentazione svolta dainotai non solamente per i privati, ma anche in seno agli organi di gover-no cittadini costituisce indubbiamente un tratto tipico della civiltàcomunale31. Nel caso di Vercelli, al rilievo assunto dalla funzione nota-rile fa da riscontro il controllo svolto dal comune, sia direttamente siasoprattutto per il tramite del locale collegio notarile, sulle modalità diaccesso al tabellionato e sull’esercizio dell’attività professionale, comedimostrano tanto la presenza nella raccolta del 1341 di alcuni accenni inmateria, quanto l’inserimento, in appendice al corpus statutario comu-nale, degli Statuta collegii notariorum civitatis Vercellarum del 1397,formati «ad ordinationem notariorum civitatis et districtus», ma «appro-bata et confirmata per generale consilium credentie»32.

Il quarto libro, che, come già si è anticipato, risulta diviso in due parti,è nel suo insieme incentrato sulla materia penale, che appare ampiamentesviluppata sia sotto il profilo del diritto sostanziale che sotto quello pro-cessuale, a riprova dell’esigenza fortemente avvertita dagli ordinamenti

30 Si segnalano, in particolare, i capitoli relativi ai diritti successori delle donne (Hecsunt statuta cit., XXVII r.-v.).

31 Nel merito, cfr. G.G. FISSORE, Autonomia notarile e organizzazione cancellerescanel comune di Asti, Spoleto 1977; ID., Alle origini del documento comunale: i rapportifra i notai e l’istituzione, in Civiltà comunale cit., pp. 99-128; nonché i saggi riuniti nelvolume Il notaio e la città. Essere notaio: i tempi e i luoghi (secc. 12-15), a cura di V.PIERGIOVANNI, Milano 2009.

32 Hec sunt statuta cit., cc. CCIIII v.-CCVIII r. Sull’ordinamento del notariato aVercelli, cfr. specialmente I. SOFFIETTI, Problemi relativi al notariato vercellese nelsecolo XIII, in «Rivista di Storia del Diritto Italiano», LV (1982), pp. 239-252, ora anchein ID., Problemi di notariato dal medioevo all’età moderna, Torino 2006, pp. 25-43, e,per quanto in particolare si riferisce agli statuti del 1397, il contributo di A. Olivieri, inquesto stesso volume. Per gli atti ricevuti da notai operanti in Vercelli nel XIV secolo,si veda A. COPPO, M.C. FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo. Regesti,Vercelli 2003.

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locali del tempo di assicurare il mantenimento dell’ordine pubblico, miran-do ad evitare che i reati restassero impuniti e ad impedire, nei casi piùgravi, il ricorso alla vendetta privata. Nella prima parte (de penis), intera-mente dedicata al diritto sostanziale, sono stabilite le pene relative ad unanutrita serie di reati, dai delitti alle semplici contravvenzioni; mentre nellaseconda parte (de maleficiis et ferutis) sono riunite le norme penali riguar-danti la repressione dei crimini di maggiore gravità, dall’omicidio allelesioni personali, e quelle sui giudizi penali di competenza del tribunalepodestarile. Spettava, infatti, al podestà conoscere dei crimini e delitti; lesentenze emesse dal medesimo, quando fossero state pronunciate «adlobiam in arengo» erano inappellabili, né «de aliqua ipsarum» era ammes-so chiedere la restitutio in integrum, o eccepire la nullità33.

Il sistema delle pene è ancora decisamente legato alla tradizione dimatrice consuetudinaria. Non solo per le contravvenzioni, ma anche peri delitti sono, infatti, stabilite sanzioni di tipo pecuniario, graduate inbase alla natura del reato ed alla qualità delle persone offese; tuttavial’insolvibilità del reo determina la sostituzione dell’ammenda con unapena corporale, che, nelle ipotesi più gravi, consiste nella mutilazione dimembra, come è per i reati contro la pubblica fede (falsificazione dimonete, falso in atti pubblici, …), o la fustigazione, così come è dispo-sto per il furto. Permane inoltre la condanna al bando per reati di unacerta gravità. Non mancano tuttavia alcuni segnali di innovazione nor-mativa. Per i crimini più efferati, la raccolta trecentesca prevede, infat-ti, pene di natura personale; in particolare, quella capitale è stabilita perl’omicidio ed anche per le rapine, quando i beni sottratti siano al disopra di un certo valore34. Nel processo penale, poi, accanto al rito accu-satorio fa la sua comparsa quello inquisitorio, che riserva al giudice cre-scenti poteri d’iniziativa nell’esercizio dell’azione penale, affidato, dal-l’ordinamento vercellese, al iudex maleficiorum35.

33 Hec sunt statuta cit., c. CXII r. Rientravano in tale novero le sentenze che com-portassero condanne a pene personali o anche pecuniarie, quando queste fossero a bene-ficio del comune e non della parte offesa (ibid., c. XI r.).

34 L’introduzione della pena capitale per l’omicidio nella legislazione locale è feno-meno che interessa varie città italiane «a partire dal terzo decennio del Duecento»(PADOA SCHIOPPA, Storia del diritto in Europa cit., p. 174).

35 Sul procedimento d’ufficio e più in generale sull’affermarsi a partire dal XIII seco-lo di una dimensione pubblica della giustizia penale, cfr., oltre a quanto riportato in G.

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Nel quinto libro (de damnis datis) sono accorpate varie disposizioniin tema di risarcimento, ai proprietari o ai conduttori di fondi agricoli,dei danni inferti alle colture e vengono altresì precisate le rispettiveattribuzioni dei camparii, investiti di funzioni di polizia rurale, e delgiudice comunale, competente alla liquidazione dei danni stessi, oltreche all’esazione di ammende e tributi. Mente il sesto (de pactis) racco-glie «concordias, pacta et conventiones» via via stipulati dal comune«cum aliquibus communitatibus et singularibus personis», accordi allacui puntuale osservanza, come recita uno dei primi capitoli, il podestàin carica è tenuto, purché essi siano riportati «in statuto communisVercellarum per scripturam que non fuerit cancellata vel deleta vel abo-lita» e sin tanto che vengano rispettati dalla controparte36. La sequenzadei capitoli, ripercorsa in una prospettiva storica, offre un quadro assaidettagliato della rete di rapporti instauratisi nel tempo tra il comune ver-cellese e le comunità ad esso soggette o collegate37.

Il settimo (de extraordinariis) infine riunisce, secondo una prassiabbastanza diffusa, tutte quelle disposizioni che, pur collegandosi, assaidi frequente, per contenuto a capitoli inclusi nei libri precedenti, ne sonostate, per varie ragioni, tenute al di fuori38. Alcune interessano il gover-

SALVIOLI, Storia della procedura civile e criminale, in Storia del diritto italiano cit., III/2,pp. 356-362, le considerazioni proposte, con peculiare attenzione alle realtà comunali dimatrice cittadina dell’Italia centro-settentrionale, da M. SBRICCOLI, «Vidi communiterobservari». Un ordine penale pubblico nelle città italiane del secolo XIII, in «QuaderniFiorentini per la storia del pensiero giuridico moderno», 27 (1998), pp. 231-268; A. ZORZI,Negoziazione penale, legittimazione giuridica e poteri urbani nell’Italia comunale, inCriminalità e giustizia in Germania e in Italia. Pratiche giudiziarie e linguaggi giuridicitra tardo medioevo ed età moderna, a cura di M. BELLABARBA, G. SCHWERHOFF, A. ZORZI,Bologna-Berlin 2001, pp. 13-34. Sull’apporto della dottrina si sofferma in special modoE. DEZZA, Accusa e inquisizione: dal diritto comune ai codici moderni, Milano 1989.

36 Hec sunt statuta cit., c. CXXXII r. Il comune aveva pure provveduto a raccoglie-re patti e convenzioni in appositi volumi, come risulta dalla raccolta duecentesca diPacta et conventiones, presumibilmente all’incirca coeva alla compilazione statutariadel 1241 (Libro dei «Pacta et conventiones del Comune di Vercelli, a cura di G.C.FACCIO, Vercelli 1926), e dai quattro volumi dei Biscioni a loro volta collegati alla revi-sione trecentesca degli statuti (I Biscioni, a cura di G. C. FACCIO e M. RANNO [poi] R.ORDANO, Torino 1934-2000, 6 voll.).

37 Sull’espansione del comune vercellese, cfr. F. PANERO, Villenove medievalinell’Italia nord-occidentale, Torino 2004.

38 Soluzione analoga risulta, ad esempio, seguita dal comune di Alessandria in occa-sione della riforma statutaria del 1297. Sul punto, cfr. quanto rilevato da G.S. PENE

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no del comune e l’esercizio della giurisdizione spettante al medesimosui territori del districtus, nonché sulle terre e luoghi «quas et que tenetdominus episcopus et ecclesia Vercellarum», a seguito degli accordi sta-biliti con l’episcopato39. Altre regolano questioni di polizia urbana erurale, trattando, tra l’altro, di strade e viabilità, di fiere e mercati, dimisure atte a garantire la salubrità entro le mura cittadine. Altre ancoraattengono al campo fiscale; esenzioni da tutti gli oneri, reali e persona-li, sono disposte in favore di alcune categorie professionali, tenute incambio a fornire prestazioni gratuite ai meno abbienti, come nel casodei medici40, o in quello dei doctores aggregati al collegio cittadino deigiureconsulti obbligati a prestare gratuitamente il loro patrocinio tantoai singoli indigenti quanto agli «hospitalibus pauperum et miserabiliumpersonarum», ed anche a «defendere et patrocinium prestare» nelle con-troversie riguardanti direttamente il comune41. Sul terreno del diritto pri-vato, due capitoli toccano aspetti concernenti la rinuncia all’eredità el’accettazione con beneficio d’inventario42.

Di indubbio rilievo è la disposizione che dichiara «cassa et irrita» gli«statuta», presenti in «corpore statutorum» o eventualmente da emanarsiper il futuro, che si pongano «contra libertatem Ecclesie»43. Il principiodell’invalidità delle disposizioni contrarie alle prerogative ecclesiastiche,ribadito dal Concilio Lateranense IV44, venne recepito nelle raccolte statu-tarie a partire dal terzo decennio del Duecento a seguito delle prescrizionidettate da Federico II nella ben nota costituzione del dicembre 1220, ema-nata, «in basilica beati Petri», in occasione dell’incoronazione imperiale e,

VIDARI, Gli statuti di Alessandria. Noterelle anniversarie, in «Rivista di Storia, Arte eArcheologia per le province di Alessandria e Asti», CVI (1997), p. 51.

39 Hec sunt statuta cit., c. CXLVIII r.40 Ibid., c. CLXIIII v.41 Ibid., c. CLXIX r.-v. Analoghe esenzioni sono riservate dal medesimo capitolo ad

«aliis civibus habentibus duodecim filios vel abiaticos» (ibid.). Sull’applicazione di taleimmunità, con peculiare riguardo all’area lombarda tra medioevo ed età moderna, cfr.A. MONTI, L’immunitas duodecim liberorum nella prassi senatoria lombarda di anticoregime, in «Amicitiae pignus». Studi in ricordo di Adriano Cavanna, a cura di A. PADOA

SCHIOPPA, G. DI RENZO VILLATA, G.P. MASSETTO, Milano 2003, pp. 1509-1563, con irelativi riferimenti bibliografici.

42 Hec sunt statuta cit., c. CLX r.-v.43 Ibid., c. CLVIII r..44 Constitutiones Concilii quarti Lateranensis cit., pp. 159-160, c. 44.

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poi, accolta nel Corpus iuris civilis 45. A Vercelli, l’adeguamento della legi-slazione locale ai precetti federiciani venne attuato tramite gli «statuta fra-tris Henrici», una serie di capitoli, compilati, durante il pontificato diGregorio IX, da frate Enrico da Milano dell’ordine dei Minori francesca-ni, che, sulla scia della costituzione imperiale, disponevano sia in meritoalla lotta contro gli eretici sia riguardo alla tutela delle libertà ecclesiasti-che46, dedicando a questa tre capitoli, posti rispettivamente sotto le rubri-che «de libertate ecclesie conservanda», «de non observandis statutis con-trariis libertati ecclesie» e «de conservandis privilegiis a summo pontificeconcessis»47. Cancellati dal codice duecentesco nella fase più acuta discontro tra vescovo e comune e, a quanto risulta, richiamati poi in vigoreper intervento papale48, di essi non resta pressoché traccia nella raccoltatrecentesca, che, in un clima più disteso di rapporti tra autorità religiose ecomune, si limita, come già si è anticipato, a ribadire il principio generale.

Con buona probabilità si può ritenere che la sistemazione, talvoltaalquanto approssimativa, per ordine di materie compiuta nel 1341 siconcluda con il capitolo «de molinariis», che interdice ai mugnai di con-durre «per civitatem Vercellarum» asini o altri quadrupedi, se non tenu-ti «per cordam vel capistrum vel frenum». In ogni caso, tutto lascia sup-porre che gli statutarii abbiano comunque inteso tenere distinti il pre-detto capitolo e quelli seguenti, trascritti nel Liber statutorum forseancora nel corso del 1341 o in un momento di poco successivo, sepa-randoli anche materialmente con un congruo spazio, poi utilizzato perinserirvi la revisione, approvata nel 135249, di un capitolo in tema di ere-

45 Come è noto, il testo della Constitutio venne incluso nella sua integralità nelVolumen, di seguito ai Libri feudorum, mentre dalle diverse disposizioni furono, poi, trat-te varie Authenticae al Codex, come, per quanto si riferisce al tema in esame, l’Auth.Cassa et irrita ad C. 1, 2, 12. Nel merito, si rinvia al denso saggio di M. G. DI RENZO

VILLATA, La «Constitutio in basilica beati Petri» nella dottrina del diritto comune, in Studidi storia del diritto, II, Milano 1999, pp. 151-301 ed in specie pp. 160-174, 215-286.

46 Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1230-1238.47 Ibid., coll. 1235-1236, cap. CCCLXXX-CCCLXXXII. Ne tratta in generale, ma

anche con specifico riferimento alla redazione duecentesca degli statuti vercellesi, M.ROSBOCH, Invalidità e statuti medievali. Pisa, Bologna, Milano e Ivrea, Roma 2003, pp.303-315.

48 Sul punto Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1230-1231, nota 96, nonchéROSBOCH, Invalidità cit., p. 308, nota 57.

49 Hec sunt statuta cit., cc. CLXX r.-CLXXI r.

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dità giacenti, contenuto nel secondo libro della raccolta50. Del resto le citate addizioni, pur essendo di data antecedente a quel-

la della revisione, si discostano anche sotto l’aspetto formale dai capi-toli che le precedono, in quanto non solo sono, in maggioranza, costi-tuite da più disposizioni riunite sotto un’unica rubrica, ma conservanopure l’originaria forma della delibera, con il relativo proemio e la data-zione. Ne fanno parte, nell’ordine, il capitolo «de iuramentorum formaprestita officialibus communis Vercellarum», che riunisce appunto leformule di giuramento prescritte per le diverse categorie di officialescomunali51, le disposizioni emanate nel 1254, «tempore domini RogleriiGeorgii potestatis Vercellarum», sul prezzo del pane di frumento e disegale52 e su quello dell’olio di noci53, gli statuta sui pedaggi, «lecta etpublicata ad lobiam broleti» il 17 ottobre 133254, e quelli, risalenti al 13settembre dello stesso anno, sulle modalità di esazione della curadia, dacorrispondersi una tantum, in occasione della festa patronale di S.Eusebio, per l’importazione ed esportazione di merci, dalla città, inoccasione di fiere e mercati55.

Si hanno, poi, alcuni importanti provvedimenti in materia di lottaall’eresia, dovuti ai pontefici Innocenzo IV, Alessandro IV e ClementeIV ed all’imperatore Federico II, nonché taluni capitoli statutari di reda-zione locale, riuniti sotto la rubrica «de hereticis ipsorumque defensori-bus et receptatoribus et eorum pena»56. È questa una tematica che, comeè ben noto, aveva assunto per la Chiesa rilevanza cruciale nei primi

50 Ibid., c. XL r.-v., cap. «de hereditate pronunciata pro defecta». Sulla riforma delcitato capitolo statutario, si veda il breve cenno in DIONISOTTI, Memorie storiche cit.,p. 426.

51 Ibid., cc. CLXXI v. – CLXXXI v.52 Ibid., cc. CLXXXII r.-CLXXXIII v., il capitolo, che regola il «sazium panis fru-

menti et siliginis», è privo di rubrica. Le misure deliberate nel 1254 vennero, poi, sot-toposte a verifica e revisione nel 1357, come risulta dalla delibera adottata il 19 ottobredi tale anno e quindi annotata nel corpus degli statuti (ibid., c. CXC v., cap. «de saziopanis»).

53 Ibid., c. CLXXXIII v., cap. «Sazium olei».54 Ibid., cc. CLXXXIIII r.-CLXXIX r. «Hec sunt statuta communis Vercellarum

facta super pedagiis mercandiarum», a cui fanno seguito varie addizioni in materia dipedaggi approvate tra il 1332 ed il 1333 (ibid., cc. CLXXXIX r.-CXCr).

55 Ibid., c. CXCI r.56 Ibid., cc. CXCI v.-CC v.

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decenni del XIII secolo, interessando, specialmente in età federiciana, irapporti tra Impero e Papato e coinvolgendo pure i comuni cittadini, esoprattutto quelli dell’Italia settentrionale, obbligati a recepire, osserva-re ed eseguire la legislazione papale ed imperiale in materia; obbligoche a distanza di un secolo continuava a restare attuale, come tra l’altrosi può desumere, per quanto concerne Vercelli, dalle disposizioni inclu-se nella raccolta trecentesca57.

Vi figura anzitutto la bolla Ad extirpandum di Clemente IV, risa-lente al 3 novembre 1265, con la quale il papa, nel confermare ledisposizioni emanate da Innocenzo IV contro gli eretici ed i loro com-plici e fautori, ingiunge ai «potestatibus sive rectoribus et consulibuset capitaneis et ancianis et consiliis et communitatibus civitatum etaliorum locorum per Italiam constitutis» di disporne la trascrizione «investris capitularibus», insieme con «quibusdam adutionibus et modifi-cationibus et declarationibus» fattevi da Alessandro IV e dallo stessoClemente IV, e di provvedere alla loro puntuale applicazione58. DiInnocenzo IV sono poi trascritte tanto la bolla Noverit universitasvestra del 15 giugno 1254, con cui il papa stabilisce le pene sia con-tro i rei del crimine di eresia sia contro i «receptatores, defensores etfautores eorum»59, quanto le istruzioni destinate, nel luglio dello stes-so anno, ai «fratribus ordinis Predicatorum» nella loro qualità di inqui-sitori «in provincia Lombardie», a chiarimento dei contenuti della pre-cedente60.

Al 22 maggio 1254 risulta datata la bolla Cum adversum, con laquale Innocenzo IV ordina ai comuni di far copiare nelle rispettiveraccolte statutarie «quasdam leges» a suo tempo promulgate da

57 Per un inquadramento generale, cfr. per tutti G.G. MERLO, Contro gli eretici,Bologna 1996, ed in specie pp. 99-123.

58 Hec sunt statuta cit., cc. CXCI v.- CXCV v. Nel testo del provvedimento sonoappunto inserite le «leges» pubblicate da Innocenzo IV il 15 maggio 1252, con la pro-pria bolla Ad extirpanda. Per entrambi i provvedimenti si veda pure l’edizione contenu-ta in Bullarum, Diplomatum et Privilegiorum Sanctorum Romanorum PontificumTaurinensis Editio, III, Augustae Taurinorum 1858, pp. 743-744, doc. IX; pp. 552-558,doc. XXVII.

59 Hec sunt statuta cit., cc. CXCV v.-CXVI v.; Bullarum, Diplomatum etPrivilegiorum cit., III, pp. 588-589, doc. XL.

60 Hec sunt statuta cit., c. CXVI v.; Bullarum, Diplomatum et Privilegiorum cit., III,p. 558, in appendice al doc. XXVII.

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Federico II61. Si tratta degli edicta contra hereticos, riproduzione pres-soché fedele di antecedenti disposizioni federiciane, fatti pubblicare peri territori dell’Impero tre volte, tra il 1238 ed il 1239, a Cremona, Veronae Padova e recepiti dal provvedimento papale nella redazione padovanadel 22 febbraio 123962. Vi sono comprese la costituzione Commissinobis, risalente al 123263, la celeberrima Inconsutilem, presente nelLiber Augustalis del 123164, ed infine la non meno nota Constitutio con-tra hereticos, emanata da Ravenna il 22 febbraio 123265. A completareil quadro della legislazione federiciana vi è, infine, la «constitutio superhereticos» diretta, da Catania nel marzo 1224, all’arcivescovo di

61 Hec sunt statuta cit., cc. CXVI v.-CXCIXv. Il provvedimento riprende pressochéalla lettera la bolla dello stesso pontefice, datata da Perugia il 31 ottobre 1243, di cui silegge l’edizione in Bullarum, Diplomatum et Privilegiorum cit., III, pp. 503-507.

62 Per l’edizione degli edicta contra hereticos, cfr. MGH, Const. II, edidit L.WEILAND, Hannoverae 1896, pp. 280-285, docc. 209-211. Sul punto, cfr. inoltre M.BELLOMO, Giuristi e inquisitori del Trecento. Ricerca su testi di Iacopo Belvisi, TaddeoPepoli, Riccardo Malombra e Giovanni Calderini, in Per Francesco Calasso. Studidegli allievi, Roma 1978, p. 20, n. 21 (ora anche in ID., Medioevo edito e inedito, III,Profili di giuristi, Roma 1997, p. 140); M. G. DI RENZO VILLATA, La «Constitutio in basi-lica beati Petri» cit., pp. 157 e 161, con la bibliografia ivi citata. Per una sintesi delledisposizioni antiereticali complessivamente emanate da Federico II,si rinvia alla voce diA. FIORI, Eresie, in Federico II. Enciclopedia Fridericiana, Roma 2006, pp. 540-553.

63 Per il testo dell’antecedente provvedimento del marzo 1232, cfr. MGH, Const. IIcit., pp. 195-197, doc. 158.

64 Liber Augustalis, lib. I, tit. I (Constitutiones Regni Siciliae, ristampa anastaticadell’edizione di Napoli curata da Gaetano Carcani, con una Introduzione di A. ROMANO,Messina 1992, pp. 3-5). Sul rapporto tra le norme antiereticali contenute nellaConstitutio in basilica beati Petri e quelle inserite nelle costituzioni melfitane, cfr. spe-cialmente F. LIOTTA, Federico II, la «Constitutio in basilica beati Petri» e il «LiberAugustalis», in Gli inizi del diritto pubblico… cit., II, pp. 111-130. Sull'estensione ai ter-ritori dell'Impero delle disposizioni antiereticali emanate per il Regnum, cfr. A. WOLF,Die Gesetzgebung der entstehenden Territorialstaaten, in Handbuch der Quellen undLiteratur der neueren europäischen Privatrechtsgeschichte, ed. H. COING, I, München1973, pp. 568-569. Sull'opera legislativa di Fedrico II per l'Impero, cfr. pure P. WEIMAR,Federico II legislatore dell'Impero, in «… colendo iustitiam et iura condendo…».Federico II legislatore del Regno di Sicilia nell'Europa del Duecento. Per una storiacomparata delle codificazioni europee. Atti del Convegno di studi organizzatodall'Università di Messina Istituto di Storia del Diritto e delle Istituzioni, Messina -Reggio Calabria 20-24 gennaio 1995, a cura di A. ROMANO, Roma 1997, pp. 81-90. Perle influenze della legislazione imperiale su quella statutaria, cfr. V. PIERGIOVANNI, Lanormativa comunale in Italia in età fredericiana, ibid., pp. 619-635.

65 Per la redazione del 1232 dell’editto ravennate, cfr. MGH, Const. II cit., pp. 194-195, doc. 157.

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Magdeburgo, «totius Lombardie legato», già trascritta nel Liber statuto-rum duecentesco di seguito ai citati «statuta fratris Henrici»66, anch’es-si riprodotti nella consolidazione trecentesca relativamente alle regole acui podestà e officiales comunali dovevano fedelmente attenersi nella‘caccia’ agli eretici ed ai loro fiancheggiatori67.

In chiusura della raccolta sono posti i «capitula pacis» tra il comunee i fuoriusciti vercellesi, stipulati il 26 ottobre 1285, con l’intervento, inqualità di «arbitri arbitratores et amicabiles compositores», del vescovodi Vercelli, del conte Pietro di Valperga e del vercellese UbertoPettenati68, nonché gli accordi di pace conclusi dal comune di Pavia conquello di Novara e con il vescovo di Vercelli il 22 gennaio 125469. Comegià si è accennato, tanto nel codice manoscritto quanto nell’edizione astampa, dopo gli statuti municipali sono collocati quelli del collegionotarile di fine Trecento.

Un terzo punto merita di essere considerato: quello relativo allapeculiare collocazione del Liber statutorum nel composito quadro dellefonti normative, che caratterizza l’esperienza giuridica tardo-medievale.Dall’esame, seppur condotto per sommi capi, dei contenuti della rac-colta, risulta evidente che, nonostante essa regoli numerose materie, nonne offre una disciplina completa. Altrettanto chiaro è che si tratta diinterventi settoriali, che toccano gli ambiti maggiormente rilevanti perla vita della comunità, tralasciandone o affrontandone solo marginal-mente altri, e che anche in taluni campi di un certo interesse per l’ordi-nata esistenza del comune, come è, ad esempio, il caso delle regole pro-cessuali e delle norme penali, non offrono «né una costruzione organicadel processo, né un’elaborazione giuridica dei diversi istituti o reati»70.

Peraltro, tutto ciò non stupisce. La legislazione statutaria non ha diper sé pretese di completezza. Essa non esaurisce le fonti del diritto

66 Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1234-1235, cap. CCCLXXIX. LaConstitutio contra haereticos Lombardiae è edita in MGH, Const. II cit., pp. 126-127,doc. 100.

67 Per la raccolta duecentesca Statuta communis Vercellarum cit., coll. 1230-1234,cap. CCCLXIX-CCCLXXVIII; per la compilazione trecentesca Hec sunt statuta cit., c.CC r.-v..

68 Hec sunt statuta cit., cc. CCI r.-CCIII v.69 Ibid., c. CCIIII r.70 PENE VIDARI, Gli statuti di Alessandria cit., p. 45.

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vigenti in ambito municipale, poiché la normativa locale è solo in partescritta, rimanendo in buona misura affidata alle consuetudini, che per unverso integrano e, per un altro verso, spesso intervengono, attraverso laprassi applicativa, addirittura ad adattare e modificare le disposizionicontenute negli statuti. A loro volta, poi, le norme locali non costitui-scono un prodotto isolato, ma si inseriscono nel sistema più ampio ecomplesso dello ius commune, che riveste, anzitutto, carattere di dirittopositivo, con funzione integrativa per le materie che non sono regolatedal ius municipale e, ove questa esista, dalla legislazione signorile: e fraqueste rientrano le norme di diritto privato, che, come si è rilevato, ilegislatori locali trascurano e che, di conseguenza, restano in larga misu-ra sottoposte al diritto romano giustinianeo, oltre che alle consuetudinie all’autonomia negoziale delle parti. Inoltre, lo ius commune è anche«un forziere pressoché inesauribile di analisi e soluzioni tecnico-giuri-diche»71, nel quale sono racchiusi quegli strumenti lessicali e quei prin-cipi generali necessari al legislatore come al giudice per creare, inten-dere ed applicare lo ius proprium. In effetti, benché negli ordinamentisignorili la vigenza delle diverse fonti normative risulti, almeno in lineateorica, ammessa per volontà del principe, secondo una tendenza che simanifesta con crescente intensità tra Tre e Quattrocento, nella pratica èall’interprete che spetta coordinarle in sistema e comporre eventualiantinomie, individuando la fattispecie da applicare.

La variegata molteplicità di fonti normative è richiamata nella for-mula di giuramento del podestà, senza peraltro precisarne i criteri dicoordinamento e di interazione. Il podestà giura, anzitutto, di «guardareregere et gubernare» la città di Vercelli, tutelandone cittadini ed abitan-ti nelle persone e nei beni; si impegna poi ad amministrare la giustizia,direttamente o per il tramite di giudici da lui delegati, «secundum legesvel statuta communis Vercellarum seu bonas consuetudines et provisio-nes et reformationes consiliorum dicte civitatis», sempre che tali «pro-visiones et reformationes» non siano in contrasto con gli statuti comu-nali72. Si obbliga, infine, ad osservare quanto contenuto «in carta atte-stata mihi missa per commune Vercellarum tempore electionis podesta-rie seu regiminis Vercellarum», ossia le condizioni stabilite con lo stes-

71 GROSSI, L’Europa del diritto cit., pp. 56-57.72 Hec sunt statuta cit., c. I v.

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so comune di Vercelli al momento della designazione, e più in generalead adempiere tutto quanto attenga «ad honorem commodum et statumpacificum et tranquillum et bonum regimen et conservationem et exer-citium iusticie civitatis communis hominum et districtus Vercellarumsecundum iura communia statuta et bonas consuetudinesVercellarum»73.

Vale la pena di notare che il riferimento alle fonti da applicarsi inambito municipale fa la sua comparsa nella versione trecentesca, per ilresto largamente modellata su quella duecentesca; tale accenno, indub-biamente presente anche in altre raccolte statutarie coeve, nel caso ver-cellese può forse essere inteso anche come un ulteriore indice di quel-l’apertura della legislazione statutaria ai temi propri della scientia iuris,di cui già si è fatto cenno a proposito del proemio; un’apertura che inparte può forse attribuirsi ad un semplice fenomeno ‘imitativo’ di statu-ti di altre località, in parte potrebbe addirittura collegarsi al soggiorno aVercelli, soprattutto nel corso del XIII secolo, di giuristi di un certo pre-stigio, doctores a vario titolo legati al mondo universitario74.

Un quarto punto su cui pare opportuno soffermarsi è l’importanzaattribuita dal testo trecentesco alla formazione giuridica. Rispetto allaprecedente revisione statutaria, quella del 1341 è assai più precisa nellostabilire le competenze professionali richieste agli ufficiali che operanoin seno al comune, ed in specie a giudici e notai. Riguardo ai primi, ilLiber statutorum prescrive che nessuno possa accedere alla carica di giu-dice del podestà, «nisi prius audierit leges per quinque annos»75; a chi

73 Ibidem.74 In relazione a tali presenze in ambito cittadino, cfr. specialmente D. MAFFEI, Fra

Cremona, Montpellier e Palencia nel secolo XII. Ricerche su Ugolino da Sesso, in«Rivista internazionale di diritto comune», I (1990), pp. 9-30; L. SORRENTI, Due giuri-sti attivi a Vercelli nel primo Duecento: Omobono da Cremona e Giuliano da Sesso, in«Rivista di storia del diritto italiano», LXVI (1993), pp. 415-449; EAD., Tra scuole eprassi giudiziarie. Giuliano da Sesso e il suo ‘Libellus quaestionum’, Roma 1999; I.SOFFIETTI, Contributo per la storia dello ‘Studium’di Vercelli nel secolo XIII, in «Rivistadi Storia del diritto italiano», LXV (1992), pp. 241-254; ID., Lo ‘Studium’ di Vercelli nelXIII secolo alla luce di documenti di recente ritrovamento, in «Rivista di storia del dirit-to italiano», LXVII (1994), pp. 83-90; G. FERRARIS, La convenzione ritrovata. Ancorasu Omobono ‘de Cremona’ e lo ‘Studium’ di Vercelli, in «Bollettino storico vercellese»,XXVIII (1999) 1, pp. 17-35.

75 Hec sunt statuta cit., c. VII r.

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volesse divenire «iudex iusticie» o essere «advocatus in civitateVercellarum», ricevendo dal comune «dona sive salarium» previsto infavore dei membri del collegio cittadino dei giureconsulti76, era richiestonon solo di aver studiato per cinque anni diritto, ma anche di aver poipatrocinato per ulteriori tre anni. Quanto ai notai, è loro imposto che perpoter ottenere incarichi da parte del comune abbiano superato l’esame diammissione al tabellionato e già esercitato almeno per un anno l’attivitàprofessionale. La redazione trecentesca, a differenza di quella del secoloprecedente, dispone anche «de examinatione notariorum», precisando lemodalità di svolgimento dell’esame stesso, che il candidato deve soste-nere, «presente uno ex iudicibus potestatis et omnibus consulibus nota-riorum» e con l’intervento, di regola, di sedici (o comunque di almenododici) notai scelti dal collegio notarile cittadino, dimostrando di saper«recitare ad minus sex cartas bene et sufficienter et facere tria latina»77.Come è noto, la materia sarebbe stata poi ampiamente ripresa ed inte-grata, verso la fine del secolo, dai già citati statuti del collegio78; restacomunque degno di rilievo che se ne faccia apposita menzione in quellicomunali. Sul versante della formazione notarile, gli statuti trecenteschiindirettamente documentano, altresì, l’esistenza in ambito cittadino diuna scuola di ars notarie, in quanto estendono le esenzioni fiscali, previ-ste in favore di altre categorie professionali, anche ai «doctoribus artisgramatice et notarie legentibus in civitate Vercellarum», a condizione chesi impegnino a «docere gratis pauperes et miserabiles personas»79.

Ancor più dettagliate appaiono le disposizioni riguardanti la forma-zione giuridica di livello universitario, che era stata prevista e regola-mentata dagli accordi conclusi dal comune con i rappresentanti deglistudenti padovani e fissati nella ben nota Carta studii del 4 aprile 1228,ritenuta atto fondativo dello Studium vercellese80. In proposito va, anzi-

76 All’origine ed all’ordinamento del collegium iudicum Vercellarum sono dedicatialcuni cenni, sempre a cura di C. Dionisotti, in CASALIS, Dizionario geografico cit., pp.144-146.

77 Hec sunt statuta cit., cc. CXLVIII v.-CXLIX r. Nel merito, cfr. SOFFIETTI,Problemi di notariato cit., pp. 35-36.

78 SOFFIETTI, Problemi di notariato cit., pp. 37-39.79 Ibid., p. 37.80 La Carta Studii è stata più volte oggetto di edizioni; le più recenti sono quella

curata da R. ORDANO, I Biscioni, I/3, Torino 1956 (BSSS, CLXXVIII), pp. 69-74, doc.

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tutto, notato che, nel corso della sua travagliata ed effimera esistenza81,gli insegnamenti giuridici appaiono, per certi versi, il filo conduttoredestinato a legare le tre distinte fasi attraverso le quali, pur con lungheinterruzioni e tentativi di ripresa, si svolse l’attività didattica: la prima,che prende avvio con la convenzione del 1228 per protrarsi sin verso iprimi anni quaranta del secolo XIII, la seconda, che sembra aver uni-camente interessato gli anni sessanta sempre del Duecento, ed, infine,la terza, che riguarda essenzialmente il triennio 1338-134182. A frontedei rapidi, anche se comunque significativi, accenni inseriti nella rac-colta duecentesca83, gli statuti del 1341 dedicano un lungo capitolo, che

DXIII, e quella proposta, corredata di traduzione italiana, da G. CASIRAGHI, Carta stu-dii et scolarium commorancium in studio Vercellarum. Trascrizione e traduzione, inCarta studii et scolarium commorancium in studio Vercellarum, 4 aprile 1228. Intornoal primo documento della Università medievale di Vercelli, Alessandria-Novara-Vercelli2005, pp. 19-33. Per un quadro complessivo delle edizioni, cfr. ID., La “Carta studii”di Vercelli. Note di paleografia e diplomatica, ibid., 37-45.

81 Sulle vicende dello studio vercellese, anche in rapporto al quadro politico cittadi-no, cfr. almeno R. ORDANO, L’istituzione dello Studio di Vercelli, in L’Università diVercelli nel medioevo. Atti del secondo Congresso storico vercellese, Vercelli 1994, pp.167-204; C. FROVA, Città e «Studium» a Vercelli (secoli XII e XIII), in Luoghi e metodidi insegnamento nell’Italia medioevale (secoli XII-XIV), a cura di L. GARGAN, O.LIMONE, Galatina 1989, pp. 83-99; G. GANDINO, Lo «Studium» di Vercelli tra contesto etradizione, in Carta studii et scolarium cit., pp. 47-78.

82 Nel merito, cfr. I. NASO, La fine dell’esperienza universitaria vercellese, inL’Università di Vercelli nel Medioevo cit., p. 337.

83 Cfr. Statuta communis Vercellarum ab anno 1241 cit., coll. 1215-1217, cap.CCCXXXIV e soprattutto col. 1237, cap. CCCLXXXVII. Quest’ultima disposizione,che, forse per la prima volta, utilizza il prestigioso titolo di studium generale per desi-gnare nel loro complesso gli insegnamenti impartiti nella sede vercellese, venne, contutta probabilità, emanata tra il 1234 ed il 1235 e, quindi, consolidata nella redazionestatutaria del 1241. Per l’esatta datazione del capitolo in questione, a lungo ritenutorisalente al 1224, cfr. FROVA, Città e ‘Studium’ a Vercelli cit., p. 97. Sull’uso, che sivenne affermando tra il secondo ed il terzo decennio del secolo XIII, del termineStudium nel significato istituzionale di complesso di scuole e sull’attributo generale,per qualificare «un insieme di scuole che […] dovevano servire per l’insegnamentodella teologia, del diritto canonico e del civile e delle arti liberali, queste ultime in fun-zione propedeutica», cfr. P. NARDI, ‘Licentia ubique docendi’ e ‘Studium’ generale nelpensiero giuridico del secolo XIII, in A Ennio Cortese, scritti promossi da D. MAFFEI eraccolti a cura di I. BIROCCHI, M. CARAVALE, E. CONTE, U. PETRONIO, II, Roma 2001,pp. 471-477, con gli ulteriori riferimenti bibliografici ivi citati. Nel merito delle dispo-sizioni relative allo Studio contenute nella raccolta, cfr. pure ORDANO, Originedell’Università medioevale di Vercelli cit., pp. 2-13; NASO, La fine dell’esperienza cit,pp. 339-340 e nota 22.

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detta regole per la rinascita dell’insegnamento universitario, riunendo-le sotto l’eloquente rubrica «De his que principaliter et multipliciterpertinent ad honorem, bonum statum, augmentum et maximum com-modum civitatis communis et hominum Vercellarum»84. Facendo levasulla gloriosa tradizione scolastica della sede vercellese, «in qua etiamab antiquo studium esse consuevit», il testo statutario delinea un pro-gramma abbastanza impegnativo di riattivazione degli insegnamenti.L’ordinamento didattico fissato dalla Carta Studii, tipico del modellouniversitario ‘classico’85; appare ridimensionato o, se si vuole, adattatoalle concrete esigenze di formazione professionale avvertite in sedelocale. Cancellate la teologia e le artes, lo statuto trecentesco punta sudue sole aree disciplinari, la medicina e il diritto; ed anche nell’ambitodi queste compie una netta scelta di campo in favore delle disciplinegiuridiche. Sette sono le cattedre complessivamente previste, ma unasola è riservata alla medicina; le altre sono divise tra gli insegnamentidel diritto civile, per il quale sono fissati quattro corsi, e quelli del dirit-to canonico, al quale ne sono assegnati due, uno per la decretistica el’altro per la decretalistica, secondo il modello stabilito negli statuti deimaggiori studia a cominciare da quelli dell’Alma mater studiorumbolognese86, ma anche con qualche velleità innovativa soprattutto nelcampo del diritto civile87.

È chiara l’intenzione delle autorità comunali di attivare corsi su tuttoil Corpus iuris civilis; il citato capitolo statutario stabilisce, infatti, che

84 Hec sunt statuta cit., c. LXI r.-v.85 Sull’organizzazione didattica prevista nel 1228, cfr. E. MONGIANO,

L’insegnamento del diritto a Vercelli tra XIII e XIV secolo, in Carta studii et scolariumcit., pp. 79-105 ed in specie pp. 85 e 97-100, con gli ulteriori riferimenti bibliografici ivicitati.

86 Sugli aspetti legati all’insegnamento canonistico presso lo Studio vercellese, cfr.V. PIERGIOVANNI, Tracce della cultura canonistica a Vercelli, in L’Università di Vercellicit., pp. 242-254.

87 Sull’ordinamento tipico delle scuole di diritto negli studia medievali e sulle diver-se forme della didattica giuridica, cfr. per tutti M. BELLOMO, Saggio sull’università nel-l’età del diritto comune, Roma 19942, in specie p. 207 sgg.; ID., «Legere, repetere,disputare». Introduzione ad una ricerca sulle «quaestiones» civilistiche, in ID., Aspettidell’insegnamento giuridico nelle Università medievali. Le ‘quaestiones disputatae’,Reggio Calabria 1974, pp. 13-81 (ora anche in ID., Medioevo edito e inedito, I, Scholae,Universitates, Studia, Roma 1997, pp. 51-97).

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a percepire il dovuto salarium siano non solo «duo doctores ordinarii inlegibus», i quali «legant ordinarie», svolgendo presumibilmente i corsimattutini sul Digestum vetus e sul Codex, ma anche un terzo docente,«qui legat extraordinarie in legibus, scilicet Digestum novum etInfortiatum» ed un quarto, probabilmente chiamato, come il precedente,a tenere le lezioni pomeridiane, «qui legat Volumen», ossia il quinto edultimo dei libri legales, contenente Institutiones, Tres libri, ossia i treultimi del Codex, e Novellae88. L’inclusione del Volumen fra le lecturaepreviste appare doppiamente significativo, non solo perché di solito tra-scurato dalla didattica, ma anche perché ciò potrebbe denotare una certaattenzione verso la feudistica, tenuto conto che, a partire dai primidecenni del Duecento, poteva dirsi stabilmente realizzata l’inserzionenei manoscritti del Corpus iuris civilis dei Libri feudorum, quale deci-ma collatio delle Novellae89.

Il progetto, sicuramente ambizioso, potrebbe in qualche misura esse-re stato ispirato dall’intento «di restituire alla città un organismo che neriqualificasse l’immagine dal punto di vista culturale»90 in una fase poli-tica assai delicata, o addirittura dall’aspirazione a «proporsi come cittàcandidata a diventare sede dell’Università viscontea»91. Per quanto se nesa, esso non ebbe tuttavia seguito ed il ruolo a cui forse Vercelli ambivasarebbe, poi, spettato a Pavia, ove nel 1361 la nascita dello Studio sicompì sotto l’egida del potere signorile92. Resta comunque degno dinota il fatto che, mentre nel Duecento lo strumento legislativo viene uti-lizzato essenzialmente per garantire le condizioni necessarie alla prose-

88 Sulla riscoperta, ricostruzione e riordinamento delle fonti giustinianee ad operadei giuristi medievali, si rinvia, per un quadro di sintesi, a M. BELLOMO, L’Europa deldiritto comune, Roma 19947, pp. 72-75.

89 Sulle complesse vicende che contrassegnarono la formazione della raccolta ed ilsuo inserimento nei libri legales, cfr. BELLOMO, Società e istituzioni cit., pp. 467-471;CORTESE, Il diritto nella storia medievale cit., II, pp. 159-167.

90 NASO, La fine dell’esperienza cit, p. 345.91 Ibid., p. 343.92 Sul ruolo dello Studio pavese nel quadro della politica universitaria viscontea,

prima, e sforzesca, poi, cfr. per tutti M. C. ZORZOLI, Interventi dei duchi e del Senato diMilano per l’Università di Pavia (secoli XV-XVI), in Università e società nei secoli XII-XVI, Pistoia 1982, p. 553-573; A. SOTTILI, L’Università di Pavia nella politica cultura-le sforzesca, in ID., Università e cultura. Studi sui rapporti italo-tedeschi nell’etàdell’Umanesimo, Goldbach 1993.

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cuzione della vita universitaria, affidando, invece, l’organizzazionedella didattica allo strumento pattizio, alla convenzione tra il comune egli studenti, nel Trecento è il comune a regolare direttamente con dispo-sizioni statutarie l’attività d’insegnamento, stabilendo quali disciplineprivilegiare, quali e quanti corsi attivare. Si tratta di un’impostazioneche, per certi versi, può anche essere frutto di specifiche condizionilocali, ma che in qualche misura può ritenersi in linea con le tendenzedel tempo, che segnano il progressivo declino della componente stu-dentesca nel controllo della vita degli studia e il crescente intervento inessa dell’autorità pubblica, sia essa comunale o signorile93.

Vi è ancora un ultimo punto a cui accennare: quello dell’effettivaapplicazione della legislazione statutaria nel lungo arco di tempo duran-te il quale essa resta formalmente in vigore. La questione evidentemen-te riveste una portata generale. Nel caso di Vercelli, essa va inquadratanel contesto dei rapporti che, sul piano politico come su quello giuridi-co, legano la città ai Visconti, prima, ed ai Savoia, poi. Nel 1341 il regi-me visconteo non sembra apportare significativi mutamenti rispettoall’autonomia comunale; le disposizioni statutarie non contengono,come già si è accennato in precedenza, espressi riferimenti all’interven-to signorile né nel procedimento di riforma legislativa, che si concludecon l’approvazione del nuovo Liber statutorum da parte del consiglio dicredenza, né tanto meno nella nomina del podestà o degli altri officia-les. Mentre carattere di omaggio meramente rituale pare rivestire l’af-fermazione, contenuta nel proemio, secondo cui la riforma stessa dove-va intendersi compiuta «ad amplificationem reverentie, honoris et lau-dis magnificorum dominorum Iohannis atque Luchini de Vicecomitibusmagnificorum dominorum civitatum Mediolani, Vercellarum etc.»94.

Il che ovviamente non esclude la possibilità che vi sia comunque

93 Per un quadro di sintesi delle peculiarità assunte dall’esperienza universitaria nel pas-saggio dalla realtà duecentesca a quella dei secoli XIV e XV, cfr. J. VERGER, Le universitàdel Medioevo, Bologna 1982, pp. 157-259. Esempi precoci di fondazioni regie sono statiillustrati, con riferimento alla nascita delle più antiche università iberiche, da D. NOVARESE,I privilegi delle Università di fondazione regia fra medioevo ed età moderna, in A EnnioCortese cit., II, pp. 508-519. Con riferimento alla fondazione dello Studio torinese, cfr. E.MONGIANO, Lo Studio e i principi, in Alma felix universitas studii Taurinensis. Lo Studiogenerale dalle origini al primo Cinquecento, a cura di I. NASO, Torino 2004, pp. 75-118.

94 Hec sunt statuta cit., c. I v.

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stato, almeno sul piano politico, un certo controllo da parte dei nuovisignori, controllo indubbiamente difficile da provare, ma ragionevol-mente ipotizzabile, anche tenuto conto della provenienza milanese delpodestà in carica95. Tuttavia, a distanza di circa un decennio, la revisio-ne del citato capitolo statutario in tema di eredità giacenti, condotta atermine nel settembre 1352, rispecchia ormai un quadro istituzionaleben diverso: alla delibera degli organi comunali fa seguito, il 2 ottobre,la conferma da parte dell’arcivescovo Giovanni Visconti96. Alla ratificasignorile, questa volta del duca Gian Galeazzo, risultano parimenti sot-toposti gli statuti del collegio dei notai del 1397, segno tangibile del-l’accresciuto peso dell’autorità viscontea.

Con il Trecento, d’altronde, la produzione legislativa del comunevercellese può dirsi sostanzialmente conclusa, mentre quella signorileviene via via acquisendo una certa ampiezza. Il Liber statutorum, alme-no in apparenza, resta immutato nei suoi contenuti. In realtà, le norma-tiva locale non si regge nella sua integralità, in quanto, specialmente intalune materie, essa viene modificata dalla legislazione signorile, coneffetti più limitati sotto i Visconti, stante l’assenza di statuti generalivalidi per tutto il dominio, di portata più incisiva sotto i Savoia97.

È ben vero che il duca Amedeo VIII, con le patenti del 17 luglio1428, nel confermare le antecedenti «libertates civitatis Vercellarum»,espressamente mantiene in vigore gli «statuta et capitula» municipali,purché «equitati, honori iuribusque et iuridictioni nostris non repu-gnancia»98. Mentre nel proemio dei Decreta seu statuta, pubblicatidallo stesso Amedeo VIII nel 1430 ed almeno tendenzialmente desti-nati a tutte le terre sabaude, si afferma il principio secondo cui la legge

95 Sul ruolo delle autonomie cittadine nel regime signorile visconteo, cfr. C. STORTI

STORCHI, Aspetti generali della legislazione statutaria lombarda in età viscontea, inLegislazione e società nell’Italia medievale, Bordighera 1990, pp. 71-101, ora anche inEAD., Scritti sugli statuti lombardi, Milano 2007, pp. 85-113, ed in specie p. 100 sgg.

96 Hec sunt statuta cit., cc. CLXX r.-CLXXI r.97 Nel merito cfr. G. S. PENE VIDARI, Statuti signorili, in Signori, regimi signorili e

statuti nel tardo medioevo, a cura di R. DONDARINI, G. M. VARANINI, M. VENTICELLI,Bologna 2003, pp. 51-61; ID., Considerazioni sugli statuti signorili, in «AmicitiaePignus» cit., III, pp. 1795-1810.

98 La minuta della patenti ducali è conservata in ARCHIVIO DI STATO DI TORINO, Archiviodi Corte, Protocolli ducali, vol. 72 bis, cc. 699 r.-703 v. e per la citazione c. 700 v.

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ducale non intende derogare né alle «bonis et laudabilibus consuetu-dinibus nostrorum ducatus Auguste et patrie Vaudi», ossia al dirittoconsuetudinario vigente in Valle d’Aosta e nel Vaud, né ai «rationabi-libus capitulis terrarum nostrarum Italiae, Pedemontium etProvinciae», e quindi agli statuti delle terre d’Italia, fra le quali vacompresa appunto Vercelli, del Piemonte e di Provenza, ossia del con-tado di Nizza99. Ciò non impedisce tuttavia che, almeno per quanto siriferisce a Vercelli, il passaggio ai Savoia incida sensibilmente sulleistituzioni locali, segnando, tra l’altro, significativi cambiamenti nel-l’ordinamento giudiziario100.

Proprio in quest’ultimo settore importanti novità si hanno con iNuovi Ordini sul processo civile e su quello penale, pubblicati rispetti-vamente nel 1561 e nel 1565 dal duca Emanuele Filiberto, che dettanonorme generali, valide per tutti i territori soggetti all’autorità del princi-pe, derogando in materia le disposizioni contenute negli statuti101.

Con le riforme settecentesche, culminate nella pubblicazione delletre redazioni delle Leggi e costituzioni di Sua Maestà del 1723, 1729 e1770, la legislazione del sovrano erode ulteriormente gli spazi di com-petenza locale, però senza eliminarli del tutto102. Gli statuti comunali,abrogati al momento dell’introduzione in Piemonte del Code civil napo-leonico del 1804, vengono posti nuovamente in vigore con il ritorno, inetà di Restaurazione, al sistema normativo di antico regime e, pur sen-sibilmente ridimensionati nella loro portata e nel complesso ormai scar-samente applicati, continuano, comunque, a rientrare tra le fonti del

99 La citazione è ripresa dall’edizione torinese del 1586 (Decreta seu statuta veteraserenissimorum ac praepotentum Sabaudiae Ducum et Pedemontii Principum,Augustae Taurinorum, apud haeredem Nicolai Bevilaquae, 1586, c. 1 v.). Nel merito eper un più ampio inquadramento delle questioni sottese alla disposizione ducale, cfr. I.SOFFIETTI, C. MONTANARI, Il diritto negli Stati sabaudi: fonti e istituzioni, Torino 2008,pp. 8-17.

100 In proposito, cfr. DIONISOTTI, Memorie storiche cit., p. 414-423.101 Sull’opera legislativa del duca, si rinvia a C. PECORELLA, Introduzione a Il libro

terzo degli «Ordini Nuovi» di Emanuele Filiberto, a cura di C. PECORELLA, Torino 1989;ID., Introduzione a Il libro quarto degli «Ordini Nuovi» di Emanuele Filiberto, a cura diC. PECORELLA, Torino 1994.

102 I. SOFFIETTI, Le fonti del diritto nella legislazione del Regno di Sardegna nelXVIII secolo, in Studi in memoria di Mario E. Viora, Roma 1990, pp. 679-689;SOFFIETTI, MONTANARI, Il diritto negli Stati sabaudi cit., pp. 53-65.

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diritto103. Solo all’entrata in vigore del Codice civile albertino, il 1° gen-naio 1838, la legislazione locale cessa formalmente «di aver forza dilegge»104: dalla riforma del 1341 erano ormai trascorsi quasi cinquesecoli.

103 Cfr. C. MONTANARI, Gli statuti piemontesi: problemi e prospettive, inLegislazione e società nell’Italia medievale cit., pp. 103-207 ed in specie pp. 124-134,nonché G. S. PENE VIDARI, Torino sabauda. L’autonomia legislativa: gli statuti, inStoria di Torino, II, Il basso medioevo e la prima età moderna (1280-1536), a cura di R.COMBA, Torino 1997, p. 257.

104 Codice civile per gli Stati di S.M. il Re di Sardegna, art. 2415. L'articolo in que-stione sancisce che gli statuti locali cessino di avere valore di legge in «tutte le materieche formano l'oggetto del presente Codice», ossia per le disposizioni concernenti il dirit-to privato, le sole della normativa statutaria che, al tempo, ancora trovavano un certomargine di applicazione. Sul punto, si rinvia alle considerazioni svolte in SOFFIETTI,MONTANARI, Il diritto negli Stati sabaudi cit., pp. 133-135.

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PAOLO ROSSO

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UNIVERSITÀ E SAPIENTES IURIS

A VERCELLI NEL TRECENTO

L’esperienza universitaria vercellese, come è stato posto in evidenzain diverse ricerche dedicate a questa istituzione, si presenta come unarealtà chiaroscurata, caratterizzata da fasi nelle quali si addensano inmodo consistente le testimonianze dell’attività dello Studium, e daassenze di esplicite attestazioni sulla presenza di un centro di insegna-mento universitario. La ricerca d’archivio e l’indagine condotta neifondi manoscritti continuano tuttavia a offrire testimonianze in grado diarricchire i dati sul funzionamento dell’Università di Vercelli e suiriflessi di questa nella vita culturale e istituzionale cittadina1.

Nato nel periodo comunale maturo, negli anni che seguirono l’affer-mazione del regime podestarile, lo Studium generale di Vercelli vennein qualche misura coinvolto nella stagione della politica universitariadell’imperatore Federico II, per poi tornare a una dimensione cittadinache restò la sua cifra sino all’ingresso di Vercelli nella signoria viscon-tea. I Visconti non ebbero un atteggiamento ostile nei confronti dell’u-niversità vercellese, ma, pur senza citarla esplicitamente, ne decretaro-no la fine quando elessero, nel 1361, la città di Pavia alla sede designa-ta per ospitare quello che sarebbe stato per un secolo e mezzo lo

1 Il presente contributo fa parte di una ricerca più ampia, di prossima pubblicazione,dedicata agli insegnamenti di diritto, di arti e medicina e di teologia presso lo Studiumdi Vercelli nei secoli XIII-XIV, cui rimando per un inquadramento generale. Oltre allabibliografia via via citata, per l’Università di Vercelli nel Due e Trecento si veda soprat-tutto L’Università di Vercelli nel medioevo. Atti del secondo Congresso StoricoVercellese (Vercelli, 23-25 ottobre 1992), Vercelli 1994; interessanti sono anche leosservazioni nelle recensioni a questo volume apparse in «Bollettino storico vercellese»,21 (1992), pp. 149-154 (L. MINGHETTI RONDONI); in «Quaderni medievali», 35 (1993),pp. 185-192 (G. GULLINO); in «Nuova rivista storica», 77 (1993), pp. 111-114 (M.GAZZINI), cui si aggiunga il contributo di G. G. MERLO, L’Università di Vercelli nelmedioevo. A proposito di un recente volume, in ID., Forme di religiosità nell’Italia occi-dentale dei secoli XII e XIII, Cuneo-Vercelli 1997, pp. 195-213, in particolare p. 204,già pubblicato in «Bollettino storico vercellese», 23 (1994), pp. 5-26.

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Paolo Rosso

Studium del principato visconteo-sforzesco, oscurando ogni altro centrodi istruzione superiore attivo nelle loro terre.

L’azione con la quale il comune di Vercelli rivelò i suoi progetti diattivare uno Studio cittadino è il noto invio a Padova dei suoi delegati,nella primavera dell’anno 1228, i quali, il 4 aprile, stipularono con i rap-presentanti della corporazione degli studenti la convenzione conosciutacome Carta Studii. Con questa convenzione, della durata di otto anni, ilcomune – a fronte del trasferimento a Vercelli dell’intera universitasscholarium padovana (“universum Studium Padue”) – si impegnava afarsi integralmente carico degli aspetti logistici dell’iniziativa e delpagamento degli stipendi dei quattordici docenti previsti, cioè tre pro-fessori di diritto civile, quattro di diritto canonico (due decretisti e duedecretalisti), due di medicina, quattro di artes liberales (due di dialetti-ca e due di grammatica) e uno di teologia2.

I dati sullo Studium di Vercelli nei primi decenni della sua esistenzasono estremamente limitati, sebbene non manchino testimonianze distudenti residenti in città. Non abbiamo notizie di formali riconosci-menti giuridici dell’università attraverso privilegi imperiali o papali,come avvenne per lo Studio di Modena, che ottenne il privilegio diOnorio III nel 12243. È del tutto assente inoltre per questi anni qualsia-si documentazione relativa ai cerimoniali e agli actus publici4, all’atti-vità della cancelleria universitaria e alla redazione e conservazione dellematriculae delle singole entità costitutive l’organismo accademico5.

2 La Carta Studii è stata oggetto di una recente nuova edizione: Carta Studii etScolarium Commorancium in Studio Vercellarum, trascrizione e commento a cura di G.CASIRAGHI, in Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum. 4 apri-le 1228. Intorno al primo documento della Università medievale di Vercelli, a cura di G.CANTINO WATAGHIN - S. LOMARTIRE, Alessandria-Novara-Vercelli 2005, pp. 22-33.

3 C. G. MOR - P. DI PIETRO, Storia dell’Università di Modena, I, Firenze 1975, p. 10.4 A. MAIERÙ, Gli atti scolastici nelle Università italiane, in Luoghi e metodi di inse-

gnamento nell’Italia medioevale (secoli XII-XIV). Convegno internazionale di studi(Lecce-Otranto, 6-8 ottobre 1986), a cura di L. GARGAN - O. LIMONE, Galatina 1989(Università di Lecce, Dipartimento di Scienze Storiche e Sociali, Saggi e Ricerche, 3),pp. 247-287; ID., Ancora sugli atti scolastici nelle università italiane, in Studi sullesocietà e le culture del Medioevo per Girolamo Arnaldi, a cura di L. GATTO - P. SUPINO

MARTINI, Firenze 2002, pp. 307-326.5 Sulla matricola si veda J. PAQUET, Les matricules universitaires, Turnhout 1992

(Typologie des sources du Moyen Âge occidental, 65), in particolare, per un elenco delle

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La riforma statutaria del 1341, compilata sotto la dominazione viscon-tea, fa un esplicito riferimento alla possibilità di addottorarsi o licenziarsia Vercelli in diritto civile o canonico o in medicina, non nominando piùl’insegnamento di teologia6. Questi statuti sono estremamente importantiperché segnano il passaggio da una fase progettuale – rappresentata dallaCarta Studii del 1228, inserita in un generale contesto istituzionale anco-ra sperimentale – a uno stadio più maturo: dalle teoriche e auspicate quat-tordici cattedre del 1228 si scese a sette, distribuite tra insegnamenti ordi-nari e straordinari, su cui torneremo. Continuano tuttavia a essere assenti,o quantomeno mancano attestazioni in tal senso, i reformatores Studii,come venivano generalmente chiamate le magistrature che, incanalando-ne lo spontaneismo, garantivano una stabilità allo Studium attraverso uncontrollo della regolarità del suo funzionamento nelle varie fasi, comenella condotta dei professori e nella fissazione e nel regolare pagamentodei loro stipendi, nella nomina del personale non docente, nella determi-nazione del luogo e del tempo delle lezioni, nell’intervento sugli aspetti

edizioni delle matricole generali, cfr. pp. 100-108; A. M. BULTOT-VERLEYSEN, Les matri-cules universitaires: mise à jour du fascicule n. 65, Turnhout 2003 (Typologie des sour-ces du Moyen Âge occidental, 65 A). Sull’uso del termine matricula cfr. H. DENIFLE -F. EHRLE, Die Statuten der Juristen-Universität Bologna vom J. 1317-1347, und derenVerhältnis zu jenen Paduas, Perugias, Florenz, in «Archiv für Literatur- undKirchengeschichte des Mittelalters», 3 (1887) (rist. anast. Graz 1956), p. 276; Statutidelle Università e dei Collegi dello Studio Bolognese, a cura di C. MALAGOLA, Bologna1888, pp. 287, 317; H. DENIFLE, Die Statuten der Juristen- Universität Padua vom Jahre1331, in «Archiv für Literatur- und Kirchengeschichte des Mittelalters», 6 (1892) (rist.anast. Graz 1956), pp. 309-562, in particolare p. 401.

6 “[…] Statutum est inviolabiliter et perpetuo observandum quod in civitateVercellarum que inter ceteras civitates Italie Studiis scientiarum et artium predictarumest laudibus ipsorum et privilegiis preconia predotata. In qua etiam ab antiquo Studiumesse consuevit sit et esse debeat semper et in perpetuum Studium generale, ad quod per-faciendum teneatur precise quilibet potestas presens et futurus operam dare cum effec-tu quod sint et esse debeant ad salarium dicte civitatis in ipsa civitate qui continue ineadem civitate legant in ipsis scientiis duo doctores ordinarii in legibus et qui legantordinarie et unus tertius qui legat extraordinarie in legibus scilicet Digestum novum etInfortiatum et quartus qui legat Volumen. Et in iure canonico duo, unus quorum legatDecretales et alter Decretum. Et sit etiam unus qui legat in arte medicine […]. Quorumpredictorum salarium sit ordinariorum predictorum in legibus, Decretalibus et medicinasecundum dispositionem potestatis cum duodecim sapientibus quos eligere voluerit.Possit etiam quilibet doctorari et licentiari in civitate Vercellarum in scientiis supra-

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pratici della vita dello Studio7. Altro elemento di instabilità fu la mancataistituzione di una fonte fiscale dedicata esclusivamente a dare coperturafinanziaria alle spese per l’università, in particolare per gli stipendi deiprofessori, come avvenne invece di norma negli Studia di fondazioneprincipesca: la regolarità nei finanziamenti permetteva di pattuire condot-te di lunga durata e di contattare docenti di prestigio, che avrebbero richia-mato in città un maggiore numero di studenti8.

1. La centralità dell’insegnamento del diritto

La preminenza dell’insegnamento del diritto sulle altre disciplineaccademiche – che rispecchiava l’importanza sociale ed economica

scriptis, et possint scholares undecumque sint ibidem venire, stare et permanere sineimpedimento quomodolibet publico vel privato [...]. Et si fuerit aliquis civis origineVercellarum qui sit vel erit conventatus et licentiatus in iure civili vel canonico qui legatcontinue scholaribus publice in scholis habeat annuatim a communi Vercellarum pro suosalario libras centum Papie et non ultra, in medicina libras quinquaginta Papie, tantumet minus in utroque, arbitrio domini potestatis et sapientium […]”: Hec sunt statutacommunis et alme civitatis Vercellarum, Vercelli, per Ioannem Mariam de Peliparis dePallestro, 1541, c. LXIr-v. Sulla riforma statutaria del 1341 rimando al contributo diElisa Mongiano nel presente volume.

7 C. FROVA, Crisi e rifondazioni nella storia delle piccole università italiane duran-te il medioevo, in Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX). ConvegnoInternazionale di Studi (Alghero, 30 ottobre-2 novembre 1996), a cura di G. P. BRIZZI -J. VERGER, Soveria Mannelli 1998, pp. 29-47, in particolare pp. 40-41. Sui compiti deireformatores Studii presso l’Università di Torino nel Quattrocento cfr. P. ROSSO,“Rotulus legere debentium”. Professori e cattedre all’Università di Torino nelQuattrocento, Torino 2005 (Miscellanea di Storia Italiana, s. V. Studi e fonti per la sto-ria della Università di Torino, XIV), pp. 35-40.

8 Per l’Università di Torino venne adottata la gabella sul sale, mentre il finanzia-mento per lo Studium romano era garantito dalla gabella grossa. Per esempi quattrocen-teschi di tipologie di condotte di professori e per le forme di pagamento dei loro stipen-di cfr., per Firenze, A. F. VERDE, Vita universitaria nello Studio della RepubblicaFiorentina alla fine del Quattrocento, in Università e società nei secoli XII-XVI. NonoConvegno Internazionale (Pistoia, 20-25 settembre 1979), Pistoia 1982, pp. 495-522;per Pavia: D. ZANETTI, A l’Université de Pavie au XVe siècle: les salaires des profes-seurs, in «Annales. Économies. Sociétés. Civilisations», 17 (1962), pp. 421-433; P.ROSSO, I “rotuli” dell’Università di Pavia nella seconda metà del Quattrocento: consi-derazioni sull’entità degli stipendi assegnati al corpo docente, in «Schede umanisti-che», n. s., (1996)/1, pp. 22-49; per Torino: ID., Forme di reclutamento del corpo docen-te: i “rotuli” dei professori e dei salari, in “Alma felix Universitas Studii Taurinensis”.Lo Studio Generale dalle origini al primo Cinquecento, a cura di I. NASO, Torino 2004(Storia dell’Università di Torino, 1), pp. 235-268; ID.,“Rotulus legere debentium” cit.

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assunta nella realtà cittadina dai sapientes iuris a partire dall’XI seco-lo, cui si aprì sempre più la via per gli onori, la ricchezza e l’immis-sione nei quadri del potere politico9 – è evidente nella distribuzionedelle cattedre tra le varie discipline disposta nella Carta Studii e nellariforma statutaria del 1341. Le prime condotte di professori presenta-no nomi di importanti giuristi: come accadeva di norma, le piccoleuniversità, sprovviste di magistri cittadini di un certo livello, cercava-no di ‘condurre’ professori da altre città, sfruttando spesso i momentidi crisi degli Studia maggiori. Non ci soffermiamo in questa sede sulladocenza giuridica a Vercelli nel corso del Duecento, passando invecea presentare alcuni dati sull’attività dell’ateneo cittadino dalla fine delXIII secolo10.

In questo torno di anni troviamo alcuni studenti di diritto vercellesia Bologna e a Padova: Sallandro de Sallandris de Caxase, “condamdomini Guillelmi”, e Uberto de Sancta Agata, “filius condam dominiGuidonis”, entrambi della diocesi di Vercelli, furono a Bologna nel128611. L’Alma mater studiorum esercitò la sua attrazione in particolaresulle maggiori famiglie principesche o di alto lignaggio, le quali invia-rono i loro membri a studiarvi dal secolo XIII: tra le famiglie dell’Italia

9 A questo proposito cfr. F. REXROTH, “Finis scientie nostre est regere”.Normenkonflikte zwischen Juristen und Nichtjuristen an der spätmittelalterlichenUniversitäten Köln und Basel, in «Zeitschrift für historische Forschung», 21 (1994), pp.315-344.

10 Sull’Università di Vercelli nel Duecento rimando all’annunciato studio di prossi-ma pubblicazione. Per la docenza giuridica presso lo Studio vercellese nel secolo XIIIsi veda soprattutto I. SOFFIETTI, L’insegnamento civilistico nello studio di Vercelli: unproblema aperto, in L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 227-242; ID.,Contributo per la storia dello «studium» di Vercelli nel secolo XIII, in «Rivista di storiadel diritto italiano», 65 (1992), pp. 243-254; ID., Lo “Studium” di Vercelli nel XIII seco-lo alla luce di documenti di recente ritrovamento, in Università in Europa. Le istituzio-ni universitarie dal Medio Evo ai nostri giorni: strutture, organizzazione, funzionamen-to. Convegno internazionale di studi (Milazzo, 28 settembre-2 ottobre 1993), a cura diA. ROMANO, Soveria Mannelli 1995, pp. 191-198, già pubblicato in «Rivista di storia deldiritto italiano», 67 (1994), pp. 83-90; E. MONGIANO, L’insegnamento del diritto aVercelli tra XIII e XIV secolo, in Carta Studii et Scolarium Commorancium in StudioVercellarum cit., pp. 79-103.

11 Chartularium Studii Bononiensis. Documenti per la storia dell’Università diBologna dalle origini fino al secolo XV, IX, Bologna 1931, pp. 56-57, n. XCIX (3351)(1286 aprile 25). Negli anni precedenti era studente di diritto a Bologna, nel 1269,Giulio di Masino da Vercelli: ivi, X, Bologna 1936, p. 119, n. CCLXIV.

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settentrionale, nel 1288 fu a Bologna Matteo Visconti12, mentre nel 1296vi studiarono Pietro di Savoia, “decanus Sancti Martini Leodiensis” epoi arcivescovo di Lione, e il fratello Amedeo, anch’esso canonico diLione13; l’anno seguente troviamo nella città padana gli “scolaresBononie” Bonifacio e Giorgio, figli del marchese di Saluzzo Tommaso,presentati in un atto bolognese intenti a cambiare trecentosessanta fiori-ni d’oro con ottanta marche d’argento14. Presso lo Studio padovanoinvece, il 27 giugno 1351, è presente il canonico di Cividale NicolinoTesti da Santhià, figlio di Giovanni, studente di diritto nella città vene-ta da un anno; il primo febbraio 1355 e il 18 marzo 1356 è documenta-to come procuratore di Ardiccino de Momo di Novara, dottore in Decretie arciprete di Monselice, e come canonico di Padova il 31 marzo 1364,quando fu presente nel capitolo cattedrale insieme, tra gli altri, aFrancesco Petrarca15.

Queste rare attestazioni non sono certo indicatori sicuri per ipotizza-re uno stato di crisi dello Studio di Vercelli: non sappiamo se vi furonorestrizioni imposte dalle autorità vercellesi alla migratio di studentipresso altri Studia, rivelatesi comunque incapaci – laddove esercitate,come fecero più tardi i Visconti e gli Sforza – a imbrigliare la sempreesuberante peregrinatio academica16. Sono invece più interessanti leconsiderazioni che si possono trarre, in absentia, studiando il soggiornoa Bologna di studenti provenienti dalle regioni subalpine nel primo

12 G. ZACCAGNINI, La vita dei maestri e degli scolari nello Studio di Bologna neisecoli XIII e XIV, Genève 1926 (Biblioteca dell’«Archivum Romanicum», s. I, Storia,Letteratura, Paleografia, V), pp. 50-51; E. ORIOLI, Matteo Visconti scolaro nello Studiodi Bologna, in «Archivio storico lombardo», s. III, 26 (1899), pp. 113-115.

13 D. CARUTTI, Pietro e Amedeo di Savoia allo Studio di Bologna nel 1296, in«Bollettino storico-bibliografico subalpino», 4 (1899), pp. 1-2; F. GABOTTO, Principisabaudi allo Studio di Bologna nei secoli XIII e XIV, in Studi e memorie per la storiadell’Università di Bologna, III, Bologna 1912 (Biblioteca de “L’Archiginnasio”, s. I,vol. III), pp. 191-195.

14 Tra i testimoni è registrato il piemontese Bonifacio de Bargiis de Pedemonte:ZACCAGNINI, La vita dei maestri cit., p. 151, n. XIV.

15 A. GLORIA, Monumenti della Università di Padova (1318-1405), I, Padova 1888(rist. anast. Bologna 1972. Athenaeum, 16), p. 351, n. 679.

16 Per le restrizioni imposte dai Visconti e dagli Sforza ai sudditi del principato,obbligati a frequentare lo Studium pavese, cfr. infra, testo corrispondente alla nota 188,e A. SOTTILI, Zone di reclutamento dell’Università di Pavia nel Quattrocento, in«Annali di storia pavese», 28 (2000), pp. 31-56, in particolare pp. 53-55.

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quarto del Trecento: troviamo rappresentate le regioni del Piemontesud-occidentale (Cuneese) e centrale (in particolare l’asse Chieri-Torino-Pinerolo e il Canavese) e le regioni sabaude, mentre sono assen-ti gli studenti in arrivo dal territorio del Piemonte orientale, probabil-mente gravitanti sull’Università di Vercelli17.

Per i primissimi anni del Trecento possediamo l’importante testimo-nianza della presenza a Vercelli di un eminente giurista e politico, tra-smessa in un documento sinora non letto in un contesto di storia uni-versitaria. Il 6 dicembre 1302 il podestà di Vercelli Federico Ponzonuse i sapientes vercellesi intervennero per comporre il dissenso tra ilcomune di Pavia e i signori di Robbio e Palestro, sorto in occasione del-l’elezione del podestà, dei consoli e dei credenziari “in partibus deRodobio et Palestro et Conflencia”. Il casus venne sottoposto all’arbi-trato di Masninus de Natalibus e Nicolino de Cervis, entrambi giudicipodestarili, e del dominus Niccolò de Matarellis, legum doctor18.

La notizia del soggiorno in Vercelli di Niccolò de Matarellis, oltre adaggiungere un dato importante nella biografia di questo professore,inserisce un giurista di alto profilo e un docente all’apice della sua car-riera nella realtà vercellese, non solo nel campo della giudicatura, maquasi certamente nella stessa area della docenza presso la facoltà didiritto dello Studium generale. Originario di Modena, Niccolò deMatarellis è documentato come studente a Bologna nel 1269; l’annoseguente, già doctor legum, venne immatricolato nel collegio dei giudi-ci di Modena; dal 1272 iniziò a insegnare diritto civile nello Studiomodenese, prendendo anche parte alla vita politico-amministrativa cit-tadina: nel 1279 fu difensore della libertà e, nel 1289, sapiente per laporta di S. Pietro. Continuò il suo insegnamento di diritto civile a

17 G. ORLANDELLI, Studenti delle regioni sabaude e piemontesi a Bologna nel primoventicinquennio del secolo XIV, in La Valle d’Aosta. Relazioni e comunicazioni delXXXI congresso storico subalpino (Aosta 9-11 settembre 1956), II, Cuneo 1959, pp.929-943. Per ulteriori notizie su studenti piemontesi presso l’Università di Bologna trala metà del Duecento e la fine del Trecento cfr. I. NASO, Medici e strutture sanitarienella società tardo-medievale. Il Piemonte dei secoli XIV e XV, Milano 1982, p. 46, nota59.

18 I Biscioni, I/1, a cura di G. C. FACCIO - M. RANNO, Torino 1934 (Biblioteca dellaSocietà Storica Subalpina, CXLV), pp. 53-54, n. V. L’atto venne rogato “in hospitiohabitationis potestatis Vercellarum”.

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Modena fino al 1281, poi, nel novembre, si spostò a Foligno come con-sultor della città; particolarmente documenta è la sua lunga docenza, trail 1290 e il 1310, presso l’Università di Padova; in questa città venneimmatricolato nel collegio dei dottori giuristi.

L’insegnamento padovano ha una interruzione nel biennio 1306-1307, quando, in seguito alla richiesta inoltrata dai Modenesi, il comu-ne e l’Università di Padova permisero a Niccolò de Matarellis di ritor-nare nella città natale per ricoprirvi l’ufficio di “defensor populiMutinensis”. Prima del temporaneo ritorno a Modena del giurista è orada registrare, almeno dal dicembre 1302, il suo soggiorno vercellese,non protratto oltre il febbraio 1305, quando Niccolò de Matarellis èdocumentato a Padova, insieme al figlio Francesco, tra i doctores sala-riati che approvarono un consilium sui diritti del comune di Padovasulla terza parte della condanna pecuniaria inflitta dall’inquisizione a uneretico19. Il giurista morì a Padova prima del 10 gennaio 1314, quando,nel testamento del figlio Francesco, è dichiarato “quondam”20.

19 P. MARANGON, Gli «Studia» degli ordini Mendicanti, in «Ad cognitionem scien-tiae festinare». Gli studi nell’Università e nei conventi di Padova nei secoli XIII e XIV,a cura di T. PESENTI, Padova 1997, pp. 70-114, in particolare p. 102, n. 2 (1305 febbraio12), già pubblicato in Storia e cultura a Padova nell’età di sant’Antonio. Convegnointernazionale di studi (Padova-Monselice, 1-4 ottobre 1981), Padova 1985 (Fonti ericerche di storia ecclesiastica padovana, 16), pp. 343-380.

20 Sul giurista modenese cfr. G. PANCIROLI, De claris legum interpretibus libri qua-tuor, II, Venetiis 1637, p. 181 (che ricorda anche una docenza, su cui non sono note ulte-riori testimonianze, di Niccolò de Matarellis a Bologna e a Pisa); A. GLORIA, Monumentidella Università di Padova (1222-1318), Venezia 1884 (rist. anast. Bologna 1972.Athenaeum, 16), p. 10, n. 13; p. 149, n. 175; pp. 249-250, nn. 303-304; M. BEVILACQUA,Una «Quaestio» di Niccolò Matarelli (Vat. lat. 10726), in Collectanea Vaticana in hono-rem Anselmi M. Card. Albareda a Bibliotheca Apostolica edita, Città del Vaticano 1962(Studi e testi, 219), pp. 139-157; F. SOETERMEER, Recherches sur Franciscus Accursii.Ses Casus Digesti Novi et sa répétition sur la loi Cum pro eo (C. 7,47 un.), in ID., Livreset Juristes au Moyen Âge, Goldbach 1999 (Bibliotheca eruditorum, 26), pp. 1-47, in par-ticolare p. 26, nota 151, già pubblicato in «Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis», 51(1983), pp. 3-49; ID., The Origin of Ms. D’Ablaing 14 and the trasmissio of theClementines to the Universities, ivi, pp. 83-94, in particolare p. 88, nota 28, già pubbli-cato in «Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis», 54 (1986), pp. 101-112. In M. BELLOMO,Giuristi cremonesi e scuole padovane. Ricerche su Nicola da Cremona, in Studi in onoredi Ugo Gualazzini, Milano 1981 (Università di Parma. Pubblicazioni della Facoltà digiurisprudenza, 49/1), pp. 81-112, in particolare pp. 84-87, 90, si ipotizza che Niccolòde Matarellis sia stato allievo a Padova di Nicola Malombra da Cremona. Alcuni suoisermoni accademici, composti in occasione di lauree in diritto civile a Padova, sono

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Successive notizie sull’attività della facoltà di diritto vercellesesono del 1338: in quell’anno il comune di Vercelli, attraverso il suoprocuratore, il priore del monastero cittadino di S. Andrea, stipulò nelPalazzo vecchio del comune di Modena, rispettivamente il 22 e il 23ottobre, due contratti con i lettori Pietro di Rainalduccio da Perugia eSalvo Marano da Parma21. La sottrazione dei due docenti attivi aModena coincise con una fase di crisi gravissima dello Studium emi-liano, sgradito alla recente dominazione estense22. Per l’anno accade-mico 1340-1341 sappiamo che il Marano, vicario generale vescovile,fu titolare della lettura ordinaria di diritto civile “in Studio generali”23,ed è attestato ancora al servizio del vescovo di Vercelli (“maior eccle-sie Vercellensis”) nel 134324.

conservati nei codici ora presso la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, ms. II. I.64, ff. 155v-157r, e Magl. VI. 134, ff. 65r-66r: C. PIANA O.F.M., Nuove ricerche su leUniversità di Bologna e di Parma, Firenze 1966 (Spicilegium Bonaventurianum, 2), p.11; P. MARANGON, Un «Sermo pro scolari conventuando» del professore di dirittoNiccolò Matarelli (Padova, c. 1290-1295), in «Ad cognitionem scientiae festinare» cit.,pp. 364-375, già pubblicato in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 18(1985), pp. 151-161. Notevole fu la produzione consiliare e la composizione di quae-stiones del modenese; tra le sue opere principali si può ricordare il trattato Super instru-mentis e alcune letture sulle parti principali del Corpus iuris civilis: F. C. VON SAVIGNY,Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter, V, Heidelberg 1829 (rist. anast.Darmstadt 1956), pp. 382-385; G. DOLEZALEK, Verzeichnis der Handschriften zum römi-schen Recht bis 1600, III, Frankfurt a. Main 1972, s. v. Nicolaus de Matarellis; MOR -DI PIETRO, Storia dell’Università di Modena cit., I, pp. 18-19, 273.

21 Editi, nell’ordine, in G. P. VICINI, Pietro di Rainalduccio da Perugia, professorenello “Studio” di Vercelli, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 10 (1905),pp. 369-375, in particolare pp. 372-375; T. VALLAURI, Storia delle Università degli Studidel Piemonte, I, Torino 1845 (rist. anast. Bologna 1970), pp. 227-228, n. V.

22 MOR - DI PIETRO, Storia dell’Università di Modena cit., II, pp. 24-25.23 “[…] reverendus vir dominus Salvus de Marano de Parma, legum doctor, vicarius

reverendi in Christo patris domini Lombardi Dei et apostolice sedis gratia episcopiVercellensis, que ius civile in civitate Vercellarum ordinarie in Studio generali legitMCCCXLI”: Biblioteca Capitolare di Vercelli, ms. 19 (Codice cartaceo. Sec. XIV-XV),f. 31v (numerazione moderna). Una ulteriore attestazione del Marano - che incarica,come vicario generale del vescovo, il notaio Martino Dalmaxius della trascrizione diprivilegi imperiali riguardanti la Chiesa vercellese - è in Archivio di Stato di Torino,Archivio di corte, Materie ecclesiastiche, Arcivescovadi e vescovadi, Vercelli, mz. 1,fasc. 2, ff. 23r-28r (1340 febbraio 13).

24 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXVIII (1342-1343) (1343 novem-bre 30).

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2. Duo docent vos doctores / inter bonos meliores. L’organizzazione del-l’insegnamento giuridico nella facultas di diritto.

Il legum doctor Marano venne contattato per insegnare diritto civilea Vercelli, con un salario di cinquecentocinquanta lire pavesi; la previ-sta condotta di due anni poteva essere prorogata per altri tre anni25. Lostrumento è piuttosto dettagliato sulla tipologia di docenza, e introducealcuni aspetti ormai comuni per gli Studia maggiori: il comune, a suadiscrezione, avrebbe potuto destinare il Marano alla lettura ordinaria ostraordinaria di diritto civile, e uno dei libri letti “ordinarie” o “extraor-dinarie” sarebbe stato da commentare integralmente ogni anno26. Cosasignifica? Dagli studi condotti sull’Università di Padova da AnnalisaBelloni emerge con chiarezza che le letture ordinarie venivano general-mente tenute “de mane”, mentre quelle straordinarie avevano luogo “desero”; l’orario tuttavia non era in relazione diretta con l’importanza del-l’insegnamento, né alcuna parte fondamentale del Corpus iuris civilis edel Corpus iuris canonici veniva letta rigidamente in orari specifici.Inoltre, a Padova come a Bologna – e, come vediamo ora, anche aVercelli – l’insegnamento del diritto era organizzato in modo tale che lesezioni assegnate ai lettori ordinari e straordinari venissero commentateintegralmente, introducendo una programmazione annuale che permet-tesse agli studenti di frequentare con progressione i diversi corsi27.

25 Il passo citato nel titolo di questo capitolo appartiene al carme in versi trocaici (vv.65-66), dove si trovano richiami allo Studio di Vercelli, edito in M. L. COLKER, SeveralMediaeval Latin Poems Unrecorded in Hans Walther, in «Classica et Mediaevalia. Revuedanoise de philologie et d’histoire», 36 (1985), pp. 246-253, in particolare 242-245, riedi-to integralmente in MERLO, L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 211-213. Per gliorari in cui si teneva la docenza sono interessanti i riferimenti dei vv. 77-80: “Hoc frua-mur bino pane, / Quidam sero quidam mane. / Hos habemus quavis hora / Sine nisu sinemora”.

26 “Et hec pro lectura librorum legalium fienda ordinarie vel extraordinarie secun-dum quod placuerit Comuni et habitantibus civitatis Vercellensis, quam facere debetprefatus dominus Salve doctor in dicta civitate Vercellensi, omnibus scolaribus erudirevolentibus a predicto domino Salvi, et unum ex ipsis libris legalium ordinarie velextraordinarie omni anno finire”: VALLAURI, Storia delle Università degli Studi delPiemonte cit., I, pp. 229-230.

27 A. BELLONI, Professori giuristi a Padova nel secolo XV. Profili bio-bibliografici ecattedre, Frankfurt a. Main 1986 (Ius Commune. Sonderhefte. Schriften zurEuropäischen Rechtsgeschichte, 28), in particolare pp. 63-87. Le modalità attraverso le

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Per lo stesso anno accademico, e con il medesimo salario, venne con-tattato a Modena il Decretorum doctor Pietro di Rainalduccio daPerugia per leggere le Decretali a Vercelli, con un contratto della dura-ta di cinque anni: anche qui si fa riferimeno alla lettura completa deltesto ogni anno28. Dalle recollectae padovane di diritto canonico sap-piamo che, almeno nel Quattrocento, alle Decretali di Gregorio IX veni-vano dedicati più anni di insegnamento, per cui probabilmente nel con-tratto di Pietro di Rainalduccio si intendeva il completamento di unaparte di questo testo, forse il commento integrale di uno dei cinque libriogni anno. Pietro da Perugia accettò certamente la condotta vercellese,se, il 17 luglio 1340, esaminò, insieme al iuris utriusque peritus OttoneLavezio, una vertenza dei frati Umiliati di San Cristoforo29. Il 20 set-tembre dello stesso anno al vicario generale vescovile Salvo Marano fupresentato un consilium del giurista Pietro di Rainalduccio su una causariguardante la pieve di Robbio30; un altro consilium del canonista peru-gino, “assessor curie episcopalis Vercellensis”, venne richiesto dal vica-rio vescovile Marano nell’esame di un caso di eterodossia31. Il 29 marzo

quali venivano impartiti gli insegnamenti giuridici sono state ricostruite, oltre che attra-verso lo studio delle fonti statutarie, soprattutto con l’analisi delle recollectae e dei con-silia trasmessi nei codici studenteschi: a questo proposito si veda EAD., Iohannes Hellere i suoi libri di testo: uno studente tedesco a Padova nel Quattrocento tra insegnamen-to giuridico ufficiale e «Natio Theutonica», in «Quaderni per la storia dell’Università diPadova», 20 (1987), pp. 51-95.

28 “[…] dictus dominus Petrus doctor prefatus debet legere in civitate Vercelensihinc ad prefatos quinque annos omnibus scolaribus dictas decretales audire volentibusab ipso domino Petro et ipsas decretales omni anno finire. […] Et ibi stare et habitare etlegere decretalles et glossas spectantes et pertinentes ad dictas decretalles secundumconsuetudinem doctorum legentium predictas decretalles omnibus scolaribus audirevolentibus ab ipso domino Petro hinc ad dictos quinque annos omnibus diebus quibusordinabunt per universitatem dictorum scolarium dicte civitatis predictas decretallesaudientium a predicto domino Petro et omni anno dictorum quinque annorum inciperedictas decretalles et glossas et quolibet anno dictorum quinque annorum cum glossisfinire”: VICINI, Pietro di Rainalduccio da Perugia cit., pp. 373-374.

29 E. BAGGIOLINI, Lo Studio generale di Vercelli nel Medio Evo, Vercelli 1888 (rist.anast. Bologna 1976. Athenaeum, 39), pp. 110-111; V. MANDELLI, Il comune di Vercellinel Medioevo, III, Vercelli 1858, p. 38.

30 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345): la notizia è all’in-terno di uno strumento, riguardante la stessa causa, datato 26 luglio 1345.

31 Biblioteca Capitolare di Vercelli, ms. 19 (Codice cartaceo. Sec. XIV-XV), ff. 30v-31r (numerazione moderna); l’atto è trasmesso privo di data.

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1342 Pietro di Rainalduccio era certamente a Roma, avvocato dellaCuria, la quale, dietro versamento di quaranta fiorini d’oro, liberò ilComune di Vercelli “de omnibus salariis sibi debitis seu promissis perComune Vercellarum et non solutis”32.

Corsi ordinari e straordinari vennero previsti negli statuti del 1341,nei quali si dispose che dovessero insegnare due dottori ordinari in dirit-to civile, assegnati alla lettura del Codex e del Digestum vetus, e unterzo docente, che avrebbe dovuto leggere “extraordinarie” il Digestumnovum e l’Infortiatum; un quarto incarico, sempre pomeridiano, vennededicato al Volumen33. Per quanto riguarda il diritto canonico, furonoprevisti due professori “unus quorum legat Decretales, alterDecretum”34. Lo statuto vercellese prevedeva quindi, per l’ordinaria didiritto civile, l’adozione del sistema della concorrenza tra i professoriper garantire agli studenti una maggiore qualità della didattica universi-taria e la libertà di scelta del proprio insegnante35.

Tra questi docenti vi fu Signorolo degli Omodei, che in alcuni suoiconsilia dichiarò di avere insegnato diritto civile a Vercelli nell’anno1340. Formato alla scuola giuridica bolognese, fu uomo vicino aiVisconti, schierandosi a sostegno della loro plenitudo potestatis; tra il1330 e il 1362 fece parte del Collegium Iurisconsultorum di Milano, e,

32 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 39.33 “[…] quod sint et esse debeant ad salarium dicte civitatis in ipsa civitate qui con-

tinue in eadem civitate legant in ipsis scientiis duo doctores ordinarii in legibus et quilegant ordinarie et unus tertius qui legat extraordinarie in legibus scilicet Digestumnovum et Infortiatum et quartus qui legat Volumen. Et in iure canonico duo, unus quo-rum legat Decretales et alter Decretum […]”: Hec sunt statuta cit., c. LXIr-v; cfr. ancheMONGIANO, L’insegnamento del diritto a Vercelli tra XIII e XIV secolo cit., pp. 100-101.

34 Hec sunt statuta cit., c. LXIr.35 La concorrenza tra professori, quando la presenza di più docenti la rendevano

attuabile, era un sistema adottato negli Studia maggiori, come quello di Padova e diPavia: per l’università veneta cfr. BELLONI, Professori giuristi cit., pp. 63-104; D.GIRGENSOHN, Per la storia dell’insegnamento giuridico nel Quattrocento: risultati rag-giunti e ricerche auspicabili, in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 22-23 (1989-1990), pp. 312-316; per lo Studium di Pavia cfr. A. SOTTILI, «Aemulatio»: laconcorrenza tra i professori all’Università di Pavia nel Quattrocento, in «Parlar l’idio-ma soave». Studi di filologia, letteratura e storia della lingua offerti a Gianni A. Papini,a cura di M. M. PEDRONI, Novara 2003, pp. 107-119. Anche a Torino si cercò di garan-tire il sistema della concorrenza tra i docenti degli insegnamenti civilistici e canonisti-ci: ROSSO,“Rotulus legere debentium” cit., pp. 80-128.

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nel 1351, venne designato da Giovanni Visconti a collaborare alla reda-zione degli statuti di Milano. Signorolo fu certamente docente a Padovae a Pavia, dove è documentato nel 1365 alla lettura del Digestum vetus,reggendo cioè la lettura fondamentale “de mane” di diritto civile; inseguito, probabilmente per tenervi un insegnamento, tornò a Vercelli,dove morì il 13 giugno 137136.

Nella biografia del giurista Riccardo di Pietro da Saliceto compostadal Panciroli, si ipotizza che anche questo giurista sia stato maestro aVercelli tra il 1354 e il 136237: a Pavia, se possiamo prestare fede allatestimonianza trasmessa nel De republica dell’umanista Uberto

36 A. LATTES, Due giureconsulti milanesi, Signorolo e Signorino degli Omodei, in«Rendiconti dell’Istituto lombardo di Scienze e Lettere», s. II, 32 (1899), pp. 1017-1045, in particolare pp. 1017-1021, cui si aggiunga TH. DIPLOVATATII Liber de clarisiurisconsultis, Pars posterior, in «Studia Gratiana», 10 (1968), pp. 267-268; E. BESTA,La scuola giuridica pavese nel primo secolo dopo la istituzione dello Studio generale,in Contributi alla storia dell’Università di Pavia, pubblicati nell’XI centenariodell’Ateneo, Pavia 1925, pp. 268-269; G. BISCARO, Le relazioni dei Visconti di Milanocon la Chiesa. L’arcivescovo Giovanni, Clemente VI e Innocenzo VI, in «Archivio sto-rico lombardo», s. VI, 54 (1927) pp. 44-95, in particolare p. 81; G. BARNI, La forma-zione interna dello Stato visconteo, ivi, s. VII, 68 (1941), pp. 3-66, in particolare p. 54;E. RESTI, Documenti per la storia della repubblica ambrosiana, ivi, s. VIII, 81-82(1954-1955), pp. 192-266, in particolare p. 265; M. SBRICCOLI, L’interpretazione dellostatuto. Contributo allo studio della funzione dei giuristi nell’età comunale, Milano1969, pp. 34, 110, 255-259; DOLEZALEK, Verzeichnis der Handschriften zum römischenRecht bis 1600 cit., III, s. v.; F. MARTINO, Dottrine di giuristi e realtà cittadine nell’Italiadel Trecento. Ranieri Arsendi a Pisa e a Padova, Catania 1984, pp. 103, 111, 128; A.BELLONI, Signorolo degli Omodei e le origini della scuola giuridica pavese in«Bollettino della Società Pavese di Storia Patria», n. s., 37 (1985), pp. 29-39; M.CAVINA, Inquietudini filoimperiali di Signorolo degli Omodei, in «Clio», 28 (1992), pp.89-101; J. BLACK, The Visconti in the Fourteenth Century and the Origins of their“Plenitudo Potestatis”, in Poteri signorili e feudali nelle campagne dell’Italia setten-trionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità e forme di esercizio. Atti delConvegno di studi (Milano, 11-12 aprile 2003), a cura di F. CENGARLE - G. CHITTOLINI

- G. M. VARANINI, Firenze 2005, pp. 11-30, in particolare pp. 19-20, 28-29. Per la suadocenza pavese cfr. R. MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia, I,(1361-1400), Pavia 1905 (rist. anast. Bologna 1971), p. 459 s. v. Omodei Signorino.

37 PANCIROLI, De claris legum interpretibus libri quatuor cit., II, p. 214 (“[…]Vercellis etiam aliquandiu docuisse fertur”); cfr. anche M. BELLOMO, Una famiglia digiuristi: i Saliceto di Bologna, in ID., Medioevo edito e inedito, III, Profili di giuristi,Roma 1997, pp. 63-92, in particolare pp. 67-79, già pubblicato in «Studi senesi», s. III,18 (1969), pp. 387-417; ID., Per un profilo della personalità scientifica di Riccardo diSaliceto, in ID., Medioevo edito e inedito cit., III, pp. 95-128, già pubblicato in Studi inonore di Edoardo Volterra, V, Milano 1972, pp. 251-284.

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Decembrio, Riccardo da Saliceto fu in compagnia di Signorolo degliOmodei, formando con quest’ultimo il primo gruppo di docenti in atti-vità nello Studio ticinense38.

3. I sapientes iuris nelle istituzioni laiche ed ecclesiastiche vercellesi

Dalla metà del Duecento notiamo nella città di Vercelli una presenzaparticolarmente numerosa di professionisti del diritto. Nelle città privedi Studium la vasta galassia dei sapientes iuris – composta da doctoreslegum, iudices e iuris periti, tutti accomunati da una più o menoapprofondita cultura giuridica – non sembrò esprimere particolari capa-cità di incisione nella vita politica né imprimere determinanti elementidi distinzione sociale, mentre in civitates dotate di università, e il casoesemplare è ancora una volta Bologna, l’affermazione dei doctoreslegum rispetto alle altre categorie di esperti del diritto è evidente39. Untentativo di studiare la natura del rapporto tra giuristi e potere politiconel caso di Vercelli può essere condotto attraverso l’analisi dei cursushonorum di alcuni uomini di formazione giuridica.

Alla fine del XII secolo con la locuzione doctor legum si intendevail pratico del diritto all’apice della carriera, dotato di una solida forma-zione retorico-giuridica40. Il titolo poteva coincidere, ma non necessa-riamente, con la docenza: i doctores in diritto civile o in diritto canoni-co che troviamo documentati a Vercelli tra la metà del Duecento e la finedel Trecento non devono quindi essere direttamente posti in relazionecon l’insegnamento universitario, connessione possibile invece, a que-sta altezza cronologica, per coloro che vengono presentati con la quali-

38 BELLONI, Signorolo degli Omodei cit., pp. 34-35.39 Una recente analisi orientata in questo senso è il saggio di S. MENZINGER, Giuristi

e politica nei comuni di Popolo. Siena, Perugia e Bologna, tre governi a confronto,Roma 2006 (Ius Nostrum, 34), con bibliografia pregressa.

40 Non possono quindi essere assimilati ai moderni giuristi: C. G. MOR, Legis doc-tor, in Atti del Convegno internazionale di studi Accursiani (Bologna 21-26 ottobre1963), a cura di G. ROSSI, I, Milano 1968, pp. 193-168; E. CORTESE, Legisti, canonisti efeudisti: la formazione di un ceto medievale, in Università e società nei secoli XII-XVIcit., pp. 195-281; ID., Intorno agli antichi iudices toscani e i caratteri di un ceto medie-vale, in ID., Scritti, a cura di I. BIROCCHI - U. PETRONIO, I, Spoleto 1999, pp. 747-782,già pubblicato in Scritti in memoria di Domenico Barillaro, Milano 1982, pp. 3-38; J.FRIED, Vermögensbildung der Bologneser Juristen im 12. und 13. Jahrhundert, in

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fica di professor iuris civilis o canonici, legum professor, utriusque iurisprofessor 41. Più generico è il titolo di iuris peritus, che indicava un per-corso di formazione nella scienza giuridica non realizzato nelle auledello Studium, o una parziale preparazione nel diritto a livello universi-tario, la cui completezza era certificata dalla licentia ubique docendi. Laformazione del ‘giurista’ a partire dal XII secolo era comunque di gradoelevato: questi conosceva e dominava il Corpus iuris civilis e i testi nor-mativi ufficiali della Chiesa, ed era in grado di interpretarli42.

Le attestazioni più frequenti di questi sapientes iuris sono nell’eserci-zio della giudicatura. Non conosciamo con chiarezza le competenze giu-ridiche richieste in Vercelli al giudice, probabilmente avvicinabili a quan-to fissato a Bologna, dove, tra il 1226 e il 1234, la norma stabiliva che peressere iudex si dovesse frequentare una scuola giuridica per almeno cin-que anni, mentre non era previsto che la sua nomina fosse subordinata alcompimento di un corso di studi concluso con un titolo specifico43. Come

Università e società nei secoli XII-XVI cit., pp. 27-59; M. BELLOMO, Una nuova figuradi intellettuale. Il giurista, in Il secolo XI. Una svolta? Atti della XXXII settimana distudio, Trento, 10-14 settembre 1990, a cura di C. VIOLANTE - J. FRIED, Bologna 1993,pp. 237-256; R. FEENSTRA, ‘Legum doctor’, ‘legum professor’ et ‘magister’ comme ter-mes pour désigner des juristes au moyen âge, in Actes du colloque Terminologie de lavie intellectuelle au moyen âge (Leyden-La Haye 20-21 septembre 1985), éd. O.WEIJERS, Turnhout 1988 (Comité internationale du vocabulaire des institutions et de lacommunication intellectuelles au Moyen Âge. Études sur le vocabulaire intellectuel duMoyen Âge, I), pp. 72-77; M. TEEUWEN, The Vocabulary of Intellectual Life in theMiddle Ages, Turnhout 2003 (Comité internationale du vocabulaire des institutions et dela communication intellectuelles au Moyen Âge. Études sur le vocabulaire intellectueldu Moyen Âge, X), pp. 76-78.

41 Nel corso del Quattrocento il termine professor sembra essere sempre più impie-gato in area italiana per indicare una conoscenza della disciplina realizzata attraverso glistudi universitari, atta a legittimare eventualmente l’esercizio della professione, e nonuna attività di docenza, cui erano abilitati solo i possessori della licentia ubique docen-di: a questo proposito cfr. SOTTILI, “Aemulatio” cit., p. 109; per un esempio vercellesesi può citare il legum professor Lanzelotus de Bonsignoribus de Laude “vicarius domi-ni potestatis Vercellarum”: Archivio Capitolare di Vercelli, cartella LVI (1427 novembre27). Oltralpe il termine professor mantenne un significato simile a quello moderno: O.WEIJERS, Terminologie des universités au XIIIe siècle, Roma 1987 (Lessico intellettualeeuropeo, 39), pp. 152-155; TEEUWEN, The Vocabulary of Intellectual Life in the MiddleAges cit., pp. 116-117.

42 Nello specifico cfr. BELLOMO, Una nuova figura di intellettuale cit., pp. 237-256.43 G. FASOLI - G. B. PIGHI, Il privilegio teodosiano, in G. FASOLI, Scritti di storia

medievale, a cura di F. BOCCHI - A. CARILE - A. I. PINI, Bologna 1974, pp. 583-608, già

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vedremo, nella riforma del 1341 agli statuti della città di Vercelli si fissa-va a cinque il numero di anni di studi giuridici richiesti a chi doveva rico-prire l’incarico di giudice e console di giustizia. Ancora nella Vercellidella seconda metà del Duecento troviamo iudices e consoli di giustiziaperlopiù senza alcuna esplicita attestazione di studi del diritto. Tra questiFederico de Cremona, documentato nella giudicatura tra il 1220 e il125744 e molto attivo nelle istituzioni comunali come console di giustizia(1213-1215), credenziario (1217) e ambasciatore e procuratore per ilcomune in delicati incarichi, tra cui la negoziazione delle condizioni dipace con Ivrea nel 123145.

Un interessante caso di iudex dotato di buona cultura giuridica èquello di Giuliano da Cremona. Questi, insieme a Uberto de Boverio,fornì, nel dicembre 1263, un consilium al giudice Giacomo de Scotosulla causa che divideva l’abbazia di S. Andrea dal comune di Vercelli,il quale pretendeva di esercitare diritti sui beni dell’abbazia nei territoridi Alice, Caresana e altre località46; nel 1281 fu arbitro nella lite tra i

pubblicato in «Studi e Memorie per la storia dell’Università di Bologna», n. s., 2 (1961),pp. 55-94; G. FASOLI, Giuristi, giudici e notai nell’ordinamento comunale e nella vita citta-dina, in EAD., Scritti di storia medievale cit., pp. 609-622, già publicato in Atti del Convegnointernazionale di studi Accursiani cit., pp. 27-39; EAD., Rapporti tra le città e gli “Studia”,in Università e società nei secoli XII-XVI cit., pp. 1-21, in particolare pp. 10-12.

44 G. FERRARIS, Università, scuole, maestri e studenti a Vercelli nel secolo XIII.Spigolature in margine a un (non più) recente volume, in «Bollettino storico vercelle-se», 26 (1997), pp. 47-70, in particolare p. 58. In questi documenti Federico de Cremonacompare insieme ad altri iudices, anch’essi privi di titolazioni indicanti un chiaro per-corso scolastico: Giacomo Scutarius, Buongiovanni de Sancto Bernardo, AmbrogioCocorella, Giacomo Picalua: ivi, p. 58; si veda anche l’arbitrato di Federico deCremona del 1254, nella questione sorta in seguito all’eredità di Giovanni de Rado:Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli,mz. 1813, n. 481 (1254 agosto 22). Una successiva attestazione di Federico de Cremona- come semplice teste, privo di titoli - è del 1261, in uno strumento di transazione tra ilcapitolo di S. Eusebio di Vercelli e il comune di Caresana: Archivio Capitolare diVercelli, Sentenze, cartella XI (1259-1262), fasc. 8 (1261 dicembre 31).

45 Per il suo cursus honorum si vedano i dati raccolti in R. RAO, La circolazionedegli ufficiali nei comuni dell’Italia nord-occidentale durante le dominazioni angioinedel Trecento. Una prima messa a punto, in Gli Angiò nell’Italia nord-occidentale (1259-1382), a cura di R. COMBA, Milano 2006, pp. 229-292, in particolare p. 271.

46 Archivio Capitolare di Vercelli, Pergamene, cartella XCV. Fu presente a una causa tragli abitanti di Viverone e i monasteri di S. Genuario e di S. Andrea nel 1264: P. CANCIAN,L’abbazia di S. Genuario di Lucedio e le sue pergamene, Torino 1975 (Biblioteca dellaSocietà Storica Subalpina, CLXXXXIII), pp. 125-126, n. 20 (1264 giugno 5).

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signori di Crevacuore e il vescovo Aimone de Challant47. Il 5 marzo1284 risulta “iudex Vercellensis” in un atto di acquisizione di terre daparte del magister Syon, doctor gramatice48, e l’anno seguente, il 26ottobre, ebbe un ruolo nella pace sottoscritta tra gli schieramenti guelfie ghibellini in Vercelli49. Il 5 maggio 1295 gli venne affidato l’incaricodi avvocato, accanto a Leonardo Oriolo, nell’arbitrato sulla controver-sia tra il capitolo di S. Eusebio e l’abbazia di S. Andrea in merito allanomina del rettore di S. Giovanni di Viverone; analogo ruolo svolse nel1296, insieme a Antonio de Ponte, sempre in una controversia che vede-va coinvolta l’abbazia di S. Andrea50, e nel 1297, quando fu ancora giu-dice, insieme a Giacomo de Ripis51. Il 20 febbraio 1301, “apud capellamsancti Theodoli” in Biella, il vescovo Aimone de Challant affidò all’ar-ciprete vercellese Nicola e a Giuliano da Cremona, giudice delegato dal

47 I Biscioni, II/2, a cura di R. ORDANO, Torino 1976 (Biblioteca della Società StoricaSubalpina, CLXXXIX), pp. 202-204, n. CCCLXXX (1281 maggio 27). Nello stessoanno è arbitro per il monastero di S. Maria di Rocca delle Donne: F. LODDO, Le cartedel monastero di Rocca delle Donne, Torino 1929 (Biblioteca della Società StoricaSubalpina, LXXXIX), p. 243, n. CXCVIII (1281 marzo 13).

48 G. COLOMBO, Il testamento di maestro Syon, dottore in grammatica, Vercellese, in«Bollettino storico-bibliografico subalpino», 1 (1896), pp. 41-57, in particolare p. 54. Il18 settembre 1287 è giudice in una causa riguardante il capitolo di S. Stefano di Biella:L. BORELLO - A. TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379, III,Voghera 1930 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CV), pp. 61-62, n. L; il primoaprile 1289 fornì un consilium al vescovo Aimone: ivi, I, pp. 229-232, n. CXLI. Il 16aprile 1290 Giuliano da Cremona fu tra i testes all’atto di unione, disposto dal vescovodi Vercelli Aimone de Challant, dell’ospedale della Carità a quello di S. Andrea:Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli,Pergamene, n. 819. Nel 1292 fu tra i “fidecomissarii” nominati da Guala de Guidalardis,diacono della chiesa di S. Eusebio di Vercelli, nel suo testamento: G. COLOMBO, INecrologi Eusebiani, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 4 (1899), pp. 349-364, in particolare p. 359, n. 635.

49 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., IV, Vercelli 1861, pp. 98, 101.50 Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di

Vercelli, mz. 4 (1296 gennaio 7). Altre segnalazioni archivistiche riguardanti Giulianoda Cremona si leggono in D. ARNOLDI, Le carte dello Archivio Arcivescovile di Vercelli,Pinerolo 1917 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, LXXXV/2), pp. 335-336, n.LXXVIII (1288 aprile 15); pp. 339-341, n. LXXXI (1294 agosto 31); G. TIBALDESCHI,La biblioteca di S. Andrea di Vercelli nel 1467, in «Bollettino storico vercellese», 17(1988), pp. 61-106, in particolare p. 82, nota 9.

51 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 4(1297 agosto 15), edito in CANCIAN, L’abbazia di S. Genuario di Lucedio cit., pp. 141-142, n. 31.

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vescovo, il giudizio sulla vertenza a riguardo delle chiericature vacantiper la morte di Bertolino e Gaspardo Spaldo52. Il 4 gennaio 1302, come“iudex Vercellensis”, fu tra i testes nell’atto con il quale i comuni diVercelli e di Ivrea intervennero nella controversia sulle terre di Piveronee di Palazzo53. Negli ultimi anni della sua vita entrò come religioso in S.Andrea, di cui risulta essere canonico il 17 luglio 130454.

Nel suo testamento del 1302, Giuliano da Cremona dispose illascito di alcuni suoi libri a diverse istituzioni ecclesiastiche cittadi-ne55. Ai frati minori insediati in S. Matteo legò un codice delleDecretales; ai Carmelitani di S. Maria del Carmine lasciò la secondaparte dell’Infortiatum, comunemente detta Tres partes (Dig. 35.2.82-38.17). A favore dei frati Eremitani il giurista legò “tres libriCodicis”, cioè gli ultimi tre libri del Codice (libri X-XII), oggetto diun insegnamento detto appunto Lectura Trium librorum: questa

52 La vertenza era tra Pietro da Buronzo, anche a nome dei consorti di Buronzo e diRosasco, per i chierici Giacomo da Buronzo e Bongiovanni da Grisopolo di Asiglianoda una parte, e i chierici Giorgio fu Alberto Cattaneo di Sillavengo e Giovanni Belleratoda Biandrate dall’altra, e Matteo Scazzoso da Biandrate per la terza parte; il giudiziosulla vertenza venne affidato dal vescovo Aimone all’arciprete Nicola e a Giuliano daCremona in considerazione dei diritti di patronato dei Buronzo sui benefici clericalieretti nella chiesa di S. Giorgio di Vicolungo: G. FERRARIS, La pieve di S. Maria diBiandrate, Vercelli 1984, pp. 444-445. Sul giudice Giuliano da Cremona si vedanoanche gli strumenti di acquisizione di beni immobili del 5 marzo e 10 aprile 1290:Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea di Vercelli,mz. 1822, nn. 817, 807; è citato in un atto - conservato frammentario, la cui sezionemancante comprendeva la data - come iudex insieme a Antonio de Petite: Archivio diStato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo, Pergamene, mz. 229,perg. 34. Sempre con la qualifica di iudex è teste all’atto di fondazione di una cappelladedicata alla Vergine e a S. Nicola nella chiesa di S. Maria a Vercelli: ArchivioCapitolare di Vercelli, cartella XX (1286-1287) (1286 agosto 16); altre ulteriori giudi-cature sono del 1289: Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S.Andrea, mz. 4 (1289 gennaio 21); LODDO, Le carte del monastero di Rocca delle Donnecit., pp. 261-265, nn. CCXX-CCXXI (1289 agosto 2; ottobre 1); è ancora iudex nel1293: ivi, pp. 269-270, n. CCXXVI (1293 gennaio 27).

53 G. COLOMBO, Documenti dell’Archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea,Pinerolo 1901 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, VIII), pp. 290-294, n.CLXIX.

54 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., II, Vercelli 1858, pp. 380-381.

55 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5(1302 dicembre 23).

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sezione del Codex, di cui si riprese l’approfondimento scientifico apartire dal secolo XII56, faceva parte del gruppo di testi che costitui-vano la terza parte del Corpus iuris civilis, chiamata Volumen, insie-me, tra altri, alla collezione di Novellae nota come Authenticum, testoche Giuliano da Cremona possedeva e che legò ai frati predicatori delconvento di S. Paolo. Accanto ai conventi degli ordini mendicanti diVercelli, a favore dell’abbazia di S. Andrea il giurista dispose, oltre adiversi legati, anche il lascito di altri suoi codici (“Idem instituit dic-tum monasterium in sua Summa Gofredi57 et in libro Sermonum et inlibro Epistularum Pauli, Petri et Jacobi et Apochalipsi et in Salteriocontinuo”), mentre “libri sui iuris canonici et civilis” sarebbero anda-ti, insieme ai due terzi dei suoi beni, ai pauperes cittadini.

La preparazione giuridica posseduta da iudices quali Giuliano daCremona sembra elevata se consideriamo i fondi librari posseduti58. In

56 E. CONTE, Tres libri Codicis. La ricomparsa del testo e l’esegesi scolastica primadi Accursio, Frankfurt a. Main 1990 (Ius Commune. Sonderhefte, 46).

57 GOFFREDO DA TRANI, Summa super titulis Decretalium: J. F. VON SCHULTE, DieGeschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts, I, Von Gratian bis aufPapst Gregor IX, tomo II, Die Geschichte der Quellen und Literatur des CanonischenRechts von Gregor IX. bis auf das Concil von Trient (1234-1563), Graz 19562, pp. 89-91; S. KUTTNER, Der Kardinalat des Gottfried von Trani, in «Studia et documenta histo-riae et juris», 6 (1940), pp. 124-131; R. NAZ, Geoffroy de Trani ou de Trano, inDictionnaire de droit canonique, V, Paris 1953, col. 952; A. PARAVICINI BAGLIANI,Cardinali di Curia e ‘familiae’ cardinalizie dal 1227 al 1254, I, Padova 1972 (ItaliaSacra. Studi e documenti di storia ecclesiastica, 18), pp. 273-278; M. BERTRAM,Kanonistiche Quästionensammlungen von Bartholomäus Brixiensis bis JohannesAndreae, in Proceedings of the Seventh International Congress of Medieval Canon Law(Cambridge, 23-27 July 1984), ed. P. LINEHAN, Città del Vaticano 1988 (MonumentaIuris Canonici, Series C: Subsidia, 8), pp. 265-281, in particolare pp. 268-269; ID.,Goffredo da Trani, in Dizionario biografico degli Italiani, LVII, Roma 2001, pp. 545-549; G. MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia, Turnhout 2005 (Textes et Étu-des du Moyen Âge, 29), pp. 452-454, n. 399. Il codice, sebbene si tratti di un’operamolto diffusa, potrebbe essere quello registrato all’item 5 dell’inventario dell’abbazia diS. Andrea del 1467 (“Item Summa magistri Gualfredi super Decretis [sic] que incipit‘glosarium’ et finit ‘de consecratione ecclesie’), e nel successivo elenco di libri dellabiblioteca finito di stendere il 24 marzo 1600: TIBALDESCHI, La biblioteca di S. Andreadi Vercelli nel 1467 cit., p. 69; p. 94, nota 60; p. 104.

58 Per un parallelo con altre realtà comunali italiani cfr. T. PESENTI MARANGON,Università, giudici e notai a Padova nei primi anni del dominio ezzeliniano (1237-1241), in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 12 (1979), pp. 1-61; M.BELLOMO, Consulenze professionali e dottrine di professori. Un inedito “consilium

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assenza di una schedatura delle biblioteche private in area piemonteseper i secoli tardomedievali, possiamo portare due esempi coevi prove-nienti da aree geografiche vicine a quella vercellese. Sono interessantile acquisizioni di codici di diritto civile realizzate a Genova, in almenodue riprese, da Federico Zacarengo di Alba: il 22 ottobre 1240 questiacquistò da Simone Tornello un Codex completo, il Digestum vetus, ilDigestum novum, l’Authenticum, le Institutiones e le Tres partes59.Diciassette anni più tardi, Zacarengo integrò la sua biblioteca con altridue codici – uno di diritto canonico (Decretum Gratiani), l’altro di dirit-to civile (la Summa di Azzone) – comprati da Lanfranco Ususmaris60. Il6 marzo 1252 Federico Zacarengo fu nel collegio dei cinque giudici chesi espressero sulla sentenza emessa, il 13 aprile 1251, dagli arbitri sullacontroversia tra il comune di Alba, l’abate del monastero di San Pietrodi Breme e diversi cittadini albesi per beni in Pollenzo61; il 23 febbraio1260 fece parte del consiglio del comune di Alba, nominato nello stru-

domini Accursii”, in «Quaderni catanesi di studi classici e medievali», 4 (1982), pp.199-219; F. MARTINO, Giuristi di scuola e “pratici” di diritto a Reggio e a Padova. Ilms. Olomouc C.O.40, ivi, 8 (1986), pp. 423-445.

59 A. FERRETTO, Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova (1141-1270),Pinerolo 1906 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, XXIII), p. 135, n. CXXV:“Ego Symon Tornellus vendo, cedo et trado tibi Frederico Çacarengo de Alba libroslegales infrascriptos, videlicet Codicem cum tribus libris Codicis in uno volumine,Digestum vetus et Digestum novum, Authenticum et Instituciones et Tres partes in unovolumine, istos duos ultimos finito precio librarum quadraginta ianuinorum […]”. Cfr.anche G. PETTI BALBI, Il libro nella società genovese del secolo XIII, in «La Bibliofilia»,80 (1978), pp. 1-44, in particolare p. 40, n. 34.

60 FERRETTO, Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova cit., p. 218, n.CCLII (1257 febbraio 13): “Ego Fredericus Çacarengus de Alba confiteor me emisse etrecepisse a te Lanfranco Ususmaris librum Decretorum et Summam Açonis renunciansexceptioni non acceptorum et non traditorum librorum et omni iuri pro quibus finito pre-cio tibi vel tuo certo misso dare et solvere promitto libras vigintitres ad kalendas madiiproximi […]”. Sulla Summa Codicis e sulla Summa Institutionum di Azzone cfr.SAVIGNY, Geschichte des römischen Rechts im Mittelalter cit., V, pp. 27-38; DOLEZALEK,Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., III, s. v.; su Azzonecfr. P. FIORELLI, Azzone, in Dizionario biografico degli Italiani, IV, Roma 1962, pp. 774-781; H. LANGE, Römisches Recht im Mittelalter, I, Die Glossatoren, München 1997, pp.255-271; G. DOLEZALEK, Repertorium manuscriptorum veterum Codicis Iustiniani,unter Mitarb. v. L. MAYALI, I, Frankfurt a. Main (Ius Commune. Sonderhefte, 23.Repertorien zur Frühzeit der gelehrten Rechte), pp. 499-507.

61 F. GABOTTO, Appendice documentaria al Regestum Comunis Albe, Pinerolo 1912(Biblioteca della Società Storia Subalpina, XXII), pp. 165-167, n. CXXIV.

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mento di ratifica della dedizione dello stesso a Carlo d’Angiò, e conquesto incarico è ancora attestato il 4 dicembre 126162.

Due codici di diritto civile – un Digestum vetus pergamenaceo (“incartis caprinis scriptum”) e le Institutiones – furono invece venduti, l’8marzo 1281, da Aiguineta, vedova di Ansaldo Medicus, iudex, aBernardo di Valenza, domicellus del podestà di Genova Michele deSalvaticis, anch’egli di Valenza63. Questo strumento notarile illumina ilsignificativo momento del passaggio dei “ferri del mestiere” tra duemondi contigui del sapere giuridico professionalmente orientato, l’areadella giudicatura e la pratica podestarile – quest’ultima sempre più eser-citata da doctores legum, giudici e pratici del diritto – definendo inmodo forte la relazione tra formazione scolastica di medio-alto livello el’esercizio di funzioni pubbliche, mostrando nel contempo la connes-sione tra pratica di governo e legalis sapientia64. Anche a Vercelli, sin

62 GABOTTO, Appendice documentaria cit., pp. 188-191, n. CXXXVI; pp. 193-194,n. CXXXVIII. Sue presenze come teste a strumenti rogati ad Alba si registrano il 15ottobre 1262 (ivi, pp. 194-197, n. CXXXIX), il 16 luglio 1263 (ivi, pp. 197-201, n.CXL), il primo luglio 1270 (ivi, pp. 205-209, n. CXLIV). Il 17 luglio 1264 la vedova diSimone Vento cedette a Federico Zacarengo, a soddisfazione di un debito contratto dasuo figlio, un credito dei suoi figli minori verso i marchesi di Ceva: FERRETTO,Documenti intorno alle relazioni fra Alba e Genova cit., pp. 261-261, n. CCCX.

63 G. GORRINI, Documenti sulle relazioni fra Voghera e Genova (960-1325), Pinerolo1908 (Biblioteca della Società Storia Subalpina, XLVIII), p. 249, n. CCCLXXX: “[…]Ego Aiguineta, uxor quondam Ansaldi Medici iudicis, vendo, cedo et trado tibiBernardo de Valentia, domicello domini potestatis Ianue, ementi et recipienti nomine etvice domini Michaelis de Salvaticis potestatis Ianue, librum unum vocatum Digestumvetus in cartis caprinis scriptum, quod fuit dicti quondam Ansaldi. Item librum unumvocatum Institutam, quod fuit dicti quondam Ansaldi, qui […] vendo, cedo et trado fini-to precio librarum decem ianuinorum […]”.

64 SBRICCOLI, L’interpretazione dello statuto cit., in particolare pp. 58-62; G.TABACCO, Gli intellettuali del medioevo nel giuoco delle istituzioni e delle preponde-ranze sociali, in Storia d’Italia, Annali, 4, Intellettuali e potere, a cura di C. VIVANTI,Torino 1981, pp. 7-46, in particolare cap. 4: I giuristi come intellettuali nella ristruttu-razione civile dei poteri nel basso medioevo italiano, pp. 38-46; E. CORTESE, Scienza digiudici e scienza di professori tra XII e XIII secolo, in Legge, giudici, giuristi. Atti delConvegno (Cagliari, 18-21 maggio 1981), Milano 1982 (Università di Cagliari.Pubblicazioni della Facoltà di Giurisprudenza. Serie I, 26), pp. 93-148; MENZIGER,Giuristi e politica nei comuni di popolo cit.; EAD., Forme di implicazione politica deigiuristi nei governi comunali italiani del XIII secolo, in Pratiques sociales judiciariesdans les villes de l’Occident à la fin du Moyen Âge. Études réunis par J. CHIFFOLEAU -C. GAUVARD - A. ZORZI, Roma 2007, pp. 191-241. Sul rapporto fra la “parola politica”

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dalla prima sperimentazione tentata nel 1177 dal milanese RuggeroVisconti, coadiuvato dal suo vicario, il giudice Alberto da Vimercate,troviamo esperti nel diritto avvicendarsi alla carica di podestà65.

Nei decenni seguenti l’apertura dello Studium vercellese si infitti-scono le presenze di doctores legum e professores affiancati ai giudicinella formulazione di consilia in cause riguardanti il comune o entiecclesiastici. Il fenomeno si colloca nella generale esplosione della let-teratura consiliare, di carattere sia privatistico che pubblicistico, chediede una centralità sulla scena politico-sociale al doctor, professionistain possesso del solo titolo da cui derivava il diritto esclusivo di pronun-ciare il consilium sapientis66. Esemplare è il caso del noto giurista

e l’affermarsi del sistema podestarile rinvio al quadro di riferimento tracciato in E.ARTIFONI, I podestà professionali e la fondazione retorica della politica comunale, in«Quaderni storici», n. s., 63 (1986), pp. 687-719; da ultimo si veda A. ZORZI, Diritto egiustizia nelle città dell’Italia comunale (secoli XIII-XIV), in Stadt und Recht imMittelalter. La ville et le droit au Moyen Âge, hrsg. v. P. MONNET - O. G. OEXLE,Göttingen 2003 (Veröffentlichungen des Max-Planck-Institut für Geschichte, 174), pp.197-214.

65 P. GRILLO, Il comune di Vercelli nel secolo XII: dalle origini alla Lega Lombarda,in Vercelli nel secolo XII. Atti del quarto Congresso storico Vercellese (Vercelli, 18-20ottobre 2002), Vercelli 2005, pp. 161-188, in particolare pp. 184-187. Sui podestà in areapiemontese cfr. E. ARTIFONI, Itinerari di potere e configurazioni istituzionali a Vercellinel secolo XIII, in Vercelli nel secolo XIII. Atti del primo Congresso Storico Vercellese(Vercelli, 2-3 ottobre 1982), Vercelli 1984, pp. 263-277; ID., I podestà itineranti e l’areacomunale piemontese. Nota su uno scambio ineguale, in I podestà dell’Italia comunale,parte I, Reclutamento e circolazione degli ufficiali forestieri (fine XII sec. - metà XIVsec.), a cura di J.-C. MAIRE VIGUEUR, Roma 2000 (Nuovi studi storici, 51 - Collection del’École Française de Rome, 268), I, pp. 23-45. Per un elenco dei podestà vercellesi cfr.MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 285-288; per questa magi-stratura si veda ora l’intervento di Paolo Grillo nel presente volume.

66 Tra la vasta bibliografia sulla letteratura consiliare cfr. M. ASCHERI, I consilia deigiuristi medievali. Per un repertorio - incipitario computerizzato, Siena 1982; D.QUAGLIONI, Giurisprudenza consiliare e dottrine giuridico-politiche, in Culture et idéo-logie dans la génèse de l’état moderne. Actes de la table ronde organisée par le Centrenational de la recherche scientifique et l’École Française de Rome (Rome, 15-17 octo-bre 1984), éds. J.-C. MAIRE VIGEUR - CH. PIETRI, Roma 1985 (Collection de l’ÉcoleFrançaise de Rome, 82), pp. 419-432; ‘Consilia’ im späten Mittelalters. Zum histori-schen Aussagewert einer Quellengattung, hrsg. v. I. BAUMGARTNER, Sigmaringen 1995;Legal Consulting in the Civil Law Tradition, eds. M. ASCHERI - I. BAUMGARTNER - J.KIRSHNER, Berkeley 1999; ampia bibliografia in E. BRAMBILLA, Genealogie del sapere.Università, professioni giuridiche e nobiltà togata in Italia (XIII-XVII secolo). Con unsaggio sull’arte della memoria, Milano 2005, pp. 44-47; cfr. anche ivi, pp. 83-86.

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Uberto di Bonaccorso, iuris civilis professor, presente come “consilia-rius” e “assessor”, il 16 luglio 1240, in una controversia in materia diacque sorta all’interno del consortile degli Avogadro: Uberto, insieme algiudice Lanfranco Pectenatus, è affiancato ai due arbitri designati dalleparti, Guglielmo de Arborio e Carlo de Ugucione67. Alcuni anni più tardiil doctor legum Guido Scarsus venne incaricato di coadiuvare il giudi-ce vercellese Giovanni da Cremona in una causa riguardante il capitoloeusebiano68.

Nelle città sedi universitarie l’attività di consulenza era solitamentegarantita dagli stessi professori di diritto, e anche in Vercelli la presen-za dello Studium offrì alla città un gruppo di professionisti preparati.Uberto da Bobbio, durante la sua docenza vercellese, è documentatogiudice assessore in un arbitrato69, e tale fu anche Omobono Morisio,“assessor tribunalis Vercellensis”70. Guglielmo de Ferrario, doctorlegum, ebbe certamente l’incarico di professore di diritto nell’annoaccademico 1239-124071, ed è da registrare la sua presenza come “nun-cius et procurator comunis Vercellarum”, insieme ad Alberto deBondonno, nella delegazione che si era recata a Padova nel 1228 per iltrasporto degli studenti dalla città veneta a Vercelli72. Sono anche note

67 SOFFIETTI, L’insegnamento civilistico cit., pp. 231-234; pp. 237-239, n. 1. Per idoctores consulenti si veda CORTESE, Legisti, canonisti e feudisti cit., pp. 195-281.

68 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXI (1258 dicembre 3); cfr.anche FERRARIS, Università, scuole, maestri e studenti cit., p. 63.

69 “Controversia est inter duos milites Vercellenses de quodam castro.Compromisserunt in arbitros et dominus Ubertus de Bobio fuit arbitrorum assessor […]:L. SORRENTI, Tra scuole e prassi giudiziarie. Giuliano da Sesso e il suo «Libellus quae-stionum», Roma 1999, p. 6, nota 14.

70 DOLEZALEK, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Recht bis 1600 cit., III,s. v. Homobonus; P. MARANGON, Scuole e università a Padova dal 1221 al 1256, in ID.,«Ad cognitionem scientiae festinare» cit., pp. 47-54, in particolare p. 54, già pubblicatoin «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 12 (1979), pp. 131-136.

71 Il 7 marzo 1240 il marchese Manfredo Lancia ordinava al podestà di VercelliGiliolo Guiberto Lombardo di disporre il pagamento di cinquanta lire pavesi al giuristade Ferrario per il salario di un anno di docenza “secundum quod in predicta Credenciafuit statuitum”: VALLAURI, Storia delle Università degli Studi del Piemonte cit., I, pp.222-223, n. II; I Biscioni, I/3, a cura di R. ORDANO, Torino 1956 (Biblioteca dellaSocietà Storica Subalpina, CLXXVIII), pp. 35-36, n. CCCCLXXXVII; A. BERSANO, Leantiche scuole del comune di Vercelli, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino»,59 (1961), pp. 543-587, in particolare p. 545.

72 Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum cit., p. 22.

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le sue consulenze canonistiche e civilistiche prestate nel medesimotorno di anni, ancora documentate nel 1247, soprattutto in veste di giu-dice in cause relative a contenziosi di natura patrimoniale di una certaimportanza, da cui emergono i forti contatti tra il giurista e i diversi rap-presentanti del capitolo eusebiano73.

Il legame tra l’area di reclutamento locale dei professori dello Studioe la pratica della consulenza e della giudicatura è rappresentato dal doc-tor in Decretalibus et in Decreto Uberto de Boverio. Questi è documen-tato come iudex tra il 1258 e il 1269 in cause che riguardavano sia entiecclesiastici, sia il comune di Vercelli. Proprio quest’ultimo, dovendoscegliere il professore di diritto canonico per lo Studium cittadino, sirivolse – con una scelta che, dalla documentazione in nostro possesso,sembra piuttosto inusuale – proprio a Uberto de Boverio, come illustrala cedola di pagamento degli stipendi di quattro docenti del 9 febbraio1267, nella quale il giurista risulta “doctor in Decretalibus et in Decretisin Studio civitatis Vercellarum”74. Passando ai primi anni del Trecento,troviamo il civilista Giovanni de Carixio, legum professor, teste nel1306 a un atto del vescovo di Vercelli riguardante l’abbazia di S.Andrea75, e, insieme a Guglielmo de Ripis, utriusque iuris professor,nominato arbitro in una vertenza tra l’ospedale di S. Andrea e l’abate diS. Stefano il 24 maggio 130876. Nel 1310 Giovanni de Carixio risultaessere iuris utriusque professor77.

73 FERRARIS, Università, scuole, maestri e studenti cit., pp. 57-59; pp. 66-67, n. 1.74 Per l’edizione delle quietanze di pagamento cfr. VALLAURI, Storia delle

Università degli Studi del Piemonte cit., I, pp. 224-226, n. IV. Sul de Boverio cfr.MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 29-30; G. COLOMBO,Vercellensia, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino», 1 (1896), pp. 98-109; L.BORELLO - A. TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379, I,Voghera 1927 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CIII), pp. 193-195, n. CXI(1269 maggio 8); SOFFIETTI, L’insegnamento civilistico cit., p. 234; ID., Lo “Studium”di Vercelli nel XIII secolo cit., p. 195; L’abbazia e l’ospedale di S. Andrea di Vercellinel secolo XIII cit., p. 26, n. 54; FERRARIS, Università, scuole, maestri e studenti cit.,pp. 60-62; pp. 68-69, n. 2.

75 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5(1306 luglio 7).

76 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35. Su questi due giuri-sti cfr. infra, testo corrispondente alle note 210 e 216.

77 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5(1310 agosto 19).

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Il comune di Vercelli – secondo una consuetudo verificabile in altrecittà universitarie – fece un uso pragmatico dei ‘prodotti’ dell’insegna-mento universitario, avviando i giuristi formati nello Studium al nota-riato, alla giudicatura e alla stessa docenza78. La possibilità di avere unqualificato centro di alta formazione nel diritto giustifica probabilmen-te il dettato della riforma statutaria del 1341, nella quale si stabilì chel’aspirante alla carica di giudice e console di giustizia dovesse avere unapreparazione nel diritto di almeno cinque anni e che dovesse avere eser-citato l’avvocatura per altri tre; cinque anni di studio giuridico eranoanche richiesti ai membri del collegio dei giudici79. Non viene specifi-cato in quali scuole avrebbero dovuto “audire leges” i futuri giudici econsoli di giustizia, tuttavia un periodo di studio di cinque anni era cer-tamente considerevole: lo stesso numero di anni di frequenza, da attua-re però presso uno Studium generale, era fissato come indispensabileper potere accedere all’esame di licenza di diritto civile o canonico,secondo le aggiunte del 1397 agli statuti dell’universitas iuristarumdello Studio di Pavia80.

Con il passaggio delle università all’interno di prospettive politico-territoriali più ampie il processo ebbe una ulteriore accelerazione, come

78 C. FROVA, Processi formativi istituzionalizzati nelle società comunali e signoriliitaliane: una politica scolastica?, in Culture et idéologie dans la genèse de l’état moder-ne cit., pp. 117-131. Per un parallelo con l’analogo caso bolognese cfr. G. FASOLI, Ilnotaio nella vita cittadina bolognese (secc. XII-XV), in Notariato medievale bolognese,Roma 1977, pp. 121-142; EAD., Giuristi, giudici e notai nell’ordinamento comunale cit.,pp. 609-622; EAD., Rapporti tra le città e gli “Studia” cit., pp. 8-21.

79 “Quod nullus possit esse iudex iustitie nec advocatus in civitate Vercellarum nechabere dona sive salarium a communi que dantur collegio iudicum nisi audiverit legesper quinque annos. Item statutum est quod nullus possit esse iudex iustitie nec haberedona sive salarium que dantur a communi singulis annis collegio iudicum Vercellarumnisi audiverit leges per quinque annos et advocaverit per tres annos post illos quinqueannos. Nec aliquis possit esse de collegio iudicum Vercellarum nisi audiverit leges perquinque annos”: Hec sunt statuta cit., c. XLIXr.

80 “[…] Ita quod scolaris examinandus in iure civili vel iure canonico non recipiaturad examen nisi studuerit per quinquennium in Studio generali. Et si fuerit licentiatus iniure civili et velit examinari in iure canonico nisi studuerit in iure canonico per trien-nium in Studio generali ut supra. Si autem fuerit licentiatus in iure canonico et velit exa-minari in iure civili, nisi studuerit per quatriennium ut supra, et alias non possit recipi utsupra continetur, sub pena suprascripta inferenda ipsi priori contrafacienti”: MAIOCCHI,Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 366-368, n. 613.

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è evidente nell’impiego da parte dei Visconti e, a uno stadio ben piùconsapevole ed efficace, degli Sforza, del corpo docente dello Studiumdi Pavia nelle magistrature, nella pratica di governo e negli uffici priva-ti della famiglia regnante81.

Lo stretto rapporto tra una qualificata preparazione giuridica e la for-mazione delle classi dirigenti cittadine si evidenzia nei cursus honorumdi alcuni membri di famiglie della piccola nobilità e feudalità rurale eurbana, come pure di famiglie cittadine dedite al commercio. Possiamosoffermarci sul caso rappresentato dai Centorio e dai Cagnoli, i quali sidistinsero per il numero di esponenti risoluti e ambiziosi che, grazie aglistudi nel diritto civile, approdarono a posizioni di rilievo negli organiamministrativi e giudiziari del Comune, talvolta optando per la profes-sione notarile o per la carriera ecclesiastica all’interno dei capitoli dellechiese vercellesi e in altre importanti sedi, come fece Ugone Cagnoli,che divenne vescovo di Torino nel 123182.

In origine mercanti di pellicce, poi dediti all’attività feneratizia, iCentorio furono i fondatori, e in seguito gli avvocati e i patroni, dell’ospi-zio di S. Silvestro dei Rantivi alla fine degli anni sessanta del secolo XII:questa istituzione divenne probabilmente il punto di forza determinante perla loro affermazione sociale, resa evidente dalla presenza di rappresentan-ti della famiglia nel consiglio di Credenza sin dal 117083. I Centorio, uniti

81 Il fenomeno è studiato a fondo in N. COVINI, «La balanza drita». Pratiche digoverno, leggi e ordinamenti nel ducato sforzesco, Milano 2007; cfr. anche A. SOTTILI,Die Universität Pavia im Rhamen der Mailänder Außenpolitik. Der Italienaufenthaltvon Johann I. von Kleve und Jean de Croy und andere Anekdoten über die UniversitätPavia, in Miscellanea Domenico Maffei dicata. Historia. Ius. Studium, II, a cura di A.GARCÍA Y GARCÍA - P. WEIMAR, Goldbach 1995, pp. 457-489.

82 K. EUBEL, Hierarchia Catholica Medii Aevi, I, Monasteri 1898 (rist. anast. Patavii1960), p. 500.

83 F. PANERO, Istituzioni e società a Vercelli dalle origini del comune alla costituzio-ne dello Studio (1228), in L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 77-165, in parti-colare pp. 92, 96 e note relative; si veda anche D. SAVOIA, L’Ospizio di San Silvestro dellaRantiva, tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà di Magistero, rel. A. M.NADA PATRONE, a.a. 1973-1974, passim; V. MOSCA, Le pergamene dell’ospizio di S.Silvestro della Rantiva, in «Archivi e storia», 1 (1989), pp. 195-223; G. FERRARIS, Lechiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec. XIV, a cura di G.TIBALDESCHI, Vercelli 1995, p. 253, nota 507. Per la famiglia Centorio negli ultimi decen-ni del secolo XII e nella prima metà del Duecento cfr. R. RAO, I beni del comune diVercelli. Dalla rivendicazione all’alienazione (1183-1254), Vercelli 2005, pp. 206-207.

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alla famiglia Cagnoli dagli anni venti del Duecento, fecero parte degliorgani amministrativi del Comune ed esercitarono la professione notarile;alcuni di loro sedettero negli stalli del capitolo cattedrale, come BonifacioCagnoli, eletto arciprete eusebiano il 10 gennaio 133884, e della canonicavittorina di S. Andrea, come Filippo Cagnoli, canonico dal 1341 e proba-bilmente abate di S. Andrea già nel 135885. Simone Cagnoli il 17 settem-bre 1351 è attestato come abate di S. Stefano in Vercelli86.

Guglielmo Cagnoli, iuris utriusque peritus, nel dicembre 1308 fu trai credenzieri vercellesi87; nel 1311 venne nominato dal vescovo diVercelli, Lombardo della Torre, suo giudice in temporalibus in Biella, e,nel 1316, vicario generale: con questo incarico è documentato nel 1325,mentre il 2 gennaio 1333 fu tra i patroni dell’Ospizio di S. Silvestro deiRantivi e, il 31 luglio 1338, giudice del vescovo di Vercelli, insieme aGiovanni de Strata, iuris peritus88. Nel 1346 fu ancora teste a un atto diinvestitura da parte di Papiniano Fieschi, vicario generale del vescovodi Vercelli Manuele Fieschi, a favore del comune di Biella89; nel 1350risultava già defunto90. Antonio Cagnoli de Centoriis, legum doctor nel

84 Restò in carica almeno sino al 25 febbraio 1345: C. A. BELLINI, Serie degli Uominie delle Donne illustri della città di Vercelli, col compendio alle vite dei medesimi, ms.,I, p. 176; MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 110.

85 R. PASTÈ - F. ARBORIO MELLA, L’abbazia di S. Andrea di Vercelli. Studio storicodi R. Pastè. Studio artistico di F. Arborio Mella, Vercelli 1907, pp. 115-116.

86 SAVOIA, L’Ospizio di San Silvestro della Rantiva cit., p. 65.87 COLOMBO, Documenti dell’Archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., p.

302, n. CLXXV.88 BELLINI, Serie degli Uomini e delle Donne illustri cit., I, p. 195; R. PASTÈ, I Vicarii

generali della Curia Vescovile, in «Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte»,4 (1915), fasc. 1, pp. 161-171, in particolare p. 164; SAVOIA, L’Ospizio di San Silvestrodella Rantiva cit., p. 60; Archivio Capitolare di Vercelli, Atti di vescovi, cartella XXI(1330-1361); sul Cagnoli cfr. BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale diBiella cit., III, p. 107 s. v. Cagnolis (de); P. SELLA - F. GUASCO DI BISIO - F. GABOTTO,Documenti biellesi, Pinerolo 1908 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, XXXIV),pp. 72-76, n. CXVI (1341 maggio 22).

89 L. BORELLO - A. TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379,II, Voghera 1928 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, CIV), pp. 163-165, n.CCLXXV (1346 settembre 7). Per una sua attestazione a Biella nel 1344 cfr. L. BORELLO,Le carte dell’Archivio comunale di Biella fino al 1379, IV, Torino 1933 (Biblioteca dellaSocietà Storica Subalpina, CXXXVI), pp. 39-51, n. XXVII (1344 giugno 9).

90 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Monastero di S. Spirito, mz.111 (1350 giugno 19).

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134391, fu arbitro in una contesa riguardante gli ecclesiastici della pievedi Robbio il 16 settembre 1345, insieme a Thevaldus da Piacenza,Decretorum doctor92; è ancora documentato il 3 marzo 136993, il 25 gen-naio 1370, quando venne incaricato di arbitrare in una vertenza94, e il 27giugno 1378, nell’atto di nomina di Giovanni Cagnoli a ministro e ret-tore dell’ospedale di S. Silvestro dei Rantivi, subentrando al defuntoMartino Centori95.

La continuità di una vocazione familiare allo studio del diritto e alleprofessioni giuridiche, ebbe forse il suo punto apicale nella prima metàdel Cinquecento, quando un importantissimo esponente della famiglia,Girolamo Cagnoli, laureato in utroque iure presso l’Università diTorino, si affermò come docente di fama in questo stesso Studio, da cuisi trasferì poi presso l’ateneo di Padova, componendovi alcune operegiuridiche pubblicate nel corso del XVI secolo. Il 2 settembre 1549 èdocumentato come senatore e decurione di Vercelli, città in cui morì nelfebbraio 155196.

Se i dottori legisti risultano sempre più legati alle attività politichee diplomatiche del comune, anche presso la curia vescovile troviamonumerosi canonisti e civilisti. Gli stessi vertici dell’ordinario cittadi-no possedevano una formazione nel campo del diritto documentata datitoli accademici: particolarmente importante era l’incarico di vicariogenerale del vescovo, la cui competenza giuridica era condizione

91 I Biscioni, III/2, a cura di R. ORDANO, Torino 1994 (Biblioteca della SocietàStorica Subalpina, CCXI), pp. 95-96, n. DLXXV (1343 aprile 13); Archivio di Stato diVercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 4, perg. 156 (1343 agosto 22).

92 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345); la pergamena èunita a un’altra, riguardante sempre la stessa causa, datata 26 luglio 1345.

93 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1364-1370, ff.295v-296v.

94 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 7. Peruna sua attestazione come teste nel 1374 cfr. ivi (1374 maggio 29).

95 Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea diVercelli, Pergamene dell’Ospizio di San Silvestro della Rantiva, cartella unica. Per unasua attestazione del 27 febbraio 1348 cfr. A. COPPO - M. C. FERRARI, Protocolli notari-li vercellesi del XIV secolo. Regesti, Vercelli 2003, p. 23, nn. 29-30.

96 A. MAZZACANE, Cagnolo, Gerolamo, in Dizionario biografico degli Italiani, XVI,Roma 1973, pp. 334-335; per la sua carriera accademica cfr. I. NASO - P. ROSSO, Insigniadoctoralia. Lauree e laureati all’Università di Torino tra Quattro e Cinquecento, Torino2008 (Storia dell’Università di Torino, 2), pp. 183-184 e p. 324 s. v.

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richiesta dai complessi negozi riguardanti la diocesi, in particolarel’esercizio della giustizia, assegnato dalla normativa canonica all’of-ficialis della diocesi97. Nelle città sedi di università il vicario genera-le era inoltre molto spesso incaricato di sostituire il vescovo nellefunzioni di cancelliere, ricoprendo un ruolo non di semplice rappre-sentanza, ma di attivo intervento nelle fasi di verifica della prepara-zione del candidato durante l’examen per la collazione dei gradi acca-demici98.

Negli anni dell’apertura dello Studium di Vercelli il vescovoUgolino da Sesso nominò suo vicario il nipote Giuliano, quasi certa-mente impegnato anche come professore nello Studium. Nel secolosuccessivo troviamo il ricordato Guglielmo Cagnoli, iuris utriusqueperitus, vicario vescovile dagli anni venti del Trecento; a questi suben-trò il colto iuris canonici peritus Martino da Bulgaro, vicario del vesco-vo Lombardo della Torre alla fine del quarto decennio, dividendo l’in-carico con il legum doctor e professore dello Studio Salvo Marano99.Nel 1349 fu vicario del vescovo Giovanni Fieschi il piacentino Nicolade Pigazano100, e, nel 1374, Guglielmo de Gisso de Regio, entrambiiuris periti101.

97 R. NAZ, Official, in Dictionnaire de droit canonique, VI, Paris 1957, coll. 1105-1106; ID., Vicaire général, ivi, VII, Paris 1965, coll. 1501-1502. Sui compiti dei vicaricfr. anche E. FOURNIER, L’origine du vicaire général et des autres membres de la curiediocésaine, Parigi 1940; R. BRENTANO, Vescovi e vicari generali nel basso medioevo, inVescovi e diocesi in Italia dal XIV alla metà del XVI secolo. Convegno di studi (Brescia,21-25 settembre 1987), a cura di G. DE SANDRE GASPARINI ET AL., I, Roma 1990, pp.547-567; G. DE SANDRE GASPARINI, Vescovi e vicari nelle visite pastorali del Tre-Quattrocento veneto, ivi, p. 569-600.

98 Sul ruolo di vicecancelliere dello Studium ricoperto dal vicario generale rimandoa NASO - ROSSO, Insignia doctoralia cit., pp. 77-127.

99 PASTÈ, I Vicarii generali della Curia Vescovile cit., p. 163; ID., Notizie importan-ti tolte da un manoscritto dell’Archivio Eusebiano, in «Archivio della Società Vercellesedi Storia e d’Arte», 4 (1912), pp. 577-589, in particolare pp. 587-589; MANDELLI, Ilcomune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 36-37.

100 D. ARNOLDI, Libro delle investiture del vescovo di Vercelli Giovanni Fieschi(1349-1350), Torino 1934 (Biblioteca della Società Storia Subalpina, LXXIII/2), p.LVIII s. v. Pigazano (de) Nicolaus. È ancora documentato, non più come vicario vesco-vile, nel 1350: Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea,mz. 6 (1350 gennaio 13).

101 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 402-403, n. CDVII (1374 gennaio 12).

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Con il passaggio al Quattrocento la preparazione giuridica, perlopiùnel diritto canonico, certificata da un titolo accademico diventa un ele-mento quasi costante nella nomina al vicariato vescovile102. Nei primianni del Quattrocento vicario generale in spiritualibus del vescovoLudovico Fieschi fu Giovanni de Roydis de Albano, Decretorum doc-tor103; tra i reclutati troviamo il “laureatus in Decretis” Giovanni Grassi,di Saint-Rambert (Rhône), canonico di S. Eusebio e, dal 1438, vicariogenerale del vescovo di Vercelli Guglielmo Didier: un elegante mano-scritto della Glossa ordinaria in Constitutiones Clementinas diGiovanni d’Andrea, dal Grassi acquistato, insieme a un codice delSextus, nel 1426 ad Avignone, è l’attuale Cod. IX della BibliotecaCapitolare di Vercelli104. Pochi anni più tardi è documentato Fabiano deBays, che, prima di essere nominato vicario generale del vescovo diVercelli Urbain Bonivard, fu titolare della lettura straordinaria di diritto

102 PASTÈ, I Vicarii generali della Curia Vescovile cit., p. 165.103 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 97 (1375-1399), fasc. 7,

ff. 300r-301r (1399 maggio 16); ff. 301v-303r (1399 giugno 23); Archivio Capitolare diVercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 8, f. 171r-v (1399 agosto 31);Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 10, ff. 7v-8r (1400 gennaio 29), f. 9r-v (1400 febbraio 9), ff. 13v-14r (1400 febbraio 14), f. 17r-v,ff. 18r-21r, (1400 febbraio 27), ff. 29r-30v (1400 aprile 10), ff. 31r-33r (1400 aprile 10),f. 34r-v (1400 maggio 10), ff. 40v-41r (1400 maggio 17), ff. 42r-43v (1400 maggio 22);Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 11, f. 71r-v (1401 febbraio 25); Archivio Storico del Comune di Vercelli, cart. 104/A, Capitolo diS. Eusebio (1216-1568), Statuta 1216, ff. 51v-52r (1401 febbraio 25); ArchivioCapitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 11, f. 86r (1401 set-tembre 24); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 99 (1401-1569),fasc. 12 (1401 novembre 21); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98(1390-1408), fasc. 11, f. 133r-v (1405 gennaio 29).

104 Nel recto del foglio di guardia si legge: “Iste Clementine sunt mei IohannisGrossi de Sancto Ragneberto, quas emi a Moyse cum quodam Sesto similis litteris pre-tio XXX florenos, presentibus domino priore de Simone et fratre Iohanne Grimaudi.Datum Avignione die ultima februarii MoIIIIcXXVI”; al f. 60r, con la lampada di Wood,si legge “Solvit die VII aprilis VI florenos”. Sul codice cfr. R. PASTÈ, Vercelli. Archiviocapitolare, in A. SORBELLI, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia, XXXI,Firenze 1925, p. 78. Il 18 febbraio 1444 Giovanni Grassi legò alla chiesa di S. Eusebiodue salteri, uno dei quali è l’attuale Cod. LXVI della Biblioteca Capitolare di Vercelli,dove, da una nota al f. 1r, si apprende che Giovanni Grassi morì il 4 settembre 1445: R.PASTÈ, Donatori di Codici Eusebiani, in «Archivio della Società Vercellese di Storia ed’Arte», 6 (1914), pp. 207-212; 7 (1915), pp. 247-250, in particolare p. 212; sul codicecfr. anche ID., Vercelli. Archivio capitolare cit., p. 93.

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canonico presso lo Studio di Torino nell’anno accademico 1464-1465,passando, l’anno successivo, all’insegnamento del Volumen105.

Un interessante strumento del 17 marzo 1363 presenta il vescovo diVercelli Giovanni Fieschi mentre, “cum suis iuris utriusque peritis”, stu-dia attentamente “et per ipsos vicarios diligenter examinari facere” i docu-menti presentati dagli Umiliati della chiesa di S. Cristoforo, i quali ave-vano nominato ministro dell’ospedale Fasana Giovanni de Nebiono106.Tra i testes troviamo Giacomo Fieschi, iuris peritus arciprete della pievedi Lavagna, nella diocesi di Genova, vicario generale in spiritualibus delvescovo a partire dagli anni cinquanta e attivo almeno fino al 1379107.

105 ROSSO,“Rotulus legere debentium” cit., pp. 59-60; pp. 189-190, n. II.9.Originario di Candelo (Biella), è documentato come teste a Chieri il 18 febbraio 1463:Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Raccolta Biscaretti, mz. 10, fasc. 1, f. 12v.Fu canonico di S. Stefano di Biella e, dal 24 novembre 1477 al 1499, vicario generale especiale in spiritualibus et temporalibus del vescovo di Vercelli Urbain Bonivard, con-tinuando a tenere questa carica con i successivi vescovi di Vercelli, Giovanni StefanoFerrero e Giuliano della Rovere: PASTÈ, I Vicarii generali della Curia Vescovile cit., pp.165, 169; F. MACCONO - G. BURRONI, Questioni storiche e documentazioni relative alSantuario di Crea, Casale Monferrato 1928, p. 61.

106 Gli Umiliati presentarono diversi documenti per comprovare il loro diritto dipatronato per tale nomina: la cura dell’ospedale era stata affidata agli Umiliati da unabolla di papa Martino IV del 1286: G. F. VILLATA, Le case maschili degli Umiliati aVercelli nel Medioevo, tesi di laurea, Università degli Studi di Torino, Facoltà diMagistero, rel. A. M. NADA PATRONE, a.a. 1975-1976, pp. CCLXXI-CCLXXXVI, n.XLV. Su Giovanni Fieschi cfr. ARNOLDI, Libro delle investiture cit.; E. RAGNI, Fieschidi Lavagna (Giovanni), in Dictionnaire d’Histoire et de Géographie Ecclésiastiques,vol. XVI, Paris 1967, coll. 1433-1435, e i contributi di Francesco Panero e FlaviaNegro nel presente volume. Sulla famiglia Fieschi cfr. anche R. DE ROSA, I Fieschifeudatari di Moncrivello (XIV-XV secolo), in «Bollettino storico vercellese», 34(2005), pp. 5-22.

107 Per attestazioni d’archivio riguardanti questo personaggio cfr. BORELLO -TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., III, pp. 120-121 s. v. Flischo(de). In un atto del 2 marzo 1374, sempre riguardante gli Umiliati di San Cristoforo, èdefinito anche iuris peritus e vicario generale del vescovo Giovanni Fieschi: si trattadell’inventario dei beni dell’ospedale di S. Maria di Vercelli, redatto dal ministro dellostesso, frate Enrico di S. Germano degli Umiliati di S. Cristoforo: G. F. VILLATA, La vitainterna e la gestione dell’ospedale di Santa Maria dei Fasana (secoli XIII-XIV), in«Bollettino storico vercellese», 7 (1978), pp. 65-91, in particolare pp. 89-91, n. 2.Sull’ospedale di S. Maria cfr. anche G. FERRARIS, L’Ospedale di S. Andrea di Vercellinel secolo XIII. Religiosità, economia, società, Vercelli 2003, pp. 45-46. Per una atte-stazione poco più tarda di Giacomo Fieschi cfr. Archivio Capitolare di Vercelli, AttiCapitolari, cartella 97 (1375-1399), fasc. 5, f. 7r-v (1375 ottobre 17).

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Un certo livello di formazione giuridica emerge anche dai fondilibrari di altri importanti ecclesiastici. Nell’inventario del 1432 dellabiblioteca dell’abbazia di S. Andrea sono separatamente registrati i libriin quel momento presenti nella camera dell’abate: tra questi unaDecretale “glosata”, un Sextus e un Decretum, entrambi “sine glossis”.Tutti questi codici l’abate “emit de proprio”108.

A completamento dei Realien sinora offerti, viene presentata inAppendice una schedatura – condotta in buona parte su documenti ine-diti, purtroppo ancora in maggioranza per il secolo XIV, e sicuramentelontana dall’essere esaustiva – dei professionisti del diritto attivi inVercelli nel Trecento, tutti documentati in possesso di titoli che ne qua-lificano la preparazione giuridica. Questa prima analisi prosopografica,ordinata cronologicamente, potrà sin d’ora essere utile per la ricostru-zione di percorsi di formazione culturale e di carriere dei ceti dirigentilaici ed ecclesiastici, su cui certamente ebbe un ruolo, almeno nelle suefasi di piena attività, lo Studium di Vercelli.

È interessante notare come, dall’entrata di Vercelli nella dominazio-ne viscontea, cresca progressivamente la presenza di vicari podestariliin possesso di un titolo accademico, tendenza che proseguirà anche neiprimi anni del Quattrocento: ricordiamo, ad esempio, per il 1406 illegum doctor Bondo de Pisis, vicario del podestà Bonifacio deMirolio109, e, per l’anno successivo, Bartolino de Cauciis de Cremona,vicario del podestà Galeotto del Carretto110.

108 L’inventario è conservato all’interno della documentazione approntata per la litesorta tra i canonici di S. Andrea e l’abate, Guglielmo de Griselmis; questi, accusato dicattiva gestione e di tendenze scismatiche, fu destituito dalla carica da papa Eugenio IV:PASTÈ - ARBORIO MELLA, L’abbazia di S. Andrea di Vercelli. Studio storico cit., p. 130.L’elenco di libri fa parte di un generale Inventarium bonorum monasterii Sancti AndreaeVercellarum auctoritate apostolica confectum et receptum […] anno 1432, conservatopresso l’Archivio di Stato di Vercelli, Archivio dell’Ospedale Maggiore di S. Andrea diVercelli, Archivio storico, mz. 584 (il riferimento ai libri dell’abate sono al f. 58v); sul-l’inventario cfr. anche TIBALDESCHI, La biblioteca di S. Andrea di Vercelli nel 1467 cit.,p. 65; pp. 91-92, note 47-50.

109 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, fasc. 11, ff. 188r-189r (1406 set-tembre 24), ff. 190r-191v (1406 settembre 27).

110 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Vescovi, cartella XXI (1330-1361) (1407maggio 13).

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4. Approvvigionamento e circolazione di testi giuridici in ambito uni-versitario e professionale

Il principale strumento intorno al quale ruotava tutta l’attività didat-tica universitaria era il libro, e la disponibilità di codices era una condi-zione fondamentale per magistri e studenti che intendessero frequenta-re uno Studium generale. Nella Carta Studii del 1228 venne prevista lanomina di due bidelli e due exemplatores:

Item quod comune Vercellarum habebit universitatiscolarium duos bidellos, qui eodem gaudeant privillegioquo scolares. Item habebit comune Vercellarum duosexemplatores, quibus taliter providebit quod eos scolareshabere possint, qui habeant exemplaria111 in utroque iure etin theologia, competencia et correcta tam in textu quam ingloxa. Ita quod solucio fiat a scolaribus pro exemplissecundum quod convenit ad taxationem rectorum112.

Il comune, per soddisfare la prevista domanda di libri da parte deigruppi di studenti in arrivo a Vercelli, si impegnò a stipendiare due sta-zionari, i responsabili delle botteghe (stationes) dove venivano realizzatee vendute le copie, fedeli e garantite, dei testi oggetto di insegnamento113.Questo item della convenzione veniva probabilmente incontro a una pre-cisa richiesta avanzata dagli stessi studenti a Padova, nella fase di trattati-ve con gli emissari del comune di Vercelli, e formalizzata nella stesuradella Carta Studii. Un trentennio più tardi, a partire dal 1261, lo stessocomune di Padova dovette provvedere a stipendiare uno o due stationarii,

111 È certamente da emendare così la lezione “exemplancia” tràdita nelle due copietrecentesche della convenzione, redatte dal notaio Bartolomeo de Bazolis, conservatenei Biscioni.

112 Carta Studii et Scolarium Commorancium in Studio Vercellarum cit., pp. 28-30.113 La perfetta identità tra exemplatores e stationarii emerge chiaramente in una

disposizione del comune di Padova del 1275, con la quale si confermava il salario di ses-santa lire “Petro quondam Ordani exemplatori scolarium sive stacionario librorum etexemplatorum [sic forse per “exemplarium”] dandorum scolaribus”: L. GARGAN, Libri,librerie e biblioteche nelle Università italiane del Due e Trecento, in Luoghi e metodi diinsegnamento cit., pp. 221-246, in particolare p. 229, nota 30.

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come domandarono con forza i magistri e gli studenti universitari114.Il riferimento a stazionari ed exemplaria è estremamente importante

perché entrambi trovano menzione per la prima volta nei documentisinora noti: nei contratti stipulati a Bologna in anni immediatamente pre-cedenti, i mercanti di libri che operavano con lo Studium venivano anco-ra semplicemente chiamati “venditores librorum”115. La produzione dellibro negli Studia del medioevo – le cui linee basilari furono tracciate nelfondamentale saggio di Jean Destrez del 1935, particolarmente rivolto aitesti di filosofia e teologia approntati nell’Università di Parigi116 – avve-niva secondo il sistema della pecia, cioè la copia a fascicoli sciolti ope-rata all’interno delle botteghe gestite da stationarii, i quali potevanoanche dare in prestito le singole peciae a studenti dietro pagamento diuna tassa; l’entità di ques’ultima a Vercelli era stabilita, come sappiamo

114 Oltre alla disposizione degli statuti del 1261, dove si stabiliva che il comune diPadova dovesse stipendiare uno o due stazionari “qui habeant apparatum tocius corpo-ris iuris”, troviamo altri interessanti interventi del comune, come la conferma del sala-rio di sessanta lire a Floriano “exemplator scolarium”, che si impegnava a tenere “exem-plaria in iure canonico et civili ad utilitatem et comodum omnium doctorum et scola-rium ac Universitatis Studii Paduani”: su queste disposizioni si veda A. GLORIA, Statutidel Comune di Padova dal secolo XII all’anno 1285, Padova 1873, pp. 378-379, nn.1255-1259; ID., Monumenti della Università di Padova (1222-1318) cit., p. 195, e pp.21, 24, 29-30, 34 dell’appendice. Le sigle “Fl.” e “Flo.” lasciate dallo stazionarioFloriano sono state rintracciate in un exemplar della Summa super titulis Decretalium diEnrico da Susa, ora Assisi, Sacro Convento, 219+221, e in altri codici di diritto canoni-co: G. MURANO, Tipologia degli ‘exemplaria’ giuridici, in Juristische Buchproduktionim Mittelalter, hrsg. v. D. COLLI, Frankfurt a. Main 2002 (Studien europäischenRechtsgeschichte, 155), pp. 105-172, in particolare p. 138; EAD., Opere diffuse per‘exemplar’ e pecia cit., pp. 70-71.

115 Si vedano i due contratti conclusi il 9 ottobre 1226 e 6 aprile 1227 nella bottegabolognese di Alberto de Libris, editi in L. FRATI, Gli Stazionari bolognesi nel MedioEvo, in «Archivio storico italiano», s. V, 45 (1910), pp. 380-390, in particolare pp. 385-386; A. PADOVANI, L’archivio di Odofredo. Le pergamene della famiglia GandolfiOdofredi. Edizione e regesto (1163-1499), Spoleto 1992, pp. 515-516. Alberto de Librisè menzionato come “venditor librorum” in altri documenti: F. SOETERMEER, ‘Utrumqueius in peciis’. Aspetti della produzione libraria a Bologna fra Due e Trecento, Milano1997 (Orbis Academicus, 7), pp. 33-35.

116 J. DESTREZ, La pecia dans les manuscrits universitaires du XIIIe et du XIVe siè-cle, Paris 1935. Sull’enorme documentazione raccolta dal Destrez, originata dall’esamedi circa 7000 manoscritti conservati nelle principali biblioteche d’Europa, si veda G.FINK-ERRERA, Jean Destrez et son oeuvre: la pecia dans les manuscrits universitaires duXIIIe et du XIVe siècle, in «Scriptorium», 11 (1957), pp. 264-280.

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dalla convenzione del 1228, dai rettori (“secundum quod convenit adtaxationem rectorum”). I testi-modello, approvati ufficialmente dalleautorità universitarie, erano detti exemplaria, e da questi venivano trattii fascicoli (peciae), recanti ciascuno un numero d’ordine117. Nella maggiorparte degli exemplaria le peciae erano formate da una pezza di membra-na piegata due volte, formando così un fascicolo di quattro fogli; in casimeno frequenti, la pecia poteva essere composta da sei o otto fogli118.

I rappresentanti della corporazione degli studenti, forti di un’esperien-za fatta a Padova, facevano trapelare nella convenzione con il comune diVercelli per la prima volta una prassi di produzione libraria che conoscia-mo meglio altrove nelle sue articolazioni. Questa non lasciò tuttaviasegni, se non estremamente tenui, nella realtà cittadina, sebbene sia certa-mente ipotizzabile l’esistenza di un settore dell’artigianato e del commer-cio legato al libro – composto, oltre che da stazionari, anche da conciato-ri di pergamena, legatori, scriptores e, forse, miniatori –, cioè l’area pro-duttiva con cui il mondo studentesco entrava in forte contatto119. Le lacu-

117 Tra la vasta bibliografia sulla produzione del libro universitario limito il rimandoa qualche titolo fondamentale: J. DESTREZ - M. D. CHENU, Exemplaria universitaires desXIIIe et XIVe siècles, in «Scriptorium», 7 (1953), pp. 68-80; La production du livre uni-versitaire au moyen âge. Exemplar et pecia, éd. par L. J. BATAILLON, Paris 1988 (in par-ticolare i saggi di H. V. SCHOONER, La production du livre par la pecia, pp. 17-37 e R.ROUSE - M. A. ROUSE, The book trade at the University of Paris, pp. 41-114); G.DOLEZALEK, La pecia e la preparazione dei libri giuridici, in Luoghi e metodi di inse-gnamento cit., pp. 203-217; F. SOETERMEER, ‘Utrumque ius in peciis’. Die Produktionjuristischer Bücher an italienischen und französichen Universitäten des 13. und 14.Jahrhunderts, aus dem Niederländischen übersetzt v. G. HILLNER, Frankfurt a. Main2002 (Ius Commune. Sonderhefte, 150); G. MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e‘pecia’. Indagini per un repertorio, in «Italia medioevale e umanistica», 41 (2000), pp.73-100; EAD., Tipologia degli ‘exemplaria’ giuridici cit., pp. 105-172; di quest’ultimastudiosa è recente la pubblicazione dell’utilissimo repertorio di tutte le opere diffuse perexemplar e pecia, in particolare deducibili dalle liste di tassazione e di exemplaria:EAD., Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit. Per il commercio di libri universitari siveda anche R. GRECI, Note sul commercio librario universitario a Bologna nel Due eTrecento, in «Studi di storia medievale e di diplomatica», 9 (1987), pp. 49-97.

118 MURANO, Tipologia degli ‘exemplaria’ giuridici cit., pp. 120-121.119 Per le interazioni tra studenti universitari e settori socio-economici cittadini cfr.

M. BELLOMO, Studenti e «populus» nelle città universitarie italiane dal secolo XII alXIV, in Università e società nei secoli XII-XVI cit., pp. 61-78. Per altri settori economi-ci che coinvolgevano gli studenti nelle città universitarie cfr. A. I. PINI, “Auri argenti-que talenta huc ferimus dites”: i risvolti economici della presenza universitaria nellacittà medievale, in L’Università di Vercelli nel medioevo cit., pp. 205-225.

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ne delle fonti non ci permettono di sapere quale fosse il profilo culturaledei petiarii incaricati di vigilare sulla correzione degli exemplaria, nelloStudio bolognese scelti “de gremio universitatis providi et discreti, quisint clericali ordine insigniti”120, mentre a Parigi il compito veniva affida-to ai magistri “ad hoc deputati”121.

La norma statutaria, per quanto precoce come quella vercellese,arrivò certamente in ritardo rispetto all’effettiva introduzione del siste-ma della pecia nella produzione libraria universitaria. Un esempio diquesto processo asincrono è rappresentato dalla diffusione delle opere acarattere medico a Bologna, la cui prima lista di testi peciati risale al1405, mentre testimonianze sulla copia di testi di Galeno, l’autore conil maggior numero di opere diffuse in ambito universitario, sono databi-li al 1288122, e i commenta Galieni simplices, insieme a un codice diAvicenna, sono registrati nell’elenco, redatto nel 1289, dei codici dellastatio, specializzata in testi di diritto, di Solimano del fu Martino123.

A proposito dei codici di medicina, è interessante sottolineare comenella Carta Studii questi siano stati esclusi dagli exemplaria che i duestazionari vercellesi erano tenuti a mettere a disposizione degli studen-ti (“exemplaria in utroque iure et in theologia”). Le citate testimonian-ze sulla trascrizione di testi di medicina sono tutte più tarde rispetto allaCarta Studii: le opere a contenuto medico entrarono infatti in un secon-do tempo nell’elenco di opere peciate, come si nota scorrendo la listapiù antica per lo Studio di Parigi (1248)124, la Punctatio librorum bolo-gnese (databile tra il novembre 1253 e l’agosto 1257)125 e la lista diexemplaria dell’Università di Bologna (1260 ca.)126. Nel 1283 abbiamo

120 DENIFLE - EHRLE, Die Statuten der Juristen-Universität Bologna cit., p. 279.121 Chartularium Universitatis Parisiensis, ed. H. DENIFLE - AEM. CHATELAIN, II,

Paris 1891 (rist. anast. Bruxelles 1964), p. 107.122 MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., p. 50; pp. 159-160, nn. LIX-

LX; sulle opere di Galeno trasmesse per pecia cfr. ivi, pp. 429-441, nn. 349-383.123 FRATI, Gli Stazionari bolognesi nel Medio Evo cit., pp. 388-390, n. V; MURANO,

Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 98-100, n. XXV.124 Uppsala, Universitetsbiblioteket, C 134, f. 161v: MURANO, Opere diffuse per

‘exemplar’ e pecia cit., pp. 56-59, n. V.125 MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 59-67, n. VI.126 Olomouc, Státní Archiv, C.O.209, f. 163v: MURANO, Opere diffuse per ‘exem-

plar’ e pecia cit., pp. 68-70, n. VII.

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la notizia, lasciataci dallo stesso autore, della realizzazione di un exem-plar del commento di Taddeo Alderotti agli Aphorismi di Ippocrate,con una diffusione per pecia dell’eventuale reportatio dell’opera127.Nel medesimo anno il comune di Padova assumeva, con un salarioannuo di cinquanta lire, “duo stacionarii […] sive bidelli […] qui habe-re debeant et tenere petias et exemplaria in legibus, decretis et decreta-libus et physica”128.

L’equiparazione bidello-stazionario nell’ultimo esempio padovanoindica lo stadio ormai maturo del passaggio ai bidelli generali, accantoai loro compiti istituzionali, della responsabilità dell’attività delle sta-tiones librorum129; i bidelli talvolta esercitavano anche i mestieri di car-tolaio, di miniatore, di copista o di stimatore di libri130. Figura di rile-

127 T. PESENTI, The ‘Libri Galieni’ in Italian Universities in the fourteenth Century,in «Italia medioevale e umanistica», 42 (2001), pp. 119-147, in particolare p. 128;MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 94-96, n. XXII.

128 GLORIA, Monumenti della Università di Padova (1222-1318) cit., p. 34 dell’ap-pendice. Sull’attività di bidelli e stazionari a Padova nel Duecento si vedano anche i datiraccolti in S. BORTOLAMI, Studenti e città nel primo secolo dello Studio padovano, inStudenti, Università, città nella storia padovana. Atti del Convegno, Padova, 6-8 feb-braio 1998, a cura di F. PIOVAN - L. SITRAN REA, Trieste 2001 (Contributi alla storiadell’Università di Padova, 34), pp. 3-27, in particolare pp. 20-21, nota 61.

129 GARGAN, Libri, librerie e biblioteche cit., pp. 221-246. Per Bologna i bidelli-sta-zionari sono documentati con sicurezza dalla fine del XIII secolo: il 18 agosto 1299 ilbidellus della facoltà di medicina Puccio di Nocera si impegnò a procurarsi e a tenere inbuono stato diverse peciae e “de ipsis copiam facere unicuisque scholari dicteUniversitatis petenti et volenti”: C. PIANA O.F.M., Nuovi documenti sull’Università diBologna e sul collegio di Spagna, I, Bologna 1976 (Studia Albornotiana, 26), p. 27;MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 117-118, n. XXXVII; per altretestimonianze bolognesi trecentesche e di inizio Quattrocento cfr. anche ivi, pp. 127-128, n. XLIII; pp. 159-160, n. LIX.

130 M. BILLANOVICH DAL ZIO, Bidelli, cartolai e miniatori allo Studio di Padova nelsecolo XV, in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 4 (1973), pp. 59-72;G. BILLANOVICH, Il testo di Livio. Da Roma a Padova, a Avignone, a Oxford, in «Italiamedioevale e umanistica», 22 (1989), pp. 78-86; L. GARGAN, «Extimatus per bidellumgeneralem Studii Papiensis». Per una storia del libro universitario a Pavia nel Tre eQuattrocento, in Per Cesare Bozzetti. Studi di letteratura e filologia italiana, a cura diS. ALBONICO ET AL., Milano 1996, pp. 19-36. Nella Venezia della prima metà delTrecento con il termine “bidellus” si indicava il libraio pubblico: ID., Cultura e arte nelVeneto al tempo del Petrarca, Padova 1978 (Studi sul Petrarca, 5), pp. 66-67, con biblio-grafia. In generale, per il bidello nelle università nel Medioevo cfr. A. I. PINI, Per unastoria sociale dell’Università: i bidelli bolognesi nel XIII secolo, in «Annali di storiadelle Università italiane», 1 (1997), pp. 43-75.

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vante profilo culturale e sociale, il bidello generale aveva anche l’im-portante compito di presenziare agli “examina publica et conventuspublici”, come stabilivano gli statuti dell’universitas iuristarum di Paviadel 1395131. La vicinanza testuale dell’item degli exemplatores a quellodei due bidelli nella convenzione del 1228 potrebbe a questo propositonon essere casuale. I bidelli, che godevano degli stessi privilegi dispostiper gli studenti, erano probabilmente destinati l’uno alla facoltà di dirit-to, l’altro a quella medico-artista132.

Tornando alla produzione libraria secondo il sistema dell’exemplar epecia, che ebbe il periodo di maggiore diffusione dalla metà del secoloXIII fino al primo quarto del successivo, troviamo ancora un cenno allostazionario tra gli articoli relativi allo Studio di Vercelli trasmessi neglistatuti comunali del 1341, nei quali si ricordano anche esplicitamente ilibri tra i beni degli studenti esentati dai diritti di pedaggio:

Et similiter unus stazonerius, qui habeat et teneat conti-nue in sua stazone pecias bene correctas in omnibus scien-tiis et facultatibus suprascriptis ad prestandum et como-dandum pro competenti remuneratione omnibus scribere etexemplare volentibus133.

Quod scholares pedagia non solvant. Item quod schola-res vel eorum nuncii et famuli pedagia non solvant indistrictu Vercellarum, et hoc intelligatur de eorum libris etpannis et aliis rebus eisdem necessariis134.

131 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 270-271, n.465: “Item teneantur bidelli generales singulis annis scribere quot conventus et exami-na et qui doctorati et qui examinati fuerint illo anno et presentare singulis annis sindicisuniversitatis”.

132 Presso l’Università di Padova nei secoli XIV e XV erano attivi due bidelli gene-rali, uno per la facoltà giurista, l’altro per quella medico-artista, mentre i teologi impie-gavano il bidello di quest’ultima facoltà: A. SOTTILI, Lauree padovane (1451-1470) epavesi (1450-1475), in «Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche»,4 (1997), pp. 167-194, in particolare p. 188. Accanto ai bidelli generali, dal Trecento inavanti si trova in diversi statuti universitari la nomina di un bidello ‘di facoltà’, gene-ralmente chiamato ‘bidellus specialis’.

133 Hec sunt statuta cit., c. LXIr-v.134 Hec sunt statuta cit., c. LXIv.

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Lo stationarius era tenuto ad avere nella propria bottega “peciasbene correctas in omnibus scientiis et facultatibus”, da concedere in pre-stito, dietro compenso, a colui che desiderava trarne una copia. In que-sti statuti lo stazionario è uno solo, ma i testi che era tenuto ad averenella sua bottega dovevano riguardare tutte le facoltà attive. Questaapertura non sembra essere una generica disposizione e può indicareuno stato di salute dello Studium: osservando il capitolo relativo allostationarius nel Liber reformationum del comune di Modena, del 1327,troviamo solo l’obbligo di avere nella statio testi di diritto civile e cano-nico135, sebbene di lì a poco venissero attivati insegnamenti di medici-na, come dimostra la nomina a tale cattedra, il 13 maggio 1329, di Pietrodella Rocca, poi medico di Giovanni e Carlo di Boemia, in occasionedella designazione del corpo docente dello Studio deliberata dal consi-glio comunale di Modena136.

Non possediamo dati chiari sulla reale dimensione del mercato libra-

135 “Quod unus stationarius habeatur qui habeat exempla in iure civili et canonico.Rubrica CLXIII. Ordinamus quod unus stationarius esse debeat in civitate Mutine, quihabeat omnia et singula exempla in iure civili et canonico et summe notarie tam in testuquam in apparatu bona et bene corecta cum additionibus omnibus et singulis prout suntin studio Bononie et procuret habere et tenere pecias speculi, leture Cini ‹et› Innocentiibonas et bene correctas et posit acipere de qualibet pecia testus quatuor denarios et depecia glosarum sive apparatus quinque denarios, et de peciis speculi, Cini et Innocentiisex denarios, et habeat pro suo salario in anno quindecim libras a comuni Mutine et sitexemptus ab omnibus cavalchatis et andatis, et massarius generalis tenetur ei solveredictum salarium ante festum nativitatis sine eius preiudicio et gravamine de quacumquepecunia comunis, pena centum solidorum Mutine, eidem auferenda de sua propria pecu-nia si fuerit negligens in solvendo, et sit precisum”: T. SANDONNINI, Di un codice del XIVsecolo e dell’antico Studio modenese, in «Rassegna per la storia dell’Università diModena e della cultura superiore modenese», I, Modena 1929 (Appendice all’Annuariodella R. Università di Modena per l’a.a. 1928-1929), pp. 90-129, in particolare pp. 119-120; per gli statuti del comune di Modena del 1327: C. CAMPORI, Statuta civitatisMutinae, Parma 1864 (Deputazione di Storia Patria Modenese. Monumenti di StoriaPatria, Serie degli Statuti, 1).

136 MOR - DI PIETRO, Storia dell’Università di Modena cit., I, pp. 22-24. Per la pro-duzione e la circolazione libraria a Modena per tutto il Trecento cfr. SANDONNINI, Di uncodice del XIV secolo cit., pp. 123-129; F. SOETERMEER, A propos d’une famille de copi-stes. Quelques remarques sur la librairie à Bologne aux XIIIe et XIVe siècles, in ID.,Livres et Juristes au Moyen Âge cit., pp. 95-148, già pubblicato in «Studi medievali», s.III, 30 (1989), pp. 425-478.

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rio universitario vercellese. È noto un interessante contratto di impegno,stipulato a Bologna il 6 settembre 1270, per il trasporto a Vercelli di uncarico di manoscritti universitari137. Si tratta di tredici libri, praticamen-te l’intero corpus dei due diritti, e di ogni volume viene fornita la stima:tre volumi del Decretum (stimati 160, 45 e 30 lire bolognesi), un Codex(25 lire), due volumi del Digestum vetus (42 e 10 lire), due volumi diDecretales (45 e 40 lire), una Summa Decretorum di Uguccione daPisa138 (70 lire), un Digestum novum (50 lire), un Volumen (25 lire), unInfortiatum (18 lire) e una Summa super titulis Decretalium di Enrico daSusa (65 lire), testo quest’ultimo che ebbe una straordinaria diffusione,soprattuto nei circuiti librari universitari, attraverso il sistema dellapecia139. Il banchiere Anselmo de Clarentis de Pistorio si impegnò conPietro Borneti a portare i libri a Vercelli a proprie spese, e a restituire inquesta città al Borneti, entro due mesi dalla data del contratto di impe-gno, i volumi o il corrispettivo del loro valore stimato.

I libri erano destinati alla vendita a privati o, più probabilmente, indi-rizzati alle stationes vercellesi: questo invio di codici da Bologna indi-cherebbe così un elemento di vivacità dell’istituzione universitaria e,contemporaneamente, potrebbe anche rivelare una certa incapacità delmercato librario vercellese a far fronte alle richieste di testi da parte

137 Chartularium Studii Bononiensis cit., XIV, Bologna 1981, pp. 178-179, nn.381-382.

138 “Item Sumam Uguicionis”: L. PROSDOCIMI, La ‘Summa Decretorum’ diUguccione da Pisa: studi preliminari per una edizione critica, in «Studia Gratiana», 3(1955), pp. 349-374; ID., I manoscritti della ‘Summa Decretorum’di Uguccione da Pisa.I. Iter germanicum, ivi, 7 (1959), pp. 251-272 (pp. 268-272 excerpta); A. M. STICKLER,Problemi di ricerca e di edizione per Uguccione da Pisa e nella decretistica classica, inCongrès de droit canonique médiéval. Louvain et Bruxelles, Louvain 1959(Bibliothèque de la Revue d’histoire ecclésiastique, 33), pp. 111-128.

139 “Item Somam domini Archiepiscopi”. Su Enrico da Susa detto l’Ostiense, tra icanonisti più importanti del secolo XIII, limito il rimando a K. PENNINGTON, Enrico daSusa, in Dizionario biografico degli Italiani, XLII, Roma 1993, pp. 758-763; per la dif-fusione testuale della Summa super Decretalibus cfr. ID., A “Quaestio” of Henricus deSegusio and the textual tradition of his “Summa super Decretalibus”, in «Bulletin ofMedieval Canon Law», 16 (1986), pp. 91-96; M. BERTRAM, Handschriften der Summedes Hostiensis mit der “Questio” am Ende, ivi, pp. 91-97; F. SOETERMEER, ‘Summaarchiepiscopi’ alias ‘Summa copiosa’. Some Remarks on the Medieval Editions of theSumma Hostiensis, in «Ius Commune», 26 (1999), pp. 1-25. Sulla diffusione per peciadell’opera cfr. MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 521-524, n. 476.

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degli studenti. In questo senso acquista una particolare suggestione laproposta di considerare l’identificazione di Pietro Borneti nello stazio-nario bolognese che lasciò la sigla “Bur” su una pecia del manoscrittoora 4-6 dell’Archivo y Biblioteca Capitular di Toledo, che trasmette laGlossa ordinaria in Decretales di Bernardo da Parma140.

Dalle fonti d’archivio non emergono dati sull’attività di scriptoresattivi per lo Studio, né in questo senso aiutano le ricognizioni presso ifondi manoscritti delle biblioteche. Si può supporre che, accanto all’atti-vità delle stationes formalizzate negli statuti cittadini, alla copia di codi-ci si dedicassero anche scribi non professionisti, come gli stessi studentio personaggi di una certa cultura che integravano con la trascrizione leentrate provenienti da professioni legate in qualche modo alla scrittura,ad esempio il notariato o la docenza nelle scuole cittadine e la rete direlazioni gravitanti intorno a esse141. Per quest’ultimo ambiente può forsevalere come riferimento per i decenni precedenti, e posto in connessionecon il mercato librario universitario, la pratica di amanuense di Antoniode Raxinis, il quale, negli ultimi anni del Trecento, trasse un notevoleprofitto dalla copia di codici, poi da lui venduti, e dall’insegnamentopresso la scuola del magister Antonio de Cabaliacha, impiegando i pro-venti di queste attività nella cura della chiesa vercellese di S. Pietro dellaFerla, di cui era rettore. I manoscritti noti esemplati dalla mano diAntonio de Raxinis, la cui irregolarità e ineleganza lo qualificano

140 Al f. 154rb, in corrispondenza della fine del II libro: A. GARCÍA Y GARCÍA - R.GONZALVEZ, Catálogo de los Manuscritos jurídicos medievales de la Catedral deToledo, Madrid 1970 (Cuadernos del Istituto jurídico Español, 21), pp. 5-6;SOETERMEER, A propos d’une famille de copistes cit., pp. 107, 131, 137-138; G.MURANO, La lista delle opere peciate nel manoscritto Leipzig, Universitätsbibliothek,930, in «Rivista internazionale di diritto comune», 12 (2001), pp. 289-346; EAD., Operediffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., p. 366, n. 296.

141 Un vercellese, probabilmente uno studente, nel 1444 esemplò a Padova la miscel-lanea di diritto canonico - ora Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana, Vat.lat. 5925, nella quale, tra altri testi, è trasmessa la Repetitio c. Perpendimus (X 5.39.23)di Francesco Zabarella (ff. 50ra-67ra) - per uno studente legista, come risulta dalle noteal f. 49vb: “Deo gratias. Inceptus ultima die decembris ac finitus XXa ianuariiMoCCCCoXLIIII” e al f. 67ra: “[…] Explicit repetitio c. Perpendimus de sen. ex. domi-ni Francisci Zabarellae utriusque iuris doctoris, confecta in felici Studio Paduano etc.scripta per B. de Vercellis ad usum venerabilis legum scolaris Ludovici deYpoc‹…ubus›”. Sul codice cfr. P. O. KRISTELLER, Iter Italicum, vol. II, London-Leiden1967, p. 336.

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certamente come copista non di professione, sono tutti però di argomen-to liturgico142.

Notevoli fondi librari giunsero certamente a Vercelli da realtà ester-ne alla città. È interessante l’elenco di libri riportato nel f. 50v del mano-scritto ora presso la Biblioteca Capitolare di Vercelli, Cod. CLXXVI,nel quale è trasmesso, di mano dell’inizio del XIII secolo, la Summasuper Decretalibus di Bernardo da Pavia e il Tractatus de violento pos-sessore di Pillio da Medicina. Negli ultimi quattro fogli è tràdito unimportante formulario notarile, con una parziale documentazione delleExceptiones Petri, che segue le lezioni del cosiddetto Libro diTubinga143. Il corpus di venticinque codici registrati rappresenta unapiccola biblioteca completa, che comprende buona parte del corpusiuris civilis e canonici, con corredo di commenti, oltre a testi teologicie trattati di artes liberales e di medicina144.

La tipologia dell’elenco di libri, nel quale è registrata anche la stessa

142 In un atto del 4 marzo 1390, il sacerdote Pietro de Guischis dichiarò di conosce-re bene lo stato di povertà della chiesa di S. Pietro della Ferla perché “iam diu stetit ipsetestis pro clerico cum ipso presbitero Antonio […] et consideratis ipsis redditibus nonpotuisset vivere cumdecenter cum uno clerico, sed ipse presbiter Antonius multa fuitlucratus in scribendo libros et in faciendo cartas et in docendo in scolis condam magi-stri Antonii de Cabaliacha”: Archivio Capitolare di Vercelli, Atti privati, cartella LIII.Nel suo testamento del 23 agosto 1404, Antonio de Raxinis lasciò alla sua chiesa “unumumbreviarium magnum scriptum manu dicti testatoris”: Archivio Capitolare di Vercelli,Statuti capitolari, cartella XCII. Per Antonio de Raxinis cfr. D. ARNOLDI, Vercelli vec-chia e antica, a cura di G. TIBALDESCHI, Vercelli 1992, pp. 50-51, 100-102; per codicida lui esemplati cfr. G. FERRARIS, Le necessarie premesse allo studio sui “Gualdi” e“Guazzi”, in «Bollettino storico per la Provincia di Novara», 79 (1988), pp. XXVII-XXVIII; ID., Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli cit., pp. 148-150.

143 Sul codice cfr. R. PASTÈ, Un Codice dell’Archivio Eusebiano e le visioni dei regnioltremondani, in «Archivio della Società Vercellese di Storia e d’Arte», 4 (1912), fasc.2, pp. 525-529; ID., Vercelli. Archivio capitolare cit., p. 120; I. SOFFIETTI, Testi giuridi-ci e formule notarili e giudiziarie nel codice 176 dell’Archivio Capitolare di Vercelli, in«Rivista di storia del diritto italiano», 51 (1978), pp. 5-40; ID., Problemi relativi al nota-riato vercellese, in Vercelli nel secolo XIII cit., pp. 65-79; C. G. MOR, Osservazioni sulformulario del codice 176 della Biblioteca Capitolare di Vercelli, ivi, pp. 17-25; P.WEIMAR, Zur Renaissance der Rechtswissenschaft im Mittelalter, Goldbach 1997, pp.365-366.

144 Sulla lista di libri si veda da ultimo C. SEGRE MONTEL, Codici dispersi e fram-menti ritrovati: sulle tracce dei libri di S. Maria di Testona e S. Maria di Moncalieri, inIl rifugio del vescovo. Testona e Moncalieri nella diocesi medievale di Torino, a cura diG. CASIRAGHI, Torino 1997 (I florilegi, 11), pp. 119-159, in particolare pp. 120-126.

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opera di Bernardo da Pavia, induce ad escludere che il fondo librario sia,come ipotizzato da Gabotto, il gruppo di quindici manoscritti sottrattialla chiesa di Testona dai Chieresi nel corso dei violenti scontri degli anni1232-1233145. La biblioteca sarà piuttosto da assegnare al fondo librariopersonale del prevosto di S. Maria di Testona, come del resto è chiara-mente registrato nello stesso elenco di libri (“Hic sunt libri prepositiTestonensis”). Sulla presenza a Vercelli del manoscritto ora Cod. CLXX-VI conosciamo solo un saldo terminus ante quem posto dalla presenzadel manoscritto nell’inventario della Biblioteca Capitolare redatto nel1426 dal canonico Giovanni de Guidalardis146. L’arrivo nella città pada-na di un testimone della Summa super Decretalibus di Bernardo da Paviapuò essere posta in relazione con la forte richiesta di codici giuridici chegiungeva dagli studenti dello Studium. L’opera del famoso canonista –morto nel 1213, pochi anni prima l’apertura dell’Università di Vercelli –era infatti la prima Summa Decretalium, accolta con grandi consensi perla praticità di lettura da studenti e giudici: il testo generò una serie di imi-tazioni, fino a essere soppiantato, insieme alle altre Summae, da quellacomposta dal cardinale Enrico da Susa147. Degli altri codici censiti nel-

145 F. GABOTTO, La biblioteca del prevosto di Testona al principio del secolo XIII, in«Bollettino storico-bibliografico subalpino», 17 (1912), p. 188. Nel corso delle opera-zioni belliche, i Chieresi sottrassero alla chiesa di Santa Maria di Testona, tra i vari benimobili, “libros etiam, qui in eadem ecclesia erant numero XV”: sulla contesa che oppo-se Testona al comune di Chieri nel 1232 si vedano i documenti raccolti in V. ANSALDI,Cartario della chiesa di Santa Maria di Testona (1194-1300), in Cartari minori, II,Pinerolo 1911 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, XLIII), pp. 118-124, nn.VIII-XVII (la citazione è trasmessa nel libello delle lagnanze del capitolo della chiesadi Santa Maria di Testona contro il comune di Chieri, del 14 dicembre 1232: ivi, p. 119,n. X), e, specie per le proposte di identificazione del prevosto, G. CASIRAGHI, La colle-giata di S. Maria: un tentativo di riforma vescovile, in Il rifugio del vescovo cit., pp. 45-79, in particolare p. 57; sui libri sottratti dai Chieresi alla chiesa di S. Maria di Testonacfr. anche SEGRE MONTEL, Codici dispersi e frammenti ritrovati cit., pp. 126-127.

146 “Item liber summe Bernardi episcopi Faventini super Decretalibus scriptus incarta, sine asseribus, copertus de tela”: FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazio-ni minori a Vercelli cit., p. 266, n. 51. Il codice non è registrato nell’inventario della stes-sa biblioteca steso nel 1361 circa, ma che non fosse presente nel fondo librario non èsicuro poiché questa lista ci è giunta frammentaria: ivi, pp. 261-262.

147 La Summa è edita in E. A. T. LASPEYRES, Bernardi Papiensis Faventini EpiscopiSumma Decretalium, Regensburg 1860 (rist. anast. Graz 1956); su Bernardo da Pavia esulle sue opere cfr. F. LIOTTA, Bernardo da Pavia, in Dizionario biografico degliItaliani, IX, Roma 1967, pp. 279-284.

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l’elenco non si conosce finora la sorte, sebbene almeno una parte deimanoscritti dell’importante fondo librario riteniamo sia giunta a Vercelliinsieme alla Summa Decretalium148.

Alcuni manoscritti arrivarono a Vercelli tra i bagagli di studenti chestudiarono in altre città universitarie, e continuarono a essere testi di stu-dio per decenni. Un gruppo di codici, in buona parte teologici, giunserocertamente da Parigi tra la fine del XII secolo e i primi decenni delDuecento149. Altri manoscritti giuridici trecenteschi conservati nellaBiblioteca Capitolare di Vercelli presentano decorazioni e miniature cheli classificano come prodotti extracittadini, perlopiù di area bolognese.Uno di questi, come testimoniano le sue miniature di scuola bolognese,è l’elegante manoscritto trecentesco delle Decretales, ora Cod. V dellaBiblioteca Capitolare di Vercelli, legato dall’arcidiacono della cattedra-le Martino da Bulgaro al capitolo e alla chiesa di Vercelli negli anni cin-quanta del XIV secolo150. Nel f. 1v del manoscritto l’arcidiacono ricor-da la sua donazione di codici, reliquiari e altri preziosi beni al capitolocattedrale, tra i quali un “pulcerrimus Sextus glosatus”151.

I legati sono ancora registrati nel suo necrologio e nel testamento del

148 Mi sto occupando di questo inventario librario all’interno di una ricerca in corsosul capitolo cattedrale di Torino in età bassomedievale.

149 Cfr. da ultimo S. CASTRONOVO - A. QUAZZA, La Biblioteca del Capitolo vercelle-se, in A. QUAZZA - S. CASTRONOVO, Biblioteche e libri miniati in Piemonte tra la finedel XII e il primo terzo del XIV secolo: alcuni percorsi possibili, in Gotico in Piemonte,a cura di G. ROMANO, Torino 1992, pp. 273-280.

150 Catalogo delle cose d’arte e di antichità d’Italia. Vercelli, a cura di A. M.BRIZIO, Roma 1935, pp. 106-107; sul codice cfr. anche PASTÈ, Vercelli. Archivio capi-tolare cit., p. 77.

151 f. 1v: “Millesimo trecentesimo quinquagesimo. Iste Decretales sunt venerabilisviri domini Martini de Bulgaro archidiaconi Vercellensis, filii quondam domini Iacobide Bulgaro militis de Vercellis, quas legavit Deo et beato Eusebio et capitulo et ecclesieVercellensis unaa cum uno [la scrittura che segue è cancellata ed è leggibile con diffi-coltà con la lampada di Wood] pulcerrimo Sexto glosato et septimo cum legendis tron-catis pulcerrimis et cum uno corrali ponendos in domo librarie cum bonis cathenis cumBiblia parva pulcerrima de littera parisina coperta de veluto. Item legavit corraliumunum cum pede de argento et lapidibus pendentibus et circumquaque et linguis serpen-tium ponendum super altare in festivitatibus maioribus. Item legavit unum anulum gros-sum ligatum de auro finissimo cum lapidibus carbunculis et saphirinis circumquaquepositis tenendum in thesauro pro anima ipsius domini archidiaconi et suorum parentum.Item et calicem. Quod episcopi qui fuerint pro tempore non possint in predictis aliquidvenditare neque emere vel permutare sive donare”.

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7 febbraio 1362, dove, oltre alle Decretales “magnas et pulcras glosa-tas”, troviamo “Clementinas non glosatas”, certamente un codice diver-so dal Sextus nominato nella nota al f. 1v del Cod. V, che risulta corre-dato da glosse152. Quest’ultimo manoscritto non può essere identificatonelle Clementinae ora Cod. XXI della Biblioteca Capitolare di Vercelli,codice privo di miniature e certamente non “pulcerrimus”, forse prodot-to localmente153; tracce d’uso di questo manoscritto nel secolo seguentesono indicate da una nota apposta dal iuris utriusque doctor LanfrancoAvogadro di Quaregna, che, nella prima metà del Quattrocento, ebbe inprestito il manoscritto154.

Anche lo studio delle note lasciate dai diversi possessori dei mano-scritti, reso spesso difficoltoso dai tentativi di cancellazione operati neidiversi passaggi di mano dei libri, indica provenienze esterne da Vercelli.Il manoscritto della seconda metà del secolo XII ora Cod. CXXVII dellaBiblioteca Capitolare di Vercelli – che trasmette glosse ad Codicem didiverse mani e di età diversa, indicazione di un lungo uso del codice –reca nel recto del foglio di guardia la nota di possesso del priore delmonastero di S. Bartolomeo di Porta Ravennate, importante quartiere

152 Per la donazione di Martino da Bulgaro a favore del capitolo della cattedrale diVercelli cfr. PASTÈ, Donatori di Codici Eusebiani cit., pp. 211-212; MANDELLI, Il comu-ne di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 108-109; FERRARIS, Le chiese “stazionali” dellerogazioni minori a Vercelli cit., p. 128, nota 78; pp. 221-223, nota 338. La salma diMartino de Bulgaro venne deposta nella grande arca sepolcrale in S. Eusebio, destinataalla sepoltura comune dei canonici, il primo settembre 1368: per il suo necrologio cfr.COLOMBO, I Necrologi Eusebiani cit., pp. 362-363, n. 655, dove è appellato “iuris cano-nici peritus”. Tra i codici della Biblioteca Capitolare di Vercelli posseduti da Martino daBulgaro vi è anche il codice liturgico ora Cod. III.

153 Le uniche decorazioni sono i capilettera di colore blu e rosso; la fattura dimessadel codice è evidente anche nel taglio irregolare dei fascicoli pergamenacei. Propongonoinvece, con riserva, l’identificazione con il Cod. XXI sia PASTÈ, Vercelli. Archivio capi-tolare cit., p. 82, sia FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercellicit., p. 221.

154 La nota, nel verso del foglio di guardia incollato al piatto di legno anteriore, ripor-ta: “Hee [sic] Clementine sunt venerabilissimi Capituli Sancti Eusebii et michiLanfrancho de Advocatis iuris utriusque doctori eius advocato comodate. IdemLanfranchus”. Su Lanfranco Avogadro di Quaregna cfr. ARNOLDI, Libro delle investiturecit., pp. 281-282, n. XXV; pp. 287-288, n. XXXI: è documentato come “iuris utriusquedoctor” il 19 giugno 1467, tra i testimoni dell’inventario della biblioteca dell’abbaziavercellese di S. Andrea: TIBALDESCHI, La biblioteca di S. Andrea di Vercelli nel 1467 cit.,p. 68.

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urbano di Bologna (“Prioris sancti Bertolomei de Porta Ravenate”)155; ilpassaggio del codice in area lombarda è indicato da una nota di stimatardo trecentesca, apposta poco sotto (“Codex precii florenorum VIII”).

Acquisire dati sulla circolazione libraria permette di tracciare profiliculturali e percorsi di studio di personaggi appartenenti ad ambiti profes-sionali, come il notariato, che prevedevano una formazione nel campo deldiritto. Antonio Gallo da Fontaneto, notaio attivo a Vercelli negli anni ses-santa del Trecento, ebbe un rapporto privilegiato con la canonica di S.Andrea di Vercelli, presso cui, come sappiamo dal suo testamento del 9luglio 1361, fissò la sua sepoltura. Al testamento fa seguito l’inventario deibeni mobili del testatore, tra i quali sono elencati i suoi libri156. La stima deimanoscritti, che trasmettono testi legati alla professione notarile, è piutto-sto bassa, indicazione che erano codici d’uso quotidiano, di fattura essen-ziale: oltre a un’opera di diritto non precisata, probabilmente leInstitutiones (“Item librum I institute legum vetus”, stimato “circa librarumVIII”), troviamo la prevedibile Rolandina, cioè la Summa artis notariae diRolandino Passeggeri, unita al Flos ultimarum voluntatum dello stessoRolandino (“Item summam I Rolandinam cum flore testamentorum”, sti-mata “librarum VIII”) – testo particolarmente utile negli anni di peste incui si trovò a rogare Gallo, che era ancora piuttosto giovane quando dettòle ultime volontà157 – e, sempre di Rolandino, l’Aurora (“Item librum I

155 Su questo quartiere, particolarmente importante per l’attività della corporazionedei campsores, la società che raccoglieva gli operatori attivi nell’area del prestito inambiente pubblico, si veda R. GRECI, Ascesa e declino di una famiglia mercantile due-centesca: i Principi, in ID., Mercanti, politica e cultura nella società bolognese delbasso medioevo, Bologna 2004, pp. 1-52 passim, già edito con il titolo Una famigliamercantile nella Bologna del Duecento: i Principi, in Spazio, società, potere nell’Italiadei comuni, a cura di G. ROSSETTI, Napoli 1986, pp. 105-141; G. ALBERTANI, Traffico didenaro nelle grandi città. Il prestito cristiano a Bologna tra Due e Trecento, tesi diDottorato di Ricerca in Storia Medievale, XX ciclo, anno 2008, relatore M. G.MUZZARELLI. Sul codice ora vercellese cfr. DOLEZALEK, Repertorium manuscriptorumveterum Codicis Iustiniani cit., I, pp. 442-443.

156 Una copia del suo testamento venne copiata da Gallo in un protocollo - oraArchivio Storico del Comune di Vercelli, prot. 1348 [n. 1178], ff. 31r-35r - nel quale sonotrasmessi atti rogati nell’anno 1361; il testamento e l’inventario dei beni del notaio sonoediti in COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., pp. 160-166.

157 Al momento del testamento la madre Agnese è ancora viva, incaricata, con lamoglie del notaio Franceschina, di essere tutrice dei figli di Gallo e dei possibili nasci-turi: COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 160.

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Aurore super contractibus”, stimato “librarum II”)158. Nell’inventario que-sto codice risulta essere conservato in un baule (“in scrineo”) collocatonella canonica di S. Andrea, “super camera scriptorie”, indicazione dell’e-sistenza nell’abbazia di un locale preposto alla copia159.

Sempre per il curriculum dello studente di ars notaria, possiamo sof-fermarci brevemente su un codice delle Institutiones, passato poi allaBiblioteca Capitolare di Vercelli con la segnatura Cod. XIV, che ci per-mette di conoscere alcuni dati sul soggiorno in Bologna di studenti ver-cellesi, particolarmente illustrato da una serie di note che affollano ilmanoscritto160. Nell’interno del piatto ligneo superiore è riportata una

158 La distribuzione delle opere di Rolandino indicata nell’inventario di AntonioGallo induce a escludere una relazione tra queste e la Summa artis notariae trasmessanel codice, databile al primo Trecento, ora presso la Biblioteca Capitolare di Vercelli,Cod. CVI, perché in questo manoscritto la Summa (ff. 1r-58r) precede l’Aurora diRolandino (ff. 59r-87r) e l’Aurora novella di Pietro Boattieri (ff. 87v-139v). Questomanoscritto, che non presenta note di possesso, è registrato nell’inventario dellaBiblioteca Capitolare redatto nel 1426 dal canonico Giovanni de Guidalardis (“Itemliber Summe magistri Rolandini scriptus in carta cum duobus asseribus copertus decorio albo et in fine libri descriptum est explicit aurora novella”): FERRARIS, Le chiese“stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli cit., p. 267, n. 85.

159 Su Rolandino Passeggeri limito il rimando a R. NAZ, Passeggeri Rolandino, inDictionnaire de droit canonique cit., VI, pp. 1251-1253; Rolandino 1215-1300. Alle ori-gini del notariato moderno. Bologna, Museo Civico Medievale, 12 ottobre-17 dicembre2000, a cura di G. TAMBA, Bologna 2000; Rolandino e l’ars notaria da Bolognaall’Europa. Atti del convegno internazionale di studi storici sulla figura e l’opera diRolandino (Bologna, 9-10 ottobre 2000), a cura di G. TAMBA, Milano 2002 (Per la sto-ria del notariato nella civiltà europea, 5). Sull’Aurora in particolare si veda G.ORLANDELLI, Osservazioni sul codice farfense 28 della Biblioteca Nazionale Centrale diRoma, in Paleographica, Diplomatica et Archivistica. Studi in onore di Giulio Battelli,I, Roma 1979 (Storia e Letteratura. Raccolta di Studi e Testi, 139), pp. 305-313; ID.,Sulla produzione libraria bolognese e parigina nel secolo XIII e sulla data dell’Auroradi Rolandino, in ID., Scritti di paleografia e diplomatica, a cura di R. FERRARA - G. FEO,Bologna 1994 (Istituto per la storia dell’Università di Bologna. Opere dei maestri, 7),pp. 485-492, già pubblicato in «Atti della Accademia delle Scienze dell’Istituto diBologna. Classe di Scienze Morali. Rendiconti», 70 (1981-1982), pp. 103-108; A.GRAZIA, Ricerche sull’Aurora di Rolandino e sulla ‘Lectura notarie’, in «Strenna stori-ca bolognese», 34 (1984), pp. 181-201; M. BERTRAM, I manoscritti delle opere diRolandino conservati nelle Biblioteche italiane e nella Biblioteca Vaticana, inRolandino e l’ars notaria da Bologna all’Europa cit., pp. 683-718; E. MARMOCCHI,L’Aurora: Rolandino oltre l’Ars notaria, ivi, pp. 667-680.

160 Sul codice cfr. DOLEZALEK, Verzeichnis der Handschriften zum römischen Rechtbis 1600 cit., II, s. v.

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nota di possesso dell’arciprete della chiesa di S. Nazario di Quinto,apposta anni dopo l’arrivo del manoscritto in Vercelli, e alcune registra-zioni di pagamenti risalenti alla tappa bolognese del codice, datateall’anno 1346161. Nel recto del foglio di guardia troviamo ancora alcunenote di contabilità e la data dell’arrivo a Bologna, nel dicembre 1342,dello studente che entrò in possesso del manoscritto162. Interessante perla biografia dell’importante giurista Iacopo Bottrigari, poco nota per gliultimi anni della sua vita, è la notizia del deposito del nostro codice oravercellese presso un feneratore abitante nei pressi della domus diBottrigari163. Nell’interno del piatto inferiore sono riportate alcune notedel possessore più tardo del manoscritto, Melchionis de Vercellis, “filiusDominici”, che, nel 1387, è documentato studente a Bologna, doveacquistò il codice per due ducati d’oro164; prima del vercellese, il codi-

161 “Iste liber Instituta est domini archipresbiteri de Quinto dummodo satisfaciat deflorenis VII quos habuit de thesauro”. Più sotto, di mano e inchiostro diversi, le note dipagamento: “millesimo CCC° XLVI, die XXVIIII mensis madii. Ego Bartholomeus deBurgo acepi [sic semper] a Phelippo [sic semper] de Parma sub isto pignore XL solidos.Item acepi a dicto Phelippo die Va mensis iunii XX solidos. Item acepi a dicto Phelippodie X mensis iunii XX solidos”. Al f. 63v, al termine del testo, si legge la nota, in inchio-stro rosso: “Hanc Institutam michi acomodavit dominus magister [segue una rasura]”.

162 “Quando Bononiam veni M°CCCXLII, die VII mensis decembris. In exitu dictimensis veni Bononiam”.

163 “M°CCCXLII, die XI mensis marcii, posui codicem meum apud quemdam fene-ratorem, qui moratur iusta domum domini Iacobi de Butrigariis per XXIIII libras adrationem quatuorum denariorum pro libra”. La mano che appose questa nota non è lamedesima dello studente giunto a Bologna nel dicembre dello stesso anno: probabil-mente quest’ultimo acquistò il manoscritto dal citato feneratore. Sul doctor iuris IacopoBottrigari, che morì di peste a Bologna il 9 aprile 1348 e venne sepolto nella chiesa cit-tadina di S. Francesco, cfr. SAVIGNY, Geschichte des römischen Rechts im Mittelaltercit., VI, Heidelberg 1831 (rist. anast. Darmstadt 1956), pp. 68-70; F. CAVAZZA, Le scuo-le dell’antico Studio bolognese, Milano 1896 (rist. anast. Bologna 1987. Athenaeum,28), pp. 100-101; p. 223, n. XX-XXI; DOLEZALEK, Verzeichnis der Handschriften zumrömischen Recht bis 1600 cit., III, s. v.; A. TOGNONI CAMPITELLI, Bottrigari, Jacopo, inDizionario biografico degli Italiani, XIII, Roma 1971, pp. 498-510.

164 “Iste liber est mei Mel‹chi›onis Dominici de civitate Vercellarum”; “Iste liber est‹Melchionis› filii Dominici †…† de Vercellis studentis Bononie, quem emit pro precioet nomine precii II ducatorum boni aurei et iusti ponderis sub anno Domini millesimo‹tr›ecentessimo octuagessimo septimo, indicione decima de mense septembris”.Melchionis de Vercellis registra anche, in basso, il nome di Carlo Malatesta (“Karolusde Malatestis”), signore di Rimini, che, nel 1387, consolidò i suoi rapporti con GianGaleazzo Visconti: proprio nel mese di settembre di quell’anno papa Urbano IV gli con-ferì il titolo di gonfalone della Chiesa, e probabilmente per questa ragione ne venne

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ce era appartenuto al lombardo Nicolò de Pognana165.Nel recto del secondo foglio di guardia Melchionis de Vercellis,

ormai rientrato in patria, ricorda l’avvio, nel 1390, della sua professio-ne notarile “in palacio comunis Vercellarum”166. Si tratta di una notiziaimportante sull’iter di formazione professionale dei notai vercellesi: l’a-spirante alla carriera notarile non esitava a recarsi a studiare in Bolognaper un tempo non breve, nel caso di Melchionis de Vercellis, come risul-ta dalle sue note, per oltre due anni. Il Liber matriculae dei notai diVercelli offre alcune coordinate biografiche a questo personaggio:Melchiorre Avogadro di Quaregna, registrato nel Liber il 2 giugno 1397,è il secondo del gruppo di trentasei notai che aprirono la matricola167.

Un importante fondo librario di un ecclesiastico attivo a Vercelli èquello appartenuto a Manuele Fieschi dei conti di Lavagna, canonico diYork e cappellano papale, poi vescovo di Vercelli dal 1343 alla suamorte, avvenuta nel 1348168. Il 27 giugno di quest’ultimo anno Manueledettò il suo testamento a Milano, nella camera dell’arcivescovoGiovanni da Milano “iuxta claustrum sancti Ambroxii Mediolanensis”,stabilendo di essere tumulato alla cappella della Madonna, nella catte-drale di S. Eusebio di Vercelli, di cui aveva disposto l’edificazione e la

riportato il nome dallo studente vercellese nel suo codice (poco più in alto viene ancheannotato “Galeaz Vicecomes”): A. FALCIONI, Malatesta (de Malatestis), Carlo, inDizionario biografico degli Italiani, LXVII, Roma 2007, pp. 17-21.

165 Nell’interno del piatto inferiore: “Iste liber legis est Nicholoxii de Pognana”.166 “Anno domini MCCCLXXXX, indicione XIIIa de mense ianuarii incepi exerce-

re officium notarii in palacio comunis Vercellarum ad banchum Ursi”. Poco sotto, forsela stessa mano, impiegando un identico inchiostro, annota: “Iste liber Institutionum estmei Melchionis” e “Iste liber Institutionum est mei Melchionis de Vercellis”. Si leggeanche, in alto, una annotazione di altro scriba datata marzo 1332, e una probatio calamiche registra l’anno 1371.

167 F. 1r: “Ego Melchior, filius domini Dominici de Advocatis de Quinto, publicusimperiali auctoritate notarius ac civis et notarius Vercellensis, habitans Vercellis in vici-nia Sancti Bernardi, millesimo trecentessimo nonagesimo septimo, indicione quinta, diesecundo mensis iunii, intravi collegium notariorum comunis Vercellarum et me propriamanu in presenti notariorum matricula subscripsi signumque meum tabelionatus officiiconsuetum apposui”. Il Liber matriculae dei notai di Vercelli, edito a cura di A.OLIVIERI, è consultabile in rete all’indirizzo http://scrineum.unipv.it/LM/home.html.

168 F. UGHELLO, Italia sacra sive de episcopis Italiae et insularum adjacentium, IV,Venetiis 1719, col. 804; EUBEL, Hierarchia Catholica cit., I, p. 552; per documenti rela-tivi a Manuele Fieschi e ad altri membri della sua famiglia in Vercelli e Biella cfr.BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., III, pp. 120-121 s.

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dotazione169. L’11 novembre 1348 Papiniano Fieschi, “commissarius etsubexecutor camere Sedis apostolice” per la raccolta e il recupero deibeni e crediti del vescovo defunto, nominò suo procuratore generaleGiacomo de Magio di Biella, il rettore della chiesa di S. Maria diMiralda, presentando, il 13 dicembre successivo, il dettagliatissimo ren-diconto delle spese sostenute per la successione di Manuele170.

Alla morte di Manuele Fieschi i beni vennero quindi incamerati dallaSanta Sede per ius spolii: a partire dal pontificato di Clemente IV infat-ti la Camera apostolica esercitò il diritto di prelevare gli spolia apparte-nuti ai prelati morti apud Sedem apostolicam, anche quando i defuntiavevano lasciato un testamento. Dal Trecento, tuttavia, la Santa Sederiservò per il tesoro papale anche i beni ecclesiastici di vescovi e abatideceduti extra curiam: in questo caso si dava incarico a un collettore diraccogliere i beni mobili, di cui veniva redatto un inventario171. DelFieschi conosciamo l’inventario dei beni eseguito dalla Camera per glispogli il 23 gennaio 1353, conservato in triplice redazione nei RegistraAvenionensia172. I quarantasette manoscritti registrati compongono unpatrimonio librario caratterizzato da una forte prevalenza del diritto, aconferma della preparazione dei vescovi vercellesi in utroque iure: ildiritto canonico è rappresentato dal Corpus iuris canonici completo edai più importanti apparati173, mentre, per lo ius civile, Manuele posse-deva buona parte del Corpus iuris civilis174. Sono anche numerosi i testiper la liturgia e la predicazione175; per la sezione filosofica e teologica,

v. Flischo (de). Sui Fieschi limito il rimando, da ultimo, a G. PETTI BALBI, Governare lacittà. Pratiche sociali e linguaggi politici a Genova in età medievale, Firenze 2007.

169 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXXI (1337-1338).170 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXXI (1337-1338).171 Sul diritto di spoglio cfr. A. PARAVICINI BAGLIANI, Le biblioteche curiali duecente-

sche, in Libri, lettori e biblioteche dell’Italia medievale (secoli IX-XV). Fonti, testi, utiliz-zazione del libro. Atti della tavola rotonda italo-francese (Roma, 7-8 marzo 1997), a cura diG. LOMBARDI - D. NEBBIAI DALLA GUARDA, Roma 2000 (Istituto Centrale per il CatalogoUnico delle Biblioteche Italiane - Documents, Études et Répertoires publiées par l’Institutde Recherche et d’Histoire des textes, 64), pp. 263-275, con ulteriore bibliografia.

172 Archivio Segreto Vaticano, Registra Avenionensia, reg. 122, ff. 202v-203v; reg.125, ff. 215v-216v; reg. 127, f. 298r-v: per l’edizione dell’inventario cfr. Appendice, 2.

173 Appendice, 2, nn. 5-7, 10, 12, 14, 17, 21, 28, 30, 32, 33, 35, 37-40, 42, 45.174 Appendice, 2, nn. 27, 31, 34, 43.175 Appendice, 2, nn. 1-4, 8, 9, 11, 15, 19, 20, 22-24.

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accanto a un più consueto Boezio (De consolatione philosophiae)176,troviamo l’intera Summa theologiae di Tommaso d’Aquino177; la patri-stica è presente con i Dialogi e i Moralia di s. Gregorio Magno178. Nelfondo librario è anche citato il diffusissimo Thesaurus pauperum,manuale di ricette mediche composto alla metà del XIII secolo da PietroIspano, poi papa Giovanni XXI179.

È possibile ricostruire l’origine di una parte della biblioteca diManuele Fieschi. Nel 1336 venne redatta ad Avignone una stima del ric-chissimo corpus librario del cardinale Luca Fieschi, composto danovantotto libri, di cui ottantanove stimati per un totale di 1361 fiorini.La biblioteca venne in parte alienata dal canonico di Liegi Antonio deBugella, agente degli esecutori testamentari180: gli acquirenti del fondoandato in vendita furono perlopiù membri della famiglia, tra cuiManuele Fieschi, che, nel settembre 1336, acquistò alcuni testi per laliturgia e per la predicazione, oltre a un “Decretum cum apparatu”181.

A proposito dei testi di diritto civile di Manuele Fieschi, tutte le regi-strazioni portano la nota “extractum pro nepotibus”182: secondo una pra-

176 Appendice, 2, n. 16.177 Appendice, 2, nn. 18, 44, 46, 47.178 Appendice, 2, nn. 13, 29.179 Appendice, 2, n. 25.180 Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon, I, publ. par D.

WILLIMAN, Paris 1980, pp. 125-134, n. 336.1. Di particolare interesse sono i libri di dirit-to canonico, tra i quali troviamo le Decretales con apparato, quest’ultimo forse auto-grafo dello stesso autore Sinibaldo Fieschi, poi Innocenzo IV.

181 “Item, die lune 9 mensis septembris, dominus Manuel de Flisco, domini papenotarius, emit 1 Bibliam, mediocris voluminis, copertam de velluto rubeo, extimatam flo-renos 30. Item 1 Decretum cum apparatu, copertum corio viridi, extimatum florenos 36.Item 1 Cronicam glosatam, parvi voluminis, extimatam florenos 2. Pro quibus omnibussolvit florenos 68. […] Item, die Mercurii 11 septembris, emit dominus Manuel de Flisco,domini pape notarius, Sermones diversorum predicatorum, qui incipit in 2a col. 1e pag. //et cum magna, extimatos florenos 3, pro quibus solvit florenos 3. Item, eodem die, idemdominus Manuel emit Concordantias Biblie antiquas, que incipit in 2a col. 1e pag. //.IX.a., extimatas florenos 4, quos solvit florenos 4”: quest’ultimo codice lo ritroviamonello spoglio per il tesoro papale dei libri di Manuele Fieschi (cfr. Appendice, 2, n. 19).

182 Appendice, 2, nn. 27, 31, 34. Tra i codici di diritto canonico, uno (n. 14) restò cer-tamente nella biblioteca papale, ed è l’attuale Città del Vaticano, Biblioteca ApostolicaVaticana, Borg. 288: A. MAIER, Handschriftliches zum «Opus metricum» Stefaneschis,in «Italia medioevale e umanistica», 10 (1967), pp. 111-141, in particolare pp. 137-138;sul codice cfr. anche H. DONDORP, Review of Papal Rescripts in the Canonists’

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tica piuttosto consueta, infatti, si destinavano i testi giuridici per la for-mazione dei nipoti, perlopiù ecclesiastici183. Nel caso di Manuele, tra inipoti che fruirono dei codici va ricordato certamente Papiniano Fieschi– suo vicario generale e iuris peritus, figlio di Gabriele, conte diLavagna – il quale definì Manuele, zio paterno, “dominus suus etpatruus” nel testamento rogato a Genova il 2 settembre 1361184. Proprioin successivi codicilli del testamento di Papiniano si trovano le disposi-zioni dettate da Manuele Fieschi, di cui il nipote fu esecutore testamen-tario, per la fondazione a Bologna di un collegio a favore di sei studen-ti pauperes delle famiglie Fieschi, elemento indicatore della sensibilitàper il mondo universitario posseduta dal vescovo vercellese185.

5. In terra aliena. La cessazione delle attività dello Studium generale diVercelli

Con il passaggio dalle istituzioni comunali a quelle signorili-princi-pesche, gli Studia conobbero generalmente fasi di espansione. Nei primidecenni di dominazione i Visconti non attuarono una chiara politica uni-

Teaching, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, KanonistischeAbteilung», 76 (1990), pp. 172-253, in particolare pp. 232-234.

183 Per l’area vercellese segnalo a questo proposito la piccola biblioteca lasciata dalcanonico di S. Stefano di Biella Ardicio de Codecapra de Bugella, “filius quondamOtonis”, nel suo testamento datato 26 settembre 1399: Archivio Arcivescovile diVercelli, Fondo Bonomio, Investiture, mz. 1, ff. LXIIIv-LXVIr. Il canonico legò al patri-monio della sua famiglia, con il divieto di alienarli, “unum breviarium in quo contine-tur divinum officium”, “psalterium parum”, “musicam notatam” e un “Albertanumlibrum morale”, un’opera non identificabile di Albertano da Brescia (f. LXVv). Nel casoqualche parente avesse intrapreso gli studi, “dictos libros tenetur in ussum suum in vitasua”, avendo cura di disporne la restituzione agli eredi di Ardicio.

184 Una copia, tratta il 13 maggio 1407, è conservata in Archivio Capitolare diVercelli, Atti di vescovi, cartella XXI (1330-1361). Morì in Genova il 10 giugno 1364:D. CAMBIASO, I vicari generali degli Arcivescovi di Genova, in «Atti della SocietàLigure di Storia Patria», n. s., 12 (1972), fasc. 1, pp. 11-70, in particolare p. 19.

185 Il collegio venne eretto solo nei primi anni del Cinquecento: S. MAZZETTI,Memorie storiche sopra l’Università e l’Istituto delle Scienze di Bologna e sopra gli sta-bilimenti e i corpi scientifici alla medesima addetti, Bologna 1840; CAMBIASO, I vicarigenerali cit., p. 19, con bibliografia. Un altro Manuele Fieschi de Ianua risulta “scola-ris studens Bononie in iure civili” in un atto, dove è presente come teste, rogato aBologna il 22 ottobre 1377: Chartularium Studii Bononiensis cit., VI, Bologna 1921, pp.127-129, n. CXXVI (1957).

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versitaria sfavorevole allo Studium vercellese, e i due contratti stipulatidal comune di Vercelli con i lettori Pietro di Rainalduccio da Perugia eSalvo Marano, nell’autunno 1338, lo dimostrano.

L’evento fatale per l’Università di Vercelli fu l’istituzione delloStudio di Pavia: dai primi decenni del XIV secolo le università agivanoormai in un quadro politico-istituzionale di respiro più ampio, passandodall’ambito cittadino a quello regionale, e Pavia si inserì con successoin questa dimensione186. L’Università di Pavia venne istituita con un pri-vilegio di fondazione concesso ai Visconti da Carlo IV di Lussemburgonel 1361187; a questo diploma, del 13 aprile, fece subito seguito l’azionedi Galeazzo Visconti che, constatata la presenza in Pavia di un grupposufficiente di docenti per i previsti insegnamenti di diritto civile e cano-nico, filosofia, medicina e artes, il 27 ottobre decretò che gli studentisuoi sudditi dovessero recarsi esclusivamente a Pavia188. L’iter costitu-tivo dello Studium si completò con la bolla di papa Bonifacio IX del 16novembre 1389, che conferì un definitivo assetto organizzativo e istitu-zionale all’università ticinense189.

Lo Studio di Pavia fu immediatamente attivo, come dimostrano ladocenza dei giuristi Signorolo degli Omodei e Riccardo da Saliceto, daun lato, e le lezioni di medicina tenute a partire dall’anno accademico1365-1366 da Albertino Rinaldi da Salso di Piacenza dall’altro, tra-smesse nei codici ora 1041 e 1065 della Biblioteca Palatina di Parma, ela collazione dei gradi accademici in medicina a partire dal 1362. Tra gliactus publici troviamo coinvolto, come autore delle orazioni “in con-ventu”, Giovanni Dondi dall’Orologio, medico, filosofo, astrologo eprofessore di medicina, noto tra i suoi contemporanei per la costruzionedi uno splendido astrario e, tra gli studiosi moderni, soprattutto per lasua amicizia con Francesco Petrarca190.

186 Sulle fondazioni universitarie tre-quattrocentesche istituite all’interno di signorieterritoriali cfr. C. FROVA, Le istituzioni scolastiche, in Le Italie del tardo medioevo, a curadi S. GENSINI, Pisa 1990 (Centro di Studi sulla Civiltà del tardo Medioevo S. Miniato.Collana di Studi e Ricerche, 3), pp. 275-290; EAD., Crisi e rifondazioni cit., pp. 44-47.

187 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 7-9, n. 1.188 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, p. 9, n. 2.189 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 160-161, n. 316.190 Per gli esordi dello Studium di Pavia - noti soprattutto attraverso i dati che pro-

vengono da codici universitari, i quali compensano la carenza di fonti documentarie - si

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La perdita di Bologna, pochi mesi prima dell’emanazione del diplo-ma imperiale di fondazione dell’ateneo pavese, aveva reso chiara lanecessità di dotare il territorio visconteo di un proprio centro universi-tario, e la scelta cadde su Pavia, città da poco definitivamente sotto-messa a Milano. Una funzione importantissima dei nuovi Studia signo-rili era offrire una risposta alla domanda di formazione dell’apparatoamministrativo e giudiziario richiesta dalle forme proto-statali in via dicomposizione. I primi reclutamenti di personale nei Consigli ducali, inparticolare nel Consilium iustitiae, sono composti proprio da doctoresdello Studio cittadino191. E la forte capacità di uno Studium generale diattrarre nella sua orbita i vicini centri di formazione di quadri – soprat-tutto di giudici, di consiliatores de iure e di esperti nello ius commune –era una prerogativa che i signori di Milano non esitarono a favorire.

Il controllo sui centri di insegnamento superiori e il loro accentra-mento operati dai Visconti furono particolarmente evidenti in direzionedi Parma, sede di prestigiose scholae di diritto e di artes, sebbene nonvi siano chiare attestazioni di un’attività scolastica di livello universita-rio. Nel 1346 Parma passò nell’orbita della dominazione viscontea:dopo la ricordata ordinanza di Galeazzo Visconti del 27 ottobre 1361,che obbligava tutti i sudditi del dominio a frequentare esclusivamente loStudium pavese, il 17 settembre 1387 un decreto di Gian Galeazzo colpìpiù specificatamente Parma192. I parmensi che avessero frequentato

veda A. BELLONI, Giovanni Dondi, Albertino da Salso e le origini dello Studio pavese,in «Bollettino della Società Pavese di Storia Patria», n. s., 34 (1982), pp. 17-47; EAD.,Signorolo degli Omodei cit., pp. 29-39; T. PESENTI, Le origini dell’insegnamento medi-co a Pavia, in Miscellanea Domenico Maffei dicata cit., III, Goldbach 1995, a cura diA. GARCÍA Y GARCÍA - P. WEIMAR, pp. 109-130, già pubblicato in Storia di Pavia, vol.III/2, Pavia 1990, pp. 453-474; CAVINA, Inquietudini filoimperiali cit., pp. 89-101.

191 C. SANTORO, Gli offici del Comune di Milano e del dominio visconteo-sforzesco(1216-1515), Milano 1968, pp. 240-241; G. P. MASSETTO, La cultura giuridica civilisti-ca, in Storia di Pavia, vol. III/2, Pavia 1990, pp. 475-531, in particolare p. 514. Sul ruolodell’Università di Pavia nella costituzione della dominazione viscontea cfr. BRAMBILLA,Genealogie del sapere cit., pp. 86-97; per l’età sforzesca COVINI, «La balanza drita» cit.

192 Corpus statutorum almi Studii Parmensis (saec. XV), a cura di U. GUALAZZINI,Milano 1987, pp. CXVI-CXVIII. Possiamo citare un altro bando ducale contro gli stu-denti del dominio visconteo non immatricolati all’Università pavese del 14 settembre1375, cui fecero seguito, pochi giorni più tardi, disposizioni che concedevano immunitàagli studenti che si recavano allo Studio (1375 settembre 26-27): MAIOCCHI, Codicediplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 36-37, nn. 46-48.

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corsi superiori in sedi diverse da Pavia sarebbero incorsi in gravi san-zioni; a questo proposito è da sottolineare che le nuove redazioni statu-tarie del comune di Parma del 1347 cercarono di incentivare il trasferi-mento di magistri in città, nominando esplicitamente le facoltà di dirit-to civile, di diritto canonico, di medicina, phisicae vel ciroyae, e, distin-ta da quest’ultima, di artes193.

Il passaggio di Parma sotto Niccolò III d’Este, signore della città dal1412, segnò il riavvio, nel medesimo anno, dell’università (“felixStudium secundo viguit”)194; si trattò di una università effettivamenteoperativa se Filippo Maria Visconti, il 14 ottobre 1415, impose il rien-tro a Pavia di alcuni docenti e studenti, suoi sudditi, che si trovavanonella città emiliana195. Tuttavia una forma di convivenza tra i due centridi insegnamento superiore fu possibile: nel 1420, ritornati a Parma, iVisconti tollerarono le scholae cittadine, probabilmente perché autofi-nanziate dalla città e rivolte prevalentemente agli studi teologici196.Un’altra deroga alle numerose disposizioni ‘protezionistiche’ in materiadi insegnamento universitario emanate dai signori di Milano è l’interes-sante ducale di Filippo Maria Visconti del 25 ottobre 1437, la quale,dalle proibizioni a recarsi in atenei esterni al ducato, escludeva la fre-quenza dell’Università di Torino perché Studium del duca Amedeo VIII,suocero di Filippo Maria197.

193 Statuta communis Parmae a. MCCCXLVII, a cura di A. RONCHINI, Parma 1860,pp. 92, 274-275, 309-310; cfr. anche Corpus statutorum almi Studii Parmensis cit., pp.106-109.

194 G. PETTI BALBI, Felix Studium viguit: l’organizzazione degli studenti e dei dotto-ri a Parma nel Quattrocento, in Il pragmatismo degli intellettuali. Origini e primi svi-luppi dell’istituzione universitaria, a cura di R. GRECI, Torino 1996, pp. 201-212, giàpubblicato in Università in Europa cit., pp. 37-50. Sui primi secoli di vitadell’Università di Parma si veda R. GRECI, Una duttile università “di frontiera”: loStudio parmense nel XV secolo, in Le Università minori in Europa cit., pp. 75-94; ID.,Tormentate origini, in «Annali di storia delle Università italiane», 9 (2005), pp. 33-46.

195 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., II/1, (1401-1440),Pavia 1913 (rist. anast. Bologna 1971), pp. 142-143, n. 217; C. PIANA O.F.M.,L’Università di Parma nel Quattrocento, in Parma e l’umanesimo italiano, a cura di P.MEDIOLI MASOTTI, Parma 1986, pp. 97-120.

196 GRECI, Tormentate origini cit., pp. 13-16.197 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., vol. II/1, p. 361, n.

505. Sul ‘protezionismo scolastico’ imposto dai centri di potere cfr. A. MARONGIU, Statoe scuola. Esperienze e problemi della scuola occidentale, Milano 1974, pp. 251-265,

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Gli ultimi anni di vita dell’università vercellese non lasciarono unsegno così vivo nella documentazione come riscontriamo per loStudium parmense. Il 27 aprile 1372, in un atto capitolare, si parla delloStudium generale collocandolo nel passato (“in civitate Vercellarumlongo tempore viguit Studium generale, tam iuris canonici quam civi-lis”)198. Per gli anni successivi a questo documento non sono emerseulteriori testimonianze di un insegnamento a livello universitario inVercelli: i futuri professionisti del diritto e della medicina vercellesi siformarono altrove, inserendosi lungo le rotte di una peregrinatio acade-mica che li portò in buon numero a studiare e ad approvvigionarsi dicodici soprattutto a Pavia, ma anche a Bologna e a Ferrara. Limitandociad alcuni studenti in diritto negli ultimi anni del Trecento, registriamoGiovanni da Biella, che conseguì la licenza in diritto civile presso loStudio di Pavia il 25 febbraio 1397, presentato all’examen dai doctoresBaldo degli Ubaldi, Signorolo degli Omodei, Cristoforo Castiglioni eCristoforo Maletta199. L’anno successivo, sempre a Pavia, venne licen-

283-312; G. DE SANDRE GASPARINI, Dottori, Università, Comune a Padova nelQuattrocento, in «Quaderni per la storia dell’Università di Padova», 1 (1968), pp. 15-47, in particolare pp. 17-19. Anche gli Estensi intervennero sulle città loro soggette(Modena e Reggio) a favore dell’Università di Ferrara, mentre Bologna si distinse perla libertà di spostamento concessa agli scolari: C. PIANA O.F.M., Ricerche su leUniversità di Bologna e Parma nel secolo XV, Firenze 1963 (SpicilegiumBonaventurianum, 1), pp. 311-314; ID., Il “Liber secretus iuris caesarei”dell’Università di Bologna. 1451-1500, Milano 1984 (Orbis Academicus. Saggi e docu-menti di storia delle Università raccolti da D. Maffei, 1), pp. 63-64; ulteriori casistichesono raccolte in A. SOTTILI, Zum Verhältnis von Stadt, Staat und Universität in Italienwährend des Humanismus dargestellt am Fall Pavia, in Die Universität in Alteuropa,hrsg. v. A. PATSCHOVSKY - H. RABE, Konstanz 1994, pp. 53-54; D. GIRGENSOHN, Studentie tradizione delle opere di Francesco Zabarella nell’Europa centrale, in Studenti,Università, città nella storia di Padova cit., pp. 146-148.

198 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1370-1376, ff.109r-110v (per l’edizione di questo importante documento rimando all’annunciato stu-dio di prossima pubblicazione). Sull’ultima fase di esistenza dello Studio vercellese siveda I. NASO, La fine dell’esperienza universitaria vercellese, in L’Università di Vercellinel medioevo cit., pp. 335-357.

199 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, p. 342, n. 554. Unpresbiter Giovanni de Bugella, “Vercellensis diocesis”, terminò di copiare, il 21 set-tembre 1402, l’Ordo pontificalis, trasmesso in due manoscritti ora conservati presso laBiblioteca Capitolare di Trento, cod. 155 (Pars prima) e cod. 156 (Pars secunda). Lacopia venne eseguita per le funzioni liturgiche del duomo di Trento; i due codici entra-rono in seguito nella biblioteca capitolare fin dalla sua costituzione, avvenuta nell’anno

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ziato in diritto canonico Giovanni de Vercellis200, cui venne conferito iltitolo dottorale il giorno seguente201. Dopo avere frequentato gli Studiadi Bologna e di Pavia, Bartolomeo da Buronzo scelse invecel’Università di Ferrara per concludere i suoi studi, conseguendo la lau-rea in diritto canonico il 5 settembre 1404202.

Nel corso del Quattrocento continua il flusso di studenti vercellesiverso lo Studium di Pavia, ma a questo iniziò a fare una concorrenzasempre più decisa la giovane Università di Torino, sorta, con bolla difondazione emanata a Marsiglia il 24 ottobre 1404 dall’antipapaBenedetto XIII, nell’unica città episcopale del principato d’Acaia, edestinata a diventare lo Studium del ducato sabaudo, nella cui orbitaVercelli sarebbe entrata nel 1427203.

1469: I manoscritti datati della Provincia di Trento, a cura di M. A. CASAGRANDE

MAZZOLI ET AL., Firenze 1996 (Manoscritti datati d’Italia, 1), pp. 36-37, nn. 15-16.200 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, p. 405, n. 720

(1398 novembre 17): i promotores furono i doctores Agostino de Mangano, Tadiolus deVicomercato e il frater Francesco de Giliis.

201 MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., I, pp. 406-407, n.724 (1398 novembre 18).

202 Della diocesi di Vercelli, era figlio di Eusebio; suo promotore all’esame di laureafu Antonio de Budrio: G. PARDI, Titoli dottorali conferiti dallo Studio di Ferrara neisecoli XV e XVI, Lucca 1901 (rist. anast. Bologna 1970), p. 10.

203 Sulla presenza di studenti e magistri di area vercellese presso l’Università diTorino tra Quattro e Cinquecento si veda da ultimo NASO - ROSSO, Insignia doctoraliacit., pp. 341-342 s. v. et passim.

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APPENDICI

1Sapientes iuris attivi in Vercelli nel Trecento

Viene qui fornita una schedatura dei professionisti del diritto in pos-sesso di titoli che indicano la frequenza di scholae giuridiche. Non ven-gono registrati i giuristi stranieri solo occasionalmente attestati inVercelli - quali, ad esempio, i doctores facenti parte delle familiae dipersonaggi in visita a Vercelli – né quelli attivi esclusivamente a Biella,sebbene in relazione con il vescovo di Vercelli. L’elenco non compren-de i docenti dello Studium, già ricordati nelle pagine precedenti.

DOCTORES E LEGUM PROFESSORES

1290 A Bertolino da Cornazzano, “doctor legum in civitate Padue”,viene affidata una questione dal giudice e console di Giustizia diVercelli, Pietro Testa204. Il personaggio è piuttosto noto: fu amba-sciatore del comune della sua città, Parma, nel 1311205; nel 1329risulta vicario di Asti206 e, nel 1331, di Parma207. Fu attivo a Chiericome capitano del Popolo del borgo nel 1333208 e vicario nel1341209.

1306 Giovanni de Carixio, legum professor, è documentato come teste210.

204 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 4(1290 giugno 5), edito in FERRARIS, Università, scuole, maestri e studenti cit., pp. 69-70, n. 3. Un Bertolino de Parma, console di giustizia di Vercelli è ricordato in un docu-mento del 27 maggio 1317, riguardante la causa che divise il convento dei Predicatoridi Vercelli da Giovanni Cocorella, per dirimere la quale il console di giustizia in caricaGuidone de Ardenghiis nominò il giurisperito Guglielmo de la Serata; la lite era giàstata presentata dinanzi a Bertolino da Parma in data non riportata.

205 I. AFFÒ, Storia della città di Parma, IV, Parma 1795, p. 171.206 L. CIBRARIO, Delle storie di Chieri libri quattro con documenti, I, Torino 1827

(rist. anast. Torino 1967), pp. 357, 369.207 Statuta civitatis Dertonae, Milano 1573, f. 236r-v (1331 maggio 24).208 Appendice al Libro rosso del Comune di Chieri, a cura di F. GABOTTO, Pinerolo

1913 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, LXXVI/1), p. CXXVIII, n. CL (1333febbraio 19).

209 RAO, La circolazione degli ufficiali cit., p. 271.210 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5

(1306 luglio 7).

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Con Guglielmo de Ripis venne nominato arbitro in una vertenzatra l’ospedale di S. Andrea e l’abate di S. Stefano nel 1308211;l’anno seguente è ancora qualificato come legum professor212,mentre nel 1310, con il titolo di doctor, fu tra i presenti – conGuglielmo de la Serata, iuris peritus – alla concordia tra il comu-ne di Vercelli e la comunità di Morano213. Il 19 agosto 1310 èarbitro con il titolo di utriusque iuris professor214; il primo set-tembre seguente, in un atto rogato presso l’abitazione di Giovannide Carixio, è registrato tra i testimoni lo scholaris GiovanniAbachus, forse uno studente del giurista215.

1307 Guglielmo de Ripis, utriusque iuris professor e canonico di S.Maria216, è ancora attestato nel 1308217 e nel 1310218.

1335 Gregorio de Zabaldonis, legum doctor, arbitro in una causariguardante l’abbazia di S. Genuario219.

1340 Beluinus de Claraschis de Soncino, iuris utriusque doctor, risul-ta vicario del podestà Borolus de Castelleto220.

1343 Antonio Cagnoli de Centoriis, legum doctor, è documentato sinoal 1378221.

1345 Thevaldus de Placentia, Decretorum doctor, è registrato comearbitro in una contesa riguardante gli ecclesiastici della pieve di

211 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35 (1308 maggio 24).212 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXVII; la pergamena è lacerata: si legge

l’anno (1309) e il giorno (26).213 I Biscioni, I/1, pp. 386-390, n. CLXXVII (1310 luglio 28).214 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5.215 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35.216 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, pp. 34-35 (1307 otto-

bre 6).217 MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit., III, p. 35 (1308 maggio 24).

Pochi giorni più tardi è arbitro in una causa tra l’abbazia di S. Andrea e Gualino deTizonibus; nell’atto ha il titolo di utriusque iuris peritus: Archivio di Stato di Torino,Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5 (1308 maggio 31).

218 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5:anche in questo atto è arbitro con il titolo di utriusque iuris peritus.

219 CANCIAN, L’abbazia di S. Genuario di Lucedio cit., pp. 156-165, n. 36 (1335 set-tembre 28).

220 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 10, n. 300 (1340gennaio 30).

221 Cfr. supra, testo corrispondente alla nota 91.

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Robbio222. Nel 1370 risulta già defunto223.1347 Antonio de Mussis, legum doctor, è teste nel 1347, insieme ad

altri giuristi, alla nomina di Eusebio de Scrivaniis, notaio diVercelli, a procuratore di Pietro de Arneriis, comes di Cavaglià224;lo ritroviamo, sempre come teste, nel 1348225, nel 1353226 e nel1354, in documenti relativi alla domus umiliata di S. Cristoforo eal comune di Vercelli227. Arbitro nel 1362228, nel 1363229, e, diver-si anni dopo, nel 1389230; possediamo ulteriori sue attestazioni nel1384231, nel 1386232 e negli anni 1387-1388, quando il notaioAntonio di Biandrate rogò alcuni atti nell’abitazione di Antoniode Mussis, “in vicinia Sancti Thome”233; nel febbraio 1388 il

222 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1345 settembre 16);la pergamena è unita a un’altra, riguardante sempre la stessa causa, datata 1345 luglio 26.

223 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1370-1376, ff.7r-8r (1370 giugno 25).

224 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., pp. 43-44, n.102 (1347 agosto 18).

225 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 33, n. 64(1348 maggio 30).

226 Archivio Storico del Comune di Vercelli, prot. 1540 [n. 1467] (1353 settembre26): l’atto è trasmesso nella pergamena che costituisce la legatura del protocollo, nel-l’interno del piatto superiore.

227 Archivio di Stato di Biella, Archivio Storico della Città, Serie Famiglie, Bulgaro,busta 5 (1354 aprile 1). È registrato come “filius condam domini Georgii”: un Giorgiode Mussis “notarius Vercellensis” è documentato attivo a Vercelli nei primi anni delTrecento (cfr. ad esempio I Biscioni, I/1, pp. 318-320, n. CXLIX, 1303, dicembre 8;Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6, 1335marzo 31). Ebbe un figlio di nome Nicola: Archivio Storico del Comune di Vercelli,Ordinati, 1386-1389, vol. 1, ff. 5r-6r.

228 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 953[n. 792], f. 8r (1362 ottobre 19).

229 Biblioteca Capitolare di Vercelli, ms. 19 (Codice cartaceo. Sec. XIV-XV), f. 83r-v (1363 aprile 17); Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 95 (1344-1364), f. 181v (1358 giugno 1).

230 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 973[n. 812], f. 39r-v (1389 marzo 29).

231 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella LI (1384-1387) (1384 settembre 10).232 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1386-1389, vol. 1, ff. 5r-6r.233 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, protocol-

lo di Antonio di Biandrate (1386-1389). Il 15 e 16 marzo 1369 invece rogò nella sua abi-tazione il notario Facione da Biandrate: Archivio Storico del Comune di Vercelli, NotaioFacione da Biandrate, prot. 956 [n. 795], ff. 36r-40v.

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comune di Vercelli gli riconobbe il salario per la sua attività disindacator del comune234. Nel 1390 era certamente defunto,quando il figlio Pietro, “filius quondam Antonii”, compare cometeste con la qualifica di notaio235.Pietro de Mussis, “filius domini Corradi”, legum doctor236.

1353 Pietro de Moxo, Decretorum doctor, donò un codice delleSentenze di Pietro Lombardo alla chiesa di S. Eusebio, ora Cod.CXXV della Biblioteca Capitolare di Vercelli237. È probabilmen-te da identificare con il vicario vescovile e canonico di S. Stefanodi Biella nel 1312238.

1363 Simone de Solerio de Carixio, legum doctor239, è ancora attesta-to come “legum doctor diocesis Vercellensis” in una contesa traLeone de Mirolio, iuris peritus, e il fratello Emanuele nel1364240.

1370 Martino de Vassallis, legum doctor e cittadino di Vercelli, fu arbi-tro con il legum doctor Antonio Cagnoli nella composizione ami-chevole di una vertenza241; sempre come arbitro è attestato, insie-

234 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, “Liber bul-lettarum comunis Vercellarum”, podestaria di Guidone di Vimercate, 1388.

235 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, protocol-lo di Antonio di Biandrate (1390-1392) (1390 dicembre 3).

236 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 192, n. 16;pp. 43-44, n. 102 (1347 agosto 18).

237 Sec. XIII; nel recto del foglio di guardia, parzialmente strappato, si legge in altola nota “MCCCLIII. Dominus Petrus de Moxo Decretorum doctor †…† reliquit hunclibrum ecclesie beati Eusebii Vercellarum predicti †…†”. Al f. 330v un’altra nota indi-ca un ulteriore possessore del codice, Matteo da Vercelli, e il valore del manoscritto:“Dominus Matheus de Vercelliis, precii librarum X”; poco sopra: “Precii librarum X”.Sul codice cfr. PASTÈ, Vercelli. Archivio capitolare cit., p. 108 e ID., Donatori di CodiciEusebiani cit., p. 210 (in entrambe queste opere le trascrizioni delle note del manoscrit-to sono estremamente scorrette).

238 I Biscioni, II/2, pp. 259-261, n. CCCXCVIII (1312 gennaio 12); per ulteriori atte-stazioni cfr. BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., III, p.139 s. v. Moxo (de).

239 SELLA - GUASCO DI BISIO - GABOTTO, Documenti biellesi cit., pp. 140-141, n.CCXLI (1363 gennaio 26); cfr. anche pp. 141-142, n. CCXLII (1364 gennaio 29).

240 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 95 (1344-1364), ff. 269r-270v (1364 marzo 14).

241 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 7(1370 gennaio 25).

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me a Francesco de Paliate, ancora nel 1377242.1373 Pietro de Cuticis da Milano, legum doctor. È documentato come

“vicarius generalis Vercellarum” nel 1373243, e, come iuris utriu-sque doctor, nel 1374244 e nel 1376245. Nel 1379 risulta in attivitàa Chieri246.

1387 Dal 24 maggio 1387 al 10 maggio 1388 è attestato a VercelliTheodiscus de Frixariis de Barrilo, legum doctor e vicario delpodestà Spinetta de la Mirandola247. Gli subentrò il legum doctorDomenico de Otobellis da Alessandria, vicario di Guidone daVimercate248.

1392 Abbondio de Cumis, legum doctor, fu arbitro in alcune verten-ze249.

1395 Dal 19 novembre fu attivo a Vercelli il legum doctor Alberto deSichis da Caravaggio, vicario del podestà cittadino Paolo deMantegatiis da Milano250. Nel 1396 è nominato in una causa

242 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 965[n. 804], f. 32r-v (1377 aprile 3).

243 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 960[n. 799], ff. 187r-189r (1373 dicembre 16).

244 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 961[n. 800], ff. 207r-208r (1374 settembre 2).

245 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 964[n. 803], f. 82r (1376 febbraio 1). Un Guglielmo de Cuticis de Mediolano, forse unparente, è documentato come giureconsulto a Padova negli anni venti del Trecento:GLORIA, Monumenti della Università di Padova (1222-1318) cit., p. 348, n. 423; il“legum scolaris” Antonio de Cuticis de Mediolano è attestato presso l’Università diPavia il 14 settembre 1435, dove, nel medesimo anno, ottenne la licenza in diritto civi-le: MAIOCCHI, Codice diplomatico dell’Università di Pavia cit., II/1, pp. 249-250, n.493; pp. 358-359, n. 500.

246 Archivio di Stato di Torino, Archivio di corte, Raccolte private, RaccoltaBiscaretti, mazzo 7, Protocollo del notaio Antonio Fresio (1379-1381), ff. Ivr-Vr (1379febbraio 3); ff. XIIv-XIIIv (1379 febbraio 4): il giurista è appellato come “legum doc-tor”.

247 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1386-1389, vol. 1, ff. 11r-35vet passim.

248 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1386-1389, vol. 1, f. 53r etpassim.

249 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 192, n. 16(1392 gennaio 29); p. 193, n. 19 (1392 febbraio 10).

250 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1395-1398, vol. 2, f. 15r-v; etpassim per ulteriori attestazioni nel 1396.

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riguardante il convento di S. Paolo dell’ordine deiPredicatori251.

1396 Dal 2 agosto 1396 al 5 maggio 1397 è vicario del podestàGiovanni de Pusterla il legum doctor Agostino de Ozula252.

1398 Dal 25 maggio è attestato Giorgio de Cazabone, legum doctor,vicario del podestà Ludovico de Poyanis253. Il 10 luglio 1398 glisubentrò Bartolomeo de Caroliis de Mutina, legum doctor254,documentato fino al 7 gennaio 1399 come vicario del podestàGiovanni Malaspina255.

1399 Il 19 agosto è a Vercelli il legum doctor Giovanni de Cavaciis daCarmagnola, vicario del podestà Goffredo de Ubaldinis256. Dal 2dicembre 1400 troviamo Antonio de Zavatariis da Milano, vica-rio dello stesso podestà257.

1399 Giovanni de Roydis de Albano, Decretorum doctor, fu vicariogenerale in spiritualibus del vescovo Ludovico Fieschi258.Giorgio de Albano, legum doctor259; nel 1400 è registrato nel“collegium iudicum Vercellarum”260, e l’anno seguente è attesta-to come arbitro261.

IURIS PERITI

1305 Guglielmo de la Serata, iuris peritus, è documentato negli anni

251 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo,Pergamene, mz. 225, perg. 32 (1396 gennaio 27).

252 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1395-1398, vol. 2, ff. 26r-37v.253 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, f. VIIr-v.254 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, f. XIIIr-v.255 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, ff. XXXIIr-

XXXIIIIr; cfr. anche I Biscioni, I/3, pp. 199-201, n. DCXLV (1398 dicembre 19).256 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, f. XXXVv.257 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, ff. XLIr-

XLIIr.258 Cfr. supra, testo corrispondente alla nota 103.259 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1398-1403, vol. 3, ff. XXXIIr-

XXXIIIIr (1399 gennaio 7).260 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 98 (1390-1408), fasc. 10,

ff. 40v-41r (1400 maggio 17).261 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 99 (1401-1569), fasc. 12

(1401 novembre 21).

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1305262, 1309263, 1310264, 1313265 e 1317266.Paxius (Paxinus) de Cremona, utriusque peritus, fu arbitro nel1305267; nel 1308 venne registrato come teste a un atto riguardan-te una controversia del comune di Vercelli con Pietrod’Azeglio268, e, nel 1310, fu tra i presenti, con il doctor legumGiovanni de Carixio e Guglielmo de la Serata, iuris peritus, allaconcordia tra il comune di Vercelli e la comunità di Morano269. Èancora documentato nel 1315270.

1306 Giacomo de Gusmario, iuris peritus, fu procuratore del podestàdi Vercelli271.

1308 Guglielmo Cagnoli, iuris utriusque peritus, è documentato fino al1346272.

1314 Germano de Freapanis, iuris peritus273, compare come giudice

262 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., I, pp. 262-263, n. CLXVIII (1305 ottobre 29).

263 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXVII; la pergamena è lacerata: si leggel’anno (1309) e il giorno (26).

264 I Biscioni, I/1, pp. 386-390, n. CLXXVII (1310 luglio 28).265 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo,

Pergamene, mz. 225, perg. 10.266 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo,

Pergamene, mz. 225, perg. 11 (1317 maggio 27): in quest’atto Guglielmo de laSerata appare come delegato del console di giustizia di Vercelli Guidone deArdenghiis per derimere la causa sorta tra il convento dei Predicatori e GiovanniCocorella.

267 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXV (1304-1305) (1305 marzo 3 emaggio 9). Un’altra attestazione di un arbitrato di Paxius de Cremona è nell’atto con-servato in una pergamena parzialmente lacerata, di cui non è possibile leggere l’an-no: Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXIII (1297-1300) (13†..† dicembre 19).

268 COLOMBO, Documenti dell’Archivio comunale di Vercelli relativi ad Ivrea cit., pp.298-299, n. CLXXIV (1308 dicembre 14).

269 I Biscioni, I/1, pp. 386-390, n. CLXXVII (1310 luglio 28).270 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5

(1315 dicembre 18).271 I Biscioni, I/1, pp. 197-201, n. XCIII (1306 marzo 24); per altre sue attestazioni,

ma solo come sindaco e procuratore del comune di Vercelli, cfr. ivi, pp. 222-228, nn. CI-CV (1305 luglio 12 ); pp. 279-281 (1305 agosto 6).

272 Cfr. supra, testo corrispondente alla nota 87.273 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5

(1314 agosto 16).

Paolo Rosso

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nel 1318274; fu arbitro nel 1330275 e, con la qualifica di iuris utriusqueperitus, tra il febbraio 1341 e il 1342276.

1318 Pietro de Bonello, iuris peritus, è registrato come “filius dominiGuillelmi” tra i testes di un atto del 1318277.

1321 Aymericus de Ghigalotis, iuris peritus, è documentato come testein un atto del 1321278.

1335 Giovanni de Landulfis, iuris peritus, fu vicario del podestàGiovanni de Bessozero279.Ottone Lavezio, iuris utriusque peritus, venne nominato arbitronegli anni 1335280, 1336281, 1339282, 1340283 e tra il febbraio 1341e il 1342284. È ancora documentato nel 1343285, 1347286, 1348287,risultando già defunto il 16 gennaio 1366288.

274 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5(1318 aprile 2): è definito “filius condam domini Antonii”. È documentato come teste il13 novembre seguente: ivi.

275 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6(1330 novembre 7).

276 I Biscioni, III/2, pp. 119-221, nn. DLXXXII-DCI.277 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 5

(1318 agosto 30).278 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXX (1317-1322) (1321 apri-

le 25).279 I Biscioni, I/1, pp. 380-383, n. CLXXXV (1335 luglio 27).280 CANCIAN, L’abbazia di S. Genuario di Lucedio cit., pp. 156-165, n. 36 (1335 set-

tembre 28); pp. 261-269, n. 83 (1335 febbraio 27: è presente anche il figlio Giacomo).281 Archivio Storico del Comune di Vercelli, cart. 114/V, Terre distrettuali, Roasio,

Robbio, Palestro etc., prot. anno 1336, ff. 1r-2v, atto privo dell’indicazione di mese egiorno.

282 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 9, n. 284 (1339aprile 5).

283 I Biscioni, II/2, pp. 349-354, n. DXXIV (1340 marzo 21); BAGGIOLINI, Lo Studiogenerale di Vercelli cit., pp. 110-111; MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo cit.,III, p. 38 (1340 luglio 17).

284 I Biscioni, III/2, pp. 119-221, nn. DLXXXII-DCI.285 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 97-

100, n. CCLI (1343 febbraio 3).286 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 175-

177, n. CCLXXVIII (1347 marzo 16 o 17).287 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 3, perg. 93

(1348 maggio 15).288 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 96, prot. 1364-1370, f. 85r.

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Giorgio de Ferrarotis, iuris peritus, venne incaricato dal giudice pode-starile Pulcerinus de Saxalis de Aregio di esaminare una questioneriguardante l’abbazia di S. Andrea289. Fu teste ancora nel 1347290.

1336 Guglielmo de Ponte, iuris peritus figlio di Antonio, è documen-tato come teste a un atto dell’abbazia di S. Stefano di Vercelli291.In un atto di locazione concessa dall’abbazia di S. Andrea è nomi-nato Giacomo de Roncarolio “filius condam domini Bologniniiuris periti”292.

1337 Ugolino de Scovalochis da Cremona, legum professor, fu giudicedel podestà di Vercelli Gasparino Grasso293. Nel 1329 era statopotestas placitorum a Genova294, mentre negli anni 1331-1332 fugiudice dei rettori del Popolo in Asti295.

1340 Albertino de Conforanis da Cremona, iuris peritus e vicario delpodestà Protaxius de Chaimis296.

1342 Giovanni de Guidalardis de Verono, iuris peritus297. Il 17 marzo1347 è teste a un atto riguardante il comune di Vercelli298; pochigiorni più tardi è documentato come arbitro, insieme a Nicolinode Arnoldo299.Francesco de Ghigalotis, iuris peritus, fu arbitro negli anni

289 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6(1335 giugno 23).

290 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 46, n. 114;p. 49 (1347 settembre 13).

291 G. BOLOGNA, Pergamene dell’abbazia di S. Stefano in Vercelli conservatenell’Archivio Storico Civico di Milano (1183-1500), Milano 1972, pp. 63-64, n. 41(1336 febbraio 28).

292 Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6(1336 aprile 5).

293 CASIRAGHI, La “Carta Studii” di Vercelli cit., pp. 39-45, in particolare pp. 43-44.294 RAO, La circolazione degli ufficiali cit., p. 280.295 E. GUASCO GUALLARATI DI BISIO, Trascrizione degli atti interessanti i Solaro asti-

giani, in «Rivista di storia, arte e archeologia», 52 (1943), pp. 38-39, n. 71 (1332 feb-braio 2); RAO, La circolazione degli ufficiali cit., p. 268.

296 I Biscioni, III/2, pp. 99-105, n. DLXXVII (1340 novembre 9).297 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 10, n. 312 (1342

giugno 4).298 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 175-

177, n. CCLXXVIII (1347 marzo 16 o 17).299 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., pp. 38-39, n.

84 (1347 maggio 19), dove è da emendare “Viardi” con “Vialardi”.

Paolo Rosso

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1342300, 1345301, 1347302, 1348303, 1350304, 1360305, 1362306 e1364307. Nella sua abitazione, “in vicinia Sancti Thome”, vennerogato un atto nel 1365308; fu teste ancora nel 1377309 e nel 1378,in un atto riguardante il convento di S. Paolo dei frati predicato-ri310. Nel gennaio 1390 risulta defunto311.Stefano de Maso, iuris peritus, si espresse nella nomina – effet-tuata da Lazzarino Fieschi, vicario generale del vescovo diVercelli – di Giovanni di Santhià a ministro dell’ospedale Fasana,contro Antonio da Bulgaro312.

300 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXII (1244-1364) (1342 set-tembre 20).

301 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1345 dicembre 2).302 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 26, n. 39

(1347 settembre 26); ivi, p. 49, n. 123 (1347 dicembre 13).303 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 57, n. 150

(1348 aprile 7); Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 3,perg. 93 (1348 maggio 15): tra i testes troviamo anche Ottone Lavezio, FranceschinoGrassi e Nicolino Mangiacavallo, tutti iuris periti (Mangiacavallo fu attivo a Casale).

304 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 275-276, n. CCCXIV (1350 febbraio 11). Nel 1356 ebbe da Goffredo da Buronzo quindicifiorini d’oro: Archivio di Stato di Torino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea,mz. 7 (1356 agosto 13).

305 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 11, n. 345 (1360luglio 11).

306 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 953[n. 792], f. 8r (1362 ottobre 19).

307 Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 95 (1344-1364), ff. 269r-270v (1364 marzo 14).

308 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 954[n. 793], ff. 56r-58r (1365 maggio 25); nell’atto è citato come “filius quondam Leonardi”.

309 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Facione da Biandrate, prot. 965[n. 804], f. 152r-v (1377 novembre 24).

310 Archivio di Stato di Vercelli, Corporazioni religiose, Domenicani di S. Paolo,Pergamene, mz. 225, perg. 20 (1378 gennaio 22). Un altro atto venne rogato nella suaabitazione il 7 giugno 1378: Archivio Capitolare di Vercelli, Atti privati, cartella XLIX(1378-1380), fasc. 11.

311 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella LIII (1390 gennaio 28); per una attesta-zione più tarda cfr. Archivio Capitolare di Vercelli, Atti Capitolari, cartella 97 (1375-1399), fasc. 7, f. 298r-v (1398 dicembre 14): è citato Domenico de Ghigalotis, “filiusquondam domini Francisci iuris periti”.

312 VILLATA, Le case maschili degli Umiliati a Vercelli nel Medioevo cit., pp. CCIII-CCXXIX, n. XXXII (1342 settembre 21).

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1343 Stefano de Dalmaxiis da Biella, iuris peritus, fu teste in un attodel 1343313 e giudice in una causa che vedeva coinvolto il capito-lo di S. Eusebio nel 1345314; il 17 aprile 1347 risulta in possessodel titolo di iuris utriusque doctor315, sebbene sia nuovamentecitato come iuris peritus in un atto comunale, dove è teste, del1348316.Benvenuto de Landulfis da Pavia, iuris peritus, fu giudice e con-sole di giustizia di Vercelli317.Francesco de Syrigaciis da Pavia, iuris utriusque peritus, fu vica-rio del podestà Tomaxinus de Lampugnano318.Enrico de la Serata, iuris peritus, è citato in atti degli anni1343319, 1345320, 1347321 e 1354, quando è nominato arbitro322.Figlio di Antonio, il 20 gennaio 1355 fu teste in un atto dell’ab-bazia di S. Stefano di Vercelli, dove risulta peritus in utroqueiure323; nel 1360 gli venne affidato l’arbitrato, con Nicolino de

313 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 4, perg. 156(1343 agosto 22). È già documentato come iuris peritus a Biella nel 1330: BORELLO -TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 45-48, n. CCXXIII (1330agosto 25).

314 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXII (1244-1364) (1345agosto 12).

315 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 7, n. 226.316 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 26, n. 40

(1348 aprile 9).317 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXVIII (1342-1343) (1343 marzo

12).318 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXII (1244-1364) (1343

maggio 22).319 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Pergamene, mazzetta 10, n. 320 (1343

giugno 5).320 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1345 aprile 29).321 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 175-

177, n. CCLXXVIII (1347 marzo 16 o 17); COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercel-lesi del XIV secolo cit., pp. 41-42, n. 94; p. 104 (1347 giugno 12).

322 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXIII (1353-1440) (1354marzo 27, trasmesso all’interno di un atto del 4 giugno 1353; viene ricordato anche unsuo arbitrato del 25 agosto 1352).

323 BOLOGNA, Pergamene dell’abbazia di S. Stefano in Vercelli cit., pp. 71-73, nn.50-51.

Paolo Rosso

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Arnoldo, nella lite tra l’ospedale di S. Andrea e i fratelliGazzini324; è ancora teste in un atto del 1364325.

1344 Gualdixius de Lovexellis, iuris utriusque peritus, fu vicario delpodestà di Vercelli Pietro Visconti326.

1349 Nicola de Pigazano, iuris peritus piacentino, è documentato vica-rio del vescovo Giovanni Fieschi327.

1374 Guglielmo de Gisso de Regio, iuris peritus, fu anch’egli vicariodel vescovo Giovanni Fieschi328.

1385 Giuseppe de Zurlis de Crema, iuris utriusque peritus, fu giudicepodestarile329, attestato anche nel 1389330, nel 1390331 e nel1395332.

1394 Ludovico de Aliprandis da Milano, “iuris peritus Vercellensis”, èdocumentato come arbitro333, e risulta essere ancora in attività nel1399334.

324 COPPO - FERRARI, Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo cit., p. 104, n. 269(1360 gennaio 31).

325 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 3, perg. 118(1364 gennaio 3).

326 Archivio Capitolare di Vercelli, cartella XXXIX (1344-1345) (1344 agosto 9).327 ARNOLDI, Libro delle investiture cit., p. LVIII s. v. Pigazano (de) Nicolaus. È

ancora documentato, non più come vicario vescovile, nel 1350: Archivio di Stato diTorino, Materie ecclesiastiche, Abbazie, S. Andrea, mz. 6 (1350 gennaio 13).

328 BORELLO - TALLONE, Le carte dell’Archivio comunale di Biella cit., II, pp. 402-403, n. CDVII (1374 gennaio 12).

329 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze, cartella XXXIII (1353-1440) (1385agosto 8).

330 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Notaio Pietro Poncio, prot. 2341 [n.2276], f. XXIIr (1389 luglio 1).

331 Archivio di Stato di Vercelli, Famiglia Berzetti di Murazzano, mz. 42, protocol-lo di Antonio di Biandrate (1390-1392) (1390 marzo 20).

332 Archivio Storico del Comune di Vercelli, Ordinati, 1395-1398, vol. 2, f. 12v(1395 novembre 10).

333 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze (1353-1440), cartella XXXIII (1394aprile 24).

334 Archivio Capitolare di Vercelli, Sentenze (1353-1440), cartella XXXIII (1399settembre 7).

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21353 gennaio 23, Avignone.

Inventario dei beni del vescovo di Vercelli Manuele Fieschi eseguitodalla Camera per gli spogli. Viene data l’edizione della parte riguardan-te i libri del Fieschi trasmessa in Archivio Segreto Vaticano, RegistraAvenionensia, Reg. 122, ff. 202v-203v; con questo testimone è statacollazionata la redazione dell’inventario trasmessa in Reg. Aven. 127, f.298r-v, la quale risulta seguire fedelmente Reg. Aven. 122. In apparatosono riportate le lezioni di Reg. Aven. 125, ff. 215v-216v, che in alcunipunti arricchiscono la descrizione dei libri tràdita in Reg. Aven. 122,sebbene non ne seguano la sequenza degli item. Per non appesantirel’apparato, non sono state registrate le varianti grafiche e gli interventidi copista non sostanziali di Reg. Aven. 125. La numerazione accantoagli item è stata inserita per rendere possibili i rinvii al testo.

BIBLIOGRAFIA: F. EHRLE, Historia bibliothecae Romanorum pontificumtum Bonifatianae tum Avenionensis, I, Romae 1890, pp. 200-201; P.GUIDI, Inventari di libri nelle serie dell’Archivio vaticano (1278-1459),Città del Vaticano 1948 (Studi e testi, 135), p. 41, n. 99; Bibliothèquesecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 45, n.348.78; pp. 185-186, n. 348.78.

EDIZIONI: EHRLE, Historia bibliothecae Romanorum pontificum cit., pp.200-201 (incompleta, dal solo Reg. Aven. 122); Bibliothèques ecclésia-stiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, pp. 185-186, n. 348.78(riprende l’edizione di Ehrle).

[f. 202v] Sequitur inventarium de rebus et bonis condam dominiManuelis, episcopi Vercellensis. […] [f. 203r] De bonis eiusdem.1. Item unum pulcrum missale ad usum Romanum incipit in 2° foliopost kalendarium, // sacrificium celebrate335.

335 Nel margine sinistro Traditus pro domino notario.Reg. Aven. 125: Item I pulcrum missale ad usum Romane Curie illuminatum de ali-

quibus litteris aureis quod incipit prius kalendarium in prima columpna secundi folii //sacrificium celebrate et in prima columpna ultimi folii incipit // axusa novi regis.

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2. […] Unum pulcrum breviarium incipiens prius rubricas in 2° folio, //turim336.3. Aliud breviarium incipit ut supra, // et tu Domine337.4. Item unum Breviarium ad usum Romanum, incipit in 2° folio // cordasimul338.5. Decretales cum apparatu, // scientiam reparari 339.6. VI liber Decretalium cum340 Clementinis, // biguitatem341.7. Unum pulcrum Decretum, // cognomine ecclesiastico342.8. Una Biblia, // disu voluntatis343.9. Flores sanctorum, // et utinam344.10. Apparatus Innocentii345, // em cumque.11. Pontificale.

336 Nel margine sinistro Tradita pro domino notario Albiensi; poco sotto Nota quodMissale et duo Breviaria sunt in una archa de sapino una cum libris infrascriptis.

Reg. Aven. 125: Qui libri cum duobus Breviariis et uno Missali suprascriptis fueruntrepositi in una magna teca de aneto.

337 Reg. Aven. 125: Item II breviaria ad usum Romane Curie quorum unum videlicetpulcrius incipit in prima columpna secundi folii prius rubricas // tuum. Aliud incipit inprima columpna secundi folii in psalterio // et tu Domine.

338 Nel margine sinistro Habuit dominus Carcassonensis.Reg. Aven. 125: Item I Breviarium magne forme ad usum Romane Curie, qui inci-

pit in prima columpna secundi folii // corda simul.339 Nel margine sinistro Die XVI octobris habuit dominus Carcassonensis Decretales

incipientes “Scientiam reparari”. Si tratta di Arnaud Aubert, nipote di Innocenzo VI:EHRLE, Historia bibliothecae Romanorum pontificum cit., I, p. 200, nota 215;Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 310 s. v.Arnaud Aubert; D. WILLIMAN, Calendar of the Letters of Arnaud Aubert, CamerariusApostolicus, 1361-1371, Toronto 1992 (Subsidia Mediaevalia, 20).

340 Segue apparatu cancellato.341 Reg. Aven. 125: Item Sextus liber Decretalium cum Clementinis cum suis appa-

ratibus.342 Reg. Aven. 125: Item I pulcrum Decretum cum apparatu.343 Reg. Aven. 125: Item I Biblia pulcra.344 Reg. Aven. 125: Item Flores seu legende sanctorum.345 INNOCENZO IV, Apparatus in quinque libros Decretalium: G. LE BRAS, Innocent

IV romaniste: Examen de l’Apparatus, in «Studia Gratiana», 11 (1967), pp. 305-326; M.BERTRAM, Angebliche Originale des Dekretalenapparats Innozenz’ IV, in Proceedingsof the Sixth International Congress of Medieval Canon Law (Berkeley, California, 28July-2 August 1980), edd. S. KUTTNER - K. PENNINGTON, Città del Vaticano 1985(Monumenta Iuris Canonici, Series C: Subsidia, 7), pp. 41-47; M. BERTRAM, Zweivorläufige Textstufen des Dekretalenapparats Papst Innozenz’ IV, in JuristischeBuchproduktion im Mittelalter cit., pp. 431-479.

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12. Liber intitulatus Glossarum diversitas346, // gere vel constitutionem.13. Liber Dialogorum sancti Gregorii347, // G. nequaquam.14. Lectura Petri Boneti super Decretalibus348, // in sacramento.15. Unum Breviarium modici valoris, // peccatorum349.16. Boecius, // suerat.17. Apparatus Archidiaconi350, // fatemur.18. Secunda pars secunde sancti Thome351, // nisi per lumen.19. Tabula vocabulorum Biblie, // Iheronimus VII f.20. Unum Missale ad usum Romanum352.21. Innocentius353, // victum.

346 GOFFREDO DA TRANI, Summa super titulis Decretalium: cfr. supra, testo corri-spondente alla nota 57.

347 Patrologia latina, LXXVII, Parisiis 1849, pp. 147-432; LXVI, Parisiis 1847, pp.125-203; Gregorii Magni Dialogi Libri IV, ed. U. MORICCA, Roma 1924 (Fonti per lastoria d’Italia, 57).

348 Un altro testimone della Lectura super Decretalibus di Pietro Boneti è registratonell’inventario dei beni (datato 1363) di Berengarius de Cruillas, vescovo di Gerona:cfr. Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 213, n.362.6. Su questo giurista cfr. DOLEZALEK, Verzeichnis der Handschriften zum römischenRecht bis 1600 cit., III, s. v. Petrus Bonetus.

349 Reg. Aven. 125: Item I Breviarium anticum cum postibus coopertus de corioalbo.

350 GUIDO DE BAYSIO, Lectura super Sexto Decretalium: SCHULTE, Die Geschichteder Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, pp. 188-189; G. MOLLAT, Guide Baysio, in Dictionnaire de droit canonique, V, pp. 905-907; F. LIOTTA, Baisio, Guidoda, in Dizionario biografico degli Italiani, V, Roma 1963, pp. 293-297; ID., Appunti peruna biografia del canonista Guido da Baisio, arcidiacono di Bologna, in «Studi sene-si», 76 (1964), pp. 7-52; sulla presenza del testo in ambito ecclesiastico avignonese cfr.Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papauté d’Avignon cit., I, p. 346 s. v.; II,publ. par M.-H. JULLIEN DE POMMEROL - J. MONFRIN, Paris 2001 (Documents, études etrépertoires publiés par l’I.R.H.T, 61), p. 551 s. v.

351 TOMMASO D’AQUINO, Summa theologiae: sulla circolazione di quest’opera siveda, con bibliografia, MURANO, Opere diffuse per ‘exemplar’ e pecia cit., pp. 753-761,nn. 872-875.

352 Reg. Aven. 125: Item pulcrum missale ad usum Curie Romane bene illuminatum.353 Molto probabilmente INNOCENZO IV, Novellae Collectio: G. BATTELLI, Intorno

alle ‘Novae constitutiones’ aggiunte da Innocenzo IV alla raccolta gregoriana delleDecretali, in ID., Scritti scelti. Codici. Documenti. Archivi, Roma 1975, pp. 15-23, giàpubblicato in Acta Congressus Iuridici Internationalis (Romae, 12-17 nov. 1934), III,Romae 1936, pp. 465-475; P. J. KESSLER, Untersuchungen über die Novellen-Gesetzgebung Papst Innozenz’ IV. I. Teil, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung fürRechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung», 31 (1942), pp. 142-320; II. Teil, ivi, 32

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22. Psalterium glosatum, // beatus vir.23. Una Biblia, // est permittunt medici354.24. Epistole Pauli glossate, // Paulus.25. Thesaurus pauperum355, // ortum capillorum356.26. Cronice summorum pontificum357.27. Digestum novum358.28. Decretales cum apparatu, satis pulcre, // solum autem.29. Una pars Moralium sancti Gregorii359.[f. 203v] De bonis eiusdem.30. Item apparatus Iohannis Andree super Clementinis360, // in deitate.

(1943), pp. 300-383; III. Teil, ivi, 33 (1944), pp. 56-128; S. KUTTNER, Decretalistica. 1.Die Novellen Papst Innozenz’ IV, in «Zeitschrift der Savigny-Stiftung fürRechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung», 26 (1937), pp. 436-470.

354 Reg. Aven. 125: Item I Biblia portatilis de littera subtili coperta cum postibus ettoballia listrata.

355 PIETRO ISPANO, Thesaurus pauperum: in Obras medicas, ed. M. H. DA ROCHA

PEREIRA, Coimbra 1973. Su Pietro Ispano, poi papa Giovanni XXI, cfr. K. SUDHOFF,Petrus Hispanus, richtiger Lusitanus, Professor der Medezin und Philosophie, schlies-slich Papst Iohannes XXI, eine Studie, in «Die Medizinische Welt», 24 (1934), pp. 1-10;M. GRABMANN, Handschriftliche Forschungen und Funde zu den philosophischenSchriften des Petrus Hispanus, des späteren Papstes Iohannes XXI († 1277), München1936 (Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-Historische Abteilung, J. 1936, Heft 9); J. F. MEIRINHOS, Giovanni XXI, in Enciclopediadei papi, II, Roma 2000, pp. 427-437, con bibliografia.

356 Nel margine destro Isti libri sunt in una archa de sapino.Reg. Aven. 125: Item I liber intitulatus Thesaurus pauperum.357 Per la presenza di cronache di papi e di imperatori nelle bibliotheche ecclesiasti-

che in area avignonese cfr. Bibliothèques ecclésiastiques au temps de la papautéd’Avignon cit., I, p. 337 s. v. Chronicae.

358 Nel margine sinistro Extractum pro nepotibus.Reg. Aven. 125: Item Digestum novum glosatum satis pulcrum.359 Patrologia latina, LXXV, Parisiis 1849, pp. 510-1162; LXXVI, Parisiis 1849, pp.

1-782.Nel margine sinistro Concordat.Reg. Aven. 125: Item I pars Moralium Gregorii in catervis magni voluminis sine

postibus.360 GIOVANNI D’ANDREA, Glossa ordinaria in Constitutiones Clementinas: J.

TARRANT, The Manuscripts of the Constitutiones Clementinae, in «Zeitschrift derSavigny-Stiftung für Rechtsgeschichte, Kanonistische Abteilung», 70 (1984), pp. 67-133; ivi, 71 (1985), pp. 76-146; M. BERTRAM, Clementinenkommentare des 14.Jahrhundert, in «Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven undBibliotheken», 77 (1997), pp. 144-175.

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31. Unum Volumen361.32. Summa copiosa362, // tebat363.33. Clementine, // lites auferat364.34. Digestum vetus365.35. Decretales cum apparatu, // quisquam.36. Speculum iuris366, // tatur de iudicibus.37. Repertorium magistri Guillelmi Durandi367, // beneficio.38. Apparatus Iohannis Monachi super VI libro368, // gimini369.39. Compostellanus370, // vel alia statuere.

361 Nel margine sinistro Pro nepotibus.362 ENRICO DA SUSA, Summa super titulis Decretalium: cfr. supra, testo corrispon-

dente alla nota 139.363 Reg. Aven. 125: Item liber vocatus copiosa.364 Reg. Aven. 125: Item Clementine cum apparatu.365 Nel margine sinistro Pro nepotibus.366 GUILLAUME DURAND, Speculum iuris (più noto come Speculum iudiciale):

SCHULTE, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, pp.148-152; K. W. NÖRR, A propos du ‘Speculum iudiciale’ de Guillaume Durand, in ID.,‘Iudicium est actus trium personarum’. Beiträge zur Geschichte des Zivilprozessrecht inEuropa, Goldbach 1993, pp. 41-49, già pubblicato in Guillaume Durand, Évêque deMende (v. 1230-1296). Canoniste, liturgiste et homme politique. Actes de la TableRonde de C.N.R.S. (Mende 24-27 mai 1990). Textes réunis par P. M. GY, Paris 1992,pp. 63-71; V. COLLI, Lo ‘Speculum iudiciale’ di Guillaume Durand: codice d’autore ededizione universitaria, in Juristische Buchproduktion im Mittelalter cit., pp. 517-566.Sul Durand cfr. da ultimo Guillaume Durand, Évêque de Mende cit.; J. GAUDEMET,Durand, Guillaume, in Dizionario biografico degli Italiani, XLII, Roma 1993, pp. 82-87.

367 GUILLAUME DURAND, Repertorium: SCHULTE, Die Geschichte der Quellen undLiteratur des canonischen Rechts cit., II, pp. 152-153.

368 IOHANNES MONACHUS, Apparatus super Sexto Decretalium: SCHULTE, DieGeschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, p. 192. SuIohannes Monachus cfr. F. LAJARD, Jean le Moine. Cardinal canoniste, in «Histoirelittéraire de la France», 27 (1877), pp. 201-224; R. NAZ, Jean le Moine ou JoannesMonachus, in Dictionnaire de droit canonique, VI, pp. 112-113.

369 Precede in deitate cancellato.Reg. Aven. 125: Item Apparatus Iohannis Monachi super VI libro Decretalium.370 BERNARDO DI COMPOSTELLA JUNIOR, Apparatus in Novellas Innocentii IV:

KUTTNER, Decretalistica cit., pp. 455-456; KESSLER, Untersuchungen cit., I, pp. 235,239, 242; II, pp. 306-308, 316-353; G. ANCIDEI, Un ‘exemplar’ dell’ApparatusNovellarum Innocentii IV di Bernardo di Compostella, in Paleographica, Diplomaticaet Archivistica cit., I, pp. 333-341. Su Bernardo di Compostella cfr. SCHULTE, DieGeschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts cit., II, p. 118-120; G.BARRACLOUGH, Bernard de Compostelle le jeune, in Dictionnaire de droit canonique, II,

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Qui libri reperti sunt in uno coffro serrante cum duabus clavibus, et estscriptum desuper: Coffrus filiorum quondam domini Nicolai etc.371

40. Item Sextus liber Decretalium, // pontificibus.41. Unus liber qui incipit, // Reverendissimo et amantissimo domino suo.42. Apparatus Innocentii372, // si vero.43. Summa Azonis373, // nes est quia.44. Prima pars secunde sancti Thome374, // in qua beatitudo375.45. Archidiaconus376, // per contrarium.46. Tertia pars sancti Thome377, // tura378.47. Summa theologie379 sancti Thome380, // in finibus381.Qui libri reperti sunt in simili coffro, in quo est scriptum desuper:Coffrinus filiorum condam domini Nicolai382.

Paris 1937, pp. 777-779; KESSLER, Untersuchungen cit., II, pp. 305-312; U. NICOLINI,Trattati ‘de positionibus’ attribuiti a Martino da Fano, Milano 1935, pp. 17-18; M. L.TARANTA, Bernardo da Compostella, in Dizionario biografico degli Italiani, IX, Roma1967, pp. 267-269; A. GARCÍA Y GARCÍA, Canonistas gallegos medievales, in«Compostellanum», 16 (1971), pp. 101-124, in particolare p. 116, nota 43.

371 Reg. Aven. 125: Isti libri fuerunt repositi in quodam cofro albo clauso de duabusclavaturis.

372 Cfr. n. 10.373 AZZONE, Summa Codicis o Summa Institutionum: cfr. supra, testo corrisponden-

te alla nota 60.374 Cfr. n. 18.375 Segue in finibus cancellato.376 Cfr. n. 17.377 Cfr. n. 18.378 Reg. Aven. 125: Item Tercia pars secunde sancti Thome.379 In interlinea Prima secunde.380 Cfr. n. 18.381 Reg. Aven. 125: Item Quedam Summa Theologie sancti Thome.382 Nel margine sinistro Concordat.Reg. Aven. 125: Qui libri sunt repositi in alio cofro albo clavato de duabus clavaturis.

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GIANMARIO FERRARIS

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I CANONICI DELLA CATTEDRALE DI VERCELLINEL SECOLO XIV. LINEE DI RICERCA

Il tema dei canonici e dei capitoli cattedrali ha visto rinascere da alcu-ni anni a questa parte un notevole interesse nella storiografia italiana. Afare il punto della situazione è stato il bel lavoro di Emanuele Curzel appar-so cinque anni or sono sui Quaderni di storia religiosa1. In questo articololo studioso trentino, raccogliendo i frutti del suo lavoro di dottorato con-fluito nel volume dedicato ai canonici e al capitolo di Trento2, dava ragio-ne di una passata stagione storiografica italiana poco interessata a studiare“le quinte ed il palcoscenico”, attirata com’era dal miraggio degli attori, deisingoli canonici cioè, per i quali far parte di una struttura ecclesiasticacome il capitolo cattedrale rappresentava lo strumento o la base economi-camente solida per giocare ruoli diversi su palcoscenici diversi.

Riaprire un discorso sul capitolo cattedrale di Vercelli sembrava dun-que doveroso, tanto più che nella storiografia vercellese (di Vercelli e suVercelli) sono pochi i lavori che si sono occupati direttamente ed espli-citamente dei due capitoli cittadini3. Mi riferisco in particolare ad unlontano studio di Giuseppe Ferraris, pubblicato sulla «Rivista di storia

Abbreviazioni: ACV = Archivio capitolare di Vercelli, AP= Atti pubblici, Ap = Attiprivati, Acap. = Atti capitolari; NE = I necrologi eusebiani, a c. di G. COLOMBO-R.PASTÈ, in «Bollettino storico-bibliografico subalpino» 2 (1897), pp. 1-96; 210-221; 383-394; 3 (1898), pp. 190-208; 279-297; 4 (1899), pp. 349-364; 6 (1901), pp. 1-15; 7(1902), pp. 366-374; 25 (1923), pp. 332-355.

1 E. CURZEL, Le quinte e il palcoscenico. Appunti storiografici sui capitoli italiani,in Canonici delle cattedrali nel medioevo, Verona 2003, pp. 39-67.

2 E. CURZEL, I canonici e il Capitolo della cattedrale di Trento dal XII al XV seco-lo, Bologna 2001.

3 A parte si devono considerare le acutissime osservazioni contenute in V. MANDELLI,Il comune di Vercelli nel medioevo, III, Vercelli 1858, pp. 101-106 e R. ORSENIGO,Vercelli sacra. Brevissimi cenni sulla Diocesi e sue Parrocchie. Stato delle parrocchie edel clero 1907-1908, Como 1909, pp. 36-42. Segnalo anche che per il secolo XVIII offreinteressanti osservazioni sulla fisionomia sociale del capitolo S. BALZARETTI, Nobili eborghesi a Vercelli alla fine dell’Antico Regime, Vercelli 2005, pp. 103-113.

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della Chiesa in Italia», con il quale l’erudito vercellese si era inserito neldibattito sorto dopo la prima settimana della Mendola4, e al contributoche Grado Merlo ha dedicato ai canonici di entrambi i capitoli cittadinidel secolo XII nell’ultimo Congresso storico vercellese5. Due lavoridiversi per genere e contenuto: il primo tutto teso a cogliere il momen-to iniziale della ripresa della vita in comune all’interno delle due mag-giori chiese cittadine dopo il periodo dei vescovi fedeli all’Impero; ilsecondo attento piuttosto a considerare i canonici vercellesi del secoloXII nella concretezza della loro vicenda ecclesiastica e umana e a met-tere in luce la realtà di un gruppo di chierici per nulla secondario nelpanorama delle istituzioni ecclesiastiche tardomedioevali dell’Italiacentro-settentrionale, capace cioè di inserirsi nei dibattiti teologici deltempo e di fornire alle diocesi circonvicine vescovi pronti ad allinearsialla politica pontificia di quel secolo.

Riaprire però il discorso sui capitoli cittadini vuol dire anche rimette-re in gioco la dialettica tra capitolo e canonici, decidere in altre parole sesia più opportuno prendere in considerazione gli aspetti meramente istitu-zionali (le quinte), oppure concentrarsi su figure eminenti che sono appar-tenute o che sono transitate all’interno delle due istituzioni ecclesiastichevercellesi (cioè, ancora una volta, gli attori). Devo confessare che la ten-tazione di seguire il cammino già tracciato da Merlo mi ha subito convin-to a fissare l’attenzione su singoli personaggi dei due capitoli; successi-vamente l’avanzare delle ricerche e delle riflessioni e, soprattutto, la qua-lità delle schede prosopografiche mi hanno orientato verso un discorso piùsfumato, che il titolo del mio intervento non sembra giustificare, se non inparte. Non vorrei però autogiustificarmi, riproponendo magari il topos let-terario del ricercatore perso di fronte alla copiosità del materiale inedito odisorientato per la mancanza di coordinate storiografiche sulla Vercellitrecentesca. Molto semplicemente ho preferito concentrare in una primafase la ricerca d’archivio in quel mare magnum che è l’Archivio capitola-

4 G. FERRARIS, La vita comune nelle canoniche di S. Eusebio e S. Maria di Vercelli,in «Rivista di storia della Chiesa in Italia», 17 (1963), pp. 365-394. Il contributo ripren-deva quanto era stato discusso durante la prima settimana della Mendola, che aveva datocome frutti il volume La vita comune del clero nei secoli XI e XII. Atti della Settimanadi studio, Milano 1962.

5 G.G. MERLO, I canonici dei capitoli cattedrali, in Vercelli nel secolo XII. Atti delquarto Congresso storico vercellese, Vercelli 2005, pp. 23-36.

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re di Vercelli per avere sott’occhio il maggior numero possibile di dati, dacui partire per un ulteriore e più pacato lavoro di riflessione e di sintesi.

Tra gli attori e le quinte e il palcoscenico ho optato quindi ancora peri primi, dando la prevalenza ad un discorso che dia un quadro d’insiemedei singoli attori che nel corso del secolo XIV hanno animato il capito-lo di S. Eusebio e mettendo per ora in ombra tutti i problemi che il lavo-ro di Curzel dichiara come necessari per affrontare correttamente ognilavoro sui capitoli cattedrali e sui loro canonici6.

1. Le coordinate iniziali

Prima di affrontare il discorso vorrei puntualizzare almeno alcunecoordinate minime sul capitolo della chiesa cattedrale di Vercelli,lasciando in ombra il capitolo minore di S. Maria.

All’inizio del secolo XIV il capitolo vercellese poteva ben dirsi orga-nizzato in modo coerente, dopo gli interventi normativi che avevanocostellato i due secoli precedenti, soprattutto da quando nella primametà del 1143 i canonici avevano restituito la vita in comune all’inter-no della cattedrale e nel marzo 1144 avevano contribuito alla redazionedi alcune norme riguardanti il preposito7. Altri interventi normativi siebbero nel 1224 ad opera del cardinale Guala Bicchieri, confermati dauna bolla di Onorio III del 22 novembre 12258. Nel secolo XIII poi sisusseguirono altri rapsodici interventi normativi del capitolo9.

Esso si presentava formato da due corpi separati: il capitolo di S.

6 CURZEL, I canonici e il capitolo cit., pp. 13-26.7 Il testo di queste norme si trova edito in FERRARIS, La vita comune cit., pp. 392-394.8 Copia in ACV, AP, Bolle, cart. IX <1186-1227>; edizione in R. ORDANO, I Biscioni.

Nuovi documenti e regesti cronologici, Torino 2000 (Biblioteca storica subalpina,CCXVI), pp. 34-38, n. VII.

9 Manca uno studio ed una edizione di tutti gli interventi normativi del capitolo:basti ricordare le aggiunte alla normativa o alle consuetudines riscontrabili nelle seguen-ti pergamene: 1214 luglio 16, Vercelli, ACV, Ap, cart. XVI, <1214-1215>); 1216 giugno7, Vercelli, ACV, Ap, cart. XVII, <1216-1217>; 1219 marzo 15, Vercelli, ACV, Ap, cart.XVIII, <1218-1219>); 1222 agosto 4, Vercelli, ACV, Ap, cart. XX, <1221-1222>; 1246giugno 11, Vercelli, ACV, Ap, cart. VII, <1245-1248>); 1254 novembre 5, Vercelli,ACV, Ap, cart. VIII, <1249-1255>; 1276 novembre 27, ACV, Ap, cart. XVII, <1276-1278>; 1277, ACV, Ap, cart. XVII, <1276-1278>). I documenti relativi alla produzionestatutaria del capitolo eusebiano sono inoltre raccolti in ACV, AP, Statuti, cart.LXXXIX-XCII.

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Eusebio, che officiava la chiesa cattedrale, formato da ventiquattrocanonici e il capitolo di S. Maria, formato da otto canonici. Entrambirappresentavano quell’unum corpus unumque collegium triginta duo-rum canonicorum in eisdem ecclesiis cathedralem sedem continenti-bus qui constituitur capitulum Vercellensem10.

Il capitolo eusebiano era governato da tre dignità, l’arcidiacono,l’arciprete e il preposito, la funzione di ognuna delle quali si era sta-bilizzata nel corso del secolo XIII. Al vertice dell’istituzione vi eral’arcidiacono, a cui competeva l’onere di convocare il capitolo e dimoderarlo nelle sue decisioni. La sua elezione spettava ai due capito-li riuniti, ma necessitava anche dell’approvazione vescovile11. Per isecoli precedenti possediamo unicamente il documento di elezione diRainerio Avogadro di Pezzana, futuro vescovo vercellese, avvenuta il12 marzo 127512, ma per il nostro secolo le informazioni si infittisco-no: conosciamo infatti il documento di elezione di Martino deBulgaro, avvenuta il 15 settembre 1332, in seguito alla morte diMartino de Credario di Bergamo13, e quella del suo successore PietroVerrus avvenuta il 27 settembre 136814. Durante l’arcidiaconato diPietro è da porsi anche l’elezione illegale di Giovanni de Sillavengo,cassata dal cardinale Roberto di Ginevra, legato pontificio, il 21 giu-

10 I canonici di entrambi i corpi canonicali furono inizialmente trenta come già nelsecolo X specificava un documento del vescovo Attone [Le carte dell’archivio capito-lare di Vercelli, I, a c. di D. ARNOLDI, G. C. FACCIO, F. GABOTTO, G. ROCCHI, Pinerolo1912 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 70, pp. 5-7, n. IX)]. Successivamenteil numero dei canonici di S. Eusebio salì a ventiquattro, quando il canonico GualaCapella istituì le prebende per altri due canonici il 10 febbraio 1196 (Le carte dell’ar-chivio, II, Pinerolo 1914 (Biblioteca della Società Storica Subalpina, 71), pp. 347-350,n. DLXXXIX. La citazione è tratta da una bolla di Gregorio IX del 25 agosto 1227, datada Anagni (ACV, AP, Bolle, cart. IX).

11 In generale si veda A. AMANIEU, Archidiacre, in Dictionnaire de droit canonique,I, Paris 1935, coll. 1004-1026; cfr. anche CURZEL, I canonici cit., pp. 326-330. In parti-colare per Vercelli MANDELLI, Il comune cit., pp. 106-108; ORSENIGO, Vercelli sacra cit.,p. 41.

12 Il documento è conservato in ACV, Arcidiaconato. Collazioni canonicali in St.Eusebio, cart. 1a. Cfr. MANDELLI, Il comune cit., p. 107.

13 Il documento di elezione si trova in ACV, Arcidiaconato. Collazioni canonicali inSt. Eusebio, cart. 1a; una copia in ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330-1332>.

14 ACV, Acap., fasc. 3, f.267rv, una copia cinquecentesca in ACV, Arcidiaconato.Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 1a.

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gno 137615. Possediamo infine la conferma dell’elezione di Filipponedi Ticineto del 2 maggio 1390 con il suo giuramento del 21 maggioseguente16 e gli atti relativi all’elezione di Giovanni de Bulgaro, avve-nuta tra il 15 febbraio e il 4 aprile 139517.

Al secondo posto della gerarchia capitolare vi era l’arciprete. A luispettavano il controllo dell’ordinato svolgimento della liturgia all’inter-no della cattedrale e le funzioni pastorali connesse con la cura anima-rum18. La serie degli arcipreti del secolo XIV è meno lineare rispetto aquella degli arcidiaconi: tra l’ultima citazione di Alessio de Nazara,risalente al 4 giugno 129119, e il 3 ottobre 1301 quando compare unmagister Nicolaus archipresbiter non altrimenti specificato, ma attesta-to fino al 3 agosto 130420, esiste uno iato per ora incolmabile. Dal 1307al 1311 ricoprì l’incarico Uberto Avogadro di Valdengo, promosso inseguito alla sede vescovile eusebiana21; dal 1314 fino alla morte avve-nuta nel 1338 tenne l’incarico Guido Avogadro di Casanova22, dopo ilquale fu eletto il 15 gennaio 1338 Facio o Bonifacio Cagnoli, attestatoalmeno fino al 134623. Il nome di un arciprete Guido de Ripparia èconosciuto unicamente perché si ritrova in un registro di conti, primache diventasse vescovo di Macerata nel 134724, mentre tra il 1358 ed il

15 ACV, Atti dei legati pontifici, cart. XIII, <1211-1407>.16 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 73r-74r e f. 86rv.17 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 219r (lettera di presentazione del conte di Virtù); f.

229r (altra lettera del conte di Virtù); ff.230r-231v (elezione di Giovanni ad arcidiacono,15 febbraio 1395); f. 238rv (ordine del vescovo Ludovico Fieschi all’arciprete di far com-parire il nuovo eletto alla sua presenza a Masserano, 21 febbraio 1395); ff. 244r-246v(conferma dell’elezione di Giovanni ad arcidiacono da parte del vescovo, 4 aprile 1395).

18 In generale si veda A. AMANIEU, Archiprêtre, in Dictionnaire de droit canonique,I, coll. 948-1004, in particolare per Vercelli MANDELLI, Il comune cit., pp. 108-110;ORSENIGO, Vercelli sacra cit., p. 41.

19 ACV, Ap, cart. XXI, <1288-1291>.20 Il primo documento è in ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>; l’ultimo in ACV, Ap,

cart. XXV, <1304-1305>.21 Gli estremi vanno dal 14 aprile 1307 (ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>), al 14

aprile 1311 (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>). 22 Gli estremi vanno dal 1314 (ACV, Ap, cart. XXIX, <1314-1316>) fino alla sua

morte, avvenuta il 3 gennaio 1338, come è desumibile dal documento di elezione del suosuccessore del 15 gennaio seguente (ACV, Arcipretura. Collazioni, cart. 2a).

23 Il documento di elezione in ACV, Arcipretura. Collazioni, cart. 2a.24 Il suo nome si desume dall’elenco dei canonici contenuto in un libro di consegna-

menti per Caresana (ACV, Caresana, Libri di consegnamenti e misure, maz.a I, Transunto

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1365 è arciprete Matteo da Viterbo25. Un altro lungo iato ci fa arrivarefino al 1388, quando è attestato Gaspardo Avogadro di Quinto26.

L’ultima dignità capitolare, introdotta dalla riforma del 1144, era ilpreposito a cui competeva la funzione di amministrare i beni del capi-tolo. Anche in questo caso la serie non è definitivamente stabilita: apri-rebbe la lista un Ruffino Avogadro di Quinto, attestato come tale a par-tire dal 129727, segue Filippo Avogadro di Quinto, preposito dal 1301 al131228. A succedergli venne eletto Palaino Avogadro di Casanova, chetenne l’ufficio dal 1312 fino alla sua promozione alla cattedra episcopa-le di Ivrea nel 132629. Solo nel 1332 è attestato come preposito Martinode Bulgaro, unicamente nel documento che conferma la sua elezione adarcidiacono della chiesa di S. Eusebio. Dopo di lui è ricordato un Ghio

di Consegnamento antico di beni del Capitolo estratto dal nodaro Antonio Gallo nel1348). Ulteriori informazioni in R. PASTÈ, Canonici di S. Eusebio elevati all’episcopato oal cardinalato, in «Archivio della Società vercellese di storia e d’arte», 2 (1910), n. 2, p.355. Cfr. Hierarchia catholica medii aevi sive summorum pontificum, S. R. E. cardinaliumecclesiarum antistitum series ab anno 1198 usque ad annum 1431 perducta per C. EUBEL,Monasterii 19132, p. 410 dove risulta eletto vescovo di Macerata il 5 novembre 1347.

25 Viene ricordato come arciprete nel 1358 (A. COPPO-M. C. FERRARI, Protocollinotarili vercellesi del XIV secolo. Regesti, Vercelli 2003, p. 83 n. 221), fino al 1365(MANDELLI, Il comune cit., p. 110).

26 NE n. 455.27 Citato per la prima volta tra i canonici il 12 marzo 1275 (ACV, Arcidiaconato.

Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 1a), ricorre come successessore del prepositoRuffino d’Albano a partire dal 2 aprile 1297 (ACV, Ap, cart. XXIII, <1297-1300>) finoal 10 gennaio 1299, quando a Roma stende il suo testamento (ibidem).

28 Appartenente al ramo degli Avogadro signori di Quinto, questo canonico compa-re per la prima volta il 5 maggio 1273 nel cambio effettuato tra il capitolo eusebiano ePhilippus e Guilielmotus de Montonario di alcuni beni (ACV, Ap, cart. XVI, <1271-1275>). Risulta preposito di S. Eusebio dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV,<1301-1303>) fino al 26 agosto 1312, quando stese il suo testamento (ACV, Ap, cart.XXVIII, <1311-1313>).

29 Appartenente al ramo dei signori di Casanova, è presente in capitolo dal 3 agosto1304 (ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>). Riveste l’incarico di tesaurarius del capito-lo e di vicarius generalis del vescovo Rainerio Avogadro tra il 10 giugno 1306 (ACV,Ap, cart. XXVI, <1306-1307>) e il 15 marzo 1311 (ACV, Statuti capitolari, cart. XCI).Il 23 giugno 1312 è ricordato come preposito (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>),carica documentata fino al 13 febbraio 1317 (ACV, Ap, cart. XXX, <1317-1322>).Venne eletto vescovo di Ivrea il 20 ottobre 1326 (EUBEL, Hierarchia catholica cit., p.286), notizie sul suo episcopato in G. ANDENNA, Episcopato e strutture diocesane nelTrecento, in Storia della Chiesa di Ivrea dalle origini al XV secolo, a c. di G. CRACCO,con la collaborazione di A. PIAZZA, Roma 1998, pp. 321-394.

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de Arborio, presente a partire dal 1334 fino al 134930. Rapsodicamentecompare nel biennio 1351-1352 il nome di un non ben identificatoPetrus a ricoprire l’incarico31, al quale succede un Gabriele de Scribanisdi Vignale colto unicamente quando viene menzionato come olim ipsiusecclesie ultimus prepositus il 5 novembre 1362, giorno di elezione delsuo successore Guido de Bulgaro32. Quest’ultimo è attestato fino al 1371.Dopo un lungo iato veniamo a conoscenza del nome di un Paramidexusde Torniellis di Novara, che tenne la carica dal 1381 fino al 140333.

All’interno dei ventiquattro, altre figure, chiamate officiales, coadiu-vavano le dignità nella vita ordinaria: uno o due cantores che si occupa-vano della gestione minuta della liturgia canonicale34 e il thesaurariusche aveva la custodia del tesoro della cattedrale, compresi i libri e gliarredi liturgici35. A partire dalla seconda metà del secolo XIV prende

30 Attestato come preposito di S. Eusebio dal 24 giugno 1334 (ACV, Ap, cart.XXXIV, <1333-1335>) fino al 1349 (Archivio di Stato di Vercelli, Ospedale di S.Andrea, Pergamene, m. 1832 n. 1472).

31 Questo preposito non viene ricordato nella lista approntata dal MANDELLI, Ilcomune cit., p. 111.

32 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 154r e cfr. MANDELLI, Il comune cit., p. 111.33 MANDELLI, Il comune cit., p. 111.34 Questa figura non deve essere confusa con il maior (cantor), che presiedeva il

capitolo minore di S. Maria. I cantores della cattedrale, talvolta citati in coppia, furonoper il secolo XIV: Salvo Grassus (1303 dicembre 13, ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>); Uberto Avogadro di Valdengo (1304 ottobre 25, ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>); Guido di Pezzana (1308 agosto 25, ACV, Ap, cart. XXVII, <1308-1310>);Delfino de Vassallis (1326 marzo 11; ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326> è chiamatomaior cantor); Giovanni Cagnoli e Antonio de Bulgaro (1367 maggio 10; ACV, Ap, cart.XXXXVI, <1364-1368>-1379 febbraio 25; ACV, Ap, cart. XLIX, <1378-1380>);Bartolomeo de Scotis viene investito dell’officium cantorie a seguito della morte diNicola di Montiglio il 21 dicembre 1375 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, f. 18r); il 12 giu-gno 1394 Giovanni Cagnoli rinuncia all’officium cantorie «quod comode et sine magnadifficultate non potest officium dicte sue cantorie in dicta ecclesia exercere propter eiusmagnam senectutem et si ipsum officium teneret posset anime sue acuirere non modi-cum preiudicium» (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 256v).

35 La figura del tesaurarius, presente in molti altri capitoli cattedrali (CURZEL, Icanonici cit., pp. 343-345), è attestata fin dall’alto medioevo nel capitolo eusebiano: cfr.G. FERRARIS, Le chiese “stazionali” delle rogazioni minori a Vercelli dal sec. X al sec.XIV, a c. di G. TIBALDESCHI, Vercelli 1995, p. 109 n. 16. Per il secolo XIV abbiamo leseguenti attestazioni: Palaino Avogadro di Casanova (1306-1307); Guido di Casanova(1312); Giovanni di Asigliano (1331-1345); Ludovico di Castellengo (1363-1372;1388-1390); Lanfranco d’Arborio (1375).

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piede e maggiore importanza la figura del primicerius sacerdotum36. Inassenza delle tre dignità capitolari costui aveva il compito di convocaree presiedere il capitolo: la sua funzione quindi divenne essenziale perl’ordinato svolgimento delle attività capitolari durante i periodi in cui letre dignità contemporaneamente si trovavano a risiedere fuori della cittào della diocesi, come capitò per l’elezione di Guido de Bulgaro a preposi-to il 6 novembre 1362. In quell’occasione per antica consuetudine durantel’assenza o la vacanza dell’arcidiacono, dell’arciprete e del preposito ilpresbiter antiquior o primicerius, probabilmente il prete con maggioreanzianità nell’ordine sacro, aveva facoltà di convocare il capitolo37.

2. I canonici e la società

Fissate le coordinate minime, è giunto il momento di affrontare ilprimo ambito di ricerca, cioè di stabilire se e in quale misura il capitolodella cattedrale fosse lo specchio della società vercellese del secolo XIV.È un tema più volte lambito dagli studi sui due secoli precedenti, chehanno permesso di formulare ipotesi interessanti che necessitano anco-ra di qualche puntualizzazione, come osservava Merlo nell’ultimo con-gresso storico38. Il punto di partenza sta nella constatazione che dopo laripresa della vita comune potevano accedere agli stalli canonicali i rap-presentanti delle famiglie più o meno coinvolte nella politica del vesco-vo vercellese e in misura minore i rappresentanti delle famiglie dellafeudalità maggiore del vescovo. Lo ha messo bene in luce AlessandroBarbero per il secolo XII, quando osservava che l’esperienza dei vesco-vi filoimperiali potrebbe essere stata una delle cause dell’affievolimen-to di queste ultime all’interno del capitolo a vantaggio delle nuove fami-glie cittadine che stavano permettendo in quegli anni la formazione del-l’esperienza comunale39. Il dato quantitativo, per quanto ancora grezzoe incompleto, conforta questa impressione: su 66 canonici censiti dal1143, anno dal quale si fa partire la riforma del capitolo, al 1199, in

36 Accenna al primicerio MANDELLI, Il comune cit., pp. 105-106. In generale v. N.NAZ, Primicer, in Dictionnaire de droit canonique, VII, col. 215.

37 ACV, Acap., cart. 95 , fasc. 2, f. 159rv.38 MERLO, I canonici cit., p. 35.39 A. BARBERO, Vassalli vescovili e aristocrazia consolare a Vercelli nel XII secolo,

in Vercelli nel secolo XII cit., pp. 259-260.

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effetti, si conta solo un esponente ciascuno proveniente dalle fila dellefamiglie comitali o capitaneali, mentre quasi il 32% proviene da fami-glie urbane, a fronte di un 18% rappresentato da famiglie signorili, lega-te da vincoli vassallatici al vescovo vercellese (vedi Tabella n. 1). Va dasé che questa prima impressione quantitativa non tiene conto del fattoche i documenti di questo secolo a volte non rivelano se non il nome deicanonici, impedendo quindi una riflessione più seria sulla loro identifi-cazione familiare.

TABELLA 1Provenienza sociale dei canonici vercellesi (secc. XII-XIII)

secolo XII secolo XIII

n. ass. % n. ass. %

Famiglie comitali 1 1,5 5 5,4

Famiglie capitaneali 1 1,5 8 8,6

Domini locali 12 18,2 21 22,6

Famiglie urbane 21 31,8 38 40,9

Senza specificazioni 21 31,8 1 1,1

Altre provenienze 10 15,2 20 21,5

Totale 66 100 93 100

* Si è usata la distinzione operata da BARBERO, Vassalli vescovili, in quanto

meglio fotografava la stratificazione della società vercellese di questi secoli.

Questa osservazione vale anche, ma parzialmente per il secolo XIII:su 93 canonici che iniziarono la loro presenza in capitolo nel nuovosecolo, circa il 41% è rappresentato da membri di famiglie cittadinecontemporaneamente presenti all’interno degli organi comunali, mentreun 14% proviene proprio da quelle famiglie che in precedenza eranostate escluse o limitate nel loro ingresso in capitolo, come i conti diLangosco e di Biandrate, o dalle famiglie capitaneali e signorili come ida Robbio, i da Carisio, i da Arborio e i da Albano (vedi Tabella n. 1).Segno che qualcosa era cambiato.

Per il secolo XIV la prospettiva cambia ancora: se guardiamo com-plessivamente al gruppo dei circa 170 canonici attestati in questo

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periodo, ci si accorge che solo alcune famiglie eminenti della cittàcontinuarono ad avere rappresentanti nel coro della cattedrale: primafra tutte il consortile degli Avogadro40, che raccoglie ben 15 canonici,concentrati tra la fine del secolo precedente e i primi quaranta anni delsecolo XIV41. Due soli canonici su quindici infatti sono attestati nellaseconda metà del secolo: un Tommaso Avogadro di Valdengo, mortonel 1375, di cui non sappiamo altro se non il nome del padre,Antonio42, e Gaspardo Avogadro di Quinto presente in capitolo dal137543. Le altre due famiglie con il numero di canonici in assoluto piùimponente sono i de Arborio44 e i de Bulgaro45, entrambe con sette pre-senze.

Al di là di questi tre gruppi parentali che detennero il primato di pre-senze nel capitolo vercellese, le famiglie che affondavano le loro fortu-

40 Manca a tutt’oggi uno studio organicamente completo sulla famiglia degliavvocati vescovili che a partire dal XII secolo fissarono nella forma cognominaleoggi nota come Avogadro l’antica funzione esercitata per conto del vescovo vercel-lese: si vedano però le puntualizzazioni fornite da BARBERO, Vassalli vescovili cit.,pp. 262-268; R. RAO, Politica comunale e relazioni aristocratiche: gli avvocati ver-cellesi (Avogadro) tra città e campagna, in Vercelli nel secolo XII cit., pp. 189-216;cfr. A. BARBERO, Da signoria rurale a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra ildistretto del comune di Vercelli, la signoria viscontea e lo stato sabaudo, in Poterisignorili e feudali nelle campagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento:fondamenti di legittimità e forme di esercizio. Atti del convegno di studi (Milano, 11-12 aprile 2003), a c. di F. CENGARLE, G. CHITTOLINI, G. M. VARANINI, disponibile in«Reti Medievali. Rivista», 5 (2004) al sito http://www.storia.unifi.it/_RM/rivista/atti/poteri/Barbero.htm.

41 Sono i seguenti canonici: Giorgio Avogadro di Valdengo (1260-1304); RainerioAvogadro di Pezzana (1261-1303); Filippo (I) Avogadro di Quinto (1273-1312); FilippoAvogadro di Valdengo (1275-1312); Filippo (II) Avogadro di Quinto (1301-1307);Uberto Avogadro di Valdengo (1304-1314); Rainerio Avogadro di Valdengo (quondam1304); Palaino Avogadro di Casanova (1304-1317); Rainerio Avogadro di Pezzana(1304-1326); Guido Avogadro di Casanova (1308-1338); Bertolino Avogadro diPezzana (1307-1325); Giorgio Avogadro di Quaregna (1309-1322); Rainerio Avogadrodi Quaregna (1315-1338).

42 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, f. 7rv.43 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, f. 1r.44 Sono attestati come canonici di questa famiglia: Giacomo de Arborio (1304-

1309); Simone de Arborio (1330); Ghio de Arborio (1334-1349); Giovanni de Arborio(1340-1355); Lanfranco de Arborio (1362-1382); Simone de Arborio (1375); Ioncelinusde Arborio (1395-1398).

45 Sulla famiglia v. BARBERO, Vassalli vescovili cit., pp. 240-243. Sui canonici diquesta famiglia vedi oltre.

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ne, anche ecclesiastiche, nel rapporto, a volte dialettico, con il vescovonon sono più rappresentate con una certa frequenza: scompaiono iBicchieri46, i Bondoni sono rappresentati da un canonico morto nel 1300e da un altro eletto alla fine del secolo47, i Vialardi48 e gli Alciati com-paiono in altri due casi ciascuno49, i da Robbio, che nei due secoli pre-cedenti avevano fornito al capitolo importanti personaggi, esaurisconola loro influenza all’interno del coro alla fine degli anni trenta con duecanonici50. Anche le famiglie nuove, quelle che avevano trovato mag-giori spazi nella società vercellese nel pieno del secolo precedente sem-bra che non abbiano avuto la capacità di radicarsi in capitolo: sporadi-camente compare un rappresentante ciascuno delle famiglie dei

46 Sulla famiglia si veda C. D. FONSECA, Ricerche sulla famiglia Bicchieri e lasocietà vercellese dei secoli XII e XIII, in Contributi dell’Istituto di Storia medioevale.I. Miscellanea in memoria di Giovanni Soranzo, Milano 1968, pp. 207-265 e cfr.BARBERO, Vassalli vescovili cit., pp. 272-276.

47 Si tratta di Enrico Bondoni di Alice, attestato come giovane canonico il 15 mag-gio 1265 (ACV, Ap, cart. XII, <1263-1265>), mentre il suo testamento è datato 23 giu-gno 1300 (ACV, Ap, cart. XXIII, <1297-1300>) e di Francesco, figlio di AntonioBondoni di Ronsecco, citato nel testamento di Nicola di Montiglio del 15 settembre1375 (ACV, Ap, cart. XXXXVIII, <1373-1377>). Sulla famiglia v. G. ANDENNA, Per lostudio della società vercellese del XIII secolo. Un esempio: i Bondoni, in Vercelli nelsecolo XIII cit., pp. 203-223.

48 Si tratta di Guglielmo Canis Vialardi, il cui nome ricorre due volte nelle listecanonicali desunte dai documenti capitolari: la prima il 7 novembre 1305 (ACV, Ap,cart. XXV, <1304-1305>), la seconda il 16 marzo 1311 (ACV, Ap, cart. XXVIII,<1311-1313>); e di Antonio Vialardi di Sandigliano, figlio di Philipponus deGuidalardis de Sandiliano e rector della chiesa di Verrone, eletto il 9 marzo 1385(ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 30v-31v) ed attestato fino al 15 febbraio 1395(ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 219v). Sulla famiglia v. BARBERO, Vassalli vescovi-li cit., pp. 283-287.

49 Si tratta di Servusdei Alciati, canonico dal 1308 al 1318, per il quale si veda oltre,e Onestino Alciati, attestato nel 1375 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 5, ff. 16rv).

50 Sulla famiglia capitaneale si v. in generale BARBERO, Vassalli vescovili cit., pp.236-240. In particolare tra XII e XIII secolo sono attestati i seguenti canonici, ascrivi-bili alla famiglia: l’arcidiacono Pietro de Rodoblio (1144-1163), Pietro (II) de Rodobio(1208-1214); Pietro (III) de Rodobio (1216-1236); Caspardo (I) de Rodobio (1264-1268). Per il secolo XIV si possono contare Caspardo (II) de Rodobio attestato comepreposito di Robbio a partire dal 5 maggio 1273 (ACV, Ap, cart. XVI, <1271-1275>)fino al 13 febbraio 1317 (ACV, Ap, cart. XXX, <1317-1322>); ed un Aicardo deRodobio elencato tra i canonici eusebiani a partire dal 25 novembre 1308 (ACV, Ap,cart. XXVII, <1308-1310>), fino al 1326, quando compare come esecutore testamenta-rio di Rainerio Avogadro di Pezzana (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>).

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Cocorella51, dei De Dionigi di Caresana52, dei Pettenati53, dei Cagnoli-Centorio54, dei Tizzoni55 e dei Vassallo56.

Come spiegare questa rapsodicità di presenze? Una prima immediata

51 Il canonico di questa famiglia è Antonio Cocorella, procuratore del canonicoAntonio de Mandello il 2 maggio 1388, prima sua attestazione (ACV, Acap., cart. 97,fasc. 6, ff. 142v-143r); in seguito venne eletto il 12 giugno 1395 cantor, succedendo aGiovanni Cagnoli (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 256v).

52 Per la famiglia de Dionixiis di Caresana si veda, con qualche cautela, V. BUSSI, Inobili de Dionisio della rocca di Caresana, in «Bollettino storico vercellese», 11 (1982)n. 19, pp. 73-81 e cfr. ID., Le pergamene “de Dionisiis” di Caresana, in «Bollettino sto-rico vercellese», 14 (1985) n. 24, pp. 105-111.

53 Il canonico proveniente da questa famiglia fu Guidone Pettenati, elencato tra icanonici, ma molto saltuariamente, dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>) fino al 1314 (ACV, Ap, cart. XXIX, <1314-1316>).

54 Per i Cagnoli-Centorio si vedano le notizie in F. PANERO, Istituzioni e società aVercelli. Dalle origini del comune alla costituzione dello Studio (1228), in L’Universitàdi Vercelli nel Medioevo. Atti del secondo Congresso Storico Vercellese, Vercelli 1994,p. 96 e note relative e cfr. V. MOSCA, Le pergamene dell’ospizio di S. Silvestro dellaRantiva, in «Archivi e storia», 2 (1989), pp. 195-222. I canonici ascrivibili a questogruppo familiare furono: Bertolino Centori di Pezzana, la cui prima attestazione risali-rebbe al 18 settembre 1283 (ACV, Ap, cart. XIX, <1282-1285>), quasi sicuramente daidentificare con quel rettore e ministro della chiesa e della mansio dei Rantivi che il 27agosto 1278 procedeva ad un’investitura (MOSCA, Le pergamene cit., p. 198, n. 3), e checontinuerà ad essere a capo del brefotrofio vercellese almeno fino al 1327 (ivi, p. 201 n.10). Giovanni Cagnoli, figlio di Ardicio de Cagnoli (COPPO-FERRARI, Protocolli notari-li cit., p. 149 n. 6), che compare per la prima volta come canonico il 18 novembre 1340(ACV, Ap, cart. XXXVII, <1340-1341>); cantor dal 10 maggio 1367 (ACV, Ap, cart.XXXXVI, <1364-1368>), fino al 12 giugno 1395; primicerius dal 18 aprile 1372 (ACV,Ap, cart. XXXXVII, <1369-1372>), ottenne l’elezione di rector et minister della chiesae dell’ospedale di S. Silvestro dei Rantivi il 27 giugno 1378 e come tale fu confermatodal vescovo Giovanni Fieschi (MOSCA, Le pergamene cit., pp. 210-212, nn. 29, 30, 31,32, 33, 34, 35). Bonifacio Cagnoli, attestato come canonico a partire dal 31 ottobre 1330(ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330-1332>); morì anteriormente al 1347, come viene ricor-dato in un documento del 20 ottobre di quell’anno (MOSCA, Le pergamene cit., p. 206 n.20).

55 L’unico canonico proveniente da questa famiglia fu Guglielmo Berloffa Tizzoni diTricerro, che compì la sua settimana in ordine acolitali, il 4 marzo 1388 (ACV, Acap.,cart. 97, fasc. 6, ff. 115r-116v). Sulla famiglia v. ora il contributo di S. Pozzati in que-sto volume, nonché PANERO, Istituzioni cit., p. 151 e C. GAZZERA, Memorie storiche deiTizzoni conti di Desana e notizie sulle loro monete, Torino 1842.

56 L’unico canonico proveniente da questa famiglia fu Delfino de Vassallis, presen-te nel capitolo dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>); divenne anchegeneralis vicarius del vescovo Uberto Avogadro il 4 aprile 1315 (ibidem). L’11 marzo1326 è chiamato maior cantor (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>). Morì il 10 dicem-bre 1342 (ACV, Puntature capitolari, fasc. 1, f. 7v).

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spiegazione è dovuta al fatto che il capitolo vercellese, come gli altri capi-toli cattedrali, se ha continuato in questo secolo a mantenere una folta rap-presentanza di persone che provenivano dall’aristocrazia vercellese, havisto incrementare il numero di ecclesiastici stranieri promossi agli stallicanonicali da spinte esogene, come la vicinanza a chi in quel momentodeteneva il potere nella città o agli ambienti della Curia romana.

Le imbreviature di Giovanni de Scotis fotografano bene questa situa-zione dagli anni quaranta fino alla fine del secolo: su 82 canonici censi-ti almeno 16 sono detti espressamente chierici milanesi o la loro prove-nienza dalla diocesi ambrosiana è desumibile dai benefici ecclesiasticiche in quel momento detenevano, gli altri provengono dalla parte mon-ferrina della diocesi di Vercelli, o sono figli di famiglie principesche,come il caso dei tre canonici figli di Manfredi marchese di Saluzzo, cheottennero lettere di provvisione nel 1359 (Giacomo), nel 1361(Ludovico) e nel 1368 (Galeazzo)57, i rimanenti provenivano dagliambienti della Curia pontificia, come il caso di Ambrogio de Tricio,scriptor in Romana curia58 o Cello Nardelli de Orto, anch’egli procura-tore del capitolo eusebiano in Romana curia e destinato di lì a qualcheanno a rinunciare alla prebenda vercellese per quella ben più importan-te del capitolo della basilica di S. Pietro in Vaticano59.

57 Giacomo, detto de Saluciis, venne eletto canonico di S. Eusebio l’8 novembre1358, succedendo nella prebenda lasciata vacante per la morte di Tebaldo Brusati (ACV,Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 32r-33r). La sua nomina viene confermata il 9 febbraio 1360(ibidem, f. 34v). Ludovico, natus Manfredi marchionis Saluciarum, fu eletto canonico il7 novembre 1361 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 100r-101r), succedendo nel canoni-cato di Eusebio de Dionixiis. L’ultimo, Galeazzo, filius magnifici militis Manfredi mar-chionis Saluciarum presentò lettere di Giacomo Fieschi per ottenere un canonicato aVercelli il 29 aprile 1368 (ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, ff. 232r-233v).

58 Canonico di S. Lorenzo Maggiore di Milano, viene ricordato come procuratore delcapitolo il 15 giugno 1359 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 24v-25r). Entra a far partedel capitolo l’11 aprile 1367 (ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, ff. 160r-161r). Era scriptorin Romana curia, come risulta dopo la sua morte dalla lettera di provvisione del suo suc-cessore Bartolomeo de Grana il 30 aprile 1390 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 70rv).

59 Destinatario di una lettera di provvisione del papa Innocenzo VI del 21 agosto1355 (ACV, AP, Bolle, cart. XII <1151-1379>, n. 15), ottenne la collazione della pre-benda solo il 18 marzo 1361 alla morte di Ruffino di Masino (ACV, Acap., cart. 95, fasc.2, f. 56r), prendendo possesso della prebenda tramite il procuratore Giovanni Fornascus(COPPO-FERRARI, Protocolli notarili cit., p. 146 n. 1). Rinunciò alla prebenda anterior-mente al 25 marzo 1364, quando fu eletto canonico di S. Pietro in Vaticano (ACV,Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 259v-261v).

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Globalmente sull’intero secolo un rapido e ancora grezzo dato sta-tistico rivela infine come il numero dei canonici provenienti da zonedell’Italia lontane dalla diocesi di Vercelli o dalle diocesi che forma-vano la metropolia milanese salga progressivamente lungo il secolo,da un 3,7% del primo quarto, ad un 20% dell’ultimo quarto, con ilconseguente calo percentuale dei rappresentanti provenienti dalla cittàe dalla diocesi di Vercelli, che vanno da un 82,6% iniziale ad un 47,5%finale.

3. I canonici e la carriera

Queste ultime osservazioni ci permettono di affrontare un secondoambito di ricerca, quello relativo alla carriera dei canonici eusebiani apartire dal momento del loro ingresso in capitolo.

La cooptazione era la procedura ordinaria mediante la quale i cano-nici aggregavano al corpo capitolare un nuovo membro: così stabilivainfatti una bolla di Celestino II del 1° gennaio 114460. Molto spesso erail legame di parentela che li aveva uniti ad un ecclesiastico già presen-te in capitolo a far sì che i parenti più prossimi di un canonico, i nipo-ti, potessero aspirare ad uno stallo in coro61. Il caso più eclatante è cer-tamente quello di Martino de Bulgaro. Preposito del capitolo e, a par-tire dal 1332, arcidiacono della cattedrale fino alla sua morte, avvenu-ta nel 1368, attuando una politica che potremmo definire di tipo sfac-ciatamente nepotistico, riuscì a promuovere al canonicato durante isuoi lunghi anni di governo ben cinque nipoti, tre figli dei fratelli e dueappartenenti al ramo collaterale dei signori di Castellengo (Antonio62,

60 Le carte dell’archivio capitolare, I, pp. 143-146 doc. CXX: «Preterea antiquas etrationabiles consuetudines ipsius ecclesie ratas manere censemus, sanctorum quoquepatruum auctoritatem sequentes, sancimus ut nullus in eadem ecclesia nisi communi fra-trum vel sanioris partis consilio, canonicus statuatur nec cuiuslibet ecclesiastici officiiamministratio alicui committatur»; per la datazione si veda FERRARIS, La vita comunecit., pp. 371. In generale si considerino le pacate riflessioni di CURZEL, I canonici cit.,pp. 219-229.

61 CURZEL, I canonici cit., p. 220.62 Antonio de Bulgaro è attestato con una certa frequenza nel capitolo a partire dal

10 gennaio 1338 (ACV, Arcipretura. Collazioni, cart. 2a) fino al 1395 (ACV, Acap., cart.

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Guido63 ed Emanuele de Bulgaro64 ed Enrico65 e Ludovico deCastellengo66), vantandosene pure sia nel testamento (et quinque nepo-tes suos de domo propria ordinavit et quod plures alios amicos et notossuos in canonicos recipere procuravit)67, sia nella nota obituaria fattascrivere nel Necrologio della chiesa eusebiana (tres nepotes suos filiosfratrum suorum et duos de eadem domo de Bulgaro ex castroCastellengi suo tempore habere meruit in canonicis huius ecclesieinstitutos quorum fultus auxilio pariter et consensu multa laudabiliaopera per canonicos et capitulum in hac ecclesia fieri procuravit)68, aiquali possiamo aggiungere altri tre canonici del ramo principale(Emanuele de Bulgaro - canonico dal 1340 al 134769; Giovanni I deBulgaro - attestato nel 136470 - e Giovanni II de Bulgaro, anteriormen-te canonico di S. Maria di Vercelli e destinato a diventare arcidiacono,

97, fasc.). Dal 10 maggio 1367 è ricordato come cantor, insieme con Giovanni Cagnoli(ACV, Ap, cart. XXXXVI, <1364-1368>). Era già morto il 9 gennaio 1395, quando lasua prebenda fu assegnata a Ludovico de Bulgaro (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f.215v).

63 Guido de Bulgaro compare tra i canonici il 14 febbraio 1340 (ACV, Ap, cart.XXXVII, <1340-1341>). Il 6 novembre 1362 è ricordato come primicerius e come taleha la facoltà di convocare il capitolo in assenza di una dignità, delegando in sua vece ilcanonico Giovanni Cagnoli a svolgere questa funzione: immediatamente il capitolo loelegge prepositus della chiesa eusebiana (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 159r-162v).Consegna il palium il 29 maggio dello stesso anno (ibidem, f. 180r). Viene ricordatocome bone memorie e olim prepositus il 6 agosto 1371 (ACV, Ap, cart. XXXXVII,<1369-1372>).

64 Attestato dal 25 gennaio 1342 (ACV, Ap, cart. XXXVIII, <1342-1343>) al 1348(ACV, Caresana, Libri di consegnamenti e misure, maz.a I. Transunto di Consegnamentoantico di beni del Capitolo estratto dal nodaro Antonio Gallo nel 1348).

65 Attestato dal 1° gennaio 1338 nel documento di elezione di Facio Cagnoli ad arci-prete (ACV, Arcipretura. Collazioni, cart. 2a), fino all’11 febbraio 1386 (ACV, Ap, cart.XLIX, <1378-1380>).

66 Attestato a partire dal luglio 1340 (ACV, Ap, cart. XXXVII, <1340-1341>) fino al12 aprile 1397 (Archivio di Stato di Vercelli, Ospedale di S. Andrea, Pergamene, m.1846 n. 2081).

67 Il testamento si trova in ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598.68 NE nn. 655, 655 bis, 665 ter. 69 Gli estremi cronologici di questo canonico vanno dal luglio 1340 (ACV, Ap, cart.

XXXVII, <1340-1341>) al 1347 (ACV, Ap, cart. XXXXI, <1347-1348>).70 Figlio di Pietro de Bulgaro e chierico vercellese, ottenne il canonicato il 25 marzo

1364, quando era ancora studente in diritto civile a Pavia (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2,ff. 251rv), succedendo nella prebenda lasciata vacante da Guido de Bulgaro, promossopreposito della cattedrale.

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nel 139571). Ugualmente anche Giacomo72 e Guglielmo de Moxo73

erano fratelli, imparentati strettamente con Vercellino de Moxo, maiordi S. Maria; Guido de Conradis era a sua volta nipote di Uberto deConradis, anch’egli canonico di S. Maria e della chiesa di Famagosta,che lo nominò erede universale nel suo testamento del 132374.

Ad un livello superiore, anche i vescovi potevano presentare la can-didatura di loro familiari o di loro fidati consiglieri. La presenza dimembri del consortile degli Avogadro tra i canonici può essere spiegataanche con il fatto che due di loro avevano monopolizzato la cattedraeusebiana fino agli anni trenta del secolo: Rainerio Avogadro di Pezzana(1303-1310) e Uberto Avogadro di Valdengo (1310-1328)75. L’influenza

71 Era anche vicarius generalis del vescovo Ibleto Fieschi nel 1424 (ORDANO, IBiscioni, Nuovi, pp. 37 n. VII).

72 Il suo nome appare con una certa frequenza elencato tra i canonici maggiori dal24 aprile 1277 (ACV, Ap, cart. XVI, <1271-1275>). Un codicillo del suo testamento èdatato 6 marzo 1303 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1302-1303>).

73 Fratello di Giacomo de Moxo, come appare nel testamento di quest’ultimo del 6marzo 1303 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1302-1303>), lo si ritrova tra i canonici il 3 agosto1304 (ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>), probabilmente perché promosso al canoni-cato maggiore proveniente dal capitolo di S. Maria, come sembrerebbe attestare la suamenzione tra quei canonici in un documento del 4 giugno 1291, quando viene nomina-to procuratore in Romana curia (ACV, Ap, cart. XXI, <1288-1291>). Il 1° maggio 1321,ultima sua menzione, viene detto clericus et rector della chiesa di S. Lazzaro di Vercelli,insieme con Bonifacio di Collobiano (ACV, Ap, cart. XXX, <1317-1322>).

74 La figura di quest’ultimo ecclesiastico è particolarmente interessante: attestato perla prima volta tra i canonici della chiesa di S. Maria il 16 agosto 1286, quando vienericordato come cantor Famagustensis ecclesie et canonicus Sancte Marie (ACV, Ap, cart.XX, <1286-1287>), roga il suo testamento l’8 marzo 1323 definendosi canonicusVercellensis, Famagustanus et Andradensis (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>). Hogià attirato l’attenzione su alcuni esponenti di questa famiglia di Trino e soprattutto sulloro legame con la chiesa d’Outremer: un Ardizzone de Tridino viene infatti ricordatocome decanus Nicosiensis, Apostolice sedis nuncius pro negotio Terre Sancte in partibusLombardie, Marche Trivisine, Aquilegensis et Gradensis patriarchatuum et archiepisco-patus Ianuensis nel 1275 [Archivio di Stato di Milano, Diplomatico, Pergamene perfondi, cart. 723 e cfr. G. FERRARIS, rec. a Milano e la Lombardia in età comunale. SecoliXI-XII, Milano 1993, in «Bollettino storico vercellese », 22 (1993) n. 41, p. 175] e unGuido de Conradis canonico di S. Maria e Famagustanus episcopus almeno dal 1298(cfr. Archivio di Stato di Vercelli, Ospedale di S. Andrea, Pergamene, m. 1825, n. 985).

75 Attestato dal 3 ottobre 1301 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>), è ricordatocome cantor il 25 ottobre 1304 (ACV, Ap, cart. XXV, <1304-1305>). Il 14 aprile 1307lo si ritrova come arciprete del capitolo (ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>), succe-dendo a Nicola non sappiamo ancora quando. Era ancora arciprete l’11 aprile 1314(ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>).

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di presuli appartenenti allo stesso lignaggio familiare spiegherebbe inol-tre la carriera dei singoli canonici all’interno della gerarchia capitolare:dei quindici canonici appartenenti al consortile degli Avogadro si pos-sono contare tre prepositi (Ruffino Avogadro di Quinto dal 1295;Filippo Avogadro di Quinto dal 1301 al 1312; Palaino Avogadro diCasanova dal 1312 al 1317, promosso poi alla cattedra episcopale diIvrea), un arcidiacono (Rainerio Avogadro di Pezzana dal 1275 al 1303,promosso poi alla cattedra eusebiana); e tre arcipreti (Uberto Avogadrodi Valdengo dal 1307 al 1311; Guido Avogadro di Casanova dal 1314 al1338, mentre si dovrà conteggiare a parte l’elezione di GaspardoAvogadro di Quinto dal 1388).

Anche il servizio fidato e continuativo prestato in cattedrale nellemansioni minori poteva risultare un motivo sufficiente per essere pro-mossi a qualche stallo canonicale. Possiamo guardare al caso, cono-sciuto perché studiato da Antonio Olivieri76, di Giacomo Manuga.Appartenente ad una famiglia di estrazione notarile, in quanto due notaicon lo stesso cognome prestano la loro opera qualificata per il capitolo– cioè Aycardus, che roga tra gli anni trenta e gli anni settanta delDuecento, e Iohannes, attestatato rapsodicamente a partire dagli annisettanta –, Giacomo è stato identificato da Olivieri come quel notaio ochierico-notaio che stende numerosi documenti per il capitolo a partirealmeno dal 1286, ma che è contemporaneamente citato tra i testimoni diun documento come custos di S. Eusebio. Carriera rapida, se dal 4dicembre 1290 è nominato tra i canonici di S. Eusebio, fino al 1325. Piùcomplesso invece è il caso di Servusdei Alciati. La famiglia aveva datoal capitolo almeno due canonici: l’arciprete Mandolo, morto nel 121177

e un Nicola Alzatus attivo tra la fine degli anni ottanta del secolo XII ei primi trenta del Duecento78. Ancora Olivieri lo riconosce in quel

76 A. OLIVIERI, Per la storia dei notai chierici nel Duecento: il caso del Piemonte,in Studi in memoria di Giorgio Costamagna, Genova 2003, pp. 701-738, disponibileanche in Scrineum, a cui rimando per le notizie qui riportate.

77 Sull’arciprete Mandolo si vedano almeno le notizie in MERLO, I canonici cit., pp.32-33.

78 Probabilmente nipote dell’arciprete Mandolo, è nel capitolo eusebiano almeno apartire dal 10 agosto 1189 (Le carte dell’archivio capitolare, II, , pp. 219-220, n.CCCCXCVIII). E’ esecutore testamentario dello zio nel 1211 (ACV, Ap, cart. XIV, <1210-1211>), ed è ancora attestato come vivente il 19 febbraio 1231, quando il capitolo si accor-da per la divisione delle prebende canonicali (ACV, Ap, cart. XXV, <1229-1231>).

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Servusdei Vercellensis notarius che roga alcuni documenti a partiredagli anni ottanta del secolo XIII. Successivamente lo si ritrova comecustode della cattedrale nel 1286, mentre il 22 febbraio 1292 venne elet-to dai canonici ministerialis degli anniversari della cattedrale: in quel-l’occasione sappiamo che aveva ricevuto l’ordine presbiterale e cometale viene ricordato in altri documenti che ce lo presentano come cap-pellano della cappellania istituita dal canonico Guala Vialardi, per ilquale aveva anche rogato il testamento nel 1284. Fu aggregato al capi-tolo solo all’inizio del secolo seguente e vi rimase almeno fino al 1318.La lunga carriera nei gradini più bassi della gerarchia capitolare e la suaappartenenza ad una famiglia che aveva già dato canonici al capitolorende ragione della sua promozione. Uguale discorso potrebbe esserefatto per Giovanni Fornaschus di Biella: attestato come notaio imperia-le, procuratore del capitolo in diverse occasioni, prete e canonico diTortona, ottenne poi una prebenda ed uno stallo canonicale anche in S.Eusebio79.

Interessante è infine il caso di Lanfranco de Arborio, eletto canonicoil 1° gennaio 1362. Nel documento di collazione la sua elezione vienegiustificata, oltre che con i consueti rimandi alla sua erudizione, allalimpidezza morale, all’età legittima e alla sua appartenenza all’ordinepresbiterale nonché alla nascita legittima (quod presbiter Lanfranchusde Arborio est literali scientia eruditus ac moribus et vita laudabiliterdecoratus et in etate legittima et sacerdotali ordine constitutus ac delegittimo matrimonio procreatus), anche con la sua assiduità nello svol-gere i suoi incarichi liturgici all’interno della cattedrale, sia nella cele-brazione dell’eucarestia nell’altare maius di S. Eusebio sia nella sua pre-senza all’ufficio divino capitolare, sia soprattutto perché si rivela vehe-menter necessarius per la sua abilità nel canto, poiché molti erano i can-tori che non risiedevano in cattedrale e non potevano così prestare la

79 Presbiter e canonico di Tortona, nonché cappellano nella chiesa di S. Eusebio il23 agosto 1358 (COPPO-FERRARI, Protocolli notarili cit., p. 83 n. 221), è nominato pro-curatore di Cello Nardelli nel 1361 (ivi, p. 146 n. 1), risultando già morto il 23 ottobredello stesso anno, quando la sua prebenda viene assegnata a Enrico de Lonate (ACV,Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 94r-95r). Potrebbe essere identificato anche in quell’omoni-mo notaio imperiale che roga negli anni trenta del secolo XIV, per esempio il documentodi elezione di Martino de Bulgaro ad arcidiacono (ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330-1332>).

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loro opera per le celebrazioni liturgiche (missas debitis horis et tempo-ribus celebrabit et tam in ipsarum missarum celebratione ad dictumaltare in officio divino in choro ipsius ecclesie celebrando, ipse domi-nus presbiter Lafranchus perseverabit apud ipsam ecclesiamVercellensem, personalem residenciam faciendo, et est ipse dominuspresbiter Lafranchus in collegio cantorum eiusdem ecclesie necessariusvehementer, maxime propter paucitatem cantorum dicte ecclesie qui promaiori parte non resident apud eam sed agunt in remotis et sic indigeatipsa ecclesia cantoribus potissime in sacerdotali ordine constitutis)80.

È inoltre assodato che con il secolo XIV aumentò la pressione dellaCuria pontificia e dei singoli pontefici nel presentare candidati per glistalli canonicali vacanti dei capitoli cattedrali81. Il capitolo eusebianonon si sottrasse a questa tendenza accertata anche per il resto della cri-stianità occidentale. Per il secolo precedente possediamo rare informa-zioni su questa pratica: la più antica riguarda Gregorio da Montelongo,che ricevette una lettera di provvisione da Innocenzo III del 15 giugno121482 e che è attestato unicamente nel 1229 tra i documenti capitola-ri83; successivamente Alberto de Lanerio, preposito di Bobbio ed asso-ciato al capitolo il 15 marzo 1245, era stato presentato da papaInnocenzo IV84; Roglerius de Cumis, figlio di un Guido de Cumis pro-fessore di diritto, ottenne la lettera di provvisione da Urbano IV l’8novembre 126385. Le prime quattro cartelle della serie Atti capitolari,

80 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 106v. Ottiene il 1 gennaio 1362 la prebenda diGuglielmo de Montonario, benchè fosse pretesa da Benedetto Boccanegra (ACV, Acap.,cart. 95, fasc. 2, ff. 106r-107v). Conclude con esito positivo la sua settimana l’8 gennaioseguente in ordine subdiaconali (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 109rv). Consegna ilpalium il 23 maggio 1362 (ibidem, f. 167v). Il 26 novembre 1375 è attestato come the-saurarius (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 3, f. 13r). Compare fino al 17 marzo 1382 (ACV,Ap, cart. L, <1381-1383>).

81 CURZEL, I canonici cit., pp. 223-225.82 Patrologia latina, ed. J. P. MIGNE, vol. 216, col. 861a.83 Si tratta di un documento in cui vengono suddivise le prebende capitolari del 16

febbraio 1229. In essa compare il nome di Griorius de Montelongo, che potremmo benidentificare nel futuro legato papale (ACV, Ap, cart. XXV, <1229-1231>).

84 ACV, Collazioni canonicali in St. Eusebio, cart. 5a. 85 Les registres d’Urbain IV (1261-1264), II: Registre ordinaire, I, a c. di J.

GUIRAUD, Paris 1901, p. 440 n. 1263 e cfr. G. FERRARIS, Università, scuole, maestri estudenti a Vercelli nel secolo XIII. Spigolature in margine a un (non più) recente volu-me, in «Bollettino storico vercellese», 26 (1997), n. 49, pp. 64-65.

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che contengono le imbreviature di Giovanni de Scotis, ci fornisconoinvece una serie impressionante di canonici che presentarono al capito-lo le lettere di provvisione fornite loro dai pontefici avignonesi: si trat-ta nella maggior parte dei casi di ecclesiastici non vercellesi, probabil-mente familiares di qualche cardinale o ufficiali della Curia pontificia,per i quali il capitolo eusebiano rappresentava una nuova fonte di gua-dagno derivante dal beneficio o dalla prebenda canonicale. Potrebbeessere un esempio calzante quel Mainfredus figlio di Rambaldus comesTarvisinus che il 15 dicembre 1307 nominava un suo procuratore perprendere possesso del canonicato vercellese e che risulta aver avuta lalettera di provvisione da Napoleone della Torre, cardinale diacono di S.Adriano e legato papale86.

Non tutte le lettere di provvisione pontificie risultarono andate abuon fine: talvolta tra i documenti delle imbreviature di Giovanni deScotis ritroviamo eco delle dispute che si creavano intorno ad una pre-benda o a uno stallo canonicale vercellese: il 1 gennaio 1362, per esem-pio, viene conferita la prebenda resasi vacante in seguito alla morte diGuglielmo de Montonario87 a Lanfranco de Bulgaro e il documentoricorda come essa fosse stata pretesa da un tale Benedetto Boccanegradi Genova in quel momento già morto88, oppure quattro anni dopo, il 6marzo 1366, la prebenda resasi vacante per la morte di Dragone diAlba89 era stata conferita a Paxinus de Schicis preposito della chiesa diS. Donnino di Borgo San Donnino in diocesi di Parma, benchè su diessa sussistesse ancora una lite con un tale Enrico de Lonate di Milanoche la pretendeva90. Ancora il 9 gennaio 1368 il pontefice aveva riser-

86 ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>.87 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 106r-107v.88 Guglielmo de Montonario risulta essere stato figlio di un Franceschinus de

Montonario, che un documento del 5 settembre 1367 attesta essere clericus Vercellensiset olim canonicus Cumanus (ACV, Ap, cart. XXXXVI, <1364-1368>); appare tra i cano-nici a partire dal giugno 1352, in quanto è elencato nel liber date di quell’anno (ACV,Puntature, n. 2), fino al 22 agosto 1353 (ACV, Ap, cart. XXXXIII, <1353-1355>).Risulta già morto il 10 gennaio 1362, quando la sua prebenda venne assegnata aLanfranco de Arborio (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 106r-107v).

89 Attestato a partire dal 1358, morì sicuramente prima del 21 giugno 1361, quandogli succedette nella prebenda Giovannino de Testis (COPPO-FERRARI, Protocolli cit., p.159 n. 17).

90 Figlio di Maffiolo de Lonate, chierico e cittadino di Milano, venne eletto canoni-

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vato un canonicato e una prebenda o l’arcidiaconato ad un tale Nicolade Summa Ripa, che non aveva potuto ottenere l’ufficio dopo la mortedi Martino de Bulgaro91.

Non abbiamo infine molte informazioni di pressioni esterne, cioè dipotentati laici, nell’elezione di canonici eusebiani92. Se, come del restoappare evidente, essi non avevano la facoltà di conferire prebende cano-nicali, tuttavia potevano avanzare la presentazione di candidati autore-voli. Abbiamo infatti la notizia che il conte di Virtù inviò al capitolo diVercelli una lettera per la nomina del successore di Filippo di Ticinetoalla carica di arcidiacono il 21 gennaio 139593: il prescelto era il cano-nico di S. Maria Giovanni de Bulgaro, il quale fu poi eletto dal capito-lo il 15 febbraio dello stesso anno e dovette presentarsi a Masserano perottenere anche la conferma del vescovo Ludovico Fieschi, il 4 aprile94.

Che il canonicato vercellese rappresentasse per molti ecclesiasticiprovenienti da fuori Vercelli o fuori diocesi solo uno dei tanti cespitifinanziari, ce lo rivela il fenomeno diffuso del cumulo dei benefici.Molto spesso questi ecclesiastici possedevano già canonicati in altrediocesi: Venturino da Bergamo era canonico di Genova95; Giacomo,figlio del marchese Manfredi di Saluzzo era canonico di S. Giovanni diMonza, quando successe nella prebenda a Tebaldo Brusati, a sua volta

co il 23 ottobre 1361 per la prebenda resasi vacante per la morte di GiovanniFornaschus (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 94r-95r), ma sembra che non l’abbia otte-nuta in quanto era ancora in lite il 6 marzo 1366 con Paxinus de Schicis, che otterrà laprebenda di Dragone de Alba (ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, f. 101rv).

91 Urbain V (1362-1370). Lettres communes, Paris 1954-1989, VIII, p. 140 n. 23776.92 CURZEL, I canonici cit., pp. 226-228.93 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, f. 219r: «Dominus Mediolani et comes Virtutum

imperialis vicarius generalis. Dilecti nostri sapientes archidiaconatum ecclesie vestrepresentialiter vacare per obitum domini Filiponi de Ticineto hortamus vos ut dilectumnostrum Iohanninum de Bulgaro canonicum ecclesie Sancte Marie Vercellensis velitissolemniter ad predictum archidiaconatum elligere et electum in eius possessionemponere pro quo complacebitis nobis multum. Dat. Papie die vigessimo ianuariiM°CCCLXXXXV. (A tergo) Venerabilibus viris . . canonicis et capitulo maioris eccle-sie civitatis mee Vercellarum. Filipinus»

94 Tutta l’operazione in ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 229r; 230r-231v; 238rv;244r-246v.

95 Lo ricaviamo dalla nota di possesso di uno dei codici che lasciò al capitolo:Vercelli, Bibl. Cap., cod. XCVI, f.1v della guardia: «Iste primus et secundus Alvicenneest magistri Venturini de Pergamo canonici Ian(uensis)» e da una fugace menzione dellacittà nel suo testamento (ACV, Ap, cart. XXXXII, <1353-1355>).

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vicario generale del vescovo di Novara Uguccione Borromeo nel 1310ed in seguito preposito della cattedrale novarese (1359)96; Pietro Verrus,prima di raggiungere la carica di arcidiacono del capitolo, era canonicodi Tortona (1368)97, così come Giovanni Fornaschus (1358)98; l’arci-diacono Martino de Credario era canonico della cattedrale di Como(1329)99, e Antonio Cacherano risulta essere preposito della chiesa mag-giore di Asti100.

Altri canonici possedevano benefici ecclesiastici minori al momentodel loro ingresso in capitolo o al momento della loro provvista:Beltramino de Raynoldis era preposito della chiesa di S. Genesio diDairago in diocesi di Milano (1361)101; Paxinus de Schicis era preposi-to della chiesa di S. Donnino di Borgo San Donnino in diocesi diParma102; Deganus de Nava possedeva un beneficio nella chiesa di S.Stefano di Binasco, in diocesi di Milano103. Pochi infine i chierici cherisultano titolari di benefici nella diocesi di Vercelli: Giovanni Pelluchusera pievano della chiesa di S. Pietro di Gabiano in Monferrato (1368)104

ed Antonio, figlio di Filippone Vialardi di Sandigliano, era rettore dellachiesa di Verrone, località nel Biellese appartenente alla sua famiglia

96 Appartenente alla famiglia novarese dei Brusati, fu nominato canonico in una datanon precisata, in quanto la sua prebenda venne conferita alla sua morte a Giacomo diSaluzzo l’8 novembre 1352 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 32r-33r). (Cfr. G.ANDENNA, Vescovi, clero e fedeli nel tardo medioevo (1250-1400), in Diocesi di Novara,a. c. di L. VACCARO – D. TUNIZ, Brescia 2007, pp. 153, 156.

97 ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, ff. 267rv.98 COPPO-FERRARI, Protocolli cit., p. 83 n. 221.99 MANDELLI, Il comune cit., p. 107.100 Archivio di Stato di Vercelli, Fam. Berzetti di Murazzano, m. 42, <Protocollo del

notaio Antonio di Biandrate – 1386-1389>, f. 12v (1387 ottobre 26, Vercelli).101 Fu eletto il 30 novembre 1361 per la prebenda vacante di Crescimbene de Tricio

(ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 102r-103r). Chiese ed ottenne l’assegnazione della set-timana l’11 maggio 1364 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 293v), conclusa il 18 maggioseguente (ibidem, f. 298v), con il pagamento del pallio (ibidem, f. 300r).

102 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 101rv. Viene chiamato anche de Cremona (ivi,f. 110rv).

103 Il 30 maggio 1390 presentò la lettera di provvisione, ma ottenne la prebenda chefu di Enrico di Castellengo solo nel 1395, quando tra il 13 febbraio e il 28 maggio glifu assegnata la settimana e versò il denaro per il pallio (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff.228r, 250v).

104 ACV, Acap., cart. 96, fasc. 3, f. 217v.

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(1385)105. La figura che più si distingue per il cumulo dei benefici è peròquella di Bartolomeo de Grana: aggregato al capitolo il 30 aprile 1390,quando ancora era studente di diritto civile a Pavia106, concluse la suacarriera a Trento, dove ottenne una prebenda capitolare nel 1425 e nel1427 Martino V lo nominò decano di quel capitolo. Le informazioni rac-colte da Curzel ce lo presentano inoltre come detentore di benefici aCividale, Aquileia e Bergamo, oltre che a Vercelli107.

4. I canonici e la liturgia

Un accenno, seppur breve, deve essere dedicato al rapporto tra icanonici e la liturgia. Ha ben ricordato Curzel che la ragion d’essere diun capitolo canonicale consisteva proprio nella partecipazione degliecclesiastici all’ufficiatura della cattedrale108. Nel corso del secolo XIVl’interesse che il capitolo eusebiano ebbe per questo aspetto primario ètestimoniato innanzitutto dalla cura con cui i canonici si premuravano divagliare le capacità e la conoscenza del canto liturgico nei neoeletti incapitolo. Infatti ad ogni nuovo canonico veniva assegnata una settima-na di prova, durante la quale era tenuto a presenziare ai momenti dellaliturgia della cattedrale e qui, probabilmente, veniva giudicato dal can-tore. Qualora l’esame non fosse stato superato gli si imponeva di stu-diare il canto per un congruo lasso di tempo e ripresentarsi in seguito alvaglio di una nuova commissione109. Tra le imbreviature di Giovanni de

105 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 30v-31v.106 Fece presentare dal suo procuratore al capitolo la lettera di provvisione del papa

Bonifacio IX il 30 aprile 1390 (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 70rv), per reclamare laprebenda di Ambrogio de Tricio. Riuscì a fare la sua settimana nell’ottobre dello stessoanno (ibidem, ff. 117rv).

107 CURZEL, I canonici cit., pp. 482-483.108 CURZEL, I canonici cit., p. 346. Cfr. anche A. LOVATO, Musica e liturgia nella

“canonica Sanctae Mariae Patavensis ecclesiae”. Il ms. E57 della Biblioteca capitola-re di Padova, in Canonici nelle cattedrali cit., pp. 95-128. In generale si veda E.CATTANEO, La vita comune dei chierici e la liturgia, in La vita comune cit., I, pp. 241-272; ID., Azione pastorale e vita liturgica locale nei secoli XI-XII, in Le istituzioni eccle-siastiche della “societas christiana” dei secoli XI-XII. Atti della sesta settimana inter-nazionale di studio, Milano 1977, pp. 444-473.

109 Un caso analogo è segnalato da E. CANOBBIO, Il capitolo della cattedrale di SantaMaria Maggiore di Como (secoli XIV-XV), in Canonici nelle cattedrali cit., pp. 191-192.

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Scotis si ritrovano numerose attestazioni di assegnazione di settimane,tra le quali è interessante al nostro scopo quella relativa al canonicoGabriele di Beltramolo de Oldegardis di Milano. Il 9 settembre 1363 ilcapitolo, certificandone l’avvenuta settimana in ordine acolitali, ordina-va che, poiché Gabriele non est sufficiens cantor nec sciat cantare, aves-se l’obbligo per un intero anno di perficere et adiscere cantum, renden-dosi sufficientem et ydoneum in cantandum con l’esclusione dei fruttidella prebenda110.

L’attenzione e la cura degli aspetti liturgici è provata altresì dal ten-tativo, sembra realizzato, di risistemare in blocco tutta la tradizioneliturgica del passato. In questo senso si può leggere la compilazione delliber ordinarius della chiesa vercellese (l’attuale Vercelli, Bibl. Cap.LIII) 111, promossa dal cantor Eusebio de Dionixiis nella seconda metàdel secolo112 e quella dell’intera ufficiatura diurna, rappresentata dai duebreviari secundum usum ecclesie Vercellensis (Vercelli, Bibl. Cap. cod.CLI e cod. CXCIII), che Gionata Brusa mette in connessione con ilVercelli, Bibl. Cap. cod. LIII, in quanto probabilmente frutto della stes-sa mano113. Non mi soffermerò su questo problema che rivela un inte-resse spiccato dei canonici eusebiani di metà secolo per una riformaliturgica nel pieno senso della parola, tanto da far nascere nell’erudizio-ne ecclesiastica tardoottocentesca l’illusione dell’esistenza di un rito“eusebiano”114.

110 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 207v-208r.111 Usus psallendi ecclesiae Vercellensi. (Vercelli, Biblioteca Capitolare, cod. LIII),

Studia et editionem paravit I. BRUSA adlaborante F. DELL’ORO, Roma 2009.112 La prima attestazione di questo canonico è in un documento dell’11 marzo 1326

in qualità di testimone immediatamente prima di Delfino de Vassallis, chiamato in quel-l’occasione maior cantor (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>). Morì anteriormente al7 novembre 1361, in quanto subentrò nella sua prebenda Ludovico de Salugiis (ACV,Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 100r101r). Risulta essere stato vicarius del vescovo GiovanniFieschi nel 1358 (ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, f. 6r).

113 Schede dei due breviari si trovano in G. BRUSA, Il “Liber ordinarius EcclesiaeVercellensis”, in «Rivista internazionale di Musica sacra», 28 (2007), pp. 133-170.

114 È ancora una volta opinione di BRUSA, Il “Liber ordinarius” cit., dove riprendee analizza quanto riportato da R. PASTÈ, Rito Eusebiano, in «Archivio della Società ver-cellese di storia e d’arte», 1 (1909) n. 1, pp. 15-28; n. 2, pp. 62-74; n. 3, pp. 85-95; 2(1910) n. 2, pp. 189-200; n. 3, pp. 229-250.

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Il controllo dell’ordinato svolgimento delle liturgie in cattedrale èanche il motivo di esistere di un’altra fonte poco studiata: i registri dellepuntature. Risalgono infatti alla metà del secolo i più antichi libri datedella cattedrale, antesignani dei registri o schede di puntatura, nei qualivenivano segnalati mediante un punteruolo le presenze dei canonici allecelebrazioni liturgiche o all’ufficiatura corale115. L’Archivio Capitolare neconserva una serie molto interessante fino al secolo XIX. Per il secolopreso in considerazione ne possediamo solamente due, parziali, il primoche copre il periodo dal giugno 1342 al marzo 1343116, il secondo dal giu-gno 1352 al maggio 1353117, entrambi compilati da Eusebio de Dionixiis.

Al di là dell’interesse propriamente specifico di questi strumenti di con-trollo, a cui si può aggiungere una motivazione economica, in quanto lamassa capitolare veniva poi divisa in relazione alla maggiore o minore pre-senza dei canonici all’ufficiatura, i libri in questione possono offrire infor-mazioni diversamente non accertabili, come nel caso della segnalazionedel giorno della morte del canonico Delfino de Vassallis, registrata il 10dicembre 1342118; e soprattutto ci attestano l’estrema mobilità dei canoni-ci, non solo impegnati nella cura dell’amministrazione dei beni comuni odi quelli relativi alla propria prebenda, ma anche in numerosi viaggi o sog-giorni presso le diocesi di origine, dove magari dovevano provvedere allacura di altri benefici o potevano riallacciare amicizie o legami119.

115 Le puntature sono organizzate in questo modo: una prima colonna reca le letteredomenicali, poi in orizzontale i nomi dei canonici e in corrispondenza i punti assegnatiche rivelano la loro presenza durante le funzioni, l’ultima linea orizzontale totalizza ilpunteggio e/ o la conversione del punteggio in soldi e denari.

116 ACV, Puntature capitolari, fasc. 1: fasc. cartaceo, ff. 62, mutilo, manca la secon-da pagina di marzo 1343. Sul f. 1r: «1342-43» di mano del sec. XVI; «1342-43» di altramano del sec. XVI; a f. 1v: «Liber date anni currenti MCCCXXXXII, die primo men-sis [iunii] et scriptus per dominum Eusebium de Dyonixiis <Eusebium de Dyonixiis dialtra mano coeva> canonicum Vercellensem».

117 ACV, Puntature capitolari, fasc. 2: fasc. cartaceo, ff. 72, dal mese di giugno 1352al mese di maggio 1353. f. 1r: «1342» di mano sec. XVI. Poi: «In nomine Domini nostriYesu Christi. Liber date ecclesie Vercellensis scriptus per me Eusebium de Dionixiiscanonicum et cantorem inceptus anno MCCCLII, III kalendas iunii, Va indicione».

118 ACV, Puntature capitolari, fasc. 1, f. 7v, mensis decembris al 10 dicembre: «Hicdiem clausit extremum venerabilis vir dominus Dalphinus de Vassallis circa horammedie noctis».

119 Un piccolo esempio è dato da due annotazioni relative a Taddeo da Bergamo:ACV, Puntature capitolari, fasc. 1, 16 ottobre 1342, f. 5v: «Hic recessit de capitulo itur

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5. I canonici e la cultura

Un ulteriore ambito di ricerca è quello relativo alla cultura deicanonici, desumibile sia dalle informazioni ricavabili dai testamenti odai documenti notarili in genere, sia dalle note di possesso dei codici.Se il profilo culturale dei canonici eusebiani dei secoli precedenti puògodere di studi e ricerche ben avviate120, c’è naturalmente ancoramolto da scoprire sulla formazione e sugli interessi culturali degliecclesiastici che occuparono gli stalli canonicali nel secolo XIV.Scorrendo la lista dei canonici si può partire da una semplice consta-tazione: solo ad un gruppuscolo di canonici è attribuito dai documen-ti il titolo di magister, che rimanderebbe ad un loro coinvolgimentonella preparazione universitaria. Se dovessimo basarci unicamente suldato grezzo, la percentuale che se ne ricava è oltremodo esigua: settecanonici sui circa 170 vengono ricordati con questo titolo, ovveroEmanuele, l’arciprete Nicola, Venturino da Bergamo, GiovanniBenedetto de Boiano, Girardo de Brioscho, l’arcidiacono PietroVerrus e Cello Nardelli. Letti diversamente, gli stessi dati farebberopoi pensare ad uno sbilanciamento della loro formazione scolasticaverso l’ambito del diritto canonico o dell’utriusque iuris: l’arcidiaco-no Martino de Bulgaro è detto espressamente nel suo testamento iuriscanonici peritus121, mentre risultano iuris utriusque periti Francescode Laveziis122 e Paxinus de Schicis123. Anche i tre soli chierici che neidocumenti di provvisone o collazione sono indicati come studenti fre-quentano facoltà giuridiche: Giacomo, figlio del marchese Manfredi diSaluzzo, succedendo nel 1359 nella prebenda di Tebaldo Brusati, siera fatto rappresentare da un procuratore in quanto impegnato Paduein iure studere124; Giovanni de Bulgaro nel 1364 viene definito studensin iuri civili, non si sa in quale università125; infine Bartolomeo de

Pergamum ante terciam», mentre il suo ritorno in sede è attestato il 23 ottobre «Hic venitante vesperas».

120 MERLO, I canonici cit., pp. 23-36.121 ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598.122 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 53r-54r.123 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 110rv.124 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 32r-33r.125 ACV, Acap., cart. 95, fasc. 2, ff. 251rv.

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Grana è ricordato come studens in iuri civili in Studio Papiensi nel1390126.

Solo la figura di magister Venturino de Gragnanis di Bergamo fapensare che tra i canonici di questo secolo potessero albergare interessidiversi da quelli giuridici127: figlio di un magister Albertus artis fixiceprofessor, era a sua volta un medico con interessi specifici della disci-plina, come rivela la donazione alla chiesa di S. Eusebio del suo codicecontenente il Liber canonum di Avicenna (Vercelli, Bibl. Cap. cod.XCVI) e la Secunda secunde di Tommaso d’Aquino con il de proprie-tatibus rerum di Bartolomeo Anglico (Vercelli, Bibl. Cap. cod. LXXII),codice già di proprietà di Uguccione Borromei, vescovo di Novara128,più una serie di diversa genera librorum, non altrimenti specificati nelsuo testamento.

126 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 7, ff. 70rv.127 Lo rivela il suo testamento in ACV, Ap, cart. XXXXII, <1353-1355>: « Item

relinquid ecclesie sue Vercellensi librum unum beati Thome de Achino qui vocatur“Secunda secunde” et “de proprietatibus rerum” qui fuit bone memorie dominiUgutionis . . episcopi Novariensis. Item relinquit dicte sue ecclesie Vercellensi Primumet secundum Avicene in asseribus et coloribus diversis hoc modo et pacto quod dicti libriponentur in libraria dicte ecclesie Vercellensis applicati cum cathenis et ibi permaneredebeant nec modo aliquo impignorantur nec alienari possint nec impignorari nec aliquomodo obligari quod si contrastum fuerit incontinenti perveniant in dominum . . episco-pum Vercellensem, excepto quod si aliquo tempore libri suprascripte ecclesieVercellensis qui sunt in dicta libraria non possent manere sicuri in dicta libraria propterguerras quod illo tempore dici dicti libri quos relinquit ecclesie Vercellensi dictus domi-nus Venturinus ponerentur cum aliis libris suprascripte ecclesie Vercellensis in loco ser-vato. Item reliquid dicte sue ecclesie Vercellensi corium unum modicum rubeum adcoperiendum altare maius dicte ecclesie Vercellensis. (…) Item supradictus testator pro-testatur et dicit quod habet in Thessauraria ecclesie Vercellensis coffinos duos in quibussunt bona infrascripta, videlicet floreni triginta auri, item bocallum I et gobelletos sexqui stant in dicto bocallo omnes de argento intus deauratos, item copam unam cum pededeaurata; item taciam unam cum manibro quam legavit domino Eusebio de Dionixiiscanonico Vercellensi, item diversa genera librorum, item quamplura alia iocalia». Cfr.PASTÈ, Donatori cit., pp. 210 n. 12.

128 PASTÈ, Donatori cit., pp. 210-211, attribuisce il possesso di questo libro aUguccione Borromeo, vescovo di Novara (1304-1329). Sulla figura di questo vescovov. P. BERTOLINI, Borromeo, Uguccione, in Dizionario biografico degli Italiani, XIII,Roma 1971, pp. 66-67 e cfr. ANDENNA, Vescovi, clero cit., pp. 151-157. Segnalo inoltreche un ulteriore testimone dell’opera si trova nella Biblioteca Agnesiana, provenientedal convento agostiniano di S. Pietro di Biella e databile, con ogni probabilità alla primametà del secolo XIV: M. CAPELLINO, Segnalazioni di codici delle biblioteche delSeminario, in L’università di Vercelli cit., pp. 361-363.

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Eccettuato Venturino, la circolazione dei libri tra i canonici è di tipoprettamente giuridico e solo in subordine liturgico: Giacomo de Moxolasciava infatti nel 1303 al fratello Guglielmo, anch’egli canonico dellacattedrale, un volume di Decretales cum assibus et apparatis, unDecretum cum assibus et apparatis, due antifonari (uno notturno ed unodiurno) ed un non ben specificato imbreviarium, che aveva tenuto invita129; Enrico de Castellengo, nipote di Martino de Bulgaro, donava nel1387 l’Alphabetum in arte sermocinandi di Pietro di Capua (Vercelli,Bibl. Cap., cod. XXXII)130 ed infine l’arciprete Gaspardo Avogadro diQuinto possedeva un volume di Institutiones di Giustiniano cum glossis(Vercelli, Bibl. Cap., cod. XIV)131.

Evidentemente questo breve excursus sui libri donati e posseduti daicanonici eusebiani di questo periodo li situa in una posizione ben lontanadalla qualità dei loro colleghi dei secoli precedenti, di un maestro Cotta,tanto per intenderci, o di un Giacomo de Carnario, i cui libri, specchio dei

129 ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>: «§ Item reliquid domino Guilielmo predic-to Decretales cum assibus et apparatis, Decretum cum assibus et apparatis, antiphonariaduo, unum diurnum et aliud nocturnum, imbreviarium I magnum, quod inbreviariumteneat in vita sua et post decessum dicti domini Guilielmi pervenient pleno iure in eccle-siam Sancti Stephani de civitate». Cfr. PASTÈ, Donatori cit., p. 212.

130 Non possediamo il testamento di questo canonico, ma l’informazione è ricavabi-le dalle due note di possesso che si ritrovano sul Vercelli, Bibl. Cap., cod. XXXII, f. 1r:«Millesimo trecentesimo octuagesimo septimo, indicione X die v(er)o XV mensisnovembris. Venerabilis et nobilis vir dominus Henricus [………………] ex dominisCastellengi et canonicus subdiaconus ecclesie Vercellensis donavit hunc librum librarieipsius ecclesie Vercellensis ad utilitatem volentium profitere et pro remedio anime suein hiben <sic!> expresse ne asportetur de ipsa libraria quicumque ei ipsum asportaveritvel hanc scripturam deleverit anathema sit »; ripetuta a f. 2r: «Millesimo trecentesimooctuagesimo septimo, indicione X die v(er)o XV mensis novembris. Venerabilis et nobi-lis vir dominus Henricus [………………] ex dominis Castellengi canonicus subdiaco-nus orthodoxe ecclesie Vercellensis donavit hunc librum librarie ipsius ecclesieVercellensis ad utilitatem volentium profitere et pro remedio anime sue in inhibenexpresse ne asportetur extra ipsam librariam quicumque ei ipsum asportaverit vel mali-tiose hanc scripturam deleverit anathema sit. Amen. Amen. Amen ». Cfr. Pastè,Donatori cit., p. 212.

131 Nel piatto anteriore del Vercelli, Bibl. Cap. cod. XIV, si trova la seguente nota dipossesso: «Iste liber I(n)stuto est domini archipresbiteri de Quinto unde modo satisfatiatde florinis VII quos habuit de thesauro». PASTÈ, Donatori cit., p. 63 identifica questoarciprete con Gaspardo Avogadro di Quinto, che ne fu certamente l’ultimo possessore(NE n. 455).

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loro ampi interessi per la liturgia, la teologia e l’esegesi, li ponevano all’a-vanguardia delle élites culturali dell’Italia settentrionale132.

L’unico personaggio in grado di competere con i suoi predecessoripuò forse essere l’arcidiacono Martino de Bulgaro. Iuris canonici peri-tus, come si fa designare nel suo testamento del 1362133, l’ecclesiasticolascia complessivamente alla libraria della cattedrale le sue Decretalesmagnas et pulcras glosatas (l’attuale Vercelli, Bibl. Cap. cod. V), unvolume di Clementine non glosate (identificato da Giuseppe Ferrarissulla scorta del Pastè con il Vercelli, Bibl. Cap. cod. XXI)134, un LiberSextus glossato, un leggendario cum legendis truncatis, un antifonario inquattro volumi, una piccola Bibbia de littera parisina coperta de veluto(identificata di recente da Brusa in una maculatura di un registrodell’Archivio Comunale di Vercelli)135, ed alcuni imprecisati libri redde-cami. Altri libri, contenuti in un armarium novum suddiviso in diversecelle, che l’arcidiacono possedeva nella sua camera, vennero invecedonati al convento dei Carmelitani di Vercelli. L’elenco, ricavato dal

132 Sul magister Cotta di Tronzano e sui suoi interessi per l’esegesi si veda impre-scindibilmente C. FROVA, Teologia a Vercelli alla fine del secolo XII: i libri del canoni-co Cotta, in L’Università di Vercelli cit., pp. 311-333. Sulla figura di Giacomo deCarnario è ancora utile riferirsi a U. ROZZO, Carnario (Carnarus, Carnari), Giacomo,in Dizionario biografico degli Italiani, XX, Roma 1977, pp. 439-441. La biblioteca delvescovo vercellese è stata analizzata in A. QUAZZA-S. CASTRONOVO, Biblioteche e libriminiati in Piemonte tra la fine del XII e il primo terzo del XIV secolo: alcuni percorsipossibili, in Gotico in Piemonte, a c. di G. ROMANO, Torino 1992, pp. 267-273.

133 ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598: «In primis legavit Deo et beatoEusebio et . . capitulo Vercellensi suas Decretales magnas et pulcras glosatas. § ItemClementinas non glosatas. Qui libri omnes ponantur in liberaria cum aliis libris cumbonis cathenis sumptibus ecclesie et ibi perpetuo maneant sine vendicione translationeimpignoratione concessione vel aliqua alia alienatione excepto quod si tempore guerreinesset periculum incendii furti vel rapine tunc de consensu omnium de capitulo nemi-ne contradicente omnibus vocatis ad capitulum possint predicti libri abscondi in aliqui-bus monumentis prout experiencia alia docuit vel poni in Thesauro vel alibi infra ambi-tum ecclesie prout omnibus canonicis videbitur expedire. (…) § Item libri reddecamisunt positi in thesauro. (…) Item legavit fratribus Sancte Marie de Carmello de Vercellisaliud armarium novum pulcerrimum ubi sunt plures causelle quod est in cella sua factade glischo ad ponendum libros quos testator dedit dicto conventui».

134 Il FERRARIS, Le chiese stazionali cit., p. 221 lo identifica con le Clementine diMartino sulla scorta di Pastè, Donatori, pp. 211-212.

135 G. BRUSA, Maculature liturgiche conservate nel Fondo notarile anticodell’Archivio Storico Civico di Vercelli, in «Aevum», 83 (2009), pp. 431-527.

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testamento ed integrato con quanto segnalano il necrologio136 e le note dipossesso dei codici, ci presenta la figura di un ecclesiastico al passo coni tempi, preoccupato di consolidare la sua cultura giuridica, ma attentoanche agli impegni della sua funzione e del suo status clericale137.

L’ultima osservazione riguarda infine i canonici che possedevanouna cultura di tipo notarile, come Giacomo Manuga e Servusdei Alciati:al di là della loro appartenenza alla categoria dei chierici-notai, che sicu-ramente comportava una preparazione professionale specifica, nonconosciamo molto di più dei contenuti e dell’iter della loro formazio-ne138: solo per Servusdei abbiamo la notizia che possedeva unBreviarium, entrato in possesso del canonico Bartolino da Santhià, dopoche questi lo aveva acquistato dal frate eremitano Giovanni de Monte139.Non diversamente anche per il basso clero della cattedrale possiamoipotizzare sulla scorta della documentazione una fisionomia culturalesimile a quella dei canonici: Uberto de la Costa, cappellano dell’altaredei SS. Giacomo e Filippo nelle sue ultime volontà aveva donato allachiesa cattedrale il suo antifonario diurno, destinando quello notturnoalla chiesa di S. Giovanni di Gazzo140. Un estratto del suo testamento ci

136 NE n. 655: «Antiphonarium insuper nocturnum in quatuor volumina divisum acbanchos chori ubi celebrantur divina opere tarsie et multis intaliaturis laboratos cumhostiis veprium dicti chori pariter cum libraria ubi sunt libri positi ad cathenas fueruntipso procurante perfecta. […]. Legavit etiam ecclesie Vercellensi suum pulcerrimumlibrum Decretalium et Clementinas sine glosis».

137 La ricostruzione della biblioteca di Martino è stata fatta da FERRARIS, Le chiesestazionali cit., p. 221 n. 338.

138 Sul notariato vercellese di questo secolo v. A. OLIVIERI, Notai e organizzazionenotarile a Vercelli nel Trecento, in questo volume.

139 ACV, Ap, cart. LXII, <1421-1423>, edizione parziale in ARNOLDI, Vercelli vec-chia cit., p. 133 n. 184. Ringrazio Antonio Olivieri per la gentile segnalazione. Cfr.Pastè, Donatori cit., p. 210.

140 ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1312>: «§ Item legavit dicte ecclesie SanctiEusebii quodam suum antifenarium dyurnum sub hac forma videlicet quod illud antife-narium servari debeat per custodes ipsius ecclesie et illud habeant in celebratione mis-sarum p(o)poli et ipsum comodare teneantur singulis capellanis ipsius ecclesie in cele-bratione missarum festivitatum suorum altariorum si ipsum habere voluerint, ita quodcelebratis missis ipsum antifenarium in manibus ipsorum custodum restituatur nec pos-sit acomodari vel portari extra ipsam ecclesiam set semper remaneat ad ussum predic-tum in ecclesia antedicta. § Item legavit suum antifenarium nocturnum quod est in duo-bus voluminibus ecclesie Sancti Iohannis de Gazio quod dari debeat ministro ipsiusecclesie Sancti Iohannis cum conscilio dominorum archipresbiteri et prepositiVercellensium».

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informa poi che era stato anche possessore di un libro di Decretali, ven-duto al maior di S. Maria, Eusebio di Tronzano, per 25 lire di pavesi141.

Il profilo degli interessi culturali dei canonici vercellesi del secoloXIV si presenterebbe “basso” e mirato al possesso di competenze tecni-che o professionali se non fossimo a conoscenza di alcuni documentiche ci presentano un quadro generale diverso e più sfumato. Passatequasi inosservate sono infatti alcune informazioni che ci permettono diipotizzare un vero e proprio slancio dei canonici eusebiani verso la pro-mozione della cultura. È ancora la nota obituaria di Martino de Bulgaroa ricordarci come l’arcidiacono avesse donato alla chiesa di S. Eusebio,oltre ai banchi intarsiati e scolpiti del coro ed eseguiti intorno al 1345,anche una libraria142. Con questo termine si designava presumibilmen-te un locale attrezzato, vicino al coro della cattedrale, dove erano ripo-sti per essere consultati i codici di proprietà del capitolo. Non è impro-babile che questa libraria fosse stata allestita nella prima metà del seco-lo, in quanto viene ricordata dal testamento di Venturino da Bergamo,

141 ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1312>: «§ Item legavit dictus dominus presbiterUbertus elemoxinario Elemoxine Sancti Andree Vercellensis qui nunc est vel qui protempore fuerit nomine dicte Elemoxine libras octo P(a)p(iensium) ex illis libris duode-cim P(a)p(iensium) quas sibi dare debet dominus Eusebius de Trunzano magor <sic!>ecclesie Sancte Marie Vercellensis pro Decretalibus quas ei vendidit pro libris viginti-duabus P(a)p(iensium)». Rimane aperto anche il discorso sulla dotazione liturgica dellechiese rurali e sulle letture o sugli interessi culturali del loro clero. Un utile confrontopuò essere condotto con l’inventario che il presbiter Bartholameus de Scotis de Vercellisrector et minister ecclesie Sancte Marie de Pissinengo, in diocesi di Novara, aveva volu-to redigere dei beni che aveva trovato nella sua chiesa il 10 gennaio 1384, dove tra inumerosi arredi liturgici e gli strumenti della vita quotidiana si legge: «Item missaleunum completum pro toto anno. Item missaletos tres <tres scritto su duos depennato>votivos. Item antifenarium unum diurnum notatum pulcrum. Item antifenarium unumnocturnum disquaternatum <disquartenatum nel testo, con r depennata e riscritta insopralinea su te>. Item antifenarium unum nocturnum. Item librum unum de omeliis.Item imbreviaria tria non completa. Item salteria duo, quorum unum non est completum.Item libros duos in quibus sunt <segue depennato no> ymni notati. Item certos alioslibros pauci valoris. Item aliud misale antiquum. Item librum unum mutilatum deAdventu antichristi et de duodecim articulis fidei. Item librum unum de passionibus etvita sanctorum. Item alia volumina plurium sanctorum» (ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6,ff. 8r-9r).

142 NE n. 655: «Antiphonarium insuper nocturnum in quatuor volumina divisum acbanchos chori ubi celebrantur divina opere tarsie et multis intaliaturis laboratos cumhostiis veprium dicti chori pariter cum libraria ubi sunt libri positi ad cathenas fueruntipso procurante perfecta».

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che vi destina per essere conservati cum cathenis i suoi due volumi diAvicenna e dell’Aquinate.

Quali volumi contenesse questa struttura, né gli atti di ultima volontàdi Martino, né altri documenti ce lo rivelano. Ci può però venire in aiutol’inventario, pubblicato da Tibaldeschi in appendice al volume delFerraris dedicato alle chiese stazionali, che censisce circa 50 codici. Ilfascicoletto, mutilo di almeno sette dei nove bifogli di cui era compo-sto, viene datato posteriormente al 1361, in quanto la legatura è costi-tuita da documenti notarili rogati in quell’anno143. Non è improbabileche questo documento, contenente l’ordinata descrizione del contenutodella libraria eusebiana organizzata in banchi, sia il testimone dell’ini-ziale processo costitutivo di quella che diventerà la Biblioteca capitola-re come la conosciamo oggi. I 50 codici descritti potrebbero rappresen-tare infatti una parte importante del tesoro bibliografico accumulato neisecoli dai canonici, lì concentrato non tanto per una necessità di meraconservazione, quanto piuttosto per una funzione specificamente cultu-rale e scolastica. I codici censiti nell’inventario, non ancora del tuttocoincidenti con quelli attualmente presenti in Biblioteca capitolare, rac-chiudono testi di tipo prettamente teologico, filosofico e giuridico, men-tre mancano i testi liturgici più antichi, probabilmente elencati nelleparti mancanti144.

Ancora la libraria nova viene ricordata in due documenti del 1372,con i quali il capitolo istituiva l’officium lectorie presso la cattedraleeusebiana. I due documenti, già conosciuti dal Mandelli, offrono inte-ressanti spunti di riflessione sulla coscienza che i canonici eusebiani delsecolo XIV avevano del glorioso passato culturale della cattedrale ver-cellese. L’iniziativa di istituire presso la cattedrale l’ufficio del lettorenon sembra essere stata presa dal capitolo, ma prende avvio dalla dona-zione di 150 fiorini d’oro che un laico, Uberto de Bulgaro, nel suo testa-mento steso il 24 luglio 1371, aveva lasciato per essere distribuiti amoreDei dai suoi esecutori testamentari: un frate Predicatore, Antonio da San

143 L’inventario, che si trova in ACV, Scatola XIX, Lista delli libri che sononell’Archivio … della Cattedrale, ricordato da FERRARIS, Le chiese stazionali cit., pp.112-113 n. 20 è edito ivi a pp. 261-262 come Appendice 1.

144 Cfr. M.A. CASAGRANDE MAZZOLI, Per un’indagine sui manoscritti dellaBiblioteca Capitolare di Vercelli, in L’università di Vercelli cit., pp. 293-310.

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Nazzaro, un frate Minore, Antonio da Borgo d’Ale, ed il prete GiacomoOca, rettore della chiesa cittadina di S. Agnese. A un anno di distanza gliesecutori decidono di acquistare con questa ingente somma di denaroalcune proprietà fondiarie, destinate ad istituire l’officium lectorie sacrepagine seu sancte theologie nella libraria nova della cattedrale, affi-dandone l’incarico ad un lettore esperto nella scienza della sacra paginae, naturalmente, di vita laudabilis et honesta, che avesse il compito diillustrare sacram paginam omnibus audire volentibus145.

L’intera operazione sembra essere stata architettata e portata abuon esito dal capitolo e da frate Antonio da San Nazzaro, un perso-naggio altrimenti ben conosciuto in quanto ricopriva in quegli annil’ufficio di lettore nel convento di S. Paolo e che nel biennio 1385-1386 ricoprirà anche l’incarico di inquisitor heretice pravitatis, dive-nendo infine provinciale della Lombardia superiore almeno dal1397146. Ce lo rivela il secondo documento, scritto contestualmenteall’esecuzione delle volontà di Uberto de Bulgaro, in cui appaionocon una chiarezza evidente la coscienza che il capitolo possedevadella sua funzione di custode della cultura e il desiderio di perpetua-re questa missione nel futuro. Non diversamente interpreterei le paro-le che il primicerio dei canonici aveva ordinato di scrivere al notaio,quando affermava che inter alias ecclesias Lumbardie eadem eccle-sia Vercellensis est honoranda, antiqua, venerabilis et famossa et inqua ab antiquo sacra pagina et astrologia et alie artes liberales legiconsueverunt, memore anche dell’esperienza appena esaurita delloStudium generale147.

145 ACV, Acap., cart. 96, fasc. 4, ff. 110rv. I documenti sono citati da MANDELLI, Ilcomune cit., pp. 44-45; ORSENIGO, Vercelli sacra cit., pp. 55-56; G. TIBALDESCHI,“Persecutori de christiani et veri ministri dell’Anticristo”. Gli Inquisitori di Vercelli:schede per una ricerca, in 1899. Ritorno dei Domenicani a Vercelli. Occasione per unamemoria, Vercelli 2002, p. 154.

146 Sul personaggio TIBALDESCHI, “Persecutori de christiani” cit., pp. 153-154. Allenotizie riportate ivi si possono aggiungere anche quelle relative al testamento di Blaxiusde Blandrate del 18 gennaio 1389, dove il frate è nominato esecutore testamentario(COPPO-FERRARI, Protocolli notarili cit., pp. 310-317 n. 3) ed è testimone ad una vendi-ta del monastero di S. Pietro Martire del 4 gennaio 1390 (ivi, p. 366 n. 70).

147 Sull’esperienza trecentesca dello Studium vercellese si veda I. NASO, La fine del-l’esperienza universitaria vercellese, in L’università di Vercelli cit., pp. 335-357.

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6. I canonici e la morte

Un ultimo ambito di ricerca riguarda il rapporto tra i canonici e lamorte. È incontestabile che i comportamenti di questi ecclesiastici in pros-simità del passaggio finale siano significativi per la ricostruzione dei loroorientamenti religiosi e per l’analisi dei vincoli che in vita li avevano tenu-ti legati al capitolo e alla famiglia di appartenenza, oltre a mettere in lucetutta una serie di informazioni utili a ricostruire il loro background socia-le e culturale148. Purtroppo anche in questo caso la documentazione non civiene in aiuto149: sotto il profilo numerico possediamo undici atti testa-mentari relativi ad otto canonici, più il ricordo di almeno due testamentinon pervenutici (Alexinus de Meno150, Bartolomeo da Santhià151). Deiprimi, solo cinque sono testamenti completi (Enrico Bondoni di Alice[1300]; Giacomo de Moxo [1303]; Rainerio Avogadro di Pezzana [1324];Venturino da Bergamo [1354]; Martino de Bulgaro [1362]), i rimanentisono estratti che riportano alcune clausole152. A questi possono essereaggiunti anche due estratti di testamenti di vescovi vercellesi o di canoni-

148 Classico a questo proposito è il rimando alla raccolta di studi contenuta in“Nolens intestatus decedere”. Il testamento come fonte della storia religiosa e sociale,Perugia 1985. In particolare utilissimo risulta ancora il monumentale studio di A.PARAVICINI BAGLIANI, I testamenti dei Cardinali del Duecento, Roma 1980. Per lasocietà vercellese gli studi specifici sulla pratica testamentaria e sui suoi riflessi religio-si mancano; un tentativo in relazione all’ospedale di S. Andrea è stato fatto in G.FERRARIS, L’ospedale di S. Andrea di Vercelli nel secolo XIII. Religiosità, economia,società, Vercelli 2003, pp. 58-70.

149 Si sono presi in considerazione non solo i testamenti veri e propri, ma tutti i docu-menti che rientrano nell’ampia categoria degli “atti di ultima volontà”: cfr. C. PIACITELLI,La carità negli atti di ultima volontà milanesi del XII secolo, in La carità a Milano neisecoli XIII-XIV, a c. di M. P. ALBERZONI-O. GRASSO, Milano 1989, pp. 167-186.

150 ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 77rv (23 gennaio 1386). Ricorre nei documenticapitolari dal 1380 (ACV, Ap, cart. XLIX, <1378-1380>), fino al 27 gennaio 1385.(ACV, Acap., cart. 97, fasc. 6, ff. 12 rv). Un documento del 17 marzo 1382 lo ricordacome Alexius de Novaria (ACV, Ap, cart. L, <1381-1383>).

151 Il canonico compare raramente tra i documenti capitolari solo nel settembre 1332(ACV, Ap, cart. XXXIII, <1330-1332>).

152 Rispettivamente: per Enrico Bondoni di Alice il testamento originale del 23 giu-gno 1300 (ACV, Ap, cart. XIV, <1297-1300>; per Giacomo de Moxo il testamento inoriginale del 6 marzo 1303 (ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>), a cui si aggiunge unestratto del testamento del 20 luglio 1306 (ACV, Ap, cart. XXVI, <1306-1307>); perFilippo Avogadro di Quinto l’estratto dal protocollo notarile del notaio Ruffino diMiralda del testamento datato 26 agosto 1313 (ACV, Ap, cart. XXVIII, <1311-1313>);

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ci eusebiani divenuti vescovi in altre diocesi (Palaino Avogadro diCollobiano153, Emanuele Fieschi154). Poco, se si considera il numero asso-luto di canonici censiti per il secolo preso in considerazione; naturale sesi pensa che la maggior parte dei canonici non era residente e faceva gra-vitare i propri interessi verso chiese di altri luoghi.

Tuttavia alcune prime impressioni possono essere rapidamente rac-colte: nella stragrande maggioranza dei casi i canonici eusebiani indivi-duano in un parente più o meno prossimo il loro erede universale, soli-tamente i fratelli (Enrico Bondoni, Giacomo de Moxo, Giorgiod’Albano) o i nipoti, figli dei fratelli (Filippo Avogadro di Quinto,Rainerio Avogadro di Quinto), in un caso i pronipoti (Nicola diMontiglio); in subordine vengono ricordati anche altri parenti stretti: lamadre o le nipoti, per le quali si fissa una somma più o meno cospicuaper la loro dote. Il dato in sé non è particolarmente significativo, spostaperò l’interesse dei canonici dalla chiesa cattedrale, alla quale nei seco-li precedenti i loro predecessori avevano lasciato le proprie ricchezze, allignaggio e alla famiglia, enfatizzando una tendenza già presente neitestamenti dei loro colleghi dei secoli precedenti.

La costituzione di benefici presso altari di nuova erezione o già esi-stenti in cattedrale, sottoposti al giudizio di una commissione nellaquale una parte importante era giocata da rappresentanti laici della fami-glia di provenienza del canonico benefattore, conferma questa primaimpressione: è a partire da questo secolo che le famiglie aristocratichevercellesi si appropriano di spazi liturgici e cultuali all’interno della cat-tedrale in funzione di una esaltazione del lignaggio155. All’inizio del

per Rainerio Avogadro di Pezzana il testamento in originale del 5 settembre 1324 conun suo codicillo (entrambi in ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>); per Giacomo diCarisio un codicillo del 26 luglio 1326 (ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>); perGiorgio d’Albano un codicillo del 2 novembre 1343 (ACV, Ap, cart. XXXVIII <1342-1343>); per Venturino da Bergamo l’originale del testamento del 2 giugno 1354 (ACV,Ap, cart. XXXXIII <1353-1354>); per Martino de Bulgaro una copia cartacea del testa-mento del 7 febbraio 1362 (ACV, cart. 41, Testamenti e codicilli 1202-1598) e un codi-cillo (ACV, Ap, cart. XXXXV, <1361-1363>); per Nicola di Montiglio un codicillo deltestamento datato 14 settembre 1375 (ACV, Ap, cart. XXXXVIII <1373-1377>).

153 ACV, AP, Atti di legati pontifici, cart. XIII, <1211-1407> (1345 gennaio 21).154 ACV, Ap, cart. XXXXI, <1347-1348>, 1348 luglio 27, Milano.155 Cfr. E. CURZEL, Cappellani e altari nella cattedrale di Trento nel XIV secolo, in

Preti nel medioevo, Verona 1997, pp. 125-163, soprattutto a pp. 132-137.

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secolo, nel 1300, il canonico Enrico Bondoni di Alice istituiva una cap-pella dove si sarebbe dovuto costruire un altare in onore di S. Stefano:anche in questo caso il cappellano sarebbe stato eletto per tres propin-quiores parentes maiores et antiquiores de domo sua e confermato dalgiudice ordinario, cioè dall’arcidiacono e dal capitolo156. Ugualmentenel 1324 il canonico Rainerio Avogadro di Pezzana istituiva con unaparte dei suoi beni una cappellania in onore di S. Francesco, dotandoladi 600 lire di pavesi, che dovevano servire per acquistare beni fondiari,con il cui reddito assoldare un cappellano che celebrasse tre messe set-timanali per l’anima del canonico. L’elezione del cappellano sarebbespettata all’arciprete, al canonico primicerio degli accoliti e al parentelaico più prossimo de domo sua157.

156 ACV, Ap, cart. XIV, <1297-1300>: «§ Item statuit voluit et ordinavit quod debonis suis usque ad quantitatem librarum quinquecentum P(a)p(iensium) fiat et fieridebeat in ecclesia Beati Eussebii Vercellensis una capellania ubi construatur unum alta-re ad honorem beati Stephani martyris et ibi eligatur presbiter seu instituatur per trespropinquiores parentes maiores et antiquiores de domo sua confirmandis per iudicemordinarium, hoc est per dominum archidiaconum et capitulum ecclesie Sancti EussebiiVercellensis, cui presbitero ministrari debeant necessaria de predictis libris quinquecen-tum P(a)p(iensium) ponendis seu expendendis vel convertendis in una possessione undepredictus presbiter fructus et redditus percipiat. Qui presbiter teneatur semper ibi mis-sam cantare pro anima ipsius domini Henrici et hec omnia voluit ordinari ditari et distri-bui secundum arbitratum clericorum abbatum Sancti Stephani et Sancti HendreeVercellensium». Non trovo riscontro bibliografico per questo altare, ricordato però nellevisite pastorali: FERRARIS, Le chiese stazionali cit., p. 75 lo cita solamente; C. PERAZZO,La cattedrale di Vercelli, luogo di Dio e luogo degli uomini, nelle visite apostoliche del1575 e del 1584, in «Bollettino storico vercellese», 27 (1998) n. 51, p. 88 lo cita in rela-zione alla visita apostolica di Carlo Borromeo del 1584.

157 ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>: «Item voluit statuit et ordinavit quod de bonissuis fiat una capelania in onorem beati Francissi in ecclesia Beati Eusebii Vercellensis,quod (quon)dem ordinavit venerabilis pater dominus episcopus Raynerius; pro qua cape-lania dotenda et pro dote ipsius relinquid de bonis suis libras sexcentum Papiensium dan-das et consignandas per predictos suos heredes in manibus dominorum archidiaconi, archi-presbiteri et prepositi ecclesie Vercellensis infra sex mensses post decessum ipsius dominiRaynerii; de quibus denariis predicti domini archidiaconi (sic!) archipresbiter et prepositusteneantur emere unam posessionem et si ex dicta posessione in reditibus non possent per-cipi vel haberi anuatim libras LX Papiensium quod fructus et reditus ipsius posessionibustam denarii collegentur per predictos dominos archidiaconum archipresbiterum et preposi-tum et in utilitate ipsius capelanie convertentur emendo alias posessiones donec redditusomnium posessionum attingant anuatim a libris LX Papiensium et amplius et iterumteneantur predicti domini celebrari facere tres misas omni ebdomada in predicto altari peraliquem capelanum pro remedio anime ipsius domini Raynerii et antecesorum suorum, et

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Alla chiesa cattedrale, talvolta riconosciuta come mater sua daltestatore, vengono tuttavia riservati lasciti pecuniari abbastanza cospicuiper la celebrazione degli anniversari o delle commemorazioni, secondol’uso consueto che si protraeva da secoli nella chiesa cattedrale158. Anzi,queste ultime donazioni sono quelle numericamente più rilevanti: gliestratti dei testamenti conservati nell’archivio capitolare avevano loscopo di testimoniare per il futuro l’entità del lascito, contabilizzato inseguito dall’opera dei pasti o degli anniversari. Questi lasciti fissanoquindi, a volte, anche la quantità di denaro da estrarre dal reddito deibeni acquistati e da distribuire ai canonici e ai cappellani che partecipa-vano all’ufficio. In particolare Enrico Bondoni fissa in quaranta soldi lasomma per il suo anniversario; Giacomo de Moxo prevedeva che allachiesa di S. Eusebio fosse legata una casa che aveva acquistato dalmaior di S. Maria Vercellino de Moxo, con il cui reddito si dovessepagare l’anniversario nel giorno della sua morte e una commemorazio-

si contingeret quod heredes sui non possent comode solvere predictas libras sexcentumPapiensium voluit et ordinavit quod ipsi heredes dent et solvent de bonis ispius dominiRaynerii anuatim libras XLVIII Papiensium quas libras XLVIII tradant in manibus supra-scriptorum dominorum archidiaconi, archipresbiteri et prepositi convertendas in utilitateipsius capelanie ut supra dictum est et cocienscumque predicti heredes persolverint pre-dictas libras sexcentum Papiensium predictis dominis archidiaconi archipresbiteri et pre-positi tunc sint et esse debeant absoluti a prestacione et donatione predictarum librarumXLVIII Papiensium et quando fructus et reditus predictarum posessionum ascenderint aquantitatem de libris LX Papiensium et plus tunc eligatur capelanum unus ydoneus insacerdocio constitutus per dominum archipresbiterum Vercellensem et per acolitum primi-cerium canonicum predicte ecclesie et propinquiorem parentem laycum ipsius dominiRaynerii et de domo sua et presentetur capitulo Vercellensi canfirmandum qui teneanturfacere continuam residenciam aput ipsam ecclesiam et in choro ipsius ecclesie et continuoofficiis interesse divinis quidem capelanus teneatur et debeat omni ebdomada celebrare tresmisas ad predictum altare et unam aliam ad altare Sancte Brigide in ospitali Scotorum exquibus misis una celebretur in onore beate Marie virginis faciendo commemoracionembeate Brigide alia in honore beati Euxebi faciendo commemoracionem beati Francissi reli-que due pro defunctis que omnes fiant pro remedio anime sue et predecessorum suorum etpredictus sacerdos non posit se ab dicta ecclesia absantare ne petita ne otenta licencia vela domino archidiacono vel archipresbitero vel preposito et hanc suam ultimam voluntatemvoluit et iuxit valere iure testamentum nuncupativum ex si iure testamenti nuncupativi nonsortiretur effectum voluit eum valere iure coldicelorum epistule et alterius cuiuscumqueultime voluntatis et omni iure quo melius sortiri possit effectum». Non trovo riscontrobibliografico per questa cappellania, cfr. FERRARIS, Le chiese stazionali cit., p. 76.

158 Cfr. H. DORMEIER, Capitolo del Duomo, vescovi e memoria a Vercelli (secc. X-XIII), in «Bollettino storico vercellese», 34 (2005) n. 65, pp. 19-59.

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ne a metà anno che doveva svolgersi in un modo prestabilito: in quel-l’occasione 40 soldi dovevano essere distribuiti nel coro secondo il mosdella chiesa, altri 20 soldi dovevano essere dati ai revestitis che avreb-bero celebrato la messa, al cantore, al sacrista e ai custodi, di modo taleche ipsi revestiti sint cappis sericis inducti159.

Che la chiesa cattedrale non fosse più il centro focale dell’esperien-za religiosa e della vita di questi ecclesiastici è testimoniato anche innegativo dall’assenza di note obituarie relative a canonici eusebiani diquesto secolo all’interno del codice Vercelli, Bibl. Cap. ms. XXXIII, ilmartirologio-necrologio allestito nella prima decade del secolo XIII dal-l’arciprete Mandolo Alciati160. Delle dieci note necrologiche ascrivibilial secolo XIV, solo una riguarda l’arcidiacono Martino de Bulgaro161;delle altre nove, tre appartengono ad alcuni cappellani della cattedra-le162, due a quelle di altrettante donne della élite sociale vercellese163, lerimanenti a quattro laici: un magister docens Vercellis artes gramatica-

159 ACV, Ap, cart. XXIV, <1301-1303>: «Item legavit ecclesie Beati EusebiiVercellensi matri sue domum suam quam acquissivit a condam domino Vercellino deMoxo maiore ecclesie Beate Marie, salvo dicto solidorum triginta Papiensium quoslegavit dictus dominus Vercellinus ipsi ecclesie Sancte Marie pro suo anniversariofaciendo qui prius solvantur de ficto ipsius domus. Omnia vero iura alia sibi pertinentiain ipsa domo perveniant in ipsam ecclesiam Sancti Eussebii pro suo aniversario in diesui obitus et una commemoratione in medio anno facienda in ipsa ecclesia in huncmodum, videlicet quod de ficto ipsius domus solidi quadraginta distribuantur in chorosecundum morem ipsius ecclesie; item dentur solidi viginti revestitis qui celebrabuntmissam et cantori sacriste et custodibus secundum morem aliorum revestitorum, itaquod ipsi revestiti sint cappis sericis inducti; item dentur denarii duodecim cuilibetcapellano sacerdoti et presenti pro una missa in die sui aniversarii celebranda; totumvero residuum possessionis dicte domus distribuatur in choro ut predictum est in diecommemorationis sue de illis vero triginta solidis qui dabuntur ecclesie Sancte Mariepro aniversario predicti domini maioris distribuantur solidi XX in choro et solidi Xcapellanis sacerdotibus et presentibus tantum pro missis celebrandis».

160 DORMEIER, Capitolo del Duomo cit., pp. 55-59.161 NE n. 665, 665 bis, 655 ter.162 Si tratta di Guiliengus de Grumis di Biella, cappellano dell’altare dei SS. Barnaba

e Antonio, morto il 23 marzo di un anno che non è stato ancora possibile identificare(NE n. *196); del presbiter Petrus Avostanus de Monte Beroardo, capellano dell’altaredella Beata Vergine Maria, morto il 18 maggio 1370 (NE n. 361); del presbiterGuilielmus Calchaneus di Casale S. Evasio, cappellano dell’altare di S. MariaMaddalena, morto il 25 novembre 1337 (NE n. 819).

163 Si tratta di Anastaxia de Mandello, morta il 20 febbraio 1343 (NE n. *131) e diIacobina filia quondam Guideti de Quinto, morta il 6 dicembre 1384 (NE, n. 893).

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les164, un doctor medicine165, un tesoriere del comune di Vercelli166 e unodei signori di Palestro167. Eppure dagli atti di ultima volontà dei canoni-ci veniamo a sapere che alcuni di loro avevano lasciato al capitolo con-siderevoli somme di denaro per farsi ricordare negli anniversari dellacattedrale: così fanno magister Emanuele che nel 1300 lascia 40 soldi alcapitolo per la celebrazione del suo anniversario, Rainerio Avogadro diPezzana nel 1324168, il cantore Giorgio d’Albano nel 1343169, il canoni-co magister Venturino da Bergamo nel 1354170, Nicola di Montiglio nel

164 Si tratta di magister Franciscus de Agaciis, civis Vercellensis, docens Vercellisartes gramaticales, morto il 18 luglio 1364 (NE n. 539*). Notizie di questo magistersono rintracciabili in COPPO-FERRARI, Protocolli cit., pp. 111-112 n. 289 (11 aprile1360); pp. 175 n. 7 (17 marzo 1375).

165 Si tratta di Petrus de Cabalys, morto il 1 ottobre 1399 (NE n. *752).166 Si tratta di Iacobus de Scutariis, morto il 10 febbraio 1384 (NE n. *106).167 Si tratta di Ionselinus de Palestro morto il 25 gennaio 1306 (NE n. *71).168 ACV, Ap, cart. XXXI, <1323-1326>: «Item legavit et iuri legati relinquid aniver-

sariis ecclesie Beati Euxebi Vercellensis iura et ficta que habet in duobus sediminibusreacentibus in villa Pezane, quibus queret et cetera. Que aquisivit per nepotem suumRaynerium aquesita fuerunt a domino Bertolino Avocato de Pezana filio (quon)demPhylipi de Pezana pro libris CX Papiensium vel circa, tali pacto apposito quod cocien-scumque predicti heredes sui darent ac solverent in manibus dominorum archipresbite-ri et prepositi prefate ecclesie Vercellensis predictas libras CX Papiensium convertendasin utilitatem aniversariorum de quibus denariis ematur una posessio per predictos domi-nos archipresbiterum et prepositum pro predicto aniversario faciendo quod tunc predic-ta iura ipsorum sediminum et ipsa sedimina pervenient in predictos heredes suos et talimodo distribuentur denarii dicte posessiones, videlicet quod de ipsis denariis in die ani-versari sui denarii XII cuilibet capelano sacerdoti pro misa celebranda in ipsa die ani-versari pro animabus ipsius domini Raynerii patris et matris et fratrum et sororum etantecesorum suorum et si contingeret quod capelani predicte ecclesie non essent omnesibi in ipsa die aniversari quod sequenti die supleat numerus ipsarum misarum quedebuissent dici in ipsa die aniversari predictos capelanos absentes et solidi VIIIPapiensium revestitis dum modo celebrent inductis vestibus sericis; superfluum verodistribuatur in choro more solito».

169 ACV, Ap, cart. XXXVIII, <1342-1343>: «§ Item legavit ecclesie Sancti EusebiiVercellensi annuatim imperpetuum solidos quadraginta Papiensium pro faciendo unoanniversario pro remedio anime ipsius domini Georgii ac patris et matris eius quod qui-dem anniversarium dominus archidiaconus canonici et capitulum dicte ecclesie omnianno imperpetuum in die sui obitus facere teneantur».

170 ACV, Ap, cart. XXXXIII, <1353-1355>: «Item relinquid aniversariis ecclesieVercellensis domum unam et fictum quod ex ipsa domo percipi poterit et haberi quamacquisivit a Franceschono Guastarello dicto Paulo de Vercellis sitam in vicinia SanctiEussebii Vercellensis ut constat puto instrumento traddito per presbiterum Guillelmumde la Muracia capellanum in ecclesia Vercellensi, salvo ficto soldorum viginti

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1375; insomma la quasi totalità dei canonici eusebiani i cui atti di ulti-ma volontà ci sono rimasti sembrano perpetuare la tradizione della com-memorazione post mortem affidata agli anniversari.

Viene da chiedersi dunque il motivo per cui sia cessato o almenosospeso dalla fine del secolo precedente l’uso di annotare sull’attualecod. XXXIII il ricordo dei canonici defunti e di tutte quelle altre perso-ne che avevano lasciato beni in natura o in denaro per la celebrazionedegli anniversari, quando invece nel secolo successivo alcuni canonicisi premurarono di far inserire le note obituarie nel codice171. Le rispostepossono essere molteplici: una prima può essere relativa al fatto che ilcodice per le sue dimensioni fosse poco maneggevole, quindi superato.Sappiamo però che il necrologio era conservato in un piccolo armadioche si trovava nei pressi del coro della cattedrale, al quale era incatena-to, come ci rivela l’ordine dato dall’arcidiacono Martino de Credario alnotaio Nicolino de Arnoldo il 18 gennaio 1323 di far estrarre da esso

Papiensium quos debet habere omni anno ecclesia sive prepositus Sancti Graciani nomi-ne ipsius ecclesie et ficto soldorum quatuordecim Papiensium quos debet habere et per-cipere omni anno capellanus altaris Sancti Emiliani siti in ecclesia Vercellensi supra-scripta super predicta domo quam acquissivit a suprascripto Francischono quos soldosXX Papiensium vult ipse testator quod suprascripti prepositus sive ecclesia SanctiGraciani et capellanus dicti altaris Sancti Emiliani habeant et recipere debeant omnianno de ficto ipsius domus. Item relinquid dictis aniversariis suprascripte ecclesie sueVercellensis fictum librarum quinque Papiensium quod percipere debet et habere omni<omni aggiunto in sopralinea> anno ab Antonio filio quondam domini Iacobi deMerlini de Scutariis de Vercellis super una domo et sedimine cum orto que iacet in civi-tate Vercellarum in vicinia Sancti Stephani Vercellensi de monasterio ut constat per car-tam factam per Nicolinum de Arnoldo et Antonium de Pexina notariis Vercellensibus, dequibus denariis fictorum suprascriptarum domorum dentur revestitis soldi XXIIPapiensium videlicet sacerdoti diacono subdiacono cantori sacriste et mensali soldi IIIPapiensium pro quolibet ressiduum vero quod poterit percipi et haberi de ficto supra-scriptarum domorum dividatur in choro annuatim secundum morem et consuetudinemsuprascripte ecclesie Vercellensis, ita tamen quod omnes qui interfuerint in officioteneantur ire ad sepulturam ipsius magistri Venturini».

171 Delle 17 note obituarie ascrivibili al secolo XV infatti ben otto canonici deciserodi far scrivere i loro obiit: Andrea de Gromis, canonico suddiacono e cantor, morto il 14aprile 1491 (NE n. *254); Augustinus de Testis morto il 28 aprile 1436 (NE n. *292); ilcantor Antonius de Mandello, morto il 29 aprile 1448 (NE n. *298); Georgius deCocorellis, morto il 6 maggio 1463 (NE n. *322); Ludovichus de Centoris, morto il 26maggio 1487 (NE n. *382); Gasper Fara, morto il 12 luglio 1490 (NE n. *523),Riccardus de Ursis di Valenza, preposito di S. Eusebio, morto il 19 settembre 1450 (NEn. *714); Stefano Caccia di Novara, morto il 27 ottobre 1482 (NE n. *798).

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copia della nota obituaria di Enrico Gorena172. D’altra parte lo stessonecrologio fu usato fino alla fine del secolo XVIII, benchè sempre piùrare appaiano le note obituarie dei secoli successivi; e non possiamoipotizzare con certezza l’esistenza di una qualsiasi altra forma di regi-strazione che allo stato attuale delle ricerche non è stata rinvenuta.

Rimangono infine i lasciti alle altre istituzioni ecclesiastiche o reli-giose della città o dei luoghi legati alla vita dei canonici: scompare dagliatti di ultima volontà il ricordo delle chiese o cappelle cittadine, men-zionate genericamente solo da Enrico Bondoni, mentre permangono lemenzioni degli ordini mendicanti, quali il convento dei frati Predicatorie quelli dei frati Minori, degli eremitani di S. Marco e dei Carmelitani,destinatari di denaro o beni immobili173. Per i rimanenti atti testamenta-ri solo la presenza fra i testimoni di qualche frate mendicante può farsupporre che la beneficenza fosse destinata ai conventi mendicanti dellacittà, che in pieno secolo XIV avevano fagocitato il lussureggiantemondo di fondazioni religiose dei due secoli precedenti 174. Uguale sortesembra anche destinata agli enti caritativi o assistenziali che si riduco-no alla Carità di S. Lorenzo175.

172 ACV, Ap, cart. XXXII, <1323-1326>: «quatinus de libro quodam cum quadamcathena ad armariolum quod est iuxta chorum predictum posito ac etiam cathenato inquo quodam libro continentur aniversaria que facere debet ecclesia antedicta extraheresuprascriptam ordinacionem». Non c’è alcuna ragione di credere che questo librumfosse diverso dal cod. XXXIII, nel quale è scritto il necrologio di Enrico Gorena (NE,n. 268) morto nel 1262; non era sicuramente il Vercelli, Bibl. Cap., cod. LXII, il codicecontenente il più antico necrologio eusebiano, dove questo necrologio non c’è, comeafferma invece ARNOLDI, Vercelli vecchia cit., p. 133 n. 184.

173 Un panorama per nulla esaustivo sulle fondazioni mendicanti vercellesi inFERRARIS, L’ospedale cit., pp. 41-42.

174 Per l’area veneta questa tendenza è stata messa in luce, limitatamente al sec. XIII,da M. ROSSI, Orientamenti religiosi nei testamenti veronesi del Duecento: tra conser-vazione e “novità”, in Religiones novae, Verona 1995, pp. 122-132, cfr. anche F. DE

VITT, Chiese, famiglie e villaggi carnici nel Tre-Quattrocento, in Religione nelle cam-pagne, Verona 2007, pp. 205-233.

175 Una panoramica sugli ospedali vercellesi nel medioevo si trova in G. FERRARIS,Il vescovo e la carità: Guala Bondoni tra esperienze religiose ed opere assistenziali, inVercelli nel secolo XII cit., pp. 37-62; ID., L’ospedale cit., pp. 35-48; ID., Un mercantein crisi: le scelte religiose di Marchetto de Morando, in E divenne Maggiore. Aspettidella storia dell’ospedale di Sant’Andrea di Vercelli, a. c. di M.C. PERAZZO, Novara2009, pp. 39-55.

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Conclusioni

Giunto al termine di questo intervento mi accorgo che il quadroappena disegnato possiede contorni ancora troppo evanescenti e fram-mentari. Manca un quadro d’insieme che tenga conto soprattutto dell’e-voluzione in senso diacronico di tutto il corpo canonicale e soprattuttole implicazioni istituzionali e le relazioni con la società vercellese chenel secolo XIV sembra aver avuto un notevole cambiamento di regi-stro176.

Tuttavia qualche piccola osservazione, offerta come conclusione aquesto intervento, è possibile trarre.

Il capitolo eusebiano ha rappresentato anche durante questo secolouno dei luoghi in cui le famiglie che avevano legami con l’episcopatovercellese potevano inserire loro rappresentanti. Nel Trecento però ilcapitolo diventa soprattutto serbatoio di prebende per ecclesiastici pro-venienti da ambienti curiali o direttamente sponsorizzati da chi in quelmomento deteneva il governo della città.

A fronte di una composizione così frastagliata e tale da far pensaread un capitolo di basso profilo, tutto arroccato a difendere le prerogati-ve della chiesa cattedrale, l’impressione generale che se ne trae è oppo-sta: i canonici, o meglio il capitolo dei residenti, fu capace in questosecolo di promuovere non solo una riforma liturgica, con il conseguen-te rifacimento e rielaborazione degli strumenti del mestiere, dimostran-do quindi una capacità e una sensibilità professionale molto alta, anchese in ritardo di almeno un cinquantennio rispetto al generale movimen-to di riforma liturgica; il capitolo dei residenti fu anche capace di rior-ganizzare e dare nuovo slancio alla stessa cultura ecclesiastica attrez-zando un luogo idoneo alla conservazione del patrimonio librario accu-mulatosi durante i secoli e ancora oggi consultabile e promuovendo l’i-stituzione dell’officium lectorie, per garantire l’aumento della cultura trai chierici che frequentavano la cattedrale.

176 Cfr. gli avvertimenti di G.G. MERLO, Vita religiosa e uomini di Chiesa in un’etàdi transizione, in Storia di Torino. II. Il basso Medioevo e la prima età moderna (1280-1536), a c. di R. COMBA, Torino 1997, pp. 297-324, soprattutto a pp. 308-312.

Gianmario Ferraris

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I canonici della cattedrale di Vercelli

APPENDICE

Elenco alfabetico dei canonici della chiesa di S. Eusebio di Vercelli(secolo XIV)

Si offre in questa sede un primo elenco dei canonici eusebiani atte-stati dalle fonti documentarie del secolo XIV prese in considerazione.La serie è molto parziale, in quanto manca ancora lo spoglio integraledei registri di lettere papali del secolo XIV, che non è stato possibilecondurre. In questa sede vengono citati i nomi di tutti i canonici chehanno ottenuto la provvista canonicale. Compaiono anche i nomi diquegli ecclesiastici che per vari motivi non hanno potuto ottenere la col-lazione, pur avendo ricevuto lettera di provvisione, o i nomi degli indi-vidui che sono attestati solo nel manoscritto della Series canonicorum S.Eusebii quorum memoria restat in distinctis foliis antiquis ab anno 1165ad 1580 cum pluribus largis et lamentabilibus interruptionis compilatodal canonico Giovanni Barberis nel secolo XIX, in ACV.

Gli estremi cronologici vanno dunque presi con cautela.

Agostino de Margariis di Vercelli 1376Aicardo de Rodobio 1308-1326Alcherio de Montilio 1344-1353Alessino de Meno di Novara 1380-1385Ambrogio Brochinus de Tricio 1367-1390Ambrogio de Subirago 1364-1367Antonino de Camperrimaldis di Piacenza 1364Antonio Cacherano 1359-1399Antonio Cocorella 1388-1407Antonio de Bugella 1348Antonio de Bulgaro 1338-1394Antonio de Clebra di Chiavazza 1375Antonio de Fisserengo 1375Antonio de Mandello 1388-1448Antonio de Sancto Angelo 1392Antonio Frassacarrus 1375-1399Antonio Vialardi di Sandigliano 1385-1395

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Bartolomeo de Grana 1390-1432Bartolomeo de Pergamo 1309Bartolomeo de Scotis 1375-1385Beltramino de Raynoldis 1361-1364Benedetto Boccanegra di Genova 1361Bernardino de Rovedis 1347-1365Bertolino Avogadro di Pezzana 1307-1325Bertolino Centori di Pezzana 1283-1327Bertolino de Sancta Agatha 1332-1337Bonifacio (Avogadro ?) di Collobiano 1321Bonifacio Cagnoli 1330-1347Bonifacio de Placencia o de Turigia/Turriglia 1340-1346Buongiovanni de Casanova 1304-1309Buongiovanni Peluchus/de Pelluciis di Casale 1367-1372Caspardo (II) de Rodobio 1273-1317Cello Nardelli de Orto 1355-1364Crescimbene Brochinus de Tricio di Milano 1353-1361Cristoforo de Canevariis di Piacenza 1337-1340Degano de Nava 1390-1411Delfino de Vassallis 1301-1342Dragone de Alba 1358-1361Emanuele de Bulgaro 1342-1348Emanuele de Coconato 1297-1304Enrico Bondoni di Alice 1265-1300Enrico de Castellengo 1338-1387Enrico de Lonate 1361-1366Enrico de Scribanis di Vignale 1348-1353Eusebio de Dionixiis di Caresana 1326-1361Eusebio de Testis 1381-1399Facio Corradi di Lignana 1381-1411Filippo (I) Avogadro di Quinto 1273-1312Filippo (II) Avogadro di Quinto 1301-1307Filippo Avogadro di Valdengo 1275-1312Filippo de Maxino 1344-1346Filippo de Placencia 1332-1342Filippone de Ticineto, conte di Cavaglià 1390-1395

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Francesco figlio di Giacomo de Cabaliaca 1390Francesco Bondoni di Ronsecco 1375Francesco de Laveziis 1344-1361Francesco de Malpassutis di Montiglio 1369-1375Gabriele de Oldegardis 1363Gabriele de Scribanis di Vignale 1362Galeazzo figlio di Manfredi marchese di Saluzzo 1368Gaspardo Avogadro di Quinto 1375-1433Geraldo T(er)holanus 1348Gerardo de Brioscho 1367-1372Gerardo Sachus 1398Ghio de Arborio 1334-1349Giacomo figlio di Manfredi marchese di Saluzzo 1358-1363Giacomo Cacherano 1364Giacomo de Arborio 1304-1309Giacomo de Baziis 1395Giacomo (II) de Carixio 1308-1326Giacomo de Cremona 1375Giacomo de Moxo 1277-1303Giacomo de Sancto Georgio 1311Giacomo de Vassallis di Gallarate 1380-1386Giacomo Manuga 1290-1325Giacomo Tascha di Ponderano 1375-1386Giorgio Avogadro di Quaregna 1309-1322Giorgio Avogadro di Valdengo 1260-1304Giorgio de Albano 1314-1343Giorgiolo de Brazadelis 1362Giovanni Benedictus de Boiano 1357-1385Giovanni Cagnoli 1340-1398Giovanni (I) de Albano 1301-1317Giovanni (II) de Albano 1332-1375Giovanni de Arborio 1340-1355Giovanni de Auxiliano 1328-1355Giovanni (I) de Bulgaro 1364Giovanni (II) de Bulgaro 1395-1424Giovanni de Carnago 1361-1366

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Giovanni de Maxino 1338-1386Giovanni de Nibiono 1333-1338Giovanni de Sillavengo 1375-1376Giovanni de Soleria 1389Giovanni Fornaschus di Biella 1361Giovanni Pearolii di Novara 1390-1398Giovannino de Testis di Santhià 1361Guglielmo Berloffa Tizzoni 1388-1390Guglielmo de Badalocho 1385-1399Guglielmo de Boscho 1362Guglielmo de Busto di Bergamo 1348Guglielmo de Montonario 1352-1361Guglielmo de Moxo 1304-1321Guglielmo Pastorellus 1363Guido Avogadro di Casanova 1308-1338Guido de Bulgaro 1340-1371Guido de Conradis 1317-1323Guido de Legnana 1314-1332Guido de Pezana 1308Guido de Quinto 1307-1314Guido de Ripparia 1347Guidone Pettenati 1301-1314Guieto (Guidottino) de Fixerengo 1375Guifredo de Silavengo 1386Guilielmo Canis Vialardi 1305-1311Guiscardo de Silavengo 1387Ioncelinus de Arborio 1395-1398Lafranco de Arborio 1362-1382Lafranco de Silavengo 1388-1411Ludovico figlio di Manfredi marchese di Saluzzo 1361Ludovico de Bulgaro 1395Ludovico de Castellengo 1340-1397Manfredino de Mercadilio 1331Manfredo del fu Giovanni Andaldi 1376Manfredo figlio di Rambaldo conte di Treviso 1307Manfredo de Mirolio 1297-1304

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Marchino de Capitaneis de Figino 1385-1390Martino 1352-1353Martino de Bulgaro 1332-1368Martino de Cardano di Bergamo 1308-1332Martino de Sancta Agatha 1390Matteo Bononinus de Canalis 1304-Matteo de Viterbio 1358-1371Nicola 1301-1304Nicola Bechus di Montiglio 1348-1375Nicola de Montelupono 1321-1338Nicola de Summa Ripa 1368Oliverio Favergia de Tongo 1331Onestino Alciati 1375Palaino Avogadro di Casanova 1304-1317Palamidexius Tornielli di Novara 1381-1385Paolo de Palestro 1308-1309Paxinus Schicis di Cremona 1366Pergamino de Pergamo 1314Pietro 1352-1353Pietro de Luppis di Casale 1372-1385Pietro Verri 1368-1384Raimondo de Moricio 1337-1348Rainerio (I) Avogadro di Pezzana 1261-1303Rainerio (II) Avogadro di Pezzana 1304-1326Rainerio Avogadro di Quaregna 1315-1338Rainerio Avogadro di Valdengo 1304Riccardo de Antignatis di Cremona 1337-1338Riccardo figlio di Pietro Sapellani di Biella 1331Rolando Buschalia 1395Rufino de Maxino 1332-1361Salvo Grassus 1297-1304Servusdei Alciati 1308-1318Simone (I) de Arborio 1330Simone (II) de Arborio 1375Taddeo de Levate/Lonate di Bergamo 1331-1361Tebaldo Brusati 1359

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Tibaldo de Scribanis di Vignale 1372Tommaso Avogadro di Valdengo 1375Tommaso Zucha 1344Uberto Avogadro di Valdengo 1304-1314Uberto de Ylia 1315Venturino de Gragnanis di Bergamo 1330-1354Winandus de Bongardo 1391

Gianmario Ferraris

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FLAVIA NEGRO

Università del Piemonte Orientale_________

“QUIA NICHIL FUIT SOLUTUM”: PROBLEMI E INNOVAZIONI NELLA GESTIONE FINANZIARIA

DELLA DIOCESI DI VERCELLI DA LOMBARDODELLA TORRE A GIOVANNI FIESCHI (1328-1380)

Una delle fonti inedite più ricche e affascinanti conservate nell’ar-chivio arcivescovile di Vercelli sono i cosiddetti Libri reddituum: unaserie di otto registri redatti a partire dal 1352, in cui vengono censitianno per anno i redditi che le comunità soggette devono versare alla

Abbreviazioni: AAV = Archivio Arcivescovile di Vercelli; ACI = ArchivioComunale di Ivrea; ACV = Archivio Capitolare di Vercelli; ASB = Archivio di Stato diBiella; AST = Archivio di Stato di Torino; DBI = Dizionario Biografico degli Italiani.Nel saggio si farà frequente riferimento alle edizioni di documenti biellesi e vercellesi,nonché ai regesti delle lettere papali, dei quali si danno qui gli estremi completi, e laforma abbreviata con la quale verranno citati. Per le fonti biellesi: Le Cartedell’Archivio Comunale di Biella fino al 1379, a cura di L. BORELLO-A. TALLONE, vol.I, Voghera 1927 (BSSS, 103); vol. II, Voghera 1928 (BSSS, 104); vol. III, Voghera 1930(BSSS, 105); vol. IV, a cura del solo Borello, Torino 1933 (BSSS, 136), citato comeCarte. Il libro dei prestiti del comune di Biella (1219-1391), a cura di P. SELLA, Pinerolo1908 (BSSS, 34/1), pp. 1-191, citato come Prestiti. Documenti Biellesi di ArchiviPrivati. 1039-1355, a cura di F. GUASCO DI BISIO–F. GABOTTO, Pinerolo 1908 (BSSS,34/2), pp. 195-314, citato come GABOTTO, Archivi Privati; Statuta Comunis Bugelle etdocumenta adiecta, a cura di P. SELLA, 2 voll., Biella 1904, citato come SELLA, Statuta.Per le fonti vercellesi: I Biscioni, a cura di G. C. FACCIO e M. RANNO (voll. I/1 e I/2) eR. ORDANO (voll. I/3, II/1, II/2, II/3, III/1): vol. I/1, Torino 1934 (BSSS, 145); vol. I/2,Torino 1939 (BSSS, 146); voll. I/3, Torino 1956 (BSSS, 178); vol. II/1, Torino, 1970(BSSS, 181), vol. II/2, Torino 1976 (BSSS, 189); vol. II/3, Torino 1994 (BSSS, 211);vol. III/1, Torino 2000 (BSSS, 216), citati come Biscioni. Le carte dell’archivio arcive-scovile di Vercelli, a cura di D. ARNOLDI, Pinerolo 1917 (BSSS, 85), citato comeARNOLDI, Carte dell’archivio arcivescovile. Il libro delle investiture del vescovo diVercelli Giovanni Fieschi (1349-1350), a cura di D. ARNOLDI, Torino 1934 (BSSS, 73),citato come ARNOLDI, Investiture. Per i regesti delle lettere papali, Clément VI (1342-1352). Lettres closes, patentes et curiales se rapportant a la France, a cura di E.DÉPREZ, J. GLÉNISSON, G. MOLLAT, Parigi 1925-61; Clément VI (1342-1352). Lettrescloses, patentes et curiales interessant les pays autres que la France, a cura di E.DÉPREZ, G. MOLLAT, Parigi 1960-61, rispettivamente citati come Clément VI. Lettrescloses se rapportant a la France, e Clément VI. Lettres closes; Innocent VI (1352-1362).

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chiesa1. Si tratta di documenti che non hanno precedenti nella produzio-ne documentaria dei vescovi vercellesi, e per i quali risulta del tutto ina-deguata un’analisi limitata al solo contenuto: i dati relativi alle entratedi quegli anni e la stessa decisione di registrarne scrupolosamente il pre-lievo si spiegano solo alla luce delle vicende che turbarono la diocesi neidecenni centrali del Trecento. La crisi, al contempo politica ed econo-mica, in cui la chiesa eusebiana sprofondò sotto Lombardo della Torre(1328-43) fu il banco di prova su cui si esercitarono con esiti diversi gliepiscopati dei due successori, Emanuele Fieschi (1343-48) e GiovanniFieschi (1349-80), primi esponenti di una famiglia che avrebbe domi-nato la sede vercellese per quasi un secolo. I due vescovi tentarono didar vita ad un ampio e articolato programma di restaurazione, tuttoincentrato sul controllo capillare delle risorse materiali e umane delladiocesi: i Libri reddituum, redatti sotto Giovanni ma progettati al tempodi Emanuele, costituiscono come vedremo l’esito più alto di questo sfor-zo di reazione, e la prova più evidente del suo sostanziale fallimento.

Lettres secrètes et curiales, a cura di P. GASNAULT et al., Parigi 1960-76, citato comeInnocent VI. Lettres secrètes; Urbano V: Urbain V (1362-1370). Lettres communes, acura di M.H. LAURENT, M. HAYEZ et al., Parigi-Roma 1954-1989, e Urbain V (1362-1370). Lettres secrètes et curiales se rapportant a la France, a cura di P. LECACHEUX,G. MOLLAT, Parigi 1905-1955, citati rispettivamente come Urbain V. Lettres communes,e Urbain V. Lettres secrètes; Grégoire XI (1370-1378). Lettres secrètes et curiales rela-tives à la France, a cura di L. MIROT, H. JASSEMIN, Parigi 1935-55, e Grégoire XI (1370-1378). Lettres secrètes et curiales interessant les pays autres que la France, a cura di G.MOLLAT, Parigi 1962-65, citati rispettivamente come Grégoire XI. Lettres secrètes rela-tives à la France, e Grégoire XI. Lettres secrètes.

1 Si tratta di otto registrazioni annuali, relative agli anni 1352, 1354-59 e 1377.Quelle dal 1352 al 1359 sono rilegate in volume, mentre la più recente è rimasta sufascicolo sciolto (rispettivamente in AAV, Diversorum, m. 2, doc. 19 e m. 1, doc. 11). Ilprimo dei fascicoli contenuti nel volume è lacunoso e manca della datazione, ma datoche i pagamenti risalgono per la maggior parte al 1352 è attribuibile a quell’anno. Il con-fronto con i fascicoli relativi agli anni successivi, che rispecchiano la medesima succes-sione delle voci, sembra suggerire che si tratti di una lacuna di un solo foglio.

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“Quia nichil fuit solutum”

PARTE PRIMA

Gli episcopati di Lombardo della Torre, Emanuele Fieschi e Giovanni Fieschi:

vicende politico-militari, gestione finanziaria e produzione documentaria

I. 1. Lombardo della Torre (1328-43) e il dissesto della diocesi

La nomina di Lombardo della Torre nel 1328 mise fine alla lungaegemonia esercitata dagli Avogadro sulla cattedra eusebiana, conRainerio (1303-1310) e poi con Uberto (1310-1328). A ben vedere, fattaeccezione per Aimone di Challant, erano stati Avogadro tutti i vescovi apartire dal 1243, mentre dal della Torre in poi si susseguiranno allaguida della diocesi esponenti di famiglie estranee al contesto vercelle-se2. Il ruolo di avvocati della chiesa eusebiana3 e il connesso diritto di

2 Il vescovo Lombardo rimane in carica dal 1328 fino alla morte, avvenuta il 9 apri-le 1343. Secondo il DBI (cfr. A. CASO, v. Lombardo della Torre) Lombardo viene elet-to vescovo di Vercelli il 16 febbraio del 1328, ma la data è probabilmente da posticipa-re al dicembre dello stesso anno, come proposto dal Mandelli sulla scia del canonicoFileppi: il Mandelli porta a sostegno di questa ipotesi un documento che attesta come ilpredecessore di Lombardo, Uberto Avogadro, sia ancora vivo l’11 novembre, quando,seppure “in infirmitate magna”, procede a condonare un credito nei confronti dei dd.Uberto e Enrico di Nebbione figli di Nicolino di Nebbione “eiusdem domini episcopinepotibus” (cfr. V. MANDELLI, Il comune di Vercelli nel Medioevo, Vercelli 1861: per ildocumento citato vol. III, p. 99, più in generale sulla questione vol. IV, p. 191, n. 2). Conquesta ipotesi si accordano le date delle prime investiture concesse da Lombardo dellaTorre, a partire dal marzo 1329 (cfr. GABOTTO, Archivi Privati, doc. 41).

3 Il nesso fra gli Avogadro e il titolo di avvocati della chiesa li accompagna fin dallacomparsa della famiglia all’inizio del XII secolo: cfr. A. BARBERO, Vassalli vescovili earistocrazia consolare, in Vercelli nel secolo XII. Atti del IV congresso storico vercelle-se, Vercelli 2005, pp. 217-309, alle pp. 262-68, in part. p. 264. Sul costituirsi del patri-monio fondiario di questa famiglia e i suoi rapporti con la città e l’episcopato vedi ancheID., Da signoria rurale a feudo: i possedimenti degli Avogadro fra il distretto del comu-ne di Vercelli, la signoria viscontea e lo stato sabaudo, in Poteri signorili e feudali nellecampagne dell’Italia settentrionale fra Tre e Quattrocento: fondamenti di legittimità eforme di esercizio. Atti del convegno di studi (Milano, 11-12 aprile 2003), a cura di F.CENGARLE, G. CHITTOLINI e G.M. VARANINI, Firenze 2005, pp. 31-45.

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vicecomitato sulle sue terre, che gli Avogadro esercitano ancora a metàTrecento4, aveva costituito di per sé la base di un rapporto privilegiatocon la sede vescovile, ma durante l’episcopato di Rainerio e ancor piùquello di Uberto, in coincidenza con il tentativo di signoria cittadina diSimone Avogadro di Collobiano, la linea di demarcazione fra politichedi famiglia e interessi dell’istituzione ecclesiastica si era di fatto dissol-ta, aprendo la strada a situazioni ambigue in ambito patrimoniale5.

Così, ad esempio, a partire dall’episcopato di Rainerio gli Avogadrorisultano ininterrottamente in possesso di uno dei più importanti castel-

4 Come risulta dal libro delle investiture di Giovanni Fieschi, ancora a metà Trecentovari rami della famiglia detengono dal vescovo a titolo di feudo una percentuale dellacosiddetta “advocatiam sive viscontiam et regimen terre ecclesie Vercellensis”; sono gliAvogadro di Quaregna, di Vettigné (che ne detengono 1/16), di Pezzana (1/16), diQuinto, di Valdengo (1/8): vedi ARNOLDI, Investiture; a questi occorre aggiungere ilramo dei Casanova, che nel 1329 risultano investiti dal vescovo Lombardo di 1/8 dellaviscontia (BARBERO, Da signoria rurale a feudo, cit., n. 32 a p. 44), e che ancora nel1340 portano la qualifica di vicecomes (Carte, II, doc. 242), come i Cerrione (ad. es.ARNOLDI, Investiture, doc. 4). L’assenza, fra le investiture del vescovo Fieschi, di alcu-ni rami degli Avogadro - i Cerrione, i Casanova e i Collobiano - è dovuta al fatto chequesto vescovo aveva loro tolto l’avvocazia (cfr. oltre, n. 73). L’uso dell’espressioneadvocatiam terre ecclesie Vercellensis nel Libro delle investiture fa pensare che a que-st’epoca l’avvocazia consistesse in un complesso di redditi riguardanti l’insieme delleterre ecclesiastiche, la cui percezione era calcolata in cicli di 8 anni ciascuno.L’espressione ricorre solo nelle investiture agli Avogadro, e non sembra legata a singo-le località: la percentuale di cui sono investiti i vari rami della famiglia corrisponde allafrazione di quegli otto anni durante la quale i titolari sono legittimati ad esercitare il pre-lievo. Cfr. ad esempio il caso dei Vettigné: “XVI partem advocatie sive viscontie et regi-minis terre ecclesie Vercellensis quam exercere debent in octo annos per sex mensescompletos” (ARNOLDI, Investiture, doc. 59; vedi anche i Pezzana, doc. 71: “eorum par-tem viscontie que est sex mensibus in octo annis”; i Valdengo, doc. 111: “VIII partemadvocatie et regiminis terre ecclesie Vercellensis, quam exercere debet in octo annis perunum annum completum”). Il termine advocatiam è usato anche come sinonimo di iuspatronatus su singole chiese, e in questa accezione lo si riscontra fra i feudi di variefamiglie signorili vassalle del vescovo, Avogadro e non (cfr. ad es. per l’investitura agliAvogadro di Quaregna: “Item advocatiam seu ius patronatus quod habent in ecclesia deQuaregna”, doc. 25).

5 Sugli ambigui rapporti fra Avogadro e sede vescovile in questa fase della storia ver-cellese vedi i contributi di Alessandro Barbero e di Riccardo Rao in questo stesso volu-me. La continuità nella politica e nell’operato dei due vescovi è suggerita anche dal fattoche Uberto svolgeva già dal 1299 le funzioni di vicario per il suo predecessore: cfr. F.AVOGADRO DI VIGLIANO, Uberto Avogadro di Nebbione e Valdengo vescovo di Vercelli(1310-1328), in ID., Pagine di storia vercellese e biellese, a cura di M. CASSETTI,Vercelli 1989, pp. 1-15, p. 4.

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li della signoria episcopale, Verrua. Il vescovo lo aveva dato in pegno aSimone Avogadro di Collobiano e a Giacomo e Goffredo Avogadro diCerrione in cambio di un prestito, ma il castello continuò ad essere“detentum et occupatum” da questi ultimi e dai loro discendenti anchesotto i due successori di Rainerio, i vescovi Uberto e Lombardo6. In que-sto caso siamo quindi di fronte ad un vescovo Avogadro che, in cambiodi un prestito dai suoi parenti, procede di fatto alla dismissione di unimportante castello della chiesa. Il caso di Trivero, nato da una dinami-ca apparentemente opposta, è analogo negli esiti. Nel 1313 il comune diVercelli, nella necessità di ottenere un prestito, si rivolge al vescovoUberto, che lo concede ricevendo in cambio la località di Trivero, finoa quel momento in mano al comune, come pegno del suo investimento7.Vent’anni dopo, nel 1335, quando a capo della diocesi c’è già Lombardodella Torre, per recuperare il possesso del luogo il comune non fa causaalla chiesa ma a Guglielmo Avogadro di Valdengo, parente del prede-cessore Uberto8.

Gli sviluppi dei casi di Verrua e Trivero indicano che la nomina di unvescovo estraneo agli equilibri locali come Lombardo della Torre costi-tuì bensì una svolta, ma solo parziale rispetto all’intreccio di interessifra la chiesa e la famiglia Avogadro: egli impose un primo arresto a que-ste dinamiche - e infatti non abbiamo più notizia sotto il suo episcopatodi nuovi casi simili -, ma nei confronti delle situazioni che aveva eredi-tato il vescovo non volle o non poté intervenire più di tanto. Né c’è dastupirsene, perché la congiuntura politica in cui si trovò ad operare eratale da porre enormi ostacoli alla sua libertà d’azione.

Esponente di una famiglia milanese tradizionalmente avversa aiVisconti, Lombardo governò la diocesi negli anni in cui il comune di

6 Cfr. Carte, II, doc. 276, p. 167 (a. 1346): il castrum di Verrua “steterat pignori obli-gatum nobili viro d. Simoni de Advocatis de Colobiano et dd. Jacobo et Gotofredo deAdvocatis de Ceridono omnibus de Vercellis, et usque modo per ipsos et successoresdetentum et occupatum totis temporibus bone memorie d. Raynerii et bone memorie d.Uberti de domo Advocatorum quondam episcoporum ecclesie Vercellensis, et etiam tototempore bone memorie d. Lombardini de la Turre de Mediolano quondam episcopiVercellensis”.

7 S. CACCIANOTTO, Summarium monumentorum omnium quae in tabulario municipiivercellensis continentur, Vercelli 1868, p. 264 (30 gennaio 1313). Il documento si trovain ACV, Pergamene, b. 7; ringrazio Riccardo Rao per la segnalazione.

8 Biscioni 1/1, doc. 185.

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Vercelli si sottomise definitivamente alla signoria viscontea. Che il con-testo fosse difficile si constata sin dall’inizio del suo episcopato: già nel1329-30 il vescovo e alcuni dei principali esponenti del partito guelforisiedono preferibilmente a Biella, “propter malas et adversas conditio-nes” che regnano a Vercelli9; anche il fatto che fra i rinnovi delle inve-stiture concesse da Lombardo dopo la sua nomina non compaia quellaal comune di Vercelli è un’ulteriore spia del rapporto non proprio idil-liaco che correva fra il vescovo e la città. Ma è la definitiva dedizionedi Vercelli ai Visconti, nel settembre del 1335, a determinare un nettopeggioramento della situazione10. Nel 1336 Lombardo procede a fortifi-

9 Già dal 1329 il vescovo risiede prevalentemente a Biella, come testimonia il luogodi redazione dei suoi atti, ma l’indizio più evidente del clima di quegli anni è in una let-tera di uno dei principali esponenti guelfi: nell’aprile del 1330 Guglielmo Avogadro diValdengo - quello stesso che abbiamo visto detenere la giurisdizione di Trivero e che inquest’anno compare nei documenti con la qualifica di “advocatus et vicarius terre eccle-sie Vercellensis” (Carte, II, doc. 222) -, scrive da Biella affidando ad altri il disbrigo deisuoi affari in città, dato che “propter malas et adversas conditiones non audet nec pot-est stare in civitate Vercellarum” (MANDELLI, Il comune di Vercelli, cit., vol. IV, p. 194).Il 13 novembre del 1332 papa Giovanni XXII scrive a Giovanni Visconti, all’epocavescovo di Novara, ricordandogli il dovere d’assistere il vescovo di Vercelli, Lombardo,quello d’Ivrea, nonché gli Avogadro e gli Arborio, e obbligandolo a riparare i danni chequesti avrebbero eventualmente potuto subire (M. CUSANO, Discorsi historiali concer-nenti la vita, et attioni de’ vescovi di Vercelli, Vercelli 1676, p. 231).

10 Il comune di Vercelli, sul quale da tempo i Visconti tentavano di stabilire in mododefinitivo la loro influenza (cfr. MANDELLI, Il comune di Vercelli cit., vol. IV, p. 117), eche nei primi anni ‘30 sembra diviso fra un partito a favore dei marchesi di Monferratoe uno a favore dei Visconti (cfr. F. COGNASSO, Storia di Milano, vol. V: La signoria deiVisconti (1310-1392), Milano 1955, p. 261), risulta sotto il dominio visconteo già nel-l’aprile del 1334 (in quest’anno gli Avogadro sono banditi dalla città: vedi il contributodi P. Grillo in questo volume, testo in corr. della n. 33), anche se la sottomissione defi-nitiva risale al 26 settembre del 1335 (vedi MANDELLI, cit., p. 203, e Biscioni III/1, Agg.II, doc. 15).

11 La fortificazione di Biella comincia nel 1336 e si prolunga oltre il 1340 (Prestiti,doc. 94), ma già nel 1334 abbiamo notizia di una guerra fra Salussola, avamposto ver-cellese verso Biella, e Biella stessa (SELLA, Statuta, §. 373), che crea allarme nelle loca-lità di Palazzo e Bollengo (ACI, Ordinati, vol. 1, f. 10r, 19 marzo 1334: “Item super eoquod homines Bolengi et Palaci petunt eis dari auxilium consilium et favorem quia gra-vantur […] ab illis de Saluzola et Bugella”; cfr. anche F. GABOTTO, Biella e i vescovi diVercelli, in «Archivio Storico Italiano», serie V, to. 18 (1896), p. 32). Nell’aprile dellostesso anno su incarico del conte di Savoia Ivrea manda un ambasciatore al Visconti, efra le questioni da trattare vi è la “restitucionem dapnorum datorum per hominesBugellae et ecclesiae vercellensis et partis Advocatorum” (ACI, Ordinati, vol. 1, f. 14r).

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care i suoi castelli11, e negli anni ’39-’40 la tensione crescente sfocia inuna guerra aperta con la città, che grava pesantemente sulle finanzedella diocesi12.

In questa situazione, Lombardo non aveva alcun interesse a entrarein urto con gli Avogadro per recuperare i possessi della diocesi, comedimostra il suo comportamento nei confronti delle questioni di Verrua eTrivero. Nel 1328-29 il vescovo provvede a rinnovare le investiture deisuoi vassalli, ed è forse in questa occasione che investì di Verrua il figliodi Simone Avogadro, avallando con un’ulteriore sanzione giuridica la

Il 20 aprile 1334 l’ambasciatore dei Visconti, Pietro Faxolinus, rassicura il conte diSavoia e gli eporediesi sull’“intentio dicti domini Mediolanensis”, che è quella di man-tenere la città e il comitato di Vercelli “in pace bona nobiscum et cum omnibus convi-cinis”. Contrariamente a quanto ipotizza il Gabotto, loc. cit., questo conflitto non sem-bra rappresentare l’inizio dello scontro fra Lombardo e i Visconti: nel ‘34, quando difatto comincia la signoria viscontea in Vercelli, Azzone si comporta in linea con l’at-teggiamento di pacificazione fra le parti che gli è riconosciuto dai cronisti; lo scontroesploderà solo nel 1339-40, dopo la sua morte (cfr. la n. successiva).

12 Della guerra fra il vescovo e il comune di Vercelli sappiamo con precisione quan-do finisce: la tregua è stipulata il 10 gennaio del 1343 (cfr. F. GABOTTO, Storia delPiemonte nella prima metà del secolo XIV (1292-1349), Torino 1894, p. 204); il 5 feb-braio del 1343 viene stipulata la tregua fra il comune di Vercelli e quello di Biella(Carte, II, doc. 252, p. 100). Quanto all’inizio, il Cognasso, concordando con il Gabotto,(COGNASSO, Storia di Milano cit., p. 306; cfr. GABOTTO, Storia del Piemonte cit., p. 187)sostiene che solo a ridosso del ‘40 i Visconti sposano “le vecchie ambizioni vercellesi”e Luchino, subentrato ad Azzone, entra in guerra con Ivrea e il vescovo Lombardo - ilche parrebbe confermato dal fatto che a partire da quell’anno abbiamo notizia di rifor-nimenti di vettovaglie e armi nel castello visconteo a Vercelli: cfr. in questo volume ilcontributo di V. Dell’Aprovitola, n. 43. All’apice dello scontro, nel 1342, il vescovoLombardo scomunica il podestà visconteo (vedi il contributo di Paolo Grillo in questostesso volume, n. 55).

13 Dell’investitura fatta dal vescovo Lombardo a Emanuele Avogadro abbiamo noti-zia dal Cusano (CUSANO, Discorsi historiali cit., p. 232), secondo il quale gli Avogadrosarebbero stati investiti dell’intero castrum “per i grandi meriti nei confronti della chie-sa”. Questo indicherebbe una sintonia tale tra la famiglia e Lombardo da spingere ilvescovo a confermare la cessione definitiva del castello, prima detenuto dagli Avogadrosolo in virtù del prestito di Simone (non possediamo infatti alcuna investitura di Verruaai Collobiano sotto Uberto: il documento del 28 aprile 1316, sovente citato come tale,consiste in realtà in un’investitura dello stesso Simone Avogadro, che si qualifica guber-nator castri Verruce, a Bonifacio di Borgomanero, con la contestuale approvazione delvescovo Uberto, per alcuni possessi e diritti in Verrua; vedi ASV, Confraternita di S.Caterina, b. 46, f. 63). E’ più probabile, tuttavia, che l’investitura di Lombardo, al con-trario di quanto credette il Cusano, riguardasse solo alcuni beni in Verrua, gli stessi chesaranno confermati al medesimo Emanuele Avogadro in un’investitura successiva del

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situazione creatasi sotto i predecessori13. Il suo atteggiamento nel casodi Trivero è più complesso da interpretare. Nel luglio 1335 assistiamoad un arbitrato fra il comune di Vercelli e Guglielmo Avogadro diValdengo, “tenentem vicem et nomine bone memorie domini Ubertiolim episcopi Vercellensis”, per il possesso di Trivero. Gli arbitri, nomi-nati da Azzone Visconti, danno prevedibilmente ragione al comune, eimpongono a Guglielmo la restituzione di Trivero in cambio di un com-penso in denaro. Il modo in cui è posta la questione sembrerebbe volernegare qualsiasi ambiguità alla vicenda del 1313: Uberto prestò le 3000lire pavesi al comune a titolo personale, ed è in quanto Avogadro, nonin quanto vescovo, che ebbe in pegno Trivero; la trattativa portata avan-ti in quell’occasione fu pertanto una questione fra il comune di Vercellie un esponente degli Avogadro, e come tale viene affrontata e risolta nel1335, chiedendo ed ottenendo da un membro della stessa famiglia,Guglielmo Avogadro di Valdengo, la restituzione di Trivero14.

Se le cose stessero in questi termini, il fatto che il vescovo Lombardonon compaia nell’arbitrato si spiegherebbe molto semplicemente con ilfatto che la chiesa non ha nulla da rivendicare su Trivero, perché sin dal1313 la località è entrata a far parte del patrimonio degli Avogadro.Senonché il successore di Lombardo, Emanuele Fieschi, dimostrando dinon tenere in alcun conto la sentenza del 1335, inserisce Trivero a pieno

vescovo Giovanni Fieschi il 24 agosto 1349 (ARNOLDI, Investiture, doc. 49); nello stes-so periodo risultano investite di beni della chiesa in Verrua anche molte altre famiglie:ivi, docc. 7, 47, 57, 59, 60, 63, 66, 114, 115. Se infatti solo dopo la morte di Lombardoverrà avviata una decisa operazione di recupero da parte della chiesa che riguarda, fral’altro, proprio il castello di Verrua, il riscatto del castrum appare già sotto questo vesco-vo come una delle questioni all’ordine del giorno: da un memoriale redatto dall’arci-diacono del capitolo eusebiano nei primi anni di episcopato di Lombardo, risulta che ilvescovo tentò di riscuotere una taglia pari a 2000 fiorini “pro redemptione castriVeruce”, imposta dal predecessore Uberto nel 1321 ma senza molta convinzione, tantoche, come ricorda lo stesso arcidiacono, “exactores ipsius talie tanto tempore tacueruntquam nec exigere voluerunt nec notificare exigendam a tot et tantis qui non solverunt”(il documento è edito in G. FERRARIS, La Pieve di S. Maria di Biandrate, Vercelli 1984,pp. 435-39).

14 Cfr. Biscioni 1/1, doc. 185. I due arbitri sono Ottino de Octabellis, cancelliere diAzzone Visconti, e Pietro Faxolinus, cancelliere del vescovo di Novara, che all’epoca èGiovanni Visconti, zio di Azzone. Il compenso all’Avogadro è di 1700 lire pavesi daparte del comune di Vercelli, e di 100 lire pavesi da parte del comune di Trivero. Sulruolo di Guglielmo nella vicenda cfr. anche sotto, n. 21.

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titolo fra le località soggette alla chiesa, attribuendole l’obbligo di ver-sare annualmente un fodro di 300 lire15. Non sappiamo su che base siaavvenuto questo inserimento - se il compilatore partisse dal documentodel 1313, o piuttosto avesse a disposizione le registrazioni dell’avvenu-to pagamento del fodro, in qualche anno, da parte del comune - ma èevidente che il nuovo vescovo aveva tutt’altra opinione sul coinvolgi-mento della chiesa nella faccenda di Trivero, e riteneva di avere ele-menti per considerarla parte dei domini ecclesiastici. L’arbitrato delVisconti aveva insomma lasciato fuori, probabilmente per convenienzadi entrambe le parti e senza provocare obiezioni da parte del vescovoLombardo, alcuni attori potenzialmente coinvolti nella questione - e nonsolo la chiesa16.

La vicenda di Trivero dimostra comunque che ciò che è fuori luogochiedersi per il 1313 - se Uberto Avogadro avesse trattato con il comu-ne come vescovo di Vercelli o come importante esponente della fami-glia -, perché una tale distinzione in quel momento non era probabil-mente avvertita e concettualizzata dagli stessi protagonisti, diventa uncriterio d’analisi appropriato a partire dall’episcopato di Lombardo. Ilconnubio fra gli Avogadro e la sede vescovile non poteva continuarenegli stessi termini cui ci si era abituati quando il vescovo stesso era unAvogadro e la famiglia e la pars dominavano in Vercelli; l’ambiguità el’indeterminatezza di certe situazioni che in passato avevano costituitoun punto di forza della famiglia cambiano ora di segno. Aver dovutorestituire Trivero significò verosimilmente, per gli Avogadro, comincia-re a veder smantellati i profitti che aveva loro garantito a suo tempo il

15 Trivero è inserita nell’elenco dei redditi del cosiddetto Libellus feudorum ecclesievercellensis, redatto negli anni ‘40 del Trecento. La natura e i problemi posti da questodocumento sono trattati oltre: cfr. § I.3.d.

16 Nello stesso torno d’anni in cui è prodotto il Libellus feudorum anche i Bulgarorivendicano i loro diritti su Trivero, chiedendo al vescovo l’investitura dei beni e deidiritti che detengono nella località e avviando subito dopo una causa con la comunitàper alcuni diritti signorili non riconosciuti. Il presule risponde ad Antonio di Bulgaro cherimanderà l’investitura al suo ritorno in diocesi, quando avrà modo di farsi un’idea chia-ra “de iuribus nostris et tuis de quibus informationem plenariam non habemus”, segnoche a soli dieci anni dalla categorica sentenza del 1335 la partita di Trivero si era nuo-vamente riaperta (ASB, Bulgaro, b. 4, f. 44). La causa fra i Bulgaro e il comune diTrivero è in ASB, Bulgaro, b. 4, f. 46.

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fitto intreccio di interessi col vescovo Uberto e col comune vercellese,e dover fare i conti con l’insicurezza provocata dal dominio visconteosulla città e dalla mancata presenza di uno dei loro sulla cattedra epi-scopale: una sensazione di isolamento di cui vedremo i frutti alla mortedi Lombardo.

Nonostante l’atteggiamento conciliante dimostrato nei casi di Verruae di Trivero, il vescovo Lombardo si impegnò sin dall’inizio del suo epi-scopato, e ancora di più negli ultimi anni sotto l’incentivo delle ingentispese per la guerra, nel recupero dei redditi dovuti alla diocesi e datempo non più corrisposti. Esordì imponendo una taglia per il cattedra-tico e per la sua consacrazione “que quasi in duplum excedit quantita-tem aliarum taliarum nobis solitarum imponi”, come non manca di sot-tolineare l’arcidiacono del capitolo vercellese, e cercò di recuperaredallo stesso capitolo prima i mancati pagamenti delle taglie e delle deci-me, e poi, nel ‘41, i canoni in cera e miele non corrisposti nei cinqueanni precedenti, mentre nel ‘39 avviò una causa con il comune di Biellaper l’esercizio del diritto di successione17. Ma l’episodio più significati-vo riguarda il comune di Andorno: nel 1343 una folta rappresentanza delceto dirigente del luogo - una quarantina di persone ex melioribus dicteterre, fra i quali figurano i consoli, numerosi credendari e lo stessogastaldo episcopale - venne rinchiusa nel carcere vescovile di Biella,come ritorsione per il mancato pagamento alla chiesa dei redditi dovuti“maxime pro taleis, fodris, equalareziis, pubblicis functionibus, bannis,condapnationibus debitis”. La drastica misura intrapresa contro il comu-ne insolvente sortì l’effetto sperato, anche se il vescovo non ebbe la sod-disfazione di assistervi: morì il 9 aprile e solo l’11 gli andornesi, dopodue mesi di detenzione, si risolsero a pattuire un risarcimento per quel-lo che appare a tutti gli effetti come un totale disconoscimento - da partedel comune e, non dimentichiamolo, del funzionario del vescovo sulluogo - dei diritti signorili della chiesa. La somma fu valutata in 4734lire e 7 soldi pavesi, cifra che pur se frutto di un compromesso, e quin-

17 Cfr. il memoriale dell’arcidiacono al vescovo Lombardo (cfr. sopra, n. 13), nondatato ma probabilmente anteriore al 1332: la citaz. è in FERRARIS, La pieve di S. Mariadi Biandrate cit., p. 438. Per l’esercizio del diritto di successione ab intestato e per icanoni in cera e miele cfr. rispettivamente Carte, II, doc. 238, p. 72, e ACV, Atti priva-ti, cart. 38 (doc. del 25 aprile 1342).

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di non necessariamente corrispondente ai mancati redditi del vescovo,dà la misura di quanto una decisa operazione di recupero avrebbe potu-to fruttare18.

Al momento della morte di Lombardo i tempi erano maturi per un’o-perazione di questa natura. Le spese sostenute per la guerra controVercelli avevano ridotto all’osso le risorse della sede vescovile, gravatada una tale mole di debiti e di crediti insoluti da suscitare l’immediatointervento di papa Clemente VI. A partire dal giugno del 1343, indettala tregua col comune eusebiano, si susseguono dalla curia avignonesediverse lettere indirizzate agli ecclesiastici attivamente impegnati nelVercellese per conto del papa, fra i quali spicca il legato pontificioGuglielmo, artefice della tregua appena conclusa: bersaglio degli stralipapali sono i tanti individui, ecclesiastici e laici, nonché i castra et locadella diocesi che “renuunt restituere bona debita et credita quondamLombardini, electi Vercellensis”19.

Due casi, collegati fra loro, spiccano per la risonanza che ebbero inquei mesi, ed entrambi ci indicano che con la morte di Lombardo il nodoirrisolto dell’intreccio di interessi fra l’episcopato e la famigliaAvogadro era venuto al pettine. In comune col caso citato di Andorno,essi dimostrano la profondità della crisi che stava attraversando il gover-no della diocesi, crisi che in questa fase sembra riguardare non solo ilcontrollo dei redditi ma anche l’obbedienza dei gastaldi dislocati neivari centri vescovili. Ma il loro esito indica anche l’energia con cui ilsuccessore di Lombardo, Emanuele Fieschi, nominato il 13 giugno1343, si impegnò, in stretta collaborazione con il papa, per ristabilire lasituazione, a costo di entrare in urto con quella famiglia Avogadro che

18 Sulla questione vedi: Carte, II, doc. 259: l’11 aprile 1349 il comune di Andorno siimpegna a pagare 4734 lire e 7 soldi pavesi in cambio dell’assoluzione da ogni imposi-zione e pena; lo stesso giorno il comune nomina procuratori per contrarre un mutuo parialla somma indicata: ASB, Torrione, Raccolta, b. 17, f. 13.

19 Clément VI. Lettres closes, nn. 320-321. Sui credita: al 1341 risale un prestito di200 fiorini del vescovo Lombardo al comune di Biella, senza traccia di restituzione(Prestiti, doc. 116, 22 maggio 1341), un altro prestito di 400 fiorini è attestato nei con-fronti di Guidone de Corrigia: cfr. Clément VI. Lettres closes, n. 317. Il recupero deibeni di Lombardo, affidato ai suoi familiari, si protrarrà molto a lungo: ancora nel 1354Ludovico della Torre, delegato dal papa per questa questione, è impegnato ad ottenereil rimborso dai signori di Challant e Montjovet: Carte, II, doc. 373.

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tradizionalmente era stata un caposaldo della politica episcopale.Il primo caso riguarda il castello di Zumaglia, che subito dopo la

morte del vescovo Lombardo venne occupato da alcuni membri dellafamiglia Avogadro con il pieno appoggio della comunità e, anche qui,con il concorso del gastaldo vescovile. A raccontarci come sono andatele cose è il vicario vescovile Aldeberto de Petra Mauricastri, che il 30maggio del 1343 scrive una lunga e dettagliata relazione degli avveni-menti al legato pontificio Guglielmo: i consoli e i maggiorenti dellacomunità “consensu totius comunitatis ipsorum locorum Zumalie etRonchi” sono entrati nel castello “sub pretestu habendi colloquium cumRaymondino dela Turre” (il nipote del vescovo Lombardo, che all’epo-ca teneva il castrum per la chiesa), lo hanno occupato con la forza e infi-ne consegnato a “domino Guillelmo de Gualdengo, Iacobino eius filio,Iohanni filio condam domini Uberti de Cerridono, omnibus deAdvocatis”20.

Il primo degli assalitori non è altri che Guglielmo Avogadro diValdengo, protagonista pochi anni prima della vicenda di Trivero, e cheall’inizio dell’episcopato di Lombardo operava in piena concordia colvicario e giudice vescovile nella sua qualità di “advocato et vicario terreecclesie Vercellensis”21. Purtroppo non sappiamo altro della vicenda,che si dev’essere conclusa abbastanza presto con la restituzione delcastello; ma essa indica comunque che con la morte di Lombardo e l’at-tivismo del legato pontificio gli Avogadro sentivano fortemente minac-ciato il loro rapporto preferenziale con la sede episcopale. Il linguaggiodi Aldeberto è durissimo: la qualifica loro attribuita di detentori illegit-timi dei beni della chiesa - delinquentes, e usurpatores iurisditionis etbonorum episcopii ecclesie vercellensis - lascia intravvedere la lacera-zione traumatica di un tessuto di connivenze che fino a quel momento,bene o male, era stato tenuto in piedi.

Quadra perfettamente con questa impressione il fatto che uno deiprimi atti del vescovo Emanuele Fieschi sia stato il recupero, ai dannidegli Avogadro, del castello di Verrua. Come sappiamo, gli Avogadro di

20 ASB, Avogadro di Valdengo, s. II, b. 12, f. 18.21 Carte, II, doc. 222. E’ verosimilmente grazie a questa qualifica, che deve aver

detenuto anche sotto l’episcopato di Uberto, che l’Avogadro poté assumere il controllodi Trivero, per poi di fatto privatizzarla (cfr. sopra, n. 14).

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Collobiano e di Cerrione lo avevano tenuto per quasi quarant’anni,“totis temporibus bone memorie d. Raynerii et bone memorie d. Ubertide domo Advocatorum quondam episcoporum ecclesie Vercellensis etetiam toto tempore bone memorie d. Lombardini de la Turre deMediolano quondam episcopi Vercellensis”22. Ma dopo la morte diLombardo la chiesa eusebiana, non sappiamo se rappresentata ancoradal legato pontificio o già da Emanuele, pretese la restituzione delcastello e ottenne l’arresto degli Avogadro che lo detenevano, uno deiquali è quello stesso Giovanni di Cerrione che aveva preso parte all’oc-cupazione di Zumaglia. Nel dicembre del 1343 papa Clemente VI si atti-va per il loro rilascio, scrivendo all’arcivescovo di Milano GiovanniVisconti e al fratello Luchino affinché liberino i “nobiles virosRuffinum de Collobiano, Joannem et Ubertum de Cerridono deAdvocatis de Vercellis qui restituerunt Manueli, episcopo vercellensi,cujus sunt vassalli et fideles, castrum Verruce”23. Uno degli Avogadroimprigionati, Ruffino Avogadro di Collobiano, ancora negli ultimi gior-ni di vita del vescovo Lombardo era stato coinvolto attivamente nelrecupero dei crediti di Andorno - era stato lui, infatti, a prestare allacomunità la prima rata della somma dovuta al vescovo: un’ulterioreconferma di come la morte di Lombardo abbia improvvisamente e dra-sticamente cambiato gli equilibri politici nella diocesi24.

Le modalità del recupero di Verrua rivelano peraltro una certa ambi-guità. A prima vista sembra che nonostante l’investitura rilasciata a suotempo da Lombardo il nuovo vescovo abbia accusato gli Avogadro diaver occupato il castello in modo illegittimo, tanto da farli incarcerare.Ma è più probabile che una tale misura sia stata presa in conseguenzadell’occupazione del castello di Zumaglia, una mossa che agli occhi

22 Cfr. sopra, n. 6.23 Clément VI. Lettres closes, n. 358.24 ASB, Torrione, Raccolta, b. 17, f. 13. I prestiti contratti dal comune per questa

questione si prolungano almeno sino alla fine di ottobre del 1352: Carte, II, doc. 352 (4maggio 1352). Anche Giovanni Avogadro di Cerrione sembra, prima della morte diLombardo, essere in buoni rapporti con la chiesa: compare come arbitro insieme aOttone d’Azeglio dei conti di Ponzone nella tregua fra il vescovo di Vercelli Lombardoe il comune di Biella da una parte, e i conti di Masino dall’altra: G.T. MULLATERA, Lememorie di Biella, a cura di E. SELLA e M. MOSCA, Torino 1902 (ed. or. Biella 1778), p.48 (il doc. si trova in ASB, Comune, s. I, b. 6, f. 1).

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della chiesa aveva reso gli Avogadro, al pari delle comunità che li ave-vano sostenuti nell’impresa, degli usurpatores e dei delinquentes,offrendo il destro per considerare privi di ogni legittimità anche gli altripossessi ecclesiastici sotto il loro controllo. Passata la fase dello scontroaperto e riottenuto il castello di Verrua, le cose vengono viste e descrit-te in modo diverso: il vescovo, nell’urgenza di reperire fondi, motiva larichiesta indirizzata alle comunità soggette con alcune ingenti spese cheè in procinto di sostenere, fra le quali il “riscatto” del castello di Verrua- pro recuperatione et redemptione nobilis castri Veruce ad episcopalemmensam spectantis -, per il quale si è impegnato a versare la somma di800 fiorini25. Agli Avogadro si riconosceva quindi il diritto ad un risar-cimento per la sua perdita, segno che restare in buoni rapporti con que-sta famiglia, se possibile, continuava ad essere una priorità; ma subor-dinata all’altra, nuova, di recuperare possessi ed entrate della diocesi.

I. 2. Emanuele Fieschi (1343-1348): la prima reazione alla crisi

La nomina di Emanuele, il primo Fieschi salito alla cattedra vercel-lese26, avviene come abbiamo visto in un contesto di forte depaupera-mento delle sostanze diocesane, di guerra, di ribellioni di comunità piùo meno manovrate dall’esterno, di scarso controllo del personale vesco-vile a più immediato contatto col territorio, e di forte coinvolgimentodel potere papale nelle vicende vercellesi. La scelta di Clemente VI dinominare a capo della diocesi un suo stretto collaboratore qual è

25 Carte, II, doc. 275, pp. 167 e 170 (a. 1346).26 Emanuele Fieschi è eletto vescovo il 13 giugno del 1343 e muore poco dopo il 27

luglio 1348, data cui risale il suo testamento (ACV, Atti privati, cart. 41). Il 28 settem-bre del 1348 Lazzarino Fieschi, preposito di Biella e cappellano papale, nonché vicariodi Emanuele, sarà incaricato di incamerare i beni del defunto vescovo (Clément VI.Lettres closes, nn. 1719-1720). L’arrivo dei Fieschi nel Vercellese, e il tentativo dicostruirvi una propria dominazione, ha come precedente le lotte fra guelfi e ghibellininella Genova dei primi decenni del Trecento. Nel 1339, con l’elezione di SimoneBoccanegra, i Fieschi vengono espulsi, e alcuni rami della famiglia, tra cui EmanueleFieschi, si spostano nei possessi più decentrati (nel 1339 Emanuele approva gli statutidi Calestano, nel Parmense; su questo possesso della famiglia cfr. Clément VI. Lettrescloses, n. 2679). Cfr. R. DE ROSA, I principi Fieschi conti palatini e celebri falsari. LaZecca di Masserano, Carmagnola 1995.

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Emanuele è significativa della volontà di proseguire e rafforzare l’ope-ra di risanamento iniziata nei mesi precedenti dal legato pontificio,facendo finalmente della sede vescovile vercellese, dopo i magri risul-tati ottenuti con Lombardo della Torre, un valido baluardo contro lostraripante potere visconteo.

L’indirizzo che il nuovo vescovo, in stretta collaborazione con lacuria avignonese, intende dare al proprio episcopato non rimane a lungoun mistero per i vari soggetti della diocesi. Nei mesi successivi allanomina, per espresso ordine di Emanuele, al clero e ai vassalli che glidovranno prestare il dovuto omaggio “tanquam eorum et dicteVercellensis ecclesie pastor dominus et prelatus”, nonché all’arcivesco-vo di Milano Giovanni Visconti, viene esibita quale presentazione delnuovo titolare la bolla che Clemente VI gli ha concesso “super provi-sione regimine administratione et gubernatione eiusdem ecclesieVercellensis”, a dissipare ogni dubbio, se mai ce ne fosse stato bisogno,sulle linee guida del futuro governo27.

Alle dichiarazioni simboliche seguono presto gli atti concreti.Emanuele, che all’epoca risiede ancora ad Avignone e che gli incarichiaffidatigli dal papa terranno a lungo lontano dalla diocesi, elabora unpuntiglioso programma di governo e ne affida l’esecuzione ai suoi col-laboratori28. Il primo documento da lui emanato, redatto ad Avignone il3 luglio 134329, a meno di un mese dalla sua elezione a vescovo diVercelli, contiene per l’appunto la nomina di tre procuratori, Lazzarino

27 La bolla, con l’ordine di esibirla laddove opportuno, è menzionata nel documentodel 3 luglio 1343 citato sotto, n. 29.

28 In diversi documenti il vescovo richiama l’esigenza di risiedere “in Romanamcuriam”, “pro nonnullis arduis ecclesie Romane negociis ac eciam nostris et prefatenostre Vercellensis ecclesie utilibus prosequendis”: ACV, Atti privati, cart. 40; ASB,Bulgaro, m. 44, f. 4. La lunga permanenza fuori sede di Emanuele e la conseguente deci-sione di affidare ad altri il governo della diocesi non significa in alcun modo l’estraneitàdel vescovo alle questioni vercellesi: le stesse lettere in cui Emanuele accenna agliimpegni che lo trattengono ad Avignone - impegni che, non manca di sottolineare,avranno ricadute importanti per la stessa diocesi eusebiana -, sono segno del continuocontatto fra il vescovo e i procuratori che operano per suo conto.

29 Per questo documento, in copia del 26 aprile 1346, e i successivi, tutti redatti supergamene successivamente cucite l’una all’altra, cfr. ACV, Atti privati, cart. 40.

30 Probabilmente si tratta del dominus Pietro de Anoliis, registrato come uno deimaggiori contribuenti negli estimi biellesi di metà Trecento (ASB, Comune, b. 304, doc.

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Fieschi, il genovese Nicola da Barone e il biellese Pietro de Agonis30,dotati di pieni poteri per la presa di possesso della diocesi e l’attuazio-ne di un progetto di recupero di beni e diritti della chiesa, anche nell’e-ventualità di beni illecitamente distolti. Le direttive che impartisce sonosignificative della carica innovativa di cui vuole farsi portatore.Vediamone in sintesi il contenuto.

I procuratori dovranno prendere possesso di tutti i beni e i diritti delladiocesi, e operare affinché siano recuperati “singulas quoque possessio-nes, fructus, redditus, proventus, obventiones, thesauros, calices, libros,ornamenta, utensilia, pecuniarum quantitates, iura, res et bona” cherisultino appartenere o essere appartenuti alla chiesa, nonché i beni“destractos et destracta et alienatos et alienata in dampnum et preiudi-cium dicte ecclesie”, per poi procedere con gli strumenti del diritto“contra distractores, alienatores, occupatores, invasores, et detemptoreseorum”.

Da ogni funzionario ecclesiastico - “a quibusvis vicariis, officialibus,camerariis, gastaldis, castellanis, et aliis quibusvis personis” - detentoredi uffici nella chiesa o nei suoi castra, sia sotto il predecessore diEmanuele, sia in fase di sede vacante, dovrà essere reso “bonum verumet legalem computum et calculum rationis et bonam legalem et veramrationem” dei singoli redditi, proventi, beni, diritti percepiti e esercitati.I procuratori dovranno provvedere al buon reggimento e governo diogni castrum, terra e giurisdizione della chiesa vercellese, nominandocastellani, gastaldi, custodi, rettori, capitani e qualunque funzionario sianecessario, attribuendo loro a nome del vescovo il potere di esercitare inquell’ufficio la giurisdizione che la chiesa per consuetudine e dirittoesercita da tempo. Ognuno dovrà prestare giuramento e i procuratoridovranno controllarne l’operato, con la facoltà di rimuoverli e sostituir-li quando lo riterranno necessario.

I procuratori dovranno concedere a nome del vescovo l’investitura di“quibuscumque possessionibus terris pratis paschuis nemoribus silvis etiuribus dicte Vercellensis ecclesie”, confermare le alienazioni di terredella chiesa prelevando quanto spetta al vescovo per il laudemio e la

7043, quartiere S. Stefano, s.d., f. 13r), e che possiede una casa al Piazzo vicino aMartino Zumaglia, altro familiare del vescovo, per la quale gli eredi percepiscono unfitto (cfr. estimo del quartiere S. Giacomo del 1362, ivi, b. 9, doc. 2, f. 1r).

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terza, e ottenere dai possessori la dichiarazione dei beni detenuti a nomedella chiesa. Dovranno richiedere e ottenere da qualunque persona, laicao ecclesiastica, vassalli o feudatari, e da qualunque luogo, terra o comu-nità “omnes et singulos fructus, redditus et proventus, obventiones etiura, pecuniarum quantitates auri vel argenti, monetati vel non moneta-ti, res et alia bona quacumque consistencia in numero pondere vel men-sura” spettanti al vescovo o ai suoi predecessori; per ogni operazionedovranno essere redatte cedole da restituire con il taglio dell’avvenutopagamento, e il debito dovrà essere cancellato dalle note e dalle imbre-viature del vescovo. I procuratori saranno dotati di pieni poteri per agirein giudizio contro ribelli e detrattori, comminare multe e scomuniche,trattare e transigere con persone e comunità.

Fra le deleghe attribuite ai procuratori, colpisce l’ampio spazio riser-vato al tema del recupero dei beni della chiesa. Dopo un generico invi-to a prendere possesso di tutti i beni e diritti della chiesa vercellese, ilvescovo passa a trattare specificamente la categoria di quelli indebita-mente distolti o alienati dal novero dei possessi ecclesiastici. Difficilenon cogliere già a questo punto le assonanze con il quadro delineato neiparagrafi precedenti, dove la chiesa vercellese risulta in difficoltà, oltreche per le ingenti spese da sostenere a causa della guerra, per la manca-ta disponibilità di parte delle sue sostanze illecitamente distolte; ma irimandi si fanno ancora più consistenti nei punti successivi, incentratisugli strumenti necessari per disporre di un quadro preciso dei redditidella chiesa (anche attraverso i rendiconti dei funzionari della passataamministrazione), e soprattutto sul controllo del personale ecclesiastico- non dimentichiamo che sia a Zumaglia che ad Andorno il gastaldovescovile aveva partecipato agli atti di ribellione contro la chiesa -attraverso il potere di nomina e di rimozione dei funzionari nei castradella diocesi.

Sebbene il Fieschi concluda l’elenco delle misure premurandosi disottolinearne i benefici effetti sul governo dei sudditi “in spiritualibusvel temporalibus”, è evidente che il secondo ambito d’azione ha la prio-rità assoluta nelle intenzioni del vescovo: il buon governo della chiesa,in questo momento, passa prima di tutto attraverso il recupero e la cor-retta gestione dei suoi beni, la selezione di un’adeguata classe di fun-zionari e, non meno importante - come vedremo meglio oltre -, la pro-

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duzione di scritture amministrative: i riferimenti a queste ultime - ren-diconti, quietanze di pagamenti, investiture - si snodano lungo l’interaserie di incarichi attribuiti ai procuratori. Nel programma di governodelineato dal vescovo Emanuele, insomma, si leggono in negativo ipunti deboli della passata amministrazione, responsabili dello stato didegrado della diocesi.

I procuratori operarono sin dal primo anno nella direzione indicatadal vescovo - e infatti li vediamo impegnati nelle trattative con le comu-nità e nell’esazione di taglie31 - nel difficile tentativo di affrontare il pro-blema più urgente, la cronica mancanza di denaro nelle casse vescovili.Il governo di Emanuele Fieschi si scontra sin dal primo anno con l’ur-genza di risolvere i problemi economici della diocesi vercellese: oltre anon disporre per quell’anno di alcuna entrata - nell’anno precedente lasua nomina “dictus episcopatus fuerat in maxima guerra, quare ex illoprimo anno idem d. episcopus nichil vel quasi nichil recipere potuit velhabere” -, Emanuele si trova a dover sostenere ingenti spese per la curiapapale (1200 fiorini), per il riscatto già citato del castrum di Verrua (800fiorini), per la fortificazione delle mura di Biella (400 fiorini) e per lariedificazione del mulino vescovile distrutto dai vercellesi (una nonmeglio definita “magnam pecunie quantitatem”)32.

Difficoltà economiche che si sommano all’esigenza di attrezzarsi peraffrontare un eventuale nuovo scontro armato con la Vercelli deiVisconti, che la tregua imposta dal legato pontificio aveva solo tempo-raneamente allontanato: lo stesso cardinale Guglielmo, a cinque giornidalla nomina del vescovo Emanuele, riceve direttive dal papa affinché“de armaturis necessariis pro custodia et tuitione castrorum ecclesie

31 Vedi ad esempio Carte, II, doc. 266, p. 136, e ACV, Atti privati, cart. 40.32 Carte, II, doc. 275, p. 167. Probabilmente per questa ragione il vicario vescovile

Lazzarino Fieschi evita di restituire parte dell’eredità di Lombardo della Torre in suopossesso, suscitando le rimostranze di Clemente VI: l’11 febbraio 1344 il papa scrive aLudovico della Torre “ut compellat Jacobum de Villanis, rectore ecclesiae S. Theonesti,Vercellensis diocesis, Aldibertum de Petra, canonicum Vivariensem necnon Lazarinum,vicarium Manuelis, episcopi vercellensis, ad restituenda bona quondam Lombardini,episcopi, quae detinent injuste” (Clément VI. Lettres closes, n. 387). Alla fine dello stes-so anno il papa, forse venuto a conoscenza delle difficoltà economiche della diocesi,decide per un versamento di 2000 fiorini della camera apostolica alla chiesa vercellese(Clément VI. Lettres closes se rapportant à la France, n. 1329).

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Vercellensis necnon de bladis et vinis ibidem existentibus usque adnovos fructus faciat dimitti provisionem decentem vicariis Manuelis,electi Vercellensis”33.

Per vedere concretizzate le innovazioni più forti nell’amministrazio-ne diocesana dobbiamo attendere l’arrivo del vescovo nella diocesi34, incui risulta con certezza presente a partire dal febbraio del 1346. Dal gen-naio di quest’anno viene avviata la redazione del libro delle investiturerurali, la cui redazione è prefigurata nel documento del 3 luglio ‘43, eche costituisce il primo esempio di documentazione in forma di libroprodotta dall’amministrazione diocesana. Nel giro di una settimana, dal5 all’11 aprile del 1346, tre servitori di curia si recano nei vari centridella signoria episcopale - il primo a Biella, Vernato, Pollone,Sordevolo, Muzzano, Graglia, Camburzano e Occhieppo, il secondo aMasserano, Curino, Crevacuore, Mosso, Mortigliengo, Bioglio,Andorno, Chiavazza, Ronco e Zumaglia, il terzo a Santhià,Moncrivello, Miralda, Cigliano, Villareggia, Saluggia, Palazzolo eAsigliano -, informando la popolazione che chiunque sia entrato in pos-sesso di terra ecclesiastica, a qualunque titolo, deve farsi investire dalvicario vescovile entro Pasqua, sotto pena di 25 lire. Ne risulterà un

33 Clément VI. Lettres closes, n. 194. Un indizio della posizione di forza con cui lachiesa vercellese, sotto la guida del Fieschi, intende porsi nei confronti della città ver-cellese e delle sue ambizioni è dimostrata dall’estratto del Liber de vassallis beatiEusebii et Ecclesie Vercellensis fatto redigere il 6 marzo 1344, riguardante il testo del-l’investitura al comune vercellese. Nei primi mesi del nuovo governo si era probabil-mente posto il problema di regolare, fra gli altri, il rapporto con quel vassallo specialedel vescovo che era il comune. Il testo riportato nel documento suggerisce che Emanuelenon intendesse limitarsi, come pare abbia fatto Lombardo, a non confermare le genero-se concessioni fatte dal vescovo Uberto, che aveva investito il comune non solo dellagiurisdizione sulla città ma anche di quella sul territorio diocesano, ma volesse ricon-durre l’investitura alla sua forma originale: ARNOLDI, Carte dell’archivio arcivescovile,doc. 91 (6 marzo 1344).

34 Nel 1344 sono avviati lavori nel palazzo episcopale, probabilmente per appresta-re la residenza in vista dell’arrivo del presule: ACV, Atti privati, cart. 40 (19 settembre1344).

35 AAV, Diversorum, m. 3, doc. 57. Le investiture vanno dal 3 gennaio 1346 al 2 gen-naio 1347. Il volume riunisce tre protocolli: il primo redatto da Uberto de Cerreto,notaio e scriba del vicario Papiniano Fieschi, il secondo dallo stesso vicario, il terzo daAndalò Grillo, genovese, preposto della chiesa di S. Evasio di Casale e procuratore delvescovo.

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volume con circa 600 investiture35. In questo stesso anno viene fattacopia del documento del 1343, quasi un programma di governo, e com-paiono cenni espliciti all’esistenza di un sistema articolato di documen-tazione in forma di registro per la tenuta dei conti36, come se l’effettivapresenza del presule nella diocesi avesse dato un impulso determinantedal punto di vista documentario.

Con ogni probabilità in questo stesso momento viene prodotto undocumento, il Libellus feudorum, che risponde pienamente all’obiettivodi controllo di uomini e risorse così chiaramente delineato nel 1343. Ilfascicolo, che consiste nell’elenco di tutti i vassalli vescovili e di tutti iredditi che le comunità soggette dovevano versare al vescovo, ha un’im-portanza centrale per il nostro discorso, perché la sua redazione prefi-gura quella dei libri dei redditi - alla cui analisi sarà dedicata la secon-da parte di questo contributo - e del libro delle investiture degli anni1349-51, vale a dire i due capisaldi del sistema di scritture realizzatosotto il successore di Emanuele, Giovanni Fieschi. Gli argomenti asostegno dell’attribuzione di questo documento, non datato, all’episco-pato di Emanuele saranno esposti più avanti, perché implicano continuirimandi con la documentazione redatta dal successore37; ciò che qui ciinteressa sottolineare è che il rinnovamento dell’amministrazione dio-cesana annunciato fin dalla nomina di Emanuele era arrivato nel 1346 aprodurre i primi frutti anche sul piano delle scritture amministrative.

Il breve episcopato del Fieschi - cinque anni, dal 1343 al 1348, di cuibuona parte trascorsi fuori sede38 -, fece sì che proprio questo camporimanesse più degli altri ad un livello embrionale, ma fu sotto il suogoverno che si posero le premesse per le innovazioni documentarie chevedremo attuare dal suo successore. Anche un dato ulteriore spiega la

36 Ad esempio la scritta, apposta al termine di un rendiconto, “predicte libre octo,solidi decemocto et denarii quinque pp. sunt restitute videlicet quia sunt compensate inlibro C in fo. CLXXXV, in fine secunde pagine et in libro S in fo. CLXVIIII” (ACV, Attiprivati, cart. 40).

37 Cfr. sotto, § I.3.d.38 Anche dopo il suo ingresso nella diocesi all’inizio del 1346, gli incarichi papali

fuori sede continueranno ad affiancarsi alle incombenze di governo: il 4 maggio del1348 Emanuele viene inviato come nunzio del papa presso Luchino Visconti (ClémentVI. Lettres closes se rapportant a la France, n. 3882, e per la stessa questione nn. 3883,3884, 3888).

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continuità d’operato fra i due vescovi: il vicario vescovile attivo sottoEmanuele - e cioè suo nipote Papiniano Fieschi - continua a svolgere lapropria attività anche sotto il successore Giovanni, garantendo quellastabilità di funzioni che la storiografia ha individuato come un trattocaratterizzante nella vita delle sempre più articolate curie trecentesche39.L’uso di familiari e collaboratori personali nel governo della diocesi èun elemento che sembra caratterizzare sempre più gli episcopati “forti”trecenteschi, ma con l’avvento nella diocesi di vescovi estranei al con-testo locale questo aspetto muta di segno: se al tempo degli Avogadrol’ampio coinvolgimento di membri della famiglia aveva finito per inde-bolire il governo diocesano, perché ognuno di loro era al contempo por-tatore di interessi e legami personali da difendere, con i Fieschi questodiventa un elemento di forza. Disporre di collaboratori le cui fortunedipendevano esclusivamente dal rapporto con lui significò perEmanuele la possibilità di governare con una certa autonomia dall’in-treccio di legami presenti nell’amministrazione della chiesa, con risul-tati che diventeranno ancora più evidenti sotto Giovanni.

A metà Trecento, in un momento di crisi generalizzata, la chiesa ver-cellese guidata dai Fieschi reagisce dunque con un programma di raffor-zamento istituzionale, di cui il vescovo Giovanni rappresenterà l’inter-prete più energico ed efficace. La sua azione, pur contemplando vari ter-reni di confronto, non ultimo quello militare, si aprirà con un forte inve-stimento sul rinnovamento delle prassi documentarie - quasi un lascitotestamentario del predecessore -, che nell’opinione di Giovanni dove-vano costituire un ingrediente fondamentale per il successo dell’opera-zione.

39 Papiniano Fieschi viene nominato vicario generale del vescovo Emanuele dal fra-tello Lazzarino l’1 marzo 1344 (ACV, cart. 40); compare in qualità di “generalis vica-rius” nel 1344 (Carte, II, doc. 265), e lo vediamo agire con questa qualifica fino al feb-braio del 1350 (Carte, II, doc. 313, 9 febbraio), a un anno dalla nomina di GiovanniFieschi. Il Pasté cita a proposito di questo vicario un testamento del 2 settembre 1361conservato nell’archivio vescovile, che non è stato possibile reperire: cfr. R. PASTÉ, Ivicarii generali della curia vescovile di Vercelli, in «Archivio della società vercellese distoria e d’arte», 7 (1915), pp. 161-71, p. 163.

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I. 3. Giovanni Fieschi (1349-1380): dalla ripresa alla catastrofe

a) Un vescovo intraprendente e controverso

La storiografia sulle diocesi bassomedievali presenta un dato ricor-rente: molte sedi vescovili contano, fra i loro titolari tre e quattrocente-schi, una figura particolarmente innovativa sul piano della gestioneamministrativa e su quello connesso della produzione documentaria,capace di determinare in questo ambito un salto di qualità sia quantita-tivo che qualitativo. Pensiamo a Berardo Maggi per Brescia (1275-1308), protagonista della corposa monografia di Gabriele Archetti, alvescovo di Concordia Artico da Castello (1317-31), studiato da LucaGianni, a Francesco Bossi (1420-34) per Como, studiato da MassimoDella Misericordia, ma gli esempi potrebbero essere moltiplicati a pia-cere40. Vescovi che condividono, al di là delle specificità individuali, unforte carisma, la perseveranza nel riaffermare la legittimità di diritti datempo non riconosciuti o comunque non esercitati, e la capacità di indi-viduare collaboratori capaci di sostenerli nell’impresa: doti che non dirado la storiografia passata ha tradotto nell’immagine negativa delvescovo troppo attento alle questioni temporali e poco a quelle spiritua-li, più adatto - per usare una metafora frequente nei ritratti di questi per-sonaggi - a maneggiare la spada piuttosto che il pastorale.

Questa stessa propensione è stata attribuita anche a GiovanniFieschi, che può a buona ragione essere considerato il corrispettivo ver-cellese delle figure prima nominate. Una personalità di particolare rilie-vo e non solo per la storia vercellese, come dimostrano i contatti conintellettuali di spicco dell’epoca, segno del respiro sovralocale che,

40 G. ARCHETTI, Berardo Maggi vescovo e signore di Brescia. Studi sulle istituzioniecclesiastiche e sociali della Lombardia orientale tra XIII e XIV secolo, Brescia 1994;L. GIANNI, La diocesi di Concordia in Friuli. Difesa delle temporalità e consolidamen-to amministrativo: l’episcopato di Artico da Castello (1317-1331), in Vescovi medieva-li, a cura di G.G. MERLO, Milano 2003, pp. 165-206; M. DELLA MISERICORDIA, L’ordineflessibile. Le scritture della mensa vescovile presso l’archivio storico della Diocesi diComo (prima metà del XV secolo), in «Archivio della diocesi di Como», 11 (2000), pp.23-71. Un ruolo altrettanto incisivo sembra caratterizzare, pur nella scarsità della docu-mentazione, l’attività dell’arcivescovo milanese Giovanni Visconti (1342-54): cfr. A.CADILI, Giovanni Visconti arcivescovo di Milano, Milano 2007, pp. 161-177, 192-213.

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durante il suo episcopato, connota la vita culturale della diocesi41. Nellateoria di personaggi che si susseguono a capo della diocesi eusebiananon ve n’è uno la cui immagine sia altrettanto controversa: “spiritoimpastato d’alterne inquietudini, che depositava i suoi riposi più nellaspada che nella mitra” (Coda), teso “a dominare da Principe assoluto lasua Diocesi, anzi che da mansueto spirituale Padre” (Mullatera), “triste

41 Del ritrovamento di uno o più codici antichi fatto dal Petrarca a Vercelli durante l’e-piscopato del Fieschi, e della somma con cui quest’ultimo avrebbe voluto ricompensarel’umanista, si parla nelle opere di diversi storici vercellesi, che hanno probabilmenteripreso e arricchito una notizia riportata da Biondo Flavio nella sua Italia Illustrata.Secondo quest’ultimo il Petrarca si vantava di aver ritrovato a Vercelli vari codici conte-nenti opere di Cicerone - le Epistole ad Lentulum e i tre libri delle Orazioni - e diQuintiliano (cfr. Biondo Flavio’s Italia Illustrata: Text, Translation, and Commentary, ac. di C.J. COSTNER, Binghamton (NY) 2005, vol. I, p. 46). Sono gli storici vercellesi acollegare il ritrovamento di codici compiuto dal Petrarca - da loro ridotto alle sole lette-re ciceroniane (Modena) - al vescovo Fieschi (Corbellini), e a introdurre il particolaredella ricompensa in denaro elargita dal vescovo allo studioso (Cusano). Il Modena (inACV, Ms. 9, Sommario dell’Historia di Vercelli del canonico G.B. Modena, f. 87v), èl’autore che riecheggia con più evidenza il passo del Biondo, e non parla affatto né delvescovo Fieschi né di una ricompensa per il ritrovamento: “More Francesco Petrarca,quale venuto a Vercelli si vanta d’aver trovato le epistole di Cicerone ad Lentulum, maisin a quel tempo vedute”. Aurelio Corbellini afferma che Giovanni Fieschi aveva “rin-gratiato con sue lettere il Petrarca, che in Vercelli ritrovato haveva l’Epistole di Cicerone”(Vite de’ vescovi di Vercelli, Milano 1643, p. 91). Poco dopo Marc’Aurelio Cusano, checita come fonte della notizia proprio il Corbellini, riporta la stessa informazione, arric-chendola del particolare della ricompensa: “Godevasi all’hora Vercelli della presenza, efamiliar conversatione di Francesco Petrarca Poeta segnalato, e celebre, qual faceva ivisua continua dimora, in qual mentre hebbe fortuna di ritrovare nella Medesima Città diVercelli l’Originali Epistole di Cicerone, che già egli scrisse a Lentulo; onde del medesi-mo vescovo Giovanni Fiesco ricevé competente premio” (Discorsi historiali cit., p. 239).La notizia è stata poi riportata anche dal Casalis, che la riprende senza prendere posizio-ne, ma aggiungendo un’ipotesi di datazione della venuta di Petrarca a Vercelli nel 1353(“quando ei si condusse ad abitare in Milano”: in Dizionario geografico storico-statisti-co-commerciale degli stati di s.m. il re di Sardegna, Torino, 1853, vol. 24, s.v. Vercelli,p. 306), e da Giuseppe Ferraris, che discute l’identificazione del codice asportato daPetrarca da Vercelli con l’attuale ms 49 conservato alla Laurenziana di Firenze(FERRARIS, La pieve di S. Maria di Biandrate cit., p. 456). Al di là di questa vicenda, sullaquale non è per ora possibile mettere un punto fermo, che l’episcopato di Giovanni siastato un momento di intensa vita culturale per la sede vescovile vercellese lo dimostranoanche i contatti epistolari con la curia papale: il 9 agosto 1374 Gregorio XI scrive alvescovo chiedendo esplicitamente l’invio di un manoscritto delle Epitomi di Giustinoalle Historie Philippicae di Pompeo Trogo (cfr. Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 2821, eS. GAVINELLI, Leone di Vercelli postillatore di codici, in «Aevum», 75 (2001), pp. 233-62, a p. 256 n. 82; ringrazio Paolo Rosso per questa indicazione bibliografica).

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figura di prelato e signorotto feudale” (Torrione)42; ma già il cronistaquattrocentesco Giacomo Orsi lo descrive come un tiranno degno diessere paragonato a Nerone (“episcopo neronizante quasi monstro”)43,mentre i meno ostili sono comunque concordi nel sottolineare la naturabellicosa del personaggio, un “vescovo soldato” che “impugnava ilpastorale con l’autorità di un pastore e insieme con l’energia d’un guer-riero che stringe l’alabarda” (Arnoldi)44.

Non è difficile individuare nella trentennale attività del Fieschi leragioni di un ritratto a tinte così fosche: a partire dalla sua elezione allacattedra eusebiana, nel 134945, è un susseguirsi quasi ininterrotto discontri con le comunità e i poteri soggetti, nel tentativo di recuperare inogni ambito, soprattutto quello economico e fiscale46, le prerogativevescovili. Ne nascono, fra l’altro, violente tensioni con il comune diBiella, che all’epoca costituisce ormai da tempo, per i vescovi, una resi-denza alternativa preferita alla Vercelli ghibellina e viscontea: è pertan-to comprensibile che siano stati per lo più storici espressi da questarealtà cittadina a considerare in modo fortemente critico la sua azione digoverno47.

42 Rispettivamente C.A. CODA, Il ristretto e altre opere inedite di storia biellese, a curadi P. TORRIONE, Biella 1971, pp. 136 e 138 (un giudizio simile al suo è stato formulato neiconfronti del vescovo Artico da Castello, ugualmente responsabile di mostrare una mag-giore propensione per le armi piuttosto che per il pastorale: cfr. GIANNI, La diocesi diConcordia in Friuli, cit., p. 166); MULLATERA, Le memorie di Biella cit., p. 54; P. TORRIONE,Il castello di Zumaglia nella storia e nella leggenda, in P. TORRIONE-F. DI VIGLIANO, Larocca di Zumaglia nel sistema dei castelli biellesi, Biella 1942, pp. 9-114, a p. 21.

43 Cronaca latina di Biella di Giacomo Orsi, a cura di P. VAYRA, Biella 1890, p. 14.44 Cfr. l’introduzione a ARNOLDI, Investiture, pp. 249-50.45 Giovanni Fieschi viene eletto vescovo di Vercelli il 12 gennaio 1349. Cfr. G. NUTI,

v. Giovanni Fieschi, in DBI.46 E’ curioso che, a prescindere dall’operato di Giovanni, proprio il rapporto privile-

giato con le attività di ambito fiscale abbia ad un certo punto suggerito una bizzarra ipo-tesi sull’origine etimologica del cognome di questa famiglia, secondo qualcuno da ricon-durre alla professione di appaltatore del fisco imperiale ricoperta in antico dai suoi mem-bri: cfr. A.G. REMEDI, Il cardinale Manfredo di Lavagna e l’origine del cognome Fieschida alcuni documenti dugenteschi inerenti i rapporti fra i conti di Lavagna, Milano el’Impero, in I Fieschi tra Papato e Impero, a cura di D. CALCAGNO, Lavagna 1997, pp.285-322, a p. 289.

47 Sono biellesi gran parte degli storici citati (alle nn. 42-43): Orsi, Coda, Mullatera,Torrione. Il ruolo di sede vescovile alternativa/aggiuntiva ricoperto da Biella nelTrecento è dimostrato, oltre che dalla frequenza con cui i vescovi vi risiedono, da vari

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Al di là della mitizzazione di cui è stata oggetto la figura di questovescovo, vi sono ragioni concrete per considerare il magistero delFieschi un momento particolarmente importante e critico nella storiadella chiesa vercellese. Una di queste è la sua capacità di condizionarnelo sviluppo ben oltre la fine, come vedremo alquanto burrascosa, del suoepiscopato: Giovanni è indubbiamente l’esponente più noto della fami-glia, ma non bisogna dimenticare che la cattedra vescovile vercellese fuegemonizzata quasi ininterrottamente dai Fieschi per quasi un secolo,dal 1343 al 143948, e questo in molti casi significò il prolungarsi aoltranza delle questioni sollevate da Giovanni, e la delusione dei tantiche contavano sulla sua dipartita per vederle estinguersi.

b) Le vicende politico-militari dell’episcopato di Giovanni49

Fin dall’inizio dell’episcopato di Giovanni l’insofferenza suscitatadalle esazioni vescovili s’intreccia con la complicazione rappresentata

fattori: ad esempio la scelta del personale di curia, che è in buona parte di estrazionebiellese, e la frequente dislocazione di ufficiali aventi le medesime mansioni, l’uno aBiella e l’altro a Vercelli (cfr. PASTÉ, I vicarii generali cit., a p. 162, e il doc. del 14 mag-gio 1352, da cui emerge che in occasione dell’imposizione di una taglia agli ecclesia-stici della diocesi vengono nominati due ricevitori di cui uno a Biella e l’altro a Vercelli,in AAV, Atti vescovili, cart. 22); infine è particolarmente significativo il noto passo trat-to dalla trecentesca Chronica imaginis mundi di Jacopo d’Acqui, che attribuisce alladiocesi vercellese al tempo di S. Eusebio (IV sec.) ben due vescovi, dei quali uno “domi-nabatur in Bugella villa magna, et alius regebat in civitate”: questa affermazione, inte-ramente fantasiosa, indica che all’epoca del cronista l’idea di una diocesi vercellese ege-monizzata da due centri vescovili del tutto paragonabili per importanza era perfetta-mente credibile (Jacopo d’Acqui, Chronicon Imaginis Mundi, in MHP, Scriptorum III,Torino 1848, p. 496, col. 1393).

48 Giovanni Fieschi è documentato in carica almeno fino al 1380; è ancora viventequando l’antipapa Clemente VII, il 1 giugno 1379, nomina Giacomo Cavalli, che restaattivo almeno fino al 1389, mentre Urbano VI alla morte di Giovanni nomina di nuovoun Fieschi, Ludovico, in cattedra dal 1384 al 1412 (ma dal 1406 al 1412, passato ilFieschi all’obbedienza avignonese, Innocenzo VII gli contrappone Matteo Ghisalberti),cui segue di nuovo il lungo episcopato di un Fieschi, Ibleto, dal 1412 al 1437. Cfr. F.-C.UGINET, voce Giacomo Cavalli, G. NUTI, voce Giovanni Fieschi, e W. DECKER, voceLudovico Fieschi, in DBI, e sotto, testo in corrisp. delle nn. 87-88.

49 In generale vedi G. NUTI, voce Giovanni Fieschi, in DBI, e bibliografia citata; F.GABOTTO, L’età del Conte Verde in Piemonte, Torino 1894, pp. 96, 107, 112, 218, 236,240-41.

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dalla minacciosa espansione del dominio visconteo. Già fra il 1348 e il1349, nel periodo cioè di sede vacante fra la morte di Emanuele e l’ar-rivo di Giovanni, e nel pieno dell’epidemia di peste, i Visconti e i loroufficiali occupano vari castelli di proprietà della chiesa fra i qualiVerrua50. Nel 1352 è la volta di Biella, dove era divampata una ribellio-ne così violenta che nei conti del vescovo è definita addirittura “guerraBugelle”, e che vide fra l’altro, prima dell’estate, il Fieschi assediato daibiellesi nel suo castello51: Giovanni Visconti, intervenuto su richiesta dipapa Clemente VI a pacificare le parti52, assume provvisoriamente e conl’assenso del vescovo il governo del luogo, ma di fatto se ne impadro-nisce, tanto che dopo la sua morte Biella entrerà ipso facto fra i domini diGaleazzo, sottraendo al vescovo il più importante dei suoi possedimenti53.

50 Fra la fine del ‘48 e l’inizio del ‘49 è il capitolo di Vercelli a scrivere a papaClemente VI, lamentandosi per l’occupazione di alcuni castelli da parte degli ufficialimilanesi (COGNASSO, Storia di Milano cit., p. 329); mentre il 17 febbraio del 1349 papaClemente VI scrive a Giovanni Visconti, arcivescovo di Milano, “ut restitui faciatcastrum Verutae ecclesie Vercellensi, ad quam pertinet pleno iure et quod fuit occupa-tum a quondam Luchino de Vicecomitibus” (Clément VI. Lettres closes, n. 1937).

51 Per i riferimenti alla “guerra Bugelle” vedi ad esempio il libro dei redditi 1352-59ai ff. 11r, 16r-17v. In un documento del 12 maggio 1353 il Fieschi revoca alcune sue let-tere scritte “occasione dampnorum tempore guerre per ipsos de Bugella illatorum nobisnostreque ecclesie Vercellensi” (Carte, II, doc. 360, p. 343); e cfr. la n. seguente.

52 Il 17 agosto del 1352 papa Clemente VI scrive all’arcivescovo Giovanni Viscontiperché assista il vescovo di Vercelli, dal momento che “nonnulli vassalli et subditi eccle-siae Vercellensis in eam temeritatis et presumptionis audaciam proruperunt quod, debi-te fidelitatis obliti, reverencia calcata domini, venerabilem fratrem nostrum Iohannem,episcopum Vercellensem, quem prout tenentur venerari debuerant, in castro suoBugelle, Vercellensis diocesis, obsederunt et eum et familiam suam pluribus affeceruntiniuriis et offensis” (Carte, II, doc. 353, cit. a p. 335; Clément VI. Lettres closes, n.2678). Sul ruolo di difensore del vescovo di Vercelli affidato dal papa all’arcivescovomilanese, che aveva avuto un precedente già al tempo di Lombardo della Torre, cfr.CADILI, Giovanni Visconti cit., pp. 89 e n. 112. Giovanni non è l’unico Fieschi in quelmomento a sentire minacciati i propri domini, e a dover dipendere dal tutt’altro chescontato supporto dei Visconti per la loro conservazione: negli stessi mesi in cui ilvescovo di Vercelli si sta confrontando con i Biellesi suo fratello Nicola è impegnato inuna contesa con il comune di Parma per la giurisdizione su Calestano, che perde proprioa causa di una sentenza del vicario dell’arcivescovo Giovanni Visconti (Clément VI.Lettres closes, n. 2679). Non è forse un caso se più tardi ritroveremo lo stesso Nicola nelVercellese, fianco a fianco con il vescovo di Vercelli nella difesa della signoria episco-pale dall’espansione viscontea (cfr. oltre testo in corrisp. della n. 59).

53 Giovanni Visconti muore il 5 ottobre 1354. L’inizio e l’effettiva consistenza delventennale governo visconteo di Biella, che si estende negli anni ‘50 e ‘60 del secolo,

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Con Galeazzo Visconti lo scontro con la chiesa divampa sul pianofiscale. Il 16 febbraio 1355 Innocenzo VI gli scrive per denunciare che,approfittando dell’assenza dalla diocesi del vescovo Giovanni, alcunifunzionari del podestà vercellese si sono recati “ad terras et loca quedamecclesiae Vercellensis pro exigenda ab incolis et habitatoribus locorumipsorum certa summa pecunie”, sostenendo che la richiesta di paga-

sono sempre stati oggetto di discussione fra gli storici locali, anche perché l’archivio cit-tadino presenta proprio in corrispondenza di questo periodo una forte carenza docu-mentaria. Almeno in via d’ipotesi non è da escludere che questa lacuna, così nettamen-te definita dal punto di vista cronologico, sia da mettere in relazione con la successivadedizione ai Savoia, e la volontà di obliterare un passato che poteva rivelarsi scomododi fronte al nuovo potere. Una lettera papale del 16 febbraio 1355 sembra comunquechiarire la dinamica dell’entrata di Biella sotto il dominio visconteo: papa Innocenzo VIscrive a Galeazzo dichiarando illegittimo il suo possesso di Biella, perchè “idem epi-scopus [cioè Giovanni Fieschi] castrum Bugelle, quod ad ecclesiam Vercellensem per-tinet pleno iure, bone memorie Johanni, archiepiscopo Mediolanensi, usque ad certumtempus proximo preteritum tunc futurum commiserit gubernandum”, e ne chiede per-tanto la restituzione: “precibus nostris adicimus ut castrum ipsum quod tuo nomine dici-tur possideri eidem episcopo mandes et facias restitui cum effectu” (Innocent VI. Lettressecrètes, n. 1381). Giovanni Visconti dev’essere entrato in possesso della città fra il 17agosto del 1352, data della lettera papale che lo invita ad intervenire in aiuto del vesco-vo Giovanni, e il 2 maggio dell’anno successivo, quando lo stesso arcivescovo scriveuna lettera agli uomini e al comune di Biella “quos sub nostra gubernatione recepimus”(Carte, II, doc. 359). Sotto il suo governo assistiamo ad una novità istituzionale impor-tante per il comune biellese, la nomina del podestà: la prima attestazione certa risale almarzo del 1354, con Nicola de Caymis, mentre non è stato possibile verificare l’infor-mazione riportata dal Mullatera, e ripresa dal Gabotto, secondo il quale già nel 1351,dietro richiesta del comune, i Visconti avrebbero nominato podestà di Biella ManfredoLampugnani (sul de Caymis vedi doc. dell’11 marzo 1354 in Prestiti, doc. 225, p. 122;su Manfredo Lampugnani cfr. MULLATERA, Memorie di Biella cit., p. 56, e GABOTTO,Biella e i vescovi cit., p. 45). Sotto il governo dell’arcivescovo Giovanni, in considera-zione del ruolo di superiore gerarchico da lui ricoperto nei confronti del Fieschi e delcarattere almeno formalmente temporaneo del suo governo, la signoria viscontea diBiella mantenne presumibilmente toni più dimessi, e solo con Galeazzo assunse carat-teristiche tali da configurarsi come una vera e propria usurpazione ai danni della chiesa.L’accento su Galeazzo come vero artefice della signoria dei Visconti su Biella si ripre-senta in vari documenti posteriori. La transazione conclusa nel 1373 tra la comunità diBiella e il vescovo di Vercelli attribuirà la potencia tirannica esercitata dai Visconti sulluogo esclusivamente a Galeazzo: “viri providi et sagaces homines communitatis eiu-sdem iugum tante servitutis, qua fuerunt hactenus per d. Galeaz ex VicecomitibusMediolani indissolubiliter constituti, modis omnibus abicere cupientes” (cfr. Carte, IV,doc. 39, cit. a p. 89; lo stesso concetto è ribadito anche in doc. del 13 dic. 1374 in Carte,IV, doc. 41, p. 97); mentre in occasione di un’inchiesta condotta dal commissario duca-le sabaudo in Biella nel 1452, il comune porterà dei testimoni per provare “quod pre-

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mento era fatta a nome di Galeazzo54. Di fronte alle rimostranze degliufficiali vescovili i funzionari viscontei non solo rifiutano di dare copiadel mandato come i primi avevano chiesto, ma “post modicum tempo-ris spacium inceperunt incolas et habitatores eosdem ad solutionemsumme huiusmodi aspere et rigide coartare”, forse estendendo la richie-sta di pagamento agli ecclesiastici e al clero vercellese. L’ultimo tenta-tivo degli ufficiali vescovili di risolvere la controversia sul piano for-male - mostrando lettere di Galeazzo in cui si ordinava al podestà diVercelli di non introdurre novità nelle terre della chiesa - non va a buonfine, perché i funzionari viscontei di fronte all’ennesima resistenza pas-sano alle maniere forti imprigionando “quosdam probos viros subditosprimo et deinde certos familiares episcopi”; ne risulta uno scontro vio-lento in cui trovano la morte tre ufficiali viscontei. La lettera del papatermina ricordando a Galeazzo che a nessun laico è concesso imporreoneri a qualunque titolo agli ecclesiastici, senza una precisa autorizza-zione papale, e invitandolo a restituire alla chiesa il castrum di Biella,che egli sostiene di possedere “suo nomine”55. E’ evidente che nono-stante il continuo supporto papale la possibilità per la chiesa vercellesedi percepire le proprie entrate si era fatta difficoltosa, e non solo per laguerra: sempre di più gli ufficiali vescovili si trovano ad affrontare la

dictus locus Bugella […] jam longo tempore lapso fuit subiectus et submissus domina-tioni et dominio prelibati Ill. d. Galeaz Vice Comitis Mediolani, sub eiusque dominioipse locus quo ad merum mixtum imperium, signoriam et altam et bassam jurisditionemsubfuit et stetit certo tempore”: la maggioranza dei testimoni metterà l’accento propriosugli ufficiali viscontei posti a reggere il luogo per conto di Galeazzo (“vidit quod d.Galeaz Vicecomes erat dominus dicti loci Bugelle et faciebat ipsum locum gubernari etregi per eius officiales”). Dopo il de Caymis, sono documentati i seguenti podestà dinomina viscontea: Ludovico Crivelli di Milano nel 1357 (in Prestiti, doc. 238, p. 134),Egidio de Carexandis di Bologna nel 1359 (in Carte, II, p. 371, doc. 382, e ASB, DalPozzo della Cisterna, Estranei, m. 5, f. 2), d. Paxolus de Gatonibus di Milano nel 1362(in Prestiti, doc. 240), Tommasino de Gazzolis nel 1364 (in ASB, Ferrero dellaMarmora, Economico feudale, b. 76, f. 9, fo. 10r), Castellolius de Caxinis di Milano nel1369 (Prestiti, doc. 246).

54 Innocent VI. Lettres secrètes, n. 1381.55 Lo stesso giorno il papa invia anche ai dirigenti del comune di Vercelli una lette-

ra perché si impegnino “pro conservatione ac defensione jurium episcopi et ecclesie pre-dictorum quibus temporaliter et spiritualiter subjecti estis pro reverentia divine majesta-tis et nostra et pro conservatione fidei quam episcopo et ecclesie debetis” (Innocent VI.Lettres secrètes, n. 1382), e il 24 febbraio lo stesso concetto è ribadito a Matteo,Bernabò e Galeazzo Visconti (Innocent VI. Lettres secrètes, n. 1401).

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concorrenza, sulle terre della chiesa, degli agguerriti funzionari viscon-tei, poco inclini a riflettere su fini questioni di giurisdizione e di dirittoecclesiastico.

In questi stessi anni cominciano a crearsi le premesse per la nascitadi una lega antiviscontea promossa con forza dal marchese diMonferrato. Già nel 1355 sono attestate nella diocesi scorrerie di solda-ti al servizio del Paleologo, mentre l’anno successivo Vercelli è postasotto assedio da Ugolino marchese di Mantova, e il vescovo Giovanniassolda una compagnia di ventura per 300 genovini d’oro56. Il pienocoinvolgimento del Fieschi nella guerra fra Visconti e Monferrato, però,avviene solo negli anni Sessanta. Il decennio si inaugura nel ‘61 con unapaurosa epidemia di peste, il cui impatto in Piemonte è forse addiritturasuperiore a quello della Peste Nera del 1348-4957, mentre nel ‘62 si apreil contrasto fra i Visconti e la lega promossa dal Paleologo. In questasituazione, per la chiesa è sempre più difficile mantenere il controllo deipropri castelli: nel settembre del 1363 papa Urbano V incarica Marco diViterbo, generale dei Frati Minori, di intavolare le trattative per una tre-gua e, per quanto riguarda la chiesa vercellese, ottenere la restituzione“certorum castrorum, ad ecclesiam Vercellensem spectantium, occasio-ne guerrae inter Johannem, marchionem Montisferrati, et Galeatium deVicecomitibus occupati”58.

Nel dicembre del 1364 il legato sembra aver raggiunto il primo deisuoi obiettivi, la tregua fra il marchese di Monferrato e i Visconti, ma èben lontano dal raggiungere il secondo, visto che in questo momento idue contendenti sembrano aver trovato un’intesa anche e soprattuttonello spartirsi i castra della chiesa. Galeazzo Visconti, a dire del vesco-vo di Vercelli “nullam habens causam rationabilem”, ha assediato ilcastello di Masserano, arrestando il fratello del vescovo, Nicola Fieschi,

56 Si tratta della compagnia di Girardo del Ferrono, il contratto è steso il 9 marzo del1356: cfr. AST, Miscellanea A, b. 17, protocollo del notaio Giacomo Meglino del 1356,f. 21v. Ringrazio il prof. Rinaldo Comba per la segnalazione.

57 Cfr. sotto, n. 92.58 Urbain V. Lettres secrètes, nn. 638 e 639. L’8 febbraio del 1363 lo stesso papa

aveva scritto all’abate di S. Giusto di Susa perché operasse al fine di far cessare lediscordie fra il Fieschi, il marchese di Monferrato e Galeazzo, impedendo al vescovo diintromettersi, e di recuperare le terre della chiesa indebitamente occupate: C.DIONISOTTI, Storia di Vercelli, Vercelli 1974 (ed. or. 1861), p. 245.

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che lo teneva per conto della chiesa, e messo a ferro e fuoco la villa59.Altrettanto ingiustificato, secondo Giovanni Fieschi, il comportamentodel marchese di Monferrato, che ha mosso guerra alla chiesa vercellese,occupando Saluggia e assediando Verrua60.

La restituzione dei castelli alla chiesa è una delle condizioni poste daUrbano V per la stipulazione della pace, condizione che i due conten-denti, e in particolare Galeazzo, non intendono accettare61. Sia il papasia il Visconti, tuttavia, preferiscono in questa fase non giungere a unarottura definitiva. Galeazzo, di fronte alle insistenze papali, dichiara adun certo punto di essere disposto a restituire i castra, e quindi a conclu-dere la pace, ma solo a condizione che il vescovo Giovanni - che, comeriassume il papa riprendendo le parole del Visconti, “tibi nimis erat infe-stus, et quod causa guerre quam cum ipso habes episcopo potius est per-sone quam ecclesie” - venga rimosso dalla cattedra vescovile. La rispo-sta di Urbano V, il 4 marzo 1365, è sostanzialmente un rifiuto, ma for-mulato in modo volutamente ambiguo: sia che le ritorsioni del Viscontie del Paleologo avessero in realtà una qualche “causam rationabilem”,sia che la degenerazione dei rapporti fra Giovanni Fieschi e Galeazzofosse tale da pregiudicare agli occhi del papa ciò che più gli stava acuore in questo momento, vale a dire la pace nel Vercellese e la restitu-zione dei castelli alla chiesa, Urbano V lascia intendere a Galeazzo dicomprendere la sua avversione per il vescovo vercellese, e di non esse-re quindi contrario al suo trasferimento, sempre che, consideratis suismeritis et generosa progenie, si riesca a trovare una sede alternativa ade-guata. D’altra parte, almeno a parole, Galeazzo era pronto a molto purdi togliersi di torno quel vescovo infestus, e sostituirlo con una personaa lui “non suspecta”: avrebbe in tal caso restituito alla chiesa non solotutte le località conquistate durante la guerra, ma anche quelle, comeBiella, che erano giunte in suo possesso in modo più ambiguo, comeeredità dello zio Giovanni Visconti62.

59 Urbain V. Lettres secrètes, nn. 1413 (9 dicembre 1364), e 1467 (22 dicembre1364); vedi anche lettere del 18 dicembre a Galeazzo, n. 1453, e 22 dicembre a Bernabò,n. 1462.

60 Per Verrua: cfr. Urbain V. Lettres secretes, n. 1466 (23 dicembre 1364); perSaluggia: ivi, n. 1848 (20 giugno 1365).

61 Urbain V. Lettres secretes, n. 1530 (30 gennaio 1365).62 Urbain V. Lettres secretes, n. 1623 (4 marzo 1365): il papa specifica che la resti-

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Un mese più tardi, all’inizio di aprile 1365, nonostante il vescovorimanga saldamente al suo posto, la situazione sembra sbloccarsi, eGaleazzo si dichiara disposto a ritirare i suoi armati dai castra e dalleterre della chiesa. È dalle trattative condotte in questo momento fra ilpapa, il vescovo e il Visconti che emerge un aspetto dell’espansioneviscontea sulle terre ecclesiastiche finora lasciato in ombra dalle letterepapali: accanto a importanti castra come Masserano e Biella, occupaticon la forza, vi era un ampio sostrato di centri minori che si erano dati,evidentemente senza opporre troppa resistenza, a Galeazzo, e che ades-so di fronte alla prospettiva di rientrare sotto la chiesa temevano le ritor-sioni del Fieschi. Il 9 aprile 1365 il papa scrive al vescovo che ilVisconti è disposto a ritirarsi dalle terre della chiesa, a patto cheGiovanni assicuri la completa remissione di tutte le pene e i banni “uni-versitatibus et singularibus personis quarundam tuarum terrarum seuvillarum campestrium seu non fortium, que, se defendere ab ipsiusGaleaz gentibus non valentes, eidem Galeaz oboedentiam prestite-runt”63.

Quale che sia stata la risposta del vescovo, pare che il ritiro promes-so da Galeazzo non sia avvenuto se non in parte: l’8 maggio 1365 l’e-sercito del Visconti risulta ancora a Masserano, mentre due anni dopo,il 19 marzo del ‘67, Giovanni Fieschi ottiene facoltà di agire in giudiziocontro i “nonnulli nobiles et potentes civitatis et diocesis Vercellensis acpartium vicinarum”, che ancora detengono illegittimamente beni dellachiesa64. Fra questi c’è anche il marchese di Monferrato, che era anco-ra in possesso di Saluggia65, caso che pone problematiche opposterispetto alle villae campestres in difesa delle quali si era posto Galeazzo:quando la località era stata occupata dal marchese, molti abitanti, “quamplures homines, tam nobiles quam rustici”, si erano trasferiti su altraterra della chiesa, e il castellano marchionale aveva impedito loro dipercepire i redditi sulle terre di loro proprietà situate nel territorio diSaluggia, “in gravem ipsorum episcopi et ecclesiae offensam et homi-

tuzione dei castelli riguarda “omnia castra… tam per te in guerra huiusmodi occupatade novo quam illa que ab antiquo tenuisti tempore, prout tenes”.

63 Urbain V. Lettres secretes, n. 1687.64 Urbain V. Lettres communes, to. VI, n. 19.700.65 Saluggia è in mano al marchese fino al luglio 1373: Grégoire XI. Lettres secrètes,

n. 2002.

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num predictorum non modicum detrimentum”66. Di fronte all’offensivadei Visconti e dei Monferrato sulle terre della chiesa, insomma, lecomunità e le famiglie nobili avevano reagito in modo vario e articola-to, ma con effetti simili sulla finanza vescovile: anche quando, come nelcaso di Saluggia, si erano mantenute sostanzialmente fedeli al vescovo,quest’ultimo ne aveva risentito sul piano economico. L’imperversaredella guerra e degli impegni militari rendeva oltremodo urgente perGiovanni Fieschi la questione fiscale: nel 1370 il vescovo lancia l’in-terdetto su Biella e Vernato, perché il ceto dirigente del luogo si erarifiutato di prestargli aiuto per l’esazione dei fitti, censi e redditi dellachiesa67.

Negli anni Settanta l’impegno militare di Giovanni non accenna adiminuire e anzi coinvolge nuovi fronti: fino alla metà del decennio è unsusseguirsi di attività del vescovo alla guida dei suoi armati, non solo inarea vercellese ma anche in Liguria, zona d’origine della famiglia. Apartire dall’autunno del 1371 un nuovo obiettivo, la conquista della cittàdi Genova, sembra accomunare il Fieschi e Galeazzo68 - i cui rapportiavevano continuato a mantenersi pessimi almeno fino al marzo dellostesso anno69 -, e parallelamente riprendono le ostilità fra il vescovo e ilmarchese di Monferrato70. Proprio quest’ultimo, nei mesi successivi, èresponsabile dell’occupazione di altri due castra della chiesa, Palazzoloe Marcorengo71. Nell’agosto 1372 si concretizza la nuova lega antivi-scontea composta da papa, Savoia e Monferrato, in cui entra a far parteanche il vescovo Giovanni. Il Fieschi però, indisponendo non poco papa

66 Urbain V. Lettres secrètes, n. 1848.67 Carte, II, doc. 402.68 Dal novembre di quell’anno si succedono le lettere papali che invitano Giovanni

Fieschi ad astenersi “ab adhaesione indevotorum ecclesie pro impugnando civitatemJanuensem”: cfr. Grégoire XI. Lettres secrètes, nn. 402, 405, vedi anche ivi, nn. 480-489. Diverse lettere del novembre-dicembre 1371 cercano di indurre la pace fra il vesco-vo Fieschi e altri componenti della famiglia e la città di Genova: ivi, nn. 402, 403, 404(12 novembre), 460 (13 dicembre).

69 Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 129 (22 marzo 1371).70 Il papa scrive al vescovo affinché si astenga “de molestationibus illatis vassallis,

gentibus et subditis Joannis, marchionis Montisferrati” (Grégoire XI. Lettres secrètes, n.388, 7 novembre 1371).

71 Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 970.

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Gregorio XI72, coglie subito l’occasione per riaprire le ostilità con lacittà di Genova, offrendo un ulteriore esempio, dopo la precedentealleanza con il Visconti, della spregiudicatezza con cui questo vescovosceglieva e perseguiva i propri obiettivi.

Nella primavera del 1373 il papa e i suoi incaricati, nel tentativo dicoordinare e ricompattare le forze guelfe in vista della conquista diVercelli, contattano diverse comunità e famiglie della diocesi, esortan-dole a sostenere il vescovo Giovanni - è il caso degli Avogadro73- o ariappacificarsi con lui: veniamo così a conoscenza che oltre a Biella,anche S. Germano e Santhià si erano schierate negli anni passati con ilVisconti74. Nel luglio dello stesso anno i castra della chiesa, o almenouna loro parte, sono apparentemente recuperati, ma a stabilirne i nuovireggitori è Giovanni de Senis, collaboratore del papa, in accordo in partecon il conte di Savoia, ad esempio per Santhià e il castrum de Burgo, ein parte con il marchese di Monferrato (Alice, Areglio e Saluggia)75.Con “recupero” dei castra e dei loca della chiesa, in questa fase, siintende evidentemente il fatto che queste località sono state tolte aiVisconti, non che siano tornate nella disponibilità del Fieschi. Questacautela aveva probabilmente una prima ragion d’essere - dato che laguerra con i Visconti non era ancora conclusa - nell’esigenza di mante-nere compatto il fronte delle forze guelfe, anche a costo di lasciare chegli alleati più potenti si avvantaggiassero ai danni della chiesa. Nel casodel conte di Savoia, una prima serie di dedizioni nel febbraio-marzo del137376 - fra cui ad esempio Santhià - aveva cominciato a porre le basi diquesto sviluppo: solo più avanti papa Gregorio XI interverrà per arre-

72 Il 10 ottobre 1372 papa Gregorio XI scrive al vescovo Giovanni di non turbare,verbo aut facto, l’animo dei genovesi, dicendo loro che “cum gentibus EcclesieRomane, quas contra hostes ipsius ecclesiae habet, invaderet territorium januense”:Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 1085.

73 Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 1756 (5 maggio 1373). Dopo la politica conci-liante di Emanuele Fieschi i rapporti fra il successore e gli Avogadro erano nuovamen-te degenerati: Giovanni toglie l’avvocazia ai Collobiano, ai Casanova e ai Cerrione, cheinfatti a differenza degli altri rami non figurano investiti nel libro delle investiture del1349-50, e solo con la fine della guerra sarà costretto dal papa a rivedere la sua deci-sione (Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 3428).

74 Grégoire XI. Lettres secrètes, nn. 1679, 1921-23.75 Grégoire XI. Lettres secrètes, nn. 2001-2.76 Cfr. il saggio di A. Barbero in questo stesso volume, nn. 109-116.

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stare, in attesa che finisca la guerra, il flusso di sottomissioni ad AmedeoVI77.

Nell’ottobre del 1373 le forze della lega entrano in Vercelli, ma leoperazioni militari continueranno ancora a lungo nel tentativo di espu-gnare la cittadella, ancora in mano ai Visconti. Il 1374 e il 1375, gli ulti-mi anni di guerra, sono di grande difficoltà per il vescovo Giovanni,rientrato in possesso - un possesso che la prosecuzione delle operazionidi guerra rende per il momento provvisorio e del tutto formale - di unadiocesi devastata dalla guerra e oppressa dalla carestia, mentre le forzeviscontee continuano a stazionare nei dintorni aspettando l’occasione diriconquistare la città. Fra il giugno e l’agosto del 1374 Vercelli è messasotto assedio da Bernabò e Galeazzo78, e il vescovo si trova in grandedifficoltà finanziaria. Il contributo in personis et pecuniis auspicato dalpapa dai centri con cui il Fieschi si è da poco riconciliato, Santhià eBiella79, se mai fornito, è comunque insufficiente, e il papa finisce perconcedergli i proventi del luogo di S. Germano che spettavano all’aba-te di S. Andrea di Vercelli, rimosso per la sua adesione a Galeazzo80,mentre nel contempo si rivolge a vari interlocutori, fra cui il conte diSavoia, chiedendo di fornire grano al Fieschi81.

Simili trattative continuano freneticamente fino all’estate del 1375,ma pur in una situazione tanto difficile il vescovo non rinuncia alle miresulla città di Genova: nei primi giorni di dicembre del 1374 lo si ritrovanuovamente nei pressi della città con tanto di armati al seguito, e il papaè costretto a ordinargli di recedere dai suoi intenti, considerati i danni

77 Lettera del 2 maggio 1375 ad Amedeo conte di Savoia perché “casu quo ille ali-qua loca velit hostium ecclesiae obsidere, licet homines locorum forsan affectare subdominio dictis comitis permanere nolis ipsa recipere, maxime cum nostrae intencionisexistat tibi similiter in casu simili per dictum episcopum facere observari” (Grégoire XI.Lettres secrètes relatives a la France, n. 3681).

78 Grégoire XI. Lettres secrètes, nn. 2724-5 e 3462.79 Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 2401.80 Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 2717; più avanti i beni dei ribelli saranno utiliz-

zati per assicurare alla causa della chiesa nuovi aderenti, ai quali si promette “bonaimmobilia, possessiones, jurisdictiones, feuda, redditus, et alia quocumque nomine nun-cupentur et cujuscumque valoris que fuerunt confiscata rebellibus et excititiis civitatisvercellensis vel comitatus”: cfr. ivi, n. 2918.

81 Grégoire XI. Lettres secrètes relatives a la France, nn. 3440, 3489, 3493, 3498,3652.

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che ne deriverebbero per le trattative in corso nell’area lombarda per lafine della guerra82. Nella tarda primavera del 1375 la guerra si avviaeffettivamente al termine: nel maggio del 1375 il papa affida al Fieschiil governo della città di Vercelli e nei mesi successivi si approda ad unatregua di un anno, fino al 4 giugno 137683. Con la pace siglata il 19luglio 1376 si conclude ufficialmente la guerra tra la lega e i Visconti84.

Il nodo più difficile affrontato durante i negoziati riguarda proprio ildestino dei territori su cui la chiesa eusebiana esercita la propria signo-ria, o comunque rivendica il diritto di esercitarla. Il vescovo, infatti,coglie quest’occasione per attribuirsi la giurisdizione non solo su Biellae Santhià, ma anche su Vercelli. Con l’armistizio il legato pontificio erastato incaricato di decidere l’attribuzione di questi e di altri centri con-tesi, e la sentenza è preceduta da un’approfondita indagine tesa a verifi-care chi fosse il legittimo detentore della giurisdizione su di essi. PerSanthià e Biella si arriva ad una risoluzione certa in tempo per la stesu-ra della pace: esse appartengono al temporale della chiesa vercellese ecome tali vengono restituite al vescovo. L’attribuzione definitiva diVercelli, invece, è prorogata ad un anno dopo la pubblicazione dellapace, per lasciare tempo al vescovo di dimostrare i suoi diritti sulla città:in caso ci riesca Vercelli tornerà comunque nelle mani dei Visconti, maquesti la terranno dietro investitura vescovile, e pagando un censoannuo stabilito dallo stesso legato85.

Le fortune del Fieschi, tuttavia, precipitano subito dopo drammati-camente. Nel 1377 esplode infatti una nuova e decisiva ribellione con-tro la signoria episcopale, di cui non sono ancora ben noti i confini, ma

82 Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 3024.83 Grégoire XI. Lettres secrètes, n. 3306, e lettera al popolo della città di Vercelli per-

ché obbedisca al vescovo Fieschi e ai suoi ufficiali, n. 3307; per la tregua: ivi, n. 3385.84 AST, Materie politiche, Trattati diversi, m. 1, doc. 33.85 La pace specifica nei minimi particolari l’iter da seguire nell’anno di proroga:

entro tre mesi dalla pubblicazione il cardinale dovrà prendere sotto la sua custodiaVercelli e le terre della diocesi ad essa collegate che al tempo della guerra erano sottoGaleazzo. Se non potrà governarle personalmente entro i due mesi successivi devenominare al suo posto un uomo di provata fede; l’incarico del governatore temporaneodurerà un anno, trascorso il quale Vercelli e le terre ad essa collegate (fatta eccezione perBiella e Santhià che appartengono alla chiesa) torneranno definitivamente ad Azzone,figlio di Gian Galeazzo Visconti. Entro tale data, inoltre, si stabilisce che le due parti cit-tadine degli Avogadro e dei Tizzoni dovranno essere pacificate.

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che coinvolge alcuni dei principali centri come Andorno, Masserano esoprattutto Biella. In quest’ultima località la rivolta culmina con l’im-prigionamento del vescovo e il saccheggio del castello episcopale, cuifarà seguito la dedizione della città al conte di Savoia86.

Dopo questa vicenda Giovanni Fieschi si trasferirà a Roma, nomina-to cardinale da Urbano VI il 18 settembre 1378 nell’ambito del proces-so di rinnovamento del collegio cardinalizio promosso da questo papa87,anche se ciò non significherà un suo totale estraniamento dalle vicendedella diocesi vercellese: l’11 novembre 1380 - “ut fideles dicte ecclesienunquam possint dicere sese derelictos fore ab eorum domino” - lo ritro-viamo nuovamente in alta Italia, intento a scrivere una lettera indirizza-ta agli uomini e al comune di Verrua, lettera che esordisce significativa-mente con le parole “circa recuperantiam terrarum et locorum nostreecclesie Vercellensis”. Le complicazioni dello scisma rendono difficileoffrire informazioni precise sulla fine del suo episcopato. Fin dal 1379,mentre il Fieschi è ancora in vita, è infatti attestato quale vescovo diVercelli anche Giacomo Cavalli, nominato dall’antipapa Clemente VII.L’indizio più determinante della morte di Giovanni è la nomina da partedi papa Urbano VI a vescovo di Vercelli - sempre ancora attivo il Cavalli- di un suo parente, Ludovico Fieschi, il 20 giugno 138388.

c) Le cause per il recupero dei redditi e le loro ripercussioni documentarie

E’ su questo sfondo tormentato che va valutato lo sforzo del vesco-vo Giovanni di impegnarsi anche per via giudiziaria nel recupero dei

86 L’interrogatorio dei biellesi coinvolti nella vicenda, su registro cartaceo dal titolo“Liber bonorum robatorum in castro de Flischo”, è edito in Carte, II, doc. 424, pp. 461-535, e si trova in ASB, Comune, s. I, b. 9, f. 22. All’epoca risulta podestà di Biella Pietrodi Loranzé dei conti di S. Martino, mentre un doc. del 1378 attesta Ibleto di Challantcapitano “ville et terre Bugelle”: cfr. Prestiti, docc. 248 e 250.

87 Sulla politica di Urbano VI, tesa a promuovere un profondo rinnovamento del col-legio cardinalizio, vedi il saggio, in fase di pubblicazione, di F. CENGARLE, I Visconti,signori di Milano, e lo scisma, relazione tenuta al convegno Avignon/Rome, la Papautéet le Grand Schisme. Langages politiques, impacts institutionnels, ripostes sociales etculturelles (13 – 15 novembre 2008).

88 Cfr. sopra, n. 48, nonché FERRARIS, La pieve di S. Maria di Biandrate cit., p. 292n. 11. L’atto del 1380 è in AST, Protocolli Camerali, n. 405, f. 154r.

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redditi della chiesa89, proseguendo con particolare energia gli interventigià avviati dai suoi predecessori. Nel marzo del 1349 il vescovo vieta lavendita di beni ai forestieri a Chiavazza: le sempre più frequenti aliena-zioni di terre a individui che non risiedevano nel luogo “cum tota suafamilia fovendo larem” rendevano sempre più difficile la percezione deifodri e degli altri oneri. Le motivazioni addotte per giustificare il prov-vedimento svelano inoltre che questo problema non riguardava solo lalocalità di Chiavazza: a causa di queste acquisizioni nei luoghi apparte-nenti al vescovo e alla chiesa eusebiana “confunduntur limites suarumterrarum”90. Sotto il suo episcopato si apre inoltre tutta una serie dicause: con gli abitanti di Villareggia per i mulini, con il comune diBiella per le gabelle, con la comunità di Trino per le decime, perfino conil clero vercellese e il suo stesso capitolo, protagonisti di una decisa ealla fine vittoriosa resistenza di fronte al tentativo vescovile di sottoporlia tassazione in base all’estimo91.

89 A margine è interessante notare che contemporaneamente a quanto accade inambito vescovile anche il capitolo, fra il 1351 e il 1353, sotto la guida di canonici par-ticolarmente attivi come Alcherio di Montiglio e Ludovico di Castellengo, al contempovicari vescovili, provvede a ridefinire alcune situazioni patrimoniali poco chiare in alcu-ne località della diocesi; la principale sembra essere quella che coinvolge il comune diMasserano, responsabile del mancato pagamento di alcuni redditi (cfr. ACV, cart. 42 e43).

90 ASB, Chiavazza, b. 224, doc. del 16 marzo 1349: “attendens quod per acquisitio-nes terrarum et possessionum quas sepius faciunt extranei et forenses in locis suis quo-rum non sunt habitatores nec incole fodra et alia onera ab ipso domino episcopo impo-nenda pro ipsis terris acquisitis difficilius exiguntur ab ipsis forensibus quam ab habita-toribus eorundem, et quod propter huiusmodi acquisitiones alienationes et contractusterrarum et villarum ipsius domini episcopi et ecclesie Vercellensis confunduntur limi-tes suarum terrarum, pro evidenti comodo et utilitate sua episcopii et ecclesieVercellensis et eciam pro utilitate suorum comunis et hominum Clavatie diligenti etmatura deliberatione premissa tenore huius publici instrumenti statuit voluit precepit etdecrevit que ab hodie in antea vigore presentis statuti sive huiusmodi publici instrumentinulla persona undecumque sit et cuiuscumque conditionis sit preterquam de Clavatia ethabitans in Clavatia in ipso loco Clavatie cum tota sua familia fovendo larem possitdebeat aut presumat publice nec occulte emere quovis titulo nec acquirere in loco curteet territorio Clavatie ab aliquo de ipso loco Clavatie comuniter vel divisim terras pos-sessiones seu iura aliqua immobilia”.

91 Delle contese per i mulini con gli abitanti di Villareggia nel 1366 e per le decimecon la comunità di Trino nel 1367 rimangono solo testimonianze indirette: i regesti sul-l’inventario, edito, fatto compilare a fine Cinquecento da Mons. Bonomi fanno riferi-mento a documenti oggi non più presenti in archivio (ARNOLDI, Carte dell’archivio arci-

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Una in particolare fra queste cause sarà determinante per i destini delvescovo, ed è quella che accompagna lo scontro feroce e prolungato conil comune di Biella, accusato di gestire illegittimamente la gabella delsale e il dazio del vino, e al contempo di ostacolare il vescovo nel suodiritto di succedere a chi moriva senza legittimi eredi: diritto la cuirivendicazione, in epoca di peste e quindi di forte incremento nel nume-ro di decessi, si rivelava particolarmente utile e redditizia92. La volontà

vescovile, doc. 95, pp. 393-452, a p. 412-13 n. 1 per Villareggia, p. 434 n. 178 perTrino). L’ultima causa si prolunga molto, tanto che nel 1374 la comunità si risolve a cer-care sostegno, con successo, presso la curia papale: cfr. Grégoire XI. Lettres secrètes, n.2822 (dalla lettera del 9 agosto 1374 sembra che il vescovo fosse in causa per le stesseragioni con altre due comunità della zona, Livorno Ferraris e Bianzé). La causa con icanonici, cominciata probabilmente già nell’ottobre del 1349 e conclusasi nel 1352, sitrova in ACV, in parte fra gli atti vescovili, cart. 22 (docc. del 2 maggio e 14 maggio1352 e del 27 febbraio 1353); in parte fra gli atti privati, cart. 42 (docc. del 30 ottobre1349 e del 30 maggio 1352). La causa con Biella, edita, comincia nel 1349 ed è quasiinteramente contenuta in un rotolo di pergamena che riporta le diverse fasi della dispu-ta e i documenti citati a sostegno dall’una e dall’altra parte, in ASB, comune, s. I, b. 7,f. 2, edito in Carte, II, doc. 286 (vedi anche ASB, Raccolta Torrione, b. 17, f. 14).

92 Due sono le principali epidemie di peste attestate nel Vercellese. La prima nel1349: nel settembre di quell’anno il comune di Milano vieta agli abitanti della diocesivercellese, come a quelli di Brescia, Como, della diocesi di Bergamo, della Valcamonicae della Valtellina di recarsi a Milano (Carte, II, doc. 306; vedi anche ivi, docc. 294 e305). La seconda ondata è del 1361, probabilmente ancora più intensa della prima: cfr.A. BARBERO, Una fonte per la demografia torinese del basso medioevo: l’elenco deimembri del consiglio di credenza, in «Bollettino Storico-Bibliografico Subalpino», 87(1989), pp. 221-233, sp. p. 232, e Protocolli notarili vercellesi del XIV secolo. Regesti,a cura di A. COPPO-M.C. FERRARI, Vercelli, 2003, doc. 345, p. 137. Il diritto di succede-re ai morti senza legittimi eredi era già stato rivendicato dai due predecessori diGiovanni, Lombardo della Torre ed Emanuele Fieschi, ma in entrambi i casi i vescoviavevano rinunciato ad esercitarlo accettando un compromesso con il comune di Biella,che si impegnava a versare una somma pari a 2000 fiorini (per il primo vedi doc. del 19maggio 1340 in Carte, II, doc. 241, per Emanuele vedi doc. del 2 luglio 1348 in Carte,II, doc. 282). Nel Trecento l’esercizio di questo diritto e la conseguente dura reazionedelle comunità sembra essere un leit motiv anche in ambito laico: per restare nelVercellese, nel 1344 si apre una causa su questa questione fra i Bulgaro e il comune diTrivero (cfr. ASB, Bulgaro, m. 4, doc. 46 del 26 marzo 1344), mentre gli studi diAlessandro Barbero sul tuchinaggio mostrano che anche nel Canavese le rivolte antino-biliari della seconda metà del XIV secolo hanno fra i principali obiettivi proprio lalibertà dallo ius successionis: cfr. A. BARBERO, La rivolta come strumento politico dellecomunità rurali: il Tuchinaggio nel Canavese (1386-1391), in Linguaggi politicinell’Italia del Rinascimento, a cura di A. GAMBERINI e G. PETRALIA, Roma 2007, pp.245-266, e ID., Una rivolta nobiliare nel Piemonte trecentesco: il Tuchinaggio del

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di rivendicare ad ogni costo le successioni è sicuramente uno dei fatto-ri che più hanno pesato nel generalizzarsi del malcontento nei confron-ti del Fieschi: infatti, e per il contesto critico in cui avveniva il prelievoe per il coinvolgimento indiscriminato di tutte le fasce sociali, le rica-dute erano certamente più pesanti in questo caso rispetto a quelle indot-te dalle pretese vescovili sulle gabelle93.

L’analisi di uno dei due libri di investiture redatti durante l’episco-pato di Giovanni, che coincide con una delle due più intense epidemiedi peste attestate nell’area, spiega bene d’altra parte la pervicacia dimo-strata dal vescovo nel perseguire questo recupero94. Il volume, relativo

Canavese, in Rivolte urbane e rivolte contadine nell’Europa del Trecento. Un confronto,a cura di M. BOURIN, G. CHERUBINI, G. PINTO, Firenze 2008, pp. 153-196, in part. p. 170.

93 La percezione estremamente negativa dell’esercizio del diritto di succedere aimorti ab intestato, sentito come un autentico abuso, emerge costantemente dalle fonti:già al tempo del vescovo Lombardo, protagonista di un primo tentativo in questo senso,il comune sostiene che il diritto di successione “est res dubia […] et res quam plurimumodiossa”, e il suo esercizio ha l’unico effetto di spingere i familiari superstiti a nascon-dere i beni dei defunti (“superstites decedentium et iacentium bona celant, secrete reti-nent et ocultant, ipsi etiam decedentes omni conscientia et iuramentis pospositis modisomnibus quibus possunt”, cfr. Carte, II, doc. 238, p. 73); gli echi di questa concezionesi ritrovano non solo durante la pluridecennale causa del Fieschi con Biella, quando lacomunità non si limita più a una semplice resistenza passiva (cfr. sopra, n. 51), maanche, ad esempio, nei patti conclusi fra i Fieschi e la comunità di Masserano nel 1378,al termine della ribellione di quest’ultima: la prima condizione posta dalla comunità èproprio “quod domini non possint aprehendere nec tenere hereditates”. Cfr. Instrumentaconventionum sequta inter illustrissimos dominos de Flisco dominos Messerani accomunitatem et homines eiusdem, Varallo 1698, p. 9 (in AST, Paesi per A e B,Masserano, m. 5); vedi anche, sempre per il rilievo dato alla questione delle successio-ni, l’accordo fra vescovo Fieschi e comune di Biella del 21 gennaio 1373 (Carte, IV,doc. 39, p. 89).

94 Durante l’episcopato di Giovanni vengono redatti due libri di investiture. Il primocontiene documenti che vanno dal marzo del 1349 al dicembre del 1351, e riguarda leinvestiture feudali, cioè le investiture dei beni e diritti che le comunità e le famiglienobili della diocesi detengono dal vescovo. Il volume si trova in AAV, Investiture, m. 1,ed è parzialmente edito in ARNOLDI, Investiture: l’edizione infatti manca di 46 investi-ture solo recentemente ritrovate e reintegrate nel volume, e di altre 11 che risultano tut-tora irreperibili ma la cui esistenza è testimoniata dall’indice posto all’inizio del volu-me (cfr. l’analisi del documento condotta da Giuseppe Ferraris in Borghi e borghi fran-chi quali elementi perturbatori delle pievi, in Vercelli nel secolo XIII. Atti del primo con-gresso storico vercellese, Vercelli 1984, pp. 139-202, alle pp. 171-73). Il secondo librodelle investiture, che è quello che qui ci interessa, è inedito e contiene documenti dal 3novembre 1358 al 12 luglio 1363 (in AAV, Investiture, m. 2). Riguarda le cosiddette

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agli anni 1358-63, denuncia sin dal titolo - Liber investiturarum rura-lium et successionum95 - la sua attinenza con la questione che stiamotrattando, e basta scorrere la lunga serie di investiture ivi contenuta -parliamo di oltre duecento atti - per rendersi conto che buona parte delleterre nominate sono confluite nelle mani del vescovo in seguito allamorte “sine liberis” di qualche individuo, e ora si provvede a ricollo-carle con i vantaggi che possiamo immaginare in termini di possibilitàdi rafforzare vecchi rapporti o stringerne di nuovi96.

Spicca, a fronte delle tante località della diocesi nominate nelLiber97, la quasi totale assenza di investiture relative a biellesi, sia nelruolo di proprietari o destinatari di eredità confluite nelle mani delvescovo per l’esercizio del diritto di successione ab intestato, sia comeindividui che, entrati in possesso di terre ecclesiastiche per le vie più tra-dizionali come acquisto o dote, richiedono l’investitura vescovile neces-saria a legittimare la transazione. Dal momento che fonti coeve attesta-

investiture rurali - instrumenta investiturarum ruralium, recitano le intestazioni dei variregistri che lo compongono -, cioè le investiture di individui che sono entrati in posses-so a vario titolo di terre ecclesiastiche, e che ora provvedono a regolarizzare la situa-zione facendosi concedere la relativa investitura. La puntuale registrazione delle infor-mazioni relative al passaggio della proprietà terriera - se avvenuto in seguito ad acqui-sto, dote o altra modalità, l’eventuale somma versata dall’acquirente e il nome del pre-cedente detentore - ne fa una sorta di vero e proprio libro delle mutazioni.

95 La centralità assunta in quel torno d’anni dall’esercizio del diritto di successionesi misura anche dal semplice confronto con il titolo del volume di investiture ruraliredatto sotto il predecessore di Giovanni, Emanuele Fieschi, una decina d’anni addietro(1346), e quindi prima che la peste facesse la sua comparsa nel Vercellese con la gran-de epidemia del ‘48: quest’ultimo, per il resto del tutto identico al nostro liber nellaforma e nella struttura, si differenzia proprio per l’assenza nel titolo - Protocollum inve-stiturarum ruralium - di qualunque riferimento alle successioni (cfr. sopra, testo in corr.della n. 35).

96 L’occasionale sopravvivenza nell’archivio del vescovo di consegnamenti, informa di estratto o meno, relativi agli anni dell’episcopato del Fieschi fa inoltre pensa-re alla volontà di aggiornare frequentemente le informazioni sugli affittuari e le entrateche ci si poteva aspettare. Cfr. estratti di consegnamenti di Biella, 1351 e 1353, in AAV,Biella, cart. 1, doc. 13, e 1355 in AST, Paesi per A e B, Biella, m. 16, f. 1, e consegna-mento di Sordevolo, 1368, in AAV, Diversorum, m. 3, doc. 53.

97 Andorno, Asigliano, Bioglio, Camburzano, Chiavazza, Cigliano, Crevacuore,Curino, Flecchia, Graglia, Masserano, Mortigliengo, Mosso, Muzzano, Occhieppo,Pettinengo, Pollone, Saluggia, Sordevolo. In particolare sono i comuni dell’area nord-orientale della diocesi (Masserano, Bioglio, Crevacuore) a presentare il più alto nume-ro di eredità requisite dal vescovo.

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no una forte presenza fondiaria del vescovo a Biella, con un consisten-te numero di biellesi che annoverano fra le loro proprietà terre ecclesia-stiche98, si può giustificare la loro assenza dal libro delle investiturerurali supponendo da una parte che un’efficace resistenza abbia limita-to, a Biella, il numero dei casi in cui il vescovo è riuscito con successoad esercitare lo ius successionis99; dall’altra che il presule, data la ribel-lione dei biellesi nei suoi confronti, abbia deciso per ritorsione di nonconcedere loro l’investitura, evitando così di riconoscere ufficialmenteil possesso di terre ecclesiastiche. Quest’ultima ipotesi si accorda con ilfatto che anche il comune di Biella non risulta aver ricevuto regolareinvestitura dopo la nomina del vescovo - come invece accade per glialtri comuni soggetti alla signoria vescovile, puntualmente registratinegli atti di investitura degli anni 1349-51 -, e dovrà attendere per otte-nerla sino al gennaio del 1374100.

98 Parliamo degli estimi del comune di Biella: nell’archivio storico cittadino sonoconservati 33 registri anteriori al 1500, ognuno relativo ad uno degli otto quartieri citta-dini in cui era articolata la città. Le consegne, in particolare quelle relative ad abitantidei quartieri di S. Paolo e S. Pietro, fanno spesso riferimento alle proprietà ecclesiasti-che per le quali il titolare versava al vescovo un canone annuo: cfr. quartiere S. Paolo inASB, Comune, I, b. 8, doc. 295 del 1351; b. 304, doc. 7048 del 1382, e doc. 7042 s.d.;quartiere S. Pietro in ASB, Comune, s. I, b. 304, docc. 7040 e 7044, entrambi s.d.; quar-tiere S. Stefano in ASB, Comune, s. I, b. 304, doc. 7043, s.d. Su questa fonte vedi F.NEGRO, Prime ricerche sugli estimi del comune di Biella nel XIV e XV secolo, in«Bollettino Storico Vercellese», n. 62, 2004 (n.1), pp. 15-43.

99 La resistenza che i biellesi oppongono sin dall’inizio agli ufficiali vescovili è testi-moniata da un documento dell’11 maggio 1349, in cui il vicario Nicolò de Pigazanointima al console di Biella e alla comunità di non “impedire, molestare, impedimentumvel molestiam prestare” al procuratore vescovile incaricato di incamerare “hereditas,successio, seu bona hominum terre Bugelle decedencium sine liberis heredibus ex sedescendentibus” (Carte, II, doc. 286, p. 199). Un resoconto di come gli ufficiali delvescovo prendevano “corporalem possessionem” dei beni dei defunti, in questo casopuntigliosamente elencati al termine del documento, ivi, alle pp. 188-89, doc. del 10maggio 1349. Allo stato attuale delle conoscenze questo è il solo documento rimastocirelativo alla presa di possesso dei beni per l’esercizio del diritto vescovile di successio-ne: non è quindi possibile stabilire se la redazione di un documento in tali occasionifosse pratica consueta o piuttosto - dato che era in corso una causa giudiziaria fra comu-ne e vescovo - determinata dalla particolare criticità del momento (pochi mesi dopo, nelsettembre del 1349, il vescovo sembra limitarsi ad ordinare la consegna dei beni deldefunto, anche in questo caso elencati nel documento, al proprio castellano, cfr. ivi, doc.307, p. 268).

100 Cfr. Carte, II, doc. 407, p. 402 (12 gennaio 1374).

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Ma la vicenda che riguarda il comune di Biella è soprattutto emble-matica di come all’epoca del Fieschi la possibilità di mettere in praticaun’efficace gestione economica della diocesi non sia più solo questionedi rapporti fra il presule e la congerie di comunità famiglie enti a lui sog-getti, perché la congiuntura politica ha reso questi ultimi parte del giocopolitico condotto a livello più generale per il controllo del territorio dio-cesano. Il conflitto con i Visconti non condiziona l’operato del vescovosoltanto nei momenti di scontro aperto; ma anche, in modo latente, neiperiodi di pace, soprattutto nei primi anni del suo episcopato, quandoGiovanni Visconti non è soltanto signore di Vercelli, ma anche arcive-scovo di Milano, e dunque superiore gerarchico del Fieschi. Nella pri-mavera del 1350 lo scontro fra il vescovo e Biella non è ancora giuntoalla fase violenta, e il comune fa appello all’arcivescovo di Milano, chesubito si schiera in modo inequivocabile dalla parte dei biellesi. Un’altracausa intentata dal vescovo, quella a carico dell’arcidiacono e dei cano-nici del capitolo di Vercelli, ha un andamento analogo: tentativo delFieschi di imporre al clero vercellese il pagamento di una taglia, rifiutocategorico di quest’ultimo, e finalmente nel luglio del 1352 appello pre-sentato dai canonici alla curia arcivescovile di Milano. Risultato: anchein questo caso Giovanni Visconti condanna come totalmente illegittimele richieste vescovili, imponendo al vescovo la cessazione di ogni ini-ziativa contro i canonici101.

Queste vicende sono un bell’esempio di un dato che dobbiamo tenerpresente quando valutiamo il successo o l’insuccesso di una signoriaecclesiastica: per il Trecento, epoca in cui si verifica la crisi di diversesignorie episcopali e appare spesso evidente la difficoltà di reazione deiloro titolari, può essere utile ricordare i legami gerarchici in cui questiultimi si trovano coinvolti, un fattore in grado di condizionare profon-damente l’autonomia d’azione di un vescovo e di cui non si ha l’equi-valente nel caso dei concorrenti principati laici102.

101 Cfr. ACV, Atti vescovili, cart. 22, doc. 7 del 18 dicembre 1352; e per Biella sopra,n. 91.

102 Recentemente da più parti - dai lavori di Laura Baietto sui rapporti fra papato,vescovi e comuni (cfr. ad es. L. BAIETTO, Il papa e le città. Papato e comuni in Italiacentro-settentrionale durante la prima metà del secolo XIII, Spoleto 2007), al workshopche si è tenuto a Pistoia sul tema Chiesa e comune. Secoli XII-XIV - si è sottolineato apartire dai secoli XII e XIII il ruolo sempre più presente del papato nelle questioni che

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Da notare, per concludere questo accenno alle cause, che di nessunadelle due sapremmo nulla, se dovessimo basarci esclusivamente sull’ar-chivio del vescovo. Si sa che gli archivi non sono luoghi neutri: i pro-prietari dei documenti conservano quanto serve ai loro scopi e quindi,quando si tratta di atti processuali, si tende comprensibilmente ad avereun occhio di riguardo per le cause vinte, e a sperare in un rapido obliodi quelle finite male. Non stupisce quindi che la causa con il comune diBiella, vinta da quest’ultimo, sia reperibile nell’archivio di questa città,mentre della causa con il capitolo c’è traccia solo nell’archivio capito-lare.

d) La produzione documentaria del vescovo Fieschi fra continuità einnovazione: il problema del Libellus feudorum

Sul tipo di rapporto che i vescovi intrattengono con la documenta-zione - sia quella di cui sono direttamente responsabili sia quella eredi-tata dai loro predecessori - influiscono non solo le necessità gestionali eamministrative della diocesi, ma anche pressanti esigenze di “autorap-presentazione delle Chiese vescovili in relazione alle situazioni politi-che locali”, per usare le parole di Maria Clara Rossi103. Una riflessioneche può risultare molto utile anche per guardare al caso vercellese. Allagenerale messa in forse dell’autorità vescovile, infatti, possiamo ricon-durre l’insistito richiamo del presule eusebiano al potere imperiale comefonte legittimante dei propri diritti - richiamo sicuramente rivolto, oltrealle comunità riottose della sua diocesi, anche a quei poteri principeschicosì attivi nell’area diocesana. Durante la causa contro Biella il Fieschisottolinea spesso l’origine delle sue prerogative “ex imperiali privile-gio”, formula che ai suoi occhi è ben lontana dall’essere una meradichiarazione di principio o una retorica ormai svuotata del suo sensooriginario.

Significativa a questo proposito la decisione di chiedere nel 1365

interessano la politica locale dei vescovi, con sviluppi ed esiti non di rado inaspettati seli si affronta in un’ottica tradizionale di contrapposizione chiesa/comune.

103 M.C. ROSSI, I notai di curia e la nascita di una “burocrazia” vescovile: il casoveronese, in Vescovi medievali cit., pp. 73-164, a p. 74.

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all’imperatore Carlo IV, dopo che questa pratica si era interrotta datempo, un diploma di conferma dei diritti e possessi della chiesa euse-biana. Conferma che non si limita a richiamare genericamente tutte leconcessioni precedentemente accordate, com’era consueto in questicasi, ma allinea incorporandole nel documento le trascrizioni di buonaparte dei più ampi diplomi concessi ai presuli eusebiani da Ottone IIIfino al Barbarossa: è come se con questa operazione il vescovo avessevoluto ottenere una seconda emanazione di quei documenti, la garanziapiù alta della loro ancor piena validità e attualità, il che gli avrebbe per-messo di porsi, nei confronti di tutti i poteri concorrenti, quale unico elegittimo detentore dell’eredità in essi contenuta104.

Lo stesso approccio consapevole e attento dimostrato verso i docu-menti del passato si ritrova nella documentazione di cui il Fieschi èdirettamente responsabile: il suo progetto di rafforzamento istituziona-le, infatti, prevede la creazione di un articolato sistema di scritture capa-ce di sostenerlo105. Non tutto l’originario complesso di scritture è rima-sto a nostra disposizione: in parte lo si trova ancora fra la documenta-zione d’archivio, in parte lo ricostruiamo dalle frequenti annotazionipresenti all’interno dei documenti, che rimandano a registri ormaiperduti106. Gli assi portanti di questo sistema, per quanto ci è dato diconoscere, erano costituiti da una parte dai già citati libri delle investi-ture, dall’altra da una tipologia documentaria, i libri dei redditi, che si

104 Che l’inserimento del transunto dei diplomi sia una peculiarità del vescovo diVercelli sembrerebbe confermato dal confronto con un altro diploma concesso dallostesso Carlo IV al vescovo d’Acqui Guido d’Incisa (1342-73) nel 1364, che pur con-templando ampi riferimenti ai diplomi precedenti non ne riporta il testo: cfr. R. PAVONI,Le carte medievali della chiesa d’Acqui, Genova 1977, doc. 279.

105 L’importanza rivestita dalla documentazione nella politica vescovile si misuraanche da quanto accade nel 1377, quando si assiste ad una serie di rivolte in vari centridella diocesi e, come dimostrano i casi ben documentati di Biella e Masserano, l’assal-to della popolazione ai castelli vescovili ha fra i suoi fini l’asportazione e la distruzionedi materiale documentario (per Biella vedi sopra, n. 91; per Masserano vedi Instrumentaconventionum sequta cit., p. 11).

106 Ad esempio nei libri dei redditi abbiamo riferimenti ad un libro contrassegnato dauna D (cfr. ad es. f. 12r), e ai “synodalia”, probabilmente volumi che ospitavano princi-palmente i prelievi sotto forma di cera (“positi sunt inter synodalia”, cfr. ad es. f. 94r,“positi in synodalibus” al f. 29r). Cfr. sotto, n. 125.

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pone nei confronti del panorama archivistico precedente con una caricainnovativa ancora maggiore107.

Che i libri dei redditi, i libri delle investiture e la congerie di scrittu-re preparatorie che li supportano siano l’esito di un unico progetto loprova un documento specifico che abbiamo già incontrato parlando delvescovo Emanuele, il cosiddetto Libellus feudorum. Questo agile fasci-coletto è ben più di quello che la sintetica definizione appena citatalascerebbe pensare: articolato in due sezioni distinte, contempla nellaprima un elenco dei circa 300 vassalli della chiesa vercellese, nellaseconda l’elenco dei redditi che le comunità della diocesi debbono alvescovo108. Il nesso del Libellus tanto con il libro delle investiture deglianni 1349-51 quanto con i libri dei redditi è evidente, come dimostra lagenerale corrispondenza delle voci: la redazione dell’uno e degli altri èinfatti prefigurata dalle due sezioni del fascicolo, che ne costituisconouna sorta di indice.

Alcune lievi ma precise differenze di contenuto, pur non negandoaffatto la stretta parentela fra il Libellus e i libri delle investiture e deiredditi, suggeriscono tuttavia per questi ultimi un momento redazionalevicino ma distinto, giustificando il dubbio che la redazione del Libellus

107 I libri dei redditi rimangono un punto di riferimento anche per i successori delFieschi. In fondo al volume contenente i libri degli anni ‘50 sono stati posizionati duran-te un restauro dei fascicoli con l’elenco in copia dei redditi e dei locatari della chiesanella località di Santhià: in una nota il cancelliere vescovile Amedeo Turriglia, attivonegli anni trenta del XV secolo sotto Ibleto Fieschi, attesta di aver estratto questi docu-menti dall’archivio di Masserano “in quo sunt libri e scripture domini episcopi et eccle-siae Vercellensis quorum unum incipit in primo folio non rupto: item […] de comuneAndurni”. Questa descrizione, come suggerisce il richiamo al contenuto del primofoglio, fa con ogni probabilità riferimento ad uno dei libri dei redditi compilati al tempodel Fieschi.

108 Si presenta come un fascicoletto alto e stretto, dal titolo coevo Libellus feudorumecclesie vercellensis. Da f. 1r a f. 5v contiene l’elenco dei vassalli, preceduto dalla dici-tura “Inferius continentur nomina vassallorum domini episcopi et ecclesie Vercellensispro terris et aliis qui tenentur in feudum ab ipso d. episcopo et ecclesia Vercellensi”; daf. 6r, introdotto dalla titolatura “Inferius continentur fodra et ficta ecclesie Vercellensis”,vi è l’elenco dei fodri e degli affitti organizzato per località. In occasione del restauro èstato rilegato assieme al libro delle investiture di Giovanni Fieschi degli anni 1349-51.Entrambi si trovano quindi in AAV, Investiture, m. 1. Il documento è edito in FERRARIS,Borghi e borghi franchi cit., pp. 172-196, ma segnaliamo che l’edizione non riporta ilcontenuto dell’ultimo foglio del fascicolo (12r) in cui sono contenuti i redditi del vesco-vo in Balzola e Casale.

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non sia da attribuire a Giovanni ma piuttosto al suo predecessore,Emanuele Fieschi. La questione era già stata posta in un precedente con-vegno vercellese - quello dedicato alla Vercelli del XIII secolo -, doveGiuseppe Ferraris, a margine del suo contributo, offriva l’edizione delLibellus e al contempo proponeva alcune riflessioni in merito al conte-sto della sua redazione: sul fatto che il documento fosse da attribuire allametà del Trecento e, data la rispondenza fra i nomi degli individui cita-ti nell’uno e nell’altro, fosse da porre “in stretta correlazione” con illibro delle investiture degli anni 1349-51 non vi erano dubbi; mentrel’attribuzione all’uno o all’altro vescovo rimaneva a parere dello stu-dioso una questione aperta109. Oggi, la possibilità di mettere in relazio-ne il Libellus non solo col libro delle investiture, ma anche con i libri deiredditi, e il suo inserimento nel contesto più ampio della documentazio-ne prodotta dai due vescovi, permette di fare un passo in più nella solu-zione del quesito e dei problemi ad esso sottesi110.

L’attribuzione del Libellus a Emanuele piuttosto che a Giovanniappare giustificata dalle già richiamate differenze di contenuto fra le duesezioni del fascicolo e i corrispettivi libri dei redditi e delle investiture.Per quanto riguarda queste ultime, come rilevato da Ferraris, nei libricompaiono in alcuni casi gli eredi degli individui censiti nel Libellus, ilche nell’opinione dello studioso lasciava intendere che la distanza fra laredazione dei due documenti fosse superiore ai tre mesi che si sarebbecostretti a porre come limite nell’ipotesi che entrambi fossero da attri-buire all’episcopato di Giovanni111. In realtà il breve lasso temporale fraredazione del Libellus e inizio del libro delle investiture non è così pro-

109 FERRARIS, op. cit., p. 169-70.110 Il problema dell’attribuzione del Libellus non è di poco conto per il tema che stia-

mo trattando, perché investe il tema dei fattori che nel caso vercellese hanno potuto nonsolo agevolare, ma persino rendere possibile il rinnovamento delle prassi documentarieche osserviamo sotto Giovanni Fieschi: la durata in carica del presule in relazione aitempi di lavoro dell’apparato amministrativo della diocesi, la continuità del personale dicuria, capace di travalicare le cesure imposte dall’alternarsi dei vescovi, gli interessifamiliari come elemento di stabilità nelle politiche delle diocesi.

111 Giovanni Fieschi sale in cattedra il 12 gennaio 1349 (fino a quel momento, “epi-scopali sede Vercellensi vacante”, fa le veci del vescovo il vicario generale Eusebio deDionigi, cfr. Carte, II, doc. 285 del 12 gennaio 1349), mentre la prima investitura effet-tivamente realizzata e riportata nel libro delle investiture risale ai primi di marzo dellostesso anno. Cfr. FERRARIS, Borghi e borghi franchi cit., pp. 169-70.

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bante, perchè se l’elenco di vassalli contenuto nel Libellus fosse statocompilato dal personale di Giovanni sulla base del materiale - vecchielenchi o singole investiture - presente in archivio, eventualità del tuttoplausibile in un documento preparatorio, il presentarsi a pochi mesi didistanza degli eredi di alcuni degli individui censiti non suonerebbe poicosì anomalo.

Più significativa è la discrepanza che si riscontra fra il Libellus e iLibri reddituum, per quanto riguarda i redditi percepiti dal vescovo nellevarie località della diocesi. Si tratta di variazioni che interessano l’orga-nizzazione delle voci all’interno dei registri, nel probabile tentativo dimigliorarne la fruibilità112; l’integrazione di alcuni censi o il lieve incre-mento di altri; e infine la mancanza nel Libellus della città di Vercelli,costantemente riportata nei libri dei redditi, nei quali, per contro, non èpiù riportata la località di Trivero113. Nel complesso piccoli aggiusta-menti, se si considera la generale rispondenza di impostazione fra i due

112 Nei libri dei redditi, a differenza di quanto accade nel Libellus, i redditi derivan-ti dai novalia, vale a dire le decime percepite sui terreni di più recente dissodamento, edall’affitto dei mulini costituiscono due voci a sé stanti; i proventi in cera, che nelLibellus sono censiti sotto ogni località, nei libri dei redditi sono ancor sempre segnala-ti come voci di reddito, ma per le annotazioni relative alla loro effettiva percezione sirimanda ad un altro registro (cfr. sopra, n. 106).

113 Nel Libellus sono segnalate 32 località, nell’ordine Andorno, Chiavazza,Zumaglia con Ronco, Bioglio, Mosso, Crevacuore, Coggiola, Curino, Masserano,Mortigliengo, Trivero, Vernato, Occhieppo, Pollone, Graglia, Muzzano, Camburzano,Mongrando, Salussola, Casaletum, Biella, Santhià, Asigliano, Palazzolo, Saluggia,Villareggia con Uliaco, Miralda, Cigliano, Moncrivello, Villanova prope Padum,Balzola, Casale (nel caso di Mongrando e Salussola i proventi del vescovo derivano daiconsortes del luogo). Nel caso di Vercelli sembra che l’inserimento della città nel librodei redditi, per i proventi di alcune “domos prope suum palacium que consueverunt darede fictu lbr 10 pp vel circa”, abbia più che altro un significato simbolico, dato che unodegli obiettivi del vescovo nello scontro che lo oppone in quegli anni ai Visconti è pro-prio la riconquista della città. Trivero, al contrario, è annoverata fra i redditi vescovilinel Libellus - dove risulta pagare un fodro pari a 300 lire - ma non compare più pochianni dopo, quando vengono redatti i Libri reddituum. Questa assenza, dopo cheEmanuele sembrava voler riaprire la questione ignorando la sentenza dell’arbitratovisconteo (cfr. sopra, testo in corr. della nn. 15-16), va forse spiegata come un sempliceinsuccesso: uno degli obiettivi a cui mira l’ampia azione di recupero della chiesa non èandato a buon fine. Il fatto che, dopo il 1335, Trivero non sia più in possesso degliAvogadro ma del comune di Vercelli, e quindi dei Visconti, rendeva certamente piùardua l’impresa.

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documenti: ma è chiaro che giunti al punto di redigere concretamente ilibri dei redditi parte delle informazioni contenute nel Libellus erano inqualche modo superate, e si procedette ad aggiornarle. E infatti la reda-zione del primo libro dei redditi non è avviata, come quello delle inve-stiture per il quale la corrispondente sezione del Libellus costituiva giàuna base di lavoro adeguata, all’inizio dell’episcopato di Giovanni, matre anni dopo, nel 1352.

Ora noi sappiamo che durante questo intervallo il vescovo procedet-te a raccogliere nuove informazioni sui redditi da percepire nelle diver-se località, il che spiega le differenze riscontrate fra il Libellus e i libridei redditi. Da un documento redatto in occasione di una di queste veri-fiche, l’unico finora reperito, emerge che nel 1350 Giovanni Fieschiordina ai suoi ufficiali di registrare “omnes terrae, possessiones, ficta etredditus et proventus quos et que episcopium et ecclesia Vercellensishabet et tenet in loco curte et territorio Cassalis tam citra Padum quamultra Padum”, verificando così l’effettiva consistenza delle entrate inCasale114. Questo documento ci fornisce l’anello mancante fra il datoriportato nel Libellus - dove risulta che in Casale il vescovo percepisce480 lire pavesi - e quello, definitivo, riscontrabile nei libri dei redditi,pari a 461 lire e 1 soldo pavesi. I tre elementi - dato del Libellus, che iredattori del libri dei redditi hanno sotto mano, necessità del suo aggior-namento, e dato finale in seguito alla verifica - sono messi in relazionee sintetizzati sotto la voce “Casale” del primo liber reddituum del1352115.

114 Cfr. sotto, testo fra le nn. 120-21.115 Cfr. Libro dei redditi del 1352, f. 19v. La voce Casale nel Libellus recita “In

Casale Sancti Evasii habet dominus episcopus de ficto pro certis terris vallis Padi et pra-tis circa Padum et portu et curadia et quadam domo que est in claustro canonicum etscallo palacii libras 480 vel circa et consuevit habere ulterius”. La scrittura della vocecorrispondente nel libro dei redditi del 1352 si presenta sbiadita in alcuni punti, ma sidistinguono con chiarezza i punti essenziali: tutta la prima parte, fino a “libras 480”, ècopiata dalla voce del Libellus (cfr. ivi, f. 12r); qui interviene un primo aggiornamentoche sostituisce alla frase “et consuevit habere ulterius” una cifra precisa, 507 lire. Inseguito abbiamo un ulteriore aggiornamento che è il risultato della verifica del 1350: acausa di un danno, forse un’esondazione, arrecato dal Po a quelle terre “diminuitum estfictum”, ora pari a 461 lire pavesi e 1 soldo (cfr. libro dei redditi del 1352, f. 19v).

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Il fatto che l’inchiesta a Casale si collochi cronologicamente fra laredazione del Libellus e quella dei libri dei redditi si accorda moltomeglio con l’ipotesi che il vescovo Giovanni abbia ereditato uno stru-mento già confezionato, il Libellus, e abbia provveduto, prima di usarlocome base per la redazione delle scritture amministrative, ad aggiornar-lo dove necessario, piuttosto che immaginare una situazione in cui lostesso vescovo decide non appena nominato di far approntare un elencodei redditi da percepire in ogni località, e poi lo lascia inutilizzato pertre anni, promuovendo nel frattempo un ulteriore censimento delle pro-prietà ecclesiastiche.

Chiarito che il Libellus venne con ogni probabilità commissionato daEmanuele Fieschi, e che Giovanni Fieschi, proseguendo l’azione del suopredecessore, lo integrò con nuove ricognizioni prima di fondare suidati in esso contenuti la redazione d’una tipologia documentaria deltutto nuova per la diocesi vercellese, quali i Libri reddituum, possiamoora procedere all’analisi di quest’ultima fonte.

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PARTE SECONDA

I Libri reddituum di Giovanni Fieschi

II. 1. La natura della fonte

Conoscere con precisione l’entità dei possessi e dei redditi annuali diuna mensa vescovile è nella maggior parte dei casi - e non solo in quel-li ormai entrati nel dominio esclusivo degli storici - un’impresa conscarse possibilità di successo. Per l’epoca medievale non si tratta solo diconservazione delle fonti, oppure della possibilità di accedervi, maanche della loro fruibilità in questa prospettiva, alla luce dei fini con cuisono state redatte. È nota in proposito - e gli studi di Francesco Panerolo hanno dimostrato per il caso vercellese116 - l’ambiguità dei diplomiimperiali, strumento principe per conoscere l’entità dei possessi vesco-vili nell’alto medioevo. La generosità con cui elargiscono ordinati elen-chi di località e diritti si rivela spesso ingannevole, e non solo nel casoprevedibile dei falsi. Anche per i documenti immuni da ogni sospetto èpossibile che il riscontro sulla documentazione coeva faccia emergere illoro carattere programmatico: di documenti, cioè, che sono sì espres-sione di un reale stato di cose, ma anche delle ambizioni politiche - benlontane dall’essere già realizzate - dei loro autori.

La documentazione economica del Trecento vercellese permette, inlinea eccezionale, di ovviare a questa situazione, grazie alla conserva-zione dei Libri reddituum voluti da Giovanni Fieschi: una serie di regi-stri progettati per ospitare non solo una ricognizione dei redditi episco-pali nelle varie località della diocesi, ma anche l’annotazione puntualedella loro riscossione, permettendo così di misurare anno per anno loscarto fra teoria e pratica (fra quanto, cioè, si prevedeva di incamerare e

116 F. PANERO, Una signoria vescovile nel cuore dell’Impero. Funzioni pubbliche,diritti signorili e proprietà della Chiesa di Vercelli dall’età tardocarolingia all’etàsveva, Vercelli 2004, pp. 84-86, in part. p. 86; il concetto è esposto in sintesi già in ID.,I vescovadi subalpini: trasformazioni e gestione della grande proprietà fondiaria neisecoli XII-XIII, in Gli spazi economici della chiesa nell’Occidente mediterraneo (seco-li XII-metà XIV), Pistoia 1999, pp. 193-230, in part. p. 200.

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quanto poi, nel concreto, entrava nelle casse del vescovado), e questo inun momento molto particolare, come s’è visto, della storia della signo-ria vescovile vercellese.

L’arco cronologico coperto dalla fonte è circoscritto - parliamo di undecennio, gli anni Cinquanta del Trecento, e di un’isolata incursionenegli anni ‘70 dello stesso secolo, con il solo anno 1377 -, ma si trattadi anni decisivi per le sorti della signoria vescovile, sempre più costret-ta a misurarsi con l’intraprendenza di altri poteri attivi sul territorio dio-cesano e con l’effetto destabilizzante che ne derivava per il suo rappor-to con le comunità soggette. Con questo quadro politico i libri dei red-diti intrattengono un legame molto stretto: e anzi riflettono in modo sor-prendentemente preciso, sia nella cronologia della loro produzione sianell’evolversi dei contenuti, l’andamento del confronto, che proprio allafine degli anni Settanta volge decisamente a sfavore del vescovo.Questa rispondenza fra piano politico e piano documentario è dovuta alfatto che la dimensione della scrittura costituisce una componente diprimo piano nella reazione vescovile alla crisi di quegli anni: i Libri red-dituum non sono un’iniziativa isolata, ma si inseriscono organicamentein un sistema di scritture più ampio, la cui redazione come si è visto erastata progettata già al tempo di Emanuele Fieschi.

Analizzato questo aspetto, passeremo poi a considerare nello speci-fico il contenuto dei Libri reddituum: la qualità e la densità delle infor-mazioni accumulate in queste carte permette di offrire affondi in variedirezioni, dalla misurazione delle varie componenti dei redditi vescovi-li, ai meccanismi di riscossione dei censi e al personale adibito a questeoperazioni, fino all’articolazione del territorio diocesano nel suo com-plesso, del quale emergono in modo evidente i gangli economicamentepiù attivi.

Terzo aspetto interessante è la verifica della peculiarità del caso ver-cellese nel panorama documentario coevo. Già Robert Brentano, par-lando della sede vercellese nel Duecento, vi individuava un carattere dieccezionalità sotto il profilo documentario e amministrativo: “una dio-cesi - sintetizzava alla fine - in cui sembra che il governo ecclesiasticofosse eccezionalmente efficace”117. La possibilità di estendere questo

117 R. BRENTANO, Due chiese: Italia e Inghilterra nel XIII secolo, Bologna 1972 (ed.or. 1968), p. 118.

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giudizio al Trecento, e in particolare all’episcopato del Fieschi, è anco-ra da verificare, ma è indubbio che l’analisi dei Libri reddituum, tipolo-gia documentaria che rappresenta una novità di questo secolo, rappre-senta un passo in tale direzione.

II. 2. La redazione dei Libri reddituum

a) Dalle scritture preparatorie ai registri degli anni ‘50

Fra le due principali tipologie di documenti che rappresentano ilgrosso della produzione documentaria di Giovanni Fieschi - libri delleinvestiture e libri dei redditi -, sono probabilmente questi ultimi ad avernecessitato di un maggior investimento di energie da parte della curiavescovile. Il lavoro che precedette la redazione di questi registri, andan-do a integrare la sintesi offerta dal Libellus, è intuibile anche dal ritardocon cui venne intrapresa la loro redazione rispetto a quella del librodelle investiture118, ma rimarrebbe per noi del tutto ignoto se non fosseper il già ricordato documento relativo a Casale, miracolosamente scam-pato al naufragio che ha coinvolto la generalità delle scritture prepara-torie. Il registro fu compilato tra il sei e l’otto marzo del 1350, e puòdarci un’idea di quello che, una volta salito in cattedra il Fieschi e deci-sa la redazione dei libri dei redditi, dev’essere accaduto in diverse loca-lità della diocesi119.

Si tratta sostanzialmente di un consegnamento di terre, per nostrafortuna preceduto da un preambolo che ne esplicita epoca, modalità efinalità della redazione: è dalle informazioni qui contenute che ricavia-mo la parentela fra questa scrittura e i Libri reddituum. Il documentoconsiste nell’elenco di “omnes terrae, possessiones, ficta et redditus etproventus quos et que episcopium et ecclesia Vercellensis habet et tenetin loco curte et territorio Cassalis tam citra Padum quam ultra Padum”.

118 La prima investitura è del marzo del 1349, pochi mesi dopo la nomina del Fieschia vescovo di Vercelli, mentre il primo registro dei redditi è del 1352.

119 In AAV, Diversorum, m. 3, n. 72. Un parallelo, anche se su scala molto più ampia,dello stesso procedimento messo in atto dai funzionari vescovili vercellesi è inARCHETTI, Berardo Maggi vescovo e signore di Brescia cit., pp. 289-90.

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I possessi della chiesa al di qua del Po sono organizzati in tre grandiaree, definite “faxie seu pecie”, ognuna contenente poco più di un cen-tinaio di lotti. La descrizione delle coerenze di queste grosse aree, in cuicompare spesso il riferimento al Po, e il fatto che la seconda è chiama-ta “faxia de medio”, possono suggerire che esse raggruppino i possessia seconda della distanza dal fiume, un discrimine che forse determina-va, a parità di estensione, l’applicazione di affitti più o meno gravosi.

In ogni caso nel marzo del 1350 il vescovo incaricò il venerabilis virMartino Zumaglia, thessaurarius Bugellensis, e il casalese BertramoGrasso di organizzare la misurazione delle terre e la loro determinazio-ne con termini lapidei, operazione cui fece seguito in un secondomomento la consegna dei locatari - il documento registra per l’appuntooltre 300 casalesi -, comprendente il nome dell’affittuario, l’estensionedella terra a lui affidata e la somma in denaro che doveva corrisponde-re annualmente. La somma totale degli affitti registrati corrispondeeffettivamente a quanto segnato, nei libri dei redditi, sotto la voceCasale120. Sembrerebbe inoltre che l’intero procedimento sia stato con-dotto in accordo con il comune di Casale, rappresentato dai campari chefigurano come testimoni dell’atto121. Il tema della collaborazione frapersonale della curia e del comune nelle operazioni che riguardano iredditi ecclesiastici tornerà come vedremo anche nell’analisi del conte-nuto dei Libri reddituum, dove spesso gli ufficiali comunali figuranonelle stesse mansioni di raccolta e versamento dei prelievi altrove svol-te dai gastaldi vescovili.

120 E’ in questo documento che si specifica in calce all’introduzione la volontà di pre-levare i fitti anche per il 1349, anno in cui “nichil fuit solutum”, rafforzando l’ipotesiche il ritardo nella produzione dei registri fosse dovuto al tempo necessario per aggior-nare e integrare l’elenco di redditi forniti dal Libellus. Anche nel primo libro dei reddi-ti vi sono annotazioni relative a quelli non percepiti nel 1349 e nel 1351: cfr. libro deiredditi del 1352, f. 12r.

121 Casalesi sono anche il procuratore del vescovo, Bertramo Grasso, che nel primoregistro dei redditi figurerà come gastaldo di Casale (cfr. il registro del 1352, f. 19v), el’addetto alle misurazioni. Per contro si nota anche in questo caso la consistente prove-nienza biellese del personale vescovile, un dato già riscontrabile nel XIII secolo ma chenel Trecento si fa particolarmente evidente: il notaio redattore dell’atto è Jacobinus deValento de Bugella, mentre l’intera operazione è sovrintesa dal thessaurariusBugellensis Martino Zumaglia.

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Sulla base di consegnamenti come questo, e delle informazioni giàraccolte nel Libellus, venne redatto nel 1352 il primo Liber reddituum,che accorpa, comunità per comunità, l’insieme delle entrate previste.Vediamone brevemente la struttura interna, comune anche alle altresette registrazioni che ci sono rimaste, dal momento che furono appron-tate sulla falsariga di quella del 1352122. Il registro che serviva allariscossione dei redditi era preventivamente preparato elencando in suc-cessione per ognuna delle comunità censite, trentadue in tutto123, le vociindicanti i redditi percepiti, introdotte da un Item e disposte lasciandofra l’una e l’altra lo spazio necessario ad ospitare le annotazioni relati-ve ai pagamenti. Le varie categorie di censi seguono un ordine costan-te: prima i redditi in denaro - il fodro e parte degli affitti - poi i versa-menti in natura fra cui gli affitti ai privati, e la segnalazione di eventua-li diritti vescovili come il mercato e il pedaggio. Al termine delle loca-lità, in due sezioni a sé stanti, vi è l’elenco degli affitti dei mulini e quel-lo delle decime sui terreni di più recente messa a coltura.

Alcune delle conclusioni che è possibile trarre dall’analisi di questaenorme mole di informazioni saranno proposte più avanti (§ II. 3), men-tre ora ci soffermeremo sulla cronologia dei libri giunti fino a noi. Lediscontinuità e le anomalie che si riscontrano nella serie, come vedre-mo, non sono affatto casuali.

122 Solo alcuni aggiustamenti estetici - ad esempio il riquadro che incornicia i nomidei comuni posti a capo delle varie sezioni, mancante nel registro del 1352, oppureun’impaginazione più curata - differenziano il primo dai successivi registri, conferman-do al tempo stesso che il registro del 1352, mutilo nella parte iniziale, è effettivamenteil primo redatto.

123 Si tratta nell’ordine di Andorno, Chiavazza, Ronco con Zumaglia, Bioglio,Mosso, Crevacuore, Coggiola, Curino, Masserano, Mortigliengo, Vernato, Occhieppo,Pollone, Graglia, Camburzano, Mongrando, Salussola, Muzzano, Casaletum, Biella,Santhià, Asigliano, Palazzolo, Saluggia, Cigliano, Villareggia, Miralda, Moncrivello,Villanova, Balzola, Casale S. Evasio, Vercelli (nel caso di Mongrando e Salussola sitratta di redditi percepiti dai consortes del luogo, i Beglia nel primo caso, i de Grupponel secondo). L’ordine, fatta eccezione per rare inversioni fra due località che si susse-guono, si presenta immutato per tutti i registri tranne che per quello del 1377: per laspiegazione di questa differenza cfr. oltre, testo in corrispondenza della n. 135. Per ilconfronto con l’elenco del Libellus cfr. sopra, n. 113.

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b) La cronologia dei Libri reddituum

Delle otto registrazioni annuali dei redditi della mensa vescovileredatte sotto l’episcopato del Fieschi sette sono rilegate in volume ecoprono, con la sola eccezione del 1353, gli anni dal 1352 al 1359, men-tre la più recente, su fascicolo sciolto, riguarda i redditi del 1377124.Omogenei sotto il profilo formale come sotto quello contenutistico, iregistri fanno chiaramente capo a una medesima officina. La prima que-stione che si pone è, quindi, la ragione del divario cronologico che sepa-ra il blocco degli anni Cinquanta dalla registrazione isolata del 1377. Sitratta di una sospensione nella prassi di redazione dei registri o siamo difronte ad una perdita, casuale o voluta, di materiale documentario?

Diversi elementi, formali e contenutistici, ci permettono di scartarela seconda ipotesi a favore della prima: i registri ad oggi conservati nel-l’archivio arcivescovile rappresentano l’intero corpus prodotto in queidecenni, e lo iato che separa i due momenti corrisponde effettivamentead una sospensione nella prassi di registrazione dei redditi125.

124 Le registrazioni occupano dalle 17 alle 24 carte; in genere ogni fascicolo carta-ceo ne contiene due: le registrazioni del 1352 (24 carte) e del 1354 (20 carte, dal f. 26r)occupano il primo registro, di 44 carte; il secondo fascicolo, di 47 carte, contiene le regi-strazioni del 1355 (19 carte, dal f. 46r), del 1356 (19 carte, dal f. 55r) e una parte del1357 (18 carte, dal f. 86r); la registrazione del 1357 continua su un gruppo isolato diquattro carte, e termina con le prime 5 carte del terzo fascicolo (composto in tutto da 40carte), che per il resto ospita la registrazione del 1358 (17 carte, dal f. 104r) e 1359 (18carte, dal f. 120r). La differenza fra la somma delle carte che compongono le singoleregistrazioni (135 carte), e la numerazione del volume, che arriva a 138 carte, è dovutaalla perdita successiva alla rilegatura in volume delle carte 23, 80, 85. Il fascicolo del1377 è di 48 carte, ma la registrazione dei redditi occupa solo le prime 32 carte. Ledimensioni dei registri sono di circa 30,2 cm x 22,5 nel caso dei fascicoli degli anni ‘50,e leggermente minori, 29,2 x 22,5 cm nel caso del fascicolo del 1377.

125 Il registro citato da Giuseppe Ferraris nel suo studio relativo alla pieve di S. Mariadi Biandrate, nonostante l’autore lo introduca come liber reddituum mensae episcopa-lis, a giudicare dal passo estrapolato sembra essere cosa diversa dai registri qui analiz-zati. Potrebbe trattarsi di una delle scritture preparatorie compilate all’epoca di Gio-vanni Fieschi utilizzando anche materiale d’archivio (stando all’autore il registro sem-bra articolato in “capitoli” contenente i fitti di diversi vescovi, fra i quali si citano espli-citamente Lombardo della Torre e Giovanni Fieschi), o più probabilmente, dal momen-to che i passi citati si riferiscono tutti a redditi in cera, potrebbe trattarsi di uno dei regi-stri cui rimandano i libri dei redditi proprio in corrispondenza dei proventi in cera, alfianco dei quali si specifica che “positi sunt inter synodalia” (cfr. sopra, n. 106). Tuttavia

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Il primo indizio a favore dell’ipotesi di una sospensione nella reda-zione dei registri dal ‘60 al ‘76 sono le date dei pagamenti riportati suiregistri del volume. In nessun registro, che pure si riferisce sempre adun anno specifico, i pagamenti sono integralmente esauriti nell’anno incorso. Anzi in alcuni casi solo una modesta frazione ricade in questacategoria, mentre la maggior parte dei pagamenti è stata portata a ter-mine a rate con versamenti che risalgono agli anni successivi - si arrivafino agli anni Settanta - o non è stata per nulla effettuata126. Questosignifica che sin dall’inizio - i ritardi riguardano già il registro del 1352- qualcosa ha impedito la corretta riscossione dei censi, e vista l’impos-sibilità di portarsi in pari con i conti per l’accumularsi delle somme darecuperare si è deciso ad un certo punto di sospendere la redazione dinuovi registri e di concentrarsi su quelli già redatti.

Un altro elemento che conforta questa ipotesi deriva dai caratteriesteriori dei documenti. I fascicoli degli anni Cinquanta non si presen-tano più in forma sciolta, condizione che devono aver condiviso con ilfascicolo del 1377 per tutta la prima parte della loro esistenza, ma sonostati accorpati in un unico volume. L’epoca in cui si è proceduto all’o-perazione di rilegatura non è definibile in modo assoluto127, ma le osser-vazioni sul supporto materiale ci permettono comunque di dire che nonè stata coeva all’uso dei registri, e che al tempo stesso non dev’esserestata di molto posteriore.

una verifica diretta rimane impossibile dal momento che l’autore cita a partire da “mieiappunti archivistici di vecchia data”, senza fornire alcun riferimento archivistico: cfr. Lapieve di S. Maria di Biandrate cit., p. 32 (vedi anche p. 340).

126 Non sempre è presente la data del pagamento, ma proprio il fatto che non si siasentita l’esigenza di segnalarla può far supporre che questi casi siano da ricondurre conpoche eccezioni all’anno del registro su cui sono posizionati.

127 Non molti indizi derivano dalla copertina in pergamena. Le annotazioni ancoraleggibili con facilità rimandano al riordino dell’archivio vescovile promosso a fineCinquecento da Mons. Bonomi: una scritta, peraltro vergata senza troppa attenzione agliaspetti formali, ci informa che il contenuto riguarda Introitus ac redditus censuum epi-scopatus vercellensis, mentre le rimanenti annotazioni - n. 19 E 1352 - rimandano all’in-ventario prodotto in quell’occasione e alla relativa collocazione archivistica del docu-mento (cfr. ARNOLDI, Le carte dell’archivio arcivescovile, doc. 95 alle pp. 393-452, a p.114). Vi è però una seconda scritta chiaramente anteriore, ormai appena percepibile, chesenza alcuna pretesa d’importanza sia nelle dimensioni sia nella cura con cui è stataredatta fa ugualmente riferimento al contenuto del libro con la dicitura “liber censuumac reddituum […]”. Sul primo foglio di guardia, cartaceo, è riportato un frammento di

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L’elemento più significativo per la questione è la numerazione dellecarte dei registri, in cifre romane, che stabilisce un nesso evidente fra larilegatura in volume e la redazione del fascicolo del 1377. La numera-zione non è sicuramente coeva alla compilazione dei registri, dalmomento che si presenta continua e senza lacune nonostante la sicuraperdita di alcune carte dei fascicoli128, e cambia inoltre posizione nellospecchio della pagina per adattarsi di volta in volta ai guasti più o menoprofondi dei margini129. Questo significa che quando si procedetteall’accorpamento in volume i registri avevano alle spalle un tempo piùo meno lungo di permanenza in forma sciolta130. E tuttavia tale condi-zione non dev’essersi protratta molto a lungo, visto che nella generalitàdei registri l’inchiostro delle facciate più esterne, le più esposte in casodi permanenza in forma sciolta, non ha perso nitidezza rispetto allepagine interne.

Un indizio in particolare, a mio avviso, spinge per individuare nel1377 il momento in cui i registri vennero rilegati e le loro pagine nume-rate, ed è il confronto con la numerazione del registro redatto in quel-l’anno. Questa da una parte presenta evidenti affinità con quella appo-sta sui registri degli anni Cinquanta, dall’altra se ne differenzia perchésembra rappresentare un intervento precedente all’utilizzo del registro,

brano musicale in notazione quadrata, al di sotto del quale si legge “kyrie eleyson/glo-ria in excelsis deo/ite missa est”.

128 L’elenco delle località che si susseguono all’interno dei registri segue lo stessoordine: di conseguenza l’assenza di un gruppo di voci regolarmente presenti negli altriè indice della perdita dei fogli che le ospitavano.

129 Particolarmente evidente nei fogli finali (134-135-136).130 Questo è particolarmente evidente per il primo registro che si incontra nel codi-

ce, relativo al 1352, che rispetto allo stato di conservazione generale del volume si pre-senta in condizioni particolarmente degradate sia per la mancanza di alcune carte sia perla scrittura, in molti punti divenuta ormai illeggibile o addirittura andata persa con partedel foglio che la ospitava. Ai fini del nostro discorso, in ogni caso, ciò che importa nota-re è che i guasti più rilevanti colpiscono in egual misura i fogli iniziali e quelli finali delregistro, il che li riconduce presumibilmente all’epoca in cui quest’ultimo permanevaancora come unità a se stante. Il restauro rende difficile in alcuni casi intuire quale fossela condizione originaria del codice: ad esempio capire per quante carte il lavoro ha com-portato il riassembramento di fogli ormai totalmente disgiunti dal corpo del fascicolo osolo un rafforzamento della legatura. La richiesta di poter consultare la relazione sullostato del documento precedente il restauro, in genere parte integrante di questo tipo diinterventi archivistici, ha dato esito negativo per la mancanza della stessa.

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tant’è che è apposta su tutti i fogli, compreso il gruppo tutt’altro cheridotto di quelli rimasti bianchi, mentre come si è visto i registri prece-denti furono numerati dopo l’accorpamento in volume. Chi ha confe-zionato il registro del 1377 considerava evidentemente la numerazionedelle pagine un utile apprestamento ai fini pratici di utilizzo, ed è quin-di plausibile che abbia adeguato in questo senso anche la serie dei regi-stri più antichi, la cui attualità - come dimostrano le date dei pagamentirichiamate all’inizio - non si era ancora esaurita del tutto.

Rimane da spiegare l’assenza nella serie dei registri degli anniCinquanta dell’anno 1353131. Osservando le date dei pagamenti nel regi-stro del 1352, equamente ripartiti fra l’anno in corso e il successivo, ver-rebbe da supporre che la redazione di un registro specifico per il 1353sia stata accantonata per il semplice motivo che troppi erano i redditinon ancora corrisposti dell’anno precedente. Questa spiegazione tutta-via non risponde completamente al nostro interrogativo, dal momentoche anche i registri dal 1354 al 1359, come abbiamo visto, condividonoquesto stesso divario fra redditi pretesi e redditi effettivamente percepi-ti. Vista da questo punto di vista, si potrebbe anzi dire che l’anomalia daspiegare non è tanto la mancata redazione di un registro per il 1353, mala ferma ostinazione con la quale la curia vescovile, incurante dei risul-tati, ha continuato imperterrita dal 1354 a redigere un registro per ognisingolo anno.

La spiegazione più plausibile è che fra il 1352, anno in cui si decidee si avvia concretamente la redazione del primo liber reddituum, e il1354 avvenga un cambio di prospettiva del vescovo e dei suoi collabo-ratori nei confronti del nuovo strumento, di cui nel frattempo hannopotuto verificare limiti e potenzialità. Nel 1352 viene approntato unregistro per i redditi da riscuotere nell’anno in corso, tuttavia già allafine dell’anno, come dimostrano i pagamenti annotati sotto le voci,appare evidente che neanche la metà degli introiti previsti sono stati per-cepiti, e pertanto si decide di accantonare la redazione di un registro peril 1353, anno durante il quale si continua a riscuotere i proventi per il1352. Quando, all’inizio del 1354, i redditi del 1352 risultano ancora

131 Che questo specifico registro non sia andato perduto è dimostrato dal fatto che leregistrazioni del 1352 e del 1354 si trovano sullo stesso fascicolo cartaceo.

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lontani dall’essere interamente incamerati, ci si rende conto che questastrategia rischia di procrastinare a tempo indeterminato la redazione deinuovi registri, e con essi la percezione dei redditi della chiesa per glianni successivi: probabilmente è questa constatazione ad innescare ladecisione di redigere un nuovo registro per il 1354 e di mantenere que-sta prassi negli anni successivi, a prescindere dalla percentuale di reddi-ti effettivamente riscossi. D’altra parte le date disparate dei pagamenti,che a distanza di anni vanno ad integrare le voci di prelievo incompletedegli anni passati, ci fanno capire che la redazione dei nuovi registri nonsignificava affatto l’obliterazione di quelli precedenti: essi rimanevanoin uso conservando memoria del debito accumulato dalle comunità, e ilvescovo poteva a sua discrezione decidere di richiedere il saldo dei red-diti non percepiti132.

L’andamento cronologico sarebbe dunque il seguente: nel 1352, a treanni di distanza dall’elezione di Giovanni Fieschi alla cattedra eusebia-na, si inaugura la prassi di confezionare annualmente dei registri perverificare il corretto recupero dei redditi della mensa vescovile, consue-tudine rispettata, fatta eccezione per il 1353, fino alla fine degli anniCinquanta; segue poi una prolungata interruzione che dura quasi un ven-tennio, dal 1360 fino al 1377, anno nel quale si torna a predisporre unregistro dei redditi che costituisce l’ultimo testimone della serie, e alcontempo si procede ad accorpare in volume quelli più antichi.

132 Su questa evoluzione nei confronti dei registri dei redditi devono aver influito isegnali, sempre più inquietanti per i destini della signoria ecclesiastica, che si susse-guono a ritmo serrato a partire dal 1354. A marzo dello stesso anno Biella, uno dei prin-cipali castra vescovili, è sottoposta per la prima volta a un podestà (cfr. sopra n. 53), unanovità istituzionale che ricalca le modalità di governo dei Visconti nei luoghi sottopostial loro dominio: ciò potrebbe suggerire che ancor prima della morte dell’arcivescovoGiovanni (ottobre 1354), governatore pro tempore del luogo con il benestare del Fieschi,la signoria dei Visconti avesse cominciato ad assumere carattere definitivo. Nel 1355,con Galeazzo, la politica del comune vercellese si fa come abbiamo visto ancora piùintraprendente ed aggressiva ai danni delle terre della chiesa, anche sul piano fiscale:vedi sopra, testo in corrisp. della n. 54.

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c) L’amministrazione dei beni della mensa vescovile di Vercelli: unaquestione di inefficienza?

Il confronto con la congiuntura politico-militare può spiegare, comevedremo meglio fra poco, questa scansione cronologica; ma ad esso sideve certamente fare riferimento anche per spiegare lo scarto vistoso fraquanto il vescovo progetta ogni anno di incamerare e quanto riesceeffettivamente a recuperare. Anche senza un calcolo completo e defini-tivo, si può dire in tutta tranquillità che per i sette anni in cui si disponedi registri redatti annualmente la mensa episcopale non incamera nean-che la metà rispetto al previsto. Siamo quindi di fronte a un’ammini-strazione inefficiente?

Senza dubbio, la prima impressione che si ha di fronte a queste cifreè quella di un fallimento, e tuttavia occorrono particolari cautele nelporre la questione: l’uso di termini come efficienza, inefficienza, crisi ocambiamento, così frequenti quando si parla di diocesi tardomedievali,e che è così spontaneo adottare quando si tratta di interpretare fonti dinatura economica, dipende per l’appunto da quale modello noi assu-miamo come normale. E qui incontriamo il primo ostacolo, perché nelcaso specifico, di quale fosse la “normalità” nella percezione dei reddi-ti della mensa vescovile vercellese non abbiamo la minima idea - e anziè difficile immaginare che, nel Trecento, ve ne sia mai stata una.

Sebbene il panorama documentario dell’archivio arcivescovilemostri una cesura netta in corrispondenza dell’episcopato di Giovanni -non sono attestati libri dei redditi fra la documentazione prodotta daisuoi predecessori, anche se, come s’è visto, Emanuele è stato il primo apercepirne la necessità -, possiamo ragionevolmente supporre che un’i-stituzione importante come la diocesi di Vercelli contemplasse anche neisecoli precedenti una gestione articolata della sua componente tempora-le. E tuttavia non sono solo le scritture d’archivio a segnalarci unanovità: anche la feroce opposizione che il Fieschi incontra nella suaazione di governo testimonia che i contemporanei sentivano questomodo di gestire la diocesi come profondamente, e spiacevolmente, inno-vativo.

Una prima spiegazione della difficoltà di riscossione di quegli anni,insomma, può ricondursi al fatto che il vescovo stava cercando, con

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alterno successo, di recuperare redditi caduti in disuso, per la cui esa-zione non esisteva più neppure un apparato di scritture e ufficiali; losuggeriscono altri aspetti della modalità di redazione dei registri, perfare un esempio l’indeterminatezza di molte delle voci. In vari casi siannota che il vescovo possiede in una data località “certe terre”, senzaalcuna ulteriore indicazione nemmeno relativa al fitto, oppure vienesegnalato che la mensa è titolare di un reddito proveniente “de quibu-sdam vineis”, o ancora si specifica la pertinenza al vescovo di un dirit-to, ad esempio di pedaggio o di mercato, ma senza che sia annotata lapercezione di un reddito derivante da quel diritto.

Queste voci fanno pensare che alla redazione dei Libri reddituumabbia concorso una seconda finalità, oltre a quella più prevedibile lega-ta al corretto prelievo dei redditi vescovili. Questi registri sono ancheuna dichiarazione di principio, servono a fornire l’elenco esauriente deidiritti di cui il vescovo è titolare sulle località della diocesi soggette allasua giurisdizione, diritti che tuttavia non è detto intenda o riesca ad eser-citare in modo sistematico fin dall’inizio.

La novità introdotta dal Fieschi consisterebbe nell’aver cercato disottrarre la gestione dei beni temporali della diocesi dal binario d’unaconsuetudine che li aveva progressivamente assottigliati, procedendo aristabilirne l’esercizio alla luce della situazione dell’epoca: da qui lescritture preparatorie e gli interventi nelle varie località, tesi a verifica-re l’effettiva estensione delle prerogative vescovili, da qui una difficoltànel percepire in modo sistematico le entrate della diocesi - difficoltà chealla luce di queste considerazioni sembra molto meno facile descriverein termini di inefficienza o incapacità.

Ma il carattere innovativo dell’azione del Fieschi è solo una, e aconti fatti la meno determinante, delle ragioni che possiamo addurre perspiegare la scarsità delle entrate di quegli anni: la prima e più evidentecausa di questa difficoltà è una congiuntura drammatica in cui guerra epeste destabilizzano profondamente la vita collettiva. A prescinderedalla volontà del vescovo e dalle capacità del suo entourage, la possibi-lità di riscuotere i proventi in modo efficiente dipende anche, banal-mente, dalla facilità con la quale gli uomini e le merci potevano spo-starsi sul territorio. E nei venticinque anni che separano il primo dal-l’ultimo libro dei redditi, questa facilità non è quasi mai garantita, come

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dimostra la convulsa successione degli avvenimenti politico-militari cheabbiamo ricostruito più sopra.

I libri dei redditi recano traccia della difficile congiuntura cheaccompagna l’episcopato del Fieschi in due modi: in modo esplicitonelle annotazioni poste a fianco di alcune voci, e in modo implicito nellacronologia della loro produzione. Nei registri degli anni Cinquanta silegge di diversi prelievi devoluti a familiari del vescovo per le spesesostenute “tempore guerre de Bugella”, di mancati redditi devoluti dallecomunità, anziché al vescovo, agli ufficiali di Galeazzo Visconti133, ealtre annotazioni fanno riferimento al 1358 come ad un tempo di guer-ra134. In tutto il primo decennio si continua tuttavia a redigere regolar-mente i Libri reddituum, segno evidente che il conflitto con il comunedi Biella, nato per l’appunto per questioni fiscali, non distoglie il vesco-vo dai suoi propositi. A fermare il meccanismo è il netto aggravarsi dellacongiuntura politica all’inizio degli anni Sessanta, con il coinvolgimen-to diretto del vescovo sul piano militare nello scontro fra Visconti eMonferrato. Per tutta questa fase di registri non se ne producono più, esolo con la conclusione della pace nel 1376 si pongono le premesse peruna ripresa nella redazione dei registri: proprio nel 1377, infatti, vieneconfezionato l’ultimo registro della serie e, quasi si riprendesse in manouna questione lasciata in sospeso, si procede a rilegare i registri scioltidegli anni Cinquanta. Significativamente - anche questo è un riflessosulla documentazione delle vicende politiche di quegli anni -, l’ordinedelle località elencate varia: mentre nei registri degli anni Cinquanta laprima località della serie è sempre Andorno, nel registro del 1377, chesegue il trattato di pace e la riattribuzione di Biella alla signoria vesco-vile, è questa città ad inaugurare la serie135.

133 Libri dei redditi, a. 1357, f. 96v (Asigliano).134 Cfr. ad es. ff. 11r, 16r-17v, 92r, 111v, 127v (tempore guerre Bugelle); 21v, 93v

(1358 come anno di guerra); ai ff. 40r (1354), 61r (1355), 73r (1356), 100r (1357), 135r(1359) si annota la distruzione del mulino vescovile del Piazzo, avvenuta probabilmen-te nel 1353 o all’inizio del 1354 (vedi anche doc. dell’ottobre 1354 in Carte, II, doc.372, p. 355); al f. 79r, purtroppo molto rovinato, si parla del mulino vescovile diAndorno, distrutto dai biellesi, sembra di capire, nel 1356.

135 Oltre al diverso posizionamento di Biella, rispetto alle località riportate nei regi-stri degli anni ‘50, questo fascicolo si differenzia per la presenza dei comuni diSavagnasco, cantone di Gaglianico, e Verrua, e per l’assenza di Villanova, Balzola eVercelli, nelle quali comunque il vescovo risultava percepire solo dei fitti.

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Ma quest’ultimo colpo di coda del vescovo non sortisce l’effetto spe-rato, a giudicare dal contenuto del fascicolo: fatta eccezione per unosparuto gruppo di località, e a dispetto delle ampie sezioni previste perospitarli, il fascicolo risulta desolatamente scarno di pagamenti. In effet-ti il registro sintetizza in modo esemplare gli avvenimenti del 1377: lasua stessa esistenza esprime l’ostinazione del vescovo nel tornare a riba-dire le proprie prerogative, mentre l’assenza di notazioni segnala inmodo fin troppo evidente che lo scontro fra il vescovo e le comunità hadefinitivamente lasciato il piano della scrittura per attestarsi su quellodelle armi. Risale infatti allo stesso anno la ribellione finale contro ilFieschi, cui fa seguito la sua espulsione dalla diocesi, il che spiega piùche a sufficienza perché il fascicolo del 1377 sia rimasto isolato136.

Lo scarto è dunque molto ampio fra gli esiti finali dell’episcopato diGiovanni e le ambizioni da lui perseguite fino all’ultimo. Di per sé, lapolitica del Fieschi non è diversa da quella di tante realtà signorili tre-centesche, che rispondono alle mutate condizioni economiche e demo-grafiche imponendo una svolta di maggior rigore nell’esercizio dei lorodiritti. A caratterizzare la signoria ecclesiastica è proprio il fallimento diquesto esperimento: nel Trecento nemmeno una signoria vescovilecome quella eusebiana, fra le più potenti d’Italia e che ha in parte resi-stito all’affermazione comunale, può permettersi di essere concorren-ziale rispetto ai nuovi protagonisti principeschi.

II. 3. Analisi del contenuto: la ricchezza della diocesi di Vercelli

Vediamo ora di trarre dai libri dei redditi le informazioni che sononaturalmente portati a dare: l’entità dei redditi della chiesa, il funziona-mento dei meccanismi di riscossione, il territorio diocesano che emergeda questo tipo di fonte.

136 Cfr. sopra, testo in corrisp. delle nn. 86-87.

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a) La ricchezza della diocesi di Vercelli e i problemi della sua valuta-zione

Prima questione: quanto era ricca la diocesi di Vercelli? Stando allatassa che il suo titolare versava alla camera apostolica in occasione dellanomina, era fra le più ricche dell’Italia settentrionale: i 1200 fiorinipagati dal vescovo di Vercelli erano superati solo dai 3000 della sedemilanese e dai 2000 che pagava il vescovo di Parma. I colleghi dellediocesi vicine, Ivrea e Novara, si collocavano ad un livello decisamen-te inferiore, con un esborso rispettivo di 300 e 600 fiorini137. Questi dati,però, consentono di farsi un’idea solo relativa della ricchezza della dio-cesi: l’entità del versamento era infatti, almeno nei suoi presupposti teo-rici, proporzionale alla ricchezza del beneficio138, ma la sua immutabi-lità secolo dopo secolo non consente di assumerlo come specchio fede-le della situazione economica del momento.

È evidente, quindi, l’importanza che ha per la storia della chiesa ver-cellese il poter disporre di una fonte come i libri dei redditi, che per-mettono - pur con i limiti che vedremo - di ricavare una misura reale edoggettiva della ricchezza che alla metà del Trecento affluiva, o nelleintenzioni del vescovo avrebbe dovuto affluire, nelle casse dell’episco-pato. Sommando le voci della trentina di località censite nei registri, ilvescovo avrebbe dovuto incamerare ogni anno in denaro 2300 lire per ilfodro e 1000 per i fitti in denaro. L’altra grande categoria in cui sono

137 H. HOBERG, Taxae pro communibus servitiis ex libris obligationum ab anno 1295usque ad annum 1455 confectis, Città del Vaticano 1949, pp. 64 (Ivrea), 88 (Novara),130 (Vercelli), 77 (Milano), 93 (Parma); sulla cautela da adottare nell’utilizzo di questidati cfr. M. DELLA MISERICORDIA, La disciplina contrattata. Vescovi e vassalli tra Comoe le Alpi nel tardo Medioevo, Milano 2000, p. 15 n. 13 e bibliografia cit. Nei registripapali risultano registrati i pagamenti dei vescovi vercellesi, sempre pari a 1200 fiorini,negli anni 1303 (Rainerio di Pezzana), 1329 (Lombardo della Torre), 1343 (EmanueleFieschi), 1349 (Giovanni Fieschi), 1379 (Giacomo Cavalli), 1387 (Ludovico Fieschi),1406 (Matteo Ghisalberti), 1438 (Guglielmo Didier), 1452 (Giovanni de Giliaco); nonrisultano i pagamenti in corrispondenza delle nomine di Uberto Avogadro (1310-28) eIbleto Fieschi (1412-37).

138 Secondo Hubert Jedin la somma consisteva in un terzo del reddito del primo anno(cfr. H. JEDIN, Storia della chiesa, vol V/2: Tra Medioevo e Rinascimento, p. 59), ipote-si che nel caso di Vercelli, calcolando che 1200 fiorini corrispondono grosso modo a2000 lire, sembrerebbe non lontana dalla realtà (cfr. oltre, testo fra le nn. 142-43).

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articolate le entrate vescovili sono i redditi in natura: i più significativiin assoluto sono le 3100 staia di segale e le 1000 di avena139, a cui siaggiunge com’è prevedibile una variegata casistica di generi alimenta-ri: 33 staia biellesi di castagne e poco più di 50 quartironi alla misuravercellese140; 60 staia biellesi di noci e 21 quartironi vercellesi, un cen-tinaio di staia di panico, 130 staia di frumento, 870 uova, 200 capponi,200 polli, 45 galline, 200 bottali di vino141, un centinaio di forme di for-maggio e una quindicina di seracchi, 120 libbre di cera.

Delle cautele da adottare nei confronti di questo elenco parleremo frapoco, ma i dati fin qui raccolti ci permettono, già a questo punto, di ten-tare un esperimento: calcolare cioè, in modo s’intende del tutto appros-simativo, l’ordine di grandezza delle entrate su cui avrebbe dovuto potercontare un vescovo come quello di Vercelli, e paragonarle a quelle deisuoi più diretti concorrenti, i signori più o meno potenti che agivanosullo stesso territorio.

Quantificare il valore in denaro delle entrate in natura è complicato,data l’incertezza delle misure e l’estrema variabilità dei prezzi in unacongiuntura instabile come quella trecentesca; tuttavia, considerandoche uno staio di segale in vari mercati piemontesi negli anni Cinquantavaleva per lo più da 6 a 8 soldi, possiamo stimare che la sola rendita insegale valesse non meno di un migliaio di lire. Per l’avena possiamosupporre un prezzo medio di 4 soldi allo staio, e di conseguenza possia-mo aggiungere circa 200 lire. Il vino oscillava fra i 10 e i 20 soldi lostaio, il che significa che la rendita in vino poteva valere da 500 a 1000lire142.

Oltre a tutto questo vi erano poi i fitti, per nulla trascurabili, derivantidai mulini e i cosiddetti novalia, cioè le decime relative ai terreni di più

139 Nel valutare le entrate in natura uno dei problemi più grossi è quello delle unitàdi misura. Nel libro dei redditi le misure adottate per tutte le località sono due, di Biellae di Vercelli: nel caso della segale 2800 staia sono alla misura biellese e 300 alla misu-ra vercellese; per l’avena 800 alla misura biellese e 200 alla misura vercellese.

140 Di cui un quinto in farina, il resto intere (così ho tradotto l’espressione viride).141 Questa cifra è in difetto perché diversi redditi sono forniti in percentuale. Il bot-

tale normale corrispondeva a cinque staia, quello ‘grosso’ a sette.142 Sono state usate per queste stime le serie dei prezzi riportati in C. ROTELLI, Una

campagna medievale. Storia agraria del Piemonte fra il 1250 e il 1450, Torino 1973,app. D, pp. 271-85.

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recente coltivazione, percepiti per lo più in cereali i primi e in denaro leseconde. Queste due ultime voci presentano maggiori variazioni da unanno all’altro, ma possiamo con buona approssimazione aggiungere 162lire e 5 fiorini per i proventi in denaro delle decime, e 136 staia di fru-mento, 313 di segale, 280 di avena, 8 di panico, 18 staia di vino per inovalia. I mulini davano poco meno di 2000 staia di segale. In tutto,approssimativamente, un valore di un altro migliaio di lire comeminimo.

Naturalmente non bisogna dimenticare che a seconda del denaro diriferimento le lire in uso in area piemontese potevano avere valori anchemolto diversi: la lira di viennesi usata in area sabauda, e in cui sonoespressi i prezzi delle derrate da noi utilizzati come riferimento, valevacirca il doppio della lira di terzoli in uso nella città di Vercelli. Le anno-tazioni nei Libri reddituum, tuttavia, lasciano pensare che le entrate indenaro del vescovo fossero calcolate in lire di pavesi, il cui valore eraparagonabile a quello delle lire di viennesi. In totale, e pur con tutti ilimiti di una stima così approssimativa, le entrate annue della diocesi sipossono calcolare sulla carta a circa 7000 lire, pari, fatte le debite equi-valenze, a 4500 fiorini.

Confrontandola con le entrate registrate nei coevi conti di castellaniadell’amministrazione sabauda, la cifra risulta diverse volte superioreagli incassi, pur molto variabili da un caso all’altro e da un anno all’al-tro, d’una singola castellania; essa garantiva dunque al vescovo un red-dito decisamente superiore a quello d’un normale consortile nobiliare, enon dissimile da quello di consortili potenti come, poniamo, gliAvogadro o i Valperga, padroni di molti castelli; ma in nessun modoparagonabile a quello d’un conte di Savoia, i cui possedimenti si artico-lavano in un centinaio di castellanie143. Vista in questa prospettiva,

143 Cfr. A. BARBERO, Il ducato di Savoia: amministrazione e corte di uno Stato fran-co-italiano, 1416-1536, Roma 2002. Se paragoniamo i dati vercellesi con quelli, coevi,della diocesi di Torino, che nelle taxae pro communibus servitiis risulta pagare 300 ff.(cfr. Hoberg, Taxae pro communibus cit., p. 117) ci rendiamo invece conto che la dio-cesi eusebiana era piuttosto ricca: il vescovo Tommaso di Savoia, nell’anno fra il mag-gio del 1353 e il maggio del 1354, incamera: in denaro 639 fiorini in buona moneta, cuisi aggiungono 197 lire di viennesi e 261 lire di astensi; 840 fiorini, e 11 lire di vienne-si, per il foro; 89 moggi 7 staia e 1 emina di frumento (cioè 700 staia di frumento), 27moggi 6 staia e 1 quartirono di segale alla misura di Torino e 13 moggi alla misura di

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anche l’intransigente politica economica e fiscale messa in atto dalFieschi sin dai primi anni di episcopato, quando sulla diocesi si profila-no già le mire di Visconti e Savoia, appare molto meno discrezionale: sitrattò per il presule di una via più o meno obbligata, dalla quale né loscontento dei poteri soggetti né l’opposizione esplicita di quelli fra loropiù attivi avrebbero potuto farlo recedere.

Abbiamo fin qui vagliato il contenuto dei registri prendendo in con-siderazione i dati macroscopici, e ignorando volutamente le ambiguità ele incertezze che comporta l’uso di questo tipo di fonte. Da questo puntodi vista, paradossalmente, la stima proposta rappresenta al contempouna stima per difetto e per eccesso. Per difetto se consideriamo che que-ste registrazioni censiscono la maggior parte ma non tutti i redditivescovili: sono contemplati presumibilmente tutti i redditi di naturasignorile, fodro e affitti, e buona parte di quelli di natura spirituale comele decime, il cui prelievo non è da dare per scontato in quest’epoca. Lenote marginali apposte sugli stessi libri dei redditi, però, sembrano testi-moniare l’esistenza di altri registri deputati ad ospitare prelievi di natu-ra spirituale: a fianco di varie voci, per lo più quando il reddito consistein libbre di cera, una scritta segnala che il prelievo è stato registrato“inter synodalia”144. A differenza di altre realtà come la diocesi diTorino, poi, per la quale disponiamo proprio per gli anni 1353-54 di unrotolo dei redditi, mancano qui i proventi derivanti dall’esercizio delforo ecclesiastico145. Il secondo elemento che rende questo totale unastima per difetto riguarda la già citata indeterminatezza di alcune vocicontenute nei libri dei redditi: i prelievi variabili da un anno all’altro, peri quali non si specifica l’importo oppure lo si indica in percentuale, sonorimasti per forza di cose esclusi dal conteggio.

Busca (cioè 300 staia circa di segale); 181 moggi 2 staia e 1 emina di avena alla misu-ra di Torino (cioè circa 1500 staia di avena); 39 moggi, 6 staia e 1 quartirone di vino(cioè 320 staia); 89 carri di fieno; 64 libbre di cera. Grosso modo il vescovo di Torinorisulta ricavare intorno alle 4000 lire all’anno, di cui più di un quarto è però costituitodai ricavi del foro, che ignoriamo nel caso vercellese. Cfr. sotto, n. 145.

144 Cfr. sopra, nn. 106 e 125. Quelle legate ai terreni di recente messa a coltura, inovalia, sono invece nei libri dei redditi.

145 Cfr. G. CASIRAGHI, La diocesi di Torino nel Medioevo, Torino 1979 (BSSS 196),edizione del rotolo dei conti alle pp. 142-80.

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Ma il calcolo rappresenta invece una stima per eccesso se spostiamola nostra attenzione dalle voci allineate in bella calligrafia sotto ognicomunità alle annotazioni decisamente meno curate dei pagamenti, chetestimoniano quanto le previsioni della curia siano state disattese.Abbiamo precedentemente discusso il peso della situazione politicacontingente, aggravata dalla peste e dalla carestia, sull’efficienza dell’i-stituzione nel gestire la riscossione dei redditi, e tuttavia l’individuazio-ne di questi elementi non ci autorizza a dare per scontato che, in loroassenza, il vescovo potesse effettivamente contare ogni anno sulle entra-te elencate all’inizio. Di fatto non disponiamo di un solo documento cheprovi, anche per un solo anno, il verificarsi di questa eventualità, e datele caratteristiche generalmente riscontrabili nella finanza tardo-medie-vale - forte sproporzione fra spese ordinarie e straordinarie, peso dellaguerra, fluttuazioni e imprevedibilità dei bilanci - l’ipotesi che l’econo-mia dell’istituzione funzionasse anche in situazione ottimale con fortioscillazioni delle entrate da un anno all’altro non si può escludere apriori.

b) La gerarchia delle località della diocesi

Con i limiti che abbiamo segnalato, i dati che si possono ricavare daiLibri reddituum permettono comunque di trarre informazioni utili sulfunzionamento economico della diocesi. Le pagine che seguono offro-no una sintesi degli spunti emersi dalla schedatura dei libri dei redditiche possono apparire più interessanti e meritevoli di ulteriori approfon-dimenti.

Una prima questione riguarda il territorio diocesano che emerge dauna fonte di tipo economico come i libri dei redditi. Le località citatesono una trentina: Andorno, Chiavazza, Ronco e Zumaglia, Bioglio,Mosso, Crevacuore, Coggiola, Curino, Masserano, Mortigliengo,Vernato, Occhieppo, Pollone, Graglia, Camburzano, Muzzano,Casaletum146, Biella, Santhià, Asigliano, Palazzolo, Saluggia, Cigliano,

146 Il toponimo, invariabilmente riportato in questa forma, è forse da riferirsi aCastelletto, dal momento che la documentazione coeva non attesta alcun comune conquesta denominazione.

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Villareggia, Miralda, Moncrivello, Villanova Monferrato, Balzola,Casale S. Evasio, Vercelli147. Escludendo Vercelli, dove il vescovo risul-ta percepire solo l’affitto di alcune case poste presso il palazzo episco-pale148, constatiamo che le località censite non si distribuiscono unifor-memente sull’intera area diocesana, ma disegnano una sorta di coronaintorno a Vercelli, coagulandosi intorno ai quattro centri di Biella,Casale, Moncrivello, Masserano.

Dal punto di vista economico il peso di queste quattro aree non èminimamente paragonabile: dal polo di Biella proviene la stragrandemaggioranza delle entrate, segue quello di Masserano e in ultima battu-ta Moncrivello e Casale. La natura delle entrate varia: nelle localitàmeridionali della diocesi - Casale, Balzola, Villanova - il vescovo rica-va per lo più fitti dal possesso della terra, reddito incrementato nella solaCasale dai proventi della curadia e del porto149. Le quattro comunità delpolo più occidentale - Cigliano, Moncrivello, Miralda, Villareggia - for-

147 La terminologia connessa alle località non si discosta da quanto previsto - comu-ne per la generalità dei casi, civitas per Vercelli -, fatta eccezione per Vernato e Salussolaai quali è inoltre associato il termine corte (nel caso di Vernato si parla anche di mansi:“Comune Vernati cum masis de foris”, cfr. ad es. f. 8v). Nei redditi di Crevacuore - stan-do alla dicitura “Comune Crepacorii cum tota valle” - paiono confluire anche quelli pre-levati dai piccoli insediamenti dislocati nella vallata. Altra peculiarità riguarda l’attesta-zione, interna alle voci di alcune località come Mosso e Coggiola, dei redditi versati dacomunità poste nelle vicinanze, anch’esse organizzate a comune: Veglio nel primo caso,Rivò nel secondo.

148 Non sappiamo se fra queste vi sia già l’abitazione segnalata fra i possessi delvescovo nel 1376-77, in precedenza abitata da Antonio Tizzoni, membro della principa-le famiglia ghibellina vercellese: un documento del 13 ottobre 1376 è stato redatto “invicinia S. Juliani in domo habitacionis r.d. episcopi vercellensis et comitis in qua habi-tare solebat Antonius de Titionibus”, probabilmente la stessa casa dove viene redatto unaltro documento del 7 gennaio 1377 “in vicinia S. Juliani in domo habitacionis dominiepiscopi scita prope ecclesiam Sancti Francisci ordinis fratrum minorum”; cfr. D.ARNOLDI, Vercelli vecchia e antica, Vercelli 1992 (ed. or. 1929), p. 115 n. 117. Se, comeparrebbe, siamo di fronte ad un trasferimento di proprietà da un esponente della fazio-ne ghibellina al capo di quella guelfa, la vicenda potrebbe forse essere in relazione conla sconfitta che i Tizzoni subirono proprio ad opera del vescovo, alleato con i Savoia,negli anni precedenti.

149 Balzola, Villanova, Casale e Vercelli, le ultime quattro località della lista, costi-tuiscono una categoria a sé stante perché sono località nelle quali il vescovo percepisceesclusivamente dei fitti e sulle quali, anche se questa espressione è usata solo in riferi-mento a Villanova e a Balzola, “episcopus non habet iurisdictionem”.

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niscono cereali, per lo più segale e avena, vino e pollame. Il gruppo dilocalità a nord-est della diocesi, fra cui spiccano per importanzaMasserano e Crevacuore, si contraddistinguono per i proventi del vino,i formaggi e gli affitti dei pascoli. Infine nel grosso gruppo di localitàintorno a Biella le derrate, in gran parte raccolte nel castello diZumaglia, coprono l’intero spettro dei beni in natura nominati nei libridei redditi, con particolare riguardo per avena, segale, noci, castagne eformaggio150.

Abbiamo più volte sottolineato la discrepanza fra quanto richiesto equanto effettivamente percepito dalla mensa episcopale, e infatti lagerarchia delle località, nel momento in cui si sposta l’attenzione suipagamenti, cambia notevolmente. A fornire il maggior sostegno econo-mico nei decenni di crisi coperti dalle nostre fonti sono indubbiamentele località della zona nord-orientale della diocesi, intorno a Masserano eCrevacuore. Ridotti al lumicino i prelievi nell’area biellese, dato lo statodi ribellione di quegli anni, queste comunità rappresentavano il princi-pale bacino di ricchezza rimasta a disposizione del vescovo. AncheMoncrivello è a quest’epoca uno dei castelli vescovili più importanti, ei conti dei libri dei redditi dimostrano che le sue risorse sono essenzialinella guerra condotta dal vescovo contro il comune di Biella. E’ dunqueparticolarmente significativo che subito dopo l’episcopato di Giovannie la definitiva perdita dell’area biellese proprio l’area di Masserano eCrevacuore e quella di Moncrivello siano state privatizzate dai Fieschi,che riuscirono a farsene investire in feudo dal papa, sancendo il defini-tivo smantellamento della signoria vescovile151.

Altro elemento utile a definire l’importanza relativa dei diversi cen-tri è l’entità del fodro, di gran lunga il più importante fra i pagamenti indenaro e che, sebbene la consuetudine ne facesse un’imposta standar-

150 Vi sono poi alcuni redditi che costituiscono delle peculiarità delle singole loca-lità: è il caso della “neve” fornita da Andorno, probabilmente per la conservazione deicibi; dei sette “clapinos caballi spagnolii” che deve versare Crevacuore sembra in occa-sione della ferratura dei cavalli; del versamento in denaro dovuto da Bioglio ogni voltache l’imperatore viene in Lombardia; delle torrentinas (trote?) fornite da Crevacuore eBioglio.

151 Cfr. il contributo di Alessandro Barbero in questo stesso volume, § 7.a, e R. DE

ROSA, I Fieschi feudatari di Moncrivello (XIV-XV sec.), in «Bollettino StoricoVercellese», 64 (2005), pp. 5-22.

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dizzata, dovrebbe essere in qualche misura proporzionale alla popola-zione del luogo. Di tutti i redditi elencati il fodro, che è anche costante-mente il primo della lista, è quello prelevato con maggiore regolarità:nonostante i frequenti ritardi e le mancanze nei pagamenti che contrad-distinguono le registrazioni nel loro complesso, le annotazioni segnala-no per questa specifica voce un prelievo per lo più regolare, effettuatonell’anno in corso e relativo all’intera somma stabilita.

Com’è prevedibile, le 2300 lire che ricava il vescovo non sono affat-to distribuite in modo omogeneo nella trentina di località censite.Alcune - Biella, Vercelli, Coggiola, Casale, Balzola e Villanova: delleultime due si specifica che il vescovo “non habet jurisdictionem” - nonversano questa imposta152. Fra le rimanenti è possibile individuare fasceomogenee: vi è un gruppo di località che pagano una somma pressochèirrisoria, al di sotto delle 30 lire (Occhieppo, Cigliano, Casaletum,Miralda, Villareggia), un secondo gruppo che si colloca fra le 30 e le 60lire (Camburzano, Saluggia, Asigliano, Muzzano, Moncrivello, Vernato,Ronco e Zumaglia, Chiavazza), un terzo intorno alle 100 lire (Santhià,Masserano, Curino, Mosso, Pollone, Graglia), un ultimo gruppo oltre le200 lire (Mortigliengo, Bioglio, Crevacuore). Del tutto isolato il comu-ne di Andorno, con un esborso nettamente superiore a tutti gli altri, paria 420 lire.

Il primato di Andorno nel pagamento di questa tipica imposta dinatura signorile - la comunità copre da sola più di un sesto delle entratevescovili per questa voce - merita un commento. Non disponiamo diconfronti per il passato in merito a questo specifico aspetto, ma lo scon-

152 Il più anomalo fra questi è sicuramente il caso di Biella. Non sembra che il man-cato pagamento del fodro al vescovo dipenda dal fatto che negli anni Cinquanta la cittàera, in teoria solo provvisoriamente, in mano ai Visconti: altrimenti non si spieghereb-be perché l’imposta non è richiesta neanche nel 1377, quando il comune, stando a quan-to stabilito nella pace del 1376, è sicuramente tornato sotto l’egida vescovile. Forse laspiegazione va cercata molto più addietro, nei patti fra la comunità e il vescovoUguccione che seguirono la fondazione della villanova del Piazzo e che costituirono lapremessa per la nascita del comune biellese. L’investitura concessa dal vescovo in que-st’occasione, che comportò il trasferimento di alcuni banni signorili alla comunità, nonè chiarissima in merito alle rispettive competenze, ma fra i banni che il vescovo elencacome propria prerogativa il fodro non è più contemplato (Carte, I, p. 18, doc. 12). Nelcaso di Coggiola è perché “fuit alioquin de iurisdicione Vercellarum” e non si sa quan-to deve versare (tuttavia Rivò, comune segnalato all’interno della stessa voce, lo paga).

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tro trentennale fra Biella e i vescovi di Vercelli può aver aperto perAndorno, centro non molto distante e per molti aspetti assimilabile aBiella, la possibilità di mutare la sua posizione nei confronti dell’auto-rità vescovile153. Anche un particolare non insignificante come l’ordinein cui le varie comunità sono registrate nei libri dei redditi sembra con-fermare il ruolo altalenante dei due centri nella considerazione del pote-re vescovile: in tutti i registri degli anni ‘50, la cui redazione cominciaproprio nella fase di più acuto contrasto con il comune di Biella,Andorno figura come la prima comunità dell’elenco, mentre Biella sitrova solo al ventesimo posto; nell’ultimo registro del 1377, redattoquando Biella è tornata in mano vescovile, è quest’ultima località ainaugurare la lista154.

c) Le spese di trasporto

L’organizzazione dei registri permette anche di analizzare i costi peril dislocamento delle derrate nei magazzini del vescovo. Le voci che sisusseguono per ogni comunità variano ovviamente da un caso all’altro,adattandosi alle specificità locali, ma le prime due di ogni elenco sonocostantemente le stesse: si tratta del fodro e dei ficta in denariis, cioè iprelievi percepiti in moneta e non in natura. Sono i pagamenti annotatisotto queste due voci che ci segnalano una specificità nella percezionedei redditi della chiesa vercellese: le spese di trasporto dei beni in natu-ra nei magazzini vescovili, come vedremo tutt’altro che lievi, sono acarico del vescovo e non delle comunità, e sono dedotte appunto daipagamenti in denaro. Per questo il fodro e i fitti in denaro presentanosovente delle voci in negativo.

153 Una serie di documenti conservati nell’archivio di Biella testimoniano, contem-poraneamente all’acuirsi della tensione fra le due controparti, una consistente serie diinvestiture a uomini del luogo (investiture del 7, 8, 12, 16, 26 gennaio; 6, 11 febbraio;3, 4, 24, marzo; 20, 22, 29 aprile; 3, 26 maggio; 3 luglio; 3, 6, 12, 17, 19 agosto; 23novembre 1346, fino al 2 gennaio 1347, in Carte, IV, p. 51, doc. 28).

154 Nel secolo successivo, quando entrambe le comunità sono ormai sotto il dominiosabaudo, questa rivalità fra Andorno e Biella è pienamente confermata, e Andorno sidimostra l’unico centro in grado di ostacolare efficacemente, anche se non per molto,l’egemonia di Biella sull’area.

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Quest’ultimo aspetto del prelievo vescovile non è affatto marginale,perché proprio la necessità di gestire fisicamente i beni in natura, tra-sportandoli dalle comunità in cui erano raccolti ai depositi del vescovo,determina il sistematico dirottamento di parte delle entrate vescovilinelle mani di chi si occupava di queste questioni. Le voci che si incon-trano costantemente nei Libri reddituum sono “recollecta” - cioè il lavo-ro svolto da chi si occupava di raccogliere le varie entrate in una loca-lità - e “conductura” - vale a dire le spese di trasporto, decisamente lepiù incisive.

Per fare un esempio concreto, nel 1352 sulle 25 lire e 12 soldi che ilcomune di Chiavazza versa annualmente come fitti in denaro, pocomeno della metà (10 lire e 12 soldi) rimangono nelle mani del gastaldo:in minima parte - 2 lire e 1 soldo - “pro sua recollecta”, e il resto per iltrasporto del vino al castello di Zumaglia. Mentre il lavoro di collettapuò essere ricompensato in natura o in denaro, le spese di trasporto sonorisolte quasi sempre in quest’ultima modalità155, e questo rende contodel fatto che risultano costantemente registrate in negativo sotto la vocedei fitti in denaro o del fodro.

Le poche situazioni in cui è possibile operare dei confronti signifi-cativi sembrano confermare che l’entità delle trattenute per questa voceè proporzionale alle distanze da coprire: così il trasporto di 8 botti divino da Curino a Crevacuore viene pagato il doppio, 4 lire, rispetto allastessa quantità di vino trasportata da Curino a Masserano.

d) Il personale

Per gestire le operazioni di prelievo, per trasportare le derrate neimagazzini del vescovo, per tenere aggiornati i conti era ovviamentenecessario il lavoro di molte persone. La figura principale, che coordi-na e organizza tutte le operazioni di raccolta, è un personaggio il cuinome completo è trascritto in altre sedi in modo assai curioso, IohannesThoela de Lobede, una peculiarità che si spiega col fatto che si trattava

155 Fa eccezione ad es. Masserano nel 1352, dove il lavoro dei muli che hanno tra-sportato il vino durante la vendemmia è ricompensato in avena.

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d’un tedesco: nei libri dei redditi è sempre citato come GiovanniAlamanno156. Da una delle brevi introduzioni che inaugurano ogni regi-stro ricaviamo che l’ufficio di “camerarium et exactorem” vescovile gliè stato attribuito il 3 settembre del 1351157, ma figura ininterottamentevicario del vescovo dal 1350 al 1377158; è lui che rappresenta il Fieschinelle varie fasi della causa contro Biella, è lui che redige l’intera seriedei registri degli anni Cinquanta159.

La precisione con la quale vengono indicati i nomi di chi versa comedi chi riceve le entrate sta ad indicare la chiara volontà di avere riferi-menti precisi per tutta la filiera che conduce il bene fino alla sua desti-nazione finale. Ad esempio Giovanni Alamanno si preoccupa di distin-guere chi prende atto del pagamento da chi prende materialmente inconsegna i beni, oppure i casi in cui un castellano si occupa di riceverei proventi fuori dalla sua sede specifica160; o ancora quelli in cui chi con-segna il pagamento si è occupato anche della sua verifica161.

156 La notizia del nome originale dell’Alamanno è data da Luigi Borello curatore delIV volume de Le carte dell’archivio comunale di Biella: cfr. Carte, IV, doc. 32, p. 83.

157 La dicitura presente in capo ad ogni fascicolo, con i dovuti aggiornamenti perquanto riguarda la datazione, recita: “In isto quaterno continentur omnia fodra et fictacomunium et singularium personarum ipsa fodra et ficta solvere debencium de anno1354 et exigenda per me Iohannem Alamanno maiorem ecclesiae Montiscaprilli came-rarium et exactorem Reverendi in Christo patris et domini Iohannis de Flischo episcopiVercellensis et comitis, ut de mee camerarie et exactorie officio constat publico instru-mento tradito per Antonium de Verrucha notarium publicum anno domini 1351 indic-tione quarta die tercio septembris”.

158 Cfr. Carte, IV, p. 83, doc. 32.159 L’impegno dell’Alamanno sul duplice fronte fiscale e giudiziario concorda pie-

namente con le acquisizioni dell’ultima storiografia in merito a questa figura: cfr. G.CHIRONI, La mitra e il calamo, Roma 2005, p. 47 e n. 40.

160 Ad esempio nel 1352 il comune di Bioglio consegna la quantità dovuta di for-maggi all’Alamanno, “accipiente” il castellano di Zumaglia.

161 Sembra infatti che quando l’annotazione del pagamento ricorre alla formula “xsolvit nomine y” non si intenda, come verrebbe immediato pensare, che chi consegna ilreddito sta facendo da intermediario fra il “contribuente” e il destinatario ultimo delpagamento - ad es. il gastaldo consegna all’Alamanno, “a nome del comune”, la talsomma - bensì si intenda che chi sta consegnando non si è materialmente occupato dellaricezione del pagamento (e quindi, potremmo aggiungere, della sua verifica) ma si limi-ta a trasferire un bene della cui rispondenza alle aspettative della camera vescovile nonè responsabile.

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Il personale che ruota attorno al camerario è molto articolato: in ognilocalità vi sono uno o più individui - il gastaldo, il castellano, ma a volteanche un console o individui privi di qualsivoglia qualifica162 - che siincaricano di raccogliere i proventi comunali per poi consegnarli nellemani degli ufficiali più strettamente legati al vescovo. Nel caso dei red-diti provenienti da terre affittate a privati è invece quasi sempre lo stes-so titolare a consegnare la somma. A ricevere la consegna, sia dei pro-venti della comunità nel suo complesso sia dei privati, è in genere lostesso Giovanni Alamanno, che poi provvede, parlando in prima perso-na, a riportare la voce del pagamento sui registri163. Sappiamo dal regi-stro del 1377, che ne conserva ancora qualcuna cucita fra le carte, chela consegna era inizialmente registrata su striscioline di carta, sulle qualisi indicava sinteticamente il nome di chi consegnava il provento, ilnome di chi lo riceveva, l’entità dello stesso e la data.

162 I gastaldi sono generalmente uno per ogni località, ma nei centri più importanticome Biella, Bioglio, Mosso, Crevacuore se ne parla al plurale, e quando è possibileverificarne il numero si tratta solitamente di due individui. Si verifica facilmente lacostante presenza nei vari anni degli stessi individui: per Andorno fino al 1357 è un taleBrixanus; per Zumaglia, cui è collegato il comune di Ronco, è segnalato un gastaldo,Guglielmo Re, un castellano, Manfredino, e il prete Ruggero, che non è qualificato altri-menti ma è anche, con l’Alamanno, uno dei destinatari ultimi dei prelievi vescovili; perBioglio vi sono due gastaldi (Guglielmo Sanius e Pietro Gallo), per Mosso Giovanni deUbertoto e Gisulfo Birreca; per Crevacuore vi sono due gastaldi - Aymo Moreria ePietro Bianco - e un castellano, Nicola di Casanova; a Curino Nicolino Fava; perMasserano Giovanni Bozio; a Occhieppo Giovanni de Ostachiis; a Pollone Martino deVegliano; Bongiovanni Vanifora per Asigliano; per Biella i Tarditi; a Moncrivello uncastellano, Gerardino di Boli, e un gastaldo, Bartolomeo Manaria; a Casale BertramoGrasso; un non meglio identificato Bongiovanni per Muzzano. Vi sono poi comuni incui non sempre risulta attivo un gastaldo, ad esempio del prelievo a Coggiola si occupail gastaldo di Crevacuore, del comune di Vernato il gastaldo della vicina Occhieppo(probabilmente perché i “mansi” connessi al comune di Vernato - la sezione dedicata aquesto comune si intitola “comune Vernati cum masiis de foris” - sono per l’appunto aOcchieppo); anche per Mortigliengo non sembra essere attivo un gastaldo. Di Graglia,Casaletum, Villanova, Balzola, Palazzolo, Villareggia, Saluggia, Santhià e Camburzano,anche quando sede di un gastaldo, non è stato possibile identificarne il nome. Nulla sipuò dire dei tanti personaggi citati quali consegnatori di redditi ma senza alcuna quali-fica, tranne che in alcuni casi i loro cognomi li rendono identificabili come detentori diterre ecclesiastiche e quindi, dato l’obbligo di investitura che questa caratteristica com-portava, ufficialmente inquadrati nella clientela vescovile.

163 Con la formula “solvit mihi Johanni Alamanno”.

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A volte a ricevere il versamento non è l’Alamanno ma uno degli indi-vidui addetti alla gestione dei vari depositi del vescovo164: dalla fre-quenza con cui sono citati i gastaldi e i castellani di questi luoghi, pos-siamo dedurre che i principali magazzini si trovavano nei castelli diBiella, Zumaglia, Crevacuore e Masserano.

e) Un reddito particolare: novalia e mulini.

I cosiddetti novalia, cioè le decime sui proventi delle terre di piùrecente messa a coltura165, e i redditi provenienti dai mulini costituisco-no due categorie a sé stanti, censite autonomamente rispetto alle singo-le località e poste al termine di ogni singolo registro annuale. La ragio-ne di ciò, probabilmente, è nel caso dei mulini la maggiore articolazio-ne delle registrazioni di pagamento, mentre nel caso delle decime“nuove” il fatto che il numero di località interessate da questo prelievoera molto più ampio - quasi il doppio - rispetto a quelle su cui il vesco-vo poteva vantare diritti signorili166. Nel caso di queste ultime, quindi, siprocedeva a registrare la voce novalia sotto il comune, generalmentesenza il pagamento, aggiungendo a lato un appunto - del tipo posite suntpostea167 - che rimandava alla sezione in calce al registro.

164 Si tratta comunque di personaggi al vertice della gerarchia ecclesiastica, è il casodi Pietro de Anoliis e del prete Ruggero, individui che detengono un ruolo di primopiano nella curia sin dall’episcopato di Emanuele Fieschi (cfr. ad es. doc. del 3 luglio1343, dove figurano il primo quale procuratore del vescovo e il secondo come testimo-ne dell’atto).

165 Si tratta cioè delle terre interessate dal boom dei dissodamenti che caratterizza ilBasso Medioevo e i cui proventi erano perciò distinti dalle decime di più antica riscos-sione.

166 Le località sono: Andorno, Chiavazza, Ronco e Zumaglia, Bioglio, Mosso,Crevacuore, Curino, Masserano, Mortigliengo, Roasio, Gattinara, Casal del Bosco,Landiona e Burgum Vetus, Biandrate, Castellazzo, Arborio e Lenta, Rovasenda,Oldenico e Forcanda, Buronzo, Casaleggio, Galgarengium, Castelletto e Gifflenga,Massazza, Vernato, Occhieppo e Sordevolo, Camburzano, Pollone, Graglia,Mongrando, Donato e Netro, Suliacho, Viverone, Magnano, Roppolo, Cavaglià, Borgod’Ale, Moncrivello, Cigliano, Saluggia, Trino, Tricerro, Ronsecco, Rosasco, Vettigné,Salasco, Monformoso, Odengium, Odalengo, Lozzolo, Muzzano, Sillarengo, Villanova,Santa Maria di Baona, Livorno.

167 Vedi ad esempio Andorno, registro del 1356.

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Nel Trecento il grosso delle entrate vescovili relativo alle decimederiva proprio dai novalia, mentre le decime cosiddette veteres hannoun ruolo decisamente marginale: che non godessero di molta considera-zione lo segnala il modo stesso in cui sono definite - sempre dopo lasezione dedicata ai novalia, con espressioni vaghe del tipo quedam deci-ma vetus e simili. Anche in questo caso riscontriamo il consueto scartofra le voci e i rispettivi pagamenti: ancora più che nel resto dei registri,sembra di notare qui la volontà di predisporre un elenco aggiornato delleprerogative vescovili, più che uno strumento per la loro concreta esa-zione. In alcuni casi le voci si susseguono l’una all’altra senza quasi pre-vedere il necessario spazio per la registrazione del pagamento, e le loca-lità in cui effettivamente avviene il prelievo sono sempre le stesse.Rispetto alle 61 località elencate come fonte di un reddito provenientedai novalia, meno della metà lo forniscono effettivamente.

I novalia sono gestiti in due modi: con un prelievo diretto del vesco-vo, o tramite affitto, che a sua volta poteva essere concesso al rettoredella chiesa locale (in tal caso l’affitto è sovente perpetuo e la sommasembra minima), al comune del luogo (è il caso di Ronco e Zumaglia,di Borgo d’Ale) o ad un privato. In alcuni casi di privati si specifica chel’affitto è temporaneo (ad esempio a Rovasenda per nove anni, aCasaleggio per un anno), e in diversi casi la voce reca traccia dei suc-cessivi affitti (ad esempio la decima di Tricerro, prima affittata ad unprivato di Ronsecco, poi al rettore della chiesa del luogo). Spicca per ilnumero di località affidate la famiglia de Arborio, che si occupava diraccogliere i novalia per Landione, Burgum vetus, Arborio, Lenta,Gattinara.

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CONCLUSIONE

Rispetto all’intento originario, la parte di questo contributo che haincontrato più ostacoli è quella che prevedeva un’analisi di tipo compa-rativo. Un proposito che è stato solo parzialmente realizzato a causadella difficoltà di instaurare un dialogo con lavori omogenei, da porrecome utili termini di raffronto per il caso vercellese: nel campo specifi-co dell’economia vescovile tardomedievale a un’oggettiva carenza distudi168 si somma infatti l’assenza di un vocabolario condiviso. Bastapensare che anche sotto l’etichetta di Liber reddituum, comunementeusata nei lavori sull’argomento, finisce per raccogliersi una congeriemolto diversificata di oggetti169. Ad esempio, nel caso di quello del capi-tolo della chiesa di S. Maria di Muggia Vecchia (Trieste) si tratta di unfascicolo pergamenaceo (1393-1423) che raccoglie una serie di atti afavore dello stesso capitolo. Nel caso del capitolo di Aosta si tratta di uncodice in folio del 1302 articolato in varie sezioni - redditi della prepo-situra, dell’arcidiacono, dei canonici, i refectoria, le luminarie - fra cuiquella dedicata alle “recognitiones feudorum ecclesie Auguste” sembraavvicinarsi al caso vercellese170.

La carenza di edizioni per questa specifica tipologia documentaria -le fonti di tipo economico, sovente di dimensioni consistenti e al con-

168 Se anche negli ultimi decenni si è assistito ad una notevole ripresa di interesse perlo studio degli aspetti economici delle istituzioni ecclesiastiche, a beneficiarne sonoancora ed esclusivamente i primi secoli bassomedievali, mentre gli studi sul Trecentoscarseggiano: cfr. S. MERLI, “Qui seminat spiritualia debet recipere temporalia”.L’episcopato di Città di Castello nella prima metà del Duecento, in «Mélanges de l’É-cole française de Rome, Moyen âge», 109 (1997), 269-301, a p. 270 e n.3. Scarsità distudi che sembra caratterizzare anche il panorama storiografico relativo all’età moder-na: C. DONATI, Curie, tribunali, cancellerie episcopali in Italia durante i secoli dell’etàmoderna: percorsi di ricerca, in Fonti ecclesiastiche per la storia sociale e religiosad’Europa: XV-XVIII secolo, a cura di C. NUBOLA e A. TURCHINI, Bologna 1999, pp. 213-229, alle pp. 213-15 e 228.

169 F. COLOMBO, Il ‘Liber reddituum Capituli collegiatae ecclesiae sancte Mariae deCastro Muglae’ (1393-1423), in «Atti e memorie della Società Istriana di Archeologia eStoria Patria», 74 (1974), pp. 205-240. Il fascicolo è intitolato “Quaternus sive liber inse continens omnes et singulos redditus capituli colegiate ecclesie sancte Marie decastro Mugle et bona quaeque immobilia pertinentia dicto capitolo”.

170 Cfr. l’introduzione di Anna Maria Patrone al Liber reddituum capituli Auguste, acura della medesima, Torino 1957, pp. 7-27, in particolare p. 21.

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tempo ripetitive e monotone, sono particolarmente svantaggiate da que-sto punto di vista -, rappresenta un altro forte ostacolo per un approcciodi tipo comparativo. Dato questo stato di cose, cui da tempo si chiede diporre rimedio171, forse proprio il contesto vercellese, che si è sempredimostrato ricco di iniziative non solo sul piano storiografico ma anchein quello più macchinoso delle edizioni di fonti, potrebbe aprirsi ad unesperimento in controtendenza. Anche in considerazione dell’importan-za rivestita dal vescovo Giovanni Fieschi per la storia della chiesa ver-cellese e non solo, potrebbe avere senso completare l’opera iniziataormai tanti anni fa da Domenico Arnoldi, affiancando al Libro delleinvestiture un altrettanto prezioso Libro dei redditi della chiesa vercel-lese.

Appendice. La questione delle ville a giurisdizione mista

Una delle difficoltà che si incontrano nel valutare i pesi relativi dellevarie comunità nelle entrate vescovili è costituita dalle misure in cuisono espressi i versamenti in natura - principalmente quelle di Biella edi Vercelli -, perché non se ne conosce con precisione il rapporto reci-proco. L’analisi di come le misure vercellesi e biellesi si distribuiscononelle varie località censite dai libri dei redditi ha fatto però emergere unaquestione specifica, che nonostante la fase ancora iniziale delle indagi-ni penso sia utile accennare già qui. La questione è la seguente: ci si

171 Già una ventina d’anni fa Alberto Grohmann, facendosi promotore dell’edizionedi una fonte fiscale importante come la Libra di Perugia, lamentava in relazione alle ulti-me tendenze della storiografia medievale di matrice economica, e in opposizione aquanto accadeva nel primo Novecento, un “graduale quanto progressivo distacco d’in-teresse [...] per la documentazione archivistica”, che aveva lasciato esclusivamente apaleografi e diplomatisti il campo delle edizioni critiche dei documenti: A. GROHMANN,Il documento perugino nel panorama degli estimi italiani del secolo XIII, inL’imposizione diretta nei comuni dell’Italia centrale nel XIII secolo. La Libra diPerugia del 1285, Roma 1986, pp. 1-2. Lo stesso concetto è ribadito una decina d’annidopo in merito allo studio delle fonti censuarie, in ID., Le fonti censuarie medievali:bilancio storiografico e problemi di metodo, in Id. (a cura di), Le fonti censuarie e cata-stali tra tarda romanità e basso medioevo (Emilia Romagna, Toscana, Umbria, Marche,San Marino), San Marino 1996, pp. 14-53, alle pp. 14-15.

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aspettava inizialmente di trovare le misure biellesi nelle località prossi-me a Biella, e quelle vercellesi nelle località più prossime a quest’ulti-mo centro; in altre parole, che le attestazioni geogafiche delle variemisure ricalcassero grosso modo le sfere di influenza dei due maggioricentri della diocesi. In realtà, in diverse località del Biellese - parliamodi Chiavazza, Bioglio, Mosso - sono attestate entrambe le misure, e nelcaso di Chiavazza il prelievo di un singolo reddito è richiesto parte allamisura vercellese e parte alla misura biellese. Questa peculiarità, appa-rentemente marginale, si connette in realtà con un tema di grande inte-resse e finora poco studiato, le ville a giurisdizione mista172.

La compresenza di misure che si riscontra nelle tre località biellesiha infatti a che vedere con il processo secolare che aveva portato ilcomune vercellese a costruire ed ampliare un proprio districtus ai dannidella signoria ecclesiastica. In alcuni casi gli sforzi del comune persostituirsi al vescovo nel controllo dei vari centri della diocesi erano riu-sciti solo parzialmente: in un certo numero di località della chiesa - frale quali Chiavazza, Bioglio e Mosso - si era così giunti, a partire dallaseconda metà del Duecento, all’instaurarsi di una doppia giurisdizione,spartita fra chiesa eusebiana e comune di Vercelli. Le premesse per ilverificarsi di questa situazione vanno probabilmente individuate nel1243: in quell’anno il comune vercellese, in cambio della sua adesioneal partito guelfo, acquista con il consenso papale la giurisdizione su unconsistente gruppo di località appartenenti alla chiesa, per la somma di9000 lire pavesi173. Fra queste ritroviamo tutte le ville sulle quali ladocumentazione dei due secoli successivi attesta una doppia giurisdi-

172 Cfr. F. PANERO, Una signoria, cit., p. 169, e ID., Due borghi franchi padani.Popolamento ed assetto urbanistico e territoriale di Trino e Tricerro nel secolo XIII,Vercelli 1979, p. 50-51, e Terre in concessione e mobilita contadina: le campagne fraPo, Sesia e Dora Baltea, secc. XII e XIII, Bologna, 1984, p. 117 e n. 49, p. 162 n. 39. Iltema è toccato anche dai saggi di Federica Cengarle (cfr. testo in corr. delle note 46-50)e Alessandro Barbero (testo in corr. delle nn. 64 e 126, e par. 7.b); a quest’ultimo devonumerose segnalazioni di documenti relativi a questa questione.

173 BB, 1/1, 89: le località oggetto della vendita sono Andorno, Asigliano, Biella,Biella Piazzo, Bioglio, Camburzano, Casale Aquarti, Chiavazza, Cigliano, Coggiola,Crevacuore, Curino, Flecchia, Fregaria, Gaglianico, Graglia, Guardabosone,Masserano, Miralda, Moncrivello, Mortigliengo, Mosso, Muzzano, Occhieppo,Palazzolo, Pollone, Ponderano, Ronco Biellese, Saluggia, Sandigliano, Santhià,Sordevolo, Uliaco, Zumaglia.

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zione: Santhià, Crevacuore, Coggiola (prime attestazioni nella secondametà del Duecento)174, Bioglio, Masserano, Curino e Mosso (primametà del Trecento)175, Chiavazza, Occhieppo superiore, Sordevolo(seconda metà del Trecento)176.

La documentazione tre e quattrocentesca dimostra che le ville mistesono da considerare una realtà strutturale di lunghissima durata177. I con-

174 Per Santhià: doc. del 15 dicembre 1268, Giovanni Guambello “qui habitat in locoSanctae Agathe super iurisdicione ecclesie Vercellensis et episcopatus, quo iverat habi-tatum de iurisdicione comunis Vercellarum super quam prius habitabat in predicto locoSanctae Agathe volens redire ad habitandum super iurisdicione dicti comunisVercellarum in predicte loco Sanctae Agathe” (BB I/3, doc. 534; la doppia giurisdizio-ne vescovo-comune a Santhià è attestata in altri documenti, tutti del 1268: cfr. ivi, docc.531-532-535-536-537-540); Crevacuore e Coggiola: doc. del 1279, inchiesta del comu-ne di Vercelli per verificare i possessi di giurisdizione vercellese “que sunt in terriscomunibus cum domino episcopo vercellensi”: BB, II/2, doc. 388.

175 Per Bioglio vedi Arnoldi, Investiture, doc. 3 (marzo 1349): “[…] dicti lociiBedulii utriusque iurisdictionis tam dicti domini electi et ecclesie Vercellensis quamcomunis Vercellarum”; per Mosso e Curino vedi libro dei redditi, 1357, rispettivamen-te ff. 88v e 90v, dove sono segnalate per ognuna delle località due voci, di cui una rela-tiva alla parte precedentemente sottoposta a giurisdizione vercellese (“quod fuit ali-quando iurisdictionis comunis Vercellarum”); per Masserano: 18-28 febbraio 1340, ilcomune di Masserano nomina procuratori per trattare col comune di Vercelli questionirelative al mercato locale, e ottiene di tenere mercato ogni mercoledì, in una parte delluogo che sia in terra di giurisdizione vercellese (“super terra iurisditionis Vercellarumtantum”), BB 2/2, docc. 525-7.

176 Per Sordevolo: 30 gennaio 1388, supplica “pro parte paucorum hominum quihabitant locum Sordevoli iurisdictionis vestre civitatis Vercellarum, quod ipse locus estmiste iurisdicionis videlicet communis et ecclesie Vercellensis”, in ASCV, Ordinati, vol.1, f. 29; per Occhieppo: 3 giugno 1396, supplica di tre Dal Pozzo “ex nobilibus deOclepo superiori, ut cum soli se inveniant in ipso loco Oclepi in manutenendo et defen-dendo iurisdictionem illustrissimi domini nostri etc. et comunis Vercellarum”, in ASCV,Ordinati, vol. 2, f. 25; per Chiavazza: doc. del 15 marzo 1399, supplica di GiovanniTroiano di Chiavazza “qui solus manutenet iurisditionem Vercellarum in loco Clavazie”,in ASCV, Ordinati, vol. 3, f. 28.

177 Come prova, fra l’altro, lo stabilizzarsi nei documenti di espressioni quali “terrecomunes” e “ville miste”, segno che i luoghi caratterizzati da una doppia giurisdizioneerano percepiti e trattati come una categoria a sé stante: già nel 1279 compare la dicitu-ra “terris comunibus” (cfr. sopra, n. 172), mentre più tardi compare l’espressione “villismistis”, attribuita alle località di Mosso, Lessona, Sostegno, Chiavazza, Trivero,Coggiola, Sordevolo (in un documento non datato, ma attribuibile al 1429, ASB,Comune, b. 12, f. 5); in un documento del 17 marzo 1432 si definisce “misturam iuris”la giurisdizione mista nelle località di Mosso, Bioglio, Chiavazza e Sordevolo (ivi, f. 6).

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tinui sforzi del comune vercellese per occupare le terre della chiesa e laresistenza opposta dai vescovi rendono estremamente fluttuante e quin-di difficile da seguire l’evolversi della situazione per le singole località,che a volte sembrano perdere la loro doppia natura, ma non riescono néda una parte né dall’altra a raggiungere acquisizioni stabili178. Neanchequando, verso la fine del Trecento, al vescovo vercellese e al comune sisostituiranno i Savoia e i Visconti, titolari di un potere a scala regionalee di mezzi e strumenti di governo ben diversi, le ambiguità di giurisdi-zione di queste località saranno risolte179. Ancora negli anni ‘20 e ‘30del Quattrocento, quando il Vercellese è ormai interamente in mano aiSavoia, diviso fra un’area d’influenza biellese e una d’influenza vercel-lese, continuano a sussistere diverse località a doppia giurisdizione, coni problemi amministrativi che ne conseguono. Nel 1429, due anni dopoche Vercelli è passata ai Savoia, Mosso, Chiavazza, Lessona, Sostegno,Trivero, Coggiola e Sordevolo presentano appello al duca, chiedendol’attribuzione alla podesteria di Biella invece che a quella vercellese,rivendicata dal podestà Aimonetto di Brozio180. Risulta che in questelocalità, designate con l’espressione “ville miste”, una parte degli abi-tanti era finora soggetta alla giurisdizione di Vercelli, e dunque aiVisconti, mentre una parte, di solito preponderante, era soggetta aiSavoia - si fa l’esempio di Chiavazza, nella quale dei 60 fuochi presen-ti 10 ricadono sotto giurisdizione vercellese. Questa situazione provocale ambiguità e i disguidi che si possono immaginare: gli individui col-pevoli di crimini sfuggono alla punizione “se redducendo super alia iuri-

178 Ad esempio nel 1357 il vescovo di Vercelli sembra aver riacquisito il controllototale per le località di Coggiola, Mosso e Curino, delle quali segnala i redditi anche perla parte precedentemente soggetta al comune vercellese (vedi libro dei redditi del 1357,rispettivamente ai ff. 90r, 88v e 90v).

179 Negli anni ’80 e ’90 del Trecento Sordevolo e Occhieppo, che formalmente ave-vano fatto dedizione al conte di Savoia, compaiono nei libri delle taglie del comune diVercelli: cfr. il saggio di Federica Cengarle in questo volume, testo in corrispondenzadelle nn. 46 e 50.

180 Lo stesso podestà che rappresenta gli interessi di Vercelli in questa circostanzapromuove la redazione di copie dei diplomi imperiali concessi in passato alla chiesa diVercelli, che il comune intendeva usare, come aveva già fatto in passato, per legittima-re le proprie pretese in qualità di erede della signoria ecclesiastica (in ASCV,Pergamene, n. 1 e AAV, Diplomi).

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sdicione”, cioè spostandosi a seconda della convenienza da una zonaall’altra. “Et sic”, continua il documento, “foret una magna confuxio,quod in ipsis villis fietur et exercetur iurisdictio per potestates predicto-rum locorum civitatis Vercellarum et Bugelle”181.

Ancora nel 1432 il duca di Savoia interverrà per risolvere i problemicreati dalla giurisdizione mista di Bioglio, Mosso, Chiavazza eSordevolo, che rispondono alla giustizia “pro una parte ipsorum loco-rum sub potestate Vercellarum, pro alia vero parte sub potestateBugelle”: questa “misturam iuris” è dichiarata dannosa, per cui il ducali unisce alla podesteria di Biella182.

181 Doc. del 2 maggio 1429 in ASB, b. 12, f. 5.182 Doc. del 17 marzo 1432, in ASB, b. 12, f. 6.

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