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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016 267 Immigrazione e salute mentale nell’Italia del 2016 1 Capitolo 4 / 4 1 A cura di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes. Il testo è stato elaborato della Società Italiana di Me- dicina delle Migrazioni (SIMM; www.simmweb.it) con i contributi di Marco Mazzetti, Massimiliano Aragona e Maria Chiara Monti.

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Immigrazione e salute mentalenell’Italia del 20161

Capitolo 4 /

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1 A cura di Caritas Italiana e Fondazione Migrantes.Il testo è stato elaborato della Società Italiana di Me-dicina delle Migrazioni (SIMM; www.simmweb.it) coni contributi di Marco Mazzetti, Massimiliano Aragonae Maria Chiara Monti.

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se consideriamo che nella storia dell’umanità,lo stile di vita stanziale è da considerarsi l’ecce-zione, piuttosto che la regola, dato che la speciehomo sapiens sapiens è stata, nel corso dei circa130.000 anni della sua storia, soprattutto no-made. In anni recenti, la letteratura scientifica si è piut-tosto focalizzata sull’identificazione di quei fat-tori in grado di promuovere, o viceversa di met-tere in pericolo, la salute psichica dei migranti. Per quanto riguarda il nostro paese, terra di im-migrazione privilegiata per millenni a causa del-le condizioni di vita particolarmente favorevoli(clima, fertilità della terra, centralità politica,amministrativa e geografica), divenuta per circa

“La Heimweh, questa malattia così spesso mor-tale, non è stata sinora descritta dai medici... Ilnome tedesco indica il dolore di coloro che si tro-vano lontani dalla Patria, e di coloro che temonodi non rivedere più la terra natale. I francesi, os-servando gli svizzeri colpiti in Francia da tale sven-tura, hanno coniato la definizione di mal du pays(malattia della patria), e, poiché essa non ha alcunnome in latino, così ho pensato di chiamarla dalgreco nostalgia, da nòstos, il ritorno in patria, ealgos, dolore e sofferenza”.Così il medico svizzero Johannes Hofer descri-veva, nella sua tesi di dottorato del 1688, unamalattia che osservava tra i mercenari svizzeri,presso i quali svolgeva la sua opera di medico:non solo ha coniato un termine che da allora de-scrive con efficacia quel particolare sentimentodi chi lascia un ambiente caro, ma ha anche datoquella che probabilmente è la prima codifica-zione psichiatrica di una patologia dell’emigra-zione. Egli, inoltre, come terapia di un quadroclinico psichiatrico proponeva un intervento ditipo sociale: il trasloco del paziente nella suaterra. Nella “Dissertatio Medica de Nostalgia” diHofer ci sono già in nuce gli elementi riconosciuticome essenziali nella moderna psichiatria del-l’immigrazione: un ruolo decisivo è giocato dal-l’esperienza stessa di migrare, e dalle condizionidi vita in cui i migranti si trovano a vivere; diconseguenza, anche gli interventi curativi e ria-bilitativi non possono prescindere, per essereefficaci, dalla dimensione sociale.Fatto salvo il precedente di Hofer, è però dall’800che le osservazioni cliniche sulla salute mentaledegli immigrati cominciano a trovare uno spazioregolare sulle pubblicazioni scientifiche; tuttaviaper molti anni esse hanno presentato caratteri-stiche essenzialmente aneddotiche, e fino allametà del ‛900 sembrano soprattutto aver con-tribuito a creare e a mantenere stereotipi e pre-giudizi contro i migranti, presentati non di radocome soggetti con una certa tendenza all’insta-bilità e alla vulnerabilità psichica (Ramney,1850; Foville, 1875; Ødegaard, 1932). Questeidee contrastano, prima ancora che con le suc-cessive evidenze scientifiche, con il buon senso,

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“Le osservazionicliniche e laricercascientifica hannocominciato asvilupparsi apartire dagli anni’90 del secolopassato.

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un secolo e mezzo terra di emigrazione (tra ‛800e ‛900) e poi da un trentennio tornata alla suavocazione storica di luogo di attrazione per lepopolazioni in movimento, le osservazioni cli-niche e la ricerca scientifica sono relativamenterecenti, proprio per l’intervallo storico in cuil’Italia ha dimenticato la propria connotazioneimmigratoria per diventare, per un periodo bre-ve nella storia dell’umanità (ma lungo se para-gonato alla vita media di noi esseri umani, tantoda far dimenticare una realtà storica più che mil-lenaria), paese di emigrazione.Le osservazioni hanno quindi cominciato a svi-lupparsi a partire dagli anni ‛90 del secolo pas-sato: i dati raccolti nel corso di numerose inda-

gini epidemiologiche, hanno consentito di de-finire quello che è stato chiamato “effetto mi-grante sano” (Geraci, 1995). Cioè: gli immigratipartono sani dal loro paese (cosa abbastanzaovvia, se si considera quanto impegnativo sia,in genere, il percorso migratorio, e come richie-da buona salute per essere affrontato), e sani dinorma arrivano nel paese ospite. Queste osser-vazioni, che si riferiscono a studi dei primi anni‛90, sono stati regolarmente confermati in se-guito: non esistono in misura significativa pa-tologie da importazione tra gli immigrati nel no-stro paese. Questi dati, riferiti all’epidemiologiacomplessiva dell’immigrazione in Italia, si sonorivelati validi anche in ambito psichiatrico: i tassi

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di ospedalizzazione per diagnosi psichiche tragli immigrati sono stati particolarmente bassi,e sostanzialmente in linea con quelli della po-polazione autoctona, nonostante quanto ci si sa-rebbe potuto attendere per la presenza di fattoridi rischio legati all’esperienza migratoria.Per quanto riguarda la salute in generale, le os-servazioni clinico-epidemiologiche hanno sem-mai consentito di rilevare, in base alle caratte-ristiche dei ricoveri ospedalieri della popolazioneimmigrata confrontata con quella italiana, chea incidere maggiormente sulla salute sono piut-tosto le condizioni di inserimento nel paese ospi-te. In altre parole, gli immigrati si ammalano inItalia a causa delle condizioni di vita in cui si tro-vano a vivere: ad esempio, mostrano tassi diospedalizzazione per infortunistica sensibilmen-te più elevati rispetto agli italiani, perché si con-centrano maggiormente nelle attività lavorativepiù pericolose (Geraci, 2001; Autori Vari, 2005-2016; INAIL, 2012). Anche in ambito psichiatrico si sono fatte osser-vazioni analoghe: le cosiddette “Post-MigrationLiving Difficulties” (PMLD: difficoltà di vita interra di immigrazione) sembrano giocare un im-portante ruolo tra i fattori di rischio per la salutementale insieme ai traumi subiti in patria primadella partenza (in specie per quanto riguarda imigranti forzati) e a quelli sofferti durante il per-corso migratorio (Aragona e coll. 2011, 2012,2013; Aragona, Geraci e Mazzetti, 2014). Questeosservazioni hanno suggerito ai ricercatori diconcentrarsi soprattutto sulla comprensione del-le dinamiche migratorie, e su come queste in-fluenzino la salute psichica dei migranti, peridentificare i fattori protettivi e quelli di rischioin grado di influirvi.Queste considerazioni, che hanno mantenutouna sostanziale validità per oltre un ventennio,sembrano però avere la necessità di qualche ag-giustamento legato ai fenomeni avvenuti nelcorso degli ultimi cinque anni, durante i qualiabbiamo osservato un cambiamento sia di tiposocio-demografico, sia legato al percorso migra-torio dei nuovi arrivati.Si è passati, infatti, a partire dalla cosiddetta“Emergenza Nord Africa” nel 2011, da una mi-grazione ordinaria di tipo economico, a un’altraessenzialmente di profughi, che presentano per-corsi migratori prolungati e spesso estremamen-te duri. Chi opera nel settore ha inoltre visto cre-scere il numero di assistiti di basso livello di istru-zione, spesso analfabeti, e con storie non solodi psicotraumatologia ma anche talora di emar-ginazione sociale precedente la migrazione. Leragioni di questo fenomeno non sono ancora deltutto chiare, e ci mancano anche dati ufficiali ingrado di confrontare con precisione, e sui grandinumeri, ad esempio i livelli di istruzione dei nuo-

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“Chi opera nelsettore ha vistocrescere il numerodi assistiti conbasso livello diistruzione, spessoanalfabeti, e constorie non solo dipsicotraumatologia,ma anche talora diemarginazionesociale precedentela migrazione.

Per rispondere a questa specifica uten-za, effetto in parte degli intensi flussimigratori che interessano la città, nel2000 nasce, all’interno del DSM del-l’Ospedale, il Servizio di Etnopsichia-tria, che è il punto di riferimento nelterritorio milanese per rispondere allenecessità di una popolazione anchestraniera vulnerabile e in condizioni didisagio psichico, che avrebbe accessosolo al Pronto Soccorso ed eventual-mente ai ricoveri negli SPDC.Il Sevizio offre cure integrate farma-cologiche e psicoterapiche, e percorsiriabilitativi di arteterapia e fotografia.L’equipe multidisciplinare (psichiatri,psicologi, educatori e assistente socia-le) si avvale di mediatori, e prende incarico il paziente con i suoi riferimenticulturali, che includono provenienzageografica e processo migratorio (set-ting transculturale).

Le principali tipologie di utenti sono: n portatori di disagio psichiatrico

complesso (inviati da reparti ospe-dalieri/pronto soccorso/ neuropsi-chiatria infantile/autoinvio);

n vittime di traumi estremi e torture(inviati dalla Commissione Territo-riale Richiedenti Asilo, servizi co-munali, Prefettura, centri di acco-glienza, privato sociale);

n invii del Tribunale per i Minorenni:giovani coinvolti in procedimentipenali, o coppie/adulti inviati pervalutazione delle capacità genito-riali.

Attualmente il servizio ha in cura circa250 pazienti.

Contatto

[email protected]

nell’organizzazione del territorio milanese, l’Ospedale Niguarda èil riferimento per i pazienti senza residenza o fissa dimora, fino aglianni ‛90 per lo più clochard e in seguito stranieri, la cui presenza si èquadruplicata dal 1998 ad oggi.

Servizio di EtnopsichiatriaOspedale Niguarda Milano

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vi arrivi con la precedente immigrazione in Ita-lia, che mostrava una popolazione con livelli diistruzione medio-elevati (Coccia, Pittau, 2016).Siamo francamente in difficoltà nel commentarequesta nuova realtà, proprio per l’assenza di datiche ci consentano ragionamenti basati su osser-vazioni scientifiche ragionevolmente affidabili,e l’ultima cosa che vogliamo è aggiungere la no-stra voce al coro di chi parla dell’immigrazionein base a impressioni personali e per sentito dire.Tuttavia ci troviamo a dover scegliere se tacerecompletamente questa che ci appare a tutti glieffetti come una nuova realtà, o parlarne, siapure con tutte le prudenze e le riserve del caso.Abbiamo scelto questa seconda opzione perchéprendere atto dei cambiamenti che appaiono es-sere in corso ha notevoli implicazioni sia per lepossibili scelte socio-assistenziali da compiere,sia soprattutto per i bisogni sanitari che da essastanno emergendo. E non solo in ambito psichia-trico, dato che la cosiddetta “health literacy” (chepossiamo tradurre con “alfabetizzazione sani-taria”) è un fattore chiave nella protezione dellasalute, ed è strettamente collegata ai livelli diistruzione generale.Pur in assenza di dati numerici, infatti, la realtàriportata dagli operatori impegnati nell’assi-stenza ai profughi, sia nello SPRAR sia neglialtri sistemi di accoglienza, è costantementecoerente con l’osservazione del mutamento so-cio-demografico di cui si è detto. Negli stessianni, inoltre, è stato possibile registrare un in-cremento sensibile dei ricoveri di pazienti stra-nieri negli ospedali psichiatrici italiani, ed è ipo-tizzabile (sia pur tutto da dimostrare) un qual-che tipo di relazione tra le due osservazioni. Perdare un’idea, nel 2009 i ricoveri di stranieri inpsichiatria sono stati 2.682 maschi e 3.362 fem-mine, più o meno in linea con gli anni prece-denti; nel 2011, i ricoveri sono passati a 4.518maschi e 4.909 femmine, mantenendosi anchenegli anni successivi intorno a quest’ordine digrandezza, con un incremento repentino e piut-tosto significativo, che non corrisponde a unaumento dello stock di immigrati nel paese, iquali erano stimati in 4.919.000 nel 2009 e in

5.011.000 nel 2011 (Da Silva e coll., 2016;IDOS, 2010, 2012). Di conseguenza, i tassi sonopassati da 122 a 188 ospedalizzazioni ogni100.000 immigrati residenti, con un incrementosuperiore al 50%. Non siamo ancora in possessodi dati disaggregati in grado di farci meglio com-prendere il fenomeno, tuttavia questa osserva-zione sembra indicare una situazione in evolu-zione rispetto al passato, e suggerisce la neces-sità di studi accurati per comprendere i cambia-menti in atto nella prevalenza di disturbi psichicitra richiedenti asilo e rifugiati. Altre osservazioni puntiformi sono state ripor-tate recentemente da alcuni servizi dedicati: ilServizio di Etnopsichiatria dell’Ospedale Ni-guarda di Milano (vedi box) ha registrato, adesempio, un incremento netto di primi contattidi pazienti stranieri negli ultimi 6 anni, che sonoquasi raddoppiati, e i ricoveri di pazienti stra-nieri nel SPDC dello stesso ospedale sono pas-sati, nello stesso periodo, dal 21% al 31% deltotale (Contini e coll., 2016). Il Servizio FeriteInvisibili della Caritas di Roma (vedi box) ha ri-ferito di un netto incremento del numero di se-dute di terapia erogate a ciascun paziente, spie-gato dagli autori con la maggior gravità e com-plessità delle patologie presentate dai soggettipresi in carico (Da Silva e coll., 2016). MediciSenza Frontiere ha condotto nel 2016 un’inda-gine qualitativa con un campione di operatorisociali e psichiatrici in Italia ed è giunta a con-siderazioni analoghe a quelle citate: “Dalle in-terviste effettuate sia con il privato sociale conlunga esperienza di trattamento di psicopatologietra i migranti, sia di psichiatri operanti in strut-ture pubbliche, è emersa una diversa tipologia delmigrante attuale che spesso si presenta con unsubstrato psichico già compromesso, con una ca-pacità di resilienza ridotta e in assenza di un pro-getto migratorio chiaro” (Medici Senza Frontie-re, 2016). Pur con tutta la prudenza del caso,e limitandoci a considerare indizi, e non prove,quanto fin qui descritto, alcune considerazionipossono esser fatte, in specie mettendo questeosservazioni in relazione con i fattori di rischioper la salute psichica degli immigrati.

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il servizio Ferite invisibili è nato alla finedel 2005, come parte del Poliambulatorioper Immigrati dell’Area sanitaria della Ca-ritas di Roma.

Il nome si riferisce al fatto che i traumi psicolo-gici, a differenza delle cicatrici dei traumi fisici,spesso non lasciano segni visibili, e possono es-sere difficili da identificare. Il servizio è quindi nato in modo specificata-mente dedicato alla psicotraumatologia dovutaalla violenza intenzionale, con un’attenzioneparticolare ai rifugiati vittime di tortura.L’attività del servizio, composto da psichiatri,psicologi, psicoterapeuti e personale di acco-glienza, si svolge in modo strettamente integratocon i centri in cui i richiedenti asilo e i rifugiatisono accolti, e si basa su questi principi:n assistenza clinica specializzata offerta da

un’équipe con una specifica formazione edesperienza sul tema;

n interventi socio-sanitari integrati con l’assi-stenza sociale, educativa e legale;

n attività di certificazione psicologica e psichia-trico-forense;

n ricerca per individuare gli aspetti clinico-epi-demiologici salienti di questa popolazione, ela messa a punto di strumenti di screening;

n formazione del personale coinvolto a vario ti-tolo nell’accoglienza e nell’assistenza dei pro-fughi vittime di violenza;

n attività di advocacy per la promozione dei di-ritti dei richiedenti asilo in rete con societàscientifiche (SIMM) e altre associazioni a que-sto deputate.

Nel periodo 2005-2015 sono stati presi in carico309 pazienti.

Contatto

[email protected]

Il Servizio Ferite Invisibili della Caritas di Roma

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Fattori di protezione e di rischio per la salutepsichica dei migranti

In base all’analisi della letteratura scientificae a una serie di indagini fatte sul campo, è pos-sibile identificare una serie di fattori di resilienzain grado di proteggere la salute psichica dei mi-granti (Aragona, Geraci e Mazzetti; 2014, Maz-zetti, 2008). Il termine “resilienza” è entrato in anni recentinel lessico psichiatrico, preso in prestito dall’in-gegneria: esso, infatti, esprime la capacità di unmateriale di resistere a urti e tensioni mante-nendo le sue proprietà o riacquisendole al ter-mine dell’evento, e deriva dal latino resilire, chesignifica rimbalzare. È stato efficacemente tra-sposto in ambito psichiatrico per esprimere lacapacità di sopportare i traumi conservando unabuona salute psichica. Premesso ciò, nella presain cura della salute psichica dei migranti, si è ri-tenuto utile considerare la migrazione come unevento ad alta intensità emotiva, capace di avereun impatto notevole sull’attività psichica dei sog-getti, qualcosa di simile a un trauma, sia puresui generis. Un trauma quasi di tipo “iniziatico”,capace, se ben superato, di portare a una crescitapositiva della persona, ma tuttavia impegnativoda affrontare.In base all’esperienza clinica e soprattutto aquanto riportato dalla letteratura scientifica pos-siamo raggruppare i fattori di resilienza in dueinsiemi principali, quelli che fanno capo alle ca-ratteristiche individuali e quelli connessi al pro-getto migratorio dell’individuo. Un terzo grupporilevante può essere individuato nel supportosociale che l’immigrato trova sul suo cammino.Per quanto riguarda le caratteristiche individuali,esse dipendono innanzitutto dalla solidità dellapersonalità del soggetto, che può essere espressacome la capacità di conoscere e comprendere sestessi e gli altri (cioè di “mentalizzare”, di con-cettualizzare sé e gli altri in base ai pensieri ealle emozioni di ciascuno e di comportarsi diconseguenza), di saper costruire relazioni inter-personali positive, di avere buoni strumenti digestione delle difficoltà. Insieme a un’esperienzaprecedente di vita di successo, queste caratteri-stiche agevolano in genere un buon adattamen-to. A essa vanno aggiunte una buona salute psi-chica pre-migratoria e la solidità e la flessibilitàdell’identità culturale, molto più facili da osser-vare in chi ha livelli di istruzione elevati. Chi èconsapevole, infatti, dei propri riferimenti cul-turali è spesso più interessato, curioso, aperto eflessibile nei confronti di sistemi diversi dal pro-prio. Viceversa, come è facile intuire, personalitàfragili, che presentano stili relazionali deficitari,

di basso livello culturale e che hanno già speri-mentato condizioni di emarginazione socialeprima della migrazione si trovano comprensi-bilmente in condizioni di maggiore difficoltà;tanto più se condizioni psicopatologiche (distur-bi della personalità, quadri clinici psicotici ec-cetera) erano già presenti in partenza.Le osservazioni sopra riportate sui recenti flussiin entrata in Italia sembrano mostrare, come di-cevamo, un indebolimento di questi fattori diresilienza, sia per le caratteristiche demografiche(bassi livelli di istruzione e condizioni di emar-ginazione sociale pre-migratoria, spesso eviden-ziati dalle anamnesi) che psicologiche (perso-nalità più fragili, per alcune delle quali sono statidocumentati anche ricoveri psichiatrici primadella partenza). Come vedremo, prendere attodi questi cambiamenti è fondamentale per pre-disporre le opportune misure di accoglienza edi assistenza. Il secondo fattore di resilienza de-cisivo è il progetto migratorio: a esso è in genereancorato il sistema motivazionale delle personee la loro capacità di immaginarsi e progettarsinel futuro. Saper fare progetti realistici e inve-stire sulla propria capacità di insediamento nelpaese ospitante è un elemento chiave; viceversa,l’assenza di un progetto migratorio, o il fallimen-to dello stesso sono tipicamente configurati inletteratura come fattori di rischio.Questo specifico aspetto è in genere un puntodebole per i migranti forzati: essi lasciano il pro-prio paese, infatti, non sulle ali di intense moti-vazioni a crearsi una nuova vita altrove, ma spin-ti da condizioni che impediscono loro di conti-

“Saper fareprogetti realisticie investire sullapropria capacitàdi insediamentonel paeseospitante è unelemento chiave;viceversa,l’assenza di unprogettomigratorio, o ilfallimento dellostesso si sonotipicamenteconfigurati inletteratura comefattori di rischio.

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nuare la loro vita a casa. Per i profughi, i fattoridi espulsione dalla madrepatria dominano, dinorma, su quelli di attrazione nel paese d’ap-prodo, il quale, in molti casi, non è neppure frut-to di una scelta consapevole, ma è determinatodalla casualità dei mezzi utilizzati per la fuga edei percorsi disponibili. Inoltre, la crisi econo-mica e la recessione in atto dal 2008 hanno resopoco ricettivo il mercato del lavoro, ostacolandomaggiormente l’elaborazione di progetti migra-tori realistici tra chi è giunto in Italia negli ultimianni. Infine si è accennato, come terzo macro-fattore di resilienza, al supporto sociale efficace,che possiamo definire come la condizione di ac-coglienza in grado di sostenere l’individuo sianei suoi bisogni emotivo-relazionali sia in quellimateriali, aiutandolo nella realizzazione del pro-getto migratorio e favorendone l’integrazionesociale e psicologica. Per assicurare un adeguatosostegno sociale, possono entrare in gioco attorinumerosi e diversi: familiari e amici arrivati inprecedenza, comunità etnica di origine, agenziepubbliche o del privato sociale eccetera. È questoil territorio tipico delle “post-migration living dif-ficulties” (PMLD) cui si è accennato in preceden-za, e di cui si parlerà in dettaglio più avanti. Inmolti casi, le PMLD appaiono proprio come unacondizione di accoglienza sociale inadeguata omanifestatamente ostile.Infine, va ancora considerato tra i fattori di vul-nerabilità, quello che siamo soliti definire stressda transculturazione; si tratta di qualcosa di ana-logo a ciò che gli antropologi chiamano shockculturale, ma preferiamo evitare il termine

“shock”, che in medicina assume altri significati,mentre “stress”, con tutte le implicazioni psico-neuro-endocrino-fisiologiche connesse, corri-sponde con più esattezza ai fenomeni osservati.La capacità di gestire una situazione nuova, spes-so non facilmente comprensibile a prima vista,non è scontata. La complessità degli stimoli ègrande: dall’impatto con la lingua locale da cuidipende la sopravvivenza dell’immigrato fin daiprimi giorni, alle comunicazioni non verbali ealla prossemica, talora ancora più difficili da in-terpretare che la lingua stessa, alla percezionedi avere un corpo straniero, cioè di portare trattisomatici che indicano immediatamente un’ap-partenenza estranea, e che possono essere ber-saglio di atteggiamenti razzisti o comunqueemarginanti. Tutti questi fenomeni contribui-scono a determinare lo stress da transcultura-zione. Inoltre va considerata la difficoltà di ge-stire quello che può apparire come un sovverti-mento nei costumi etici, dovuto a usanze dateper scontate nel paese di approdo e del tuttoinaccettabili in quello di origine del profugo. Daquesto punto di vista, la distanza geografica dalpaese d’origine e, ancor più, quella culturale,sembrano essere particolarmente rilevanti neldeterminare l’intensità dello stress da transcul-turazione (Kinzie, 2006): per esempio, il profugoche arriva da un paese anche lontanissimo, mache abbia un’eccellente istruzione universitaria,avrà con molte probabilità una buona capacitàdi leggere le diverse situazioni nella terra ospite,perché l’istruzione elevata presenta molte ana-logie in quasi tutti i paesi del mondo. Viceversa

“La capacità di gestire unasituazione nuova,spesso nonfacilmentecomprensibile aprima vista, nonè scontata.

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Il C.I.S.S. è un’equipe di lavoro for-mata da operatori sanitari dell’Ausl(Medici, Psichiatra, infermieri,Ostetrica, Educatore, ecc.) e da ope-ratori sociali e giuridici di CIAC: ilgruppo si incontra 2 volte al mese,presso gli ambulatori di Spazio Sa-lute Immigrati, per la programma-zione socio-sanitaria dei casi in ca-rico. Alla riunione vengono invitatianche gli operatori (psicologi, psi-chiatra, assistente sociale, ecc…)che, territorialmente, hanno in ca-rico il beneficiario.Negli anni è stato possibile raffor-zare il Protocollo d’Intesa conl’AUSL di Parma: inizialmente de-dicato alla presa in carico delle vit-time di tortura e violenza, si è viavia ampliato anche alle situazionidi disagio mentale, donne sole e

MSNA. Attualmente si sta lavoran-do alla ristesura del Protocollo, checoinvolgerà i Comuni Capo-Distret-to della Provincia di Parma el’Azienda Ospedaliero-Universitariadi Parma. Per le situazioni di disagio mentale,lo Psichiatra componente delC.I.S.S., oltre ad una valutazionepreliminare (anche tramite collo-qui) dei casi in carico al C.I.S.S., hail compito di inviare i beneficiaripresso i Centri di Salute Mentaleterritorialmente competenti, al finedi attivare tempestivamente la pre-sa in carico.

[email protected]

da anni è attiva una Collaborazione tra l’AUSL di Parmae l’Associazione CIAC Onlus (ente gestore SPRAR per i Comunidi Parma e Fidenza) formalizzata nel 2009 con un Protocollod’Intesa che istituisce il “C.I.S.S.- Coordinamento Interdiscipli-nare Socio Sanitario CIAC-AUSL” per la presa in carico di ri-chiedenti asilo e rifugiati in situazione di vulnerabilità.

Il C.I.S.S.Coordinamento Interdisciplinare Socio Sanitario CIAC-AUSL di Parma

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il soggetto analfabeta, i cui riferimenti culturalivanno poco oltre i confini del suo villaggio diorigine, proverà con maggior probabilità unasensazione di straniamento nei confronti dellanuova realtà. Infine, tra i richiedenti asilo sono la regola anchele perdite e i lutti, sia della propria terra e delproprio mondo socio-affettivo, sia molto spessodi persone fisiche, e sono numerosissimi, nellanostra esperienza, i richiedenti asilo che hannoperduto non solo persone care lasciandole alpaese di origine, ma anche a causa di eventi lut-tuosi, spesso drammatici, prima e durante il tra-gitto migratorio.Come abbiamo visto, in base alle osservazionisocio-demografiche condotte sui flussi recentidi richiedenti asilo, ci troviamo di fronte a unapopolazione in cui appaiono essere preponde-ranti i fattori di vulnerabilità rispetto a quelli diresilienza: caratteristiche personali meno solideche in passato, a seguito della riduzione almenoparziale dell’effetto migrante sano, e che ren-dono i richiedenti asilo più vulnerabili rispettoallo stress da transculturazione; progetto migra-torio inesistente o reso assai difficoltoso dallecondizioni economiche del paese ospite in re-cessione; supporto sociale lacunoso e, infine,esperienze luttuose e traumatiche di cui ci oc-cuperemo in dettaglio tra poco. Non sorprendeche con queste premesse si sia osservato un in-cremento del ricorso ai servizi psichiatrici, e chela risposta di questi appaia difficoltosa, per laforte pressione cui sono stati sottoposti in modorelativamente inaspettato, e per la necessità disviluppare competenze cliniche e fornire risposteanche organizzativamente nuove: ad esempio,il basso livello di istruzione si traduce in scarsaconoscenza delle lingue coloniali (inglese, fran-cese, portoghese) da parte dei richiedenti asilo,con la conseguente necessità e difficoltà di tro-vare traduttori in lingue locali poco diffuse.Questa è la nostra sfida, oggi: creare rapidamen-te competenze operative, di tipo clinico e orga-nizzativo, per offrire risposte appropriate a unbisogno di assistenza psichiatrica che appare increscita.

Traumatizzazione e ritraumatizzazioneLa migrazione di per sé è un evento complessoche, come abbiamo visto, può essere vissuto inmaniera traumatica. Tuttavia in psicotraumato-logia quando si parla di traumi, o meglio di even-ti potenzialmente traumatici, è d’uso riferirsi aquegli eventi che la persona subisce direttamenteo di cui è testimone, o di cui viene a conoscenzase riguarda persone della sua stretta cerchia, ca-

Lo SPRAR del Comune di Modena

Psicologi e psichiatri del DSM eoperatori SPRAR si incontrano tri-mestralmente per una valutazionecongiunta dei casi in carico, il mo-nitoraggio sulla loro evoluzione,l’armonizzazione degli interventiclinici e socio-assistenziali, e perregolari sessioni di supervisionecongiunte. Sono stati creati per-corsi agevolati per la presa in ca-rico rapida dei beneficiari pressoi servizi di salute mentale.La condivisione di punti di vistadifferenti (legale, socio-assisten-ziale, educativo, medico e psico-logico) consente una presa in ca-rico integrata dei beneficiari vit-time di trauma o violenza, o co-munque in condizioni di sofferen-za psichica.L’opera di ascolto e conoscenzasvolta dagli operatori consente diricostruire un quadro accuratodella situazione del beneficiario,

del suo vissuto nel paese d’origine,del percorso migratorio, e dellasua condizione in Italia; inoltre neagevola la presa di coscienza didifficoltà e sintomi, e l’invio ai ser-vizi. Le professionalità e gli stru-menti specifici degli psichiatri edegli psicologi consentono cosìl’intervento terapeutico più indi-cato per la condizione della per-sona. Il beneficiario è così seguito dadue servizi complementari, di cuicomprende bene differenze dicompiti e ruolo, e spirito di colla-borazione per promuovere la suasalute e la sua autonomia.

Contatto

Progetto RifugiatiSPRAR Comune di [email protected]

il progetto rifugiati sprar del Comune di Modena haattivato dal 2010 una collaborazione con il Dipartimento diSalute Mentale e Psicologia Clinica dell’AUSL di Modena.

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ratterizzati da “morte reale o minaccia di morte,grave lesione, oppure violenza sessuale” (AmericanPsychiatric Association, 2013). Questa defini-zione copre un amplissimo spettro di possibilieventi: catastrofi naturali, incidenti, episodi av-venuti in battaglia, aggressioni, violenza pub-blica e privata eccetera. In questi casi la migra-zione, specie se avviene nelle condizioni difficilicui abbiamo accennato in precedenza, può co-stituire, come vedremo, un evento ritraumatiz-zante. Oggi sempre di più, a causa degli stravol-gimenti geopolitici in seno a molti paesi africanie asiatici, per i richiedenti protezione interna-zionale ognuno di questi eventi può essere oc-corso, ed in più vi è spesso una specificità legataal fatto che nei casi di esposizione a situazionidi violenza subita (e che ha spinto la persona ascappare dal proprio paese, la cosiddetta “mi-grazione forzata”) essa è di tipo intenzionale.Ciò vuol dire che qualcuno ha perpetrato attibrutali volti a infliggere dolore e/o morte perscopi definiti, verso qualcun altro, in modo vo-lontario e consapevole. Questo comporta unamaggiore peculiarità del trauma, definito anche“trauma estremo”: violenze interpersonali ripe-tute, praticate volontariamente da una personae/o da un gruppo, in una situazione di privazio-ne della libertà. L’esempio simbolo di tale tipo-logia di esperienza è quello della tortura, definitadall’ONU “qualunque atto che per mezzo di gravidolori o sofferenze, o fisiche o mentali, sia inten-zionalmente inflitto a una persona per scopi qualiottenere da questa o da terzi informazioni o unaconfessione, punirla per un atto che essa o una ter-za persona ha commesso o si sospetta che abbiacommesso, o intimidire o costringere essa o unaterza persona, per una ragione qualsiasi basatasu una discriminazione di qualunque tipo, quandotale dolore o sofferenza è inflitta da o su istigazionedi o con il consenso o il tacito consenso di un pub-blico ufficiale o di altra persona che agisce nel-l’ambito delle sue funzioni ufficiali”.In generale, oltre alla tortura, si parla di “trat-tamenti inumani e degradanti” per tutte quelleviolenze intenzionali che minano profondamen-te la dignità della persona (per esempio, la ri-

duzione in schiavitù o la tratta), anche se nonperpetrate da pubblici ufficiali. Molti migrantiche giungono in Italia e la quasi totalità dei ri-chiedenti protezione internazionale denuncianol’aver subito eventi di questo tipo, soprattuttoprima della partenza dal proprio paese (in que-sto caso il trauma ha agito come “push factor”),così come durante il passaggio in paesi di tran-sito (violenze dei passeurs, sequestri, detenzioni,

Progetto SPRAR disagio mentale Comune di Terni

L’utenza di riferimento sono ri-chiedenti asilo e rifugiati politiciche abbiano manifestato, a segui-to del loro percorso migratorio,problematiche di tipo psichico(massimo 5 persone). Il progettoapplica un modello di accoglienzae integrazione sociale, gestito dauna équipe multi professionale(psichiatra, psicologo, mediatoriculturali, interpreti, operatori so-ciali d’ambito psichiatrico) che hacome obiettivi la risocializzazione“protetta” e la riabilitazione psi-co-fisica del paziente - utente. Gli strumenti utilizzati sono:n Progetto Terapeutico Indivi-

dualizzato;n Attività di formazione lingui-

stica;n Sistema di monitoraggio e con-

trollo;n Tirocinio risocializzante in una

Comunità Agricola – centrodiurno.

I beneficiari SPRAR presentanospesso disturbi di tipo reattivo,correlati ai traumi accumulati sianei paesi d’origine (quasi sempreteatro di guerra), sia nel percorsomigratorio che li ha portati in Italia(quasi sempre drammatico); di-sturbi cioè che hanno un possibilecarattere di transitorietà e rapidomutamento, e che quindi necessi-tano di interventi tanto specificiquanto tempestivi, al fine di nondissipare il potenziale evolutivo eriabilitativo del paziente. Nei pro-getti SPRAR Disagio Mentale si ar-ricchisce e necessita di una presain carico della persona particolar-mente articolata, ampliando i pro-pri obiettivi dalla risocializzazione“protetta” alla riabilitazione psi-co-fisica del paziente.

Contatto

[email protected]

dal marzo 2014, nel comune di Stroncone (Terni) è attivoun Progetto SPRAR che ha come ente gestore un ATS tra As-sociazione di volontariato San Martino (Caritas diocesanaTerni, Narni, Amelia), Arci Comitato provinciale Terni, ArciSolidarietà Terni, Laboratorio Idea, Cooperativa il Cerchioe Cooperativa sociale la Speranza come fornitore di servizisocio sanitari psichiatrici.

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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016

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stupri). Più sopra abbiamo definito questi eventicome “potenzialmente” traumatici, poiché si èriscontrata un’importante differenza tra espo-sizione a eventi potenzialmente psicotraumaticied effettiva prevalenza del Disturbo da StressPost-Traumatico (PTSD). Ciò vuol dire che se daun lato l’evento-trauma in sé provoca un com-plesso corteo di reazioni psicologiche, dall’altrolato non c’è una relazione di necessità tra traumae PTSD. In altre parole, non c’è una relazionecausa-effetto diretta, ma interviene un’altra seriedi fattori, tra i quali, come in parte abbiamo giàdetto in precedenza, le caratteristiche identitariedella persona esposta al trauma, le sue difesepsicologiche (la resilienza e la capacità di co-ping), le sue appartenenze culturali, familiari ereligiose, il modo in cui ha integrato l’eventonella propria esperienza soggettiva e culturale,da cui deriva poi il vissuto di tale esperienza, eil senso che gli ha dato. Inoltre, la deriva psicopatologica dell’esperienzaverso un’eventuale vero e proprio PTSD dipendeanche dal contesto nel quale essa è avvenuta edagli eventi che sono succeduti al trauma: alcunine possono mitigare gli aspetti traumatizzanti,mentre altri invece costituiscono una catenadrammatica, che ne complica ulteriormente gliesiti. Infatti, gli studi concordano nel suggerireche vi sia un effetto quantitativo legato all’esor-dio della sindrome, per cui maggiore è il numerodi traumi subiti, maggiore è il rischio relativo disviluppare un PTSD (cfr. Aragona et al., 2014).La natura di tali traumi, legata alla ferocia (poi-ché perpetrati da un altro individuo) e alla vo-lontarietà delle azioni di violenza, come abbia-mo detto, provoca effetti più gravi e rende le vit-time più vulnerabili alle già citate “difficoltà vi-tali post-migratorie” (PMLD).Questo ci introduce al concetto di traumatizza-zione secondaria, con il quale si intende la riat-tivazione dell’esperienza traumatica attraversonuovi eventi. In effetti, questo è un dato ricor-rente nell’esperienza dei migranti traumatizzati:essi non solo hanno dovuto subire esperienzetraumatiche gravi prima della partenza e/o du-rante il viaggio, ma dopo l’arrivo in Europa la

loro condizione di vulnerabilità li espone a ul-teriori ritraumatizzazioni, sia per la non suffi-ciente tutela di alcune parti del sistema di acco-glienza (si pensi ad esempio ai migranti ospitatiin CARA sovraffollati dove è più probabile cheavvengano frizioni tra gruppi di ospiti), sia perle situazioni traumatiche legate alle nuove bar-riere interne (si pensi ai migranti, spesso famigliecon anziani e bambini, che ai confini balcanicisi sono visti sparare contro pallottole di gommae lacrimogeni), sia perché una parte delle per-sone esce dal circuito dell’accoglienza (ad esem-pio, i transitanti che si allontanano prima di ve-nire registrati) entrando a volte in logiche illegalia rischio di nuovi soprusi e di deriva sociale. Questi eventi, oltre ad avere un possibile effettopsicotraumatico intrinseco per la loro gravità(si pensi alle violenze sulle donne vittime di trat-ta), spesso sono patogeni perché riattivano ilvissuto traumatico originario al quale vengonoassociati (ad esempio la riattivazione traumaticadel torturato che ha un iperarousal ansioso quan-do deve andare in questura, perché i poliziottiin uniforme gli ricordano i perpetratori del trau-ma). A queste esperienze potenzialmente ritrau-matizzanti, si associano poi altre difficoltà vitalipost-migratorie (noia, discriminazione, scarsoaccesso ai servizi, lungaggini burocratiche, pre-occupazioni per la propria vita e per quella deifamiliari, paura dell’espulsione, povertà eccete-ra) che nell’insieme vanno a completare il qua-dro delle PMLD. Le ricerche dimostrano che le PMLD hanno unruolo patogeno definito. In particolare, si è visto(Aragona e coll., 2014) che nei rifugiati e richie-denti asilo avere più esperienze di questo tipocomporta un aumentato rischio di sviluppareun PTSD, con un aumento di gravità dei sintomi,una resistenza al processo terapeutico e unamaggior difficoltà nel processo di integrazionesociale.In generale, l’aver subito traumi nel paese di ori-gine, unitamente a condizioni di disagio nel pae-se ospite, tende a peggiorare il livello di soffe-renza psicopatologica. E occorre sottolineareche se ridurre il rischio di incorrere in esperienzetraumatiche pre-migratorie è complesso, e ne-cessita un lungo lavoro a livello internazionalecontro le diseguaglianze e la conflittualità inmolte zone del mondo, i tempi sono decisamentepiù brevi per intervenire sulle difficoltà di vitapost-migratorie. Vista la loro alta frequenza el’impatto esercitato dalle stesse sulla salute men-tale dei migranti (e di conseguenza sulle possi-bilità di integrazione sociale e sui comportamen-ti a rischio), è da sottolineare l’importanza di in-cidere subito sulle politiche di accoglienza, perdiminuire i fattori di rischio e la possibile trau-matizzazione secondaria.

“Eventi come latortura sonoappositamentecongegnati peravere il massimoeffettotraumaticopossibile, e ciò ècoerente con ilfatto che essa hatra le sue finalitàpiù proprie quelladi distruggere lapersonalità dellavittima.

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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016

Esiti di torture e violenzesulla salute mentaleLe violenze intenzionali di cui si è trattato nelprecedente paragrafo hanno, come si diceva, uneffetto psicotraumatico intrinseco e specifico.Attraverso la nostra esperienza sappiamo che levittime di tortura difficilmente approdano aiservizi di salute mentale: accedono più facil-mente all’assistenza medica come portatori diun disagio che assume le forme più varie: ma-lesseri poco chiari, cefalee resistenti, disturbisomatici senza riscontro medico, insonnie, irri-tabilità. Raramente emergono i quadri più gravi:depressioni, fenomeni dissociativi come i fla-shback, disturbi della memoria (amnesie, diffi-coltà a memorizzare esperienze nuove), abusodi sostanze, comportamenti autolesionistici, ten-tati suicidi.Raramente il curante riconosce subito la feno-menologia della violenza estrema. Questo acca-de perché la tortura crea un paradosso: lasciaun segno indelebile nella memoria e nella per-sonalità della vittima e allo stesso tempo appareinenarrabile. Il suo affacciarsi alla parola rap-presenta uno sconvolgimento insopportabile peril paziente, che la relega inconsciamente in unazona intrapsichica tra la memoria e la parola,ma che in realtà non abita né la memoria (leesperienze traumatiche non entrano nel registro

del ricordo, piuttosto sono fatti-agenti come fos-sero ancora nel tempo presente), né la parola(le esperienze non possono essere raccontate). Marcelo Viñar, psicoanalista uruguayano, eglistesso vittima di tortura, spiega che esiste unospazio, una distanza, tra l’accaduto e il racconto,tra l’esperienza del trauma e la sua rappresen-tazione. Esiste cioè una sorta di bolla spazio-temporale tra i fatti dell’atrocità e una possibiletrasformazione in racconto o in una storia nar-rabile, e a questo proposito scrive: “Come pensarel’intervallo tra l’esperienza del trauma – valangadi paura e orrore – e la sua configurazione comestoria, come esperienza rappresentabile, narrabile?Come attualizzare questo luogo psichico, frangiadi follia, che articola il registro della percezione edell’allucinazione, dell’esperienza della veglia conquella onirica?” (Viñar, 2005, pag. 34).Continua spiegando che la violenza in sé è in-trinseca all’esperienza umana, ma che la sua in-trinsecità è tale solo se essa è trasformabile inparola. Invece, la parola sulla violenza cessa diesistere e si crea uno spazio-senza-parola, luogoin cui si raccolgono i depositi psichici traumaticidi cui unico testimone si fa il corpo. Il corpo na-sconde biografie, storie, narrazioni, così comeorrori, vicende esecrabili e mai dicibili.Le vittime sono portatrici silenziose di un dram-ma che non può essere raccontato e che pochivogliono ascoltare. Si crea un intreccio fatale tra

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la difficoltà di parlare dell’esperienza di violenzaestrema da parte delle vittime e il rifiuto, nonintenzionale, degli operatori ad accoglierne lenarrazioni, per un timore inconscio ad accostarsia materiale tanto doloroso, come contagiatidall’evitamento della vittima. Abbiamo assistitoalla cecità dei medici o degli operatori dell’ac-coglienza dinanzi a cicatrici anche evidenti, esitodi torture, o alle psicopatologie da trauma estre-mo.La dinamica di nascondimento inconsapevole èintrinseca alla natura della violenza estrema:non ci sono parole per testimoniare qualcosache si colloca al di fuori di ogni esperienza uma-na, e non c’è ascolto per consentirne l’emersione.Ancora Viñar: “Della tortura nessuno ama saperené può credere, dando spazio al disconoscimentoattivo che l’orrore convoca e provoca. Per il terrorenon esiste la giusta distanza possibile, solo l’evi-tamento”. Per tali ragioni il fenomeno è avvoltodall’invisibilità. Eventi come la tortura sono ap-positamente congegnati per avere il massimoeffetto traumatico possibile, e ciò è coerente conil fatto che essa ha tra le sue finalità più propriequella di distruggere la personalità della vittima.Le reazioni psicopatologiche in chi è stato sot-toposto a torture e violenze intenzionali sonopiuttosto variegate. È doveroso dedicare unospazio al Disturbo da Stress Post-Traumatico (Post-Traumatic Stress Disorder, PTSD), il quadro cli-nico che la psichiatria identifica come specificodelle vittime esposte a un trauma. Secondo ilDSM-5 (American Psychiatric Association, 2013)la reazione psicotraumatica è caratterizzata daun certo numero (prefissato nel manuale) deisintomi trattati di seguito:n Ricordi dolorosi, intrusivi, involontari e

ricorrenti dell’evento traumatico. La per-sona può apparire a volte come assorta, men-tre al suo interno vi è una lotta tra pensieri ericordi disturbanti e lo sforzo attivo e spessoinefficace di respingerli.

n Alterazione della coscienza, con vere e pro-prie reazioni dissociative (come i flashback)in cui l’individuo sente o agisce come sel’evento traumatico si stesse ripetendo. Dalpunto di vista di chi osserva, in casi di questotipo si vede la persona che si blocca, come senon fosse più in contatto con l’ambiente cir-costante, occupato da immagini o suoni, vi-vidi o sfumati, in cui il vissuto traumatico siripropone in tutta la sua drammaticità e conil corrispondente vissuto affettivo.

n Incapacità di ricordare aspetti importantidell’evento traumatico (fenomeno che rien-tra anch’esso nelle alterazioni dissociativedello stato di coscienza, in questo caso perun’amnesia dissociativa).

n Sofferenza fisica e/o psicologica dinanzi

a stimoli che simbolizzano o richiamanol’evento traumatico o un suo aspetto. È spessofonte di ritraumatizzazioni secondarie. Ciòfa sì che la persona cerchi di sottrarsi a questasofferenza sforzandosi di evitare quegli ele-menti esterni (persone, posti, conversazioni,attività, oggetti, situazioni) che possano rie-vocare e attivare ricordi, pensieri o sentimentiassociati all’evento traumatico. Ad esempio,per una persona torturata dai militari in centridi detenzione uno stimolo scatenante può es-sere il trovarsi di fronte a forze dell’ordine oa personale in divisa, in situazioni in cui lapersona deve rispondere a domande o a uninterrogatorio, il che la riporta a rivivere espe-rienze del passato. Ciò comporta a volte dif-ficoltà impreviste nel normale espletamentodi pratiche necessarie per un richiedente pro-tezione: persone che non riescono ad andarenella stazione di polizia (dove c’è l’ufficio pre-posto) per avviare la pratica; altre che si bloc-cano durante l’audizione in commissione per-ché si sentono sotto interrogatorio, eccetera.

n Disturbi del sonno, con difficoltà a iniziarloo a mantenerlo, o quasi totale assenza di son-no, a causa di rimuginio o pensieri intrusivi,senza riuscire a rilassarsi. Quando alla fine,stremati, i pazienti riescono ad addormentarsi,arrivano incubi ricorrenti nei quali il contenutoe/o l’affetto del sogno sono legati all’eventotraumatico con importanti ricadute nel fun-zionamento diurno.

n Credenze o aspettative negative circa sestessi, gli altri o il mondo (per es. “Io sonocattivo”, “Non mi posso fidare di nessuno”, “Ilmondo è un posto del tutto pericoloso”, “Ilmio sistema nervoso è rovinato per sempre”).A volte questi pensieri distorti riguardano lecause e le conseguenze dell’evento traumaticoe conducono la persona a incolpare se stessoo gli altri (ad es. i pazienti possono sentirsi incolpa di essere gli unici sopravvissuti, oppureper essere stati la causa, magari con il proprioimpegno politico, delle sofferenze occorse aipropri familiari).

n Stati emotivi persistentemente negativi(per es. orrore, rabbia, colpa o vergogna);marcata diminuzione nell’interesse o nel pia-cere di fare le cose; sentimenti di distacco odi estraneità nei confronti degli altri; persi-stente incapacità a sperimentare emozionipositive.

n Iperarousal, ovvero l’iperattivazione del si-stema nervoso simpatico (e di conseguenzadi tutta una serie di ormoni dello stress, etc.)che fa parte di una reazione normale ed evo-lutivamente sana in situazioni di pericolo rea-le, e che diventa patologica nel momento incui il sistema continua ad essere attivato no-

“Per una personatorturata daimilitari in centridi detenzioneuno stimoloscatenante puòessere il trovarsidi fronte a forzedell’ordine o a personale in divisa, in situazioni incui la personadeve risponderea domande o aun interrogatorio,il che la riporta a rivivereesperienze del passato.

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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016

nostante la situazione di pericolo non sia piùpresente. In un più generale quadro di ipe-rattivazione si inscrivono vari sintomi post-traumatici come il comportamento irritabilee gli scoppi d’ira, alcuni comportamenti a ri-schio o autodistruttivi, la continua ipervigi-lanza con eccessive risposte di allarme (le per-sone che “scattano” improvvisamente a unbanale rumore). Occorre notare che gli scoppid’ira apparentemente immotivati sono moltevolte una manifestazione che provoca allarmee che spesso non viene riconosciuta come pos-sibile espressione di una sofferenza post-trau-matica.

n La difficoltà di concentrazione è un sintomonotevolmente importante perché influenzain modo negativo il percorso di integrazione.Essa è dovuta sia alla sonnolenza conseguente

all’insonnia di cui si diceva sopra, sia al fattoche i pensieri intrusivi disturbano i processicognitivi.

Il limite della categoria diagnostica deriva dalfatto che nel complesso questi sintomi rappre-sentano alcuni modi comuni che le persone han-no di reagire a eventi traumatici generali, seppurcon alcune differenze. La clinica con i migrantisuggerisce invece che i traumi da violenza estre-ma inducono esiti psicopatologici specifici, piùdrammatici, qualche volta più resistenti ai per-corsi di psicoterapia, proprio perché la tortura,come si è detto sopra, è un’esperienza che va al-dilà di ogni immaginabile catastrofe, scompa-ginando la personalità della vittima. Un fenomeno molto frequente e poco enfatizzatonei manuali diagnostici è relativo al vissuto deltempo e all’articolazione degli eventi traumaticinel ricordo (appunto, come si diceva sopra, rap-porto tra parola e memoria): spesso gli eventinarrati non si susseguono logicamente e non han-no una struttura coerente, il prima ed il dopo so-no confusi, uno stesso evento viene raccontatouna volta come antecedente un’altra volta comesusseguente. Gli episodi della storia non si suc-cedono secondo una sequenza temporale univocama il passato e il presente, non più distinti chia-ramente, si sovrappongono, rendendo ad esem-pio difficili e poco credibili le deposizioni di frontealle commissioni per la concessione dell’asilo.Inoltre, questa alterazione del vissuto temporalespesso non è circoscritta ai ricordi ma apparepervasiva anche nella quotidianità (ad esempio,i pazienti traumatizzati più frequentemente deglialtri sbagliano la data o l’ora dell’appuntamento).Un altro effetto specifico della tortura riguardale parole-agenti: il torturatore accompagna leazioni a “frasi attive” che penetrano nella strut-tura psicologica dell’individuo, insediandosi finoad abitare letteralmente la mente della vittima,garantendo una persistenza a lungo termine deglieffetti della tortura e generando una vulnerabilitàalla ritraumatizzazione.

Altre forme della sofferenzapost-traumaticaQueste che abbiamo appena descritto sono lereazioni tipiche ai traumi. Tuttavia, per traumicomplessi di natura intenzionale e con esposi-zione prolungata in condizioni di coercizione,la reazione psicotraumatica tende a essere piùcomplessa. Herman (1992) ha descritto comePTSD Complesso un quadro clinico caratterizzatoda una molteplicità e variabilità dei sintomi, checoinvolgono vari domini: somatico, cognitivo,affettivo, comportamentale e relazionale.L’accento è in questo caso messo sulla presenza

Il SAMIFO, nato nel 2006, è unastruttura sanitaria a valenza re-

gionale per l’assistenza ai migranti

forzati nonché punto di riferimento

anche per enti che operano per la

loro tutela in quanto si avvale di un

modello organizzativo che, attra-

verso percorsi assistenziali integra-

ti, riesce a soddisfare bisogni di sa-

lute complessi. È un modello ca-ratterizzato dalla collaborazionetra la ASL Roma 1, il Centro Astal-li e la medicina di base. Un’atten-zione speciale è riservata alle don-ne e alle vittime di torture. Organizzazione

n front e back office, spazi diascolto e orientamento;

n medicina generale per l’assi-stenza sanitaria di base;

n psichiatria, pur svolgendosinella sede del SAMIFO è col-legata con il DSM per quei pa-zienti che richiedono percorsiintegrati sociosanitari di lungadurata;

n psicologia per il sostegno,counseling e psicoterapia;

n ostetricia e ginecologia, per

prevenzione e cura, segue an-che le gravidanze e la loro evo-luzione;

n medicina legale, certifica gliesiti di trattamenti disumani edegradanti;

n vaccinazioni gratuite, per ri-durre l’incidenza e le conse-guenze delle malattie preveni-bili da vaccino;

n malattie infettive, per attivitàdi prevenzione e cura;

n ortopedia, per i bisogni di sa-lute fisiche conseguenti allatortura;

n mediazione linguistico-cultu-rale, capace anche di filtrare egestire le richieste;

n sono disponibili farmaci, for-niti per i bisogni primari;

n si presta attenzione anche ver-so le tematiche e problemati-che sociali degli utenti;

n formazione e tutela della salu-te degli operatori.

Contatto

[email protected]

Centro SA.MI.FO. Salute Migranti Forzati

“Spesso gli eventinarrati non sisusseguonologicamente e non hanno una strutturacoerente: il primaed il dopo sonoconfusi

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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016

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di somatizzazioni, fenomeni dissociativi più mar-cati, reazioni depressive intense e prolungate,cambiamenti nel modo di relazionarsi agli altri(sfiducia, sospettosità, isolamento), disartico-lazione della propria identità personale (“Tuttele strutture del Sé – l’immagine corporea, l’imma-gine internalizzata degli altri, e i valori e gli idealiche danno un senso di coerenza e uno scopo – sonoinvalidate e sistematicamente danneggiate”, Her-man, 1992). Come abbiamo detto, nelle vittimedi violenza estrema o tortura il corpo spesso sifa portavoce di drammi che non trovano parolaper essere testimoniati: esso è qualche volta l’uni-co strumento possibile per un richiamo di aiutoda parte delle vittime di violenza estrema. Il cor-po è testimone della violenza e spesso l’emer-sione degli eventi traumatici transita attraversoun’analisi accurata dei sintomi somatici che, co-me abbiamo visto, spesso emergono per priminei luoghi di cura. Infatti, tra i fenomeni più tipicie per certi aspetti più criptici delle vittime di vio-lenza c’è quello della somatizzazione, per cui isintomi corporei non sono espressione di un dan-no organico o di un’alterazione funzionale di undeterminato e conosciuto processo somatico, edevono essere interpretati come espressione cor-porea di un problema psichico. Tra i sintomi più di frequente riportati dai migrantitraumatizzati e già segnalati da Herman (1992)vi sono cefalee tensive, disturbi gastrointestinali,dolore addominale, pelvico o alla schiena. Ricer-che italiane (Aragona e coll., 2014) mostrano che:a) almeno un quarto dei pazienti (25,6%) visitati

in servizi di medicina di base dedicati ai mi-granti presenta una sindrome da somatizza-zione, con conseguenti importanti ricaduteper la terapia (ad esempio, scambiare una so-matizzazione per un dolore infiammatoriocomporta la prescrizione inappropriata di an-tinfiammatori, con rischi di cronicizzazionee di possibili danni iatrogeni);

b) non tutti i gruppi di migranti somatizzano allostesso modo, essendovi una maggiore frequenzatra sud- e centro-americani e tra gli africani;

c) diversamente dalle aspettative (per cui si po-trebbe pensare che chi ha una bassa scolaritàha una maggiore difficoltà a trovare le paroleper esprimere la sofferenza sul piano psico-logico, e dunque tende con più facilità a espri-merla attraverso il corpo), nei migranti nonè stata riscontrata una correlazione signifi-cativa tra scolarità e somatizzazioni;

d) le donne somatizzano più degli uomini, maciò non sembra essere legato a differenze bio-logiche perché questa differenza non è pre-sente in tutti i gruppi studiati: ciò accade solonei caucasici e nei sud/centro americani,mentre questa differenza di genere non ap-pare rilevabile in africani e asiatici. Dunque

non è l’essere donna in sé, ma l’essere donnain un certo gruppo geografico/etnico/cultu-rale che influenza la frequenza e il tipo di so-matizzazioni;

e) i pazienti non si dividono in modo netto trachi somatizza e chi invece esprime il disagiocon sintomi mentali (somatizers versus psycho-logizers), perché i dati indicano che vi è un’altacorrelazione tra somatizzazioni, ansia e de-pressione, che dunque tendono a coesistere.

Infine, ed è il dato più rilevante in questa sede,i migranti che somatizzano hanno maggior pro-babilità di avere un PTSD, quasi tutti i sintomidi PTSD sono più frequenti nei somatizzatori, eall’aumentare del numero di sintomi post-trau-matici aumenta significativamente il rischio diavere una sindrome da somatizzazione.

L’INMP, Istituto Nazionale per lapromozione della salute delle po-polazioni Migranti e per il con-trasto delle malattie della Pover-tà, è ente del Servizio sanitarionazionale vigilato dal Ministerodella Salute, centro di riferimentodella rete nazionale per l’assisten-za socio sanitaria delle popola-zioni fragili. Nella UOS SaluteMentale operano psichiatri e psi-cologhe in collaborazione conmediatori linguistico-culturali,antropologhe, assistente sociale,infermieri, medici di diverse spe-cialità. L’accesso è diretto con mo-dalità a bassa soglia. Tra i serviziper l’assistenza alle vittime di vio-lenza intenzionale l’UOS SaluteMentale opera in collaborazionecon lo sportello per i Richiedentie Titolari di Protezione Interna-zionale dell’Istituto. Il percorsodi presa in cura prevede:n accoglienza da parte dei me-

diatori culturali che raccolgo-

no dati anagrafici, storia trau-matica e accompagnano il pa-ziente dai vari specialisti;

n visite mediche per promuove-re la salute fisica;

n colloqui psicologici e psichia-trici basati su un approccio cul-turalmente sensibile con lapossibilità di trattamenti far-macologici e psicoterapici an-che focalizzati sul trauma esulle specificità culturali;

n attività di rete con consulenzelegali gratuite;

n certificazione medico legale epsicologica degli esiti fisici epsichici delle violenze subite.

n L’Istituto è anche attivo nellaformazione delle varie figureprofessionali che operano nelsettore e nella ricerca sui temidella salute mentale dei mi-granti.

Contatto

[email protected]

Istituto Nazionale per la promozione della salute delle popolazioni Migranti e per ilcontrasto delle malattie della Povertà

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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016

Le somatizzazioni possono quindi essere un sin-tomo sentinella di una possibile patologia post-traumatica nascosta: la persona traumatizzatapuò non parlare della sua sofferenza post-trau-matica (a volte semplicemente perché non sache può essere curata, altre volte per vergogna,o per i fenomeni di evitamento di cui abbiamoparlato), la quale rimane sostanzialmente invi-sibile, mentre può richiedere un aiuto per i sin-tomi che esperisce nel corpo. È allora importante che i medici, così come glioperatori che si occupano di accoglienza e assi-stenza, siano preparati a cogliere nelle somatiz-zazioni la spia di una possibile violenza subita.Come le somatizzazioni, così l’abuso di alcool edi sostanze può essere connesso a un malessereprofondo, esito di violenza estrema: in effetti,tanti migranti ci hanno raccontato di usare l’al-cool come auto-terapia per silenziare, nello stor-dimento dovuto all’ebbrezza, il rimuginio delpensiero o l’iperarousal, di cui si è parlato in pre-cedenza. Ancora, una reazione post-traumaticagià prevista nel DSM-5, ma che necessita di unapprofondimento per le sue implicazioni tera-peutiche, è la paranoia. Qui è importante diffe-renziare la paranoia quale esito da trauma estre-mo dalle psicosi primarie (come la schizofrenia).Nel caso di psicosi primarie spesso la storia cli-nica è iniziata prima del viaggio e non ci sonoeventi traumatici strettamente collegati all’esor-dio clinico (ma ovviamente storie traumatichein senso lato non sono infrequenti). Il delirio èmolto disorganizzato (assenza di nessi logici)oppure sistematizzato ma su contenuti di solitotendenti alla bizzarria e con i quali è difficileempatizzare (è difficile immaginarsi di essereal posto del paziente, farsi un’idea di cosa egliprovi); inoltre, il delirio è difficilmente modifi-cabile, la persona non si tranquillizza con le ras-sicurazioni e non accetta punti di vista diversidal proprio o confutazioni logiche di quanto as-serisce. Nel caso di reazioni paranoidi secondarieal trauma, invece, l’esordio è successivo alla vio-

il servizio di etnopsiCo-logia di Palermo è nato nel2008 come esperienza di vo-lontariato, in seno all’Azien-da Ospedaliera UniversitariaPoliclinico “P. Giaccone”, co-me parte integrante dell’U.O.di Medicina delle Migrazioni. Il Progetto ha previsto l’aperturadel Servizio due pomeriggi a set-timana, con l’obiettivo di prenderein carico pazienti stranieri vulne-rabili (MSNA, vittime di tortura,della tratta, etc.), attraverso unametodologia che integra l’approc-cio della psicologia transculturalea quello dell’antropologia: unapsicoterapeuta e un antropologoconducono colloqui per le seguen-ti attività:n percorsi di assessment su situa-

zioni di disagio mentale qualeesito di violenza intenzionale;

n percorsi di psicoterapia;n percorsi di sostegno per imple-

mentare i processi di integra-zione avviati dai centri di ac-

coglienza (nel caso dei minorinon accompagnati erano pre-visti colloqui con gli operatoriper incrementare le loro capa-cità nell’educativa transcultu-rale e nell’emersione di feno-meni di disagio mentale datrauma estremo difficili da ri-conoscere);

n stesura di certificazioni clini-che.

Il Servizio lavora in rete con il ter-ritorio, con i centri di accoglienza(che hanno iniziato a sviluppareuna sensibilità verso le vulnera-bilità), gli avvocati che si occupa-no di migrazione, il comune (Uf-ficio Nomadi e Immigrati), la sa-lute mentale dell’ASP, etc.Nell’ultimo anno sono stati incon-trati più di 100 pazienti vulnera-bili, tra adulti vittime di violenzao tratta, e minori stranieri non ac-compagnati.

Contatto

[email protected]

Servizio di EtnopsicologiaUnità Operativa Medicina delle MigrazioniAzienda Ospedaliera UniversitariaPoliclinico “P. Giaccone” di Palermo

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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016

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lenza subita, la base è emotiva (di solito la paurache gli si possa fare ancora del male) e le ideesono coerenti rispetto a questa paura di base (adesempio, se ho paura che i servizi segreti del miopaese mi possano rintracciare e uccidere è coe-rente che eviti di andare in posti frequentati daimiei connazionali). È più facile per l’osservatoremettersi nei panni del paziente, le idee possonoessere discusse e spesso il paziente può sentirsirassicurato nell’apprendere che in Italia la pro-tezione internazionale rende difficile che possasubire attacchi. Coerentemente, queste reazioniusualmente si riducono fino a scomparire nelcorso della psicoterapia senza che sia necessariauna terapia farmacologica antipsicotica. Nel casodelle gravi reazioni post-traumatiche erronea-mente scambiate per psicosi, invece, occorreconsiderare che nei pazienti con importanti statidissociativi della coscienza la persona apparespaesata, o può avere delle assenze, dei blocchidel discorso, dire cose sconnesse, sentire voci evedere immagini relative al trauma (flashback).Può inoltre avere dei comportamenti grossola-namente disorganizzati e senza senso, e questisintomi possono essere scambiati per un quadropsicotico (dissociazione delle idee, allucinazioni,comportamento disorganizzato e/o catatonico). Benché in apparenza questi sintomi possano as-somigliarsi, è importante differenziarli perchéla psicoterapia per i disturbi da violenza estremaha una metodologia e obiettivi differenti rispettoa una psicoterapia per una psicosi vera e pro-pria.In questa sede possiamo, infine, fare solo un ac-cenno a una questione che certamente merite-rebbe uno spazio a parte e più approfondito: se-condo il nostro approccio, tutti i fenomeni psi-copatologici descritti in questo paragrafo e neiprecedenti si intrecciano a doppia trama con lemodalità dell’ammalarsi tipiche delle culture diprovenienza dei pazienti stranieri.Per esempio, un’esperienza di grave violenzapotrebbe rendere la persona vulnerabile (comese un involucro esistenziale protettivo – noi di-remmo psichico – si infrangesse) ed esporla adattacchi stregoneschi, dell’ordine di mondi in-visibili (spiriti ancestrali, demoni, spiriti maligni,fenomeni di influenzamento). Per tali ragioni ècentrale che nei dispositivi della cura con i mi-granti forzati e le vittime di violenza estremasiano imprescindibili aspetti disciplinari dellapsicologia transculturale, dell’antropologia edella geopolitica, perché si possano esplorare lecomplessità delle sofferenze portate dai nostripazienti.

ConclusioniCome abbiamo visto, ci troviamo di fronte auna situazione ad alta complessità. Lo scenarioattuale della salute mentale tra i profughi richie-de infatti complessità di analisi e di intervento.Le caratteristiche demografiche dei flussi in en-trata nel paese sembrano essersi modificate negliultimi anni, e questo inevitabilmente richiededati e analisi di cui al momento non siamo an-cora del tutto in possesso per comprendere neidettagli che cosa stia avvenendo, come questevariazioni impattino sulla salute mentale dei ri-chiedenti protezione e quali possano essere gliinterventi di tutela più efficaci.I primi indicatori sembrano suggerirci che la ri-chiesta di cure psichiatriche da parte di questautenza sia effettivamente in aumento, anche sele caratteristiche qualitative del fenomeno ap-paiono ancora nebulose. I fattori riconosciuticome in grado di aumentare il rischio di soffe-renza psichica tra gli immigrati sembrano tut-tavia essere in crescita, secondo quanto è possi-bile sapere sui nuovi flussi in entrata nel paese.Per quanto riguarda l’offerta di assistenza, essavede al momento i servizi psichiatrici in diffi-coltà, per ragioni organizzative e clinico-opera-tive. Le caratteristiche dell’utenza fanno sì chela necessità di traduttori competenti si sia fattaparticolarmente elevata e difficile da soddisfare,perché servono con grande frequenza mediatoriin lingue africane poco diffuse e conosciute. Iservizi psichiatrici, già in molte aree del paesesotto pressione per la scarsità di personale, oltrea essere sottodimensionati soffrono a volte dellamancanza di competenze specifiche, sia perquanto riguarda la psicotraumatologia da vio-lenza intenzionale, un settore della psicopato-logia relativamente recente, sia per la capacitàdi intervenire in modo culturalmente sensibile. Per quanto tuttavia la situazione possa apparirecomplessa, e anche francamente difficile, la fer-mezza nel guardare con realismo alla situazioneattuale non potrà che accrescere le competenzedel sistema di accoglienza nel nostro paese. Ecome in genere accade, affrontare difficoltà sirivela spesso un’opportunità da cogliere per lacrescita e la maturazione complessiva di tutti iservizi assistenziali e sanitari coinvolti, con po-tenziali ricadute positive su tutto il sistema, dicui potrà, auspicabilmente, avvantaggiarsi ilpaese nel suo complesso.

“Affrontaredifficoltà si rivelaspessoun’opportunitàda cogliere per la crescita ela maturazionecomplessiva ditutti i serviziassistenziali esanitari coinvolti,con potenzialiricadute positivesu tutto ilsistema, di cuipotrà,auspicabilmente,avvantaggiarsi ilpaese nel suocomplesso.

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4. immigrazione e salute mentale nell’italia del 2016

Come disposto dal d.lgs 21 febbraio2014, n.18, il Ministero della Salute haelaborato le “Linee guida per la pro-grammazione degli interventi di assi-stenza e riabilitazione nonché per il trat-tamento dei disturbi psichici dei titolaridello status di rifugiato e dello status diprotezione sussidiaria che hanno subitotorture, stupri o altre forme gravi di vio-lenza psicologica, fisica o sessuale”. So-no linee d’indirizzo per l’organizzazionedi interventi appropriati ed uniformi sututto il territorio nazionale. Il documen-to sottolinea l’importanza dell’approccio

multidisciplinare e di un percorso di as-

sistenza che accompagni la persona nel-le varie fasi, dall’identificazione precocedelle problematiche sanitarie sino allariabilitazione (nel senso più ampio cheinclude terapie mediche e psicologiche).Un’attenzione speciale è dedicata allepeculiarità relative a donne e minori.Rispetto alla mediazione, di sistema elinguistico-culturale, si sottolinea che ilruolo del mediatore è indispensabile perla costruzione della relazione. Infine, viene sottolineata l’importanza

della formazione e della tutela della sa-lute degli operatori (che essendo espostia racconti di vita molto duri sono a ri-schio di traumatizzazione vicaria e bur-

nout).Una parte importante è dedicata allacertificazione, che non è solo atto me-dico a fini legali, ma in senso più ampioè parte del processo terapeutico. Infatti,l’esito della richiesta di asilo influirà an-che sul percorso di buon inserimentonella società ospitante, oppure al con-trario su una possibile marginalizzazio-ne sociale che aumenta il rischio medicoe psicopatologico.L’organizzazione del percorso di assi-stenza è pensata in ottica transculturalee multidisciplinare e articolata per se-guire le esigenze di salute nelle variefasi del percorso. Si parte dalla indivi-duazione precoce dei bisogni di salutepiù urgenti, fisici e psicologici, per pas-sare all’eventuale presa in carico e trat-tamento e quindi alla riabilitazione.Rispetto alla prevenzione viene data en-fasi al rischio di ritraumatizzazione se-

condaria, termine con cui si intende che

i soggetti traumatizzati subiscono fre-quentemente nuovi traumi successivi,riattivando e/o peggiorando le reazionipsicotraumatiche. Qui il documento sot-tolinea l’importanza che le strutture diaccoglienza siano adeguate struttural-mente e funzionalmente.L’équipe dovrà essere multidisciplinaree integrata, in rete con i servizi di sup-porto sociale e legale. Le sue funzionisono:1. prevenzione primaria e secondaria;2. formazione rivolta al personale sani-

tario, a quello degli enti pubblici edegli enti gestori dei servizi e ai me-diatori linguistico-culturali;

3. valutazione e presa in carico delle si-tuazioni vulnerabili;

4. certificazione degli esiti fisici e psi-chici delle torture o delle violenze;

5. elaborazione di un rapporto annualesulle attività e sulle problematicheriscontrate a livello clinico, organiz-zativo e di bisogni formativi.

Piano licenziato dal Ministero della Sa-

lute, e attualmente in fase di adozione.

Linee Guida Ministeriali

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