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Da Verona una ventata di speranza. La relazione che cura. Il principio di sussidiarietà nell’ordinamento giuridico dell’associazionismo familiare. Il legame di attaccamento e il maltrattamento infantile. Bioetica e riabiitazione. oggi Consultori Familiari Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana Numero 3/4 - 2007 - anno 15 “Poste Italiane Spa - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB BRESCIA”

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Da Verona una ventata di speranza.

La relazione che cura.

Il principio di sussidiarietà nell’ordinamento giuridico dell’associazionismo familiare.

Il legame di attaccamento e il maltrattamento infantile.

Bioetica e riabiitazione.

oggiConsultoriFamiliari

Organo della Confederazione Italiana dei Consultori Familiari di Ispirazione Cristiana

Numero 3/4 - 2007 - anno 15

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SommarioEditoriale Domenico Simeone Pag. 5

Da Verona una ventata di speranzaOlimpia Tarzia “ 7

FORMAZIONE

La relazione che cura.Carl Rogers incontra Martin BuberDaniele Bruzzone “ 21

Il principio di sussidiarietà nell’ordinamentogiuridico dell’associazione familiareGoffredo Grassani “ 47

La società coniugaleMaria Adelaide Raschini “ 59

STUDI E RICERCHE

Il legame di attaccamento e il maltrattamento infantileCristina Mocchetto “ 73

DOCUMENTI

Bioetica e riabilitazioneComitato Nazionale per la Bioetica “ 87

PROGETTI E ATTIVITÀ

Il Centro EMDR nel Consultorio Familiare CIFdi Avezzano (AQ)Renzo Barbato “ 135

Verità e PaceEttore Botti “ 145

CORSI E CONVEGNI

La persona umana: ragione, intelligenza, amore “ 152

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE “ 157Relazioni liquideEttore Botti “ 159

Consultori familiari oggi

Organo di informazione e formazionedella Confederazione ItalianaConsultori Familiaridi Ispirazione Cristiana (ONLUS)

Autorizzazione del Tribunale di Roman. 432 del 2-10-1993

Direttore Responsabile:Goffredo Grassani

Direttore Editoriale:Domenico Simeone

Comitato di Redazione:Raffaele Cananzi Giancarlo GrandisAntonino LeocataAngiolina Motroni OnoratoGiuseppe NoiaGiuseppe PallanchLuigi PatiChiara SitàLuciano Viana

Segreteria di Redazione:Sandro De Toni

Comitato Scientifico:Francesca BaroneCesare Massimo BiancaRaffaele CananziIgnacio Carrasco De PaulaGiuseppe NoiaLuigi PatiPaolo OttonelloAngelo SerraLiliana Zani Minoja

Direzione RedazioneLargo F. Vito, 1 00168 RomaTel. 06 30.17.820Fax 06 35.019.182e-mail: [email protected]. 70853007

Impaginazione e Stampa:Vannini Editrice srlGussago - Brescia

Hanno collaborato

Renzo Barbato Psicologo e psicoterapeuta, Centro EMDR Consultorio FamiliareCIF di Avezzano (AQ) e membro dell’associazione EMDR Italia.Docente a contratto presso l’Università degli Studi dell’Aquila

Ettore Botti Professional Counselor ad indirizzo analitico transazionale –Centro “per la famiglia”, Orzinuovi (BS)

Daniele Bruzzone Ricercatore di Pedagogia Generale – Università Cattolica delSacro Cuore, Piacenza

Nello Dell’Agli Psicoterapeuta, Istituto di Gestalt H.C.C., Ragusa

Sandro De Toni Segreteria di redazione rivista Consultori Familiari Oggi.Formatore

Gabriella Gambino Assegnista di ricerca in Bioetica – Università LUISS GuidoCarli, Roma. Esperto scientifico del Comitato Nazionale diBioetica

Goffredo Grassani Presidente della Confederazione Italiana dei Consultori familiari di Ispirazione Cristiana, Giurista

Cristina MocchettoPsicologa, cultore della materia in Psicologia della relazionedi aiuto: aspetti clinici e contesti presso l'Università Cattolicadel Sacro Cuore di Milano, collabora con il consultorio"Comoli" di Novara

Maria Adelaide Reschini (Broni 1925 – Genova 1999), è stata cattedratica di Filoso-fia Teoretica nell’Università di Genova, nel 1978 ha fondatoe diretto il trimestrale internazionale “Filosofia Oggi”; nel1990 ha fondato e presieduto L’Arcipelago, Società Interna-zionale per l’Unità delle Scienze

Olimpia Tarzia Vicepresidente della Confederazione Italiana dei Consultorifamiliari di Ispirazione Cristiana

Domenico Simeone Direttore editoriale della rivista “Consultori Familiari Oggi”Professore Associato di Pedagogia Generale presso l’Univer-sità degli Studi di Macerata

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Editorialesottotitolo

Domenico Simeone

Nonostante i profondi mutamenti che contrassegnano i rappor-ti familiari e inducono nei coniugi e nei figli insicurezze e fra-gilità psicologiche nuove, la famiglia rimane l’ambito fonda-mentale “dell’umanizzazione della persona”, il luogo privile-giato della cura e dell’educazione, il contesto primario in cuipuò crescere la speranza. La famiglia è un contesto affettivo,di apprendimento e di esperienza, in cui il soggetto costruiscela propria identità e la propria capacità di mettersi in relazionecon gli altri. Rappresenta la prima “scuola” nella quale la per-sona può imparare a vivere l’esperienza dell’amore. La famigliaè, di sua natura, uno spazio privilegiato per l’educazione anchein ragione dei legami profondi che sono alla base dei rapportitra le persone che la compongono; è il luogo in cui sperimen-tare la possibilità di essere amati e di amare; è il contesto nelquale le diverse generazioni possono dimostrare di accettarsi edi capirsi; è l’ambiente in cui si incontrano tra il maschile e ilfemminile.La famiglia è una scuola di speranza e di amore. Attraversoqueste sue qualità essa può offrire alle giovani generazioni e al-la comunità locale nel suo insieme un contributo particolare.Infondere speranza è una delle funzioni emotive che D. Melzere M. Harris assegnano alla famiglia. In un’atmosfera ricca disperanza sarà possibile fare progetti, si svilupperanno energia

È stata offuscata enegata la verità del“concepito”, che è“figlio”

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7che nelle situazioni di difficoltà vanno promosse le risorse pre-senti nel nucleo domestico. La solidarietà per la famiglia, indi-pendentemente dal fatto che sia espressa dallo Stato, dallaChiesa, dal mondo dell’associazionismo, deve far fronte allenecessità più impellenti della famiglia di oggi. In modo parti-colare coniugi e genitori necessitano di un sostegno educativoper far fronte alle sfide della società odierna, affinché la fami-glia diventi protagonista delle scelte che la riguardano anzichébeneficiaria di provvedimenti pensati da altri per essa. È ne-cessario promuovere una nuova politica per la famiglia che ve-da la famiglia coinvolta come protagonista.Il consultorio è il luogo in cui la famiglia, a maggior ragione sein difficoltà, può trovare il sostegno necessario per assolvere alsuo compito, per questo è necessario incrementare le opportu-nità di formazione rivolte agli adulti, favorire lo sviluppo dicompetenze educative e relazionali da parte della famiglia, of-frire occasioni di incontro agli operatori, promuovere una nuo-va cultura della famiglia e per la famiglia.

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6e spirito di iniziativa, si creeranno le premesse perché la fami-glia possa diventare un’importante “scuola di speranza e diamore” nella quale le diverse generazioni possono accettarsi ecapirsi. La speranza – scrive E. Borgna – è un “ponte che ci fauscire dalla nostra solitudine e che ci mette in una relazionesenza fine con gli altri: con gli altri, in particolare, che soffra-no e chiedano aiuto”

1.

I genitori oggi sono chiamati a vivere la solidarietà come qua-lità intrinseca del rapporto d’amore che non si esaurisce in séstesso, ma chiede di essere condiviso e comunicato. La primaforma di solidarietà che i genitori e la famiglia sono chiamati avivere riguarda le relazioni interne al nucleo domestico. Il prin-cipio di solidarietà trova la sua ragion d’essere nella natura so-ciale dell’uomo e nella responsabilità etica che lega l’uomo al-l’altro uomo: “ogni uomo viene interpellato come persona daun altro essere umano, nella parola, nell’amore, nell’opera. Uo-mo si diventa per grazia di un altro, amando, parlando, pro-muovendo l’altro”

2.

Grazie alla solidarietà la famiglia può aprirsi all’ospitalità e al-l’accoglienza. La famiglia dovrebbe vivere due momenti im-portanti; il momento dell’intimità (dialogo, incontro, confrontonella coppia e con i figli) e il momento dell’apertura e dell’o-spitalità. La prima ospitalità che la famiglia è chiamata a vive-re riguarda il proprio interno. Se lo sposo non accoglie la spo-sa, se il genitore non ospita il figlio la famiglia non potrà esse-re ospitale verso l’esterno. L’ospitalità indica l’attitudine a sa-per cogliere le attese, i desideri, le intuizioni dell’altro. Acco-gliere l’alterità significa creare uno spazio “libero” per l’altro,dove il cambiamento sia possibile. La famiglia diviene cosìuno “spazio ospitale” in cui è possibile l’incontro, senza prete-se di omologazione e di possesso; in cui le differenze, di gene-re e di generazione arricchiscono la rete delle relazioni e offro-no nuove opportunità di crescita.Da questa capacità di accoglienza maturata all’interno del nu-cleo domestico nasce la solidarietà verso l’esterno della fami-glia. I genitori aperti ai bisogni di altri genitori e alla società,possono dar vita ad una rete di solidarietà interfamiliare. Latrama della rete informale costituita da queste relazioni solida-li sostiene le famiglie più in difficoltà e diventa risorsa impor-tante per l’intera comunità locale. La famiglia è, quindi, un be-ne per la comunità e come tale va aiutata, tutelata e difesa. An-

1 E. BORGNA, L’attesa e la speranza, Feltrinelli, Milano, 2005, p. 215.2

J. GEVEART, Il problema dell’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica (trad. dalfrancese), Elle Di Ci, Leumann (TO), 1978, p. 42.

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Da Verona una ventata di speranza

Olimpia Tarzia

Dal 16 al 20 ottobre si è svol-to a Verona il 4° convegno Ec-clesiale Nazionale della Chie-sa in Italia, dal tema “Testi-moni di Gesù risorto, speran-za del mondo”: una nuovatappa del cammino di attua-zione del Concilio Vaticano II.Vi ho partecipato in qualità didelegata della Diocesi di Ro-ma e, devo dire, è stata un’e-sperienza particolarmente si-gnificativa, non solo per l’e-vento in sé e per quanto dettoe ascoltato in quei giorni, masoprattutto per i futuri possi-bili sviluppi che porta con sé,se sapremo coglierli e farnetesoro. Sono state giornatemolto intense, dense di in-contri, approfondimenti,spunti di riflessione, ma, no-nostante lo spessore delle re-

lazioni e delle tematiche af-frontate, non si possono defi-nire giornate di studio, quan-to, piuttosto, di condivisionedi un cammino comune, di vi-ta familiare, di una chiesache “si incontra”, nelle suepreziose specificità e nel do-no reciproco dei diversi cari-smi. Tutti insieme, laici, reli-giosi, religiose, vescovi, daltragitto nei pullman la matti-na presto, piuttosto assonna-ti, per recarci dai diversi al-berghi al Palafiera al grandetendone dove si svolgevano ilavori; insieme a pranzo, nel-l’immenso salone attrezzatocon tavoli da 15 posti l’uno,insieme nelle lunghe chiac-chierate scambiate durante lefile chilometriche al bar perprendersi l’agognato e merita-

Reti di ascolto,accompagnamento e sostegno ai genitori

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la comunità cristiana propon-ga la via dell’incontro con l’al-tro come percorso privilegiatodi maturazione e realizzazionepersonale. Percorso al centrodel quale si colloca la fami-glia. La tendenza diffusa nel-la cultura dominante di consi-derare la relazione con l’altroun ostacolo alla realizzazionedel soggetto e dei suoi dirittiindividuali ha portato, neltempo, all’estensione di fe-nomeni che sono sotto gli oc-chi di tutti, quali separazione,divorzio, denatalità, aborto,fecondazione artificiale, inte-sa come “diritto al figlio”.Parlare di relazionalità dellavita affettiva significa uscireda una logica egocentrica eproiettarsi in una prospettivaaffettiva che parte dalla pro-pria storia personale e richie-de tempi lunghi. Non è un“pronto all’uso”. Un’autenti-ca vita affettiva (fiducia, spe-ranza) non può, per sua natu-ra, essere disgiunta da una di-mensione etica (lealtà, giusti-zia). Il grave rischio di fronteal quale oggi ci troviamo èche esiste una sorta di “iper-trofia” dell’affetto, con tuttala componente emozionale edistintuale che esso comporta,spesso ridotta a puro senti-mentalismo, a “ciò che sisente”, a saturazione di unbisogno; tutto ciò a discapitodegli aspetti valoriali: l’oblati-vità, la gratitudine, la pro-spettiva di senso, la proget-tualità. Alla luce di ciò, nel-

l’ottica di un servizio semprepiù pieno ed efficace alla per-sona, alla coppia e alla fami-glia, è necessario fare alcuneconsiderazioni, poiché il gra-ve rischio su esposto chiamain causa direttamente le re-sponsabilità educative. Bastipensare al delicato tema del-l’educazione della sessualità,strettamente connesso al te-ma dell’educazione alla vita:“La banalizzazione della ses-sualità è tra i principali fatto-ri che stanno all’origine deldisprezzo della vita nascente”(Evangelium Vitae, n. 97).L’enfasi sugli aspetti emotivia scapito di quelli della re-sponsabilità ha effetti dirom-penti anche sulla concezionestessa di famiglia, spesso ri-dotta ad una qualsiasi formadi relazione umana basata suintimità ed affetto. Da qui lateorizzazione di forme di lega-me “leggero”, come i PACS,che consentano di usufruiredei diritti tipici del matrimo-nio, ma rifiutano di impegnar-si in aspetti quali il vincolo diuna promessa, il compito ge-nerativo e sociale della rela-zione di coppia. Certamentecostruire una famiglia è moltopiù impegnativo che vivere in-sieme, perché il matrimonioporta con sé un carico di do-veri e responsabilità, deve af-frontare spesso difficoltà eco-nomiche, sociali e lavorative.È paradossale che, di fronte aquesta realtà, allo Stato ven-ga chiesto, anziché di tutela-

11to caffè della pausa! Una fa-miglia numerosa, viva, gioio-sa, a volte assorta e riflessiva,a volte esplosiva nelle suemanifestazioni di condivisio-ne e di consenso, particolar-mente a seguito delle paroledel Santo Padre. Difficile tra-smettere tutto questo! Ma, aldi là degli approfondimentiche ciascuno potrà personal-mente fare sulla gran mole didocumenti prodotti in queigiorni, spero di riuscire a co-municare una “santa inquie-tudine”. Quella stessa santainquietudine di cui parlò ilSanto Padre appena eletto,nella sua prima omelia, quel-la forza travolgente, sconvol-gente e contagiosa che nascedalla speranza cristiana e checi porta a diffonderne il con-tagio a tutta la società, quel-l’invito ad essere portatori sa-ni di una vera e propria epi-demia di santa inquietudineper la difesa della vita e dellafamiglia!

A parte i momenti assemblea-ri di apertura e di chiusura, ilavori del convegno si sonosvolti principalmente nei lavo-ri di gruppo dei cinque ambi-ti previsti: “Vita affettiva”,“Lavoro e festa”, “Fragilità”,“Tradizione”, “Cittadinanza”.Già i titoli, radicati pienamen-te “dentro l’umano” facevanocogliere l’esigenza di riflette-re, in un orizzonte teologico-pastorale e secondo una pro-spettiva spirituale, culturale e

sociale, sull’identità umana ecristiana e su un cristianesi-mo popolare calato dentro lavita quotidiana. Nei lavoripreparatori dei delegati, svol-tisi nelle diverse diocesi, eraemersa la preoccupazione cheil tema della famiglia e dellavita non fossero previsti dagliambiti. In realtà essi rappre-sentavano una sorta di “tematrasversale” sotteso in cia-scun ambito. Certo questoavrebbe richiesto particolareattenzione e vigilanza da par-te dei delegati più sensibili aqueste tematiche, affinchétali temi emergessero piena-mente nelle loro potenziali ri-sorse ed anche nella loro pro-blematicità. In realtà, dallasintesi dei lavori di gruppo,non sempre si è colta tale at-tenzione. Direi che l’ambitoove più si sono approfonditiquesti argomenti è senza dub-bio quello della cittadinanzacui, dunque, dedicherò mag-giori riflessioni. In questa miabreve trattazione ho inteso fa-re una sintesi di tutti gli am-biti al fine di mettere in evi-denza le istanze che mi sonosembrate più significative neiconfronti dei temi a noi cari,commentandoli con alcuneconsiderazioni personali.

Vita affettivaIn risposta al diffuso indivi-dualismo, incapace di pensa-re la “relazione”, cioè di pen-sare a ciò che lega tra di lorole persone, è necessario che

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Vita affettiva

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sì sintetizzare: uno Stato nonpuò – e non deve – sostituirsiai genitori nel dare una carez-za al proprio figlio, ma può edeve consentire a quei genito-ri di avere il tempo di farlo!Ugualmente tanti sono i pun-ti nevralgici relativi alla festa.La festa, infatti, è principal-mente gratuità e dono. Primache un dovere, è un bisogno enon c’è solo quando non si la-vora, ma anche quando nasceun bambino, quando, col ma-trimonio, nasce una nuova fa-miglia, quando si conclude esi inaugura un’opera, ma l’op-pressiva logica consumisticae individualistica ne ha impo-sto una inquietante deriva. Èdunque necessario un oppor-tuno equilibrio, un giusto di-scernimento nel rapporto tralavoro e festa, poiché semprepiù queste due esperienze siconfondono, sempre più l’unasembra poter fare a meno del-l’altra, rischiando, così, nellamisura in cui perdiamo di vi-sta la loro relazione, di farce-ne perdere il senso.

FragilitàCertamente lo spettro dellefragilità umane più evidenti oemergenti è vastissimo e, ri-spetto a queste, la comunitàcristiana deve essere maestrad’umanità autentica e piena,attraverso la vicinanza, l’im-pegno nelle cure personali, laricerca della verità, il serviziogeneroso, amorevole, appas-sionato, umile ma competen-

te. In un’ottica di pastoraleintegrata sono emerse alcunelinee guida, tra cui: - il sostegno e la valorizzazio-ne capillari delle forme estrutture di promozione allavita dal concepimento al suotermine naturale, in particola-re verso le età più vulnerabili;- il sostegno massimo alle fa-miglie e alle reti di famiglie,in luoghi e prassi che ne ac-compagnino non solo il sorge-re ma anche l’alimentarsi e ilrinnovarsi quotidiano;- la diffusione e la promozio-ne della cultura dell’acco-glienza, nelle specifiche for-me dell’affidamento eterofa-miliare (e del sostegno stabilealle famiglie accoglienti);- la previsione di percorsi diaccoglienza, sostegno e com-pagnia verso i separati e i di-vorziati risposati;- il rinnovato impegno per lacura educativa alla responsa-bilità, al senso del sacrificioed alla santità nelle genera-zioni dei preadolescenti edadolescenti.

TradizioneL’attesa più profonda del cuo-re dell’uomo è di incontrarequalcuno che possa corri-spondere al desiderio di feli-cità che caratterizza in ma-niera insopprimibile la vita diciascuno di noi. A questa vita,densa di esigenze, tentativi,limiti, fallimenti, speranze,non si può rispondere con undiscorso, ma solo con la vita.

13re e incentivare chi libera-mente sceglie di costruire unafamiglia, di aggirare il proble-ma riconoscendo realtà più“deboli”. Inoltre, le leggi han-no sempre una ricaduta cultu-rale, educativa o diseducati-va, che influenza e orienta ilcostume. È chiaro che se vifosse un riconoscimento giuri-dico delle unioni di fatto,queste sarebbero più facil-mente accettate dalla società,dando pertanto alle giovanigenerazioni un segnale cultu-rale e morale estremamentenegativo. Darebbe legittima-zione e giustificazione ai pro-blemi che oggi molti giovanivivono di fronte alle sceltedella vita: insicurezza, inca-pacità di assumersi responsa-bilità, volubilità e instabilitàemotiva. È indispensabile, in-vece, promuovere l’educazio-ne all’affettività, al dono disé, ad una sessualità respon-sabile. E attuare politiche fa-miliari concrete che favori-scano questi percorsi.

Lavoro e festaTutti i gruppi di quest’ambitohanno sottolineato la neces-sità di una “visione realistica”dei cambiamenti intercorsinella società italiana su que-sti aspetti. Rispetto al lavorodiversi sono i problemi: il la-voro che non c’è, il difficilerapporto tra tempi di lavoro etempi di vita familiare, laquestione del lavoro femmini-le e delle attività svolte dalla

donna dentro e fuori le muradomestiche, il tuttora proble-matico rapporto tra lavoro ematernità, la disoccupazionegiovanile, che, inevitabilmen-te, ha ricadute sull’intera vitafamiliare. Varrebbe la pena suquesto tema approfondire lariflessione, ma farò solo qual-che cenno proprio per quantoriguarda i tempi di lavoro e itempi di vita familiare. Moltisociologi, interpellati sullaproblematica del diffuso disa-gio adolescenziale e giovani-le, sottolineano, certo non deltutto a torto, il fatto che spes-so all’origine di determinaticomportamenti vi sia l’assen-za dei genitori. Ora, senza inalcun modo voler semplificarei termini della questione, midomando quanti genitori oggipossono scegliere quanto tem-po dedicare ai propri figli. Eancora, quante madri possonodirsi libere di scegliere se an-dare a lavorare fuori casa op-pure no o di riprendere a la-vorare dopo una maternitàquando il bimbo ha raggiuntoi tre anni, o iniziare un per-corso di lavoro non più giova-nissime, magari quando i figlicominciano la scuola mater-na? E ancora, quante coppiepossono oggi scegliere libera-mente se progettare o no unanuova maternità? Penso deb-bano essere interamente ri-pensate le politiche familiarinel nostro Paese, in una giu-sta ottica di sussidiarietà, chepotremmo “poeticamente” co-

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Fragilità

Lavoro e festa

Tradizione

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Questa è proprio la sfida delnostro tempo: la grande diffi-coltà sta proprio nel compren-dere la tradizione come unavita. Tale difficoltà è figlia diuna cultura dominante secon-do la quale la costruzione diun’umanità realizzata devenecessariamente passare dauna programmatica recisionedel rapporto con il suo passa-to cristiano. Ma noi siamo unastoria, siamo fatti di un pas-sato che continua ad orientar-ci, a segnare la direzione dacui proveniamo e quella versocui andiamo. È il grande pa-radosso della vita cristiana:nella dipendenza da Chi ci hacreato nasce la coscienza ve-ra di sé e scaturisce la libertà.La fede è il dono più preziosoportatoci dalla tradizione: ilmio “sì” non deriva dal nulla,né si pone come un gesto soli-tario o individualistico, ma fio-risce da una storia ed è facili-tato da una compagnia educa-tiva in cui può rinascere la fa-miliarità con Cristo, è la sco-perta di una Chiesa come“...una compagnia di amicidavvero affidabile, vicina intutti i momenti e le circostan-ze della vita (…) che non ciabbandonerà mai nemmenonella morte, perché porta insé la promessa dell’eternità”(Benedetto XVI al Convegnodella Diocesi di Roma sull’e-ducazione dei giovani alla fe-de, 5 giugno 2006).La famiglia cosiddetta “tradi-zionale”, dunque, non è qual-

cosa di antico o che appartie-ne al passato, ma una storiadi oggi, aperta al futuro. Ruo-lo particolarmente importanteassume, in questo contesto,la catechesi, intesa come ve-ra e propria scuola dell’uma-no, che deve essere tesa adaiutare a formulare un giudi-zio sulla realtà, non come me-ra analisi della situazione,bensì con disponibilità dellaragione e del cuore ad acco-gliere la sfida degli avveni-menti alla luce della certezzadella presenza reale di Cristonella storia. Da qui le solleci-tazioni ad una formazionepermanente sul piano antro-pologico ed etico degli educa-tori, dei catechisti, degli ani-matori di gruppi giovanili, co-me pure una “ragionata” im-postazione dei corsi di prepa-razione al matrimonio.

CittadinanzaCome delegata della Diocesidi Roma, ho inteso riportarenel gruppo della “cittadinan-za” quanto era emerso a Ro-ma all’incontro preparatorioper i delegati, che si potrebbesintetizzare come la questio-ne antropologica. Sono, infat-ti, convinta che la domandaforte del nostro tempo è “Chiè l’uomo?”. Perché in base al-la risposta si articoleranno lediverse istanze politiche e so-ciali. Esse nascono infatti pro-prio dalle diverse concezionidell’uomo, della vita, della sto-ria, insomma dalle diverse vi-

14sioni antropologiche presentinella cultura odierna. È dun-que il nodo cruciale. E nonc’è dubbio che le questioni“eticamente sensibili” saran-no al centro del dibattito poli-tico del nostro Paese per iprossimi anni. Sulla questio-ne antropologica si è soffer-mato particolarmente S.Em. ilCardinal Ruini nel suo inter-vento conclusivo al Convegno,facendo riferimento alla “se-conda fase” del progetto cul-turale avviato a Palermo e al-l’invito di Papa Benedetto XVIad “allargare gli spazi dellanostra razionalità”. (Credo cheresterà storica l’affermazionedel Papa a Verona di testimo-niare “una fede amica dell’in-telligenza”!). Il Cardinale hacosì esplicitato il suo pensie-ro: “A questa opera la Chiesae i cattolici italiani devono de-dicarsi con fiducia e creati-vità. Essa va compiuta nella li-nea del sì all’uomo, alla suaragione e alla sua libertà, at-traverso il confronto libero e atutto campo (…). Di più, lasollecitudine specifica per laquestione della verità è parteessenziale di quella missiona-rietà a cui i cristiani laici so-no chiamati nei molteplicispazi della vita quotidiana,familiare e professionale”. Èindubbio che negli ultimitempi, come ha scritto il Papanella Deus Caritas Est (n.3),si è sviluppata una criticasempre più radicale al Cristia-nesimo, specificatamente sul

tema dell’amore, che il Papacosì riassume: “La Chiesa coni suoi comandamenti e i suoidivieti non ci rende forseamara la cosa più bella dellavita?”. Il Cardinal Ruini ha ri-preso questo argomento, sot-tolineando che “Un simile at-tacco sembra davvero in cor-so, anche se in maniera per lopiù inconsapevole, come ap-pare da quel processo di «al-leggerimento» che tende arendere fragili e precari sia lasolidarietà sociale sia i legamiaffettivi. Tra i suoi fattori cisono certamente l’affermarsidi un erotismo sempre piùpervasivo e diffuso, così comela ricerca del successo indivi-duale ad ogni costo, sulla ba-se di una concezione della vi-ta dove il valore prevalentesembra essere la soddisfazio-ne del desiderio, che diventaanche la misura e il criteriodella nostra personale libertà.Anche sotto questo profilosiamo dunque chiamati a ren-dere ragione della nostra spe-ranza: si tratta infatti della vi-ta concreta delle persone edelle famiglie e del sostegnoche esse nella comunità ec-clesiale trovano o non trova-no. Si tratta in particolare delmodo in cui è concepito, pro-posto e vissuto il matrimonio,come del tipo di educazioneche offriamo alle nuove gene-razioni. Al riguardo deve cre-scere la nostra fiducia e il no-stro coraggio nell’affrontare lagrande questione dell’amore

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Cittadinanza

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rendere ragione della nostrasperanza, parlando al cuore ealla mente di tutti. Proprioperché le sfide non sono fini-te e anzi, dopo lo sbaragliodei referendum, si sono mag-giormente incattivite (vediRU486, eutanasia, ecc.), èimportante rielaborare cultu-ralmente gli strumenti che cihanno portato a quella vitto-ria. Cito, a titolo esemplifica-tivo, solo alcuni dei risultatiottenuti, di cui dovremmo fa-re tesoro:- nel mondo cattolico si è rea-lizzata tra movimenti e asso-ciazioni un’unità mai verifica-tasi prima d’ora; il tema dellavita è stato l’elemento unifi-cante;- nel mondo laico si è affer-mato il diritto alla vita comevalore “laico”, prima ritenutoesclusivamente appartenentead una morale cattolica;- dove non siamo arrivati aconvincere, abbiamo almenoinsinuato il dubbio, che haconsentito alle persone di fer-marsi a pensare e decidere diastenersi;- sono stati sconfitti i “poteriforti” che avevamo contro: laquasi totalità dei mezzi di co-municazione, le potentissimelobby economiche di manipo-lazione e sfruttamento degliembrioni umani;- abbiamo centrato la strate-gia di comunicazione, attra-verso un linguaggio unitario,anche grazie alla grande dif-fusione di materiale informa-

tivo e all’utilizzo di argomen-tazioni antropologicamente ebiologicamente fondate;- abbiamo avuto modo dismascherare tante bugie e diraccontare “quello che alledonne non dicono”.

Proprio sui “valori non nego-ziabili” il Cardinal Ruini haconcluso il suo intervento aVerona, con riflessioni illumi-nanti in proposito, richiaman-do ad una laicità sana e posi-tiva, indipendente dalla auto-rità ecclesiastica, ma che nonprescinde da quelle istanzeetiche che trovano il loro fon-damento nell’essenza stessadell’uomo: “Abbiamo concen-trato il nostro impegno sulletematiche antropologiche edetiche, in particolare sulla tu-tela della vita umana in tuttele sue fasi, dal concepimentoalla morte naturale e sulla di-fesa e promozione della fami-glia fondata sul matrimonio,contrastando quindi le ten-denze ad introdurre nell’ordi-namento pubblico altre formedi unione che contribuirebbe-ro a destabilizzarla. Con lostesso spirito abbiamo inco-raggiato l’impegno pubbliconell’educazione e nella scuolae insistito con pazienza e te-nacia, anche se finora con ri-sultati modesti, per la paritàeffettiva delle scuole libere.(…) Il Concilio ha tracciato,sia pure solo a larghe linee, ladirezione essenziale del dialo-go attuale tra fede e ragione e

17umano, che è decisiva pertutti e specialmente per gliadolescenti e i giovani: è illu-sorio pensare di poter formarecristianamente sia i giovanisia le coppie e le famigliesenza cercare di aiutarli acomprendere e sperimentareche il messaggio di Gesù Cri-sto non soffoca l’amore uma-no, ma lo risana, lo libera, lofortifica”.

Mi pare chiaro che tra le re-sponsabilità della vita socialee politica cui siamo chiamatiattraverso la “cittadinanza”,emerge fortemente, propriocome questione antropologi-ca, il tema della difesa dellavita. Ritorna prepotente la do-manda: “Chi è l’uomo?”. Adesempio, affrontare il temadella scienza e della tecnolo-gia rispetto ai nuovi scenarinon assume il giusto signifi-cato se non si pone al centrol’uomo, l’essere umano nellasua fase più debole, in cui gliattacchi di una tecnologia uti-litaristica, cieca e ideologicasono più forti: all’alba e al tra-monto della vita. E proprio inquesti giorni (vedi il dibattitoin corso sull’eutanasia) lostiamo dolorosamente speri-mentando. Certo, la cittadi-nanza implica molti altriaspetti, culturali, sociali, eco-nomici, che riguardano in ge-nerale la promozione della di-gnità umana in tutto l’arcodella sua esistenza, ma da Ve-rona è emersa forte la neces-

sità di un approfondita rifles-sione sui “valori non negozia-bili” e sul ruolo della politica,che è necessario affrontarecon chiarezza nel camminoche ci attende, poiché ho po-tuto constatare che, anche al-l’interno della comunità ec-clesiale, non si è ancora dif-fusa sufficientemente un’ade-guata consapevolezza dei va-lori in gioco. Penso particolar-mente all’esperienza dei refe-rendum sulla fecondazioneartificiale. La mia preoccupa-zione è che non abbiamo ca-pitalizzato una straordinariavittoria come quella realizzatacol voto del 12 e 13 giugno2005, vittoria dalla portatastorica per il suo significatoculturale, prima ancora chepolitico. Non v’è dubbio cheun risveglio delle coscienzec’è stato, ma a questo deveseguire un’opera di formazio-ne permanente. Ora ci vienerichiesto un impegno per cer-ti aspetti più difficile, finaliz-zato a tenere “alta la tensio-ne” e ad intensificare la mo-bilitazione e il coinvolgimentodelle persone pur in assenzadi una scadenza a breve ter-mine, come è stato per i refe-rendum, ma con una consa-pevolezza nuova: non partia-mo da zero! Abbiamo potutosperimentare una strategia vin-cente e convincente, fatta diuna comunicazione chiara,scientificamente corretta, equi-librata nei toni, ma ferma nelleaffermazioni; abbiamo saputo

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autentico capovolgimento delpunto di partenza di questacultura, che era una rivendi-cazione della centralità del-l’uomo e della sua libertà.Nella medesima linea, l’eticaviene ricondotta entro i confi-ni del relativismo e dell’utili-tarismo, con l’esclusione diogni principio morale che siavalido e vincolante per séstesso. Non è difficile vederecome questo tipo di culturarappresenti un taglio radicalee profondo non solo con il cri-stianesimo, ma più in genera-le con le tradizioni religiose emorali dell’umanità”. (…) LaChiesa rimane quindi segnodi contraddizione, ma non perquesto ci perdiamo d’animo.Al contrario dobbiamo esseresempre pronti a dare rispostaa chiunque ci domandi ragio-ne della nostra speranza.Dobbiamo rispondere, comedice San Pietro, con dolcezzae rispetto, con una retta co-scienza (3, 15-16), con quel-la forza mite che viene dall’u-nione con Cristo. Dobbiamofarlo a tutto campo, sul pianodel pensiero e dell’azione, deicomportamenti personali edella testimonianza pubblica,(…) testimoniando una fedeamica dell’intelligenza”. IlPapa si è poi soffermato sultema dell’educazione dellapersona, della formazione del-l’intelligenza, della libertà edella sua capacità di amare,considerandola una questionefondamentale e decisiva: “Da

questa sollecitudine per lapersona umana e la sua for-mazione vengono i nostri no aforme deboli e deviate diamore e alle contraffazionidella libertà, come anche allariduzione della ragione soltan-to a ciò che è calcolabile emanipolabile. In verità, questino sono piuttosto dei si all’a-more autentico, alla realtàdell’uomo come è stato creatoda Dio”. In un evento così si-gnificativo per la Chiesa comeil Convegno di Verona, il San-to Padre ha voluto riprenderecon forza temi quali quellodel diffuso relativismo etico edei valori non negoziabili, dicui già aveva magistralmentetrattato nel 2002, quando,ancora cardinale, nella suaqualità di Prefetto della Con-gregazione per la dottrina del-la fede, aveva emanato la No-ta dottrinale circa alcune que-stioni riguardanti l’impegno eil comportamento dei cattolicinella vita politica. Il Papa,chiarendo che la Chiesa non èe non intende essere un agen-te politico, afferma che essanello stesso tempo ha un in-teresse profondo per il benedella comunità politica, la cuianima è la giustizia e a cui of-fre il suo contributo specifico.Il compito di agire in ambitopolitico per costruire un giu-sto ordine nella società non èdunque della Chiesa come ta-le, ma dei fedeli laici, cheoperano come cittadini sottola propria responsabilità: “Si

19adesso questo dialogo è dasviluppare con grande apertu-ra mentale, ma con quellachiarezza nel discernimentodegli spiriti che il mondo conbuona ragione aspetta da noiproprio in questo momento”.

La parola “discernimento” cirichiama ad un obiettivo dato-ci nel Convegno di Palermo,specialmente in rapporto al di-scernimento comunitario chepossa consentire a cristiani,operanti in diverse formazionipolitiche di accogliersi, dialo-gare, aiutarsi, ponendo al pri-mo posto la fedeltà ad un co-mune progetto culturale eticoed antropologico rispetto all’ap-partenenza al proprio schiera-mento. Ritengo che questo siaun altro nodo cruciale, chenegli ultimi anni, forse per l’i-nasprimento dei toni del di-battito politico nel Paese, èandato sempre più intricando-si. Ma è un nodo da scioglie-re assolutamente, pena l’iso-lamento, l’emarginazione, ilcrescente rischio di strumen-talizzazione cui si va incontrooperando nella solitudine. Ilcattolico impegnato in politi-ca non è un “soldato sparso”,egli appartiene ad un aciesschierata ed è chiamato a rac-cogliere tutte le forze, ovun-que operino, per mettere inatto una grande mobilitazionedelle coscienze, attraverso unaragionata, intelligente, corag-giosa e appassionata strategiaper la vita e per la famiglia, te-

sa a contrastare l’avanzare diun relativismo etico devastan-te. La comunità cristiana, tut-ta, deve essere il luogo ove icristiani impegnati in politica,tutti, vengano accolti e aiuta-ti a quel discernimento cultu-rale e formativo, ove possanoricevere quel nutrimento dicui hanno bisogno e diritto. Asua volta la comunità cristia-na può, tramite loro, diventa-re più consapevole dellarealtà concreta in cui vive esviluppare maggiormente pas-sione civile, nello spirito delservizio all’uomo.Gli interventi del Santo Pa-dre, sia quello al Palafiera ri-volto ai delegati, sia quello al-lo stadio, durante l’omeliadella S. Messa, sono stati par-ticolarmente forti e chiari. “Èin atto una nuova ondata di il-luminismo e di laicismo” af-ferma “per la quale sarebberazionalmente valido soltantociò che è sperimentabile ecalcolabile, mentre sul pianodella prassi, la libertà indivi-duale viene eretta a valorefondamentale al quale tuttigli altri valori dovrebbero sot-tostare; così Dio rimane esclu-so dalla cultura e dalla vitapubblica. (…) In stretto rap-porto con tutto questo, haluogo una radicale riduzionedell’uomo, considerato unsemplice prodotto della natu-ra, come tale non realmentelibero e di per sé suscettibiledi essere trattato come ognialtro animale. Si ha così un

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Formazione

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21tratta” afferma il Papa “di uncompito della più grande im-portanza, al quale i cristianilaici italiani sono chiamati adedicarsi con generosità e co-raggio, illuminati dalla fede edal magistero della Chiesa eanimati dalla carità di Cristo.Una speciale attenzione e unostraordinario impegno sono ri-chiesti oggi da quelle grandisfide a causa delle quali vasteporzioni della famiglia umanasono maggiormente in perico-lo: le guerre e il terrorismo, lafame e la sete, alcune terribi-li epidemie. Ma occorre an-che fronteggiare, con pari de-terminazione e chiarezza diintenti, il rischio di scelte po-litiche e legislative che con-traddicano fondamentali valo-ri e principi antropologici edetici radicati nella natura del-l’essere umano, in particolareriguardo alla tutela della vitaumana in tutte le sue fasi, dalconcepimento alla morte na-turale e alla promozione dellafamiglia fondata sul matrimo-

nio, evitando di introdurrenell’ordinamento pubblico al-tre forme di unione che con-tribuirebbero a destabilizzar-la, oscurando il carattere pe-culiare e il ruolo sociale inso-stituibile della famiglia e delmatrimonio”.Concludendo, il quarto Con-vegno Ecclesiale Nazionaleitaliano ha rappresentato cer-tamente un tempo forte nelcammino della Chiesa. Ne an-diamo via carichi di speranza,ma anche della responsabilitàdi riuscire a comunicare a tut-ti le idee forti emerse in queigiorni. Dinanzi alle molteplicisfide che ci attendono, l’im-portante è suonare la stessasinfonia, pur nella consapevo-lezza che siamo strumenti di-versi, ciascuno col suo tim-bro, il suo ritmo e persino lesue pause. A Verona c’è statodato lo spartito e nei gruppi dilavoro possiamo dire di avere“accordato i nostri strumen-ti”. Ora si tratta di operare!

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La relazione che curaCarl Rogers incontra Martin Buber

Daniele Bruzzone

Il dialogo del 1957 tra il filo-sofo Martin Buber (1878-1965), considerato “il più ra-dicale” e “il più influentepensatore religioso del vente-simo secolo”1, e lo psicologoe psicoterapeuta Carl R. Ro-gers (1902-1987), ricono-sciuto come “il più influentepsicoterapeuta” e “uno deipiù influenti psicologi” dellastoria americana2, rappresen-ta un momento di grande in-

teresse per la storia della psi-cologia e per la teoria e la me-todologia della relazione d’aiu-to. La registrazione audioma-gnetofonica dell’incontro, cheRogers ottenne nonostante l’i-niziale reticenza di Buber, futrascritta probabilmente dauna segretaria dello stessoRogers e pubblicata dapprimain una rivista giapponese3, acui fecero seguito altre edizio-ni4. Più volte ristampata in

1 L. STREIKER, The Promise of Buber. Desultory Phillippics and Irenic Affirmations, Lip-pincott, Philadelphia, 1969, p. 12.

2 H. KIRSCHENBAUM, “Author’s note”, in M.M. SUHD, Positive Regard: Carl Rogers andOther Notables He Influenced, Science & Behavior Books, Palo Alto, 1995, p. 98.

3 “Dialogue Between Martin Buber and Carl Rogers”, Psychologia, 1960, 3, pp. 208-221.4 Per una trattazione puntuale e analitica dei problemi tecnici relativi al significato del

dialogo e alle vicende relative alle sue diverse trascrizioni, si rinvia agli studi più si-gnificativi pubblicati sull’argomento: K.N. CISSNA, R. ANDERSON, “The 1957 Martin Bu-ber-Carl Rogers Dialogue, as Dialogue”, Journal of Humanistic Psychology, 1994, 34,pp. 11-45; M. FRIEDMAN, “Reflections on the Buber-Rogers Dialogue”, Journal of Hu-manistic Psychology, 1994, 34, pp. 46-65.

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le aspettative, “molto signifi-cativo per entrambi”11, comedel resto sarebbero stati in se-guito gli altri suoi famosi con-fronti pubblici con B.F. Skin-ner, P. Tillich, M. Polanyi e G.Bateson12. Si tratta in effettidi una conversazione estrema-mente interessante per la filo-sofia delle relazioni interper-sonali e per le sue implicazio-ni psico-pedagogiche. Graziealle molteplici affinità tra idue autori, ma anche in virtùdelle loro non meno significa-tive divergenze, la dimensionedel dialogo, che comportaun’opzione antropologica fon-damentale e si traduce in pre-cisi atteggiamenti comunica-tivi, emerge come la modalitàprivilegiata di un profondo eautentico incontro da personaa persona, capace di liberarele potenzialità evolutive e co-struttive insite nell’individuoe di catalizzare i dinamismidella crescita e del cambia-mento. In questo senso, ildialogo tra Buber e Rogers, acinquant’anni di distanza, co-stituisce ancora un validissi-mo compendio sulla natura ela forza dell’incontro Io-Tu,denso di suggestioni per glistudiosi e i professionisti del-la cura (filosofi, psicologi e

pedagogisti, psicoterapeuti epsichiatri, consulenti ed edu-catori...) e per tutti coloro chesono interessati alle risorse te-rapeutiche e alle potenzialitàeducative insite nella relazio-ne interpersonale13.I temi attorno ai quali si snodala conversazione riguardano al-cuni dei motivi-cardine dellariflessione buberiana, in rap-porto all’esperienza della rela-zione d’aiuto sviluppata da Ro-gers in ambito clinico. Le pro-blematiche affrontate nel di-scorso permettono quindi didiscutere alcuni concetti es-senziali per la comprensionedel pensiero dei due autori eper riflettere sulle condizionidi efficacia del rapporto inter-personale terapeutico ed edu-cativo. Il dialogo Buber-Rogerssi può quindi agevolmente sin-tetizzare in alcune questionicruciali che ancora interroganoi professionisti della cura in-centrata sulla relazione:1) le matrici esistenziali del

sapere relazionale;2) la reciprocità io-tu e l’a-

simmetria terapeutica;3) l’incontro con se stessi e il

cambiamento significativo;4) il problema della natura

umana e la non-direttivitànel rapporto;

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25lingua inglese5 e oggetto diuna recente edizione critica6,la trascrizione della conversa-zione tra Buber e Rogers è perla prima volta tradotta in lin-gua italiana.

1. Un dialogo sul dialogo:cinquant’anni dopoNella primavera del 1957Martin Buber era stato invita-to, per iniziativa di Leslie Far-ber e con il supporto dellaWilliam Alanson White Foun-dation, a tenere un ciclo di le-zioni presso la WashingtonSchool of Psychiatry, presti-giosa istituzione fondata dalmassimo rappresentante dellapsichiatria relazionale, HarryStack Sullivan. Il Rev. DeWittC. Baldwin, coordinatore reli-gioso presso l’Università delMichigan, colse l’opportunitàdella presenza del filosofo diGerusalemme per organizzaread Ann Arbor un convegno ditre giorni in suo onore. La se-ra del secondo giorno (giovedì18 aprile) avvenne l’incontropubblico con Carl Rogers, a

quell’epoca professore di Psi-cologia e direttore del Coun-seling Center dell’Universitàdi Chicago. Moderatore dellaserata fu Maurice Friedman(allora giovane docente di Fi-losofia al Sarah Lawrence Col-lege di Bronxville, oggi pro-fessore emerito dell’Univer-sità di San Diego, California),uno dei più autorevoli inter-preti americani del pensierodi Buber, che aveva intratte-nuto con il pensatore ebreouno scambio epistolare nelcorso degli anni Cinquanta eaveva notato in un suo libro7

le assonanze tra i principi del-la filosofia dialogica8 e quellidella terapia centrata-sul-cliente9.I due interlocutori si impegna-rono in una conversazionedella durata di un’ora e mezzacirca, mettendo a confronto leproprie idee e la propria espe-rienza dei rapporti interuma-ni. L’incontro si rivelò per mol-ti versi un’esperienza “memo-rabile”10. Secondo Rogers, ildialogo si dimostrò, ben oltre

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5 Cfr. M. FRIEDMAN, “Dialogue Between Martin Buber and Carl Rogers”, in Id. (a curadi), The Worlds of Existentialism: A Critical Reader, Random House, New York, 1964,pp. 485-497; M. BUBER, The Knowledge of Man: A Philosophy of the Interhuman,Harper & Row, New York, 1965; H. KIRSCHENBAUM, V.L. HENDERSON (a cura di), Carl Ro-gers: Dialogues, Houghton Mifflin, Boston, 1989, pp. 41-63.

6 R. ANDERSON, K.N. CISSNA, The Martin Buber – Carl Rogers Dialogue. A New TranscriptWith Commentary, State University of New York Press, New York, 1997.

7 M. FRIEDMAN, Martin Buber: The Life of Dialogue, University of Chicago Press, Chica-go, 1955.

8 Cfr. M. BUBER, Io e tu (1923), (trad. dal tedesco), in ID., Il principio dialogico e altrisaggi, San Paolo, Cinisello Balsamo, 1993, pp. 57-157.

9 C.R. ROGERS, Terapia centrata sul cliente [1951], (trad. dall’inglese), La Nuova Italia,Firenze, 1997.

10 M. Friedman to C. Rogers, New York – 23 April 1957 (Lettera non pubblicata). TheCarl R. Rogers Collection, Manuscript Division, Library of Congress, Washington DC(box 6, folder 1).

11 R.I. EVANS, Carl Rogers: The Man and His Ideas, Dutton, New York, 1975, p. 111.12 Cfr. H. KIRSCHENBAUM, V.L. HENDERSON (a cura di), Carl Rogers: Dialogues, op. cit..13 Sulla rilevanza della filosofia dialogica e dell’approccio rogersiano nell’ambito della

consulenza alla coppia e alla famiglia, si veda D. SIMEONE, La consulenza educativa.Dimensione pedagogica della relazione d’aiuto, Vita e Pensiero, Milano, 2002. Circail counseling e la terapia familiare centrati sulla persona cfr. N.L. GAYLIN, Family, Selfand Psychotherapy: A Person-Centred Perspective, PCCS Books, Ross-on-Wye, 2001;C.J. O’LEARY, Counseling alla coppia e alla famiglia. Un approccio centrato sulla per-sona, (trad. dall’inglese), Erickson, Trento, 2002.

Un dialogo sul dialogo:cinquant’anni dopo

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emerge che egli aveva appron-tato nove domande da porre aBuber, ma riuscì a farne sol-tanto quattro. Le cinque rima-ste inespresse concernevano iseguenti argomenti: se Buberconsiderasse la natura umanafondamentalmente positiva(questione però ugualmentedibattuta nel corso dell’incon-tro); quali fossero secondo Bu-ber gli elementi decisivi perprodurre cambiamento in unarelazione Io-Tu (anche questain parte sviluppata a più ripre-se nella conversazione); seBuber fosse d’accordo nel direche una persona, una relazio-ne, una nazione o una scienzasono migliori o più efficientiquando sono in un processo didivenire; quale fosse l’ideabuberiana di apprendimento edi educazione; e infine se an-che Buber credesse che lescienze del comportamentopossano produrre una prevari-cazione del rapporto Io-essosulla relazione Io-Tu14.La prima questione che Ro-gers pone a Martin Buber èquindi di ordine biografico edepistemologico: quali sono lefonti della sua conoscenzadelle relazioni interumane?

Penso che la prima domandache mi piacerebbe porle, dot-tor Buber, potrebbe suonareun tantino impertinente, mavorrei spiegarla e dopo forsenon sembrerà impertinente.Mi sono chiesto: come ha fat-to a vivere relazioni interper-sonali così profonde e a rag-giungere una tale compren-sione dell’essere umano, sen-za essere uno psicoterapeuta?[Buber ride; il pubblico ride]La ragione per cui lo chiedo èche mi sembra che molti dinoi sono arrivati a intuire esperimentare alcune di quelleacquisizioni che lei ha espres-so nei suoi scritti, ma moltospesso ci siamo arrivati attra-verso la nostra esperienza dipsicoterapia. Io penso che cisia qualcosa nella relazionepsicoterapeutica che ci per-mette, quasi in modo formale,di entrare in un rapportoprofondo e intimo con unapersona, e in questo modo noitendiamo ad apprendere inmaniera molto profonda. [...]E quindi, se non è troppo per-sonale, mi interesserebbe sa-pere quali sono stati i canalidi conoscenza che le hannopermesso di imparare davverocosì tanto sulle persone e sul-le relazioni? (§ 3)

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275) accettazione e conferma

nella relazione d’aiuto effi-cace.

2. “In principio è la relazione”:alle sorgenti di un saperedella curaMaurice Friedman, introdu-cendo la conversazione, rac-conta brevemente l’originedell’idea di organizzare un in-contro pubblico tra i due pen-satori:

Mi fa molto piacere fare damoderatore perché posso direche forse sono stato io ad av-viare il dialogo tra il professorBuber e il professor Rogers al-cuni anni or sono, quandoqualcuno mi fece notare certesomiglianze nel loro pensiero;scrissi al dottor Rogers e luigentilmente mi fornì dei ma-teriali e in seguito ci scrivem-mo per un po’, poi inviai que-sto materiale a Buber, inclusidegli articoli del professor Ro-gers, e fui davvero molto feli-ce quando venne fuori l’ideadi averli entrambi qui a parla-re in dialogo. Penso che siaun incontro estremamente si-gnificativo, [...] non solo inrapporto alla psicoterapia, maper il fatto che tutti e duequesti uomini hanno [...] lanostra ammirazione, comepersone che hanno un ap-proccio alle relazioni persona-li e al divenire personale. Cisono così tante somiglianzerilevanti nel loro pensiero cheè persino affascinante avere il

privilegio di vederli parlare in-sieme e vedere quali questio-ni potranno anche venirnefuori. (§ 2)

Il moderatore, poi, spiega ladinamica del dialogo che staper avere inizio:

[...] la forma di questo dialo-go sarà che il dottor Rogersstesso porrà delle domande aldottor Buber e il dottor Buberrisponderà, forse con una do-manda, forse con un’afferma-zione. (ibid.)

Il ruolo centrale di Buber, at-torno al quale ruota l’interoconvegno, è subito chiara-mente delineato, tanto che lafunzione di Rogers, in realtàsolo in parte rispettata nel cor-so della conversazione, do-vrebbe essere quella di porredomande e attendere risposte.In genere, l’atteggiamento de-gli interlocutori, soprattuttoinizialmente, appare piuttostodiverso: Buber tende a rispon-dere in maniera piuttosto as-sertiva e solo progressivamen-te cede alla dialettica; Rogers,invece, assume immediata-mente un ruolo più problema-tizzante. Questi, giunto solopoche ore prima dell’incontroa causa di un ritardo aereo do-vuto al maltempo, dichiara findall’inizio che l’incontro non èstato preparato. Dalle carte ro-gersiane conservate nella se-zione manoscritti della Libraryof Congress di Washington

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14 Una questione che a Rogers, stava molto a cuore in quegli anni, come dimostra la pub-blicazione, in un numero della prestigiosa rivista Science edito proprio in quel mede-simo anno, del dibattito con B.F. Skinner sul tema “Some Issues Concerning the Con-trol of Human Behavior”, avvenuto nell’ambito di un simposio dell’American Psycho-logical Association tenutosi nel settembre 1956. L’affermazione e la strenua difesadella libertà individuale costituisce un fronte presidiato costantemente da Rogers e nefece uno dei più significativi precursori e fondatori della psicologia umanistica, uffi-cialmente nata nel 1962 per iniziativa di A.H. Maslow (cfr. C. BÜHLER, M. ALLEN, In-troduzione alla psicologia umanistica, (trad. dall’inglese), Armando, Roma, 1976).

“In principio èla relazione”: alle sorgenti

di un sapere della cura

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per quattro anni, mi ha in-fluenzato terribilmente. Pro-prio quando finì con un certoepisodio, forse nel ‘19, quan-do un mio amico, un grandeamico, un grande uomo, fuucciso dai soldati antirivolu-zionari in modo barbaro, e io,ancora una volta – e fu l’ulti-ma – fui, costretto ad imma-ginare questo assassinio, nonsolo però in modo visivo, mase così posso dire, con il miocorpo. [...] Da allora in poi,questi incontri con le perso-ne, in particolare con i giova-ni [...] diventarono in qualchemodo diversi. Avevo avutoun’esperienza decisiva, un’e-sperienza di quattro anni,un’esperienza molto concretae da allora dovevo dare qual-cosa di più, che la mia incli-nazione a scambiare pensierie sentimenti, e così via. Dove-vo dare il frutto di un’espe-rienza15. (§§ 8, 10)

Alle origini del sapere bube-riano delle relazioni, c’è dun-que l’esperienza fondamenta-le dell’immedesimazione e

della sofferenza: quasi chesoltanto il vissuto di relazionisignificative e profonde con-sentisse una comprensionealtrettanto profonda e signifi-cativa dell’umano. Con gran-de semplicità, la risposta diBuber sottolinea dunqueun’intuizione radicale: si di-venta “esperti in umanità” (epertanto capaci di autenticigesti di cura) soltanto a con-dizione di aver a lungo eprofondamente vissuto.16 Ilsapere delle relazioni, quindi,è anzitutto un sapere dell’e-sperienza. Solo la consuetudi-ne con la vita, infatti, garanti-sce l’accesso a una compren-sione palpitante ed efficacedella vita stessa.

3. La relazione d’aiuto: asimmetria o mutualità?La domanda successiva entranel vivo di una questione diri-mente per la corretta com-prensione del rapporto tra lafilosofia dialogica e l’approc-cio centrato-sulla-persona: see in che misura le qualità del-la relazione io-tu teorizzata da

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29La risposta di Buber è dupli-ce. Anzitutto ricorda i suoistudi giovanili di psicopatolo-gia e l’insorgere di un interes-se impellente per la relazionepsichiatrica come forma pecu-liare di incontro interumano:

Penso che dovrò dare due ri-sposte anziché una. Una [...]è che io non sono del tuttoestraneo, me lo lasci dire, al-la psichiatria, perché quand’erostudente – molto tempo fa –ho studiato per tre trimestripsichiatria e quella che inGermania chiamano “Psy-chiatrische Klinique”. Io eropiù che altro interessato aquest’ultima. Vede, non hostudiato psichiatria per diven-tare uno psicoterapeuta. L’hostudiata per tre trimestri. Pri-ma con Flechsig a Lipsia, do-ve ero uno degli allievi diWundt. Poi a Berlino, conMendel, e il terzo trimestrecon Bleuler a Zurigo, che erail più interessante dei tre. [...]Ero anche un uomo molto gio-vane, senza esperienza, e nonmolto perspicace. Ma ebbil’impressione che volevo co-noscere l’uomo e l’uomo nelcosiddetto stato patologico.Dubitavo anche allora chefosse il termine giusto. Volevovedere, incontrare se possibi-le, quelle persone, e – perquanto posso ricordare – sta-bilire la relazione, la vera re-lazione tra quello che noichiamiamo un uomo sano equello che chiamiamo un uo-

mo patologico. E questo l’hoimparato in qualche misura –per quanto un ragazzo di cir-ca vent’anni può [sorride] im-parare queste cose. Ma ciòche soprattutto ha formato ciòche lei mi chiede, è statoqualcos’altro. È stata una cer-ta inclinazione a incontrare lepersone, per quanto possibile,per cambiare se possibilequalcosa nell’altro, ma ancheper lasciarmi cambiare da lui.In ogni caso, non vi opponevoresistenze. Io – già allora, dagiovane – sentivo che nonavevo il diritto di voler cam-biare un altro se non ero di-sposto ad essere cambiato dalui per quel tanto che è giu-sto. (§ 4)

Poi rammenta l’esperienzadrammatica della GrandeGuerra e l’influsso profondoche certi avvenimenti impres-sero nella sua esistenza e nelsuo modo di percepire le que-stioni significative della vita:

[...] durante la guerra non miresi granché conto di questainfluenza. Ma alla fine mi ac-corsi: “Oh, sono stato terribil-mente influenzato”, perchéio, non potevo resistere a ciòche stava accadendo, eroquasi costretto, se così possodire, a viverlo. Capisce? Lecose che accadevano in quelmomento. Si potrebbe chia-marlo “immaginare il reale.”Immaginare ciò che stava ac-cadendo. Questo immaginare,

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15 Il grande amico cui Buber fa riferimento è Gustav Landauer, incontrato nell’ambito delmovimento filo-socialista Die neue Gemeinschaft e tragicamente scomparso nel 1919.I biografi considerano la sua morte uno dei tre eventi maggiormente incisivi nell’esi-stenza di Buber. (Cfr. anche M. BUBER, Incontro. Frammenti autobiografici, (trad. daltedesco), Città Nuova, Roma, 1998).

16 In certa misura la stessa esperienza si ritrova nella vicenda di Carl Rogers, il qualescrivendo la propria autobiografia ricorda anzitutto gli anni dell’adolescenza: “Se guar-do al passato, mi rendo conto che il mio interesse per i colloqui e per la terapia ma-turarono senza dubbio, almeno in parte, dalla mia precedente solitudine” (C.R. RO-GERS, Un modo di essere, (trad. dall’inglese), Martinelli, Firenze. 1983, p. 35). E an-che in seguito, egli rimase persuaso del primato dell’esperienza personale nella co-struzione di un sapere dell’esistenza e delle relazioni umane: convinto infatti che “ciòche è più personale è più generale” (C.R. ROGERS, La terapia centrata-sul-cliente,(trad. dall’inglese) Martinelli, Firenze, 1970, p. 44), Rogers poteva dire con ragione:“Ho utilizzato me stesso come strumento di ricerca” (Ibidem, p. 111).

La relazione d’aiuto:asimmetria o mutualità?

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cettazione”, di accoglienza ca-lorosa e non giudicante dell’al-tro, che progressivamente siverrà definendo come “consi-derazione positiva incondizio-nata”, e che ha la funzione dicreare un clima psicologico disicurezza e di fiducia, incre-mentando l’autoaccettazionee l’autostima, cosicché le re-sistenze autodifensive venga-no eliminate alla radice. Ilterzo atteggiamento caratte-rizzante la relazione d’aiuto,qui solo accennato, è quellodella comprensione empatica,mediante la quale si riesce acogliere l’esperienza vissutadell’altro senza sovrapporviinterpretazioni indebite e sen-za cadere nel rischio dellaidentificazione18. Rogers fa ri-ferimento infine alla neces-sità che l’altro percepisca taliatteggiamenti, ovvero alla di-mensione della “implementa-tion” che esige di tradurre ledisposizioni interiori in com-portamenti operativi e in qual-che misura concretamentepercepibili nella comunicazio-ne da persona a persona19.

Posso provare – ma mi per-metta di fare qualche doman-da anche su ciò che lei pensa.

Anzitutto, direi, questa è l’a-zione di un terapeuta. È unottimo esempio di un certomodo di esistenza dialogica.Voglio dire: due persone han-no in comune una certa situa-zione. Questa situazione è,dal suo punto di vista [...] èche un uomo malato viene dalei e le chiede un particolaretipo di aiuto. (§ 28)

L’osservazione di Buber sorti-sce una reazione immediatada parte di Rogers circa l’op-portunità di sottolineare la di-sparità e l’assimmetria nelrapporto terapeutico:

Io sento che, se dal mio pun-to di vista questa è una per-sona malata, allora probabil-mente non sarò d’aiuto comepotrei essere. Sento che que-sta è una persona. Sì, qual-cun altro la chiamerebbe ma-lata, o se la guardassi da unpunto di vista in qualche mo-do oggettivo, potrei anche es-sere d’accordo: “Sì, è mala-ta.” Ma entrando in relazionemi sembra che se la guardocome “Io sono una personarelativamente sana e questa èuna persona malata” – non vabene. (§ 31)

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31Buber si possono sovrapporrealle “condizioni necessarie esufficienti” della relazione te-rapeutica che Rogers, proprioin quei mesi, stava mettendoa punto17.

Mi sono chiesto se il suo con-cetto – o la sua esperienza –di ciò che ha chiamato la rela-zione Io-Tu è simile a ciò cheio vedo come il momento effi-cace in una relazione terapeu-tica. E – se me lo permette –vorrei spendere qualche istan-te per dire ciò che ritengo es-senziale in essa, e poi forse leipotrà commentarlo dal suopunto di vista. Sento chequando sono efficace cometerapeuta, entro nella relazio-ne come una persona, non co-me un esaminatore, non comeuno scienziato, eccetera. Sen-to anche che quando sono piùefficace, allora in certo sensoio sono intero in quella rela-zione, o la parola che mi sem-bra significativa è “trasparen-te”. Ossia, non c’è nulla – cer-tamente ci possono esseremolti aspetti della mia vitache non sono portati all’inter-no della relazione, ma ciò chec’è nella relazione è traspa-rente. Non c’è nulla, nulla dinascosto. Poi penso ancheche in tale relazione sento unavera e propria volontà chequest’altra persona sia ciò cheè. Io la chiamo “accettazio-

ne”. Non so se sia una parolamolto buona, ma ciò che vo-glio dire è che voglio che ellaabbia i sentimenti che ha, ab-bia gli atteggiamenti che ha,sia la persona che è. E poisuppongo che un altro aspettoche per me è importante è cheio penso in quei momenti diessere veramente capace dipercepire con una certa chia-rezza come la sua esperienzale appare, vedendola davverodal suo interno, e tuttavia sen-za perdere in questo la miapersonalità o la mia distinzio-ne. E poi se, in aggiunta aqueste cose da parte mia, ilmio cliente o la persona concui sto lavorando è capace dipercepire qualcosa di questimiei atteggiamenti, allora misembra che ci sia un vero in-contro esperienziale tra perso-ne, in cui ciascuno viene cam-biato. [...] Ora, mi pare checiò abbia una qualche somi-glianza con il genere di coseche lei ha detto sulla relazioneIo-Tu. (§ 27)

Rogers pone il problema degliatteggiamenti nella relazioneefficace, e inizia da quel pre-requisito fondamentale checonsiste nell’autenticità o con-gruenza (qui “trasparenza”),per poi incentrarsi sulla condi-zione sine qua del cambia-mento terapeutico, cioè inquell’atteggiamento di “ac-

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17 Cfr. C.R. ROGERS, “The Necessary and Sufficient Conditions of Therapeutic Persona-lity Change”, Journal of Consulting Psychology, 1957, 21, vol. 2, pp. 95-103 (trad.it. in C.R. ROGERS, La terapia centrata-sul-cliente, op. cit., pp. 49-67).

18 Circa lo sviluppo delle concettualizzazioni rogersiane e i progressi della ricerca empi-rica sulle condizioni della relazione terapeutica efficace, si rinvia ai 4 volumi della se-rie Rogers’ Therapeutic Conditions: Evolution, Theory and Practice, vol.1: Congruen-ce (a cura di G. WYATT), vol. 2: Empathy (a cura di S. HAUGH e T. MERRY), vol. 3: Un-conditional Positive Regard (a cura di J.D. BOZARTH e P. WILKINS), vol. 4: Contact andPerception (a cura di G. WYATT e P. SANDERS), PCCS Books, Ross-on-Wye, 2001-2002.

19 Si veda a questo proposito L. Lumbelli, “Introduzione all’edizione italiana”, in C.R.ROGERS, Terapia centrata sul cliente, op. cit., pp. VII-XXXIII.

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qualcosa che lui non può fare.Non siete uguali, e non pote-te esserlo. [...] Capisco chelei intenda essere sullo stessopiano, ma non può esserlo.Non c’è soltanto lei, il suomodo di pensare, il suo mododi fare, c’è anche una certasituazione [...] che talvoltapuò essere tragica e persinopiù terribile di ciò che defi-niamo tragico. Lei non puòfarci niente. [Sospira] L’uma-nità, la volontà umana, lacomprensione umana, non so-no tutto. C’è una realtà concui ci confrontiamo, che siconfronta con noi. Non pos-siamo – non ci è permesso –dimenticarla per un momen-to. (§ 44)

Gran parte della divergenzache contrappone Rogers e Bu-ber in questa parte del dialo-go è dovuta quindi, comeemerge sempre più chiara-mente nella prosecuzione deldiscorso, a una divergenzaprospettica: da un lato, l’ado-zione rogersiana di una pro-spettiva fenomenologica, percui ciò che conta non è tantola situazione oggettiva quantol’esperienza personale che ilsoggetto ha della realtà “ester-na”20; dall’altro, invece, l’esi-genza buberiana di considera-re la relazione terapeutica co-me una forma sui generis especializzata di esistenza dia-logica, nella quale, per il fat-

to stesso che si tratti di unarelazione “d’aiuto”, è impedi-ta una perfetta reciprocità. Ènecessario osservare, però,che la “pariteticità” a livellocomunicativo e relazionale(caratteristica tipica dell’ap-proccio centrato-sulla-perso-na) consiste principalmentein uno strumento metodologi-co per assicurare un rapportoentro il quale si faciliti la li-bertà di cambiare, e non in-tende in ogni caso negare la“asimmetria” che “oggettiva-mente” costituisce ogni rela-zione terapeutica o educati-va.

[...] l’altra cosa che sento èquesta. Mi sono chiesto tal-volta se questa è semplice-mente una mia idiosincrasia,ma mi sembra che, quandoun’altro esprime davvero sestesso e la sua esperienza ecosì via, io non mi sento, nelmodo da lei descritto, diversoda lui. Cioè – non so precisa-mente come dirlo – ma sentoche in quel momento il suomodo di guardare alla propriaesperienza, per quanto possaessere distorto, è qualcosache posso considerare comese avesse la stessa autorità, lastessa validità rispetto al mo-do in cui io vedo la vita e l’e-sperienza. E mi pare che ciòsia la vera base dell’aiuto, inun certo senso. (§ 47)

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33Il filosofo tenta allora di correg-gere la terminologia che infa-stidisce il suo interlocutore,senza peraltro rinunciare apuntualizzare un elementoche, nel corso del confronto, simanifesterà come il punto dimaggiore discrepanza tra i due:

Mi permetta di accantonarequesta parola, “malato”. Unuomo viene da lei in cercad’aiuto. La differenza – la dif-ferenza essenziale – tra il suoruolo e quello di lui in questasituazione è ovvia. Lui vieneda lei per un aiuto. Lei non vada lui per un aiuto. Non solo,ma lei è capace, più o meno,di aiutarlo. Lui può fare diver-se cose, ma non aiutare lei.Non solo. Lei lo vede, inrealtà. Non intendo dire chelei non può sbagliare, sa, malei lo vede, come diceva, co-me egli è. Lui non può, affat-to, vedere lei. Non solo nellastessa misura, ma anche conlo stesso tipo di sguardo. Leiè, naturalmente, una personamolto importante per lui. Manon una persona che lui vo-glia e possa vedere e cono-scere. Lei è importante perlui. [...] Ma non gli interessalei in quanto tale. Non può.Lei è interessato, dice così eha ragione, a lui come perso-na. Questo tipo di presenzadistaccata lui non può averlané darla. (§ 34)

L’attenzione di Buber, a que-sto punto, sembra maggior-

mente incentrata sugli aspettioggettivi della situazione tera-peutica, mentre Rogers, assu-mendo un atteggiamento piùradicalmente fenomenologi-co, tende a valorizzare e pre-diligere le intenzionalità e lepercezioni soggettive. Questadifferenza di accentuazionesta all’origine di quello chesembra delinearsi – senza tut-tavia rappresentare un conflit-to insanabile – come uno sco-glio nella conversazione.

Lei è da un lato della situa-zione, per così dire, più o me-no attivo, e lui più o menopassivo, non del tutto attivo,non del tutto passivo, natural-mente – ma relativamente.[...] Guardiamo adesso a que-sta situazione comune dal suopunto di vista e da quello dilui. La stessa situazione. Leipuò vederla, sentirla, speri-mentarla, da entrambi i lati.[...] Lei può sperimentare,oserei dire, sperimentarecompletamente, il suo latodella situazione. Quando leifa, per così dire, qualcosa alui, lei si sente toccato da ciòche gli ha fatto. Lui non puòaffatto farlo. Lei è dalla suaparte e dalla parte di lui con-temporaneamente. Qui e là, odiciamo meglio, là e qui. Do-ve è lui e dove è lei. Lui nonpuò che essere dove è. [...]Lei ha necessariamente un at-teggiamento nei confronti del-la situazione diverso da quel-lo che ha lui. Lei può fare

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20 Sulle questioni epistemologiche legate a questa posizione, cfr. C.R. ROGERS, “Verso unascienza della persona”, in ID., La terapia centrata-sul-cliente, op. cit., pp. 312-342.

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Mentre Rogers insiste nel rile-vare l’importanza crucialedell’esperienza concretamen-te vissuta nella relazione, Bu-ber sottolinea invece la “si-tuazione reale”: se da un latol’essenza dell’aiuto consistenell’eliminazione dell’asim-metria interpersonale che im-plica valutazione e giudizio, eingenera quindi dipendenza,dall’altro rimane pur vero chein sé la relazione d’aiuto nonpuò essere perfettamente re-ciproca, in quanto esige inogni caso un diverso grado dicompetenza eisistenziale, dimaturità personale e di inte-grazione psicologica in coluiche fornisce l’aiuto (helper) ein chi lo riceve (helpee).

Nessun dubbio su questo. Maio non sto parlando dei suoisentimenti, bensì di una si-tuazione reale. Voglio dire, voidue guardate, come lei ha ap-pena detto, alla esperienza dilui. Né lei né lui guardate allasua esperienza. Il soggetto èesclusivamente lui e l’espe-rienza di lui. Lui non può nelcorso [...] di un colloquio conlei, cambiare la sua posizionee domandarle: “Oh, dottore,dov’è stato ieri? [Risate] È an-dato al cinema? Cosa davanoe che impressione le ha fat-to?” Lui non può fare questo.Quindi io vedo e capisco mol-to bene il suo sentimento, ilsuo atteggiamento, il suocoinvolgimento. Ma lei nonpuò cambiare la situazionedata. C’è qualcosa di oggetti-

vamente reale di fronte a lei.Non solo lui, la persona, mala situazione stessa. Lei nonpuò cambiarla. (§ 50)

Rogers sembra accogliere leobiezioni avanzate da Buber,e tuttavia resta dell’idea che,se osservata dall’esterno la re-lazione d’aiuto sia irrimedia-bilmente asimmetrica, mache, da un punto di vista “in-terno” essa sia efficace soloquando attinge una effettivareciprocità interpersonale:

Quello che volevo dire è que-sto: penso che lei abbia ragio-ne, che c’è una situazione og-gettiva, che si potrebbe misu-rare, che è reale, sulla qualemolte persone potrebberoconvenire se esaminassero lasituazione da vicino. Ma lamia esperienza è che quella èla realtà quando è osservatadall’esterno, e che non ha ve-ramente nulla a che fare conla relazione che produce la te-rapia. Che è qualcosa di im-mediato, di paritetico, un in-contro tra due persone su unabase uguale – anche se nelmondo dell’Io-esso, questapotrebbe essere consideratauna relazione molto disegua-le. (§ 59)

Per chiarire la questione, Bu-ber introduce il problema psi-copatologico, invitando lo psi-cologo americano a rifletteresulla natura del rapporto tera-peutico con un individuoschizofrenico o paranoico. In

tali casi, infatti, la piena mu-tualità nell’incontro e la com-prensione reciproca sembraevidentemente impedita.21

Rogers, nondimeno, ritieneche anche in questi casi ilprocesso terapeutico si realiz-zi grazie alle medesime qua-lità relazionali22:

[...] noi trattiamo con indivi-dui che sono schizofrenici edaltri che certamente sono pa-ranoici. E una delle cose cheio dico con molta esitazione,perché mi rendo conto che ècombattuta da gran parte del-l’opinione psichiatrica e psi-cologica, ma direi che non c’ènessuna differenza nella rela-zione che io stabilisco conuna persona normale, conuno schizofrenico, con un pa-ranoide. Non sento veramentealcuna differenza. Ciò non si-gnifica, ovviamente, chequando – be’, di nuovo è que-stione di guardare dall’ester-no. Guardando dall’esterno, sipossono riconoscere moltedifferenze. [...] mi sembrache, se la terapia è efficace,ci sia questo stesso tipo di in-contro tra persone, non im-porta quale sia l’etichetta psi-

chiatrica. [...] Mi pare che imomenti in cui le persone so-no più disposte a cambiare, openso anche i momenti in cuile persone di fatto cambiano,sono i momenti in cui forse larelazione viene esperita comela stessa da entrambe le par-ti. [...] In quei momenti in cuiaccade il vero cambiamento,accade perché c’è stato unvero incontro tra persone cheè stato sperimentato ugual-mente da entrambe le parti.(§§ 71, 73)

Questa affermazione di Rogerscirca la relazione terapeuticacon pazienti schizofrenici oparanoici chiarisce ulterior-mente il presupposto fonda-mentale per cui, quale che siala situazione oggettiva entro laquale due persone si incontra-no, l’efficacia della relazionedipende dalla capacità di co-municare in modo simmetri-co, autentico ed empatico.Buber, tuttavia, resta del pare-re che l’individuo psicologica-mente sofferente non possaaccedere al rapporto interper-sonale nello stesso modo incui vi si accosta il terapeuta,anche se indubbiamente gli

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21 “Ogni rapporto io-tu all’interno di una relazione che si specifica come un mirato ope-rare di una parte sull’altra, esiste grazie a una mutualità destinata a non divenire maipiena” (M. BUBER, Il principio dialogico..., op. cit., p. 155).

22 L’affermazione, qui soltanto intuitiva, verrà confermata negli anni immediatamente suc-cessivi (1958-1963) dalle ricerche compiute da Rogers e dal suo staff dell’Universitàdel Wisconsin con un gruppo di 48 pazienti schizofrenici del Mendota State Hospital diMadison: cfr. C.R. ROGERS, E.T. GENDLIN, D.J. KIESLER, C.B. TRUAX, The Therapeutic Re-lationship and Its Impact. A Study of Psychotherapy with Schizophrenics, University ofWisconsin Press, Madison, 1967. Si vedano inoltre i contributi di E.T. GENDLIN e J.M.SHLIEN in C.R. ROGERS, B. STEVENS, Da persona a persona. Il problema di essere umani,(trad. dall’inglese), Astrolabio, Roma, 1987, pp. 128-138 e 160-175.

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atteggiamenti facilitanti diquesto inducono in quello, en-tro i limiti imposti dal proces-so patologico, risultati impor-tanti in termini di autoesplora-zione e di cambiamento co-struttivo della personalità:

Un punto molto importantedel mio pensiero è il problemadei limiti, cioè, io faccio qual-cosa, tento qualcosa, voglioqualcosa, e impiego tutti imiei pensieri, tutta la mia esi-stenza – nel farlo. E giungo, inun certo momento, ad un mu-ro, ad un confine, ad un limi-te che non posso ignorare.Questo è vero, anche, per ciòche mi interessa più di tutto:l’effetto umano del dialogo.[...] Per questo mi interessa laparanoia. Qui c’è un limite aldialogo. A volte è molto diffi-cile parlare con uno schizofre-nico. In certi momenti – perquella che è la mia esperienzadi queste cose, naturalmente,come posso dire, da dilettan-te? Io posso parlare ad unoschizofrenico nella misura incui lui vuole lasciarmi entrarenel suo mondo particolare,che è il suo mondo; e nel qua-le in genere non vuole che tuentri, tu o altre persone. Malascia entrare alcuni. E quindipuò lasciare entrare ancheme. Ma, nel momento in cui sichiude, io non posso prosegui-re. E lo stesso, soltanto in unmodo terribile, terribilmenteforte, è il caso del paranoico.Lui non si apre e non si chiu-

de. Lui è chiuso. C’è qualco-s’altro che gli è stato fatto chelo chiude. E questo destinoterribile io lo sento fortementeperché nel mondo delle perso-ne normali, ci sono casi deltutto analoghi in cui un uomosano si comporta [...] con al-cune persone proprio così,chiudendosi. (§ 76)

A dirimere la questione inter-viene Friedman, il quale tentadi sintetizzare e ci concettua-lizzare lo snodo della discus-sione:

Per quanto ho capito, ciò cheBuber ha detto è che la rela-zione è una relazione Io-Tu,ma non una relazione piena-mente reciproca, nel sensoche nel momento in cui hal’incontro, tuttavia lei vededal punto di vista dell’altro elui non può vedere dal suo. Enella sua risposta lei ha insi-stito più volte sull’incontroche ha luogo e anche sulcambiamento che può averluogo da entrambe le parti.Ma non le ho sentito mai af-fermare che lui veda dal suopunto di vista, o che sia pie-namente reciproco, nel sensoche anche lui sta aiutando lei.E mi chiedevo se questa nonpotrebbe essere forse una dif-ferenza, se non di parole, dipunti di vista, ove lei stavapensando a come si sente ver-so di lui, cioè che egli è unapersona uguale e che lei lo ri-spetta. (§ 79)

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36In modo non del tutto esplici-to, Friedman coglie nel segno.La differenza nell’uso delconcetto di reciprocità e disimmetria tra i due interlocu-tori consiste nel fatto che larelazione empatica non impli-ca di per sé indifferenza oconfusione di ruoli o perfettareversibilità, bensì un’intesapsicologica ed emozionaleprofonda in cui il terapeutacoglie il vissuto dell’altro e loaccetta, e nello stesso tempol’altro è consapevole di que-sta comprensione ed accetta-zione: ciò gli consente di co-noscersi, di evolversi e di cre-scere23. Questa interpretazio-ne, del resto, è confermata daRogers poco dopo.

[...] a me sembra, di nuovo,che nei momenti più veri del-la terapia non credo che que-sta intenzione di aiutare siaqualcosa di più che un sub-strato da parte mia. In altritermini, sicuramente non fa-rei questo lavoro se questanon fosse parte della mia in-tenzione. E quando vedo ilcliente per la prima volta, ciòche spero di poter fare è es-sere capace di aiutarlo. Tutta-via, nell’interscambio del mo-mento, non penso che la miamente sia occupata dal pen-siero: “Adesso voglio aiutar-ti”. È molto più un: “Voglio

capirti. Che persona sei dietroquesto schermo paranoide, odietro tutte queste confusionischizofreniche, o dietro tuttequelle maschere che rivestinella vita reale?” “Chi seitu?” [...] Ho imparato dallamia esperienza che quandopossiamo incontrarci, alloral’aiuto accade, ma è un sotto-prodotto. (§ 81)

Questa definizione rogersianadell’aiuto come “sottoprodot-to”, quasi un effetto collate-rale, un risultato preterinten-zionale della relazione effica-ce, è molto significativa: ilprimato della modalità comu-nicativa sullo scopo terapeuti-co equivale al primato dell’in-dividuo sul ruolo e al primatodell’incontro fra persone sulmotivo concreto e contingenteche ha determinato la richie-sta d’aiuto. Buber comprendeil punto di vista rogersiano evi aderisce, ma ribadisce cheil ruolo del terapeuta implicanecessariamente una specifi-ca competenza, e comportada parte sua una maggioreconsapevolezza e responsabi-lità nel processo.

Vede, io, naturalmente, sonocompletamente dalla sua par-te quanto alla sua esperienza.Non posso esserlo se devoguardare all’intera situazione,

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23 Cfr. C.R. ROGERS, “La relazione terapeutica vissuta dal cliente”, in ID., Terapia centra-ta sul cliente, op. cit., pp. 61-124. Interessanti, a questo proposito, i casi clinici rac-colti e pubblicati da B.A. FARBER, D.C. BRINK, P.M. RASKIN (a cura di), The Psychothe-rapy of Carl Rogers. Cases and Commentary, Guilford Press, New York, 1996.

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la sua esperienza e quella dilui. Vede, lei dà a lui qualco-sa per renderlo uguale a sé.Lei integra il bisogno di luinella relazione. Lei lo fa, dicerto – se posso esprimermiin modo così personale – amotivo di una certa pienezza,gli dà ciò che lui vuole per po-ter essere, soltanto per questomomento, per così dire, sullostesso piano con lei. Ma an-che questa – veramente – èuna tangente. È una tangenteche può non durare che unmomento. Non è, per come lavedo, la situazione di un’ora;è la situazione di alcuni mi-nuti. E questi minuti sono re-si possibili da lei. Assoluta-mente non da lui. (§ 84)

Rogers propone allora una for-mula che consente ai due diritrovare la sintonia: l’azionespecifica del terapeuta centra-to-sul-cliente consiste esatta-mente (e paradossalmente)nell’abbattere quelle barrierecomunicative spesso dovuteproprio alla differenza di ruo-lo, in modo che la relazioned’aiuto assuma i contorni diun vero a proprio incontro dapersona a persona, entro ilquale entrambi siano legitti-mati a essere se stessi e adassumere liberamente la dire-zione del proprio divenire per-sonale.

Mi pare che ciò che io do a luiè il permesso di essere. Che[...] è un po’ diverso, in certo

senso, dal concedergli qualco-sa, o roba del genere. (§ 85)

L’espressione piace a Buber,che la accoglie, consentendocosì di imprimere una svoltaal dibattito:

Io penso che nessun essereumano possa dare più di que-sto. Rendere possibile all’al-tro la vita, fosse solo per unmomento. Il permesso. (§ 86)

Dare all’altro il permesso diesistere e di essere ciò che è,significa non soltanto rinun-ciare a cambiarlo in manieracoercitiva, ma anche permet-tere che si evolva in modo li-bero e costruttivo. Ciò pone ilduplice problema di quando(e come) ciò concretamentepossa avvenire e, soprattutto,di quale concezione della na-tura umana e della persona-lità soggiaccia a tale proces-so. Su questi due temi si con-centra il dialogo nelle battutesuccessive.

4. Incontrare se stessi: insight e cambiamentoIl quesito che Rogers pone aBuber a questo punto è digrande importanza per com-prendere il dinamismo delcambiamento: nell’incontroterapeutico, infatti, accadeche attraverso la relazione in-terpersonale si realizzi la pos-sibilità di una nuova relazioneintrapersonale, la possibilità

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38cioè di incontrare e conoscerese stessi in modo nuovo, o dicogliere qualche aspetto di sé(significati o sentimenti, at-teggiamenti o risorse) di cui siaveva scarsa o nessuna con-sapevolezza, e ciò costituisceil motore di una possibile tra-sformazione della personalitàe del comportamento. La rela-zione d’aiuto, assicurando unclima psicologico ed emotivorassicurante entro il quale siapossibile essere completamen-te se stessi, schiudersi libera-mente senza temere il giudizioaltrui ed esplorare la propriaesperienza con autenticità,provoca spesso una gradualeristrutturazione del campopercettivo; essa incide soprat-tutto sull’autopercezione e,quindi, sul modo di essere nelmondo del cliente e sulla suamaniera di progettarsi nelleconcrete situazioni esisten-ziali.24 Lo snodo cruciale delcambiamento è rappresenta-to, quindi, da quel tipo parti-colare di incontro con se stes-si che Rogers ha codificatocome insight. Resta da capirese tale forma di “incontro”possa essere definito nei ter-mini di una nuova relazionedell’io con se stesso.

Mi sembra che uno dei piùimportanti tipi di incontro o direlazione sia la relazione diuna persona con se stessa.Nella terapia, di nuovo, che

devo tirare in ballo perché è ilmio campo di esperienza - cisono alcuni momenti moltovividi in cui l’individuo incon-tra qualche aspetto di sé, unsentimento che non avevamai riconosciuto prima, qual-cosa di significativo in sestesso che non aveva mai co-nosciuto prima – Potrebbe es-sere qualunque cosa. Può es-sere il suo intenso sentimentodi solitudine, o il sentirsi ter-ribilmente offeso, o qualcosadi totalmente positivo come ilsuo coraggio, e così via. Ma inogni caso, in quei momenti,mi pare che sia presentequalcosa dello stesso tipo diciò che colgo in una vera rela-zione di incontro. Lui è nelsuo sentimento e il suo senti-mento è in lui. È qualcosache lo soffonde. Non l’ha maisperimentato prima. In sensomolto concreto, penso chepossa essere descritto comeun incontro reale con unaspetto di sé che non avevamai incontrato prima. [...]Be’, credo che mi spingerò unpoco oltre. Credo di essereconvinto che è proprio quan-do una persona ha incontratose stessa in questo modo,probabilmente in molti aspet-ti differenti, che poi, e forsesolo allora, è davvero capacedi incontrare un’altra personain una relazione Io-Tu. (§§89,91)

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Incontrare se stessi:insight e cambiamento

24 Circa il processo del cambiamento terapeutico, si veda per es. C.R. ROGERS, Terapiacentrata sul cliente, op. cit., pp. 125-181.

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5. Un’opzione antropologica:l’uomo “polarizzato” e la“tendenza attualizzante”È ormai evidente che, nono-stante le indubbie affinità dipensiero, i due interlocutorisono divisi, su alcune que-stioni specifiche da un pro-blema più generale: quello re-lativo, cioè, all’idea di perso-na umana sottesa ai rispettiviapprocci. Si tratta di una que-stione antropologica di fondoche precede (e in qualchemodo giustifica) le divergenzerelative all’interpretazione ealla metodologia dell’accom-pagnamento terapeutico ededucativo. Non potendo esse-re procrastinato ancora, il te-ma della discussione viene fo-calizzato da Rogers nel quesi-to che segue:

[...] visto che il tempo corre,vorrei sollevare un’altra que-stione che è molto significati-va per me, e non so come por-la. Penso che forse si tratta diquesto: per come vedo le per-sone che entrano in relazionenella terapia, penso che unadelle cose che sono arrivato acredere e a percepire e a spe-rimentare è che ciò che con-cepisco come la natura umanao la natura umana originaria –è un termine povero, forse leiha un modo migliore per dirlo– è qualcosa in cui bisogna ve-

ramente avere fiducia. E misembra di aver colto in qual-cuno dei suoi scritti, qualcosadi simile a questo sentimento.Ma, ad ogni modo, ho speri-mentato moltissimo nella tera-pia che non c’è bisogno di for-nire una motivazione verso ilpositivo o verso il costruttivo.Essa esiste nell’individuo. Inaltre parole, se riusciamo a li-berare ciò che di più originarioc’è nell’individuo, questo saràcostruttivo. (§ 97)

La questione che qui vienesollevata è di decisiva impor-tanza: si tratta di definire ilprincipio antropologico di ba-se, di qualificare cioè la natu-ra umana originaria che, se-condo Rogers e la sua teoriadella “tendenza attualizzan-te”26, è fondamentalmentebuona e degna di fiducia, inquanto capace (purché postanelle condizioni ideali e in que-sto senso “facilitata” da unarelazione positiva) di evolversiin maniera positiva e costrutti-va, verso l’autorealizzazione el’integrazione sociale. Un cri-terio che Buber non può con-dividere completamente, es-sendo legato (come lui stessopuntualizza) ad una visionemeno ottimistica e più pola-rizzata dell’essere umano, traorientamenti positivi e orien-tamenti distruttivi. Ciò nono-stante, la posizione buberiana

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41La risposta di Buber apparepiuttosto prudenziale, soprat-tutto in termini linguistici: ciòche accade nella terapia enella consulenza educativacertamente somiglia a unanuova forma di “dialogo” conse stessi, ma secondo il filo-sofo ad essa manca, rispettoall’autentica relazione io-tu,una dimensione determinan-te: quella dell’imprevedibilità.

Qui siamo dinanzi a un proble-ma di linguaggio. Lei chiamadialogo qualcosa che io nonposso chiamare così. Ma possospiegare perché non posso far-lo, perché vorrei un altro ter-mine tra dialogo e monologoper questo. [...] prendiamouna immagine piuttosto bana-le. Il dialogo è come una parti-ta a scacchi. Tutto il fascinodegli scacchi sta nel fatto cheio non so e non posso sapereche cosa il mio partner farà.Sono sorpreso da ciò che fa esu questa sorpresa si basa tut-to il gioco. Ora, lei ha accen-nato al fatto che un uomo puòsorprendere se stesso. Ma inmodo molto diverso da comeuna persona può sorprenderneun’altra. (§§ 92, 94)

Ma Rogers sa bene, in base

alla sua lunga esperienza cli-nica, che l’insight e i cambia-menti che ne conseguono pos-sono essere altrettanto subita-nei e sorprendenti per il clien-te stesso: la relazione d’aiutoefficace, infatti, pone le con-dizioni perché possa realizzar-si, all’interno del soggetto,una vera e propria “scoperta”di sé e delle proprie ineditepotenzialità.

[...] spero che forse un giornopotrò farle ascoltare qualche re-gistrazione di colloqui per mo-strarle come l’elemento sorpre-sa possa essere realmente pre-sente. Cioè, una persona puòesprimere qualcosa e immedia-tamente essere colpita dal si-gnificato di ciò che è uscito daqualche parte dentro di lei eche non riconosce. In altre pa-role, è realmente sorpresa di sestessa. Ciò può indubbiamenteaccadere. Ma l’elemento che iovedo maggiormente estraneo alsuo concetto di dialogo è che èassolutamente vero che questaalterità in se stessi non è qual-cosa da apprezzare. Io pensoche – in questo tipo di dialogodi cui sto parlando – è quellaalterità che probabilmente vie-ne abbattuta. (§ 95)25

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25 L’alterità nel cuore dell’individuo stesso, che viene “abbattuta” nella relazione tera-peutica, sembra essere qui l’alterità subcosciente, per cui il processo di crescita coin-cide sempre con una riappropriazione di sé e della propria esperienza organismica ein un progressivo abbandono dei criteri nevrotici di valutazione “esterna” o estrinsecache minacciano l’integrità personale. L’insight consiste in una riconquista alla co-scienza di un pensiero o di un sentimento prima non adeguatamente simbolizzato, ein questo senso rappresenta una fondamentale esperienza di auto-apprendimento.Non a caso, nella fase successiva della conversazione (qui omessa), Buber apre unaparentesi svolgendo un’acuta critica del concetto psicoanalitico di “inconscio”.

Un’opzione antropologica: l’uomo “polarizzato” e la “tendenza attualizzante”

26 Cfr. C.R. ROGERS, Potere personale, (trad. dall’inglese), Astrolabio, Roma, 1978, pp.209-221.

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re loro amici, ma loro – natu-ralmente – loro non ne hannobisogno. Quindi, a me interes-sano proprio i cosiddetti catti-vi, problematici, eccetera. E lamia esperienza è che se ci rie-sco [...] se mi avvicino allarealtà di questa persona, io lasperimento come una realtàpolare. (§ 100)

Vede, in genere diciamo cheuna cosa è A o non-A. Nonpuò essere A e non-A contem-poraneamente. Non può. [...]Voglio dire, ciò di cui lei diceche ci si può fidare. Direi checiò sta in relazione polare conciò di cui in questa persona cisi può fidare di meno. Lei nonpuò dire, e forse dissento dalei su questo punto, lei nonpuò dire: “Oh, cerco in lui so-lo ciò di cui ci si può fidare.”Direi che quando io lo vedo,lo afferro più a pieno e più afondo di prima, vedo la suapolarità e quindi vedo come ilpeggio e il meglio di lui di-pendano l’uno dall’altro, sia-no attaccati l’uno all’altro. Eposso aiutarlo [...] proprioaiutandolo a cambiare la rela-zione tra i poli. [...] Io direiche non ci sono, come perlo-più pensiamo, nell’anima diun uomo il bene e il malecontrapposti. C’è continua-mente in diverse maniere unapolarità, e i poli non sono ilbene e il male, ma piuttostosì e no, piuttosto l’accettazio-

ne e il rifiuto. E noi possiamorinforzare, possiamo aiutarelui a rinforzare il polo positi-vo. E poi, magari, possiamorinforzare la forza di direzionein lui, perché questa polaritàè molto spesso priva di dire-zione. È uno stato caotico.Possiamo introdurvi una notacosmica. Possiamo aiutare amettere ordine, a dare unaforma. Perché penso che ilbene, o ciò che possiamochiamare il bene, è sempresolo la direzione. Non una so-stanza. (§ 102)

La spiegazione di Buber, intro-ducendo il concetto di disordi-ne e di armonia28 e riconducen-do l’attività educativa e tera-peutica all’intento di promuo-vere o ristabilire la “direzione”positiva dello sviluppo (il “be-ne” inteso in senso esistenzia-le), contro il “polo negativo”che minaccia di arrestare lacrescita o impedire la pienarealizzazione dell’umanità per-sonale, opera una distinzioneche ha immediate implicazionisul piano del metodo.

6. Accettazione e conferma:come facilitare la crescitaLa questione viene colta eproposta nell’intervento diFriedman, che da buon me-diatore catalizza l’interessedei due interlocutori sul pro-blema di come l’intervento

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43è da interpretarsi decisamen-te non in senso moralistico: lasua idea del bene come “dire-zione” e non come “sostanza”(chiarita subito dopo) preser-va da una tale interpretazionee, in ultima analisi, concordacon la visione rogersiana del-la “vita buona” e della “vitapiena” come processo conti-nuo e progressivo e non comestato omeostatico dell’essere.Rogers richiama la visionepsicoanalitica negativa e de-terministica, per contrapporvila propria esperienza della na-tura umana e del suo proces-so di maturazione:

Mi pare che molto del punto divista della psicoanalisi orto-dossa almeno ha sostenuto l’o-pinione che quando un indivi-duo si rivela, voglio dire quan-do si scende in ciò che davve-ro c’è dentro le persone, si tro-vano soprattutto istinti, atteg-giamenti e così via, che devo-no essere controllati. Ora, ciò èdiametralmente opposto allamia esperienza personale, cioèche quando si arriva a ciò chevi è di più profondo nell’indivi-duo, questo è veramente l’a-spetto in cui maggiormente sipuò confidare che sia costrut-tivo o che tenda verso la socia-lizzazione o verso lo sviluppo

di migliori relazioni interperso-nali, eccetera. (§ 99)

Dal punto di vista dei presup-posti antropologici, Buber ap-pare scarsamente persuasodell’ottimismo rogersiano27, etenta di introdurre nella di-scussione un elemento ulte-riore di criticità: almeno nellesituazioni terapeutiche, in cuisi è confrontati con situazioniesistenziali problematiche osofferenze psicologiche edemotive, si deve riconoscereche, nel cuore stesso dell’in-dividuo, albergano forze posi-tive, che attendono di essereliberate, e forze contrarie cheinvece tenderebbero all’invo-luzione e all’autodistruzione.

Per come la vedo io, quandoho a che fare con, mi lasci di-re, una persona problematica,o proprio una persona malata,una persona problematica,una persona che la gentechiama, o vuole chiamare,una persona “cattiva”. Vede,generalmente coloro che han-no a che fare davvero con ciòche chiamiamo lo spirito nonsono chiamati per le personebuone, ma per le persone cat-tive, o problematiche, o inac-cessibili, e così via. Le perso-ne buone, noi possiamo esse-

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27 Come risulta evidentemente dallo scritto “Sull’educativo”, che riproduce la relazionedi Buber in occasione della Terza Conferenza Internazionale di Pedagogia dal titolo“Il dispiegarsi delle forze creative nel bambino” (Heidelberg, 1925), il filosofo non sitrova d’accordo né con il concetto di “dispiegamento”, né con la riduzione dell’atti-vità educativa al semplice sviluppo delle “forze creative” insite nella natura umana.(Cfr. M. BUBER, Il principio dialogico..., op. cit., pp. 159-182).

28 Cfr. M. BUBER, Immagini del bene e del male, (trad. dal tedesco), Edizioni di Comu-nità, Milano ,1965.

Accettazione e conferma: come facilitare la crescita

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te le forze (anche intrinseche)contrarie alla direzione del“bene”.

Vorrei dire che ogni vera, di-ciamo, relazione esistenzialetra due persone, inizia conl’accettazione. [...] Per “ac-cettazione” io intendo esserecapaci di dire, o forse non didire, ma solo di far sentire al-l’altra persona che io l’accet-to esattamente come ella è. Tiprendo proprio come sei. Maquesto non è ancora ciò cheio intendo per “confermarel’altro.” Perché accettare, èaccettare l’altro per come è inquesto momento, nella suaattualità. Confermare signifi-ca anzitutto accettare tutte lepotenzialità dell’altro, e fareanche una decisiva distinzio-ne nelle sue potenzialità [...]Io posso riconoscere in lui[...] più o meno, la personache – riesco a dirlo solo inquesto modo – è stato creatoper diventare. Nel linguaggiosemplice dei fatti, non trovia-mo le parole per dirlo perchénon troviamo in esso la paro-la, il concetto “essere intesonel proprio divenire.” Questoè ciò che dobbiamo, nella mi-

sura in cui ci è possibile, co-gliere, se non dal primo mo-mento, almeno in seguito. Equindi, io non solo accettol’altro per come è, ma lo con-fermo [...] in relazione a que-sta potenzialità che è intesada lui ed essa allora si puòsviluppare, può evolversi, puòentrare a far parte della realtàdella vita. [...] Prendiamo, peresempio, un uomo e una don-na, marito e moglie. E lui di-ce, non espressamente, maattraverso tutta la sua relazio-ne con lei: “Ti accetto comesei.” Ma questo non significa“Non voglio che tu cambi.”Vuol dire piuttosto: “Scoproin te, proprio attraverso il mioamore e la mia accettazione,scopro in te ciò che tu sei de-stinata a diventare”30. (§ 112)

La visione fondamentalmentepositiva della natura e dell’es-sere umano, a cui Rogers ten-ne irriducibilmente fede lun-go tutta la sua carriera, lo por-tano comunque a sottolineareil potere terapeutico ed edu-cativo dell’accettazione comeinclusiva della conferma bu-beriana: accogliere in manie-ra non giudicante una perso-

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45d’aiuto possa assicurare la di-rezione positiva della crescitapersonale e dello sviluppo, ri-portando in tal modo il con-fronto sul piano della questio-ne principale: che cosa, nellarelazione interpersonale, pos-sa essere additato come “fa-cilitante” ai fini della matura-zione e del cambiamento co-struttivo della personalità.

[...] credo che ci siano duecose correlate che sono statetoccate qui, ma forse nonesplicitate, e penso che sianodi particolare importanza [...]Quando il dottor Rogers primaha chiesto al professor Buberquale fosse il suo atteggia-mento verso la psicoterapia,ha menzionato, come uno deifattori che fanno parte del suoapproccio alla terapia, la “ac-cettazione.” Ora, il professorBuber [...] spesso usa il ter-mine “conferma”, e personal-mente sento, in base a quan-to hanno detto stasera e allamia conoscenza dei loro scrit-ti, che potrebbe essere digrande importanza chiarire seintendono in qualche modo lastessa cosa. Il dottor Rogers,circa l’accettazione, oltre adire che è una calorosa consi-derazione per l’altro e un ri-spetto per la sua individua-lità, in quanto è una personadal valore incondizionato,scrive che significa “un’ac-

cettazione e una considera-zione dei suoi atteggiamentidel momento, non importaquanto negativi o positivi, nonimporta quanto possano con-traddire altri atteggiamentiche ha tenuto in passato”, eche “tale accettazione di ogniaspetto transitorio di quest’al-tra persona costituisce per leiuna relazione di calore e sicu-rezza.” Ora, mi chiedo se ilprofessor Buber consideri laconferma qualcosa di simile,oppure vedrebbe la confermacome qualcosa che includeforse il non essere accettato,che include qualche richiestaall’altro che potrebbe signifi-care in certo senso una nonaccettazione dei suoi senti-menti del momento, per con-fermarlo più tardi29. (§ 111)

A questo proposito, le posizio-ni dei due autori risultano in-dubbiamente molto vicine,pur dovendo registrare nellaconvergenza di principio unadiversa accentuazione: se perRogers, infatti, “accettare” ilcliente significa comunicarglicalore, stima e fiducia incon-dizionata nelle sue risorse po-sitive, per Buber “conferma-re” l’altro suppone la capacitàdi un discernimento: saper ri-conoscere in lui il positivo (an-che soltanto potenziale) e im-pegnarsi ad aiutarlo nel pro-cesso del divenire, contro tut-

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29 Friedman sta citando passi dal testo “Some Hypotheses Concerning the Facilitation ofPersonal Growth”, allora non pubblicato, che sarebbe diventato il secondo capitolo nelbest seller di C.R. ROGERS, On Becoming a Person, Houghton Mifflin, Boston, 1961.

30 In tal modo la conferma è una volontà di “promozione”, come viene definita da BU-BER in Elementi dell’interumano [1954]: un uomo conferma un altro se “quando hain mente l’altro, pensa subito alla cosa più alta destinata a quest’altro e si pone al ser-vizio del compimento di questo destino dell’altro” (M. BUBER, Il principio dialogico...,op. cit., p. 310). A questo proposito, in maniera del tutto analoga, lo psichiatra au-striaco Viktor E. Frankl definiva l’amore terapeutico ed educativo come la capacità dicogliere nell’altro la sua unicità spirituale [haecceitas] e nello stesso tempo di intra-vedere il dover-essere che in lui attende di essere realizzato [entelechia] (cfr. V.E.FRANKL, Logoterapia e analisi esistenziale, (trad. dal tedesco), Morcelliana, Brescia,2001, p. 173).

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questione ulteriore che nelladiscussione – ormai in procin-to di concludersi – non potéessere sviluppata. È la que-stione dei valori, indispensabi-le tema di confronto per chiabbia a che fare con le profes-sioni di cura e le relazionid’aiuto. Se infatti nell’approc-cio centrato sulla persona ilcriterio della valutazione è ra-dicalmente intrinseco, “orga-nismico” individualizzato32, dalpunto di vista buberiano i valo-ri sembrano attestarsi a un li-vello più “oggettivo”:

[...] la mia impressione è che,da una parte, c’è stata unamaggiore insistenza del dottorRogers sulla più piena reci-procità della relazione Io-Tunella terapia e meno da partedel dottor Buber, ma d’altraparte, ho l’impressione che ildottor Rogers sia più centra-to-sul-cliente – [...] più inte-ressato al divenire della per-sona. Ed egli parla nel suo se-condo articolo di essere capa-ci di aver fiducia nell’organi-smo, nel fatto che troveràsoddisfazione, che esprimeràme. E parla del luogo dei va-lori come interiore, mentre hol’impressione, dal mio incon-tro con il dottor Buber, cheegli veda i valori più nel“mezzo”33. (§§ 122, 124)

Il filosofo introduce, in viapreliminare, una distinzionemolto interessante tra il con-cetto di “persona” e quello di“individuo” che implicita-mente critica l’uso spesso si-nonimico che dei due terminisi fa nell’approccio rogersia-no.

Lei parla di persone, e il con-cetto di “persona” è, appa-rentemente, molto vicino alconcetto di “individuo.” Pen-serei che è consigliabile di-stinguere tra di essi. Un indi-viduo è una certa unicità diun essere umano. E, se puòsvilupparsi, può svilupparsisolo sviluppando la sua uni-cità. Questo è ciò che Jungchiama “individuazione.” Chepuò diventare sempre più unindividuo senza diventaresempre più umano. Io ho mol-ti esempi di uomini divenutimolto, molto individui, moltodistinti dagli altri, molto svi-luppati nel loro essere in uncerto modo, senza essere af-fatto ciò che io chiamerei unuomo. [...] Ma la persona, di-rei, è solo un individuo che vi-ve realmente con il mondo. Econ il mondo, non voglio direnel mondo, ma in reale con-tatto, in autentica reciprocitàcon il mondo in tutti i punti incui il mondo può incontrarel’uomo. Non dico solo con

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47na equivale ad abbattere imeccanismi di difesa (co-strutti nevrotici che impedi-scono il cambiamento) e a li-berare in essa i dinamismi na-turali e spontanei responsabi-li della salute psicologica edell’accrescimento.

Penso che la vera domanda èse possiamo accettare l’indi-viduo com’è, perché spessoegli è magari in una condizio-ne abbastanza triste, se nonfosse per il fatto che – inqualche modo – cogliamo e ri-conosciamo anche le sue po-tenzialità. Credo, anche, chel’accettazione del tipo piùcompleto, l’accettazione diquesta persona per come è,sia il fattore più forte che ioconosca che contribuisce alcambiamento. In altre parole,penso che liberi il cambia-mento o liberi le potenzialitàsapere che così come sono,esattamente come sono, sonopienamente accettato – alloranon posso fare a meno dicambiare. Perché allora, pen-so, [...] non c’è più alcun bi-sogno di barriere difensive,quindi ciò che assume il con-trollo sono i processi progres-sivi della vita stessa. (§ 115)

Ma il tentativo di ricondurrel’azione di conferma entro un

concetto più ampio e com-prensivo di accettazione nonincontra il favore di Buber,preoccupato che in tal modovada perduta l’idea, prece-dentemente illustrata, di una“polarità” nell’essere umano:non tutte le sue potenzialità,infatti, sono positive e degnedi essere agevolate. In questosenso, l’atteggiamento bube-riano non può che essere cri-tico (o perlomeno cauto) ri-spetto all’idea rogersiana diun atteggiamento “non diret-tivo”31:

Temo di non esserne così si-curo come lo è lei, forse per-ché io non sono un terapeuta.E io ho necessariamente ache fare con il lato problema-tico dell’uomo problematico.Non posso – nella mia relazio-ne con lui – prescindere daquesto. Non posso metterloda parte. Come ho detto, ho ache fare con entrambi gli uo-mini. Ho a che fare con il pro-blematico che è in lui. E cisono casi in cui devo aiutarlocontro se stesso. Lui vuoleche lo aiuti contro se stesso.[...] E ciò lo posso fare soltan-to se distinguo tra “accettare”e “confermare”. (§ 116)

Friedman coglie in questo con-fronto tra Buber e Rogers una

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31 Il termine “non direttività”, sebbene progressivamente abbandonato da Rogers a fa-vore della definizione di “terapia centrata-sul-cliente” e successivamente di “approc-cio centrato-sulla-persona”, risale alle sue prime elaborazioni di un metodo alternati-vo per il counseling e la psicoterapia (1942) ed è rimasto a lungo emblematico del-l’impostazione rogersiana: cfr. C.R. ROGERS, Psicoterapia di consultazione, (trad. dal-l’inglese), Astrolabio, Roma, 1971.

32 Cfr. C.R. ROGERS, “Toward a Modern Approach to Values” [1964], trad. it. in ID., Li-bertà nell’apprendimento, Giunti-Barbèra, Firenze, 1973, pp. 274-298.

33 Friedman si riferisce qui al testo di ROGERS “What It Means to Become a Person”, chedivenne in seguito il capitolo sesto del già citato On Becoming a Person.

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l’uomo, perché talvolta incon-triamo il mondo in altre formediverse da quella dell’uomo.Ma questo è ciò che io chia-merei una persona e io sono,se posso dire espressamente“sì” e “no” ad alcuni fenome-ni, io sono contro gli individuie per le persone34. (§ 126)

La conversazione qui ha ter-mine, quasi sospesa sulla so-glia di una problematica (quel-la degli orientamenti di valorenella psicoterapia e nella cura

educativa) troppo delicata ecomplessa per essere esauritain poche battute. Il discorso,dunque, rimane aperto e, nonpotendo risolvere tutte le que-stioni affrontate, le consegnaall’attenzione dei lettori (an-che a cinquant’anni di distan-za) come nuclei attorno ai qua-li esercitare una riflessionecontinua. Perché dalla com-prensione delle dinamiche in-terpersonali consegue l’effetti-va efficacia di ogni relazioned’aiuto.

34 Buber accenna forse qui un’interpretazione del concetto esistenzialista di essere-nel-mondo non come situazione di fatto (il mero trovarsi nel mondo), ma come intenzio-nalità progettante, ovvero “in reale contatto, in autentica reciprocità” (quindi in un rap-porto di cura e responsabilità) con il mondo. L’appunto sull’uso dei termini non devetrarre in inganno: non significa di per sé che Buber stia accusando la terapia centra-ta-sul-cliente di produrre più “individui” che “persone” (critica che altri peraltro han-no mosso all’orientamento non direttivo), ma semplicemente che i due termini posso-no indicare cose diverse. Del resto, è evidente che, nel complesso del pensiero roger-siano, l’“individuo” sano di cui si parla non sia un essere isolato, egocentrico e narci-sista, bensì l’uomo aperto al mondo, agli altri e all’esperienza, dotato di un’intrinsecanatura relazionale e di una originaria propensione all’attualizzazione di sé e all’inte-grazione sociale. (Cfr. C.R. ROGERS, La terapia centrata-sul-cliente, op. cit., pp. 182-195; ID., Libertà nell’apprendimento, op. cit., pp. 322-346).

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Il principio di sussidiarietànell’ordinamento giuridico dell’associazionefamiliare1

Goffredo Grassani

Il tema che mi è stato affida-to - il principio di sussidia-rietà e la sua relazione con lasoggettività della famiglia (29C.I.), delle associazioni fami-liari (18 C.I.) e delle forma-zioni sociali (2 C.I.) vieneesaminato alla luce della dot-trina sociale della Chiesa,dell’ordinamento giuridico co-munitario e dell’ordinamentogiuridico italiano, che rappre-sentano non solo i luoghi dielaborazione e applicazionedel principio, ma anche, nel-l’ordine temporale, i luoghidella sua individuazione; ilprincipio viene individuato,

infatti, prima nella dottrinasociale della Chiesa, poi nel-l’ordinamento comunitario,infine nell’ordinamento giuri-dico italiano. La presente re-lazione si propone di verifica-re la natura del principio disussidiarietà, la sua rilevanzarivoluzionaria, culturale e giu-ridica, nella relazione tra so-cietà civile e società delleistituzioni pubbliche, le appli-cazioni del principio nelleesperienze giuridiche in atto ele soluzioni da proporsi perrendere efficace il concorso, afini di interesse generale, del-la società civile e della strut-

1 Relazione presentata nell’abito del XV Simposio dell’Arcipelago: “Matrimonio e fami-glia: natura e problemi”, Bocca di Magra (La Spezia), 4-7 settembre 2006.

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50tura istituzionale pubblicanella elaborazione di progettie programmi a tutela della fa-miglia.

I PARTELa tripartizione della strutturasocietariaÈ opportuno, per la stessa in-telligibilità del principio di sus-sidiarietà, definire le realtà so-ciali che ne sono coinvolte, de-stinatarie dell’obbligo di rispet-tare il principio e del dovere difarlo valere. Titolari di una po-testà correlativa sono la so-cietà delle istituzioni, che ri-comprende l’intera galassiadei soggetti pubblici (Stato,Regioni, Province, Comuni eenti pubblici non territoriali);la società delle formazioni so-ciali, che include le associa-zioni e le famiglie e alla qua-le partecipano tutti i soggettiche svolgono un ruolo, ricono-sciuto dalla costituzione, ditrasmissione della vita e dipromozione della personaumana; la società generale,che ricomprende i soggettipubblici e i privati, legati dalpatto di convivenza e di ga-ranzia costituito dall’ordina-mento giuridico di diritto po-sitivo e di diritto naturale.Queste tre realtà hanno tre di-stinte soggettività, fondate suprocessi culturali e giuridiciprofondamente diversi. La so-cietà delle istituzioni è fonda-ta ed opera sulla base di rigi-de norme giuridiche; la so-cietà delle formazioni sociali,

dell’associazionismo e dellefamiglie è, invece, fondata sulprincipio delle autonomie,che consente ai soggetti diautodeterminarsi, nel rispettodell’ordinamento, per realiz-zare i fini di interesse asso-ciativo, o famigliare o socialee che permette di operare unascelta autonoma in ordine aimodi, tempi, valori e mezziper la realizzazione dei finiprescelti. La società generalenon appare connotata da spe-cifici compiti ma, nell’ambitodel proprio statuto di libertà, ètenuta alla osservanza dell’or-dinamento giuridico. In que-sto contesto si pone la nostrariflessione sul principio disussidiarietà e sui suoi fonda-menti teoretici e giuridici, ri-spetto alle indicate tre sog-gettività.

Il principio di sussidiarietànella Dottrina Sociale dellaChiesaLa Dottrina Sociale dellaChiesa si giova di tutti i con-tributi conoscitivi da qualun-que sapere provengano e pos-siede una importante dimen-sione interdisciplinare. Es-senziale è anzitutto l’apportodella filosofia, che emerge dalrichiamo alla natura umana,quale fonte, e alla ragione,quale via conoscitiva dellastessa fede; mediante la ra-gione, la dottrina sociale as-sume la filosofia nella suastessa logica interna, ossianell’argomentare che le è pro-

La tripartizione della struttura societaria

La Dottrina Sociale della Chiesa è l’espressione del ministero d’insegnamento

2 cfr. Compendio della Dottrina Sociale della Chiesa, 2004, p. 40.3

Catechismo della Chiesa Cattolica, 2034.4

CONCILIO VATICANO II, Gaudium et Spes, 25.5 GIOVANNI PAOLO II, Sollecitudo Rei Socialis, 15.

prio. La filosofia è strumentoidoneo ed indispensabile peruna corretta comprensionedei concetti basilari della dot-trina sociale, quali la persona,la società, la libertà, la co-scienza, l’etica, il diritto, lagiustizia, il bene comune, lasolidarietà, la sussidiarietà, loStato2.

La Dottrina Sociale dellaChiesa è l’espressione delministero d’insegnamentoLa Dottrina Sociale non è so-lo il frutto del pensiero e del-l’opera di persone qualificate,ma è il pensiero della Chiesa,in quanto è opera del Magi-stero, il quale insegna conl’Autorità che Cristo ha confe-rito agli Apostoli e ai loro suc-cessori così che nella dottrinasociale della Chiesa si espri-me il Magistero in tutte le suecomponenti ed espressioni.La dottrina sociale della Chie-sa fa parte dell’insegnamentomorale della Chiesa ed ha lastessa autorevolezza di taleinsegnamento3. A questa dot-trina, che è stata il punto diriferimento delle norme di di-ritto comunitario e dei princi-pi di sussidiarietà inseriti nel-l’art. 118 della CostituzioneItaliana, la presente relazioneattingerà per una lettura edinterpretazione delle normegiuridiche che saranno richia-

mate, tenendo conto che si èin presenza di un insegna-mento che nasce da una vi-sione globale dell’uomo e del-l’umanità ad un livello nonsolo teorico ma ordinamenta-le. La dottrina sociale non of-fre soltanto significati e crite-ri di giudizio, ma anche lenorme e le direttive di azioneche ne derivano4.

La dottrina sociale nella suastoriaLa locuzione “dottrina socia-le” risale alla Lettera Encicli-ca Quadragesimo Anno, del1931 del Pontefice Pio XI edesigna il corpus dottrinale ri-guardante temi di rilevanzasociale, a partire dalla Enci-clica Rerum Novarum di Leo-ne XIII (1892). La dottrina ri-chiamata enuncia il principiodi sussidiarietà che lo Statodeve applicare nei rapporti conla società civile.

I principi relativi alla sussidiarietàLa dottrina parte dalla pre-messa che è impossibile pro-muovere la dignità della per-sona se non prendendosi curadella famiglia, dei gruppi,della associazioni. In questoambito, proprio della societàcivile, si realizza in forma ori-ginaria la “… soggettivitàcreativa del cittadino…”5.

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Il principio di sussidiarietà nella

Dottrina Sociale della Chiesa

La dottrina sociale nella sua storia

I principi relativi alla sussidiarietà

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“Ne consegue che è illecito”,termine chiave nel quale tor-neremo nell’analisi giuridicatra funzioni della società efunzioni dello Stato, “togliereagli individui ciò che essi pos-sono compiere con le forze el’industria propria per affidar-lo alla comunità, così è ingiu-sto rimettere ad una maggioree più alta società quello chedalle minori e inferiori comu-nità si può fare. Ed è questoinsieme un grave danno e unosconvolgimento del retto ordi-ne della società, poiché l’og-getto naturale di qualsiasi in-tervento della società stessa èquello di aiutare, in manierasuppletiva, le membra delcorpo sociale, non già di di-struggerle e assorbirle”6. Allasussidiarietà si collegano dueconcorrenti direttive ordina-mentali: la prima in positivo,la seconda in negativo. La pri-ma attiene alle società di or-dine superiore, che devonoporsi in atteggiamento di aiu-to (subsidum), quindi di so-stegno e di sviluppo rispettoalle minori. In tal modo i cor-pi sociali intermedi possonoadeguatamente svolgere lefunzioni che loro competonosenza doverle cedere ingiusta-mente ad altre aggregazionisociali, dalle quali finirebberoper essere assorbiti e sostitui-ti e per vedersi negata alla fi-

ne dignità propria e spazio vi-tale. La seconda direttivacontiene una implicazione innegativo che impone allo Sta-to di astenersi da quanto re-stringerebbe, di fatto, lo spa-zio vitale delle cellule minoried essenziali alla società.

Le indicazioni che ne conseguonoAl principio di sussidiarietàcorrispondono, anche sul pia-no normativo di gestione dellacosa pubblica, il rispetto e lapromozione effettiva del pri-mato della persona e della fa-miglia; la valorizzazione delleassociazioni e delle organizza-zioni intermedie nelle sceltefondamentali e in tutte quelleche non possono essere dele-gate ad altri o assunte da altri;l’incoraggiamento offerto all’i-niziativa privata, in modo taleche ogni organismo rimanga aservizio, con le proprie pecu-liarità, del bene comune; lasalvaguardia dei diritti umanie delle minoranze; il decentra-mento burocratico ed ammini-strativo; l’equilibrio tra la sfe-ra pubblica e quella privata.Ne consegue che la supplen-za non deve né prolungarsi,né estendersi oltre lo strettonecessario, dal momento chetrova giustificazione soltantonell’eccezionalità della situa-zione.

6 PIO XI, Quadragesimo Anno, 23, GIOVANNI PAOLO II, Centesimus Annus, 48.

Le indicazioni che ne conseguono

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Famiglia e principio di sussidiarietà: comunità e comunicazione

7 GIOVANNI PAOLO II, Centesimus Annus, 39; GIOVANNI PAOLO II, Lettera alle famiglie “Gra-tissimam Sane”; Catechismo della Chiesa Cattolica, 2001.

Famiglia e principio di sussidiarietà: comunità e comunicazioneLa famiglia è una comunitàumana, comunità umana natu-rale in cui si esperimenta lasocialità umana, in modo uni-co ed insostituibile per il benedella società. La comunità fa-migliare nasce dalla comunio-ne delle persone – relazionepersonale tra l’”io” e il “tu” -ma supera questo schema nel-la direzione di una “società”,di un noi; la famiglia, comu-nità di persone, è pertanto laprima società umana7. Perquesto va riaffermata la prio-rità della famiglia rispetto allasocietà. La famiglia non èquindi per la società e per loStato, bensì la società e lo Sta-to sono per la famiglia. Ognimodello sociale che intendaservire il bene dell’uomo nonpuò prescindere dalla centra-lità e dalla responsabilità so-ciale della famiglia. La societàe lo Stato, nelle loro relazionicon la famiglia, hanno, invece,l’obbligo di attenersi al princi-pio di sussidiarietà. In forza ditale principio, le autorità pub-bliche non devono sottrarre al-la famiglia quei compiti cheessa può svolgere da sola o as-sociata ad altre famiglie.

II PARTEL’ordinamento giuridico e ilrecepimento del principio disussidiarietàLa sussidiarietà fattore diflessibilità dell’ordinamento eparametro di legalitàLa sussidiarietà, colta nellasua dimensione statica, è cri-terio ispiratore della distribu-zione legale di competenze fraistituzioni; accanto alla di-mensione statica è, tuttavia,attiva una vocazione dinamicadella sussidiarietà, che con-sente ad essa di operare nonpiù come ratio ispiratrice efondamento di un ordine di at-tribuzioni stabilite e predeter-minate, bensì come fattore diflessibilità di quell’ordine invista del soddisfacimento diesigenze unitarie. L’applica-zione della sussidiarietà puòdunque importare un’espan-sione, ma anche un restringi-mento della sfera di compe-tenze positivamente stabilite.La sussidiarietà assurge, inol-tre, a parametro di legalitàdell’azione. In base ai principielaborati in sede comunitaria,il funzionamento del principiodi sussidiarietà condiziona,infatti, il legittimo eserciziodella competenza.Per aspirare a superare il va-glio della legittimità, l’inter-vento dell’istituzione maggio-re dovrà positivamente affron-tare il test della ragionevolez-

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L’ordinamento giuridico eil recepimento del principio di sussidiarietà

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za che importa la dimostrazio-ne della sussistenza di duepresupposti; la maggiore e mi-gliore efficacia e, pertanto, lapreferibilità di quella azionerispetto all’intervento dell’isti-tuzione minore; l’inadeguatez-za rispetto allo scopo da rag-giungere dei mezzi a disposi-zione dell’istituzione minore. La sussidiarietà opera, dun-que, non come aprioristicocriterio di ripartizione dellecompetenze, ma come meto-do per l’allocazione di funzio-ni a livello più adeguato, intal modo congiungendosi alcriterio di ragionevolezza. Daqui la possibile erosione disfere di competenze che ap-parivano definitivamente ac-quisite in capo alle istanzesuperiori e di contro la possi-bile espansione di ambiti d’a-zione da parte delle istituzio-ni minori. Da qui, inoltre, l’e-mersione di una nuova speci-fica patologia degli atti (nor-mativi ed amministrativi) chepossono risultare difformi ri-spetto al parametro della le-galità perché hanno disattesoo erroneamente applicato ilprincipio di sussidiarietà.

Con riferimento all’eserciziodelle funzioni amministrativeè stato del resto già ipotizzatoche talune disposizioni nor-mative che espressamente sirichiamano al principio disussidiarietà (si pensi al di-sposto dell’art. 3, co. 5, D.Lgs. 267/20008 con riferi-mento all’intervento di Comu-ni e Province) possano fornirela base per il sindacato delgiudice amministrativo, fina-lizzato alla verifica della pre-senza delle condizioni legitti-manti l’azione pubblica chepuò sostituire l’iniziativa au-tonoma dei cittadini e delleloro formazioni sociale soloove superi il test di ragionevo-lezza, dimostrandosi l’inter-vento pubblico maggiormenteadeguato a conseguire gliobiettivi prefissati, alla stre-gua dei criteri dell’economi-cità, dell’efficienza e dell’effi-cacia9.

III PARTELa relazione normativa traStato e famigliaIl principio di sussidiarietànormativaLa illegittimità della normati-

8 “I comuni e le province sono titolari di funzioni proprie e di quelle conferite loro conlegge dello Stato e della Regione, secondo il principio di sussidiarietà. I Comuni e leProvince svolgono le loro funzioni anche attraverso le attività che possono essere ade-guatamente esercitate dalla autonoma iniziativa dei cittadini e delle loro formazioni so-ciali” (art. 3, co. 5 l. cit.).

9 F. CARINGELLA, Corso di Diritto Amministrativo, Tomo I, Giuffré, Milano, 2003. L’autore osserva che, anche se nelle valutazioni che sottendono la scelta dell’interven-to pubblico diretto in un determinato settore entrano in gioco preponderanti fattori didiscrezionalità amministrativa sindacabili solo ab externo, è probabile che la giurisdi-zione trovi strumenti di intervento attraverso le clausole generali della procedimenta-lizzazione e della necessaria motivazione degli atti amministrativi in cui dette sceltevengono trasposte.

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La relazione normativa tra Stato e famiglia

va in violazione del principiodi sussidiarietà. Ciò premes-so, dobbiamo ora desumeredalla dottrina che si è occu-pata della relazione di sussi-diarietà tra normativa comu-nitaria e normativa dei singoliStati alcuni principi giuridiciche devono guidare l’analisidella relazione tra Stato e fa-miglia o associazioni di fami-glie, alla luce del richiamatoprincipio, accolto dalla nostraCostituzione nell’art. 118.Siffatta norma - che imponeallo Stato, alle Regioni, alleProvincie e ai Comuni di pri-vilegiare i progetti delle per-sone e delle associazioni cheabbiano per scopo la realizza-zione di fini di interesse ge-nerale - recepisce i principi disussidiarietà, già accolti dal-l’ordinamento comunitario.La dottrina che ha approfon-dito l’ordinamento giuridicocomunitario e si è occupatadel tema della sua compatibi-lità con l’ordinamento giuridi-co degli Stati membri può es-sere utilmente richiamata an-che come dato di esperienzaculturale e giuridica per af-frontare la problematica dellacoesistenza di più ordinamen-ti sul medesimo territorio. Iprincipi elaborati in sede co-munitaria, sia a livello dottri-nario e scientifico, sia a livel-lo normativo, sono stati co-struiti per rispondere all’esi-genza di rendere gli Stati ar-tefici del loro ordinamento. Insostanza il diritto comunitario

tutela e promuove le autono-mie statuali e consente allaComunità Europea di delibe-rare normative giuridiche ob-bliganti per gli Stati soloquando ciò sia necessario(principio di necessità) e inmisura non superiore alle esi-genze (principio di proporzio-nalità). Il principio di sussi-diarietà consente alla Comu-nità Europea di legiferare conappositi regolamenti e diemanare direttive solo quandogli Stati non vi provvedano dasé, nelle materie e nei settoriin cui l’ordinamento comuni-tario ha specifiche finalità daraggiungere e quando vi siauna competenza concorrentetra normativa comunitaria enormativa statale. Il principiodi sussidiarietà non opera, ov-viamente, quando l’UnioneEuropea è titolare di unacompetenza esclusiva; ma intutte le ipotesi di competenzaconcorrente esso impone diprivilegiare la competenza deisingoli Stati membri. In baseal richiamato principio, la Co-munità può intervenire nor-mativamente solo quando gliStati non intervengono, supe-rando così una situazione diinerzia dei singoli partecipan-ti all’Unione. L’intervento sus-sidiario deve essere dettatoda uno stato di necessità edeve essere proporzionato,cioè strettamente commisura-to alle esigenze di tutela cuiavrebbe dovuto provvedere loStato membro. Il principio di

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proporzionalità da tale azioneimplicato evoca la sussidia-rietà che presuppone un in-tervento integrativo di una la-cuna esistente. Accanto a taliprincipi, si pone come corol-lario degli stessi la tempora-neità. Infatti l’esercizio dellacompetenza in funzione sus-sidiaria è sempre contenutoin archi temporali definiti,non avendo la sussidiarietà lafunzione di rimuovere, nellarelazione tra società maggioree società minore, la funzionee la competenza della societàminore.

La relazione tra ordinamentogiuridico italiano e famiglia,secondo il principio di sussidiarietàLa famiglia è tutelata dallenorme costituzionali sia comesocietà naturale, sia come co-munione di persone, sia comeformazione sociale. La fami-glia è tutelata come societànaturale, giacchè l’art. 29 C.I.dispone “…la Repubblica ri-conosce” - quindi non costi-tuisce – “i diritti della famigliacome società naturale fondatasul matrimonio”. La famigliaè, dunque, riconosciuta dallastessa norma costituzionalecome “istituto” in quanto èrealtà “ordinata”: si colloca inun ordine o ordinamento giu-ridico, fondata sulla egua-glianza morale e giuridica deiconiugi – con i limiti stabilitidalla legge – a garanzia del-l’unità familiare. Il successivo

art. 31 C.I. presuppone lasussistenza di una società na-turale - conclamata dall’art.29 – ed è fondato su un prin-cipio implicito di sussidia-rietà. La citata disposizionecostituzionale prevede, infattiche la Repubblica – quindi ipoteri legislativi, esecutivi egiurisdizionali in cui si artico-la la Repubblica, nonché lasocietà generale – debba age-volare la formazione della fa-miglia e l’adempimento deicompiti relativi. Questo primogruppo di norme concerne lafamiglia come società natura-le, fondata sul diritto natura-le, che la Repubblica è tenu-ta ad ausiliare e agevolare insé e nelle sue funzioni. Le ri-chiamate norme costituziona-li vanno ora interpretate allaluce del novellato art. 118della Costituzione che impo-ne allo Stato, alle Regioni -che sono anche soggetti legi-feranti - alle Province e ai Co-muni di privilegiare i progettiche realizzino fini di interessegenerale provenienti dallepersone, dalle associazioni e,a maggior ragione, dalla fami-glia come società naturale.Il cammino giuridico del prin-cipio di sussidiarietà si fa piùpreciso, riconoscendosi allapersona e alle associazioni difamiglie la capacità e la legit-timazione ad individuare i finigenerali da perseguire. Sitratta di una reale evoluzionegiuridica di tale rilevanza damodificare in futuro l’ordina-

La relazione tra ordinamento giuridico

italiano e famiglia,secondo il principio di

sussidiarietà

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56mento giuridico. Lo Stato nonè più il solo soggetto prepostoad indicare e stabilire qualisiano i fini generali da perse-guire; accanto ad esso, tribu-taria di analoga competenzaè, in primo luogo, la societàgenerale e, nell’ambito diquesta, la famiglia, portatricedi una sua specifica cultura esocietà naturale che esercitail proprio diritto inviolabile adindicare i fini generali che lasocietà e le istituzioni devonoperseguire per ausiliare il pro-getto o i progetti famigliari. Ildiritto torna così a trovare ilproprio fondamento nella per-sona e nei modelli personali-stici in cui si incarna il suosviluppo. Le norme costituzio-nali tutelano altresì la fami-glia come comunione di per-sone: in base all’art. 2 dellaCostituzione, “… la Repubbli-ca riconosce” - anche qui non“costituisce” – “e garantisce idiritti inviolabili che l’ uomoha come singolo, […] nelleformazioni sociali”. La fami-glia è anche formazione so-ciale, è anzi il fondamentodella società, secondo la ri-chiamata dottrina sociale del-la Chiesa.Dalle norme richiamate, letteanche alla luce dell’art. 18della Costituzione che stabili-sce il diritto di libertà asso-ciativa, consegue che per lafamiglia il principio di sussi-diarietà si presenta come undiritto inviolabile: il dirittodella famiglia di elaborare le

norme e i principi che devonoreggere la famiglia stessa,con conseguente limitazionedelle potestà pubbliche. Lafamiglia, in base al principiodi sussidiarietà ha la capacitàdi elaborare progetti che per-seguono gli interessi generalidella comunità famigliare; edetti progetti devono essereprivilegiati – secondo la pun-tualizzazione offerta dall’art.118 Cost. - dallo Stato e dal-le Regioni che hanno potestànormativa. Tale valenza delprincipio di sussidiarietà – cheper sua natura è un principiodinamico, nel senso cheespande la competenza sussi-diaria dello Stato quando lasoggettività della famiglia nonelabora norme a propria tutela,ovvero restringe tale compe-tenza, quando la soggettivitàdella famiglia esercita piena-mente e concretamente la pro-pria funzione – consente allafamiglia e all’associazionismofamigliare di elaborare un pro-getto di statuto della famiglia,definendone i fini di interessegenerale e le tutele, in base alprincipio di autonomia giuridi-ca e nell’ambito dei principicostituzionali sopra richiamati.

Lo statuto della famigliaLo statuto della famiglia co-stituisce la prima fase giuridi-ca dell’esercizio dei diritti dinormazione che la sussidia-rietà riconosce alle persone ealle associazioni di persone.Lo statuto deve rispecchiare

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Lo statuto della famiglia

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l’autonomia della famiglia,come società naturale fondatasul matrimonio, e tutelare lafamiglia nel suo costituirsi enelle fasi del suo sviluppo,deve promuovere norme a tu-tela delle sue funzioni, in par-ticolare di quelle educative(riconosciute dall’art. 30 del-la Costituzione che definiscela potestà dei genitori come lapotestà “…di mantenere,istruire ed educare i figli…”)e tutelare il ruolo di rilievopubblico della famiglia, chia-mata a formare la personaumana alla libertà, alla re-sponsabilità, alla solidarietà.Lo statuto deve, quindi, esse-re fondato sull’autonomia del-la società famigliare, ma an-che sul rilievo sociale e pub-blico delle sue funzioni. Poi-ché la famiglia non è un’isola,lo statuto deve prevedere nor-me di tutela delle potestàeducative della famiglia nellesue molteplici relazioni con ilmondo esterno; promuoverela compatibilità tra compitieducativi e lavoro; valorizzarela relazione con il mondo del-la scuola e della formazione,con i mezzi di comunicazio-ne, con l’ambiente naturale esociale; predisporre strumentiper la migliore soddisfazionedelle esigenze vitali della fa-miglia (casa, salute e assi-stenza). Avendo la famiglia ti-tolo e legittimazione ad inter-venire, in base al principio disussidiarietà, essa potrà eser-citare il proprio ruolo nelle se-

di politiche, partecipando an-che alla elaborazione di pro-getti normativi. Le istituzionidovranno dialogare con le fa-miglie ed arretrare in relazio-ne a determinati ambiti, inapplicazione del principio disussidiarietà.In base all’elaborazione co-munitaria, infatti, la violazio-ne da parte di istituzioni pub-bliche del principio di sussi-diarietà comporta la illiceitàdelle norme. In sede comuni-taria, competente a conosceredi detta illiceità è la Corte diGiustizia, chiamata a valutarese le norme giuridiche (rego-lamenti o direttive) comunita-rie violino il principio di sus-sidiarietà e, in caso affermati-vo, tenuta a dichiarare talinorme illegittime ed a rimuo-verle dall’ordinamento giuri-dico.

L’autorità per i servizi alla famigliaSulla base dei principi fin quirichiamati, risulta necessariauna collaborazione istituziona-le tra associazionismo fami-gliare, Stato e Regioni, non so-lo a livello normativo, ma an-che amministrativo per la ge-stione dei servizi alla persona. La nostra proposta – già avan-zata in sede nazionale – è l’i-stituzione di una Autorità in-dipendente, la quale, diversa-mente da quelle attualmenteesistenti (che sono mere auto-rità di garanzia e di controllo),abbia caratteristiche tali da

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58condurre l’associazionismofamiliare - in base al principiodi sussidiarietà e nelle formerappresentative riconosciute -al co-governo (unitamente al-lo Stato, alle Regioni, alleProvince e ai Comuni) dei ser-vizi pubblici destinati alla fa-miglia. L’evoluzione normati-va, il lungo processo di priva-tizzazione dei servizi pubblicie, in particolare, la legge qua-dro sui servizi assistenziali giàconsentono la partecipazionedell’associazionismo alla de-terminazione dei servizi ne-cessari alla famiglia. Nel-l’ambito di detti servizi unruolo peculiare hanno i con-sultori famigliari, istituiti peril sostegno educativo, psicolo-gico, sanitario e giuridico allafamiglia. Per tali strutture, in-vestite di delicate problemati-che inerenti la relazione dicoppia, l’educazione dei figlie la solidarietà inter-genera-zionale, è fondamentale l’ap-porto dei saperi etici e dibioetica, dei criteri propri del-le rispettive discipline, maanche dei dati esperienzialivissuti da milioni di famigliesane, che hanno una culturaed esperienze da donare allacomunità generale. Concludocon l’auspicio che questa ses-sione del convegno, per laquale ringrazio il Prof. PaoloOttonello e tutti i partecipan-ti, possa costituire l’inizio diuna comune riflessione sul

principio di sussidiarietà esulle sue grandi potenzialità -che ho cercato di delineare -per il futuro della nostra so-cietà. Mi auguro, perciò, chela cultura dei filosofi possadare allo sviluppo della fami-glia e all’ordinamento giuridi-co, sulla base del principio disussidiarietà, nuove ali e nuo-ve speranze. Ciò potrà avveni-re solo attingendo a tutte le ri-sorse culturali, in primo luogoalla filosofia e al diritto, disci-pline capaci di promuoverepolitiche sociali, secondol’auspicio formulato dal Som-mo Pontefice Giovanni PaoloII nella Centesimus Annus:“È urgente promuovere nonsolo politiche per la famiglia,ma anche politiche sociali,che abbiano come principaleobiettivo la famiglia stessa,aiutandola mediante l’asse-gnazione di adeguate risorse edi efficienti strumenti di so-stegno, sia nella educazionedei figli, sia nella cura deglianziani evitando il loro allon-tanamento dal nucleo fami-gliare e rinsaldando i rapportinelle generazioni.” Bisognasostenere l’uomo: che è primadi tutto un essere che cerca laverità e si sforza di viverla, datale ricerca della verità si ca-ratterizza la cultura dell’unio-ne”. In questa ricerca dellaverità ci siamo posti; e questoconvegno ci è d’aiuto e di in-coraggiamento.

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L’autorità per i servizi alla famiglia

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La società coniugale1

Maria Adelaide Raschini

1. Famiglia, prima forma di so-cietà naturale preceduta sol-tanto dalla società del genereumano. Secondo ordine natu-rale e morale, segue alla perso-na cui è finalizzata, precede lasocietà civile. Nel fatto è im-mersa nella società civile, e nesubisce le influenze.2. Situazione oggi. Crisi dellafamiglia — instabilità — qua-si dis-essenziazione della fa-miglia. Ragioni della instabi-lità?3. Il tessuto sociale vigenteinfluisce pesantemente: for-

ma e deforma le mentalità;suggerisce desideri, sollecitale mille voglie che spesso sonvoglie di un superfluo presen-tato come indispensabile. Seil tessuto sociale è sano, la fa-miglia ne è estremamente fa-cilitata. Se guasto, la famiglianon trova ossigeno.4. Ma che cosa guasta il tes-suto sociale, e che cosa dun-que logora la famiglia? Lacomplessa rete delle cause diguasto sociale, forse, si puòridurre a un minimo comunedenominatore: il guasto viene

1 Il presente testo, che pubblichiamo grazie alla preziosa collaborazione di P. P. Otto-nello, fa parte di un gruppo di interventi sul tema svolti da Maria Adelaide Reschini frail 1994 e il 1999, in parallelo con diversi scritti sulla donna. È stato inserito nella rac-colta postuma Pedagogia e antipedagogia, 18° dei 22 volumi di Scritti editi a cura diP. P. OTTONELLO, pubblicati da Marsilio, Venezia tra il 1999 e il 2001.

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62dai costumi innescati da unacerta cultura, che è tanto piúpericolosa quanto piú tendeper sua natura — conformisti-ca — ad allearsi con il potere.In genere questa alleanza vie-ne fatta, tacitamente o pub-blicamente, perché è vantag-giosa sia per quella certa cul-tura sia per il potere.5. Quale è questa «certa cul-tura»? Data da qualche secolola decadenza europea — delle«nazioni cristiane»! —: carat-teristica prevalente: le ideolo-gie anti veritative, l’inimiciziaper la verità. Quel che ideolo-gicamente viene definito co-me materialismo, sensismo,scetticismo, convenzionali-smo, soggettivismo ecc., ha lasua traduzione in un’etica so-ciale dominata dall’utilitari-smo (a livello collettivo, buro-cratico, o tecnologico); e inun’etica individuale dominatadall’egoismo. L’individuo per-segue il suo vantaggio utilita-ristico entro le forme della so-cietà in cui si trova a vivere:nella famiglia, nella societàcivile, nello stato. Sono facil-mente riconoscibili le feno-menologie epidemiche diun’epoca che si è vantata del-le proclamazioni dei dirittidell’uomo, ma il cui percorsoè invece sfociato nel nichili-smo, come nel suo naturalesbocco. Quante occasioni per-dute proprio sul terreno socia-le!6. Ora, la scuola veicola tuttoquesto. Percentuali crescenti

di scetticismo fra gli inse-gnanti «aggiornati»; indiffe-renza al problema, che è co-stituito proprio da questa no-stra condizione storica. Lascuola di ogni ordine e grado:dalle elementari al liceo allauniversità. Parlare di «verità»,«secondo verità», «in spiritodi verità» è impossibile per-ché la tolleranza non lo con-sente. Questo il paradosso delnostro tempo: si tollera tutto,specialmente il negativo, manon la verità, né si tollera chese ne parli. Capovolgimentologico ancor prima che mora-le: l’obbligazione morale a cuiogni verità ci impegna è con-siderata sopruso nei confrontidell’egoismo. Il vero è ciò checostringe e dunque opprime.La forza morale, la convinzio-ne che conduce all’assenso edunque al consenso (alla ve-rità): cose morte. Ma io nonposso consentire con qualcu-no se con lui non mi ritrovo adassentire alla medesima ve-rità. Ad esempio: con il votoesprimo il mio «consenso po-litico» a chi dà maggiori ga-ranzie di proteggere quella ve-rità che è il bene comune cuidiamo, ciascuno, il nostro as-senso, ossia l’adesione totaledel mio io: come voto e perchi, se non c’è chi mi garanti-sce di rappresentarmi nell’as-senso al bene comune? Quel-la «certa cultura» non parlamai di assenso, ma molto diconsenso, strappato per lo piúsull’onda emotiva o sulle pas-

sioni. La volontà è forza scono-sciuta alla cultura «mondana»:tranne che sia nolontà, ossiavolontà di negazione e di de-costruzione: caparbietà nellanegazione, nella frantumazio-ne.7. La scuola è dunque «ag-giornata» nella inimicizia perla verità che tracima dalle viedi comunicazione: comunica-re è mettere insieme un dono(cum munus); ma ora si co-munica l’indifferenza comevalore (Lessing: Nathan ilsaggio e la Favola dei tre anel-li). Questa è la parola d’ordi-ne della cultura ufficiale, enon certo da oggi.8. La famiglia: ultimo baluar-do, ormai diroccato: ove nondiroccata è l’eccezione, cometrovare un sano durante unagrave epidemia. Le esemplifi-cazioni possibili sono note atutti.9. Fatto di enorme rilievo: conla cultura de costruttiva si èperso il significato del dirittodell’uomo: forse per questo sene parla tanto. Dalla sua sedepropria, la persona, il diritto siè spostato alla società politicacome se provenisse da lí: il chenon è vero, perché la societàpolitica viene dopo la persona;e in sede di società politica èmanipolato dai governi verso laconvenzione — qualsiasi solu-zione va bene, tanto è fittizia ela si può cambiare —, riducen-dosi a pura procedura. Ma è lapersona ad essere portatricedel diritto, anzi, è il diritto sus-

sistente: ci contro propongonoun concetto di persona contraf-fatto. Ad esempio sostenendoche un delitto contro la perso-na non è delitto contro la mo-rale: cade il concetto di norma,onde sembra che il consideraredelitto ciò che offende la leggeinteriore — la norma, portatainteriormente dalla persona —sia operazione astratta: comese non fosse l’uomo il portato-re della norma, per cui offen-dere la norma morale è propriooffenderne il suo portatore, in-dipendentemente dalle sogget-tività variabili del singolo.10. Dunque: il principio deldiritto, anzi il diritto nella suaconcretezza, sussiste nellapersona ed è persona. Di quideriva che uno dei primi dirittida difendere è quello di realiz-zarsi secondo la propria voca-zione personale. Questo segnail «limite» di tutte le società difronte alla persona: non estin-guere una vocazione. La so-cietà in tutte le forme deve fa-vorire questa realizzazione«personale»: oggi i ministeridella «pubblica istruzione» de-cretano come se «formare»fosse «professionalizzare». Sel’Essere è il nostro principio eil nostro fine, tutte le vocazio-ni sono tali nell’essere: proprioper questo le vie sono molte,perché l’essere è illimitato,non conosce confini e ciascu-no vi può legittimamente col-locare la propria realizzazione.La via è un modo, è la nostra,dunque indica una vocazione

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essenziale per la realizzazionedi ciascuno di noi. Ciò com-porta la restituzione dell’ideadel «fine», che oggi non è piúun’idea portante. I mezzi si so-no sostituiti al fine, e noi citroviamo con una straordinariaricchezza di mezzi senza sape-re «per che» adoperarli. Il ca-povolgimento di mezzi e di finirappresenta una delle piú pe-santi malattie della storia. Macon il fine è scomparso il suocosto: la fatica che richiede, ilsacrificio, la dedizione ecc.; imezzi ci rendono la vita appa-rentemente piú facile: perchéaffannarci verso fini che nes-suno ci mostra piú?11. Tra le fenomenologie delsoggettivismo — negazionedella persona, legittimata co-me mera soggettività emotivae appetitiva — c’è il rifiutodell’autorità. Se la verità è ri-dotta a quel che desidero inbase alle mie emozioni, nonc’è motivo che sia un altro adirmi quel che devo fare, eper giunta dirmelo dall’alto —l’autorità — quando le emo-zioni mi comandano dal bassoe via via mutano rapidamen-te: tutto il mio sforzo sta nel-l’inseguirle. La verità e l’auto-rità sono, dunque, cose cheoffendono la mia «natura», ilmio «io son fatto cosí».12. Cosí la cultura decostru-zionista ha fatto dimenticareche autorità deriva da augeo:accresco, mi arricchisco, mifaccio quel che devo essere.Con ciò ha persuaso genera-

zioni intere che la figura del«padre» — simbolo di tutte leautorità, del Padre Celeste —sia «il nemico», l’ostacolo dasuperare, possibilmente ne-gandone la autorevolezza. Quivale massimamente l’aut autcui si appella la cultura mo-derna: quell’aut aut che di-strugge la collaborazione fra-terna, paterna, filiale: altroche tolleranza! Il padre è ilsimbolo del passato, di ciòche deve essere buttato per-ché «ostacola». La culturamoderna è nata sotto l’inse-gna del crucifige del passato edella tradizione. Tutto ciò, sidice, ostacola nelle «scelte».Si parla di scelte sempre e adogni proposito: come se inve-ce non fossero altrettante ob-bedienza a dettati della moda,del costume, del «cosí fan tut-ti gli altri» ecc. La volontà nonentra in queste scelte, altri-menti se entrasse davvero lavolontà intelligente e orienta-ta, nelle cose importanti dellavita non si tratterebbe di scel-te bensí di elezioni: dove l’e-letto diviene «insostituibile»(salvo gli errori sempre uma-namente possibili), come quelcolore in un capolavoro, comequella parola in un verso.13. Questo avviene massima-mente a proposito del matri-monio: l’unico vero fonda-mento della famiglia, persinonelle società non cristiane. Ilmatrimonio significa vincoloconiugale basato sul comuneassenso ad una verità precisa:

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64noi vogliamo crescere insiemee questa è la via sulla quale cipossiamo realizzare come per-sone meglio che in altre vie. Ilvincolo coniugale è il fonda-mento della famiglia. Talevincolo coniugale presupponeche si riconosca, previamen-te, una vocazione, comune atutti gli uomini come Dio li fa,ossia orientata all’essere, ilche significa alla crescita disé in sapienza e virtú; e all’in-terno di quella vocazione —propria del genere umano, an-che in stato di natura lapsa —presuppone che si riconoscala vocazione personale a con-trarre un vincolo matrimonia-le come la strada piú appro-priata per la nostra crescita. Èuna via nel mondo, ma è lanostra via, se la riteniamoconfacente alla nostra voca-zione.14. Alla base della famigliac’è dunque il vincolo deglisposi che per sua natura deri-va da una elezione: non vienesuggerito per capriccio, daltaglio dei capelli o dall’ab-bronzatura, e nemmeno dalpatrimonio, o da una combi-nazione famigliare ecc.: nésoggettivismo estremo, né uti-litarismo cementano la fami-glia; diversamente si giustifi-cano ben presto le «famigliedi fatto» di cui ci sono giàtroppi esempi. Solo l’elezionereciproca e fedele dei duesposi ne è il fondamento. Allabase non c’è la passione co-me criterio esclusivo; neces-

saria l’attrattiva fisica, ma ac-compagnata dalla stima e so-stenuta dalla affinità profon-da nel concepire l’unità dei fi-ni e dunque nel saper sceglie-re poi, quotidianamente, imezzi piú adatti per raggiun-gere quei fini. Qui si cemen-tano i sentimenti: da labiliche per sé sono, diventano di-mensioni ferme e costantidella nostra vita. E non c’èniente come la generosità peralimentare un amore che«cresce» sempre. Non si dica:«ci amiamo come il primogiorno», che è essersi fermatilà; si auspica che si possa di-re: ci amiamo ben di piú cheil primo giorno. Questo è il ri-sultato di quella che mi piacechiamare la carità coniugale,atteggiamento tanto consonoalla natura femminile quantosconosciuto dalla hybris fem-minista. Quella carità per laquale anche il dono fisico disé è appunto un donare nonun prendere. La donna chenel suo uomo e in sé vede cre-scere la «carità coniugale»proprio come donna è realiz-zata. Certo, sarà sempre una«crescita relativa» — che ri-spetta i nostri limiti personalie umani, e dunque i limiti delconiuge — ma certo chiedeche tutto quel che si può, de-ve essere fatto. Chi non cre-sce non sa far crescere altri.In questa accezione è chiaroche non tutti sono chiamati aquesta via; non ci si sposaperché «ci si deve sposare»,

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ma perché si capisce che suquella via possiamo davverocrescere insieme nel bene. Ilproblema dei figli, se ci saran-no, dovrà essere improntatoagli stessi principi che avremoseguito noi, se li avremo vistiper noi: aiutare a identificare lavocazione, aiutarli alla libertàdella elezione; ad essere sestessi come persone, ossia co-me uomini «interi», integri, li-beri dalle convenzioni attana-glianti, liberi dalla menzogna,consapevoli dei loro doveri;nella pienezza delle dimensio-ni che ciascuno si porta poten-zialmente e che deve attuare almeglio. Meglio coltivare unideale, accendere fuochi nellecoscienze, che raccomandareeccessive prudenze carrieri-stiche e previdenti calcoli dipensionamento. Nella societàcontemporanea la disgregazio-ne della famiglia è divenutaun fatto tanto diffuso ed evi-dente da impressionare taloraanche chi l’ha favorita quandonon deliberatamente voluta,magari sotto l’apparenza edietro il pretesto di fornire agliuomini un aiuto in qualche lo-ro miseria, dal momento chela famiglia è realtà tantoprofondamente connessa conla natura umana che per ne-garne l’essenza bisogna essereo ciechi o mentitori. Infatti lafamiglia è una società natura-le e necessaria, cosí che ognialterazione della sua vita sipone in contrasto con i dettatipiú profondi della natura uma-

na, che non cambia con itempi e con le mutazioni deicostumi: invece questa puòessere orientata secondo leleggi della natura, oppure es-ser posta in contrasto ad essa.Se poi accade che mutazionicontrarie alle leggi di naturavengano codificate dalla leggepositiva, divenendo «di dirit-to», lo sradicamento della fa-miglia in questo caso può as-sumere aspetti drammatici,come accade oggi. Infatti pro-blemi che bruciano su enormidistese della nostra societàtoccano tutti gli strati della so-cietà civile e perciò ci scotta-no. In tutto il mondo vediamomolti puntare il dito accusato-re contro i legislatori perchépromulgano leggi che appaio-no non sufficientemente ga-rantiste di un presunto dirittodi guastare e lacerare l’unitàfamiliare: il divorzio è uno deiprincipi dogmatici in nome diun arbitrio soggettivo scam-biato o contrabbandato per li-bertà della persona. Ma la mi-sura della verità non coincidecon le nostre coscienze sog-gettive, mutevoli come le opi-nioni e soggette ad errare.Perciò non compiamo nessunatto di superbia — come trop-po sovente viene rimproveratoai cattolici da parte dell’igno-ranza, tollerantissima versol’errore e perciò per principionegatrice della verità — affer-mando che innanzi tutto è ne-cessario parlare della verità, aqualsiasi proposito: proprio in

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66quanto non è nostra proprietàesclusiva, ma è personale di-ritto di tutti gli uomini chevengono in questo mondo. In-fatti la nostra intelligenza ap-prende o percepisce le coseprima che la volontà influiscae operi sulla persuasione.Pertanto bisogna distinguereun conoscere necessario, cheè comune a tutti gli uominianche nei suoi oggetti — adesempio che bisogna amare ilbene e ricusare il male, cer-care il vero e non preferire ilfalso ecc. —, e un conoscerelibero, altrettanto comune atutti gli uomini come facoltàdi giudizio ma non come ri-sultato: in quanto la volontàrispetto a ciò che si è cono-sciuto con l’evidenza dell’in-telligenza può porsi in atteg-giamenti di consenso o di ri-fiuto, di conformità o didifformità al vero. Nel primocaso abbiamo il riconosci-mento del vero, ossia un giu-dizio conoscitivo che ha unvalore morale per il soggettoche lo pronuncia, in quanto ilsuo essere vero si sposa con ilbene. Nel secondo caso libe-ramente si misconosce il ve-ro, introducendo nella veritàconoscitiva divisioni di como-do, ossia l’errore, e ci si fa in-si-pientes, stolti e come saleche perda il suo sapore. Lamoralità nasce nell’eserciziodel libero giudizio, della vo-lontà di conoscere o di misco-noscere il vero: la libertà inter-viene anche sulla conoscenza,

potendo scegliere verità omenzogna, giustizia o ingiusti-zia. Se ci si pone nell’amoniatra giudizi conoscitivi e giudizipratici, fra ciò che si conosce eciò che si ama, non si provo-cano «scuciture» nella vesteintera del nostro essere di uo-mini e donne «interi», ma la sicorrobora mediante un realeeffetto dinamico grazie alquale ciò che si è voluto in se-guito al «ri-conoscimento»della verità diventa principiodi azioni e di relazioni che neconseguono «in spirito di ve-rità»: la stretta connessionefra le intime potenze dell’uo-mo obbliga moralmente pro-prio in quanto se ne è sceltaliberamente la strada grazie allibero ri-conoscimento del ve-ro: rendendo vane tutte le do-mande sofistiche per lo piú ri-dotte al «ma come si deve fa-re per tradurre in pratica unprincipio?», ossia a domandache semplicemente nascondeinerzia spirituale, in quantoun principio altro non è cheun’idea atta ad essere tradot-ta in pratica. Quei pensatoriche, come Hobbes, non di-stinguono il conoscere dal ri-conoscere, facendo del cono-scere una sorta di operazionematematica o di meccanicacomposizione di parole, o co-loro che non ammettono unacoscienza morale distinta dal-la mens conoscitiva, coscien-za per sé stante e portata albene — come Rousseau —,costoro ignorano la distinzione

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essenziale fra conoscere e ri-conoscere, rendendo inespli-cabile l’errore e insieme ilsenso stesso di verità. Lastrettissima relazione fra co-noscere, riconoscere e agire sifonda invece sulla verità che,conosciuta e riconosciuta, èprincipio e motivazione dell’a-zione: per agire moralmenteoccorre la fondamentale sem-plicità con cui ci si abbando-na alla verità con tutti se stes-si, senza cavilli sofismi mali-zie. La volontà, principio atti-vo dello spirito intelligente, èpercorso dell’adesione dellospirito alla verità conosciutacome tale dall’intelletto: se lavolontà allontana dal termineproprio che è il vero conosciu-to, si fa il male dello spirito el’infelicità dell’uomo intero.Infatti male e bene si possonoassumere come soggettivi inquanto l’uomo è soggetto: mala volontà è personale; e lapersona è soggetto intelligentedi tale natura per cui il suobene consiste nell’aderire al-l’oggetto nella sua pienezza,dunque nella verità e nell’or-dine che solo nell’essere sonofondati. Ne consegue che ilvero bene per l’uomo è il suoprimo diritto. Il che porta ne-cessariamente in primo pianola connessione fra la moralecome adesione al vero e i prin-cipi religiosi. Nel modo piúsintetico: le posizioni che ri-guardano il rapporto fra mora-le e religione si riducono fon-damentalmente a quattro: chi

le ritiene del tutto separate —posizione empia, anche inquanto include la possibilitàdi una religione senza morale;chi sostiene che la religione èparte della morale; chi sostie-ne che la morale è parte dellareligione; e chi le identifica.L’identificazione è peraltro va-lida piuttosto come unità del-la loro distinzione, che consi-dera morale e religione nellaloro ampiezza senza lacerarnesignificati e portata e confer-mando l’assunzione del benee del vero come termine pro-prio dell’uomo. La ricerca delvero — l’adesione al quale ge-nera il bene morale — si spo-sa dunque con il diritto, ilquale nasce dal dovere diaderire al vero e di scegliere ilbene. Il senso comune distin-gue il diritto dalla forza espesso li vede in opposizione,in quanto la forza talvolta siadopera a difendere il diritto,talaltra a violarlo. Quando unaforza brutale opprime unapersona in rapporto a un suoevidente diritto, si accendenegli spiriti uno straordinariointeresse, in quanto quel di-ritto conculcato risplende diluce straordinaria che ne illu-mina l’ideale intangibilità. Inquesti casi estremi il dirittoappare nella sua luce ideale emorale quanto il dovere; e in-fatti deve essere cercato làdove si colloca il dovere, ossiadove vive il rapporto fra vo-lontà e legge: l’ambito mede-simo in cui si colloca il dirit-

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68to, in quanto, in rapporto allavolontà come il principio atti-vo della persona, la legge è ilvero, l’oggetto visto nella suainterezza, termine dell’opera-re dell’uomo. Dunque il dirit-to è un potere morale, èun’autorità di operare, è la fa-colta di operare ciò che sisceglie liberamente entro latutela della legge morale ri-chiedendo e ingiungendo il ri-spetto degli altri. Perciò il di-ritto implica: una facoltà sog-gettiva, ossia il potere di sce-gliere; una facoltà personale,ossia la libertà; un eserciziobuono, non inutile, di questefacoltà; un esercizio lecitodelle stesse facoltà, ossia noncontrario alla legge morale; einoltre esige il rispetto deglialtri esseri razionali che diquesto rispetto hanno il dove-re, per cui l’esercizio del dirit-to deve essere protetto. Talerispetto non ha niente a chefare con la tolleranza del ma-le: lecito non significa per-messo. Anche quando unalegge positiva «permette»qualcosa di illecito non perquesto essa diventa lecita,perché non cessa di contra-stare con la natura umana,dunque con i diritti che la co-stituiscono e con i relativi do-veri. La prima e piú profondalesione della persona è costi-tuita dallo spogliarla della ve-rità, che è il primo dei suoi di-ritti connaturali. Questi sipossono sintetizzare, in formanegativa, nei seguenti termi-

ni: diritto di non essere spin-to al male; di non essere in-gannato né con parole né conazioni; di non essere indotto avizi né con lusinghe né conviolenze; di non essere resoinfelice per indebolimentodella sua forza morale; di nonricevere riconoscimenti spro-porzionati ai suoi meriti; dinon essere danneggiato innessun aspetto della sua na-tura. Vi corrispondono, in po-sitivo, diritti connaturali chesi possono cosí sintetizzare:diritto di meditare; di comu-nicare ogni vero; di ricercare ediscutere; di pronunciare giu-dizi retti sul giusto e sull’one-sto; di fare ordinata giustiziacon lodi e biasimi e dove ne-cessario con azioni; di eserci-tare atti virtuosi; di sceglierelo stato di vita che si giudichimigliore per la perfezione mo-rale. Sono tutti diritti assolutiin quanto riguardano beniuniversali e comuni: verità,virtú, felicità; beni compro-messi da ogni lesione dei di-ritti connaturali, ossia propridella natura umana, che giu-ridicamente chiamiamo indi-viduali, ma che sostanzial-mente sono personali. I dirittipersonali, primari e assoluti,precedono dunque ogni dirit-to sociale e costituiscono ilcriterio fondativo e orientativodi ogni diritto applicato e diogni convenzione, che debbo-no essere formalizzati, ricono-sciuti e applicati al fine di ga-rantire i diritti connaturali. Di

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conseguenza, fra tutte le so-cietà che gli uomini possonoformare, ve ne sono alcuneche si possono definire di di-ritto sociale speciale, inquanto necessarie alla miglio-re organizzazione del genereumano. Fra queste societànecessarie vi è la società co-niugale, la quale, nel suo in-staurarsi, include tutti i diritticonnaturali disponendosi allaloro piú piena attuazione oesercizio. Rosmini determinacome prima società necessa-ria, in quanto costitutiva dellanatura umana, la «societàteocratica» — ben consapevo-le degli abusi storici che han-no reso detestabile l’uso stes-so del termine «teocratico» —che è la società che Dio hacostituito fra sé e la sua crea-tura, con ciò stesso costituen-do la «società del genereumano». Solo il cristianesimopone la «società teocratíca»,che della persona esalta intel-ligenza, attività, morale, ossiagli elementi essenziali cheformano un soggetto di dirit-to, fondando il principio delrispetto dei diritti, senza ilquale nessun diritto potrebbeessere fatto valere. Pertantosenza presupporre la realtàimmensa e invisibile al di sot-to e come fondamento dellestrutture delle società conse-guenti, cioè senza la societàdel genere umano che ricono-sce la sovranità di Dio, è im-possibile che qualsiasi so-cietà possa trovare una radice

sufficiente: una società civileche prescindesse dal suo co-stitutivo essere società reli-giosa si ridurrebbe a un com-plesso di ingiustizie legalizza-te. È dunque oggi tanto piúnecessario «reinsegnare» lapriorità essenziale fondativadella società teocratica, comel’unica vera salvaguardia deidiritti costitutivi della perso-na, inevitabilmente calpesta-ti, sovrastati, ridotti da qual-siasi società che non ricono-sca nella società teocratica ilsuo fondamento primo. Ognidiritto ha per suo oggetto unbene, e ogni bene, quanto alsuo valore, comporta senti-menti di gradevolezza per lanatura umana, ossia gradi eu-demonologici. Nella societàconiugale questi si connetto-no alla natura umana per laquale ciascuna persona nonbasta a se stessa, ma per po-ter perfezionarsi come perso-na singola necessita di diver-se forme di relazione e diunione con le altre persone,per essere e sentire e sentirsiin comunione come genereumano, condividendo i benicomuni che lo costituiscono earricchiscono. La società co-niugale è dunque via al com-pimento della società teocra-tica, alla sua attuazione stori-ca e alla sua perfezione: pe-culiarmente in ragione del-l’intimità fra i due membriche la costituiscono in quantodi sesso diverso. L’unione diamicizia ne è un presupposto.

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70Ma la «solitudine» di Adamonon è stata tolta con la crea-zione di un «simile» semplice-mente, ma con la creazionedel «simile femminile». Percui la generazione assume lapienezza di significato di mol-tiplicazione dei «simili» capa-ci dell’amore e della gloria diDio. È solo entro questo oriz-zonte che la società coniugalesi costituisce come consensodella volontà di due personedi sesso diverso che eleggono,rispondendo alla propria per-sonale vocazione, questa stra-da di perfezionamento reci-proco. La piena unione coniu-gale è dunque di necessitàmorale, e respinge le ingiuriedella violenza, come costrizio-ne al matrimonio, e della se-duzione, come sopraffazionedella volontà dell’altro. Per lamedesima ragione l’unioneconiugale esige il rispetto to-tale e intero della natura edella persona del coniuge:non contrastando caratteristi-che personali ma cooperando,in reciprocità, ad ordinarle eintegrarle al fine di un piúcompiuto conseguimento del-la perfezione personale nell’u-nità coniugale. Molto fre-quentemente, quasi normal-mente, non si riconosce o siviola il fine costitutivo dellasocietà coniugale come reci-proco accrescimento e perfe-zione: sia da parte di chi si

unisca essenzialmente per ilproprio piacere — che è unbene, ma solo entro il fine co-stitutivo, che lo fa dono di séanziché rapina —; sia da par-te di chi finalizzi il coniuge aqualsiasi bene particolare, oeconomico, o anche di gene-razione: in quanto non è mailecito fare dell’altro «stru-mento». Invece nella societàconiugale, «naturalmente cri-stiana», l’uomo e la donna siamano assumendo l’altro co-me fine immediato orientatoal fine ultimo dell’amore diDio. Questo fine ultimo, coes-senziale alla società coniuga-le liberamente scelta e costi-tuita, rende indissolubile ilvincolo coniugale anche intermini di contratto. Questaassoluta sottolineatura nonignora né sottovaluta certo lamolteplicità dei problemi edei drammi che di fatto attra-versano molte società coniu-gali: al contrario, consente diidentificarne il pieno signifi-cato e orienta in modo essen-ziale e necessario la loro solu-bilità entro i doveri e diritticostitutivi del matrimonio.Cominciando dal ridimensio-nare come subumano ogniesperimento di unione «a ter-mine», ripetibile ad libitum,al quale si spingono, con vio-lenza crescente, le generazio-ni future.

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Studi e ricerche

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Il legame di attaccamentoe il maltrattamento infantileQuale ruolo per il consultorio?

Cristina Mocchetto

La teoria del legame di attac-camento di Bowlby e la clas-sificazione di AinsworthJohn Bowlby è uno psicoana-lista inglese che dagli anni’50 si è dedicato allo studiodel legame tra bambino e fi-gura materna, dando impor-tanza alle esperienze reali cheavvengono all’interno di que-sta relazione diadica e pren-dendo così le distanze dallateoria psicoanalitica classicaimprontata per lo più sullerappresentazioni interne. Inun contesto culturale e scien-tifico profondamente influen-zato dalla cibernetica e dall’e-tologia, anche l’approccio uti-lizzato da Bowlby è di tipoetologico, ovvero basato sul-

l’osservazione e sulla descri-zione degli schemi comporta-mentali che sono messi in at-to tra il cucciolo di uomo e lafigura genitoriale che si occu-pa di lui; non solo, poichéBowlby evidenzia come ilcomportamento di attacca-mento non sia riscontrabilesoltanto nei bambini ma siaosservabile seppur con carat-teristiche proprie dell’età an-che in adolescenti ed adultiogni qualvolta si sentano an-gosciati o sotto stress e ricer-chino il sostegno emotivo del-la persona a loro più vicina af-fettivamente. Insieme al com-portamento sessuale, all’ali-mentazione e al comporta-mento esplorativo dell’uomo

La teoria del legame diattaccamento di Bowlbye la classificazione diAinsworth

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rimentate dal bambino e gui-dano i comportamenti con loscopo di ricreare le esperienzerelazionali vissute. Questeconsiderazioni teoriche diBowlby sono state successiva-mente sviluppate da Mary Ain-sworth, ideatrice di una situa-zione sperimentale denomina-ta “Strange Situation”3. Taleprocedura sperimentale consi-ste nell’osservazione di brevisequenze temporali di circa treminuti ciascuna in cui il bam-bino è lasciato in un ambientesconosciuto, un laboratorio at-trezzato per il gioco, ora con lamamma, ora solo, ora con unapersona estranea; le reazionidel piccolo nei confronti del-l’esplorazione, del ricongiungi-mento e allontanamento dallamadre e il suo timore o menonei confronti dell’estraneoconsentono di individuare il le-game di attaccamento vissutodal bambino. Grazie alla osser-vazioni effettuate durante laStrange Situation, Mary Ain-sworth ha descritto tre stili diattaccamento: insicuro-evitan-te (pattern A), sicuro (patternB), ansioso-ambivalente (pat-tern C). Un legame di attaccamento ditipo insicuro-evitante nascetra un bambino e una madreinsensibile ai segnali del fi-glio che rifiuta il contatto fisi-co con lui quando il bimbo in-vece lo necessiterebbe; bam-

bini che vivono un legame diquesto tipo, nel caso venganolasciati soli, non manifestanolo sconforto ma anzi esibisco-no grande autonomia; e, nelmomento in cui la madre si ri-congiunge a loro, questi bim-bi la evitano e si mostrano di-staccati. Una madre che alcontrario risponda ai bisognidel proprio piccolo e sia sen-sibile alle sue richieste dà vi-ta a un legame di attacca-mento definito “sicuro”.Bambini che hanno un attac-camento sicuro con la figuragenitoriale esprimono libera-mente lo sconforto quandovengono separati dalla madre,ma altrettanto facilmente sicalmano, esplorano l’ambien-te circostante e giocano, sicu-ri che la madre sia raggiungi-bile e disponibile in caso dibisogno. Il terzo stile di attac-camento individuato dalla An-sworth è l’ansioso-ambivalen-te. In questo caso la madre ècaratterizzata dall’imprevedi-bilità: ricerca il contatto fisicocon il figlio quando è lei a de-siderarlo così come lo evitaquando invece è il bimbo a ri-chiedere la sua vicinanza fisi-ca. Come conseguenza all’im-prevedibilità della madre, ibambini ansiosi-ambivalenti,nel caso siano lasciati soli,piangono inconsolabilmente emostrano una rabbia e un’ag-gressività eccessive nel mo-

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77nei confronti dell’ambienteche lo circonda, anche il com-portamento di attaccamentocontribuirebbe alla sopravvi-venza, dal momento che con-duce alla protezione della pro-le: ecco quindi come secondoBowlby il comportamento ge-nitoriale e le risposte a questoda parte del bambino abbianoforte radice biologica; la pre-disposizione all’attaccamentoè parte integrante del patrimo-nio genetico della specie uma-na. Il comportamento di at-taccamento consiste in tuttequelle forme di comporta-mento che consentono laprossimità tra l’individuo eciò che lo stesso Bowlby1 de-finisce “base sicura” cioèquella figura che permette di“… fornire una base sicura dacui un bambino o un adole-scente possa partire per af-facciarsi al mondo esterno e acui possa ritornare sapendoper certo che sarà il benvenu-to, nutrito sul piano fisico edemotivo, confortato se triste,rassicurato se spaventato…”.Il legame di attaccamento èquesta disposizione dell’indi-viduo ad affidarsi a una perso-na scelta selettivamente, disolito la figura materna, che sisviluppa tra il sesto e l’ottavomese di vita del bambino; èun legame di natura emotiva.Le interazioni e le risposte af-

fettive acquisite in questo pri-mo anno di vita vengono ripe-tute nel tempo e fanno sì cheil bambino si costruisca delleaspettative circa il suo lega-me con le figure genitoriali epoi con le altre persone; que-ste aspettative guidano ilcomportamento nelle situa-zioni nuove. Queste aspettati-ve inconsce, elaborate, diven-tano secondo Bowlby “… mo-delli operativi interni delle re-lazioni di attaccamento…”che tendono ad autoperpe-tuarsi in assenza di significa-tivi fattori di cambiamento.Se ad esempio la figura geni-toriale è responsiva nei con-fronti dei bisogni del bambi-no, in questi nascerà un’im-magine di sé degno di riceve-re amore e sostegno e un’im-magine degli altri come per-sone disposte ad aiutare e afornire affetto. Se al contrarioun bambino non viene benaccudito e si confronta conuna figura genitoriale indiffe-rente alle sue richieste, svi-lupperà un’immagine di sécome persona non degna diricevere alcun sostegno daglialtri perché non amabile eun’immagine del mondo cir-costante come ostile e indif-ferente perché l’altro non èamorevole2. I modelli operativi interni orga-nizzano così le interazioni spe-

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1 J. BOWLBY, Una base sicura, Raffaello Cortina, Milano, 1988, p. 10.2 M.H. RICKS, “The Social Transmission of Parental Behaviour: Attachment across Ge-

nerations”, in Monographs of the Society for Research in Child Development, 1985, 1-2, pp. 211–227.

3 K.E. GROSSMANN, K. GROSSMANN, “Legame d’attaccamento infantile e sviluppo delle di-namiche psichiche individuali nel corso della vita”, in Terapia familiare, 1993, 41,pp. 5–18.

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che può collocarsi su un con-tinuum che va dall’abuso allatrascuratezza e un’altrettantaeterogeneità negli effetti pro-dotti dal maltrattamento chenon hanno certamente agevo-lato le ricerche in questocampo7. È inoltre un fenomenotenuto sommerso dalle fami-glie; e questo rende difficoltosala reperibilità di informazioniper condurre studi sperimenta-li. Sempre dal punto di vistametodologico, sono state con-dotte esclusivamente ricercheex post facto, cioè con uncampione dato, che implicanoi possibili effetti del tempo tra-scorso dall’evento traumaticoal resoconto durante la ricercae che permettono di studiare ilfenomeno soltanto a posteriori. In un primo momento comun-que le ricerche si sono dedica-te all’individuazione dei dannifisici provocati nei bambini dalmaltrattamento. Negli studiiniziali, infatti, morte, disturbicognitivi e anomalie muscolarisono stati ben documentati,mentre gli effetti del maltratta-mento sullo sviluppo emozio-nale del bambino sono statioggetto di speculazione piutto-

sto che di studi empirici. Suc-cessivamente si è sviluppataanche la ricerca sui danniemotivi. In particolare sononati studi che collegassero ilfenomeno del maltrattamentoal legame di attaccamento teo-rizzato da Bowlby. Da numero-se ricerche8 emerge infatti unacorrelazione significativa trabambini con un attaccamentovalutato come disorganizzato el’essere figli di genitori mal-trattanti: l’82% di bambinimaltrattati manifesta compor-tamenti di attaccamento disor-ganizzato nei confronti delle fi-gure di accudimento. La disor-ganizzazione sarebbe il risulta-to del paradosso che il bambi-no si trova ad affrontare difronte a un genitore che gli fapaura: la figura di attaccamen-to è per il bambino una fontedi pericolo da rifuggire inquanto maltrattante, ma allostesso tempo è la figura che ilbambino stesso tenderebbe adavvicinare come fonte di soste-gno e soccorso proprio in casodi pericolo. È un’esperienzache Main definisce di “… pau-ra senza via d’uscita…”9. Latendenza alla fuga dal pericolo

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79mento in cui la madre ritorniloro vicina.

Il legame di attaccamento di-sorganizzato e le correlazionicon il maltrattamento infantileNel 1986 Mary Main e JudithSolomon individuano un quar-to stile di attaccamento osser-vabile durante la AinsworthStrange Situation: si tratta dellegame di attaccamento disor-ganizzato (pattern D)4. I bam-bini che esibiscono questoquarto stile di attaccamentomostrano comportamenti nonorganizzati, disorientati ri-spetto all’ambiente circostan-te, privi di congruenza; sem-brano mancare di strategieper affrontare lo stress dellaseparazione: durante la Stran-ge Situation esibiscono a vol-te pianti inconsolabili seguitipoi da una reazione di “con-gelamento” in cui rimangonoimmobili, altre volte mostranomovimenti stereotipati comeil dondolio e altre volte anco-ra mettono in atto sistemicomportamentali in contrap-posizione tra loro come il pro-tendersi verso il genitore perpoi ricadere proni sul pavi-mento o girare in tondo men-tre si avvicinano simultanea-mente al genitore.

La percentuale di bambiniclassificati nella prima infan-zia con un attaccamento di-sorganizzato varia dal 13%all’82%, a seconda della pre-senza o meno di fattori di ri-schio all’interno del nucleo fa-miliare come il maltrattamen-to infantile, il disturbo depres-sivo maggiore del genitore, ildisturbo bipolare del genitoree il consumo di alcol: la pre-senza di queste condizioni dirischio all’interno della fami-glia produce infatti una per-centuale di bambini con at-taccamento disorganizzato si-gnificativamente più alta ri-spetto ai gruppi di controllo.Prestando una particolare at-tenzione al maltrattamento in-fantile come fattore di rischioper lo sviluppo infantile, daglianni ’60 la comunità scientifi-ca ha iniziato a occuparsi diquesto fenomeno5. Proprio nel1960 Kempe e alcuni colla-boratori hanno individuatoper la prima volta la “sindro-me del bambino battuto”dando origine a quel filone distudi interessati a far emerge-re il fenomeno della violenzaall’infanzia6. Metodologica-mente esiste però una taleeterogeneità all’interno del fe-nomeno del maltrattamento

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7 D. CICCHETTI, R: RIZLEY, “Developmental Perspectives on the Etiology, Intergeneratio-nal Transmission, and Sequelae of Child Maltreatment”, in New Directions for ChildDevelopment, 1981, 11, pp. 31–55.

8 P.D. DELOZIER, “Attachment Theory and Child Abuse”, in C. MURRAY PARKES, J. STE-VENSON-HINDE, The Place of Attachment in Human Behaviour, Tavistock Publications,London-New York, 1982, pp. 95–117.V. CARLSON, D. CICCHETTI, D. BARNETT, K. BRAUNWALD, “Disorganized/Disoriented Atta-chment Relationships in Maltreated Infants”, in Developmental Psychology, 1989,25, pp. 525–531.

9 M. MAIN, “Recent Studies in Attachment: Overview, with Selected Implications for Cli-nical Work”, in S. GOLDBERG, R. MIUR, J. KERR, Attachment Theory: Social, Develop-mental, and Perspectives, Analytic Press, Hillsdale (NJ), 1995, pp. 407–474.

4 M. MAIN, J. SOLOMON, “Procedures for Identifying Infants as Disorganized/Disorientedduring the Ainsworth Strange Situation”, in M.T. GREENBERG, D. CICCHETTI, E.M. CUM-MINGS, Attachment in the Preschool Years. Theory, Research and Intervention, the Uni-versity of Chicago Press, Chicago and London, 1990, pp. 121– 160.

5 J.L. ABER III, E. ZIGLER, “Developmental Considerations in the Definition of Child Mal-treatment”, in New Directions for Child Development, 1981, 11, pp. 1–29.

6 C.H. KEMPE, F.N. SILVERMAN, B.F. STEELE, “The Battered-child Syndrome”, in Journalof the American Medical Association, 1962, 181, pp. 17 – 24.

Il legame di attaccamento

disorganizzato e le correlazioni con

il maltrattamento infantile

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no subito eventi traumatici.Quest’intervista analizza lerappresentazioni che i genito-ri hanno delle proprie relazio-ni di attaccamento infantile eclassifica lo stato mentale deigenitori intervistati riguardoall’attaccamento come auto-nomo, distanziante, preoccu-pato e irrisolto. Main e Hessesi sono soffermati sull’attac-camento non risolto risultatoall’AAI, classificazione asse-gnata a quegli adulti che du-rante la somministrazionedell’intervista e il resocontodelle loro esperienze infantilidi attaccamento mostrano “…una caduta nei processi dimonitoraggio metacognitivodel discorso…”14. Si osserva-no infatti nei resoconti di sog-getti con esperienze pregressetraumatiche errori nel ragio-namento e nel discorso: l’in-dividuo può ad esempio esse-re certo che una persona de-ceduta sia ancora in vita oche invece sia stata uccisa daun pensiero; può restare in unsilenzio prolungato così comepuò iniziare un monologo pri-vo di senso. L’ipotesi di Maine Hesse è che i lapsus e icomportamenti anomali chesi verificano nel racconto diesperienze traumatiche du-rante l’Adult Attachment In-terview derivino dall’intrusio-

ne di ricordi spaventanti eidee dissociative e che talimomentanee manifestazionidissociative possano verificar-si come conseguenza a qual-che stimolo dell’ambienteche riporta i soggetti alle loropersonali esperienze trauma-tiche. Capitando questi la-psus durante l’AAI, è possibi-le ipotizzare che si verifichinoanche durante le interazionitra il bambino e l’adulto e chequesti comportamenti spa-ventanti e spaventati creinonel bimbo il paradosso a cuisi è già accennato: sfuggire eavvicinare la figura di attacca-mento. Il risultato è il com-portamento disorganizzato. A questo proposito va ricorda-to il principio di equifinalitàtrasmessoci dalla teoria deisistemi15 secondo cui biso-gnerebbe evitare un ragiona-mento causale di tipo lineare:lo stesso risultato può deriva-re da diverse condizioni ante-cedenti, così come la stessapremessa può originare risul-tati differenti. Come nel casodi maltrattamento infantile siè appena posto in evidenzache il risultato di un attacca-mento disorganizzato può de-rivare sia da un genitore spa-ventante che da un genitorespaventato, altrettanto inte-ressante sotto il profilo dell’e-

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81e la propensione alla ricerca diprotezione presso la propriabase sicura sono così in con-flitto. Il tema del maltratta-mento è correlato al legame diattaccamento non solo perquanto riguarda il bambino co-me vittima e il genitore comecarnefice, ma anche nel casoil genitore stesso sia stato inpassato una vittima. Infatti ilgenitore è fonte di paura per ilfiglio - come accade nel lega-me di attaccamento disorga-nizzato - non solo in caso siamaltrattante e in caso quindisia fonte di trauma per il bam-bino ma anche nel caso in cuisia lui stesso traumatizzato: ungenitore che si trova ad affron-tare il ricordo e la mancata ela-borazione di eventi traumaticiaccaduti in passato come lutti,violenze subite e carenze nellapropria storia di attaccamento,separazioni traumatiche, even-ti ancora non risolti risalenti alperiodo infantile o adolescen-ziale, è un genitore impauritoche a sua volta trasmette pau-ra al figlio perché mostra com-portamenti spaventati perqualcosa che per il bambinonon è identificabile: il figlio

percepisce la paura del genito-re, ma non ne conosce la fon-te, spaventandosi così a suavolta10. Un genitore che rivivetraumi irrisolti mostra infattinel rapporto col figlio compor-tamenti spaventanti come sta-ti dissociativi o simili alla tran-ce, modelli vocali improvvisa-mente inusuali, il compariredavanti al viso del bambinosenza preavviso; anche in que-sto modo il genitore rimette ilbambino nel medesimo para-dosso già descritto che dà ori-gine a un legame di attacca-mento disorganizzato11. Lo sta-to mentale di attaccamentonon risolto da parte del genito-re come causa di un attacca-mento disorganizzato nel figlioè stato affrontato da Main eHesse12 in uno studio che ponein relazione appunto l’attacca-mento non risolto nell’adulto,il comportamento spaventan-te/spaventato durante le inte-razioni con il figlio e l’attacca-mento disorganizzato nel bam-bino. Main e Hesse hannoanalizzato i resoconti verbaliforniti all’Adult AttachmentInterview13 di un campione disoggetti che in passato aveva-

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10 M. MAIN, E. HESSE, “Attaccamento disorganizzato/disorientato nell’infanzia e statimentali dissociati dei genitori”, in M. AMMANITI, D.N. STERN, Attaccamento e psicoa-nalisi, Laterza, Roma, 1992, pp. 86–140.

11 P.M. CRITTENDEN, M.D.S. AINSWORTH, “Child Maltreatment and Attachment Theory”, inD. CICCHETTI, V. CARLSON, Child Maltreatment, Cambridge University Press, Cambridge,1989, pp. 432–464.

12 M. MAIN, E. HESSE, “Parents’ Unresolved Traumatic Experiences Are Related to InfantDisorganized Attachment Status: Is Frightened and/or Frightening Parental Behaviourthe Linking Mechanism?”, in M.T. GREENBERG, D. CICCHETTI, E.M. CUMMINGS, Attach-ment in the Preschool Years. Theory, Research and Intervention, op. cit., pp.161–182.

13 C. GEORGE, N. KAPLAN, M. MAIN, “Adult Attachment Interview Protocol” (2° ed.). ma-noscritto non pubblicato, University of California, Berkeley, 1985.

14 M. MAIN, R. GOLDWIN, “Adult Attachmentscoring and Classification System“, Version6.3., manoscritto non pubblicato, University of California, Berkeley, 1998.

15 L. VON BERTALANFFY, Teoria generale dei sistemi, Mondadori, Milano, 1971.

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Infatti a livello metodologicol’utilizzo di ricerche retrospet-tive non permette di acquisireabbastanza informazioni sulmeccanismo di trasmissioneintergenerazionale del mal-trattamento: con studi ex postfacto si è venuti a conoscenzadel fenomeno della trasmis-sione intergenerazionale per-ché molti adulti maltrattantisono risultati a loro voltabambini maltrattati durantel’infanzia; ma non è possibileancora prevedere empirica-mente quanti bambini mal-trattati diventeranno genitorimaltrattanti. Un tentativo nel-la direzione di approfondire latrasmissione intergenerazio-nale della violenza infantile èstato condotto da Rizley eCicchetti che nel 1978 inizia-rono uno studio longitudinaledi tre anni sul maltrattamentoinfantile19. Rizley e Cicchettidefiniscono le condizioni an-tecedenti al maltrattamento“… di rischio…” per la loroincertezza di occorrenza e lisuddividono in due sottogrup-pi: fattori “… potenzianti…”che aumentino la probabilitàdel maltrattamento e fattori“… compensatori…” che in-vece contrastino il verificarsidel fenomeno. Ogni sottogrup-po è poi a sua volta distinto infattori permanenti e fattoritransitori. Esempi di condizio-ni che incrementino la proba-

bilità che si verifichi un mal-trattamento in famiglia posso-no essere di tipo biologico co-me il temperamento difficiledel bambino o disturbi fisiciche ne rendono l’accudimen-to problematico, di tipo stori-co come la presenza già ingenerazioni passate di episodidi maltrattamento, di tipo psi-cologico come un disturbopsicopatologico nel genitore,di tipo socio-culturale comel’accettazione di praticheeducative particolarmente ri-gide e punitive, di tipo infinecontestuale come una condi-zione di povertà, di mancanzadi occupazione lavorativa, discarse risorse a cui poter at-tingere, scarse abilità nei ge-nitori di attivarsi alla ricercadi sostegno, rapporti matri-moniali problematici. All’altroestremo esistono numerosifattori che secondo Rizley eCicchetti possono invece con-trastare il fenomeno del mal-trattamento: caratteristichedel bambino che facilitino ilrapporto col genitore come unbuon temperamento, intelli-genza, flessibilità, buone con-dizioni di salute, un attacca-mento sicuro con il genitorenon maltrattante, l’inserimen-to in un gruppo di pari, l’altatolleranza allo stress, caratte-ristiche del genitore che per-mettano di rielaborare leeventuali esperienze infantili

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83quifinalità è sapere che nontutti i bambini abusati diven-tano genitori abusanti dal mo-mento che spezzano la catenadella trasmissione intergera-zionale della violenza, cosìcome non tutti i genitori sot-toposti a fattori di rischio di-ventano maltrattanti nei con-fronti dei loro figli16. È co-munque indubbio che da stu-di sperimentali17 emerga chespesso i genitori abusanti ri-sultino essere a loro volta sta-ti abusati o puniti molto seve-ramente durante l’infanzia daipropri genitori. L’ipotesi avan-zata per spiegare questi risul-tati è che il rifiuto vissuto per-sonalmente da bambini daparte dei propri genitori portiqueste persone a rifiutare poiil proprio figlio. Non solo, siipotizza anche che l’aspra di-sciplina e le punizioni utiliz-zate con questi soggetti dailoro genitori durante l’infanziae che tanto li hanno resi sof-ferenti da piccoli sembreran-no invece in età adulta unacaratteristica del loro alleva-mento che li ha resi così com-petenti e maturi come si ri-tengono; per questo motivo ri-tengono consciamente le pu-nizioni un ottimo metodo perrendere a loro volta i propri fi-

gli competenti. Questo ele-mento posto in evidenzia daCrittenden potrebbe spiegareil fenomeno della trasmissio-ne intergenerazionale dellaviolenza infantile per cuibambini ed adolescenti chesiano stati maltrattati, pur de-siderando relazioni sicure, inetà adulta scelgono spessopartner coi quali perdurino re-lazioni dolorose e che dannoorigine a episodi di maltratta-mento nei confronti poi deipropri figli. Infatti per questigiovani adulti diventati a lorovolta genitori il legame con igenitori maltrattanti resteràfonte di stress e sofferenza; edi conseguenza i vissuti di sfi-ducia e impotenza resterannoforti in loro, dando origine auna sorta di profezia che siautoavvera che conduce aesplosioni di rabbia.

La trasmissione intergenera-zionale della violenza infanti-le: fattori di rischio e fattoriprotettiviIl fenomeno di trasmissioneintergerazionale della violen-za infantile18 e del legame diattaccamento disorganizzatodai genitori ai figli resta un te-ma purtroppo difficoltoso daindagare sperimentalmente.

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16 M. DOZIER, K. CHASE STOVALL, K.E. AALBUS, “L’attaccamento e la psicopatologia nell’etàadulta”, in J. CASSIDY, P.R. SHAKER, Manuale dell’attaccamento. Teoria, ricerca e ap-plicazioni cliniche, Giovanni Fioriti, Roma, 2002, pp. 566 – 590.

17 P.M. CRITTENDEN, M.D.S. AINSWORTH, “Il maltrattamento sui bambini e la teoria del-l’attaccamento”, in P.M. CRITTENDEN, Nuove prospettive sull’attaccamento. Teoria epratica in famiglie ad alto rischio, Guerini e Associati, Milano, 1994, pp. 1–30.

18 J. KAUFMAN, E. ZIGLER, “The Intergenerational Transmission of Child Abuse”, in D. CIC-CHETTI, V. CARLSON, Child Maltreatment, op. cit., pp. 129 – 150.

19 D. CICCHETTI, R. RIZLEY, “Developmental Perspectives on the Etiology, Intergeneratio-nal Transmission, and Sequelae of Child Maltreatment”, op cit., pp. 31–55.

La trasmissione intergenerazionale della

violenza infantile:fattori di rischio e

fattori protettivi

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sione di ruolo e in questo ca-so non essere in grado di as-sumere una posizione protet-tiva nei confronti del bambi-no, lasciandolo abbandonatoa se stesso. Per quanto ri-guarda il bambino, poi, pro-blemi di salute e una nascitaprematura sono associati a in-terazioni difficoltose tra ilbimbo e la madre così che au-menta il rischio di maltratta-mento. Le condizioni di ri-schio vanno quindi tenute at-tentamente in considerazionequando si lavora con le fami-glie, in modo da poter interve-nire preventivamente conquei fattori protettivi che pos-sono frenare il meccanismodella trasmissione intergene-razionale del maltrattamento.Il ruolo del consultorio fami-liare potrebbe situarsi proprionel mezzo del complesso in-treccio di fattori protettivi e dirischio fin qui nominati. In-fatti il consultorio è un luogoin cui l’utente in difficoltàpuò sperimentare il sostegnoe può trovare con l’aiuto dispecialisti uno spazio di ri-flessione su di sé e sulle pro-prie relazioni. In particolarenei confronti di soggetti cheabbiano vissuto episodi di vio-lenza infantile può esserel’occasione per riparare alme-no in parte ai torti subiti:

un’accoglienza empatica euna presa in carico a livellopsicologico non possono can-cellare un trauma, ma posso-no aiutare a riconquistare sti-ma in sé e fiducia nelle pro-prie risorse oltre che nel pros-simo, in modo che la storiafamiliare di violenza non si ri-peta tra generazioni. Oltre al-l’aspetto riparativo di soste-gno, il consultorio potrebbesoprattutto rivestire un ruoloimportante nella prevenzionedi quelle situazioni di disagiofamiliare riportate anche inletteratura che possono sfo-ciare in violenza. Infatti grazieall’attenzione ai fattori di ri-schio, alla formazione e al sup-porto preventivo che un con-sultorio offre ai suoi utenti sipossono realmente evidenziarel’interesse e la cura che il con-sultorio stesso nutre nei con-fronti della famiglia e comeistituzione e come sistema dipersone e relazioni. Eccoquindi svelarsi la motivazionedi tale trattazione: in un con-testo di aiuto come quelloconsultoriale è molto impor-tante la tematica del legamedi attaccamento, proprio inquanto componente dell’inte-ra esistenza umana e matricedelle relazioni, compresaquella tra utente e professio-nista.

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85di attaccamento insoddisfa-centi come abilità interperso-nali, buone capacità di co-ping, o una storia precedentefamiliare di rapporti sereni tragenerazioni e la capacità diinserirsi in una rete di appog-gio e di trarne sostegno in mo-do da costruire un modellooperativo del sé adeguato e ingrado quindi di leggere i biso-gni del figlio e rispondergliempaticamente20. Il modellodi trasmissione che i due ri-cercatori propongono è basatoquindi sulla combinazione deifattori “potenzianti” e “com-pensatori”; solo analizzandola complessa combinazionedei fattori di rischio che ven-gono trasmessi da una gene-razione all’altra si può com-prendere il meccanismo ditrasmissione del maltratta-mento come il risultato di unpatrimonio trigenerazionale difattori che passa dai nonni aigenitori e poi ai figli. Allostesso modo si comprende co-me l’occorrenza di qualchenuovo fattore compensatorioche venga potentemente in-trodotto nel patrimonio tra ge-nerazioni possa funzionare daantagonista alla trasmissione. Oltre a questo studio longitu-dinale molto prezioso per

quanto riguarda l’analisi deinumerosi fattori coinvolti nel-la trasmissione del maltratta-mento, anche altri ricercatorisi sono preoccupati di indivi-duare le condizioni antece-denti al fenomeno21. La giova-ne età della madre, avere unfiglio senza un legame matri-moniale, essere in una condi-zione di stress personale, vi-vere un legame coniugaleconflittuale sono tutte condi-zioni in cui può trovarsi il ge-nitore e che facilitano l’insor-gere del maltrattamento neiconfronti del figlio. Anche lacultura di accudimento chevige all’interno della famigliava considerata: l’abuso siperpetua nel tempo nel mo-mento in cui in quella stessafamiglia si sostiene un tipodi accudimento basato sullarigida disciplina piuttostoche sulla totale trascuratezzanei confronti dei figli da par-te dei genitori22. Ad esempioun genitore che sia distan-ziante e trascurante può mini-mizzare la gravità di episodidi abuso lasciando che questoperduri nel tempo. Invece ungenitore caratterizzato da unostato mentale preoccupato ri-spetto all’attaccamento po-trebbe dar origine a un’inver-

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20 I. BRETHERTON, “Modelli operativi interni e trasmissione intergenerazionale dei modellidi attaccamento”, in M. AMMANITI, D.N. STERN, Attaccamento e psicoanalisi, op. cit.,pp. 21–46.

21 R. HERRENKHOL, E.C. HERRENKHOL, “Some Antecedents and Developmental Conse-quences of Child Maltreatment”, New Directions for Child Development, 1981, 11,pp. 57–76.

22 M. DOZIER, K. CHASE STOVALL, K.E. ALBUS, “L’attaccamento e la psicopatologia nell’etàadulta”, op. cit., pp. 566–590.

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PresentazioneSollecitato da una richiestadell’Associazione La nostraFamiglia, che ha la sede prin-cipale a Ponte Lambro (Co-mo) e che svolge una merito-ria attività di ricerca, cura eriabilitazione delle personediversamente abili, il Comita-to Nazionale per la Bioetica,nella seduta plenaria del 19novembre 2004, ha decisocon voto unanime di attivareun gruppo di lavoro sul temaBioetica e riabilitazione. Algruppo hanno aderito, tra imembri del CNB, i proff. Bat-taglia, Binetti, Bompiani,Borgia, Flamigni, Palazzani,

Umani Ronchi; coordinatoridel gruppo sono stati nomina-ti i proff. Michele Schiavone eMaria Luisa Di Pietro. Allaprof.ssa Di Pietro va una gra-titudine particolare, perché siè accollata l’onere di redigerematerialmente, dopo numero-se sedute di gruppo, la bozzadefinitiva del documento, cheè stato presentato al Comitatoriunito in seduta plenaria il17 febbraio 2006, per venirpoi definitivamente e unani-memente approvato il succes-sivo 17 marzo. A pochi sfuggirà il rilievo diquesto testo, che amplia latradizionale prospettiva della

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PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Comitato Nazionale per la Bioetica

BIOETICA E RIABILITAZIONE

17 marzo 2006

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ti PremessaIl tema della riabilitazione èstato oggetto di riflessionebioetica solo di recente: mol-teplici le ragioni, tra cui l’in-serimento tardivo di questabranca medica nei piani pro-grammatici del Sistema Sani-tario Internazionale e la com-plessità della problematica afronte di differenti forme didisabilità e di impegno riabili-tativo. Inoltre, il dibattito -specificamente bioetico - sul-l’esercizio dell’autonomia delpaziente, sulla qualità dellavita, sulla giustizia e sull’allo-cazione delle risorse, nonchéil drammatico incremento delnumero di persone con disabi-lità (a seguito di incidentistradali e lavorativi e dell’in-nalzamento dell’età mediadella popolazione), hanno in-centivato una trattazione si-stematica del tema solo a par-tire dalla fine degli anni ’70.Si assiste, così, alle prime

pubblicazioni in materia e aiprimi pronunciamenti da partedi organismi internazionali1. Tra i risultati ottenuti vi è sta-to un graduale ma irreversibilescardinamento dei tabù con-nessi con la disabilità e la ria-bilitazione, e un diverso ap-proccio - anche linguistico -alla persona con disabilità.Non più, infatti, “invalido”,“handicappato”, “disabile”,quanto piuttosto “persona condisabilità” al fine di porre l’ac-cento sia sul valore di ognipersona umana a prescinderedalla sue condizioni, sia sulfatto che la disabilità non è daconsiderare una condizioneoggettivamente negativaquanto piuttosto in relazionecon un ambiente fisico, cultu-rale e sociale che non è in gra-do di valorizzare le potenzia-lità (da cui anche la locuzione“persona diversamente abile”o “persona diversabile”) chesi possiedono2. La particella

90bioetica clinica, attivandoconsiderazioni psicologiche,antropologiche e sociali diestremo rilievo. I lettori piùattenti noteranno come inqueste pagine si sottolineanosì i meriti indiscussi dellamedicina “scientifica”, ma siinsista altresì e soprattuttosull’immensa importanza chepossiede un impegno interdi-sciplinare, integrato e umanoal problema della disabilitàin vista del suo trattamentoottimale. Per quanto lucide,coerenti e anche sofisticatepossano essere le dimensionidottrinali dell’etica medica edella bioetica, resta fermoche nessuna prassi di curapuò essere fino in fondo sestessa se ritiene di potersi ra-dicare esclusivamente nellaforza del pensiero: è l’incon-tro con chi chiede di esserecurato a rivelarsi in ultimaistanza decisivo: un incontroper la cui serietà non può ba-stare, ovviamente, una gene-

rica buona volontà e menoche mai una calda, generosa,ma tante volte inconcluden-te, emotività. Questo docu-mento del CNB vuole richia-mare tutti gli operatori delsettore e tutti coloro che han-no pubbliche responsabilitàin materia sanitaria e assi-stenziale alle loro responsabi-lità culturali, sociali ed an-che epistemologiche. Mavuole altresì, e bisogna sotto-linearlo fino in fondo, ricor-dare che l’autenticità dellabioetica si manifesta nel mo-mento in cui essa dimostra diavere la forza di alimentareuna prassi relazionale, capa-ce di sublimare il mero esse-re-con-l’altro nel ben più ar-duo, ma anche esistenzial-mente ben più autentico, es-sere-per-l’altro.

Francesco D’AgostinoPresidente del Comitato

Nazionale per la Bioetica

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1 Si vedano, ad esempio, gli articoli e le voci pubblicati su Archives of Physical Medi-cine and Rehabilitation (1980), Hastings Center Report (1987) e sulla Encyclopediaof Bioethics (1978, 1995). Tra i primi interventi a livello internazionale, si ricordanola Dichiarazione sui diritti delle persone handicappate delle Nazioni Unite (1975) e laRisoluzione AP (84)3 del Consiglio d’Europa - Comitato dei Ministri (1984) che sin-tetizza i principi di inserimento socio-culturale della persona con disabilità.

2 Come è noto, la classificazione internazionale delle menomazioni, disabilità ed han-dicap (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap,“ICIDH”) proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) nel 1980, è sta-ta il primo tentativo di superamento del modello tradizionale che identificava le ma-lattie attraverso una semplice classificazione nosologica ed escludeva ogni altro ele-mento atto a determinare il benessere della persona. L’ICIDH si basa su tre parametristrettamente correlati: 1. il danno funzionale di un apparato (Impairment: compro-missione o lesione organica); 2. la perdita di capacità personali (Disability: riduzioneparziale o totale delle capacità di compiere un’attività); 3. i conseguenti svantaggi esi-stenziali (Handicap: riduzione dello svolgimento di un ruolo a seguito dell’impairmente/o della disability). Risulta, quindi, evidente che la persona non viene valutata in ba-se solo alla sua capacità lavorativa ma anche alle sue risorse potenziali che permet-tono un’attiva partecipazione relazionale e sociale. Una riflessione che - come si ve-drà di seguito - si sviluppa in parallelo all’evoluzione del concetto di salute.

Premessa

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ti giungibile nei diversi ambitipossa tradursi in autonomiadella persona nel suo com-plesso e comunque in una mi-gliore qualità, della vita dellapersona”3.La riabilitazione può riguarda-re le funzioni motorie, il lin-guaggio, l’acquisizione distrategie, etc., e la scelta de-gli interventi - non sempre difacile e immediata soluzione -viene fatta in base sia alla ti-pologia della disabilità o delledisabilità prevalenti, sia al bi-lancio dei punti di forza e deibisogni della persona con di-sabilità. Infatti, se non si ten-gono in conto i bisogni dellapersona con disabilità, si cor-re il rischio di ottenere solouna riduzione apparente delladisabilità fino alla possibilitàestrema di indurne altre. La locuzione “medicina riabi-

litativa”, invece, indica - dauna parte - l’insieme deglioperatori, degli strumenti edelle tecniche dedicate allariabilitazione medica, e - dal-l’altra - una disciplina con lesue basi teoriche ed applica-zioni pratiche. Perciò, accanto ad una riabili-tazione medica (intesa comeprevenzione, contenimento oeliminazione della disabilità),è possibile, poi, individuare -anche se la distinzione non èsempre netta - una riabilita-zione sociale che ha come fi-nalità la prevenzione e l’ab-battimento delle barriere. In-fatti l’intervento riabilitativo,pur avendo un orizzonte im-mediato localizzato nella cor-poreità lesa e disfunzionale,ha anche un orizzonte più va-sto ed è quello dell’intera per-sonalità considerata in se

92“con” limita, inoltre, la con-notazione attribuita alla per-sona sottolineandone il carat-tere di attributo conseguito enon di attributo soggettivo.Il diverso approccio linguisti-co ha, a sua volta, portato ul-teriori elementi di giustifica-zione all’intervento riabilitati-vo in particolare, e al prender-si cura della persona con di-sabilità in generale. La “pre-occupazione” per l’altro è, in-fatti, da sempre condizionatadal riconoscimento del valoredell’altro e il prendersene cu-ra, prima ancora che una que-stione di decisioni, è una que-stione di visione, cioè di ca-pacità di vedere l’altro neisuoi concreti bisogni di perso-na umana.

I perché della riabilitazioneAnche il concetto di “riabili-tazione” è andato incontro,nel corso degli ultimi anni, aduna trasformazione: muoven-do da una concezione medi-co-curativa centrata sulle de-ficienze funzionali si è arriva-ti ad un approccio che guardaalla persona che viene riabili-tata in modo globale al fine diconseguire un miglioramentodella sua qualità di vita.In generale, si intende per“riabilitazione” l’insieme diinterventi terapeutici (cure)ed assistenziali (care) chehanno come finalità il recupe-ro (parziale o totale) di abilitàcompromesse (a diversi livel-li: lieve, medio, grave) a cau-

sa di patologie congenite oacquisite (neurologiche, co-gnitive, psichiche) e la valo-rizzazione delle potenzialitàpresenti (sensoriali, motorie,psichiche) per consentire econseguire il migliore inseri-mento e integrazione nell’am-bito della vita familiare e so-ciale. La riabilitazione si occupa divarie tipologie di persone condisabilità: con compromissio-ni temporanee o, comunque,recuperabili alla funzione cor-porea precedente al trauma oalla patologia sopravvenuta ocon compromissioni gravi e ir-reversibili.La riabilitazione - si legge nel-le Linee-guida per le attivitàdi riabilitazione approvate,nel 1998, dalla conferenzapermanente Stato-Regioni - è“… un processo di soluzionedei problemi e di educazionenel corso del quale si portauna persona a raggiungere ilmiglior livello di vita possibilesul piano fisico, funzionale,sociale ed emozionale, con laminore restrizione possibiledelle sue scelte operative […]Il processo riabilitativo riguar-da, oltre che aspetti stretta-mente clinici anche aspettipsicologici e sociali. Per rag-giungere un buon livello di ef-ficacia qualsiasi progetto diriabilitazione, per qualsiasiindividuo, deve quindi esseremirato su obiettivi plurimi,programmati in maniera ordi-nata, perché l’autonomia rag-

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3 Ed ancora si legge nello stesso documento: “Riabilitazione è anch’essa un processo,descrivibile come il complesso di interventi orientati a contrastare gli esiti dei deficit,a sostenere il raggiungimento di livelli massimi di autonomia fisica, psichica e socia-le, a promuovere il benessere psichico e la più ampia espressione della vita relazio-nale e affettiva. In una visione così globale la riabilitazione diviene quindi processo incui si articolano competenze professionali, funzionamento in rete dei servizi e inte-grazione tra sanitario e sociale; come tale la riabilitazione deve essere un diritto frui-bile su tutto il territorio nazionale e quindi vanno sanzionate le eventuali inadem-pienze ma anche attivati sistemi incentivanti e premianti. Va ribadito che la correttaapplicazione delle strategie riabilitative produce sostanziali risparmi negli interventisuccessivi e che le risorse necessarie dovrebbero derivare anche da una razionalizza-zione degli interventi basata su indagini territoriali dei bisogni e delle disponibilità, sulrigore delle metodologie e sui dati della ricerca scientifica. Ogni intervento di riabili-tazione prima di essere generalizzato, deve passare al vaglio della validazione scienti-fica: non si possono illudere le persone o le famiglie, né tantomeno chiedere loro ilpagamento di prestazioni la cui efficacia non sia stata provata. Non si può indirizzareuna parte del fondo sanitario e sociale per interventi di non provata efficacia, mentrerestano senza finanziamento interventi di sicura efficacia. Riabilitazione quindi comeprocesso globale per cui l’integrazione tra sanitario e sociale diviene requisito essen-ziale” (Provvedimento Conferenza Permanente per i rappresentanti tra Stato, Regionie Province Autonome di Trento e di Bolzano, 7 maggio 1998 in Gazzetta Ufficiale del30 maggio 1998, n. 124).

I perché della riabilitazione

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completo benessere fisico,mentale e sociale e non soltan-to come assenza di malattia odi infermità”7. Questa definizio-ne guarda alla persona in sensoglobale (dimensioni fisica,psicologica e sociale) e superala visione organicistica della sa-lute, che va pensata e promos-sa attraverso una progettualitàche abbracci il benessere fisi-co, psichico e sociale. La stes-sa medicina, che un tempo sioccupava quasi esclusivamentedi guarire le malattie, amplia lesue possibilità di intervento: damedicina diagnostico-terapeu-tica a medicina anche riabilita-tiva. A ben guardare, però, ladefinizione dell’OMS, pur pre-sentando il pregio di proporreuna visione multimensionale eolistica della salute, può favori-re una lettura efficientista dellasalute concorrendo anche acreare attese irrealistiche sullepossibilità della stessa medici-na. La salute come stato dicompleto benessere fisico, psi-cologico e sociale potrebbe, in-fatti, può non realizzarsi mai orealizzarsi raramente con il ri-schio - non solo teorico - di am-pliarne eccessivamente i confi-ni e di doversi confrontare conesigenze che nulla hanno a chefare con la patologia propria-mente detta.

3. La salute come “equili-brio”. Se si guarda all’uomo insenso globale, la salute e lamalattia appaiono non comeelementi estrinseci all’espe-rienza quotidiana bensì anchecome vissuti soggettivi. La sa-lute diviene così una sorta diequilibrio nel fluire dell’espe-rienza quotidiana: un equili-brio silenzioso; un equilibrionon statico ma dinamico; unequilibrio intrasomatico, intra-e inter-personale. L’alterazio-ne di questo equilibrio puòcausare la malattia, una ma-lattia che non assume più lecaratteristiche di un sempliceincidente, ma diviene l’occa-sione per ricercare un nuovoequilibrio attraverso un pro-cesso di crescita, di consape-volezza e di responsabilità. Lapersona diviene sana nella mi-sura in cui è capace di viverein modo consapevole e libero,valorizzando tutte le energiein suo possesso. La persona è,di contro, malata se è incapa-ce o non sufficientemente ca-pace di gestire in modo con-sapevole e libero la propria vi-ta e di valorizzare le propriecapacità ed energie. Così inte-sa, la salute non è un dato: èuna conquista; non viene ac-quisita una volta per tutte mava continuamente ricercata; èun compito, è uno stile di vita,

stessa e nel suo inserimentofamiliare, sociale e lavorati-vo4. Volendo, quindi, ridurre adimmagine l’ampiezza dellamedicina riabilitativa, possia-mo pensare a quattro cerchiconcentrici che - procedendodall’interno all’esterno - sono:1. l’organo leso e la sua di-sfunzionalità (danno prima-rio); 2. la prevenzione deldanno secondario (ad esem-pio: ritardi di sviluppo nelbambino e squilibri funziona-li nell’adulto) e terziario (adesempio: vizi di posizione,deformità, sindromi dolorosee distrofiche conseguenti al-l’inattività); 3. la globalitàdella persona nella sua com-ponente fisica, psichica, mo-rale e spirituale; 4. la societàche è chiamata a prevenire,fornire mezzi, personale estrutture e a suscitare unachiara volontà di solidarietà5.Gli interventi riabilitativi hannotrovato, poi, una loro giustifica-zione nell’evolversi del concettodi salute, che - come è noto -ha ricevuto nel tempo interpre-tazioni diverse le quali hannoinfluenzato le finalità e le mo-dalità di intervento sanitario.

Premesso che delineare il con-cetto di salute - come d’altraparte quello speculare di malat-tia - risulta alquanto complessoe non univoco6, è possibile indi-viduare in modo schematico al-meno tre paradigmi:

1. La salute come “assenza dimalattia”. Secondo questo pa-radigma la salute equivale allostato di sola efficienza fisica oassenza di malattia, e la ri-chiesta - implicita o esplicita -del paziente è di tornare allacondizione preesistente all’in-sorgere della condizione mor-bosa. In questa ottica, scopodell’intervento sanitario sonounicamente la diagnosi e lacura della malattia al fine dieliminarne i sintomi fisici. Sitratta di una visione organici-stica che non solo non coin-volge le altre dimensioni dellapersona (psichica, spirituale,sociale), ma che anche riducela malattia ad un evento inci-dentale nella vita del soggetto.

2. La salute come “stato dicompleto benessere”. L’Orga-nizzazione Mondiale della Sa-nità - già nel 1946 - definiscela salute come “… uno stato di

4 Quanto detto trova una sua giustificazione anche nell’art. 3 della Carta Costituzionale,che - dopo aver ribadito la pari dignità di tutti i cittadini - recita: “… È compito dellaRepubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che limitando di fat-to la libertà e l’eguaglianza tra cittadini, impediscono il pieno sviluppo della personaumana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, eco-nomica e sociale del Paese”.

5 E. SGRECCIA, “Bioetica, handicap e riabilitazione”, in Manuale di Bioetica. Aspetti me-dico-sociali, vol. II, Vita e Pensiero, Milano, 2002, p. 459.

6 C. BOORSE, “Health as Theoretical Concept” in Philosophy of Science, 1997, 44, pp.542-573; D. ENGELHARDT, “Health and Disease. History of a Concept” in W. REICH (a cu-ra di), Encyclopedia of Bioethics, Mac Millan, New York, 1995, vol. II, pp. 1085-1092.

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7 Successivamente l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha incluso nel concetto di sa-lute anche la dimensione riproduttiva: “La salute riproduttiva è lo stato di completobenessere fisico, mentale e sociale e non solo l’assenza di malattia o infermità, in tut-ti gli ambiti relativi al sistema riproduttivo e alle sue funzioni e processi”. A questo te-ma centrale anche nella riflessione sulla disabilità, il Comitato Nazionale per la Bioe-tica si riserva di dedicare un successivo documento.

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Categorie dimenomazioni

tuazioni cliniche (tabella 1 –cfr. px, di seguito) né la molte-plicità degli interventi riabilita-tivi oggi disponibili, ma si pro-pone di presentare solo ele-menti di riflessione sulla riabi-litazione in generale e sullequestioni bioetiche ad essaconnesse. Non entra, altresì,

nel delicato e complesso ambi-to della riabilitazione psichia-trica, a cui il Comitato Nazio-nale per la bioetica dedicheràeventualmente un successivodocumento per far seguito alprecedente su “Psichiatria esalute mentale: orientamentibioetici”, pubblicato nel 2000.

che si arricchisce di quella di-mensione etica che conglobale altre dimensioni (organica,psichica, ecologica). È in talsenso che la salute si defini-sce in rapporto anche a fattorinon medici (alimentazione,condizioni di lavoro, abitazio-ne, etc.), sui quali possono in-cidere le scelte individuali ecollettive. È alla luce di que-sta interpretazione del concet-to di salute che, accanto alladiagnosi, cura e riabilitazione,si fa strada anche la preven-zione, finalizzata a favorirequei comportamenti che pos-sono prevenire l’insorgere dipatologie e/o la rottura diequilibri psico-fisici. Promuo-vere e tutelare la salute diven-ta allora - prima che un diritto- un vero dovere, che va con-cretizzato nella prevenzione onella cura per recuperare, neilimiti, del possibile, la salutequando la malattia l’ha giàcompromessa. Il paradigmadella “salute come equilibrio”non intende negare o metterein discussione la constatazio-ne che i progressi della Medi-cina sono dovuti quasi esclu-sivamente alla cosiddetta Me-dicina Scientifica ossia l’in-sieme delle dottrine e dei ri-medi basato sui presuppostiscientifici dei trattamenti pro-posti e su rigorose verifichesia dei successi ottenuti, sia

degli insuccessi anche in am-bito riabilitativo8. Si vuole, in-vece, mettere in evidenza co-me la stessa Medicina Scien-tifica sia la risposta adeguataai bisogni di salute dell’uomo,ma che essa debba essere af-fiancata da un sistema “glo-bale” che lasci emergere an-che altre dimensioni del “be-ne” della persona.

L’inclusione di fattori anchenon medici nel concetto di sa-lute ha consentito, inoltre, disviluppare un’importante di-stinzione tra disabilità e malat-tia: l’OMS, licenziando la Clas-sificazione internazionale dellefunzionalità, disabilità e salute(ICF, secondo la sigla inglese)come modello di approccioculturale alla disabilità, ha sot-tolineato che la disabilità è unacaratteristica appartenente atutto il genere umano. E inun’ottica bio-psico-sociale vie-ne riformulato l’intervento tera-peutico e curativo che, invecedi concentrasi solo su elementimedici, sottolinea l’impattocon un ambiente ostile ed unasocietà non inclusiva. L’ap-proccio per il conseguimento diuna condizione di equilibrio odi salute diventa così persona-lizzato, legato agli ambienti divita e di relazione9. Il presente documento nonprende in esame le singole si-

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8 Cfr. COMITATO NAZIONALE PER LA BIOETICA, Scopi, limiti e rischi della medicina, Roma, 14dicembre 2001.

9 Interessante è la definizione della “presa in carico per le persone con disabilità” ela-borata dalla prima Conferenza Nazionale sull’Handicap, Roma, 2000: “… è il (segue)

- Menomazioni intellettuali: includono quelle dell’intelli-genza, memoria e pensieroAltre menomazioni psicologiche: includono menomazioniche interferiscono con le funzioni di base costituenti lavita mentale (coscienza, percezione ed attenzione; fun-zioni emotive, pattern di comportamento)

- Menomazioni del linguaggio: riferiscono alla comprensio-ne ed all’uso del linguaggio e delle sue funzioni associa-te, incluso l’apprendimento.

- Menomazioni uditive: riferiscono non solo all’orecchio,ma anche alle strutture e funzioni associate. La più im-portante sottoclasse è costituita da menomazioni che siriferiscono alla funzione uditiva.

- Menomazioni oculari: non si riferiscono solo all’occhio,ma anche alle strutture e funzioni associate, incluse lepalpebre. La più importante sottoclasse è costituita dallafunzione visiva.

- Menomazioni viscerali: includono menomazioni degli or-gani interni e di altre funzioni speciali.

- Menomazioni scheletriche: includono i disturbi meccanicie motori della faccia, del capo, del collo, del tronco e de-gli arti. Escludono menomazioni più evidentemente disfi-guranti.

- Menomazioni disfiguranti: includono quelle menomazionicon un potenziale di interferire o disturbare le relazionisociali. Vengono incluse condizioni che possono non es-sere la conseguenza di malattie specifiche influenzano ilcontrollo di funzioni corporee.

- Menomazioni generalizzate, sensoriali o altre: includonomenomazioni multiple, menomazioni gravi della conti-nenza, menomazioni metaboliche, menomazioni sensoria-li dei vari distretti corporei.

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La riabilitazione come problema bioeticoNel momento in cui si proget-tano uno o più interventi ria-bilitativi sulla persona, si ren-dono evidenti alcuni elementicomuni che possono esserecosì schematizzati10: 1. la storicità: un interventodeve essere strettamente col-legato alla diagnosi e tenereconto di eventuali percorsiriabilitativi, educativi o tera-peutici, già effettuati; 2. la globalità: la presa in ca-rico della persona coinvolgesempre sia il versante affetti-vo sia il versante cognitivo; 3. il coinvolgimento persona-le: il successo o l’insuccessodegli interventi riabilitativi èdirettamente proporzionalealla partecipazione attiva del-la persona interessata e/o del-la sua famiglia al progetto, algrado di adesione e allaprofondità delle motivazioni;

4. l’obiettivo perseguito ovve-ro il miglioramento della qua-lità della vita in una prospet-tiva che riguardi tutto l’arcodella vita, che richiede unavalutazione previa non solodelle disabilità e delle poten-zialità presenti ma anche deibisogni della persona e dellerisorse disponibili. Trattasi dirisorse umane (la persona condisabilità; la famiglia; gli ami-ci; gli operatori sanitari; gliinsegnanti; etc.) e risorse ma-teriali (gli strumenti; gli spazi;l’organizzazione del tempo);5. la programmazione pun-tuale: un intervento riabilitati-vo deve ispirarsi ad un model-lo teorico scientificamentefondato in base al quale sta-bilire obiettivi realisticamenteraggiungibili a breve e lungotermine, metodologie e stru-menti di lavoro adeguati emodalità di verifica dei risul-tati raggiunti. Un’impostazio-

La riabilitazione come problema bioetico

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(segue da nota 9)processo integrato e continuativo attraverso cui deve essere garantito il governo coor-dinato dell’insieme degli interventi sulle condizioni che ostacolano l’inserimento so-ciale scolastico e lavorativo, e inteso a favorire il più completo dispiegarsi della perso-nalità dei singoli individui. In un quadro di riferimento basato sulla nuova classifica-zione ICIDH-2 dell’OMS, la presa in carico dovrebbe essere definita come la strategiadi attenzione di servizi, distribuiti omogeneamente sul territorio, verso la condizione disvantaggio delle persone con disabilità. Questa strategia di attenzione deve tradursi,attraverso l’offerta di servizi pubblici o privati, in interventi, coordinati e con la conti-nuità necessaria, che abbiano la finalità di valorizzare le capacità e le abilità delle per-sone con disabilità e di operare, con risorse e competenze adeguate, per il consegui-mento di una pari opportunità di condizione tra i cittadini limitando o eliminando lediscriminazioni sociali e culturali. La presa in carico è uno dei momenti fondamentaliper l’impostazione e il mantenimento del rapporto persona/famiglia/sistema dei servi-zi/contesto sociale. È quindi un processo che, rispettoso delle scelte individuali dellepersone in situazione di handicap e dei loro familiari, è influenzato dalla entità e qua-lità delle risorse esistenti, dai livelli di integrazione tra servizi e istituzioni oltre che dal-la loro capacità di garantire con continuità il coerente evolversi dei percorsi di vita. Èquindi un processo che richiede particolare attenzione nei contesti di intervento adampia espressività interistituzionale e nelle fasi di passaggi evolutivi di particolare si-gnificatività, come ad esempio quello infanzia/adolescenza, o adolescenza/età adulta”.

10 M. ZANOBINI, M.C. USAI, Psicologia dell’handicap e della riabilitazione, Franco Angeli,Milano, 1997.

- Disabilità di comportamento: si riferiscono alla consapevo-lezza di un individuo ed alla abilità di comportarsi, sia nel-le attività quotidiane sia nei rapporti con gli altri, ed in-cludono la capacità di imparare.

- Disabilità di comunicazione: si riferiscono alla capacità diun individuo di generare ed emettere messaggi e di rice-vere e capire messaggi.

- Disabilità di cura personale: si riferiscono ad una capacitàindividuale di badare a se stessi riguardo ad attività fisio-logiche basilari, come l’evacuazione-minzione, il nutri-mento, la cura di sé, l’igiene ed il vestirsi.

- Disabilità locomotorie: si riferiscono alla disabilità dell’in-dividuo di eseguire attività associate con il movimento, siadi se stesso che degli oggetti, da un luogo all’altro. Sonoescluse la mobilità generale e la considerazione del gradoal quale questa può essere recuperata con ausili.

- Disabilità nell’uso del corpo: si riferiscono alla capacità diun individuo di eseguire attività caratteristiche associatecon l’uso delle parti del corpo e comprendenti attività de-rivate come l’esecuzione di compiti associati con l’abita-zione dell’individuo.

- Disabilità di destrezza: si riferiscono alla destrezza ed abi-lità dei movimenti corporei, incluse le abilità manipolativee la capacità di regolare i meccanismi di controllo. Esclu-dono la capacità di scrivere o di fare segni.

- Disabilità situazionali: sono state incluse per ragioni prati-che soprattutto riguardo alla specificazione reciproca del-l’ambiente.

- Disabilità di abilità particolari: includono abilità e doti in-dividuali richieste dalla risistemazione professionale, qua-li: abilità comportamentali (l’intelligenza, la motivazione,la percezione, la capacità di apprendimento, la memoria,ecc..), capacità di eseguire compiti (programmare compi-ti, risolvere problemi, ecc..).

- Altre limitazioni dell’attività: includono esigenze non sod-disfatte in altre parti della classificazione.

Categorie delladisabilità

Tab. 1. - Classificazione delle menomazioni e delle disabilità (Capodaglio, 1995).

Categorie delladisabilità

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zione e nella progettazione diinterventi per includere lapersona nella comunità).

Corporeità umana ed esperienza del limiteL’ethos dell’esperienza delladisabilità è il corpo, intesonon come corpo “oggetto” col-to nella sua cruda fatticità macome corpo “vissuto”, corpo“personale”, quel corpo nelquale e per mezzo del qualesiamo, anzi quel corpo che noisiamo. Vale qui richiamare lanota distinzione di Husserl traKörper e Leib, ove Körper in-dica il corpo come sempliceoggetto e Leib indica il corpovissuto o la coscienza del pro-prio corpo, e di Scheler traGeist (il mondo dello spirito),Ich (il mondo psichico), Kör-per (il mondo fisico) e Leib (laforma unitaria di tutte le sen-sazioni organiche). Il “corpo vissuto”, che po-tremmo anche definire “cor-poreità” proprio per indicarel’intera soggettività umanasotto l’aspetto della sua con-dizione corporea in quantocostitutiva della sua identitàpersonale. Ed è proprio il cor-po vissuto che diviene il cro-cevia dell’incontro e dell’in-terscambio delle molteplicidimensioni della persona: at-traverso il corpo il soggettopuò esprimersi, attraverso ilcorpo è possibile ogni relazio-ne interpersonale, attraverso

il corpo ciascuno si situa nelmondo, inserito nel fluire deltempo umano. L’uomo - scriveva Hengsten-berg - “… non è solo un orga-nismo animale con l’aggiuntadella coscienza che lo soprae-leva. È l’unico essere che haun corpo, mentre nell’animalesi può parlare solo di organi-smo […] L’essere rivolti al-l’oggettività (o senso) ha coo-perato nella morfologia dellamembra e degli organi umani,e lo stesso vale per il cor-po…”11. In quanto esperienza di uncorpo personale, la disabilitànon riguarda solo la fisicità osolo la psiche. Ogni menoma-zione dell’integrità o funzio-nalità somatica ha ripercus-sioni più o meno gravi sullopsichismo, condizionando ladefinizione dell’immagine cor-porea, la strutturazione dell’i-dentità personale, la modalitàpropria di ciascuno di entrarein relazione con l’altro; ma allostesso modo ogni menomazio-ne o alterazione della sferapsichica comporta riflessi di-versi sulla percezione dellapropria corporeità e dell’inte-grità fisica, sul nostro starenel mondo ed essere in rela-zione con gli altri e, quindi,sulla costruzione del sé e sul-la definizione della propriaidentità. L’Io che vive, sente,capisce, soffre, spera, è spiri-tuale e corporeo insieme.

ne poco rigorosa potrebbe, in-fatti, portare non solo a inter-venti poco o per nulla effica-ci, ma anche ingenerare laconvinzione che non si puòfare nulla e ridurre la forza diquel fattore fondamentale cheè l’impegno motivato.

Ne consegue che il tema del-la riabilitazione - pur rima-nendo validi tutti i criteri di li-ceità che si applicano a qual-siasi scelta diagnostica e tera-peutica - si pone alla rifles-sione bioetica con alcune ca-ratteristiche peculiari che ladifferenziano dagli altri ambi-ti della medicina: 1. il necessario e costante ri-ferimento ad una visione glo-bale della persona con disabi-lità intesa non solo nella tota-lità del suo essere ma anchein quanto inserita in una de-terminata situazione socio-ambientale, da cui l’impossi-bilità di parcellizzare la perso-na e/o le sue disabilità o diuna “lettura” al di fuori delcontesto di vita e di relazioni; 2. la dilatazione dei tempi dalmomento che gli interventi ria-bilitativi possono prolungarsinel tempo (mesi, anni), ren-dendo prioritari una riletturadelle modalità comunicative edella rilevazione del consensoe il continuo coinvolgimento -anche motivazionale - dellapersona con disabilità: si trattadi un processo progressivo diconseguimento di risultati cheva continuamente aggiornato;

3. la moltiplicazione dei sog-getti interessati a seguito delcoinvolgimento anche della fa-miglia della persona con disa-bilità. E, soprattutto nel casodel minore, la famiglia stessadiviene collaboratrice parteci-pe del processo riabilitativo; 4. l’imprevedibilità dei risultatia causa della dinamicità degliinterventi riabilitativi e delladifficoltà di quantificare nellapersona con disabilità le poten-zialità presenti e nascoste, che- spesso - superano le aspetta-tive. È per questa ragione cheogni persona con disabilità vaconsiderata nella sua unicità eal di là dell’orizzonte del limiteper cogliere ciò che può dare.

La riflessione bioetica è, poi,chiamata in causa a diversi li-velli: a livello antropologico(nella determinazione del si-gnificato di corporeità, e dun-que di menomazione dellacorporeità); a livello etico(nell’individuazione di criteridi riferimento per gli operato-ri della riabilitazione, diretta-mente coinvolti nella determi-nazione e nell’applicazionedel programma di riabilitazio-ne, e per la persona con disa-bilità, la cui autonomia puòperò essere limitata o condi-zionata); a livello giuridico(nell’identificazione della per-sona con disabilità come sog-getto di diritti); a livello poli-tico-sociale (nella pianifica-zione delle risorse da investi-re e da destinare alla riabilita-

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11 H.E. HENGSTENBERG, Philosopische Antropologie, Pustet, Munchen- Salzburg, 1984, p.81, p. 82.

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cità di fare o non fare qualco-sa, di svolgere o non svolgereun determinato compito, manon esiste nel valore di cia-scuno, nel diritto di essereumano, nella dignità di esse-re chiamato per nome. Ed èproprio partendo da questeconsiderazioni che si è assi-stito - come già detto nellapremessa - ad un’evoluzionedel concetto di handicap,un’evoluzione non solo se-mantica bensì di contenuti edi fondamenti antropologici. Si veda, a tal proposito, la giàcitata Classificazione interna-zionale delle funzionalità, di-sabilità e salute approvatadall’OMS nel 2001, in cui ledisabilità vengono descritte inmodo diverso, in riferimentoall’ambiente in cui vive la per-sona con le proprie abilità,grandi o piccole che siano, escompaiono -come già detto -i termini “handicap” e “han-dicappato”, sostituiti con iltermine “disabilità”, “atti-vità”, “partecipazione socia-le” e “persona con disabilita”o “persona diversamente abi-le”. Termini che hanno avutoda sempre una connotazionenegativa acquistano così unavalenza positiva e le interazio-ni tra i vari fattori che costi-

tuiscono la salute o la disabi-lità sono divenute più com-plesse, rendendo possibile lacomprensione anche di situa-zioni particolari e dando il giu-sto peso al contesto, sia per-sonale sia ambientale. La va-lutazione dello stato di salutenon si potrà, allora, effettuareignorando i complessi rapportiesistenti tra corpo, mente,ambiente, contesti e cultura.Tra le conseguenze positive diquesta impostazione, vi èsenz’altro la convinzione che,se una persona non può - adesempio - muoversi, è inrealtà il mondo che lo circon-da non in grado di accoglierlo.Non si è più, allora, di frontead un “disabile motorio” maad una “persona che non puòsalire se l’abitazione non hauna rampa”; non sono i limitidel corpo che devono preoc-cupare quanto piuttosto i mo-tivi per cui non si può parte-cipare alla vita sociale. Que-sto cambiamento impone ditogliere il senso di “portatoredi svantaggi” alle persone conabilità diverse, ma di valutar-le in base alle capacità eperformance14. Bisognerà,dunque, lavorare prevedendotutto ciò che può comportareuna piena partecipazione alla

12 M. NUSSBAUM, Giustizia sociale e dignità umana, Il Mulino, Bologna, 2002, pp. 30-31.13 H.U. VON BALTHASAR, Teodrammatica. II. Le persone del dramma: l’uomo in Dio, Jaca

Book, Milano, 1992, p. 323.

D’altra parte, l’esperienza dellimite che la disabilità inevi-tabilmente comporta non èun’esperienza estranea all’e-sistenza umana; anzi si po-trebbe affermare il contrarioovvero che il limite è dimen-sione costitutiva dell’espe-rienza umana. Come scrivegiustamente la Nussbaum “…non dobbiamo pensare ai bi-sogni degli adulti e dei bam-bini disabili come a qualcosache si riferisce a una condi-zione di vita del tutto partico-lare, facilmente distinguibiledai casi che ‘rientrano nellamedia’. Si tratta invece di unasituazione densa di implica-zioni anche per il modo in cuipensiamo ai nostri genitoriquando essi invecchiano, e aibisogni che probabilmenteavremo noi stessi se vivremoabbastanza a lungo. Via viache cresce l’aspettativa di vi-ta, la relativa indipendenza dicui godono molti di noi fini-sce per apparire come unacondizione solo temporanea,come una fase della vita incui entriamo gradualmentema che noi tutti ci apprestia-mo a lasciare sin troppo infretta. Anche nel pieno deglianni molti di noi vanno incon-tro a periodi più o meno lun-ghi in cui si trovano costretti avivere in una condizione diestrema dipendenza da altrepersone - come dopo un inter-

vento chirurgico o dopo unagrave ferita, o come duranteun periodo di depressione o diforte stress”12. Non esprimibile in termini diaccettazione o rifiuto, l’espe-rienza del limite è dato evi-dente e costitutivo della stes-sa natura umana: “Quello del-l’uomo è un io che non puòuscire dal corso dell’azionedrammatica in cui si trovadalla nascita, non può uscireper considerare su cosa gioca-re. Egli è ormai nel gioco,senza che gli sia mai statochiesto se vuole giocare…”13.Il limite fa, dunque, partenella sua dimensione oggetti-va dell’esperienza umana, main quanto esperienza compiu-ta dell’esistenza esso compor-ta un’alterazione del vissuto ecostringe soggettivamente an-che a ripensare alle propriepotenzialità. In tal senso l’e-sperienza del limite non èesperienza di ciò che mancaquanto piuttosto di ciò che sipossiede e il limite nella disa-bilità non va letto elencandociò che “manca” ma valoriz-zando ciò che si possiede.Se si assumono come condi-

vise queste conclusioni, nederiva che il valore esistenzia-le da perseguire nella riabili-tazione è quello della valoriz-zazione della persona. Infatti,nella disabilità la differenzapuò essere reale nelle capa-

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14 I primi segnali di questa impostazione sono già evidenti nel documento Regole per ren-dere eguali le opportunità delle persone con handicap (1993) dell’Organizzazione del-le Nazioni Unite, consistente in 22 regole che “… valgono a sostenere il processo percui i diversi sistemi della società, il quadro materiale, i servizi e le attività e le infor-mazioni siano rese accessibili a tutti, ed in particolare alle persone handicappate”. Ap-pare, dunque, evidente come si sia delineata sempre di più l’idea dello “svantaggio so-ciale” della persona con disabilità, al quale occorre porre riparo con la stessa intensitàcon la quale si provvede alla riabilitazione fisica. Questi principi sono stati affermati conmaggiore chiarezza nel 2002, in occasione del documento Esame e valutazione (segue)

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Le interpretazioni etiche della riabilitazione

Le persone con disabilità so-prattutto gravi, diventati citta-dini invisibili a causa dei trat-tamenti di segregazione e diesclusione sociale, sono spes-so discriminate e senza egua-glianza di opportunità rispettoagli altri cittadini, con unacontinua violazione degli stes-si diritti umani16.

Le interpretazioni etiche dellariabilitazioneNell’ambito della riflessionebioetica sulla riabilitazione, èpossibile individuare modalitàdi approccio che, muovendoda specifiche letture del si-gnificato del corpo e dellapersona, propongono poi solu-zioni diverse sul piano etico,

giuridico e politico-sociale. 1. Approccio funzionalista. Lariabilitazione è consideratauna prassi sanitaria che hacome obiettivo l’individuazio-ne di strumenti tecnici e diprocedure indispensabili perconsentire alla persona il re-cupero nei soli termini di effi-cienza fisica e di autonomia,trascurando le altre dimensio-ni personali (psicologica, af-fettiva, relazionale, etc.) enon tenendo presente l’am-biente sociale e di relazione.Si tratta di un approccio cheguarda, in prevalenza, al cor-po umano come a una entitàmateriale separata dalla di-mensione personale e valutala persona con disabilità solo

vita sociale e di relazione diogni persona e, allo stessotempo, cercando di abbattereogni barriera che impedisca lapiena valorizzazione dellerealtà diverse presenti nel tes-suto sociale. Obiettivo questoche, superando il concetto di“integrazione”, viene espres-so in termini di “inclusione”. Infatti, la “inclusione sociale”è ben diversa dalla “integra-zione”: mentre, “integrazio-ne” indica l’inserimento dellepersone in un contesto di re-gole e principi già definito ela persona con disabilità deveadeguarsi a quanto già decisodalla comunità che lo integra,l’inclusione, invece, è basatasulla partecipazione della per-sona ai processi decisionali eprogrammatori dell’intera co-munità che tiene conto dellediversità culturali, religiose epsicofisiche della personache entra nella comunità. Il

ruolo della persona con disa-bilità è così paritario a quellodi altri individui, già inclusi.Questa impostazione rifiutaqualsiasi forma di istituziona-lizzazione in quanto approc-cio discriminatorio che haprodotto l’impoverimento so-ciale e individuale delle per-sone. Infatti, i percorsi di ria-bilitazione separata - in luo-ghi speciali e segreganti - ri-ducono inevitabilmente la re-lazione con la società, impo-nendo modelli percettivi diinadeguatezza e di incapacitàed escludendo le persone condisabilità dalla possibilitàdello scambio paritario diesperienze e capacità. Altro elemento di novità, pre-sente all’interno dei docu-menti internazionali delleprincipali agenzie europee emondiali, è l’approccio allepersone con disabilità basatosul rispetto dei diritti umani15.

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(segue da nota 14)del programma d’azione mondiale concernente le persone con handicap che - presen-tato all’Assemblea generale - ha costituito la base per la Risoluzione A/RES/56/168 ela successiva approvazione della Convenzione internazionale sulla tutela e promozionedei diritti e della dignità delle persone con disabilità (www.un.org/esa/socdev/enable).

15 In materia di diritti umani, si vedano: la Dichiarazione dei diritti delle persone handi-cappate (1975) dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (agli artt. 3 e 10 si precisa cheil “portatore di handicap” ha diritto al rispetto della sua dignità e deve godere deglistessi diritti fondamentali dei cittadini della stessa età); la Convenzione per la salva-guardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (1950) del Consiglio d’Euro-pa (all’art. 14 si stabilisce la condanna di ogni forma di discriminazione, il che portaad includere - anche se non esplicitato - la discriminazione della persona con disabi-lità); la Carta Sociale Europea (1996) del Consiglio d’Europa, che - elaborando i prin-cipi della Convenzione del 1950 sotto l’aspetto economico e sociale - afferma i dirittidelle persone con disabilità ad essere integrati nei dispositivi generali dell’educazione,insegnamento e formazione limitando il ricorso alle strutture specializzate ai soli casidi necessità, di vedersi assicurato l’accesso al mercato del lavoro in modo equo e di es-sere garantiti che gli Stati applichino tutte le misure necessarie per superare gli osta-coli all’integrazione ed alla partecipazione sociale; la Raccomandazione R(92)6 per larealizzazione di una politica coerente per le persone handicappate e la RisoluzioneAP(95)3 relativa alla valutazione professionale dell’handicappato sempre del Consigliod’Europa, che si ispira alla verifica delle “capacità” piuttosto che delle “disabilità” (segue)

(segue da nota 15)(incapacità); la Risoluzione del 17 giugno 1999 del Consiglio dell’Unione Europea,che invita gli Stati a rafforzare le loro politiche nazionali in questo senso, e nei riguar-di delle persone con disabilità, e la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea(2000), che agli artt. 21 e 26 rinforza i principi dell’interdizione di ogni discrimina-zione e sollecita il rispetto dei diritti delle persone con disabilità alla partecipazione al-la vita comunitaria. Appare, dunque, evidente che a livello internazionale vi è stata unacostante attenzione ai problemi etico-giuridici, con una particolare attenzione - in unaprima fase - all’affermazione dei diritti senza alcuna distinzione fra tipologie causali diinsorgenza quanto piuttosto alle di capacità di recupero, e - in una seconda fase - al-l’implementazione della piena partecipazione alla vita sociale ivi compreso il lavoro (sivedano, anche, i documenti dell’Organizzazione Internazionale del lavoro - OIL - tra cuila Convenzione N.159-1983 e il Documento Raccolta delle direttive pratiche per la ge-stione dell’handicap sul luogo di lavoro (2001)], quale diritto spettante ad ogni perso-na anche con disabilità (il lavoro è una condizione che partecipa a definire anche ilconcetto della dignità dell’uomo).

16 Per quanto concerne la situazione italiana, questa riaffermazione dei diritti è riportata giànella Carta Costituzionale, ove sono affermati - tra l’altro - il principi di rimozione degliostacoli che limitano il pieno sviluppo della personalità umana. Il percorso di attuazionedei diritti in termini legislativi non è stato sempre facile, ma è un dato di fatto che essoha rispecchiato l’evoluzione di schemi concettuali e di modelli culturali sul tema della di-sabilità nel corso degli anni. Un tappa importante - tra tante - è stata, comunque, l’ap-provazione della Legge n. 104/1992 (Legge-quadro per l’assistenza, l’integrazione socia-le e i diritti delle persone handicappate), in Supplemento Ordinario alla Gazzetta Ufficia-le 17 febbraio 1992, n. 39). In relazione - in modo particolare - agli interventi riabilitati-vi si legge all’art. 5, comma c: “La rimozione delle cause invalidanti, la promozione del-l’autonomia e la realizzazione dell’integrazione sociale sono perseguite attraverso i se-guenti obiettivi: […] garantire l’intervento tempestivo dei servizi terapeutici e riabilitativi,che assicuri il recupero consentito dalle conoscenze scientifiche e dalle tecniche attual-mente disponibili, il mantenimento della persona handicappata nell’ambiente familiare esociale, la sua integrazione e partecipazione alla vita sociale”.

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disponibili per raggiungerel’obiettivo ad ogni costo, an-che se non sussistono condi-zioni obiettive di recupero to-tale, in una corsa verso l’effi-cientismo, il produttivismo el’autonomismo ad ogni costo).

3. Approccio basato sui dirittiumani. Dal momento che lepersone con disabilità vivonospesso in condizioni di discri-minazione, obiettivo di un in-tervento riabilitativo e “abili-tativo” è ristabilire quellacondizione di parità, anche intermini di opportunità, chesono diritto della personaumana a prescindere dallesue condizioni. L’attributo“abilitativo” sta ad indicareche non vi è la necessità direcuperare la funzione meno-mata del corpo quanto, piut-tosto, di acquisire la capacitàdi svolgere l’attività ad essacollegata anche se in manieradifferente. Ad esempio, nelcaso di impossibilità alladeambulazione, piuttosto che

insistere nel raggiungimentodi una posizione eretta - sem-mai questa sia ottenibile - ria-bilitando la persona a conse-guire questo standard di mo-bilità, si può intervenire perfar acquisire alla persona unanuova abilità legata all’usodella sedia a rotelle: e questascelta non modifica, certa-mente, la sua dignità di per-sona umana. Questa nuovaimpostazione culturale si con-centra sull’empowerment del-le persone con disabilità17,che partendo dai propri limitifunzionali, sviluppano percor-si di accrescimento, di consa-pevolezze e acquisizioni dicapacità ed abilità che con-sentono di migliorare la loroindipendenza e capacità diautodeterminazione, favoren-do la loro inclusione sociale.Si stanno, inoltre, sviluppan-do nuove forme di sostegno,non ultime il peer counsellor,la disponibilità di assistentipersonali, l’utilizzo di semprenuove tecnologie18. Questo

in base alle sue capacità fun-zionali. Le conseguenze sulpiano etico, giuridico e politi-co-sociale, di questo approc-cio possono ricadere, soprat-tutto, su coloro che sono in si-tuazione di estrema fragilitàfisica. E, poiché la fattibilitàe la definizione di un pro-gramma di riabilitazione (edel connesso stanziamento dirisorse, economiche ed uma-ne a tal fine) dipenderebberodalla valutazione delle con-crete o prevedibili possibilitàdi recupero in termini di effi-cienza e di autonomia, coloroche appaiono - per condizionicliniche - impossibilitati in talsenso potrebbero non esseretenuti in adeguata considera-zione e lasciati, pertanto, fuo-ri da interventi di politica so-ciale. Tale carenza si vorreb-be, poi, colmata da interventispontanei e, pertanto, occa-sionali, di beneficenza e soli-darietà animati da sentimentidi simpatia o di opportunitàsociale.2. Approccio contrattualista.L’approccio contrattualistamuove dal rispetto dell’auto-nomia (intesa nel senso dipiena capacità di autoco-scienza, autodeterminazione,razionalità dell’individuo ingrado di stipulare contratti escambi con gli altri individui,in condizione di simmetria ereciprocità) e attribuisce allariabilitazione una valenza pre-valentemente autonomistico-individualista. Di conseguen-

za la pianificazione della ria-bilitazione (a livello interindi-viduale e sociale), da una par-te, dipenderebbe dalla sceltaautonoma della persona condisabilità - scelta di per sénon sempre possibile - e, dal-l’altra, sarebbe strettamentecorrelata alla previsione delrecupero della piena capacitàdi autonomia intesa nel sensodi autosufficienza, autoconsa-pevolezza ed autodetermina-zione dell’individuo. Nella mi-sura in cui tale obiettivo nonsi ritenesse raggiungibile, poi-ché non sussistono le condi-zioni per raggiungerlo, le spe-se per la riabilitazione non sa-rebbero considerate giustifi-cabili.Sia l’approccio funzionalistasia l’approccio contrattualistapossono produrre - per assur-do - due esiti del tutto con-trapposti: l’“abbandono” ria-bilitativo e l’“accanimento”riabilitativo. Infatti, nella mi-sura in cui si ritiene che lapersona vada riabilitata soloin previsione del recupero to-tale di efficienza e di autono-mia, ne può derivare un atteg-giamento rinunciatario (deci-dere di non attivare un pro-gramma riabilitativo nel casoin cui si preveda di non rag-giungere l’obiettivo desidera-to e il beneficio ottenibile nongiustifica i costi e l’impegnoumano) o - di contro - un at-teggiamento eccessivamenteinterventista (decidere di atti-vare tutte le risorse possibili e

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17 Gli strumenti essenziali di empowerment sono la formazione e l’informazione, l’accre-scimento di abilità e capacità, il cambiamento di prospettiva e percezione della pro-pria condizione, che producono stimoli e motivazioni al cambiamento di vita. L’em-powerment per le persone disabili riguarda vari aspetti: emotivi (riformulazione delleemozioni sul costruire e trasformare piuttosto che sul limitare e distruggere), percetti-vi (ridefinizione delle esperienze di vita sulla base del modello sociale), intellettivi(comprensione degli strumenti culturali di cui dotarsi apprendendone i linguaggi),comportamentali (trasformazione delle relazioni umane e sociali sulla base della nuo-va consapevolezza), abilitativi (apprendere a fare delle cose anche in modo diverso),riabilitativi (trasformare il modo di fare le cose introducendo nuovi approcci). Stru-mento principale di azione sono i progetti individualizzati di vita, stilati attraverso lapartecipazione attiva delle persone interessate.

18 Si veda - per l’Italia - la Legge n. 328/2000 (Legge quadro per la realizzazione del si-stema integrato di interventi e servizi sociali), che all’art. 14 recita: “1. Per realizzarela piena integrazione delle persone disabili di cui all’art. 3 della legge 5 febbraio1992, n. 104, nell’ambito della vita familiare e sociale, nonché nei percorsi dell’i-struzione scolastica o professionale e del lavoro, i comuni d’intesa con le aziende unità sa-nitarie locali, predispongono, su richiesta dell’interessato, un progetto individuale, (segue)

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attualizza quale conseguenza,oltretutto parziale e accidenta-le, che presuppone l’esistenzadi una persona umana comeun tutto (le qualità astrattenon esistono; esistono solo leconcrete determinazioni diuno specifico ente esistentecorporeizzato). L’approccio integrale alla per-sona con disabilità sposta,così, il baricentro dall’appari-re all’essere e riconosce l’in-commensurabile valore del-l’uomo a prescindere dallefunzioni che è in grado diesercitare: l’assenza di alcunefunzioni (transitoria o perma-nente) non ne nega, dunque,l’esistenza personale che ri-mane tale per natura in quan-to preesiste alle sue qualità. Eil corpo della persona con di-sabilità in condizioni di “resi-dualità” (non essere più) o di“privazione” (non essere mai)- ovvero di non attuazione,momentanea o permanente dicerte funzioni (dovuta allapresenza di fattori, esterni ointerni, che ne impedisconola manifestazione) - non negala natura dell’essere. Ne con-segue che il soggetto con di-sabilità è sempre e comunquepersona, perché anche se incondizioni esistenziali cheimpediscono la manifestazio-ne di certe proprietà o com-portamenti, l’assenza dellefunzioni non ne modifica lanatura. C’è un primato del-l’essere persona sul diveniredel corpo.

L’approccio integrale fonda,sul piano etico, il dovere di ri-spetto nei confronti di chi nonesercita pienamente le pro-prie capacità o abilità: la que-stione bioetica nasce ancheperché vi sono condizioni esi-stenziali di fragilità e di debo-lezza in cui non si può viveresenza l’aiuto degli altri. Inquesti casi l’assistenza sani-taria e la prassi biomedica de-vono confrontarsi con chi nonè in grado di vivere nella pie-nezza delle potenzialità in-scritte nella natura umana.L’essere persona si imponecosì anche da parte di chi nonè in grado di decidere, ragio-nare, sentire, comprendere,dunque anche da parte delsoggetto le cui abilità sonoscemate o ridotte: in questosenso si coglie la portata del-la dottrina dei diritti umani, iquali sono intrinseci alla per-sona e non mera conseguenzadi un loro riconoscimento. Seè vero che ogni uomo è sog-getto di diritti, è a partire dal-la sua corporeità anche mala-ta, deforme, inerte o priva dicoscienza, che merita tutela.Il diritto è, allora, chiamato adifendere l’uguaglianza tra gliuomini: in questo senso il cor-po, ogni corpo umano, è por-tatore di una spettanza obiet-tiva, è un’alterità giuridica“forte” che chiede di esserericonosciuta e verso la qualeogni uomo è debitore (anchea prescindere dal riconosci-mento delle proprie spettan-

approccio, che muove dal ri-conoscimento del valore dellapersona a prescindere dallesue condizione e che, nel ca-so della persona con disabi-lità, è finalizzato ad incre-mentare le possibilità di auto-determinazione, autonomia,indipendenza ed interindi-pendenza, è quanto mai ap-prezzabile. Nel contempo,però, si pongono alcuni inter-rogativi alla riflessione bioeti-ca: fino a che punto e conquali modalità bisogna inter-venire nei percorsi di riabilita-zione? Al fine di rilevare ilconsenso informato è neces-sario dare alla persona inte-ressata informazioni anchesulle possibili alternative almodello riabilitativo tradizio-nale (ad esempio, l’utilizzodella sedia a rotelle al postodella riabilitazione - ove pos-sibile - alla deambulazione)?Come rispettare i diritti dellepersone con disabilità chenon possono rappresentarsida sole? In quale momento ein quali condizioni si può con-figurare una non proporziona-lità degli interventi riabilitati-

vi tanto da indurre a parlare di“accanimento riabilitativo”19?4. Approccio integrale. L’ap-proccio integrale guarda allariabilitazione come a quell’in-sieme di interventi (non solomedici) che muovono dallapresa in carico della globalitàdella persona con disabilità,considerata nella totalità dellesue componenti e non solonella sua mera dimensione fisi-ca. Anzi la stessa abilità nonviene semplicisticamente iden-tificata con la funzionalità“normale”. Sul piano antropo-logico la corporeità è intesanella dimensione metabiologi-ca, irriducibile alle sue partidal momento che lo stesso or-ganismo umano è più dellasomma o giustapposizione del-le parti, e la persona è intesanella sua dimensione d’essere,irriducibile all’espressioneesteriore e seriale di funzioni ocapacità che non esauriscono“il” soggetto ma sono “del”soggetto. Secondo tale pro-spettiva, il soggetto preesistealle funzioni stesse, ne è il so-strato ineliminabile per la loromanifestazione; la funzione si

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(segue da nota 18)secondo quanto stabilito dal comma 2. 2. Nell’ambito delle risorse disponibili in baseai piani di cui agli articoli 18 e 19, il progetto individuale comprende, oltre alla valu-tazione diagnostico-funzionale, le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico delServizio sanitario nazionale, i servizi della persona a cui provvede il comune in formadiretta e accreditata, con particolare riferimento al recupero e all’integrazione sociale,nonché le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà,emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definito le poten-zialità e gli eventuali sostegni del nucleo familiare…” (in Supplemento Ordinario allaGazzetta Ufficiale del 13 novembre 2000, n. 265). Ed ancora: Legge n. 4/2004 su Di-sposizioni per favorire l’accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici, in Gaz-zetta Ufficiale del 17 gennaio 2004, n. 13).

19 Vedi “Dichiarazione di orientamento sulla nuova genetica e le persone con disabilità”,in Disabled Peoples’International – Europe, 2000.

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sca dalla condivisione delprogetto, da un’alleanza “ria-bilitativa” alimentata dal dia-logo continuo e dalla collabo-razione reciproca di tutti isoggetti coinvolti. È indispensabile che il medico,con l’opportuna gradualità,informi la persona con disabi-lità e - previo, ove possibile,suo consenso - i familiari sullecondizioni obiettive di meno-mazione e sulle prevedibili pos-sibilità di recupero; è poi com-pito del medico e del terapistadella riabilitazione (oltre chedei familiari) aiutare la personacon disabilità ad accettare leproprie condizioni, a compren-dere che la salute non è pienobenessere fisico-psichico-so-ciale ma - come già detto - unequilibrio dinamico in grado diadattarsi alle diverse situazioni,ad accettare il limite e a riorga-nizzare la propria quotidianità erelazionalità con gli altri propriosulla base di una presa di co-scienza consapevole (che nonsia né rimozione inconsapevolené rassegnata accettazione) dellimite. La persona con disabi-lità va anche aiutata ad accet-tare l’eventuale impossibilità direcuperare la condizione origi-naria di piena funzionalità, mo-tivandola ad intraprendere ilpercorso riabilitativo ed evitan-do, da una parte, di dare ga-ranzie affrettate di sicuro suc-cesso e, dall’altra, di reprimerele speranze di miglioramentoladdove ve ne siano le condi-zioni obiettive.

In questo contesto il ruolo - inparticolare - del terapista del-la riabilitazione non è unica-mente tecnico: non si trattasolo di ripristinare l’uso diuna funzione di un arto, di unorgano o di una capacità, maanche di instaurare un co-stante rapporto umano con lapersona con disabilità in con-dizioni di vulnerabilità e fragi-lità. La riabilitazione non è unintervento che la persona su-bisce passivamente (ad es. unintervento chirurgico), maprevede un’interazione attivadi entrambe le parti: il terapi-sta della riabilitazione cheopera e la persona con disabi-lità che partecipa attivamen-te. In questo senso la motiva-zione interiore e l’impegnopersonale al recupero costi-tuiscono un elemento impre-scindibile e determinante perun buon risultato delle prati-che nella misura in cui riescenon solo a recuperare l’eserci-zio di funzioni compromessema anche ad evocare poten-ziali residui e mobilitare ener-gie interiori compensative. Il sostegno psicologico ed uma-no, oltre l’intervento funziona-le, diviene indispensabile perevitare il senso di sconforto o difallimento che può portare a re-gressioni ed impedire il pro-gresso riabilitativo: l’obiettivodeve essere quello di convoglia-re le forze per il recupero e lavalorizzazione di sé - compito acui, spesso, la persona con di-sabilità non si sente preparata -

ze). Anche la persona che nonè più in grado di rivendicare ipropri diritti, che è in unacondizione esistenziale di me-nomazione, che ha bisognodell’aiuto degli altri per esi-stere e per migliorare la pro-pria condizione, “esige” laprotezione del diritto.

Approccio integrale e riabilitazioneAlla luce di un approccio in-tegrale la riabilitazione non èsolo programmazione di inter-venti terapeutici ed assisten-ziali per il recupero delle fun-zioni (sensoriali, motorie, co-gnitive), ma è un progetto glo-bale per la persona con disa-bilità che coinvolge diversipiani: fisico, psichico, etico espirituale. La riabilitazione di-viene, così, un progetto dina-mico, un processo in divenire,che deve essere sempre ingrado di riadattarsi alla situa-zione oggettiva: la diagnosiconsente di definire (talora inmodo non esatto) la condizio-ne di partenza (mediante l’in-dividuazione della causa pa-tologica e delle conseguenzeche ha prodotto sull’indivi-duo, distinguendo il dannoprimario, secondario e terzia-rio), ma non sempre è possi-bile elaborare una prognosiprecisa (né in termini di tem-po, né in termini di risultatifuturi). La riabilitazione è uncammino, spesso lungo e fati-coso, su una strada non linea-re e non piana, ove spesso

non si vede la meta finale. Sitratta di un percorso che pre-suppone la relazionalità (intermini di collaborazione, fi-ducia, solidarietà ed aiuto) tratutti coloro che iniziano ad in-traprendere il cammino: lapersona con disabilità, il me-dico, i terapisti della riabilita-zione, la famiglia.Muovendo, dunque, dall’as-sunto che un soggetto - anchein condizioni di residualitàesistenziale (ossia di non pie-na manifestazione delle abi-lità, in atto o prevedibilmentenel futuro) - è persona umanaa pieno titolo, dotata di di-gnità in senso forte e di dirit-ti allo stesso modo di qualsia-si altro uomo, e che la dipen-denza è dimensione costituti-va dell’umano (dipendiamosempre dagli altri, in misuradiversa nell’arco della nostravita), la riabilitazione è daconsiderarsi molto più cheuna mera prassi biomedica:“riabilitare” significa attivareuna serie di interventi, tera-peutici ma anche e soprattut-to umani, sul corpo persona-le. È per questa ragione, chesi deve, quindi, tenere sem-pre in considerazione il beneglobale della persona con di-sabilità, nella ricomposizionedel suo equilibrio strutturale.Sulla base della valutazioneempirica di quanto sia preve-dibilmente recuperabile del-l’obiettiva disabilità, è indi-spensabile che l’attivazionedella strategia di recupero na-

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Approccio integrale e riabilitazione

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con disabilità, che può inte-grare - con la componenteemotiva e affettiva - il proget-to riabilitativo: la persona de-ve avvertire che gli altri sonoin grado di accoglierlo anchecon le disabilità. La non pie-na capacità di estrinsecazionedell’efficienza e dell’autono-mia non devono compromet-tere, sul piano umano, le rela-zioni interpersonali: la fami-glia rimane sempre il luogoprincipale ove la persona condisabilità può maturare, inte-riormente e progressivamen-te, questa consapevolezza. Intal senso anche la famiglianon deve essere lasciata solain questo difficile compito alquale spesso non è preparata:il medico e il terapista dellariabilitazione devono costan-temente comunicare con lafamiglia, sia per fornire - pre-vio consenso, ove possibile,della persona con disabilità -informazioni sia per offrire so-stegno, nella consapevolezzadella delicatezza e preziositàdel contributo in un’ottica dicorresponsabilità. Sul ruolodella famiglia ci soffermere-mo, in particolare, parlandodel minore con disabilità.Importante è, infine, il ruolodella società. Il progetto riabi-litativo si completa con l’inse-rimento della persona nellasocietà: è indispensabile pro-muovere una cultura socialeche sappia accogliere e chesappia ripensare il valore del-l’uomo oltre l’accidentalità

psico-fisica. L’inserimento el’integrazione è da intendersiad un duplice livello: a livelloempirico (abbattendo le bar-riere architettoniche, ritenen-do eticamente giustificataogni spesa che sappia ridaresperanza a chi soffre) e a li-vello umano (abbattendo lebarriere della mente e i pre-giudizi). Non è, allora, suffi-ciente un intervento stataleburocratico (offrendo oppor-tunità di cura o ausili), ma èassolutamente indispensabileanche un investimento uma-no e un impegno comunitario,affinché si evitino forme disolitudine e di emarginazionee si guardi alle capacità diciascuno come ad una ric-chezza, una preziosità, un“capitale” umano. Anche sela riabilitazione costa e nonsempre ripaga (in termini diobiettivi raggiunti), anche difronte alla riabilitazione delladisabilità grave e irrecupera-bile, si giustifica sempre unintervento proporzionato chesappia valorizzare il possibilee ridare senso e speranza adun’esistenza difficile.L’impegno etico nel processoriabilitativo si articola, per-tanto, in diversi livelli:1. della persona con disabi-lità, il cui impegno dovrebbeessere sorretto - ove possibile- da una volontà di realizza-zione di valori quali la fiducianel futuro, la capacità di dareun senso alle abilità presentie alla propria vita;

, evitando eccessi di paternali-smo o di partecipazione emo-zionale che possono alimentareil vittimismo. In questo sensova promossa un’adeguata for-mazione dei terapisti della ria-bilitazione ai valori bioetici: ol-tre alla competenza professio-nale e al continuo aggiorna-mento scientifico in collabora-zione con le altre figure sanita-rie coinvolte per predisporre ilprogramma terapeutico-riabili-tativo della persona con disabi-lità, il terapista della riabilita-zione deve essere educato alladedizione all’altro, alla capa-cità oblativa e solidale, nellaconvinzione del valore che hala donazione di tempo e dienergie anche se i risultati pos-sono essere incerti o limitati. La realizzazione, poi, di questiobiettivi richiede di provvedere- soprattutto nella strutturapubblica - ad un’adeguata or-ganizzazione del lavoro: la que-stione bioetica investe, allora,non solo il personale sanitarioma anche le istituzioni pressole quali lavorano. Anzi, si po-trebbe affermare che anche leistituzioni funzionano - in qual-che modo - come una sorta diagente morale che fornisce ilservizio. Questa interpretazionedell’organizzazione come agen-te morale muove dal fatto chechi fornisce il servizio non puòessere visto in modo imperso-nale: un’organizzazione è sem-pre frutto della relazione tra lepersone che sono al suo inter-no e, quindi, l’organizzazione

si serve delle persone per rea-lizzare un servizio. Sul tema della formazione de-gli operatori sanitari il Comi-tato Nazionale per la Bioeticaè già intervenuto nel 1991con il documento “Bioetica eformazione nel sistema sani-tario”, a cui si rimanda perl’analisi delle basi teoriche eapplicative della dinamicaformatore/formando.Alcune qualità umane e pro-fessionali diventano - in parti-colare - imprescindibili per unvalido rapporto tra il terapistadella riabilitazione e la perso-na con disabilità: la capacitàdi lettura dei bisogni; l’ascoltoempatico evitando i rischi diattaccamento e la conseguen-te incapacità decisionale; ladisponibilità al dialogo; il rico-noscimento dei risultati rag-giunti e la stimolazione allacollaborazione terapeutica;l’autonomia professionale; lacapacità di lavorare in équipe;l’onestà intellettuale nell’am-mettere i propri limiti; il segre-to professionale e il rispettoper la privacy; la disponibilitàal coinvolgimento dei familiari.È necessario, dunque, valoriz-zare le capacità della personacon disabilità cambiando laprospettiva della sua vita: unesempio importante di questoapproccio sono gli interventicollegati al trattamento dei pa-raplegici e dei tetraplegici nel-le unità spinali unipolari.Imprescindibile è, poi, il ruo-lo della famiglia della persona

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riabilitativo è - come già detto- che esso sia adeguato ed ef-ficace per la condizione dellapersona con disabilità e chevenga attuato in modo tempe-stivo e continuativo a secondadelle necessità della stessa.La tempestività dell’interven-to richiede, da una parte, laprecocità diagnostica e, dal-l’altra, la disponibilità di per-sone, mezzi e strutture, chia-mando in causa questioni re-lative all’organizzazione sani-taria e alla disponibilità di ri-sorse economiche di cui sidirà in un successivo para-grafo. Ma è altrettanto rile-vante la competenza scientifi-ca e la “qualità” umana deimedici e dei terapisti dellariabilitazione, nonché la col-laborazione tra medici e tera-pisti della riabilitazione nellaconduzione del progetto riabi-litativo attorno alla personacon disabilità: una coopera-zione che si deve fondare sul-la reale condivisione non solodegli aspetti scientifici, degliorientamenti etici, dei lin-guaggi culturali, ma anchedelle metodologie, delle pro-cedure sia di valutazione siadi intervento, dei parametriper verificare i risultati rag-giunti. Lo scopo è il recuperodella persona nella sua globa-lità, della sua autonomia equalità della vita: sono, quin-di, controproducenti gli even-tuali “conflitti” tra metodolo-gie riabilitative. La scelta de-ve essere unicamente dettata

dal bene della persona con di-sabilità, dalla complessitàdella sua situazione, dalla pe-culiarità delle circostanze.È anche vero che, a differenzadi gran parte degli interventimedici o chirurgici, vi è incampo riabilitativo una grandedifficoltà di fare una prognosiche abbia un margine di cer-tezza: è, infatti, difficile pre-vedere “se” e “in quale en-tità” la persona riuscirà a re-cuperare le funzionalità com-promesse e quali “circoli col-laterali” sarà in grado di atti-vare per compensare la perdi-ta di alcune abilità. È per que-sta ragione che è anche moltodifficile stabilire a priori se siaproporzionato o meno per lapersona con disabilità conti-nuare un programma riabilita-tivo, se la mancata efficaciasia legata alla scarsa motiva-zione/partecipazione o seobiettivamente non sia possi-bile alcun recupero. Vi posso-no essere situazioni in cui siritiene che sia arrivato il mo-mento di sospendere l’inter-vento riabilitativo: ma anchequando non è possibile la ria-bilitazione di un organo o diuna funzione, non bisognamai smettere di “riabilitare”la persona, che può riequili-brare le proprie disabilità conl’acquisizione e il consolida-mento di altre facoltà, e dimantenerla attiva e creativafacendo leva sulle sue possibi-lità mentali, spirituali e mora-li. È necessario rimanere sem-

2. del medico e del terapistadella riabilitazione, che do-vrebbero essere in grado di in-staurare un clima di collabo-razione e fiducia, il quale haun ruolo determinante sulprocesso riabilitativo;3. della famiglia, che dovreb-be essere la prima strutturasociale coinvolta nel camminoriabilitativo;4. del volontariato e della re-te amicale, che dovrebbe da-re supporti costanti alla fami-glia in modo da favorire il po-tenziamento delle capacitàdella persona con disabilitànell’intraprendere/riprenderele relazioni interpersonali evi-tando, così, atteggiamenti dipassività e di regressione chepotrebbero svilupparsi viven-do in modo esclusivo nell’am-bito familiare;5. delle istituzioni politiche,nella consapevolezza che unacorretta pianificazione nell’al-locazione delle risorse nonpuò prescindere dall’assisten-za alle persone con disabilitàe dalla riabilitazione, pur sequesto richiede interventi lun-ghi e risultati non sempre po-sitivi, e che non si possonoignorare gli altri problemi con-nessi alla disabilità, come l’in-serimento scolastico/educati-vo e lavorativo/professionale.L’impegno etico di chi effettuale scelte pubbliche deve esse-re, allora, quello di intrapren-dere una programmazione so-cio-sanitaria tesa al consegui-mento di una “riabilitazione

globale” che si concretizzinella non discriminazione del-l’accesso alle cure, nella pariopportunità tra persona condisabilità e persona senza di-sabilità, nell’applicare corret-tamente il principio di giusti-zia come risposta ai bisognidella persona, nella reale in-clusione nella vita familiare,sociale, politica, economica ereligiosa, nella promozionedella ricerca scientifica in am-bito riabilitativo, nella acces-sibilità ai presidi protesici.

Modelli e relazioneLa medicina riabilitativa com-prende una molteplicità di in-terventi di carattere medico,psicologico e psico-socialeproprio perché viene propostaa persone che possono avereuna grande varietà di disabi-lità con diversi gradi di com-promissione della propria au-tonomia. A questa varietà disituazioni esterne fa riscontroanche una grande varietà disituazioni interiori: dall’espe-rienza del dolore alla tensioneverso la speranza, dalla rab-bia alla volontà di mettersi ingioco, dalla consapevolezzaall’accettazione inconsapevo-le come nel caso di grave ma-lattia mentale. Anche le si-tuazioni di sostegno possonoessere diverse: dall’assistenzadomiciliare al ricovero inospedale o in cliniche specia-lizzate per la riabilitazione. Da un punto di vista bioeticociò che rileva dell’intervento

Modelli e relazione

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Informazione e consenso all’iter riabilitativo

rilevazione del consenso pos-sa risultare particolarmentedelicata e complessa in pre-senza di una disabilità psichi-ca oppure di reazioni psicolo-giche (paura, ansia, depres-sione, regressione, ecc.) difronte ad una situazione di di-sabilità motoria o sensoriale; 3. il modello “educativo”, cheguarda non solo all’interventotecnico ma a tutta la personaper aiutarla ad acquisire con-sapevolezza del proprio agire eresponsabilità, fornendo infor-mazioni adeguate e commisu-rate e criteri di valutazione esuscitando motivazioni all’im-pegno nell’iter riabilitativo. Secondo quest’ultima interpre-tazione, che appare la più ade-guata in un contesto riabilitati-vo, il terapista della riabilitazio-ne non è solo un tecnico maanche un “educatore” nel sen-so che deve saper coinvolgerela persona con disabilità, of-frendo fiducia e serenità. Unarelazione che - in quanto inter-personale - coinvolge di neces-sità la dimensione etica, nonfosse altro che per la continuatensione della persona con di-sabilità e del terapista dellariabilitazione verso il supera-mento di barriere psicologichee convinzioni personali, percompensare gli eventuali e in-valicabili limiti, per svilupparenuove potenzialità della perso-nalità integrale. L’individualità della personacon disabilità viene riafferma-ta nell’interazione con il tera-

pista della riabilitazione, ilcui obiettivo significativo de-ve essere quello di compren-dere e non di dirigere: ognidefinizione di abilità deve es-sere fondata sulla percezioneche la persona con disabilitàha di sé in quanto - semprenei limiti del possibile - sog-getto delle scelte. Una colla-borazione, dunque, tra terapi-sta della riabilitazione e per-sona con disabilità che deveessere egualitaria e basata sulfare “insieme” in un processodi arricchimento reciproco enon sul fare “per” o “a” qual-cuno. Una collaborazione incui, ad un certo punto, il te-rapista della riabilitazione do-vrebbe ricoprire il ruolo dimero “compagno di viaggio”.Una collaborazione che abbiacome obiettivo di aiutare lapersona con disabilità a par-tecipare in modo autentico almondo esterno e a costruirsiuna vita che sarà la sua vitapersonale, aperta al futuroesattamente come quella diogni altro essere umano.

Informazione e consenso all’iter riabilitativoNel modello educativo l’ele-mento “informazione” è cen-trale. Sul tema dell’informa-zione il Comitato Nazionaleper la Bioetica è già interve-nuto - nel 1992 - con un do-cumento dal titolo “Informa-zione e consenso all’atto me-dico” , in cui vengono datecircostanziate e chiare indica-

pre aperti alla speranza anchedi fronte al limite, anche difronte ad una riabilitazioneidealizzata come onnipotente,ma che non è riuscita nellaglobalità del suo intento.Favorire la continuità degli in-terventi, farsi carico della to-talità della persona, alimenta-re la speranza: prendersi inaltre parole “cura”, facendosi“compagni di viaggio” dellapersona con disabilità e - sedel caso - della sua famiglia.È per queste ragioni che tra ipossibili modelli di relazionein particolare tra terapista del-la riabilitazione e persona condisabilità, il modello educati-vo - di cui si dirà in seguito -appare essere il più adeguato.Prima di analizzare i singolimodelli, si vuole precisare cheil riferimento continuo al tera-pista della riabilitazione nonvuole mettere in secondo pia-no la figura del medico o deimedici eventualmente coin-volti nell’iter riabilitativo,quanto piuttosto mettere inevidenza che per specificità diruoli e per continuità di tempoè proprio il terapista della ria-bilitazione ad essere maggior-mente coinvolto.

Sono stati individuati alcunimodelli di relazione tra terapi-sta della riabilitazione e per-

sona con disabilità20, tra cuiappaiono rilevanti:1. il modello paternalista, cheè incentrato - come è noto -sul principio di beneficialità egiustifica l’intervento riabili-tativo anche in assenza diinformativa e di consenso daparte della persona con disa-bilità. Seppur adeguato e pie-namente giustificato nelle si-tuazioni in cui la persona condisabilità non è consapevoledel proprio stato, il modellopaternalista perde, però, di vi-sta lo scopo principale dell’in-tervento riabilitativo, ovverodi restituire - ove possibile -autonomia alla persona condisabilità, la cui libertà discelta risulta coartata dalladecisione del terapista dellariabilitazione e un eventualerifiuto a continuare la terapiaviene vissuto da quest’ultimocome una forma di opposizio-ne e non come il sintomo diun profondo disagio; 2. il modello dell’accordo,che prevede la pianificazionedegli interventi da parte delterapista della riabilitazione edella persona con disabilitàcon relativo consenso di que-st’ultimo, previa valutazionedei rischi e dei benefici. Fer-ma restando l’assoluta centra-lità del consenso informato21,va tenuto presente quanto la

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20 Cfr. anche: W. REICH (ed.), Encyclopedia of Bioethics, Mac Millan, New York, 1995,vol. II, “Rehabilitation Medicine”, pp. 2255-2260).

21 Senza dimenticare l’amplissima letteratura, i molteplici interventi a livello sia nazio-nale sia internazionale e i documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica in mate-ria di consenso informato, si vuole qui ricordare - perché ultima in ordine cronologico- la Dichiarazione universale sulla bioetica e i diritti umani dell’UNESCO.

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ascoltando. La verità da rac-contare alla persona con disa-bilità e alla sua famiglia èsenz’altro una verità interpreta-tiva o ermeneutica.È per questa ragione che es-sa va offerta solo dopo averpreparato gli altri a riceverla:una verità da collocare all’in-terno di una verità esistenzia-le, la quale sa dare semprevalore all’esistenza e alle sueanche dure evenienze; unaverità, che deve essere sem-pre aperta alla speranza per-ché non solo è più grandedell’eventuale disabilità maanche della vita della singolapersona; una verità, che nonsempre gli operatori sanitarisono in grado di comunicare,incapaci - spesso - di aiutarela persona con disabilità e lasua famiglia a reggere l’im-patto di una notizia dai con-tenuti traumatici; una verità,che va fornita gradualmente,perché, soprattutto nel casodel minore, nessun nucleo fa-miliare - per quanto ben fun-zionante - può nello stessomomento affrontare la notiziadella disabilità in sé, la cono-scenza dei particolari relativialla condizione specifica delproprio familiare e i dettagliriguardo agli interventi possi-bili; una verità, che per esse-re comunicata richiede diver-si colloqui al fine di capire ibisogni specifici di ciascunapersona e per tarare su que-sta base l’eventuale offerta disupporti e di servizi; una ve-

rità, che nessuno possiede fi-no in fondo, data l’imprevedi-bilità del futuro e della capa-cità del singolo di svilupparele sue abilità presenti. All’informazione fa seguito larilevazione del consenso in re-lazione alla capacità della per-sona con disabilità di prende-re una decisione autonoma;ed anche quando la capacitàdi scelta è ridotta, bisognasempre ricercare - per quantopossibile - l’assenso. D’altraparte il consenso e la collabo-razione del paziente rappre-sentano l’elemento decisivo diuna buona riuscita dell’inter-vento riabilitativo ed, anzi, laforte rilevanza della motivazio-ne fa sì che la collaborazionevenga sempre ricercata e nonsolo in presenza di interventipericolosi e invasivi. In altre parole nell’iter riabili-tativo il consenso non è un“evento” ma un “processo” inuna ricerca continua di comu-nicazione e collaborazionenon solo tra persona con disa-bilità e terapista della riabili-tazione, ma anche tra i vari te-rapisti della riabilitazione qua-lora presenti per diversa com-petenza. La costruzione delconsenso è un momento nonsolo tecnico-giuridico, ma an-che moralmente rilevante: nonè sufficiente che il terapistadella riabilitazione identifichile possibilità obiettive di recu-pero, funzionalità e autonomiain base a parametri scientifi-camente riconosciuti, ma è

zioni che possono essere utiliper la nostra riflessione. Siraccomanda, infatti, che “…in caso di malattie importantie di procedimenti diagnosticie terapeutici prolungati il rap-porto curante-paziente non[sia] limitato ad un unico, fu-gace incontro; il curante devepossedere sufficienti doti dipsicologia tali da consentirglidi comprendere la personalitàdel paziente e la sua situazio-ne ambientale, per regolare sutali basi il proprio comporta-mento nel fornire le informa-zioni; […] le informazioni, serivestono carattere tale da po-ter procurare preoccupazioni esofferenze particolari al pa-ziente, dovranno essere forni-te con circospezione, usandoterminologie non traumatiz-zanti e sempre corredate daelementi atti a lasciare allostesso la speranza di una, an-che se difficile, possibilità disuccesso; le informazioni rela-tive al programma diagnosticoe terapeutico dovranno essereveritiere e complete, ma limi-tate a quegli elementi che cul-tura e condizione psicologicadel paziente sono in grado direcepire ed accettare, evitan-do esasperate precisazioni didati (percentuali esatte - oltre-tutto difficilmente definibili -di complicanze, di mortalità,insuccessi funzionali) che in-teressano gli aspetti scientificidel trattamento. In ogni caso,il paziente dovrà essere messoin grado di esercitare corretta-

mente i suoi diritti, e quindiformarsi una volontà che siaeffettivamente tale, rispettoalle svolte ed alle alternativeche gli vengono proposte; laresponsabilità di informare ilpaziente grava sul primario,nella struttura pubblica, ed inogni caso su chi ha il compitodi eseguire o di coordinare…”. Il primo aspetto da considera-re è, dunque, l’informazionesul danno, sulle possibilità direcupero, su un’eventuale ir-reversibilità: un dovere diinformativa che, nel caso spe-cifico della riabilitazione,coinvolge non solo il medicoma anche il terapista dellariabilitazione con il quale lapersona con disabilità edeventualmente la sua famigliahanno più diretto contatto. Informare significa dire la ve-rità sulle condizioni della per-sona con disabilità, sulle possi-bilità di recupero: una veritàche presenta una precisa pecu-liarità come in tutta la praticamedica. Infatti, nelle relazioniumane si possono individuare -in base alla qualità - quattro ti-pologie di verità: la verità diret-ta quale risposta ad una do-manda di solito semplice; laverità di fatto che si riferisce aduna realtà obiettiva; la veritàpersonale che comunica unarealtà più intima (sentimenti,emozioni); la verità interpreta-tiva o ermeneutica, che è la piùcomplessa poiché chi comuni-ca deve cercare di capire lepossibili reazioni di chi sta

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immaginato, non c’è più; c’èil bambino reale con i suoiproblemi. I genitori devonoabbandonare il sogno e guar-dare in faccia la realtà; devo-no innamorarsi di un bambinoche, con la sua disabilità,sembra aver “deluso” i loroprogetti e desideri. Il cammi-no di accettazione non è faci-le: dura - a volte - tutta la vi-ta; è segnato dalle stesseemozioni che costellano il lut-to per una morte reale; un lut-to che si cronicizza nel conti-nuo confronto con gli altribambini, lo “specchio” chericorda il sogno e ne sottoli-nea la distanza dalla realtà. Come dare ai genitori la noti-zia della disabilità del lorobambino? È questo il primomomento in cui si pone - peril medico e i terapisti dellariabilitazione - in modo fortela domanda etica. È l’iniziodella storia, del cammino:quale verità raccontare ai ge-nitori? Rimandando al paragrafo pre-cedente in cui questo aspettoè stato già analizzato, si vuoleevidenziare come la comunica-zione della verità può condizio-nare anche il secondo momen-to di forte rilevanza etica ovve-ro la scelta dell’iter riabilitati-vo. Infatti, se si ritarda nel fa-re e nel comunicare una dia-gnosi e nell’indicare/offrire isupporti e servizi adeguati, si

possono causare gravi proble-mi nel successivo iter riabilita-tivo del bambino. Tanti genito-ri sono rimasti disorientati difronte ad una scoperta che nonsolo creava in loro tanti inter-rogativi sul futuro del bambi-no, ma che li metteva anche incondizione di non sapere checosa fare per lui. E così l’at-tenzione, prima centrata sulbambino, veniva spostata e fo-calizzata sul suo “problema”:il bambino stesso diventavanel vissuto dei genitori un“problema”. Ciascun individuoumano va, invece, valutato perquello che è e non per quelloche è in grado di fare; e la con-sapevolezza di avere davanti asé innanzitutto un bambino,una persona, e non solo unproblema, deve fare da sup-porto all’impegno nel “… re-stituire ai genitori il propriobambino come bambino e nonsolo come ‘problema’, il bam-bino ‘sognato’ anche se conqualche limite e a vivere i pro-cessi di recupero appoggian-dosi alla speranza…”24.Una speranza, che può dive-nire concreta nel momento incui i genitori si rendono contoche il proprio figlio - anche selentamente - comincia a darerisposte e che queste rispostepossono dipendere anche dal-l’intervento dello stesso geni-tore che ritrova così il modoper poter essere di nuovo uti-

22 M.M. PIERRO, “Presentazione”, in Handicap e collasso familiare. Quaderni di psicote-rapia infantile, 1994, 29, p. 19.

23 E. DALL’AGLIO, “Handicap e famiglia”, in Handicap e collasso familiare, Quaderni diPsicoterapia infantile, op. cit.

necessario che gli obiettivi delterapista della riabilitazionesiano anche gli obiettivi dellapersona con disabilità e, senecessario, della famiglia.Può, però, accadere che nonvi sia omogeneità di obiettivitra terapista della riabilitazio-ne e persona con disabilità:c’è chi, di fronte a questa eve-nienza, suggerisce di accetta-re la scelta della persona condisabilità poiché - se non ècollaborante - cercherà diostacolare in tutti i modi l’iterriabilitativo. Ma forse più cheaccettare passivamente unobiettivo parziale seppur con-diviso, il terapista della riabili-tazione dovrebbe interrogarsisul perché si è creata questasituazione e tentare di rimuo-vere gli eventuali ostacoli. Una non condivisione di obiet-tivi si potrebbe verificare an-che tra i terapisti della riabili-tazione che hanno in carico lastessa persona con disabilità:la mancata unità dell’équipepuò, senza dubbio, condizio-nare il successo degli interven-ti terapeutici e la serenità del-la persona con disabilità, percui è doveroso ricomporreun’unità di metodi, di intenti,di linguaggi, al fine di un’ade-guata collaborazione per il be-ne della persona affidata. Come già detto, nel caso incui si decida di cessare gli in-

terventi riabilitativi non biso-gna mai rinunciare alla “riabi-litazione” della persona:spesso, però, il problemaprincipale non è la scelta fat-ta dai soggetti coinvolti (tera-pista della riabilitazione opersona con disabilità) quan-to piuttosto la scarsa disponi-bilità di risorse della sanitàpubblica e l’impossibilità daparte di molti di usufruire delprivato. Deve essere qui chia-mato in causa quel concettodi giustizia e di solidarietà, dicui al paragrafo 6 del presen-te documento.

Il caso del minoreLa nascita di un bambino condisabilità o la scoperta delladisabilità del bambino dopola nascita “… rappresenta unevento fortemente disadattan-te per ogni famiglia…”22. Cia-scun componente può reagirealla situazione con modalitàdiverse nel tempo in rapportoanche alle dinamiche familia-ri e agli aggiustamenti reci-proci. In questa riflessione cisi sofferma, in particolare,sulle reazioni dei genitori, manon bisogna trascurare il vis-suto dei fratelli di un bambi-no con disabilità23.Per i genitori si tratta, spesso,del “risveglio” improvviso edoloroso da un sogno: il bam-bino “sognato”, il bambino

Il caso del minore

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24 M.L. DI PIETRO, L. DI PIETRO, “’Accompagnare’ il bambino con disabilità e i suoi ge-nitori: problematiche bioetiche” in Ospedale Pediatrico Bambino Gesù - Formazionecontinua in Pediatria, 2006, 1, pp. 9-12.

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che il loro bambino crescendopossa essere escluso dai coe-tanei, che possa soffrire la so-litudine, che possa non esse-re capito, accolto, amato.Il bambino deve essere, inve-ce, conosciuto con le sue po-tenzialità; ed è importante te-nerle sempre presenti in mo-do che non prevalga lo sguar-do sul suo limite ma si guardia ciò che lui può dare. Il bam-bino per crescere ha bisognodi essere amato per quelloche è e non per quello che do-vrebbe essere. La normalitàper il bambino è ciò che eglisente di essere; egli costrui-sce il senso di sé in base al-l’immagine che, in particola-re, gli occhi e l’espressionedel volto della madre gli ri-mandano.Si tratta, allora, di credere nelbambino, nella sua forza enella sua bellezza, superandodue pregiudizi che impedi-scono una visione integraledella realtà: che le personeche non riescono a svolgerequalche attività siano inferiorialle altre e che siano, comun-que, incapaci di intendere edi volere. D’altra parte, ancheil modo di classificare la disa-bilità, elencando ciò chemanca, è sempre stato un in-dice di questo pregiudizio: lamenomazione viene espressacon una percentuale ad indi-care quanto manca alla “nor-malità”. Valorizzare le poten-zialità significa utilizzare nelmodo migliore ciò che il bam-

bino con disabilità possiede;valorizzare le potenzialità si-gnifica dare spazio e offriregli strumenti affinché il bam-bino con disabilita possaesprimersi. E, in una societàper la quale il bene comunepassa attraverso il bene diciascuno, non è la diversitànel corpo che deve preoccu-pare quanto - come già detto- i motivi per cui non si puòpartecipare alla vita sociale. È compito di chi accompagnail bambino con disabilità in-coraggiarlo a sviluppare e uti-lizzare le proprie potenzialitàe ad accettare la disabilità.Particolare cura è necessariain fanciullezza e in adole-scenza, quando la personacon disabilità comincia a ren-dersi conto del proprio stato esi chiede: “Perché non sonosano?”. Nessuno può dareuna risposta a questa doman-da; ma essa rappresenta,senz’altro, un invito ad acco-gliere una sofferenza che simanifesta, a rispettare quellapersona, che porta un peso:un peso che non si può elimi-nare, ma si può alleviare. Èuna persona che ha potenzia-lità e qualità inattese, non ul-time una grande attenzionealle cose che lo circondano euna profonda sensibilità: sot-tolinearne le potenzialità e lequalità potrebbe essere unmodo per aiutarla a vivere conpiù serenità il proprio limite.Accanto a chi accetta il pro-prio limite, che collabora nel-

le per il proprio bambino. Unbambino che va consideratonella sua globalità e nella suaunicità. Globalità: perché -come già detto - il recupero vaal di là della disabilità fisica opsichica del bambino, coin-volgendone l’intera persona-lità; unicità: perché le poten-zialità nascoste del bambinocon disabilità superano moltevolte le aspettative. La speranza va, però, alimen-tata e sostenuta: è quello chechiedono quei genitori che sidibattono giorno dopo giornotra difficoltà, pregiudizi, in-differenza. Sono l’indifferen-za degli altri e il conseguentesenso di solitudine, la man-canza di ascolto, il pudore deldubbio e dello sconforto, ildover vivere ogni conquista difronte ad estranei, il doverelottare per far valere i propridiritti, che più scoraggiano igenitori di un bambino condisabilità. Favorire la cono-scenza con altre famiglie chevivono la stessa esperienza oche hanno già fatto lo stessopercorso è sempre un grandeaiuto per chi si confronta perla prima volta con una situa-zione nuova; preparare i tera-pisti della riabilitazione adaiutare i genitori, consapevoliche vi sono momenti in cui ènecessario farsi indietro e

consentire che il vissuto emo-tivo del bambino e dei suoigenitori trovi spazio per esi-stere; far comprendere agliinsegnanti che è importantenon solo esserci, ma ancheessere capaci di essere dentrouna relazione con il bambinocon disabilità in modo parte-cipato e discreto. In nomedella sussidiarietà si deve ri-cercare il bene di ciascuno esostenere ove più c’è bisogno.Nel corso dell’accompagna-mento si sperimenta, inevita-bilmente, la fatica del cam-mino: nascono nuovi bisogni,nuove relazioni con le realtànelle quali il bambino si trova- di volta in volta - ad essereinserito. Si sperimenta la de-lusione quando il mondoesterno non accoglie il bambi-no nella sua unicità, nella suabellezza, sottolineando solo ilsuo limite. In una società im-prontata all’efficienza e alsuccesso, molti genitori riten-gono di fondamentale impor-tanza il rendimento scolasti-co25 del proprio figlio e poterdimostrare che il propriobambino ha delle capacità.Per i genitori di un bambinocon disabilità, si tratta di unasituazione dolorosa da vivere:non possono entrare in questa“gara di orgoglio” con gli altrigenitori; sono preoccupati

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25 Senza entrare in merito al tema dell’integrazione scolastica delle persone con disabi-lità, ci si limita a ricordare alcuni riferimenti normativi, tra cui la citata Legge n.104/1992 e la Legge n. 53/2003 su Delega al Governo per la definizione delle normegenerali sull’istruzione e dei livelli essenziali delle prestazioni in materia di istruzionee formazione professionale (in Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 2003, n. 77).

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nei confronti di quelle “…persone che in certi periodisono indipendenti nelle fasidella vita in cui vivono invecein una condizione di dipen-denza profonda…”27 Il terzo,invece, riguarda il problemadi fornire una giusta conside-razione delle persone che sioccupano delle prassi di cura.La Nussbaum afferma che oc-corre tenere conto dell’”…onere che grava sulle personeche provvedono a coloro chevivono in una condizione didipendenza. Queste personehanno bisogno di molte cose:di riconoscimento che la loroattività è una forma di lavoro;di sostegno sia umano sia fi-nanziario; della possibilità diuna carriera gratificante e re-munerativa e di parteciparealla vita sociale e politi-ca…”28. Le posizioni contrarie o, co-munque, riservate nei con-fronti del principio di giustizianon soddisfano ovviamente lepersone con disabilità, checonsiderano un dovere socialela “solidarietà” concreta e pa-ritaria nei loro riguardi.Al di là di eventuali posizioniestreme bisogna, però, rico-noscere che nella società con-temporanea è maturata unapiù diffusa “sensibilità” versole persone con disabilità. Va,anzitutto, citato il riconosci-mento della loro piena “citta-dinanza” con l’affermazione

dell’eguaglianza dei dirittifondamentali della personadiversamente abile come perqualsiasi altro cittadino e del-la facoltà o diritto di eserciziodi tutti i diritti (con i rispetti-vi doveri) che egli è in gradodi esercitare. In Italia, la giàcitata Legge n.104/1992 èuna testimonianza del cam-mino percorso e del riconosci-mento della piena cittadinan-za giuridica conseguita.La persona con disabilità ha,indubbiamente, bisogni pecu-liari, di cui una società orga-nizzata deve farsi carico in ra-gione del principio di socialitàstessa e della reciprocità chedeve caratterizzare i rapportiumani. Da qui nasce il soste-gno e l’assistenza (di varia na-tura da quella materiale aquella psicologica e spiritua-le) che la comunità può e de-ve mettere a disposizione,nella misura delle risorse di-sponibili: per l’istruzione, l’e-ducazione, l’assistenza sani-taria e sociale e così via, mo-dulata nella varietà delle si-tuazioni esistenziali. Lo stes-so ambito familiare, che nonpuò né deve essere sostituitain quest’opera di assistenzaprimaria, può avere i suoi li-miti (sia umani sia tecnici edeconomici) e va aiutata convari provvedimenti nei suoicompiti. In tal senso deve in-tervenire lo Stato con le suestrutture assistenziali o l’ini-

l’iter riabilitativo, vi può esse-re, però, chi mostra un atteg-giamento oppositivo: che cosafare? Insistere nell’iter riabili-tativo può rappresentare unasorta di “accanimento” chenon rispetta la persona? Sitratta di una situazione chepone - come già detto - nonpochi interrogativi etici e perla quale è difficile trovare unarisposta: si dovrebbe tendereverso la ricerca di un equili-brio da creare - di volta in vol-ta - nel rispetto della persona-lità del bambino. Un equili-brio, che può aiutare anche anon cadere nella tentazione di“accanirsi” sul bambino.Il bambino ha potenzialità, maè anche un bambino che haun limite: né le une né l’altrodevono prevalere. È importan-te non fermarsi di fronte al li-mite ma è anche importantenon accanirsi contro di esso:l’accanimento nasce propriodalla non accettazione del li-mite, con il rischio di ricomin-ciare a pensare al bambinocome “problema” e non comepersona. Bisogna lasciarsi in-terrogare dal limite e provaread accoglierlo come opportu-nità di guardare alla vita inmodo diverso, consapevoli cheil limite ha sempre una ric-chezza più grande da rivelare.

La società e la scelta dellariabilitazioneL’etica della riabilitazione vaposta, poi, ad un livello più al-to e generale: quello delle scel-te sociali e sanitarie. Gran par-te delle riflessioni più recentiriconoscono che la società mo-derna deve assumersi i propridoveri nei confronti delle per-sone con disabilità: infatti, chela persona con disabilità abbiaparticolari “bisogni” per rag-giungere uno standard di “qua-lità di vita” sufficiente ad osse-quiare la sua dignità di uomonon viene più negato.Tuttavia, ancora oggi vi è chinega che il concetto di giusti-zia si applichi - socialmente enecessariamente - per venireincontro ai bisogni delle per-sone con disabilità, essendola giustizia rivolta ad attribui-re all’altro ciò che è suo, an-che se non si nega la libera-lità nei riguardi della personacon disabilità. Alla negazionedel concetto di giustizia si op-pone la Nussbaum, che solle-va tre problemi, risultato - asuo parere - del non aver te-nuto conto della concreta de-terminazione della dignitàumana: i primi due riguarda-no “… l’equo trattamento dariservare a persone mental-mente o fisicamente disabiliche abbiano bisogno di unaelevata quantità di cure pertutto il corso della loro vi-ta…”26 e il sostegno e la cura

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26 M. NUSSBAUM, Giustizia sociale e dignità umana, op. cit., p. 32.

27 Ibidem.28 Ibidem, p. 33.

La società e la scelta della riabilitazione

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che metta in evidenza comela difficoltà della persona condisabilità, il timore di essereabbandonati, l’angoscia diquei genitori che devono con-frontarsi con il doloroso “dopodi noi”, sia veramente un pro-blema di tutti con la piena di-sponibilità a farsene carico.

Sintesi e raccomandazioniA partire dalla fine degli anni‘70, il tema della riabilitazio-ne delle persone con disabilitàè stato fatto oggetto di un’at-tenta riflessione a livello sianazionale sia internazionale,con un crescente interesse daparte anche della bioetica. InItalia la Legge n. 833/1978all’art. 1 introduce - tra gliobiettivi fondamentali del Ser-vizio Sanitario Nazionale - latematica della riabilitazione.È stato, così, possibile mette-re in luce non solo gli aspettimedici della riabilitazione, maanche gli aspetti sociali aven-ti il proprio orizzonte di riferi-mento nella persona conside-rata nella sua globalità e inrapporto al suo ambiente di vi-ta e di relazione. “Fondamen-to” di questo approccio è unaconcezione dinamica della sa-lute: una condizione e uno sti-le di vita che va continuamen-te ricercato e che abbracciaanche dimensioni etiche,comportamenti e scelte esi-stenziali. Promuovere e tute-lare la salute diventa allora undovere del singolo e della so-cietà, che si va a concretizza-

re nella prevenzione o nellacura e che può fare della ria-bilitazione uno strumento siatecnico sia culturale. Partendo da queste riflessionie sollecitato ad occuparsi del-le problematiche della riabili-tazione, il CNB ha redatto ilseguente documento in cui havoluto presentare elementi diriflessione sulla riabilitazionein generale e sulle questionibioetiche ad essa connesse,tralasciando - poiché esuladai suoi compiti - un’analisidelle singole situazioni clini-che così come la descrizionedella molteplicità degli inter-venti riabilitativi oggi disponi-bili. Il documento non affron-ta, inoltre, il complesso temadella riabilitazione psichiatri-ca, a cui il CNB riserveràeventualmente una più speci-fica riflessione.La “riabilitazione” viene defi-nita come l’insieme degli in-terventi terapeutici (cure) edassistenziali (care) che hannocome finalità il recupero (par-ziale o totale) di abilità com-promesse a causa di patologiecongenite o acquisite e la va-lorizzazione delle potenzialitàpresenti (sensoriali, motorie,psichiche) per consentire econseguire la migliore inclu-sione della persona con disa-bilità nell’ambito della vita fa-miliare e sociale. Il processoriabilitativo riguarda, pertanto,oltre che aspetti strettamenteclinici, anche aspetti psicolo-gici e sociali. Per raggiungere

ziativa privata o il volontaria-to, al fine di consentire allapersona con disabilità di usa-re tutte le abilità presenti ecollaborare nei modi possibiliall’interesse comune. Da qui,il diritto alla socializzazione,all’istruzione e al lavoro, ov-viamente anch’essi proporzio-nati alle situazioni vitali. Questi principi - in forma siapure diversa da Stato a Stato- sono esplicitati o, comun-que, derivano da statuizionicostituzionali; la stessa co-munità internazionale se nefa ora carico con documentidi alto profilo morale e conprogrammi mirati di realizza-zione pratica.La necessità di fare i conticon risorse economiche pursempre limitate pone alcuniproblemi da un punto di vistaorganizzativo, non ultimo ladefinizione dei criteri di am-missione per la riabilitazionenelle strutture pubbliche so-prattutto quando la domandasupera la disponibilità in ter-mini di personale, spazi emezzi. Si possono qui richia-mare, per analogia, i criteridel triage che devono rispet-tare - come è noto - il princi-pio di eguaglianza e di paridignità, in questo caso, dellepersone con disabilità poichéciascuno ha lo stesso valorepersonale e non deve esserediscriminato.Rimandando al documentodel Comitato Nazionale per laBioetica Orientamenti bioetici

per l’equità nella salute del2001, è da rilevare - in que-sta sede - che nessun sistemasanitario può essere conside-rato equo se si limitasse arendere accessibile la riabili-tazione solo a chi può essereeconomicamente solvente. Per quanto riguarda gli even-tuali criteri di selezione que-sti possono essere così sche-matizzati in ordine gerarchi-co: 1. necessità dell’interven-to riabilitativo; 2. urgenzapoiché non intervenire tempe-stivamente potrebbe pregiudi-care gli esiti dell’interventostesso; 3. lista, ovvero ordinedi prenotazione. Sono, inve-ce, da rigettare in quanto di-scriminanti criteri basati sul-l’età, sull’area geografica diprovenienza, sul solo bilan-ciamento costi/benefici, sullamaggiore utilità in termini so-ciali e lavorativi della personacon disabilità da riabilitare. In conclusione è da ribadire,però, che gli interventi a livel-lo sociale vanno sempre e for-temente supportati da unacultura dell’accoglienza, af-finché sia evidente che non cisi limita a modificare la ter-minologia con cui definire lacondizione di disabilità mache agli stessi termini si dà -e non solo nei termini del di-ritto positivo - un reale conte-nuto. Le parole possono esse-re, senz’altro, causa e “sinto-mo” di una rivoluzione cultu-rale ma a queste devono farseguito i fatti: un “segnale”

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(nell’identificazione della per-sona con disabilità come sog-getto di diritti); a livello poli-tico-sociale (nella pianifica-zione delle risorse da investi-re e destinare alla riabilitazio-ne e nella progettazione di in-terventi per includere la per-sona nella comunità).

A partire dall’analisi compiutaa questi livelli, il CNB ha for-mulato le seguenti osservazio-ni e raccomandazioni.

1. L’ethos dell’esperienza del-la disabilità è il corpo, intesonon come corpo “oggetto” col-to nella sua mera fisicità, macome corpo “vissuto”, come“corporeità”, espressione del-la soggettività umana coltaanche nella sua dimensionecorporea in quanto costitutivadell’identità della persona. Inquanto esperienza di un corpopersonale, la disabilità non ri-guarda solo la fisicità o solo lapsiche, ma entrambe questedimensioni. La disabilità di-venta esperienza e vissuto dellimite nella consapevolezzache esso è parte costitutiva edoggettiva del vivere umano: intal senso il limite può rappre-sentare la possibilità di ripen-sare le proprie potenzialità; ela disabilità va consideratanon come l’espressione di ciòche manca bensì come mezzoper valorizzare ciò che si pos-siede. È proprio partendo daqueste considerazioni che si èassistito ad un’evoluzione del

concetto di “handicap”, un’e-voluzione non solo semanticabensì di fondamenti antropo-logici e di contenuti, resa evi-dente anche nei documentiapprovati dall’OrganizzazioneMondiale della Sanità e dalleNazioni Unite. Questi cambia-menti hanno portato, in primoluogo, a porre l’attenzione sul-le abilità diverse piuttosto chesulle disabilità, valutandone -quindi - capacità e performan-ce. Obiettivo della riabilitazio-ne deve, dunque, essere quel-lo di garantire la piena parte-cipazione di ogni persona allavita sociale e di relazione, cer-cando di abbattere ogni bar-riera che ne impedisca la pie-na valorizzazione, e di consen-tirne l’inclusione sociale, ov-vero la partecipazione ai pro-cessi decisionali e program-matori dell’intera comunità. 2. Quale risposta al “bisogno”della persona con disabilità siritiene più adeguato un ap-proccio etico “integrale”, chetenga in considerazione la glo-balità del soggetto da riabilita-re e - spostando il baricentrodella riflessione dall’apparireall’essere - riconosca il valoredell’uomo a prescindere dallefunzioni che egli è in grado diesercitare. Alla luce dell’ap-proccio integrale la riabilita-zione coinvolge diversi piani(fisico, psichico, etico e spiri-tuale) e si presenta come unprogetto dinamico, sempre ingrado di riadattarsi alla situa-zione oggettiva e che per esse-

un buon livello di efficacia,qualsiasi progetto di riabilita-zione deve, quindi, essere mi-rato su obiettivi plurimi, capa-ci di tenere in conto i bisognidella persona, perché l’auto-nomia raggiungibile nei diver-si ambiti possa tradursi in au-tonomia della persona nel suocomplesso e, comunque, inun miglioramento della suaqualità della vita.Ciò premesso, il tema dellariabilitazione si pone alla ri-flessione bioetica con alcunecaratteristiche peculiari, chela differenziano dagli altri am-biti della medicina:

1. il necessario e costante ri-ferimento ad una visione glo-bale della persona con disabi-lità, intesa nella totalità delsuo essere e in quanto inseri-ta in una determinata situa-zione socio-ambientale;2. la dilatazione dei tempi dalmomento che gli interventiriabilitativi possono prolun-garsi per mesi o anni, renden-do così prioritari una riletturadelle modalità comunicative edella rilevazione del consensoe il continuo coinvolgimento -anche motivazionale - dellapersona con disabilità; 3. la moltiplicazione dei sog-getti interessati per il coinvol-gimento anche della famigliadella persona con disabilità.E, soprattutto nel caso del mi-nore, la famiglia stessa divie-ne collaboratrice partecipedel processo riabilitativo;

4. l’imprevedibilità dei risul-tati a causa della dinamicitàdegli interventi riabilitativi edella difficoltà di quantificare- nella persona con disabilità- le potenzialità presenti e na-scoste, che possono superarele aspettative. Questo richie-de, tra l’altro, che la propostadi un iter riabilitativo muovada un modello teorico scienti-ficamente fondato in base alquale stabilire obiettivi reali-sticamente raggiungibili abreve e lungo termine, meto-dologie e strumenti di lavoroadeguati e modalità di verifi-ca dei risultati raggiunti.Un’impostazione poco rigoro-sa potrebbe, infatti, portarenon solo a interventi poco oper nulla efficaci, ma ancheingenerare la convinzione chenon si può fare nulla e ridurrela forza di quel fattore fonda-mentale che è l’impegno mo-tivato.

La riflessione bioetica viene,poi, chiamata in causa a di-versi livelli: a livello antropo-logico (nella determinazionedel significato di corporeità edi persona); a livello etico(nell’individuazione dei criteridi riferimento per gli operato-ri della riabilitazione, diretta-mente coinvolti nella determi-nazione e nell’applicazionedel programma di riabilitazio-ne, e per la persona con disa-bilità, la cui autonomia puòperò essere limitata o condi-zionata); a livello giuridico

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dere e capire le possibili rea-zioni di chi sta ascoltando.Una verità che deve essereglobale, aperta alla speranza,e graduale, e da comunicareall’interno di un “processo” diaccompagnamento in cui visia la ricerca continua di con-senso nei termini di collabo-razione reciproca, e prima an-cora, di identificazione diobiettivi comuni.4. Un sostegno forte va datoalle famiglie con persona condisabilità gravi e, in modoparticolare, con un bambinocon disabilità. In questo caso,è da rilevare come la notiziadella disabilità del proprio fi-glio possa richiedere un ulte-riore investimento affettivo daparte dei genitori sul figlio esollevare in loro sentimenti diansia e di angoscia “da ab-bandono” da parte della so-cietà. Accanto alla necessitàdi assicurare ad ogni famigliatempi brevi di diagnosi e diinizio degli interventi riabilita-tivi, è da sottolineare comesia fondamentale la parteci-pazione attiva della famiglianell’iter riabilitativo, affinchétrovi un aiuto ulteriore perelaborare la perdita del figlio“sognato” e si senta utile peril figlio “reale”. La realizza-zione di questo progetto devemuovere da uno sguardo sullaglobalità e sulla unicità delbambino: globalità, perché ilrecupero va al di là della si-tuazione fisica o psichica delbambino con disabilità, coin-

volgendone l’intera persona-lità; unicità, perché le poten-zialità nascoste del bambinocon disabilità superano moltevolte le aspettative. In que-st’ottica, è essenziale che co-loro che sono impegnati nellariabilitazione assumano un at-teggiamento etico teso a: so-stenere e alimentare la spe-ranza dei genitori; saperascoltare; favorire la solida-rietà tra famiglie che vivono lastessa esperienza o che han-no fatto il medesimo percor-so; formarsi sul piano etico eumano per saper impostareun’autentica relazione di aiu-to alle famiglie; promuoverela sussidiarietà anche tramiteinterventi di sostegno pubbli-co. L’obiettivo da raggiungeredeve essere la valorizzazionedelle potenzialità che il bam-bino con disabilità possiede,dando spazio e offrendo stru-menti affinché possa espri-mersi. È compito, pertanto, dichi accompagna il bambinocon disabilità incoraggiarlo asviluppare e utilizzare le pro-prie potenzialità e ad accetta-re la propria disabilità, aiu-tandolo a vivere con serenitàil proprio limite. 5. L’accettazione del limite èun problema bioetico che nonriguarda solo il bambino condisabilità ma anche l’adultocon disabilità, oltre a chi ècoinvolto nella riabilitazione.Particolarmente delicata è lasituazione in cui la personacon disabilità sviluppa dinami-

re realizzato deve muoveredalla condivisione dello stessotra tutti i soggetti coinvolti inuna sorta di allargata alleanza“riabilitativa” alimentata dalcontinuo dialogo e dalla reci-proca collaborazione. D’altraparte, la riabilitazione non èun intervento da subire passi-vamente, bensì da realizzarecome interazione attiva, susci-tando motivazioni interiori eimpegno personale al recupe-ro, evocando tutte le potenzia-lità presenti e mobilitando leenergie interiori per una pienavalorizzazione di sé. A tal fine,il CNB ritiene essenziale im-pegnarsi in una duplice dire-zione: nel promuovere un’ade-guata formazione del persona-le sanitario - e, in modo parti-colare, dei terapisti della ria-bilitazione - ai valori bioeticie, in primo luogo, alla dedizio-ne all’altro, alla capacità soli-dale, all’empatia; nel favorirelo sviluppo di una cultura so-ciale centrata sull’accoglienzae sull’inclusione e che sappiaripensare il valore dell’uomooltre l’accidentalità psico-fisi-ca. A livello empirico questocomporta l’abbattimento dellebarriere architettoniche e giu-stifica eticamente ogni spesache sappia ridare speranza achi soffre; a livello umano sirende necessario abbattere lebarriere della mente e i fre-quenti pregiudizi. 3. Il processo riabilitativo, co-sì come è stato descritto, tro-va la sua possibilità di realiz-

zazione all’interno di un mo-dello relazionale di tipo “edu-cativo”, che guardi non soloall’intervento tecnico ma atutta la persona per aiutarlaad acquisire - nei limiti delpossibile - consapevolezza delproprio agire e della propriaresponsabilità, fornendoinformazioni adeguate e com-misurate, criteri di valutazio-ne e suscitando motivazioniall’impegno. Nell’ambito diquesta relazione, l’obiettivo dichi è impegnato nella riabili-tazione deve essere quello dicomprendere e non di dirige-re, per costruire una collabo-razione centrata sul “fare in-sieme”. A tal fine, un ruolospeciale spetta alla fase del-l’informazione e della rileva-zione del consenso all’iter ria-bilitativo. Con riferimento aldocumento “Informazione econsenso all’atto medico”(1992), il CNB ribadisce glielementi essenziali e neces-sari del consenso informatonel contesto riabilitativo qua-le forma di salvaguardia delladimensione etica della rela-zione. In particolare, si racco-manda una particolare atten-zione al contenuto dell’infor-mazione (sul danno, sullepossibilità di recupero, suun’eventuale irreversibilità),ai soggetti destinatari del-l’informazione (persona condisabilità e famiglia), avendocura - nel trasmettere una ve-rità di sua natura interpretati-va o ermeneutica - di preve-

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2. che la società si impegni,sia culturalmente sia econo-micamente, nell’assistenzaalle persone con disabilità enon autosufficienti e nella ria-bilitazione, anche se questodovesse richiedere interventilunghi e risultati non semprepositivi, e che non ignori glialtri problemi connessi alladisabilità, come l’inserimentoscolastico/educativo e lavora-tivo/professionale; 3. che vi sia un’adeguata at-tenzione - all’interno dei corsiuniversitari - alla formazioneglobale degli operatori sanitaricoinvolti nella riabilitazione, sìda offrire loro non solo compe-tenze tecnico-scientifiche maanche sensibilità ai problemiumani della persona sofferentee capacità di comprendere leresponsabilità etico-sociali nel-l’azione della cura;

4. che vi sia - soprattutto nellastruttura pubblica - un’adegua-ta organizzazione del lavoro,poiché la questione bioetica in-veste non solo il personale sa-nitario ma anche le istituzionipresso le quali lavorano; 5. che si dia un forte sostegnoall’associazionismo e alleopere di volontariato impe-gnati nella cura della personacon disabilità e all’aiuto dellefamiglie; 6. che si favorisca lo sviluppodi una cultura della riabilita-zione, affinché si renda evi-dente che la difficoltà dellapersona con disabilità, il ti-more di essere abbandonati,l’angoscia di quei genitori chedevono confrontarsi con il do-loroso “dopo di noi”, sono ve-ramente un problema di tuttie che vi è la piena disponibi-lità a farsene carico.

che oppositive e rifiuta di col-laborare all’iter riabilitativo. Intal caso, infatti, potrebbe sor-gere il dubbio che l’insistenzariabilitativa possa configurareuna sorta di accanimento “ria-bilitativo”, per la cui valutazio-ne non è sufficiente il criteriodella proporzionalità se non in-serito all’interno della ricercadi quell’equilibrio da creare divolta in volta nel rispetto dellapersonalità della persona condisabilità. La ricerca dell’equi-librio porta, poi, a confrontarsicon le potenzialità presenti maanche con il limite: e se non bi-sogna fermarsi di fronte al limi-te, non ci si può nemmeno ac-canire contro di esso. L’accani-mento “riabilitativo” nasceproprio dalla non accettazionedel limite e porta con sé il ri-schio di ricominciare a pensarealla persona con disabilità noncome ad una persona ma comead un “problema”. 6. L’etica della riabilitazioneva posta, poi, ad un livellopiù generale: quello dellescelte politiche e sanitarie.Tale ambito di riflessione de-ve prendere le mosse dallaconsapevolezza dei bisognipeculiari delle persone condisabilità, nei confronti dellequali la società moderna deveassumersi dei doveri ben pre-cisi. In particolare, i princìpie gli obiettivi che devonoorientare le scelte politiche esanitarie devono essere: ilprincipio di socialità e reci-procità nei rapporti umani; il

sostegno e l’assistenza che lacomunità deve mettere a di-sposizione proporzionalmentealle risorse disponibili; l’in-tervento dello Stato con lesue strutture assistenziali; ilprincipio di sussidiarietà, conla promozione dell’iniziativaprivata e il volontariato; la tu-tela del diritto alla socializza-zione, alla scolarizzazione eal lavoro; il principio di ugua-glianza, di pari dignità e diequità nell’accesso delle per-sone con disabilità alla riabi-litazione nelle strutture pub-bliche e private. In particola-re, i criteri di selezione deipazienti per l’accesso allariabilitazione, in presenza diuna domanda superiore al-l’offerta dei servizi, possonoessere così schematizzati se-condo un ordine gerarchico:la necessità dell’interventoriabilitativo; l’urgenza, dalmomento che non intervenirein modo tempestivo potrebbepregiudicare gli esiti dell’in-tervento; la lista, ovvero ordi-ne di prenotazione.

Sulla base di queste premesse,il CNB suggerisce alcune indi-cazioni di impegno bioetico:

1. che venga sempre ricono-sciuto e fortemente supporta-to il diritto della persona condisabilità alla riabilitazione inquanto manifestazione del-l’imprescindibile rispetto perla uguale dignità di tutti gliesseri umani;

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Progetti e Attività

Bibliografia

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Bibliografia

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Il Centro EMDR1

nel Consultorio FamiliareCIF di Avezzano (AQ)Nuove prospettive e modalitàdi intervento clinico

Renzo Barbato

Il Centro EMDR è stato isti-tuito all’interno del Consulto-rio Familiare CIF con sede inAvezzano (AQ) e offre alle fa-miglie, ai minori, agli inse-gnanti, agli enti e ad ogni sin-golo individuo i seguenti ser-vizi: 1. Consulenza2. Ricerca3. Formazione per Operatori4. Sensibilizzazione5. Psicoterapia6. Servizio Editoriale.Nel Centro le persone posso-no affrontare assieme aglispecialisti i problemi, le diffi-

coltà e i disturbi per costruireinsieme un progetto di attua-zione personale e sociale chemigliori la propria qualità del-la vita.La visione olistica dell’indivi-duo spinge il Centro a foca-lizzare la propria attenzionesullo sviluppo e sulla promo-zione della motivazione al be-nessere e dell’autorealizza-zione delle capacità del sog-getto. Si procede secondo un per-corso di base che si può divi-dere in tre fasi: 1. profilo psicologico e psico-

1 L’acronimo sta per “Eye Movement Desensitization and Reprocessing”, “desensibiliz-zazione e rielaborazione attraverso i movimenti oculari”.

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diagnostico (test, check list,questionari, ecc.);2. elaborazione e stesura diun programma di intervento3. attività psicoterapeutiche,consulenza psicoeducativa aigenitori, attività di riabilita-zione-abilitazioneSiamo partiti dalla constata-zione che il trauma psicologi-co è una esperienza che com-promette il senso di stabilità,sicurezza e continuità fisica epsicologica di qualsiasi essereumano. Pertanto è essenzialeattivare procedure e program-mi di prevenzione primariaper ostacolare e contrastare ifenomeni di disagio sociale epsicologico. La scelta di rea-lizzare un centro EMDR è sta-ta dettata dalla consapevolez-za che, al di là della preven-zione primaria, occorrono mo-delli di intervento terapeuticoche la comunità scientifica ri-tiene validi ed efficaci. La no-stra proposta si pone comeobiettivo anche di promuovereuna discussione nei consulto-ri CIF a livello nazionale per-ché investa nella strutturazio-ne e nel potenziamento dimetodi e strumenti terapeuti-ci necessari per dare altre ri-sposte valide a livello di tera-pia psicologica.

Che cosa è L’EMDR: analisi

storica e metodologicaL’EMDR (cioè “desensibiliz-zazione e rielaborazione attra-verso la stimolazione bilatera-le”) è supportata da un’ampiabase di pubblicazioni e di ri-cerca controllata che lo se-gnalano quale trattamento va-lidato empiricamente per ildisturbo post-traumatico dastress. Infatti le attuali lineeguida sui trattamenti dell’In-ternational Society for Trau-matic Stress Studies stabili-scono che l’EMDR è un trat-tamento efficace per il PTSD– Post Traumatic Stress Disor-der2. Ad analoghe conclusionigiunge anche il British De-partment of Health3.L’EMDR è stato strutturatocome metodo terapeutico nel1989 da Francine Shapiro.Nel 1995 l’EMDR uscì dalcampo sperimentale per di-ventare un metodo terapeuti-co standard, strutturato in ot-to fasi. L’EMDR è consideratauna tecnica psicologica per iltrattamento delle difficoltàemotive provocate da espe-rienze disturbanti che vannodai disastri naturali alle ag-gressioni personali ad eventiverificatesi nell’infanzia. È unmetodo complesso che vieneutilizzato anche per rafforzarela funzionalità delle personesul lavoro, sport e spettacolo.

2 C.M. CHEMTOB, D. F. TOLIN, B.A.VAN DER KOLK, R.K. PITMAN, “Eye Movement Desensiti-zation and Reprocessing”, in E.A. FOA, T.M. KEANE, M. J. FRIEDMAN (a cura di), Effec-tive treatments for PTSD: Practice Guidelines from the International, 2000.

3 BRITISH DEPARTMENT OF HEALTH, “Treatment Choice in Psychological Therapy & Counse-ling - Section on PTSD”, in Evidence Based Clinical Practice Guidelines, 2001.

Che cosa è L’EMDR:analisi storica e

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138Riassume alcuni elementipresenti nei diversi orienta-menti clinici, quali la teoriapsicoanalitica, rogersiana, co-gnitiva e comportamentale.La dott.ssa Francine Shapironel 1987 per prima ne esa-minò l’efficacia nei reduci delVietnam traumatizzati e in vit-time di aggressioni sessuali.Arrivò a concludere che l’EM-DR riduceva notevolmente isintomi dei loro disturbi post-traumatici da stress4. Duranteil lavoro con l’EMDR il tera-peuta identifica con il pazien-te l’obiettivo specifico deltrattamento e utilizza un pro-tocollo ben definito per guida-re il cliente nella descrizionedel problema disturbante. Ilpaziente è invitato a speri-mentare varie parti del ricordoiniziale e, mediante il movi-mento oculare o stimolazionebilaterale, a elaborare leinformazioni multisensorialirelativamente all’esperienzanegativa in modo da giungerea una risoluzione adattativadel problema. L’EMDR riescea dare ai disturbi emotivi ri-sultati più rapidi rispetto leterapie tradizionali. Sono tre ilivelli da centrare e sviluppa-re: l’esperienza passata, glielementi stressanti attuali e ipensieri ed azioni desiderabi-

li futuri. Il trattamento puòdurare da 1-3 sedute fino adun anno (e oltre) per i proble-mi più complessi. Il traumaracchiude in sé varie compo-nenti (immagini, emozioni,sensazioni e convinzioni). So-lo interventi terapeutici multi-componenziali riescono a da-re risultati soddisfacenti.L’EMDR riesce a lavorare suilivelli prima elencati.Le fasi di un trattamento sonootto: raccolta delle informa-zioni, preparazione del pa-ziente-cliente, assessment,desensibilizzazione, installa-zione, scansione corporea,chiusura e rivalutazione.Sembra che la procedura siamolto efficace anche nei se-guenti disturbi: attacchi dipanico, abusi sessuali e fisici,disturbi d’ansia e da presta-zione, lutto complicato, fobiee disturbi dissociativi. Sistanno effettuando altre ricer-che sia per confermare quan-to sopra riferito che per altridisturbi.La focalizzazione dell’EMDR èsul ricordo dell’esperienzatraumatica per elaborarla a li-vello emotivo, cognitivo e dellesensazioni corporee. È un me-todo per il trattamento deltrauma che potrebbe agire a li-vello neurofisiologico perché si

4 F. SHAPIRO, “Efficacy of the Eye Movement Desensitization Procedure in the Treatmentof Traumatic Memories”, in Journal of Traumatic Stress, 1989, 2, pp. 199-223; F.SHAPIRO, “Eye Movement Desensitization and Reprocessing Procedure: from EMD toEMDR. A New Treatment Model for Anxiety and Related Traumata”, in Behavior The-rapist, 1991, 14, pp. 133-135; F. SHAPIRO, Eye Movement Desensitization and Re-processing: Basic Principles, Protocols and Procedures, Guilford Press, New York,1995.

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141basa sulla stimolazione alter-nata dei due emisferi cerebra-li, mentre il paziente si focaliz-za sulle componenti del ricor-do dell’esperienza traumatica.Quindi viene creato un duplicefocus di attenzione (dual fo-cus): il paziente si concentrasullo stimolo interno (ricordoed emozioni disturbanti legatiall’esperienza traumatica),mentre segue uno stimoloesterno (dato dalla stimolazio-ne bilaterale alternata).L’obiettivo dell’EMDR è dimettere in moto l’intrinseco einnato sistema di elaborazionedell’informazione per trasfor-mare le percezioni immagazzi-nate in modo disfunzionale. La desensibilizzazione e la ri-strutturazione cognitiva con-statabili durante una sedutadi EMDR permettono l’elabo-razione del ricordo dell’espe-rienza traumatica. Il pazientecambia la sua prospettiva sul-l’evento e le valutazioni co-gnitive su di sé, incorporandoemozioni adeguate alla situa-zione ed eliminando le reazio-ni fisiche disturbanti. Questopermette in ultima istanza diadottare comportamenti piùadattativi. L’esperienza è usa-ta dall’individuo in modo co-struttivo ed è integrata in unoschema cognitivo ed emotivopositivo.

Indagini sull’evidenza clinicadei risultati del metodoJoseph Wolpe ha approfonditoil metodo EMDR. Nel 1991ha pubblicato gli esiti di un

caso risolto utilizzando l’EM-DR. I risultati significativi ot-tenuti lo hanno portato ad af-fermare - nel congresso an-nuale del 1991 dell’Associa-tion for the Advancement ofBehaviour Therapy - chel’EMDR era un grande pro-gresso nel campo della psico-terapia. Questo ha aperto lostimolo per la pubblicazionedi più di 100 studi sull’EM-DR. Visto il grande effettodella desensibilizzazione os-servato in questi studi Wolpeha fatto la seguente afferma-zione: “… il PTSD è una sin-drome particolarmente diffici-le da trattare… La prognosi èmigliorata radicalmente dal-l’introduzione dell’Eye Move-ment Desensitization…”. Hainoltre osservato che spesso,dopo una seduta, c’era una ri-duzione marcata dell’ansia enon c’era tendenza alla rica-duta.Nel 1995 il Dipartimento diPsicologia Clinica dell’Ameri-can Psychological Associationha iniziato un progetto per de-finire fino a che grado tutti imetodi terapeutici fossero sup-portati da evidenze empirichesolide e per determinarne ilgrado di efficacia. Nel 1998revisori indipendenti hanno po-sizionato l’EMDR nella lista deitrattamenti validati empirica-mente e hanno stabilito cheera “… probabilmente efficacenel trattamento del PTSD conpopolazioni civili”5. La stessavalutazione è stata assegnataall’esposizione (flooding) e alla

terapia di stress inoculation,descritte appunto come “…probabilmente efficaci per ilPTSD”6. Queste 2 tecnichecomportamentali e l’EMDR so-no state le uniche terapie sup-portate empiricamente da ri-cerca controllata per il PTSD. L’ultima valutazione dell’A-merican Psychological Asso-ciation risale a giugno 2002.L’Organismo afferma chesembrano esservi sufficientidati per considerare l’EMDRun trattamento efficace delPTSD in popolazioni civili.Nonostante non ci siano ricer-che sufficienti per trarre con-clusioni sull’efficacia relativadell’EMDR e altri trattamentiper il PTSD (Cognitivo-com-portamentale, esposizione,ecc.), l’evidenza suggerisceche l’EMDR può essere piùefficiente (meno sedute ri-chieste) e più tollerabile (me-no drop out) di altri tratta-menti7.

Inoltre, come riportato prima,le linee guida dell’Internatio-nal Society for TraumaticStress Studies (ISTSS) indi-

cano che l’EMDR è supporta-to da una ricerca maggiore diquasi tutte le altre terapie peri PTSD. Infatti l’ISTSS ha va-lutato l’EMDR efficace per iPTSD con una classificazioneA/B (Shalev, Foa, Keane &Friedman). La classificazioneA è stata assegnata sulla basedi una revisione di 7 studirandom controllati con risul-tati statisticamente significa-tivi, su vari gruppi, compresi ibambini. La classificazione Bindica che sono necessari ul-teriori studi che confrontinol’EMDR con altre terapie fo-calizzate sui PTSD. Appenaquesti studi saranno comple-tati si ritiene che l’EMDR po-trebbe ricevere il più alto li-vello di riconoscimento dellasua efficacia8. Dopo la pubbli-cazione delle linee guida del-l’ISTSS nel 2000, altri studie ricerche si sono già focaliz-zati sul confronto dell’effica-cia dell’EMDR con altri tratta-menti come viene descritto diseguito. Tre studi clinici ran-domizzati hanno confrontatol’EMDR alle terapie di esposi-zione (Ironson et al.9) e alla

5 D.L. CHAMBLESS, M.J. BAKER, D.H. BAUCOM, L.E. BEUTLER, K.S. CALHOUN, P. CRITS-CHRI-STOPH, A. DAIUTO, R. DERUBEIS, J. DETWEILER, D.A. F. HAAGA, S. BENNETT JOHNSON, S.MCCURRY, K.T. MUESER, K.S. POPE, W.C. SANDERSON, V. SHOHAM, T. STICKLE, D.A. WIL-LIAMS, S.R. WOODY, “Update on Empirically Validated Therapies”, in The Clinical Psy-chologist, 1998, 51, pp. 3-16.

6 Ibidem.7 “Review of Special January Issue on EMDR” in American Psychological Association

Clinician’s Research Digest, 2002, June issue.8 E.A. FOA, T.M. KEANE, M.J. FRIEDMAN, Effective Treatments for PTSD: Practice Guide-

lines from the International Society for Traumatic Stress Studies, Guilford Press, NewYork, pp. 139-155; 333-335.

9 G.I. IRONSON, B. FREUND, J.L. STRAUSS, J. WILLIAMS, “A Comparison of Two Treatmentsfor Traumatic Stress: A Pilot Study of EMDR and Prolonged Exposure”, in Journal ofClinical Psychology, 2002, 58, pp. 113-128.

Indagini sull’evidenza clinica dei risultati

del metodo

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143terapia cognitiva più esposi-zione (Power et al. e Lee etal.10). Questi studi hanno os-servato che non c’erano diffe-renze tra l’EMDR e il gruppodi terapia cognitivo/comporta-mentale (CBT) con valori su-periori a favore dell’EMDR so-prattutto per i sintomi intru-sivi del PTSD in due delle ri-cerche.Il Ministero della Salute ita-liano ha riportato nella suaedizione del 2003 la “ClinicalEvidence” – la fonte delle mi-gliori prove di efficacia per lapratica clinica che l’EMDR èprobabilmente utile per iltrattamento del PTSD, stessavalutazione conseguita dallasertralina (farmaco in genereindicato per questo disturbo). Il Veterans Health Affairs Na-tional Clinical Practice Guide-line Council e il Ministero del-la Difesa USA hanno pubbli-cato le linee guida per la pra-tica clinica rivolte a cliniche,ospedali e centri di salutementale, inclusi programmispeciali di PTSD e centri deiVeterani/Reduci di guerra.Queste linee guida (marzo2004) riportano che la Tera-pia Cognitiva, la Terapia di

Esposizione, lo Stress Inocu-lation Training e l’EMDR sonofortemente indicati per il trat-tamento del PTSD con popo-lazioni militari e non-militari.Tutti questi approcci hannoavuto una valutazione A cheimplica che questi tipi di in-tervento sono sempre indicatie accettabili, anzi consigliatifortemente dalle linee guidadel Veterans Affairs e del Mi-nistero della Difesa America-no11. Gli esperti che hanno re-datto le linee guida proveniva-no dal mondo accademico,dal Veterans Affairs e dal Mi-nistero della Difesa ehanno basato le loro valuta-zioni sugli studi controllati erandomizzati (randomizedcontrolled trials), pubblicati erevisionati, che sono conside-rati il livello di evidenza piùforte a supporto delle lineeguida. Infatti gli studi control-lati e randomizzati danno labase più chiara e scientificaper valutare l’efficacia com-parata tra i vari metodi. Inol-tre le meta-analisi che inclu-devano studi controllati ran-dom sono state consideratecome aventi il più forte livellodi evidenza, così come le revi-

sioni sistematiche basate sul-l’evidenza. Autori come Leeet al.12, Marcus et al.13, Roth-baum14 hanno indicato chein seguito ad un trattamentocon l’EMDR la diagnosi di di-sturbo post-traumatico dastress è stata eliminata nel77-90% dei partecipanti allaricerca. Il trattamento era du-rato da 3 a 7 sedute di EM-DR. Altri studi su soggetti conPTSD (e.g. Ironson et al.15;Scheck et al.16; Wilson etal.17) hanno riscontrato ridu-zioni significative nei sintomidopo due o tre sedute di EM-DR. Gli effetti del trattamentosi mantenevano nelle valuta-zioni fatte ai follow up. Peresempio, una ricerca ha ripor-tato la remissione della dia-gnosi di PTSD nel 84% deicasi (Wilson et al.18). Questa

ricerca ha inoltre dimostratoche dopo 15 mesi di follow-up i risultati si mantenevano. Le ricerche con gruppi di con-trollo consistenti in liste di at-tesa hanno riscontrato chel’EMDR aveva risultati superio-ri al gruppo di controllo. Le ri-cerche che confrontano l’EM-DR con trattamenti comune-mente usati come rilassamen-to con biofeedback (Carlson etal.19), ascolto attivo (Scheck etal.20), e altre forme di terapiaindividuale (Marcus et al.21)hanno stabilito che l’EMDRera superiore al gruppo di con-trollo nelle misurazioni dellostress post-traumatico. Unameta-analisi condotta da VanEtten su tutti i trattamenti psi-cologici e farmacologici per ilPTSD ha riportato: l’EMDR è,insieme alla terapia comporta-

10 K. POWER, T. MC GOLDRICK, K. BROWN, “A Controlled Comparison of EMDR versus Ex-posure plus Cognitive Restructuring versus Wait List in the Treatment of Post Trau-matic Stress Disorder”, in Clinical Psychology & Psychotherapy, 2002, vol. 9, pp.299-318. C. LEE, H. GAVRIEL, P. DRUMMOND, J. RICHARDS, R. GREENWALD, “Treatment of Post-trau-matic Stress Disorder: A Comparison of Stress Inoculation Training with Prolonged Ex-posure and Eye Movement Desensitisation and Reprocessing” in Journal of ClinicalPsychology, 2002, 58, pp. 1071-1089.

11 DEPARTMENT OF VETERANS AFFAIRS & DEPARTMENT OF DEFENSE. VA/DoD Clinical PracticeGuideline for the Management of Post-traumatic Stress, Washington D.C..

12 C. LEE, H. GAVRIEL, P. DRUMMOND, J. RICHARDS, R. GREENWALD, “Treatment of Post-trau-matic Stress Disorder: A Comparison of Stress Inoculation Training with Prolonged Ex-posure and Eye Movement Desensitisation and Reprocessing”.

13 S. MARCUS, P. MARQUIS, C. SAKAI, “Controlled Study of Treatment of PTSD Using EM-DR in an HMO Setting”, in Psychotherapy, 1997, 34, pp. 307-315.

14 B.O. ROTHBAUM, “A Controlled Study of Eye Movement Desensitization and Reproces-sing for Posttraumatic Stress Disordered Sexual Assault Victims”, in Bulletin of theMenninger Clinic, 1997, 61, pp. 317-334.

15 G.I. IRONSON, B. FREUND, J.L. STRAUSS, J. WILLIAMS, “A Comparison of Two Treatmentsfor Traumatic Stress: A Pilot Study of EMDR and Prolonged Exposure”.

16 M.M. SCHECK, J.A. SCHAEFFER, C.S. GILLETTE, “Brief Psychological Intervention withTraumatized Young Women: The Efficacy of Eye Movement Desensitization and Rre-processing”, in Journal of Traumatic Stress, 1998, 11, pp. 25-44.

17 S.A. WILSON, L.A. BECKER, R.H. TINKER, “Fifteen-month Follow-up of Eye MovementDesensitization and Reprocessing (EMDR) Treatment for PTSD and PsychologicalTrauma”, in Journal of Consulting and Clinical Psychology, 1997, 65, pp. 1047-1056.

18 Ibidem.19 J.G. CARLSON, C.M. CHEMTOB, K. RUSNAK, N.L. HEDLUND, M.Y. MURAOKA, “Eye Movement

Desensitization and Reprocessing for Combat-related Posttraumatic Stress Disorder”,in Journal of Traumatic Stress, 1998, 11, pp. 3-24.

20 M.M. SCHECK, J.A. SCHAEFFER, C.S. GILLETTE, “Brief Psychological Intervention withTraumatized Young Women: The Efficacy of Eye Movement Desensitization and Re-processing”, pp. 25-44.

21 S. MARCUS, P. MARQUIS, C. SAKAI, “Controlled Study of Treatment of PTSD Using EM-DR in an HMO Setting”, pp. 307-315.

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145mentale, la più efficace per ilPTSD ed è più efficiente di al-tri trattamenti (Van Etten eTaylor22; Feske23; Lipke24;Spector e Read25). Oltre alle ricerche menziona-te, l’efficacia dell’EMDR èstata documentata con studicon strumentazione SPECTcondotti presso la Facoltà diMedicina dell’Università diBoston da Bessel van derKolk. Egli ha riscontrato cam-biamenti nei soggetti affettida PTSD in seguito ad una se-duta con l’EMDR. Scansionipre-post-trattamento indicanomiglioramenti a livello neuro-fisiologico. Lo studio rilevòche, in quattro dei sei sogget-ti, dopo il trattamento conl’EMDR due aree del cervelloerano più attive di prima: il gi-ro del cingolo anteriore ed il lo-bo frontale sinistro. Inoltre,misurazioni oggettive (psico-metriche) e soggettive (riporta-te dai soggetti e valutate con lascala SUD – subjective unitsof disturbance - di Wolpe) delPTSD hanno mostrato cambia-menti significativi. Gli autoriritengono che l’attivazione delgiro del cingolo anteriore edella corteccia pre-frontale si-

nistra aiutino il soggetto a di-scriminare tra le minacce realie gli stimoli traumatici non piùlegati all’esperienza attuale.L’indice di ipervigilanza si ètrasformato da positivo a nega-tivo, indicando che il soggettospendeva meno tempo scan-dagliando l’ambiente per valu-tare eventuali minacce. Que-sto ha un effetto molto signifi-cativo nei disturbi d’ansia dovesi attiva il meccanismo di rea-zione ad un pericolo immagi-nario come se fosse vero. Inol-tre, l’attivazione della cortec-cia pre-frontale può indicarel’attribuzione di un significatoalle emozioni legate al ricordotraumatico. Perciò, l’interven-to con EMDR sembra aver por-tato a una integrazione del ri-cordo traumatico nel flussodella coscienza. I soggetti era-no in grado di parlare del lorotrauma senza essere emotiva-mente sconvolti e consideran-dolo come un evento passato.

Nel 1994, Nicosia notò chel’esame per mezzo dell’analisiqualitativa dell’elettroencefa-lografia di pazienti trattaticon l’EMDR mostrava unanormalizzazione dell’attività

delle onde cerebrali lente nei2 emisferi corticali. Egli ritie-ne che l’EMDR risincronizzal’attività dei 2 emisferi attra-verso la stimolazione alterna-ta ripetitiva26.Nell’edizione di dicembre2002 del Journal of ClinicalPsychology, dedicata all’EM-DR, è stata pubblicata la pri-ma ricerca che valuta gli effet-ti dell’EMDR a livello della ri-sposta neuroendocrina (Heber,Kellner,Yehuda 2002)27. Datoche i soggetti affetti da PTSDrisultano avere livelli basali dicortisolo più bassi (nelle urine,nel sangue e nella saliva) inconfronto ai soggetti con di-sturbi mentali non traumatiz-zati oppure a quelli sani, sonostati misurati i livelli di corti-solo salivari e la risposta sali-vare del cortisolo a 0.50 mg didexametasone, prima e dopo iltrattamento con EMDR. I risul-tati dimostrano un migliora-mento della sintomatologia,un aumento dei livelli basali dicortisolo e una ipersuppressio-ne del cortisolo più attenuatain risposta al test di supressio-ne del dexametasome. Questirisultati supportano l’efficaciadell’EMDR nei miglioramentidei sintomi da PTSD. Inoltre

l’intervento con EMDR in que-sto studio è associato ai cam-biamenti biologici evidenziatidai test neuroendocrini a se-guito di un intervento non-far-macologico. Nel dicembre2004 le “Linee guida per lapratica clinica” dell’AmericanPsychiatric Association se-gnalano l’efficacia dell’EM-DR. L’aspetto dell’efficaciadell’EMDR come interventoterapeutico è ormai consoli-dato con questa pubblicazio-ne e con quelle che vengonocitate di seguito. A livello internazionale, l’EM-DR è uno dei tre metodi con-sigliati per il trattamento del-le vittime di atti terroristici daBleich et al. (2002) in unapubblicazione delle linee gui-da dell’Israeli National Coun-cil for Mental Health su valu-tazione e interventi professio-nali con le vittime del terrori-smo in ospedale e nella co-munità28. Il United KingdomDepartment of Health, nellesue linee guida sulle terapieevidence-based per la praticaclinica (2001), ha stabilitoche le migliori prove di effica-cia sono date da EMDR, espo-sizione e stress inoculation29. Il più recente riconoscimento

22 M. L. VAN ETTEN, S. TAYLOR, “Comparative Efficacy of Treatments for PosttraumaticStress Disorder: A Meta-analysis”, in Clinical Psychology & Psychotherapy, 1998, 5,pp. 126-144.

23 U. FESKE, “Eye Movement Desensitization and Reprocessing Treatment for Posttrau-matic Stress Disorder”, in Clinical Psychology: Science and Practice, 1998, 5, pp.171-181.

24 H. LIPKE, “Comments on «Thirty Years of Behavior Therapy…» and the Promise of theApplication of Scientific Principles”, in The Behavior Therapist, 1999, 22, pp. 11-14.

25 J. SPECTOR, J. READ, “The Current Status of Eye Movement Desensitization and Re-processing (EMDR)”, in Clinical Psychology and Psychotherapy, 1999, 6, pp. 165-174.

26 G. J. NICOSIA, ”The QEEG of PTSD with EMDR”. Lettura presentata all’InternationalEMDR Conference, Sunnyvale, California.

27 R. HEBER, M. KELLNER, R. YEHUDA, “Salivary Cortisol Levels and the Cortisol Responseto Dexamethasone before and after EMDR: A Case Report”, in Journal of Clinical Psy-chology, 2002, 58, pp. 1521-1530.

28 A. BLEICH, M. KOTLER, I. KUTZ, A. SHALEV, A Position Paper of the (Israeli) NationalCouncil for Mental Health: Guidelines for the Assessment and Professional Interven-tion with Terror Victims in the Hospital and in the Community, Jerusalem, Israel,2002.

29 BRITISH DEPARTMENT OF HEALTH, “Treatment Choice in Psychological Therapy & Counse-ling - Section on PTSD”.

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147sull’efficacia dell’EMDR èstato pubblicato sulle Lineeguida Cliniche del ServizioSanitario Nazionale dellaGran Bretagna (Clinical Gui-deline 26 – marzo 2005). IlNational Institute for ClinicalExcellence (NICE) riporta chetutti i soggetti con PTSD do-vrebbero avere un trattamentopsicologico focalizzato sultrauma (terapia cognitivo-

comportamentale focalizzatasul trauma o EMDR)30.L’articolo è stato scritto con ilcontributo e l’autorizzazionedella dott.ssa Isabel Fernan-dez, psicoterapeuta, presi-dente dell’associazione EM-DR Italia e trainer EMDR Eu-rope. Per ulteriori approfondi-menti si può consultare il si-to, www.emdritalia.it o rivol-gersi all’autore dell’articolo.

30 NATIONAL INSTITUTE FOR CLINICAL EXCELLENCE, Post Traumatic Stress Disorder (PTSD):The Management of Adults and Children in Primary and Secondary Care, NICE Gui-delines, London.

Verità e Pace Ettore Botti

Parlare di “verità e pace” og-gi è tanto attuale quanto com-plesso. Attuale perché vivia-mo in un mondo nel quale so-no deboli e pochi i segnali dipace, complesso perché è in-dubbio che l’argomento è sta-to in passato (oggi sembrameno) oggetto di dibattiti, ri-flessioni nei più disparaticontesti. Questo articolo vuo-le essere un ulteriore contri-buto alla questione, nellaconsapevolezza della com-plessità del tema. Dopo unprima sensazione di confusio-ne giustificata dal timore diperdermi in un mare magnumdi concetti, di nozioni, di fra-si fatte pronunciate in dibatti-ti, letture, in modo anche re-torico nei disparati contesti(sociale, politico, educativo,religioso, filosofico), ho avver-tito l’esigenza di trovare unfondamento alla pace. Mano

a mano che andavo rifletten-do sull’argomento mi accorge-vo di pensare sempre menoalla pace e più alla verità, alsenso della verità. Credo chequi stia il punto di partenzadella mia riflessione: la fermaconvinzione che non si possaparlare di pace senza parlaredi verità, senza far luce sullaverità. Il punto è: quale ve-rità? Di quale verità stiamoparlando? Secondo il miopunto di vista è la verità del-l’uomo. La pace è un valoreumano da cercare in noi stes-si. Questo è l’assunto da cuiintendo partire.Facendo un passo ulteriorepossiamo affermare che la ve-rità dell’uomo, per il cristia-no, trova il suo valore e fon-damento nella persona di co-lui che si è rivelato come Via,Verità e Vita, cioè Cristo. Dio,non solo si è rivelato a noi at-

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149traverso l’umanità di GesùCristo, ma ha svelato a noistessi anche la nostra veraumanità. Questa è stata laprima esigenza, se voleteastratta, che ho sentito. Laseconda esigenza è stata piùconcreta, reale e cioè di tro-vare una declinazione alla pa-ce. Fatte salve le numeroseconsiderazioni e apporti giàpresenti sull’argomento, lapace è stata intesa, e lo è tut-tora, come una questione dipolitica o di disarmo, comefatto sociologico, come fattoreligioso, come esigenza eti-co-filosofica, pedagogica equant’altro. Credo che le vi-sioni della pace si possanoriassumere secondo due cate-gorie fondamentalmente: laprima microscopica, nel sen-so che si parla di pace in unadimensione personale, sia in-trapersonale che interperso-nale; la seconda macroscopi-ca, nel senso invece di unadimensione socio-politica, piùa livello di massimi sistemi,di organizzazioni, di gruppi1.Come dicevo, ritengo e sonoconvinto che ancora prima diessere un fatto che interessala società, la politica e via di-cendo, la pace è un valoreumano da cercare in noi stes-si, facendo luce su noi stessi.

La logica bipolareOgni giorno constatiamo, sianella nostra vita privata che inquella pubblica, come sia dif-ficile coniugare questi duetermini, verità e pace. Bastiguardare al linguaggio, (usatonella politica e non solo, peresempio), che non solo rap-presenta lo strumento per co-municare, ma soprattuttoesprime il nostro essere almondo, la nostra modalità distare con gli altri, di vivere irapporti, la nostra identitàpersonale e culturale. Dicevo,basta guardare a questo peraccorgerci di quanto si facciaun suo uso improprio che nonfa che esprimere rapporti dipotere, di forza. Quello chesottostà a questo linguaggiosembra essere una logica bi-polare che riduce tutto a duepoli: bianco/nero, buono/cat-tivo, forte/debole, maggio-re/minore, superiore/inferiore,s v i l uppo / s o t t o s v i l uppo ,pro/contro (se non sono a fa-vore si dà per scontato che iosia contro), e via dicendo. Se-guendo questo pensiero è co-me se fossimo indotti a perse-guire una posizione di “mag-giore”, “superiore”, per cui cisentiamo nella posizione delbuono, giusto, normale pernoi stessi, e una di “minore”,“inferiore” per cui gli altri so-no anormali, nel torto ecc2. La

televisione di certo non aiutaa tenerci distanti da questalogica. Pensiamo ai program-mi per bambini; alcuni carto-ni animati fanno uso di unlinguaggio aggressivo, basatosulla competizione non sanama tendente a sconfiggerel’avversario visto come il ne-mico da eliminare, il cattivo(ad esempio le TartarugheNinja Mutanti)3. Se pensiamopoi ai dibattiti televisivi, chesiano di tipo culturale o poli-tico, la situazione certamentenon è migliore. Difficilmentenella nostra vita quotidianausciamo da questa logica,perché è come se avessimobisogno di vedere un vincitoree un perdente; come se aves-simo bisogno di dimostrareche siamo superiori e gli altrisono inferiori. Allora la do-manda sorge quasi sponta-nea: perché abbiamo questobisogno di sentirci vincitori edi vedere gli altri sconfitti?Tutto ciò, credo, nasca da unbisogno di dimostrare agli al-tri quanto valiamo, quantosiamo bravi; dal bisogno disentirci persone ok4. Ad un li-vello più profondo, attraversoquesto atteggiamento (del di-mostrarci “più” degli altri),noi cerchiamo di esorcizzarela paura di noi stessi, di evi-tare il nostro sentirci di pocovalore. In sostanza è un biso-gno, una fame di riconosci-

mento per come siamo ciòche ci spinge a questo, cheha radici nell’infanzia nelsenso che se non veniamo ri-conosciuti positivamente inmodo incondizionato e in mo-do adeguato per come siamo,la nostra autostima, la fiduciain noi stessi viene minata.Faccio un esempio. Se unbambino non viene valorizza-to, se non gli vengono dati ri-conoscimenti incondizionatisu quello che è come perso-na, sul suo valore; se si conti-nuano a sottolineare solo isuoi aspetti negativi e maiquelli positivi, non si fa altroche aumentare la sua insicu-rezza e disistima. Frasi come“non sei capace di far nien-te”, “sei uno stupido non necombini una buona”, “dovre-sti fare come gli altri che so-no più bravi, capaci”, “dovre-sti fare di più” accrescono lasfiducia, l’insicurezza in sestessi. Sarà molto forte allorail bisogno di dimostrare all’al-tro quanto si vale. In che mo-do? Instaurando rapporti omeglio giochi di potere, di for-za; sì, perché si tratta di verie propri giochi psicologici deltipo “il mio è meglio del tuo”;e così anche da adulti perpe-tuiamo questo gioco del “far-ci valere”, con spiacevoli con-seguenze sul piano del benes-sere psicofisico5. Da questoatteggiamento nasce, inoltre,

1 P. ROVEDA, “Chi è l’uomo di pace?”, in AA.VV.,Verso la pace, Elle di ci, Leumann (TO),1991, pp.15-32.

2 P. PATFOORT, Costruire la nonviolenza, La Meridiana, Molfetta (BA), 1992, pp.19-22.

3 C. POPPER, Televisione cattiva maestra, Donzelli, Roma, 1996, pp. 81-91.4 T.A. HARRIS, Io sono ok, tu sei ok, Rizzoli, Milano, 1989.5 E. BERNE, A che gioco giochiamo, Bompiani, Milano, 1989.

La logica bipolare

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151la pretesa di sentirsi superio-re all’altro; la pretesa che sial’altro a dover cambiare se sivuole ottenere qualcosa e chesi imponga all’altro la propriavisione della realtà, della ve-rità. In questa ottica l’altro mispaventa perché per me rap-presenta una minaccia allamia personalità, un nemicoda sconfiggere.

Far luce su noi stessiDiversamente, l’apertura ver-so l’altro, l’andare incontro al-l’altro, il dialogo come ascoltodi colui che ho di fronte percomprendere le sue ragioni (ildialogo è dialettica; dov’è og-gi la dialettica nei dibattiti econversazioni che assistia-mo?), parte dal far luce su noistessi, sui nostri bisogni, sul-le nostre emozioni, sui nostricomportamenti6. In altre paro-le il saper riconoscere l’altrorichiede innanzitutto di saperriconoscere me stesso. Inquesta ottica allora l’altro nonè più per me un potenzialeavversario ma lo considereròun potenziale artefice del miosuccesso. Il conflitto diventauna possibilità di crescita enon un ostacolo, una minac-cia alla mia identità. L’ascoltodiventa non un obbedire a fa-re ciecamente quello che l’al-tro dice, ma attenzione all’al-tro, a ciò che l’altro mi vuolecomunicare, per comprender-lo. Il comprendere è empatia,

è mettersi dal punto di vistadell’altro per capire le sue ra-gioni e non per dominarlo7.Attraverso questa chiave dilettura la pace si declina nelriconoscimento di sè, chevuol dire sapersi ascoltarenelle proprie emozioni, pen-sieri, comportamenti, per va-lorizzarsi e per essere consa-pevoli di come siamo fatti perpoter riconoscere l’altro eaprirci all’altro. I sostantivi“verità” e “pace” diventanoallora strettamente uniti nellamisura in cui la pace è un va-lore umano da cercare in noistessi prima che in altri. Unimpegno questo, quasi un im-perativo etico, certamente ar-duo e faticoso perché chiededi mettersi in gioco, di assu-mersi delle responsabilità, diriappropriarsi del proprio Io,nelle sue parti chiare ed oscu-re. In altre parole è un’edu-carsi alla riflessione su di séper portare alla luce non soloquanto di buono e di positivovi è in ciascuno di noi (la pa-rola “educazione” deriva dalverbo latino ex-ducere=porta-re fuori), ma anche nel porta-re alla luce le nostre parti inombra che difficilmente vo-gliamo riconoscere e accetta-re ma rappresentano la nostraumanità e la nostra ricchezza.

Verso una pedagogia della paceNe consegue da questa argo-mentazione una proposta pe-

dagogica rivolta a chiunqueoperi nell’ambito della forma-zione e crescita della persona(genitori, insegnanti, educa-tori). Penso, ad esempio, allascuola e alle problematicheoggi presenti in questo ambi-to (dal rapporto conflittualetra insegnanti e alunni, traalunni stessi per arrivare aifenomeni di bullismo e van-dalismo, purtroppo semprepiù frequenti).Un progetto di educazione al-la gestione dei conflitti, dieducazione al valore dell’al-tro, al rispetto dell’altro cheparta, in primo luogo, daun’educazione alla verità inse stessi attraverso la presa diconsapevolezza e la valorizza-zione del proprio mondo emo-tivo, affettivo e sessuale, rea-lizzato con metodologie effi-caci quali circle-time, role-playing (per citarne alcune),credo sia molto importante inquanto è una preziosa occa-sione che si offre ai ragazziper poter parlare di sé, periniziare a conoscersi, per po-ter esprimere le proprie emo-zioni, sentimenti e pensieri.E’ un modo questo per educa-re alla cura di sé, per dare fi-ducia, sicurezza, valore, per-ché è proprio ciò di cui essihanno bisogno nel difficilecammino di crescita dell’i-dentità personale e sociale.La scuola e altre agenzie edu-cative hanno un ruolo impor-

tante che, ovviamente, non èquello di sostituirsi alla fami-glia, dove i semi della fiducia,della sicurezza e della stimadi sé dovrebbero essere fattigermogliare con la passione el’amore di chi vede cresceregiorno dopo giorno i proprifrutti, ma di confermare,rafforzare e, in alcuni casi,educare a quegli stessi valori,nella consapevolezza che soloattraverso di essi si possanocostruire ponti di dialogo, disperanza anzichè erigere muridi odio e di violenza. Insom-ma, un cammino che attraver-sa tutte le fasi della vita a co-minciare dall’infanzia. Offrirepercorsi finalizzati a questosignifica inevitabilmente in-serirsi in un percorso pedago-gico di pace, in quanto sonoconvinto che senza una pace“interiore” radicata nella fi-ducia, sicurezza, valorizzazio-ne di sé, non si possa costrui-re una pace “esteriore” basa-ta su positivi e costruttivi rap-porti sociali.

ConclusioneGandhi parlava del Satya-graha8 come forza della verità,forza dell’anima posta a fon-damento dell’agire nonviolen-to. La pace è una conquista,un impegno a partire da noistessi. In questa accezionepositiva del termine la pacediventa impegno in vista diuna progettualità, di uno svi-

6 M. BUBER, Il cammino dell’uomo, Quiqajon, Magnano (BI), 1990, pp. 41-56.7 M. BALDINI, “Silenzio, ascolto e dialogo per la pace” in AA.VV., Verso la pace, cit. p. 46. 8 M.K. GANDHI, Teoria e pratica della non violenza, Einaudi, Torino, 1973, pp. 14-18.

Far luce su noi stessi

Verso una pedagogiadella pace

Conclusione

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153luppo, di una crescita dellapersona, mentre nella sua ac-cezione negativa è assenza diguerra, di violenza. Non possonon essere d’accordo conBobbio quando scrive che laguerra è un concetto fortementre la pace è un concettodebole9; occorre infatti ridareun significato positivo, unospessore concettuale alla paceper darle forza. Dicevo che lapace è impegno perchè non èscritta nella natura; la naturainfatti è conflittualità, scontrodi forze contrapposte, non datacere ma da riconoscere eimparare a gestire perché so-no anche la nostra ricchezza.Walt Whitman diceva: “Io micontraddico, sono ampio, con-tengo moltitudini”, e lo stessoEraclito affermava che “Pole-

mos è padre di tutte le cose edi tutte re”. Concludo questeriflessioni con il titolo e il sot-totitolo di un libro che ho tro-vato molto stimolante e cheriassume bene quanto finoraho detto: “Una carezza incon-dizionata salverà il mondo: co-me vivere in un mondo pienodi amici”. In altri termini, so-lo se siamo riconosciuti e ci ri-conosciamo positivamente perla nostra unicità; solo se sia-mo valorizzati e ci valorizzia-mo per le nostre capacità; so-lo se siamo stimati e ci sti-miamo per la nostra essenzadi esseri umani, allora diven-teremo persone fiduciose, ca-paci di costruire relazioni po-sitive e nutrienti per noi e pergli altri10.

9 N. BOBBIO, Il problema della guerra e le vie della pace, Il Mulino, Bologna, 1979,pp.159-189.

10 G. SQUINZI, Una carezza incondizionata (salverà il mondo), Bompiani, Milano, 1998.

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La “Scuola Permanente Residenziale di Formazione per Operatori Consulto-riali”, sorta a Roma nel settembre 2005 e diretta dai professori Giuseppe Noiae Raffaele Cananzi, continua la sua attività presso il Salesianum di Roma.Il secondo anno di formazione, avrà inizio, con il primo dei tre cicli program-mati, dal 24 al 28 gennaio 2007, con il tema “La persona umana: ragione,intelligenza, amore”. Il corso è in linea con l’obiettivo della scuola, che èquello di formare chi opera nei consultori per il servizio alla persona, alla cop-pia e alla famiglia. L’obiettivo mira all’addestramento nel coniugare cono-scenze, competenze e abilità con le basi dell’antropologia cristiana, finaliz-zando il tutto alla relazione d’aiuto e di ascolto empatico. Il corso può essereproficuo anche a chi aspira a lavorare nei consultori, nei centri di ascolto, diaiuto o di servizio alla famiglia o negli organismi di pastorale familiare.Per i nuovi iscritti, quello attuale costituisce il primo modulo previsto dal pia-no di studi, che è articolato, ai fini del conseguimento dell’attestato finale del-la scuola, in tre corsi. Grazie all’organizzazione della Scuola in moduli tema-tici, caratterizzati da una specifica ed organica proposta culturale, è possibi-le iscriversi a questo primo corso sia come inizio di un piano di studi da com-pletare con i due successivi, o come completamento di uno o due corsi fre-quentati nell’anno precedente. Gli interessati a conseguire l’attestato finaledovranno comunque frequentare i tre corsi indicati dal piano di studi, nellasequenza da loro prescelta.

MERCOLEDI 24 GENNAIO15,00 Saluti e apertura del corso

I direttori della ScuolaProlusioneS.E. Mons. Luigi Moretti Vicegerente di RomaRelazione introduttiva: I PACSAvv. Goffredo Grassani - Presidente

CONDUTTORE: O. Tarzia16,00 G. Gambino

Le basi antropologiche della persona umana e della sua sessualità16,50 C. Navarini

Le basi dell’etica: i principi dell’operare umano e la coscienza morale17,40 Coffee Break18,00 Gruppi di lavoro20,00 Cena

GIOVEDI 25 GENNAIOCONDUTTORE: G. Noia

09,00 G. GrandisLa dimensione teologica-morale dell’ethos e dell’amore coniugale

09,50 E. GiacchiLa regolazione naturale della fertilità

10,40 Coffee Break11,00 Discussione13,00 Pranzo

CONDUTTORE: E. Fainella15,30 A. Serra S.I.

Embrione e feto come persona16,20 G. Noia

Embrione e feto come paziente17,10 Coffee Break17,30 Discussione20,00 Cena21,00 Cineforum

VENERDI 26 GENNAIOCONDUTTORE: G. Colleo

09,00 B. SivelliViaggio nella coppia: psicodinamiche nella relazione

09,50 L. VianaCoppia e famiglia: aspetti comunicativi

10,40 Coffee Break11,00 Gruppi di lavoro13,00 Pranzo

CONDUTTORE: V. Longo Carminati15,30 D. Simeone

La pedagogia della famiglia nell’educare alla maternità e alla paternità16,20 P. Nestola

Educazione della famiglia alla cultura della solidarietà e dell’acco-glienza

17,10 Coffee Break17,50 Gruppi di lavoro20,00 Cena21,00 Esibizione della Corale Polifonica “Edi Toni” della Diocesi di Terni

diretta dal Maestro Paolo De Santis

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157SABATO 27 GENNAIOCONDUTTORE: R. Cananzi

09,00 V. OrlandoLa dimensione socio-culturale della famiglia

09,50 G. CursiTipologie familiari tra tradizione e nuove realtà

10,40 Break11,00 Discussione13,00 Pranzo

CONDUTTORE: M. Bianca15,00 R. Cananzi

Separazione, divorzio e nullità matrimoniale nella giurisdizione civile15,50 G. Mantuano

Le cause di nullità matrimoniale nella giurisdizione canonica16,40 Coffee Break17,15 Discussione19,00 Celebrazione Eucaristica presieduta da S.E. Gino Reali - Vescovo di

Porto S. RufinaConsegna degli attestati ai partecipanti dei tre cicli

20,00 Cena

DOMENICA 28 GENNAIO07,30 Colazione08,00 Partenza in Pullman per le Catacombe di S. Callisto09,00 Visita guidata delle Catacombe09,30 E. Fainella, G. Grassani, O. Tarzia

Tavola Rotonda: Verona 2006 e i Consultori Familiari di IspirazioneCristiana

11,10 Partenza per piazza S. Pietro per l’Angelus del Papa e saluto ai par-tecipanti

12,30 Trasferimento in pullman alla Staz. TerminiSaluti - Partenze

QUOTA DI SOGGIORNOIl costo dell’intero soggiorno, non divisibile, da versare direttamente al Sale-sianum, ammonta a € 216,00 in camera singola e € 200,00 in cameradoppia, oltre la quota di iscrizione di € 50,00 da versare alla Segreteria del-la Confederazione unitamente alla domanda di iscrizione.DOMANDA DI ISCRIZIONELe domande di iscrizione, accompagnate dalla fotocopia del versamento di€ 50,00 devono pervenire alla Segreteria della scuola entro il 15 dicembre2006 a mezzo fax: 0630155743 oppure via E-mail: [email protected] ORGANIZZATIVAConfederazione dei Consultori Familiari di Ispirazione CristianaLargo Francesco Vito, 1 - 00168 RomaTel. 063017820 - Fax 0630155743SEDE DELLA SCUOLASalesianumVia della Pisana, 1111 - 00163 ROMATel. 06658751 - Fax 0665875617E.C.M.Come per i precedenti cicli è stato richiesto l’accreditamentoE.C.M.

DOCENTI E CONDUTTORI

BIANCA Prof. Cesare MassimoOrdinario di Diritto Civile Università La Sapienza di Roma

CANANZI Prof. RaffaeleAvvocato di Romana Rota e di Cassazione,Presidente della Commissione Giuridica della C.F.C.

COLLEO don GiuseppePsicologo, Psicoterapeuta, Consult. “Al Quadraro” Roma

CURSI Dr. Giancarlo,Docente Pontificia Università Salesiana di Roma

FAINELLA Prof. EldaPreside a L’aquila, Vicepresidente della Confederazione Italiana C.F.C.

GAMBINO Prof. GabriellaEsperto scientifico Comitato Nazionale Bioetica

GIACCHI Dott.ssa ElenaCentro Studi Ricerche Regolazione Naturale FertilitàUniversità Cattolica di Roma

GRANDIS mons. GiancarloConsulente etico della Confederazione Italiana C.F.C.

GRASSANI avv. GoffredoPresidente della Conf. Italiana dei Cons. Familiari di Ispirazione Cristiana

LONGO CARMINATI Dott.ssa ValeriaPresidente Consultorio Familiare Università Cattolica di Roma

MANTUANO Prof. GinesioDocente di Diritto Ecclesiastico, Università di Macerata

NAVARINI Prof.ssa ClaudiaDocente di Bioetica all’Università Europea di Roma

NESTOLA Dr. PantaleoPedagogista, Presidente della Federazione Lazio

NOIA Prof. GiuseppeDocente Medicina Prenatale Università Cattolica di RomaPresidente della Commissione Scientifica della C.F.C.

ORLANDO Prof. VitoDocente di Pedagogica Sociale e SociologiaPontificia Università Salesiana di Roma

SERRA Prof. Angelo S.I.Emerito di Genetica Università Cattolica di Roma

SIMEONE Prof. Domenico,Docente di Pedagogia Generale Università di Macerata,Direttore Rivista “Consultori Familiari Oggi”

SIVELLI Dr. BeppePsicologo, Psicoterapeuta, Presidente dell’UCIPEM

TARZIA Dott.ssa OlimpiaBiologa, Bioeticista, Vicepresidente della Conf. Italiana C.F.C.

VIANA Dr. LucianoPsicologo, Psicoterapeuta, Presidente della Federazione Piemonte

ZORFINI Dr. RobertoRegista

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SchedeBibliografiche

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In queste pagine intendo se-gnalare non un unico testo,ma una serie di volumi perpresentare un più generalepercorso bibliografico di ap-profondimento su un tema for-te e di grande attualità: la mu-tata natura del tessuto relazio-nale nella società contempo-ranea, diventata sempre piùinconsistente e “liquida”, perusare la metafora cara al so-ciologo polacco S. Bauman.I testi presentati esplorano ilfenomeno su più livelli (glo-bale, italiano e locale), gli ul-timi tre con una particolareattenzione sull’aumento deidivorzi e delle unioni di fattonel mondo occidentale (e pro-ponendo per il problema alcu-

ne possibili strategie di inter-vento sui diversi livelli).

Modernità liquida è il testonel quale Bauman presenta la“liquidità” come modello perspiegare la natura assunta daiprocessi relazionali in seguitoai principali cambiamenti av-venuti nelle società occiden-tali per effetto della globaliz-zazione dell’attuale modellodi sviluppo. Cifra principaledel fenomeno è, secondo ilsociologo polacco, l’annichili-mento dello spazio e del tem-po.Oggi gli scambi (di merci, disoldi e di informazioni) e glispostamenti (di persone) nelmondo globalizzato avvengo-

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Relazioni liquidePercorso bibliografico sul mutaredei rapporti affettivi

Sandro De Toni

Z. BAUMAN,Modernità liquida,Laterza, Roma-Bari, 2002,pp. 272.

Z. BAUMAN,Amore liquido. Sulla fragilitàdei legami affettivi,Laterza, Roma-Bari, 2004,pp. 188.

Z. BAUMAN,Vita liquida,Laterza, Roma-Bari, 2006,pp. 188.

V. IORI,Separazioni e nuove famiglie,Cortina, Milano, 2006,pp. 179.

V. IORI – E. GUARNIERO –E. MUSI,Quando la famiglia si separa.Matrimoni, separazioni e divorzi a Reggio Emilia,Comune di Reggio Emilia –Osservatorio Permanentesulle Famiglie,Reggio Emilia, 2006,pp. 175.

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no con una rapidità sconcer-tante. La distanza sembranon esistere più. Gli stessi at-tuali dominatori del sistemaeconomico e politico globale,multinazionali costituite da ri-dotti staff di manager che siappoggiano per la produzionea strutture delocalizzate neiPaesi che offrono le condizio-ni più convenienti, possonopermettersi di abbandonaresistemi produttivi nazionaliqualora questi si rivelasseronon più convenienti o qualorail potere politico cercasse dilimitare lo spadroneggiaredelle imprese. Stiamo così as-sistendo al dissolvimento del-lo stato-nazione, ridotto sem-pre più a gendarme locale delpotere economico globale,mentre sempre più ridotta èl’influenza della politica voltaa limitare lo strapotere dei po-tentati finanziari.Anche il tempo va annichilen-dosi. I processi produttivi sonogiocati sempre più in una logi-ca di competitività esasperatae di consumo frenetico: nelcontesto economico globale ri-sultano vincenti le aziende checambiano i loro prodotti – o ad-dirittura interi cicli di produzio-ne - con maggiore rapidità eche quindi sono più abili a sol-lecitare il consumo di un benein modo che questo sia sosti-tuito, nelle esigenze dei consu-matori, da altri beni.Questa convulsa forma di pro-duzione-e-consumo ha impor-tanti conseguenze sui modelli

identitari promossi dai conte-sti sociali liquido-moderni.Da una parte si è venuta ge-nerando un’élite mondiale co-stituita da globetrotter, perso-ne che sono a casa in tutto ilmondo, hanno accesso a ri-sorse globali e possono per-mettersi di non avere attacca-mento per alcuna patria.Dall’altra vi è la gran massadelle persone, molte delle qua-li si affanneranno a correre –inutilmente - per mantenere glistandard di vita proposti dalleélite, sotto la costante minac-cia di essere escluse dal gioco.Molti di costoro, percependosotto attacco le loro sicurezze(la stabilità del lavoro, la dispo-nibilità delle risorse, la certez-za di un territorio sicuro), mire-ranno a riconquistare una - maiposseduta - inattaccabile fon-dazione identitaria tramite l’af-fidamento a utopie comunitari-stiche centrate sulla riafferma-zione forte dell’etnia, della na-zione e delle culture e dei valo-ri di cui queste sono portatici.Identità liquide, quindi, inun’impossibile rincorsa diuna inconquistabile stabilità.

Espressione di questo mutatomodo di considerare sé, ilproprio luogo e il proprio tem-po è un nuovo, condiviso at-teggiamento verso futuro.Persone che vivono in comu-nità povere sono spesso inca-paci di programmare il pro-prio futuro per l’estrema in-stabilità e imprevedibilità del

loro contesto di vita. Per con-verso il “chi” che abitava icontesti propri della moder-nità pesante e solida (caratte-rizzati dalla forma organizzati-va dello stato-nazione e dallaforma economica dell’aziendagerarchizzata con un solido estrutturato apparato produtti-vo, volto alla realizzazione diartefatti da ottimizzare inun’ottica di lungo periodo adopera di staff di dipendentida fidelizzare se possibile pertutta la vita) era portato a de-siderare e a programmare alungo termine.Ai nostri giorni e nelle nostrecomunità, in una sorta di cu-rioso pendolo enantiodromico,la fluidità propria degli attualicontesti liquido-moderni, laseduzione al consumo operatadalle aziende, la leggerezzadelle strutture organizzative diqueste ultime vanno favoren-do nelle persone un atteggia-mento di disimpegno nei con-fronti del tempo: centrale è la“voglia”, da soddisfare quantoprima, per lasciare spazio a al-tre infinite “voglie”, in unosviluppo imprevedibile di unpresente talmente instabile daessere per ciò stesso senzaprospettive. Cifra di questomutato contesto sociale è, perBauman l’homo consumens(Vita liquida).L’homo consumens è un con-sumatore - perché alla co-stante ricerca di beni chesoddisfino le proprie esigenzenel più breve tempo possibile

- consumato, anch’egli ogget-to di consumo: da parte delleaziende, orientate a renderesempre più precario il mondodel lavoro e a sedurre i consu-matori in un’infinita ricerca disoddisfazione senza reali esi-ti; ma anche da parte degli al-tri con cui convive, i quali, inun contesto di instabilitàestrema e sempre più solleti-cati a soddisfare a titolo indi-viduale le proprie esigenze,tenderanno a vivere come og-getto di consumo persino lerelazioni.

Di quest’ultimo aspetto delfenomeno si occupa Amore li-quido, testo nel quale Bau-man esplora i modelli per larelazione di coppia propostinelle riviste cult delle éliteglobali: se amore e matrimo-nio implicano la coltivazionea lungo termine del desiderio,la programmazione di una vi-ta in comune e l’aprirsi al ri-schio di affidarsi a unaltro/un’altra, le attuali formedella relazione amorosa sonogiocate sulla dimensione delflirt, del rapporto a terminevolto al soddisfacimento diuno sfizio, dal quale disimpe-gnarsi nel più breve tempopossibile, prima che diventitroppo coinvolgente e non ap-pena lo sfizio avrà esaurito lasua attrattiva. Di qui i sugge-rimenti di riviste e consulentia come flirtare con abilità eabbandonare un compagno ouna compagna ormai “scadu-

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ti”. Un simile modo di inten-dere le relazioni, basato sullasfiducia nell’altro e sulla pau-ra del coinvolgimento, nonpuò che incrementare tale sfi-ducia e tale paura.Gli stessi figli, in un’ottica dimodernità pesante per lo piùconsiderati come forza-lavoroin nuce, nella liquidità mo-derna sono intesi come “og-getto di consumo”: si generaprole non per prendersene cu-ra, ma “… per la gioia deipiaceri genitoriali che si speraarrecheranno…” (p. 58).Intenet e il cellulare sono isimboli di questo modo di in-tendere le relazioni: potersiconnettere in ogni momento eda ogni luogo a reti senzaconfini per creare relazionidella consistenza della schiu-ma da cui scollegarsi non ap-pena lo si desideri.Il panorama offerto da Bau-man è davvero fosco.

V. Iori, in Separazioni e nuovefamiglie, nel dare un quadrodelle separazioni oggi in Italiae delle strategie educative piùindicate per affrontare i milleproblemi educativi propri del-le famiglie di separati, evi-denzia come anche in Italia -dati ISTAT - il tasso di nuzia-lità dal 1973 al 2003 si siadimezzato, si sia innalzatal’età media del matrimonio(24 anni per le spose e 27 pergli sposi nel 1975, 28 anniper le spose e 31 per gli spo-si nel 1975), siano diminuite

le coppie tradizionali con figli(dal 48% al 42% nel decen-nio 1993-2003), siano au-mentate le coppie di fatto (tri-plicate negli ultimi vent’anni,specie al nord), così come se-parazioni e divorzi (nel 1995le separazioni per 1000 ma-trimoni celebrati erano 158 ei divorzi 80, nel 2002 rispet-tivamente 257 e 131).Tra i fattori inducenti i feno-meni elencati, l’Autrice se-gnala il desidero di autorealiz-zazione delle persone, cheprocrastinano – sempre piùspesso ad libitum – la datadel matrimonio, un contestolavorativo sempre più difficilee che offre sempre meno po-sti di lavoro (e anche questiper lo più a termine), il diffe-rimento dell’ingresso dei gio-vani nella vita adulta, mutatiruoli nella vita di coppia (contempi e carichi di lavoro di-versi rispetto al passato per ilmaggiore impegno delle don-ne nel mondo del lavoro), l’i-solamento familiare e l’inde-bolimento di quelle reti di so-lidarietà informale che in pas-sato sostenevano le famiglienei momenti di difficoltà.

L’ultimo testo segnalato inquesta sede (Quando la fami-glia si separa. Matrimoni, se-parazioni e divorzi a ReggioEmilia, di V. Iori – E. Guarnie-ro – E. Musi) entra nel detta-glio del fenomeno, esploran-done le manifestazioni qualiemergono nella pratica del

servizio di mediazione offertodal Centro per le famiglie diReggio Emilia, nel quale ope-rano le tre Autrici.La prima parte (“I comporta-menti nuziali e separativi nelcomune di Reggio Emilia: idati”) presenta statistiche sulfenomeno nella zona conside-rata. I dati a livello locale so-no coerenti con linee di ten-denza emerse a livello nazio-nale ed esposte in Separazio-ni e nuove famiglie.Nella seconda parte il saggio“Separazioni, divorzi e tuteladei figli: una rilevazione quali-tativa della documentazionedel servizio di mediazione fa-miliare” (E. Musi) aggiungeinformazioni più precise alquadro. Il testo espone i risul-tati dello spoglio dei resocontidei colloqui tra le mediatricidel Centro e coppie in crisi te-nutisi negli anni dal 1995 al2005 e presenta, tra le altreinformazioni, dati sulle causedelle separazioni. L’Autricesegnala di aver catalogato soloper categorie molto generali ifenomeni emergenti e di nonaverli ponderati statisticamen-te a motivo della complessitàdei dati. Tuttavia anche sol-tanto una rapida lettura dellecause - elencate come sono,in forma rapsodica - fa emer-gere come, a fianco di fattorideterminanti le separazioni,già noti e attivi anche in pas-sato, in un contesto in cui sipresentavano diverse condi-zioni sociali (scarsa conoscen-

za reciproca tra coniugi,aspettative reciproche inade-guate, mancata condivisionedi un comune progetto di vita,modalità comunicative distur-bate, eventi tragici o crisi cheincrinano il rapporto), vi sianofattori in qualche modo in li-nea con l’attuale temperieculturale così come descrittada Bauman: più frequenti oc-casioni di crisi legate all’insta-bilità del contesto economicoe sociale, maggiore attenzionedi uno o di entrambi i partnerper la propria carriera piutto-sto che per la salvaguardiadell’integrità della coppia, im-maturità affettiva legata allaritardata uscita dalla famigliadelle giovani generazioni (spe-cie alcuni uomini tendono amantenere nel rapporto dicoppia un atteggiamento dafigli più che da mariti), ricercadi emozioni forti. Ma il fattoreche più sembra influenzare ilprocesso è l’attenuarsi deltabù che in precedenza rende-va la separazione un eventoindesiderabile. Oggi la societàtollera la separazione più chein passato.Anche se non la approva: nelnostro contesto culturale se-pararsi è tuttora consideratoun fallimento.

Sia Separazioni e nuove fami-glie sia Quando la famiglia sisepara esplorano le pesanticonseguenze che le separa-zioni hanno sulle personecoinvolte, in particolare sui fi-

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meno, il comandamento evan-gelico, accettando di sacrifica-re la soddisfazione immediatadei propri bisogni al manteni-mento di una relazione nellaquale egli sa che sarà ricono-sciuto soggetto portatore di esi-genze, ma anche di idee e diprogetti oggetto di rispettonella misura in cui anch’egliavrà riconosciuto all’altro ildiritto alla sua diversità. Solosu ciò, ribadisce Bauman,possono fondarsi le regole diuna coesistenza che possadirsi degna di essere vissuta.E. Musi sembra condividere ilriconoscimento del valore diun simile atteggiamentoquando, a conclusione dellaparte III della sua ricerca (nel§ “Prospettive pedagogiche elinee di intervento”), in riferi-mento alle strategie da adot-tare per prevenire le separa-zioni, segnala la necessità dipercorsi di formazione alla vi-ta di coppia e alla genitoria-lità finalizzati a consentire aifuturi partner di acquisire ca-pacità di interazione, di dialo-go e di negoziazione basateproprio sul riconoscere all’al-tro la dignità della sua uni-cità. L’educazione alle rela-zioni, sottolinea Musi, dovreb-be avere inizio già nel mondodella scuola. Indispensabileinfine è ricreare reti di genito-

rialità diffusa nel tessuto so-ciale, favorendo le forme diautoaiuto e di sostegno reci-proco informale tra famiglie,per riaggregare laddove i pro-cessi sociali in gioco stannodisgregando.E, allo stesso modo, V. Iori ri-tiene che solo un atteggia-mento di apertura, di rispettoe di negoziazione tra coniugiseparandi e separati possaconsentire loro di risolvere almeglio i problemi che inevita-bilmente si manifestano du-rante le varie fasi della sepa-razione. In una sorta di para-dossale legame che si conso-lidi proprio mentre si va dis-solvendo, coniugi in fase didivorzio potranno concludereal meglio la loro storia e almeglio svolgere il loro compi-to di genitori solo se, resisten-do alla tentazione di annien-tare quanto si è costruito as-sieme, sapranno mantenereun costante atteggiamento direciproca apertura e di ricercadi una comunicazione rispet-tosa con l’altro; questo pro-prio nel momento in cui talecomunicazione sembra dovervenire meno (cfr. Separazionie nuove famiglie, p. 167).Quasi a dire che, per soprav-vivere in un mondo liquido, ènecessario imparare a cammi-nare sulle acque.

gli. In seguito alla rottura delnucleo familiare, la tendenzadominante è alla costituzionedi due nuclei, uno costituitodalla madre con la prole el’altro dal padre single (chespesso rientra nella famigliadi origine tornando ad assu-mere un ruolo di figlio). Tutta-via vanno diffondendosi an-che le stepfamilies, o famigliericostruite, nelle quali uno oentrambi gli ex-coniugi si ri-creano un nuovo nucleo fami-liare con altri compagni.Ne emerge un panorama so-ciale nel quale sono identifi-cabili due tendenze.Da una parte il tessuto rela-zionale manifesta una mag-giore tendenza alla frammen-tazione, in particolare se lepersone che si separano nonhanno una solida rete familia-re a cui fare riferimento nelledifficoltà. Frequenti sono inol-tre le manifestazioni di disa-gio relazionale dei figli di se-parati che, almeno in una fa-se iniziale, possono pagare larottura del nucleo familiare,specie se non vissuta consa-pevolmente, con un elevatocarico di sofferenza; non è ra-ro che questa sofferenza siesprima in comportamenti di-sturbati che creano il vuotorelazionale, nella scuola enell’ambito delle relazioniamicali, intorno a coloro chene sono portatori. E, anche alungo termine, mentre alcunericerche dimostrano il buongrado di benessere psichico

dei figli di separati una voltache questi abbiano raggiuntal’età adulta, altre ne eviden-ziano una minore propensioneal matrimonio.D’altro canto, sottolinea l’Au-trice, una separazione vissutacon consapevolezza può por-tare genitori e figli di famiglieche non sono più a stringerenuovi, più forti e più consape-voli legami tra loro, con imembri delle loro reti familia-ri d’origine e con quelli dellefamiglie ricostruite, ciò in pa-lese controtendenza rispettoagli apparentemente domi-nanti processi disgregativiche segnalavo più sopra.

In un contesto così liquido eliquefacente come è possibileagire per cambiare le cose?Bauman sembra porre le sue -residue - speranze per un fu-turo migliore nella capacità,tutta dell’uomo, di “amare ilproprio prossimo come sestesso”. L’uomo ama se stes-so perché sa che il suo be-nessere deriva dall’essere ri-conosciuto oggetto di amore,degno di rispetto, stima e at-tenzione. Il dettato evangelicoinvita ad amare l’altro allostesso modo, come personaunica, e ad apprezzare il valo-re delle differenze di cui l’al-tro è portatore (Amore liqui-do, trad. it. p. 112). L’innal-zarsi dell’uomo oltre la pro-pria istintualità avviene solonel momento in cui egli faproprio, ne sia consapevole o

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Un grande amore per la fami-glia e per le famiglie personal-mente incontrate in tanti annidi ministero pastorale, l’averpreso sul serio il mistero del-l’incarnazione attraverso cui ilVerbo è realmente entrato nel-la nostra carne e nelle nostrerealtà umane, corporeità, af-fettività e sessualità compre-se; la ricchezza di una spiri-tualità nuziale - che può acco-munare sposi e presbiteri - in-tesa come accoglienza e ricer-ca di quella alleanza relazio-nale che in modo diverso ilmatrimonio indissolubile el’eunuchia per il regno eviden-ziano; l’individuazione dellarelazionalità come categoriachiave per ricomprendere ilministero oggi; l’accompagna-mento pastorale inteso nonsemplicemente come offertadi informazioni ma come pos-sibilità offerta agli sposi, dan-do loro la parola, di sperimen-tarsi, esperienzialmente, inmodo nuovo e pensante: eccoche cosa si è evidenziato aimiei occhi leggendo l’ultimafatica del carissimo p. RomoloTaddei e dei suoi collaboratori.Il libro si divide in due parti:nella prima vengono affrontatiil rapporto pastorale tra pre-

sbiteri e famiglia (cap. 1), lanecessità di nuzializzare laChiesa (cap. 2), gli interroga-tivi riguardanti il matrimoniocristiano (cap. 3) e l’accom-pagnamento delle giovanicoppie (cap. 4).Nella seconda parte abbiamocapitoli riguardanti: la relazio-ne uomo-donna simbolo del-l’alleanza sponsale dei profe-ti, la relazione nella vita dicoppia, le risorse fondamenta-li della relazione nella vita dicoppia, la corporeità comesponsalità, la sessualità nellacoppia, i significati e i lin-guaggi della sessualità uma-na, l’intimità sessuale con isuoi ostacoli e i suoi possibiliprogressi, la procreazione in-tesa come dono e come com-pito, l’educazione dei figli co-me sapienza dell’amore, lanecessità di prendersi cura disé per prendersi cura dei figli,il dolore nella coppia, la con-flittualità nella coppia (tra-sformare il litigio in un mo-mento di crescita).“Non è possibile rendere con-to della ricchezza dei singolicontributi che compongonoquesto volume […]. Desiderorilevare solo un aspetto parti-colarmente felice della secon-

R. TADDEI (a cura di),Cammini di relazione. Percorsi di animazione per giovanicoppie e gruppi famiglia. Guida,Elledici, Leumann (TO), 2006, pp. 288 (con cd allegato).Cammini di relazione. Percorsi di animazione per giovanicoppie e gruppi famiglia. Quaderno,Elledici, Leumann (TO), 2006, pp. 96.

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169da parte: il fecondo intrecciotra preghiera, Parola di Dio,dialogo tra le persone, silen-zio, riflessione umana. Questivari elementi si intersecanotra loro in maniera tale da fa-re avvertire ai partecipanti ‘aicammini’ la bellezza e la se-rietà dell’amore con cui il Si-gnore li ha amati. Egli ha de-posto nel loro cuore il Suoamore e li ha chiamati ad es-serne testimoni nella Chiesa enel mondo”1.Sì, la preghiera e l’ascoltodella Parola di Dio si coniuga-no con la lettura delle realtàfamiliari tipiche della con-temporaneità, colte anche at-traverso il ricorso ai contribu-ti offerti dalle scienze dell’uo-mo oggi. E in modo analogol’offerta di riflessioni stimo-lanti si coniuga con l’invito al-le coppie, ad es. attraversodomande, ad entrare nel testoe nei “cammini” alla luce del-la propria esperienza del mi-stero coniugale, con le suericchezze e le sue difficoltà.Tante, scrivevo all’inizio, lesuggestioni che si ricavanodalla lettura di Cammini di re-lazione. Una mi rimane nelcuore più delle altre: la ne-cessità di nuzializzare laChiesa. C’è un rischio nel ma-trimonio e nel presbiterato: ri-manere scapoloni, non arriva-re a consegnare se stessi inun’alleanza fedele, facendodella propria vita un dono ma-

turo. P. Romolo ce lo raccon-ta, in modo provocatorio, maaffettuoso: quanti matrimonisegnati da lontananza emoti-va, quanti celibati vissuti inmodo infantile o freddo, neu-tro, distaccato. È necessarioinvece lavorare per far cresce-re nella Chiesa un’autenticaspiritualità della comunioniche passi dallo sviluppo di un“pensiero nuziale” e da unaprassi di collaborazione in cuil’incontro con l’alterità sia ca-ratterizzato da interesse, mes-sa in discussione di sé, vo-lontà di apprendere sempre ecomunque, soprattutto neiperiodi di crisi.Come evidenziato dal p. Ro-molo, un amore ardente, ap-passionato, intelligente è ciòche siamo chiamati a svilup-pare nel matrimonio o nel ce-libato. L’ascolto amante dellaParola di Dio, alla cui luce sututto si può fare discernimen-to, e l’ascolto amante dellarealtà familiare, letta senzapregiudizi ma in un modoadeguato alla sensibilità dioggi, sono le vie indicateciper arrivare a tutto questo.“Famiglia, diventa ciò chesei”: questa l’esortazione diGiovanni Paolo II nella Fami-liaris Consortio (n. 17) nel-l’ormai lontano 1981. Riten-go che il libro di p. Romolo edei suoi collaboratori e i per-corsi di crescita possibili gra-zie ad esso per i presbiteri e

1 Dalla presentazione di mons. Paolo Urso, Vescovo di Ragusa, p. 7.

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171le coppie che vogliano utiliz-zarlo possono realmente aiu-tare le famiglie, lontano daogni moralismo e da ogniastrattismo teologico, a “…credere in ciò che sono, a cre-dere nella loro vocazione adessere segno luminoso dell’a-more di Dio” (cfr. GiovanniPaolo II, Discorso ai parteci-panti all’incontro nazionaledelle famiglie italiane, 20 ot-tobre 2001).

Romolo Taddei, presbitero,psicologo-psicoterapeuta, di-rige il Consultorio Familiared’Ispirazione Cristiana e l’Uf-ficio Diocesano di PastoraleFamiliare di Ragusa. Ha pub-blicato: Il sacerdote uomo direlazione, Famiglia e parroc-chia, Navigheremo insieme lavita se…, Dove il cielo e laterra si toccano, Compagni diviaggio (Ellenici).Battista Borsato (sacerdotedella Diocesi di Vicenza, di-rettore dell’Ufficio di Pastora-le per il matrimonio e la fami-glia), Mario Cascone (sacer-

dote della Diocesi di Ragusa,parroco e docente di teologiamorale in diversi istituti). Ser-gio Comignoli (presbitero deiFigli della S. Famiglia, parro-co, impegnato in “Incontromatrimoniale”), Paolo La Ter-ra (sacerdote della Diocesi diRagusa, direttore dell’Ufficioper l’educazione cattolica),Antonio Domenico Santoro(presbitero della Congregazio-ne dei Missionari Oblati diMaria Immacolata, impegnatonell’evangelizzazione dellacoppia e della famiglia), DarioContardo Seghi (psicologopsicoterapeuta, supervisore econsulente scientifico in di-versi Consultori Familiari diispirazione cristiana), Rita eLuciano Ugatti Sgaravatto (ri-spettivamente presidente edirettrice del Centro di Consu-lenza di Codigoro – FE – im-pegnati nella pastorale fami-liare) sono gli autori dei con-tributi raccolti nel volume.

Nello Dell’Agli

Nell’ambito delle scienze so-ciali non si fa che parlare del-la morfogenesi della famigliaoccidentale: pluralizzazionedelle forme familiari, processidi in-distinzione e ri-distinzio-ne dei ruoli - a volte anche aprescindere dall’identità ses-suale di coloro che si autode-finiscono “madre” e “padre” -favoriti dalla diffusione di se-parazioni e divorzi che si con-cludono spesso con l’espul-sione dei padri da casa e conla rottura del loro rapportocon i figli. In questo contestoproblematico, la figura pater-na tende ad essere emargina-ta. Perfino la legge italianasull’aborto ha tolto al padre lospazio per esprimersi. L’insi-curezza paterna è aggravatadal fatto che, in certi casi, lostesso padre non ha avuto, asua volta, una figura paternache gli insegnasse ad esseretale. Per questi motivi, moltistudiosi definiscono oggil’Occidente “una società sen-za padri”: una società dovel’assenza emotiva del padre sirivela inaccettabile. Il padre,infatti, è colui che dovrebbegenerare l’identità del figlio:colui che porta a compimentola rottura della simbiosi tra lamadre e il bambino, con unaferita che, se da un lato segnail dolore per la perdita, dal-l’altro dischiude al figlio nuo-vi e straordinari orizzonti esi-

stenziali, che gli consentonodi dare un senso a quellastessa perdita. L’azione pater-na si rivela così esperienzaspirituale, capace di svelarela dimensione trascendente albambino che cresce e di fargliscoprire la ricchezza della suaesistenza. Quando tutto que-sto non avviene e lo sguardopaterno scompare dalla sce-na, il bambino resta disorien-tato, incapace di sopportarele ferite prodotte dalle perditeche accompagnano la trasfor-mazione e la crescita dell’es-sere umano. Si spiega cosìperché la società contempora-nea abbia tanta paura dellamorte e della sofferenza, del-la vecchiaia e della malattia ecerchi in tutti i modi un “bio-potere” - sostenuto dal pro-gresso della medicina - che,come diceva Michel Foucault,dia all’uomo la capacità di“… far vivere o di ricacciarenella morte…” e, con essa,l’illusione del controllo sulla vi-ta umana. Un’analisi straordi-nariamente interessante com-piuta da Claudio Risé, psicana-lista di formazione junghiana,docente di Sociologia dellacomunicazione all’Universitàdell’Insubria, che con chia-rezza e semplicità conduce illettore in una riflessione eticadestinata a sfociare in unasperanza e in un auspicio: ilritorno, nella nostra società,

C. RISÉ, Il padre. L’assente inaccettabile, Milano, San Paolo, 2003, pp. 164.

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173172di un padre consapevole e re-sponsabile, desideroso di par-tecipare alla costruzione del-l’identità dei propri figli, diproteggerli, di essere per lorosegno di una presenza certa,

capace di dare quei significa-ti e quei punti di riferimentoche servono all’essere umanoper affrontare serenamente ledifficoltà della vita.

G. Gambino

Due testi fondamentali per af-frontare lo spinoso dibattitointernazionale sul dramma so-ciale delle tossicodipendenze.Il primo volume è uno studioscientifico estremamente ri-goroso sui meccanismi delladipendenza e sugli effetti del-le varie droghe sull’organismoumano e, in particolare, sulcervello. È un rapporto com-missionato dal governo fran-cese al prof. Bernard Roques,eminente farmacologo che daoltre vent’anni si occupa del-le modalità di azione delledroghe, e a una commissionescientifica di esperti da luipresieduta. Avvalendosi del-l’analisi di oltre quattrocento-cinquanta studi scientifici in-ternazionali, il rapporto sullapericolosità delle droghe mes-so a punto dalla commissionesi presenta come un vero eproprio manuale, scientifica-mente rigoroso, ma di facileconsultazione, che prende inconsiderazione tre gruppi disostanze: il più tossico com-prende l’eroina, la cocaina el’alcool; il secondo è costitui-to dagli psicostimolanti, gliallucinogeni, il tabacco e itranquillanti; il terzo dallacannabis. Questa classifica-zione disorienta. E legittima-

mente, perché sconvolge no-zioni acquisite e dimostraquanto le apparenze possanoingannare, mettendo in guar-dia contro tutte le droghe:nessuna è sprovvista di tossi-cità, tutte possono generaredipendenze più o meno forti.Conclusioni, peraltro, confer-mate dalla pubblicazione disuccessivi studi australiani eda un rapporto della Cameradei Lord di Londra. Il testo siarticola in diciassette capitoliche, tra i molti argomenti, af-frontano le nozioni fondamen-tali di tossicologia e farmaco-logia implicate nell’uso didroghe; illustrano i dati piùrecenti sui meccanismi neu-robiologici attivati dal consu-mo di sostanze psicoattive e idisturbi psichici derivanti dal-l’uso di queste sostanze; glieffetti degli psicostimolanti;gli effetti clinici delle singoledroghe sull’uomo, in partico-lare cocaina, ecstasy, oppioi-di, cannabis, alcool e tabac-co; la dipendenza da farmaci;gli effetti delle sostanze psi-cotrope sulla donna in gravi-danza e sul concepito prima edopo la nascita; le tossicitàpotenziali dei trattamenti so-stitutivi col metadone. Ognicapitolo è corredato da una

B. ROQUES, Droghe e tossicodipendenze. Manuale scientifico e pratico,Roma, Sapere 2000, 2002, pp. 222.P. SANSOY (a cura di), La tossicodipendenza. Uno sguardo etico, Roma, Sapere 2000, 2006, pp. 154.

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175ricca bibliografia. Il libro, per-tanto, si presta ad essere uti-lizzato non solo come stru-mento di studio per chiunquevoglia comprendere più da vi-cino le problematiche impli-cate nelle tossicodipendenzenell’ambito della salute pub-blica, ma anche come stru-mento per ricerche scientifi-che più approfondite e detta-gliate.Il secondo volume, edito dalConsiglio d’Europa nell’ambi-to della Collana “Regard Ethi-que”, è una raccolta di contri-buti curata da Patrick Sansoy,psicologo clinico francese cheda anni svolge incarichi inter-ministeriali nel campo delledroghe e delle tossicodipen-denze. Il volume propone allettore uno sguardo specifica-mente etico sulle complesseproblematiche attivate nonsolo dal consumo di droghe,ma soprattutto dalle difficiliscelte che gli esperti sonochiamati a compiere in mate-ria di politica sociale e sanita-ria. La lotta all’abuso e al traf-fico illecito di droghe ha as-sunto dimensioni estese a li-vello mondiale. Ma, per quan-to gli interventi si stiano mol-tiplicando, le incertezze suglieffetti e le implicazioni delle

scelte socio-sanitarie sono an-cora molte. Che differenza c’èe quali sono gli effetti della“prevenzione” e dell’“educa-zione” rispetto all’uso di dro-ghe? Quali tipi di approcciprivilegiare per un’autenticaprevenzione? Qual è l’espe-rienza finora maturata neipaesi che hanno affrontatocon interventi pubblici il pro-blema del trattamento obbli-gatorio per i tossicodipenden-ti? Quali politiche di preven-zione e di individuazioneadottare sui posti di lavoro,senza violare la privacy e ladignità dei lavoratori? Qualetipo di “accesso alle cure” ga-rantire agli adolescenti e aigiovani che fanno uso di dro-ghe? Quali sono i problemietici legati alle cure delledonne tossicodipendenti ingravidanza o con figli? Questee altre complesse questionietiche vengono analizzate da-gli autori, con uno stile chiaroe puntuale, con l’obiettivo difornire spunti di riflessioneessenziali per poter compren-dere a fondo il dibattito bioe-tico e biopolitico sulla lottaalle droghe, nel rispetto deidiritti fondamentali delle per-sone coinvolte.

G. Gambino

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Sopravvivrà il mondo ai pros-simi quarant’anni?Leggendo la valanga di dati ele approfondite analisi e pre-sentate da C. Simeone in “Traetica e declino”, la rispostasembrerebbe negativa.I processi economici e finan-ziari che governano il mondoglobalizzato, lasciati a sestessi e operando incontrolla-ti, se da una parte stanno por-tando a una crescita a due ci-fre del PIL in Paesi come laCina e l’India, in passato an-noverati tra le nazioni sotto-sviluppate, dall’altra, e in tut-to il mondo, stanno riducendoalla miseria più estrema glistrati più poveri della popola-zione, innescano flussi migra-tori globali che portano popo-li e etnie a scontrarsi - e nona incontrarsi -, inducono leaziende a puntare al profittofacile e ignorare le gravi con-seguenze sociali e ambientalidel loro agire, portano le gran-di istituzioni internazionali,Unione Europea in testa, aprestare più attenzione a farquadrare il bilancio che a in-vestire in settori chiave di uti-lità pubblica che possano ga-rantire un futuro ai cittadini eai popoli che governano. Equesta è solo una superficialedescrizione del declino pros-

simo venturo che tutti sembraattenderci.Tutto ciò, afferma con forzaSimeone, rende sempre piùindispensabile il richiamo aun ruolo attivo dell’etica nellapolitica e nell’economia.“Sembra necessario”, cosìscrive l’Autore a p.15, “trac-ciare nuovi legami tra l’econo-mia e il benessere della so-cietà, tra lo sviluppo e l’equadistribuzione dei suoi frutti,perché una crescita senzagiustizia sociale comporta piùproblemi e distruzione di va-lore di quanto si possa imma-ginare”1.È quindi imprescindibile, con-tinua l’Autore, un governomondiale della globalizzazio-ne economica e finanziariache ne limiti le tendenze pola-rizzanti, così come un’attivapolitica di integrazione deglistranieri nella vita politica esociale in Stati soggetti a im-portanti flussi migratori (comel’Italia), una congiunzione traattenzione al profitto ed eticanelle aziende, una maggiorepropensione, da parte di Statie Istituzioni della vecchia Eu-ropa, a un welfare più agile,meno costoso e che abbia, trale sue priorità, il sostegno e latutela della famiglia, l’acces-sibilità reale dei giovani al

C. SIMEONE, Tra etica e declino, Milano, Mursia, 2006, pp. 209.

1 Spontaneo è il richiamo ad alcuni noti passi della Populorum Progressio di Paolo VI(in part. / 3, 5, 6, 8, 10, 14).

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mondo del lavoro, l’istruzione,l’accumulazione e la diffusio-ne del sapere, gli investimentiinfrastrutturali, una buona go-vernance politica e ammini-strativa (cfr. p. 134).E proprio alla famiglia Simeo-ne dedica l’ultimo capitolo,ribadendo come essa sia inestrema difficoltà nei PaesiOccidentali - e in Italia in par-ticolare – per cause culturali(prevalenza dell’interesse in-dividuale su quello collettivo),sociali (predominanza deiprocessi disgregativi su quelliaggregativi all’interno del cor-po sociale), politici (azioni di

governo puntate a ottenereobiettivi a breve anziché alungo termine) ed economici(tecnologia in sostituzione diforza lavoro umana nei pro-cessi produttivi, disoccupa-zione, precarizzazione delmondo del lavoro).La famiglia è il primo sogget-to a dover essere sostenuto efavorito da Stato e società ci-vile in modo che possa rilan-ciare la natalità, rivitalizzareil tessuto sociale e svolgere lapropria imprescindibile fun-zione educativa nei confrontidelle giovani generazioni.

S. De Toni

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Note redazionali

1. Gli articoli vanno inviati al seguente indirizzo:Domenico SimeoneUniversità Cattolica del Sacro CuoreVia Trieste, 1725121 BRESCIAcorredati dal relativo file di Word per Windows su supporto magnetico, oppure possono essere inviati al seguente indirizzo di posta elettronica: [email protected].

2. L’articolo dovrà essere accompagnato da: indirizzo pubblico o privato dell’autore, ente di apparte-nenza, qualifica, numeri di telefono o di fax, indirizzo di posta elettronica.

3. Criteri per la presentazione degli articoli:a) usare carattere Arial, corpo 12, interlinea 2, allineamento giustificato;b)usare il tasto enter (a capo) soltanto per i cambi di paragrafo;c) non usare comandi di sillabazione, stili o macro;d)non usare doppi spazi per allineare o far rientrare il testo;e) il titolo dell’articolo dovrà essere scritto in grassetto;f) usare i seguenti modi di subordinazione del testo: titolo grassetto tondo, titolo grassetto corsi-

vo, titolo tondo, senza numerazione;g) negli elenchi usare la seguente gerarchia: numeri seguiti da un punto: 1.; lettera minuscola segui-

ta da parentesi chiusa: a); lineette medie: -;h)dopo i segni di punteggiatura lasciare sempre uno spazio; non si devono invece mettere spazi pri-

ma dei segni di interpunzione, dopo una parentesi aperta e prima di una parentesi chiusa;i) nel citare i passi direttamente da un altro autore porre all’inizio e alla fine della citazione le vir-

golette “…” e, nel caso di omissioni all’interno di un brano, indicarle con […];j) le citazioni in nota a piè di pagina vanno redatte secondo i seguenti criteri:

- citazione da libriIniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgo-la, titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo e anno di edizione, intondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferimento(pp.) seguite dal numero.Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, La Scuola,Brescia, 2004, pp. 36-37.

- citazione da rivisteIniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgo-la, titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in titolo della rivistaper esteso in corsivo seguito dalla virgola, anno di pubblicazione seguito dalla virgola, numerodella rivista in corsivo seguito dalla virgola, indicazione della pagina (p.) o delle pagine di riferi-mento (pp.) seguite dal numero.Esempio: G. NOIA,“L’embrione: il figlio sconosciuto”, in Consultori Familiari Oggi, 2003, 2-3, pp. 27-41.

- citazione da volume collettaneoIniziale puntata del nome e cognome per esteso dell’autore in maiuscoletto seguito dalla virgo-la, titolo del contributo in tondo e tra virgolette “…” seguito dalla virgola, in iniziale puntata delnome e cognome per esteso del curatore del volume in maiuscoletto seguito dall’indicazione (acura di) e dalla virgola, titolo del volume in corsivo seguito dalla virgola, casa editrice, luogo eanno di edizione, in tondo e separati da virgole, eventuale indicazione della pagina (p.) o dellepagine di riferimento (pp.) seguita dal numero.Esempio: A. SERRA,“Sessualità: natura e cultura”, in N. GALLI (a cura di), L’educazione sessuale nel-l’età evolutiva,Vita e Pensiero, Milano, 1994, pp. 23-66.

- in caso di opere già citate precedentemente indicare soltanto l’autore, il titolo del volume o delcontributo e le pagine di riferimento.Esempio: L. PATI, Progettare la vita. Itinerari di educazione al matrimonio e alla famiglia, pp. 36-37.

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In copertina rielaborazione del dipinto “Gita in barca” di Mary Cassat - Washington, National Gallery