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L’intervista //20 Immagini d’infanzia e voci di diversità nel cinema di Rachid Benhadj di Ada Manfreda I ncontro il re- gista Rachid Benhadj a Tricase, dove è stato invi- tato a tenere un workshop di tre giorni sulla scrit- tura per la regia, nell’ambito di un ciclo di corsi sui mestieri del ci- nema 1 . Nei tre giorni di workshop ho l’op- portunità di osservarlo ed ascoltarlo molto. Si mostra subito molto cordiale e disponi- bile. Ha modi gentili. Trasmette un grande amore per il suo lavoro. Si percepisce che non potrebbe farne a meno, che non po- trebbe essere altrimenti per lui. Allo stesso modo ne ha un profondo rispetto, lo vive con impegno e onestà intellettuale. È molto estraneo a quegli atteggiamenti appariscenti e scintillanti, che si sarebbe portati, quasi automaticamente, ad attri- buire a ‘persone del cinema’. Mi affascina il suo modo di esporre idee, concetti: racconta. Il racconto sembra es- sere il luogo privilegiato, se non quasi esclu- sivo, del suo comunicare. I suoi discorsi, le sue frasi, sono immagini di narrazioni, sono storie. È molto bello ascoltarlo narrare. A chiusura del workshop accetta di dedi- carmi un po’ di tempo per un’intervista. È pomeriggio, dalla finestra si scorge un cielo nero che si prepara ad un temporale. Seduti ad un tavolo cominciamo la nostra conversazione. Il tempo scivola via, sulle parole, senza accorgercene. Parliamo per più di un’ora, fuori piove già da tanto. Mi racconta della sua formazione, iniziata ad Algeri e proseguita poi a Parigi, dove ha studiato sia architettura che regia; delle sue prime esperienze nel cinema, e del suo ri- torno ad Algeri, dove prosegue a lavorare come regista. Scopro che dipinge, che, anzi, la pittura è una sua altra grande passione. Ama la pit- tura rinascimentale. A vent’anni, quando an- cora studiava a Parigi, aveva vinto il Gran Premio di Pittura ed era stato proiettato nel circuito delle gallerie e delle esposizioni. Ad un certo punto aveva abbandonato tutto, soffocato sempre più dalle logiche del mer- cato dell’arte. Ci sono voluti un po’ di anni perché ritornasse a dipingere. Da Algeri decide di andar via quando lì le cose divengono molto difficili, gli spazi ne- cessari alla sua operatività culturale si re- stringono e le tensioni sociali e politiche si fanno opprimenti. Non torna però in Francia, vuole ricominciare in un nuovo Paese e l’Ita- lia lo ha sempre affascinato. Ada: Da quanti anni vivi a Roma? Rachid: Beh, un bel po’, quindici anni… il dramma dell’Italia è che da fuori non la co- nosci veramente, non conosci la sua realtà, da fuori ti arriva un’immagine falsata, ti ar- riva solo la sua bellezza e non ti rendi conto dei meccanismi reali di funzionamento della sua società… ma piano piano ho cominciato ad inserirmi. Forse grazie – non so – al bel clima che c’è a Roma, alla bellezza della città… credo che ci sono tanti fattori che sono entrati in gioco. A: Algeri, Parigi, Roma: senti di poterti definire più algerino, francese o italiano? 1 Il workshop è stato organizzato dall’Associazione Cul- turale CineSalento e dal Salento International Film Fe- stival di Tricase, per opera del direttore artistico Gigi Campanile, che da alcuni anni è attivo sul territorio sa- lentino per promuovere e diffondere la cultura del ci- nema, tramite produzioni cinematografiche, organizza- zioni di eventi, convegni, pubblicazioni e attività for- mative. Il regista algerino Rachid Benhadj

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L’intervista

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Immagini d’infanzia e voci di diversità nel cinema di Rachid Benhadj

di Ada Manfreda

Incontro il re-gista RachidBenhadj aT r i c a s e ,

dove è stato invi-tato a tenere unworkshop di tregiorni sulla scrit-tura per la regia,nell’ambito di unciclo di corsi suimestieri del ci-nema1.Nei tre giorni diworkshop ho l’op-

portunità di osservarlo ed ascoltarlo molto.Si mostra subito molto cordiale e disponi-bile. Ha modi gentili. Trasmette un grandeamore per il suo lavoro. Si percepisce chenon potrebbe farne a meno, che non po-trebbe essere altrimenti per lui. Allo stessomodo ne ha un profondo rispetto, lo vive conimpegno e onestà intellettuale.

È molto estraneo a quegli atteggiamentiappariscenti e scintillanti, che si sarebbeportati, quasi automaticamente, ad attri-buire a ‘persone del cinema’.

Mi affascina il suo modo di esporre idee,concetti: racconta. Il racconto sembra es-sere il luogo privilegiato, se non quasi esclu-sivo, del suo comunicare. I suoi discorsi, lesue frasi, sono immagini di narrazioni, sonostorie. È molto bello ascoltarlo narrare.

A chiusura del workshop accetta di dedi-carmi un po’ di tempo per un’intervista.

È pomeriggio, dalla finestra si scorge un

cielo nero che si prepara ad un temporale.Seduti ad un tavolo cominciamo la nostraconversazione. Il tempo scivola via, sulleparole, senza accorgercene.

Parliamo per più di un’ora, fuori piove giàda tanto.

Mi racconta della sua formazione, iniziataad Algeri e proseguita poi a Parigi, dove hastudiato sia architettura che regia; delle sueprime esperienze nel cinema, e del suo ri-torno ad Algeri, dove prosegue a lavorarecome regista.

Scopro che dipinge, che, anzi, la pittura èuna sua altra grande passione. Ama la pit-tura rinascimentale. A vent’anni, quando an-cora studiava a Parigi, aveva vinto il GranPremio di Pittura ed era stato proiettato nelcircuito delle gallerie e delle esposizioni. Adun certo punto aveva abbandonato tutto,soffocato sempre più dalle logiche del mer-cato dell’arte. Ci sono voluti un po’ di anniperché ritornasse a dipingere.

Da Algeri decide di andar via quando lì lecose divengono molto difficili, gli spazi ne-cessari alla sua operatività culturale si re-stringono e le tensioni sociali e politiche sifanno opprimenti. Non torna però in Francia,vuole ricominciare in un nuovo Paese e l’Ita-lia lo ha sempre affascinato.Ada: Da quanti anni vivi a Roma?Rachid: Beh, un bel po’, quindici anni… il

dramma dell’Italia è che da fuori non la co-nosci veramente, non conosci la sua realtà,da fuori ti arriva un’immagine falsata, ti ar-riva solo la sua bellezza e non ti rendi contodei meccanismi reali di funzionamento dellasua società… ma piano piano ho cominciatoad inserirmi. Forse grazie – non so – al belclima che c’è a Roma, alla bellezza dellacittà… credo che ci sono tanti fattori chesono entrati in gioco.A: Algeri, Parigi, Roma: senti di poterti

definire più algerino, francese o italiano?

1 Il workshop è stato organizzato dall’Associazione Cul-turale CineSalento e dal Salento International Film Fe-stival di Tricase, per opera del direttore artistico GigiCampanile, che da alcuni anni è attivo sul territorio sa-lentino per promuovere e diffondere la cultura del ci-nema, tramite produzioni cinematografiche, organizza-zioni di eventi, convegni, pubblicazioni e attività for-mative.

Il regista algerino Rachid Benhadj

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R: Mi sento un vero bastardo, cultural-mente bastardo, nel senso che assorbomolto dalla cultura degli altri, mi sento al-gerino ma mi sento anche italiano, mi sentofrancese, culturalmente. Poter vivere di-verse dimensioni è una ricchezza, è per meveramente una grande ricchezza. Sono sì al-gerino, ma un algerino a modo mio. Per imiei compatrioti algerini io sono uno stra-niero. Questo forse è un po’ l’aspetto spia-cevole: diventi straniero dovunque vai. InItalia sono straniero, in Francia sono stra-niero, ma anche in Algeria sono uno stra-niero, persino dentro la tua stessa famigliasei un diverso. Penso che quando uno crescecon questa diversità ne diviene molto sensi-bile, la sa riconoscere immediatamente, e cidialoga in modo naturale, assorbe continua-mente elementi delle culture altre, diverse,con cui entra in contatto, e comincia a fil-trarle prendendo tutto ciò che ritiene essereil meglio per se stesso.A: Hai vissuto immerso in due culture

ben caratterizzate e distinte, due mondi di-versi: quello arabo e quello occidentale.Cos’è ‘il meglio per te stesso’ che hai filtratodall’uno e dall’altro mondo?

R: Penso che la cultura francese mi abbiadato un modo di pensare razionale.

L’equivalente di Descartes nella culturaaraba non esiste; la lingua araba è una lin-gua molto poetica, molto elastica, compro-messa col tempo, dilazionatrice, un po’ alla‘Mille e una notte’; in arabo ad esempio perdesignare un oggetto tu hai più di cento pa-role a disposizione… Per me è molto stimo-lante navigare tra le due culture, vivere

questa sorta di sdoppiamento culturale. Hoquesta razionalità molto francese e allostesso tempo una fantasia molto orientale;penso che attingere da tutte e due questedimensioni sia una grande ricchezza, so-prattutto per il mio lavoro di regista. Sevuoi, questo per me è l’aspetto positivo dellacolonizzazione, anche se ovviamente haavuto molti aspetti negativi…A: Quali?R: Non era semplice riuscire a realizzarsi

pienamente come individuo, non ti consen-tivano ad esempio di arrivare oltre un certolivello di studi, ti stroncavano per impedirtidi accedere a certi ruoli, a certe funzioni so-ciali. Io sono riuscito a salvarmi, in un certosenso, ma molti altri…A: Anche nel tuo ultimo film “Il pane

nudo”, il protagonista, dapprima schiacciatodalla miseria, dalla violenza, dal degrado,riesce a ‘salvarsi’, a venirne fuori. Succede aseguito di un incontro con un intellettuale…

R: Sì “Il Pane nudo” assume sicuramenteun valore emblematico, indica una strada,quella del riscatto dalla miseria attraverso laconoscenza. Mi pare che anche oggi, ri-spetto ai problemi e ai conflitti che caratte-rizzano i paesi orientali e del terzo mondo, ilnodo centrale sia questo: quando vedi quelloche succede in Iraq o in altri paesi vicini,penso che la salvezza per un popolo è farlouscire dall’ignoranza. È la prima cosa; sevuoi realmente aiutarlo devi prima farlouscire dall’ignoranza, perché – come dicospesso – essere democratico è un lusso, lademocrazia è un lusso, perché per esseredemocratico non puoi essere ignorante. Se

Rachid Benhadj è nato ad Algeri (Algeria) e si è laureato in architetturaalla Ecole Supérieure des Arts Décoratifs di Parigi nel 1973 con tesi di lau-rea sull’architettura teatrale e diplomato in regia a l’Ecole de Cinema diParigi nel 1976. Nella sua più che trentennale carriera di cineasta, ha rea-lizzato documentari e medio-metraggi per le televisioni di diversi paesi eha scritto e diretto per il cinema lungometraggi, ricevendo numerosi rico-noscimenti in Festival internazionali come Cannes, Venezia, Los Angeles,Bombay, Cairo, ecc.Dal 2006 insegna Regia e Analisi dei film alla Scuola di Cinema di Cinecittà“Actmultimedia”.Nel 2007 riceve il Premio “Una Coppola per il Dialogo” insieme al Cardinale Paul Poupard, Presidente del Ponti-ficio Consiglio della Cultura, come riconoscimento a due personaggi che, nei loro rispettivi ambiti, hanno pro-mosso il dialogo tra culture e religione diverse. Oltre all’impegno nel campo cinematografico, Rachid Benhadj dipinge. Le sue opere hanno partecipato a nume-rose mostre internazionali in diverse parti del mondo (Grand Palais a Parigi, Biaritz (Francia), Leningrado, Mosca,Copenhagen, Spagna, Algeri,Italia, ecc.). Tra i numerosi riconoscimenti ottenuti vi è il prestigioso premio inter-nazionale per la pittura alla Mostra Internazionale di Parigi (1973).

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sei ignorante non puoi accettare le diversità,non sei in grado di accogliere il punto divista dell’altro; se sei ignorante puoi solo su-bire la cultura dell’altro oppure imporre latua in modo violento. Se volete uccidere unpopolo, lasciatelo nell’ignoranza, e allora po-trete fargli fare tutto ciò che volete. Nel mo-mento in cui non sei più ignorante diventiuna persona che riflette, una persona chepensa e chiaramente quello è il ‘pericolo’. A: Ne “Il Pane nudo” la scoperta dell’es-

sere analfabeta e il percorso di studio e diformazione che ne scaturirà saranno dirom-penti nella vita del protagonista.

R: Il film è tratto dall’omonimo romanzodello scrittore marocchino Mohamed Choukried è la sua autobiografia. L’avevo lettoquando ero adolescente, è un classico dellaletteratura araba, e quando lo leggevo lo fa-cevo di nascosto perché il libro era statocensurato e circolava clandestinamente. Lacosa forte del libro è che in esso MohamedChoukri racconta della sua famiglia poveris-sima, del Marocco, della vita sulle montagnedel Rif, senza veli, con crudezza, in tutti isuoi aspetti, anche quelli più scomodi. Rac-conta di suo padre che è un padre padronee arriva ad uccidere uno dei suoi figli, fra-tello di Choukri, perché il bambino nonsmette di piangere dalla fame e lui lo sof-foca chiudendogli la bocca. Il protagonistadel romanzo cresce in una estrema povertàfino all’età di vent’anni, siamo nel Marocco

degli anni ‘50 del Novecento, ci sono ten-sioni e scontri anticolonialisti contro la Fran-cia e lui, pur non essendo un politico, sitrova ad essere coinvolto, viene fermato ebuttato in prigione. In carcere incontra unprigioniero che sta scrivendo sul muro unapoesia sulla libertà ed egli scopre di nonsaper leggere e scrivere: da lì egli capisceche la più grande miseria non è tanto nonavere di che mangiare, quanto piuttosto es-sere ignorante. Allora quando esce di pri-gione decide di andare a scuola. Scrive il suoprimo romanzo “Il pane nudo” e diventa unodei più grandi scrittori del mondo arabo,candidato due volte al premio Nobel.

Per me è stato più che naturale raccon-tare questa storia, anche perché la sua vi-cenda umana può parlare a qualsiasigiovane, il suo messaggio può arrivare achiunque, ossia di una grande forza di vo-lontà, di energia, di voglia di positività, cheti consente di superare le difficoltà, di rag-giungere degli obiettivi. E dell’importanzadell’istruzione e della conoscenza.A: A proposito di istruzione e conoscenza,

mi viene in mente per associazione, il ro-manzo dello scrittore algerino MohammedDib “La casa grande”, che in qualche modopresenta l’altra faccia dell’uso della cono-scenza. Penso in particolare all’episodio dellalezione del maestro Hassan, e ai vissuti deisuoi piccoli allievi, tra cui Omar, il protago-nista, determinati da quella ‘istruzione’, dai

Mohamed Choukri, è natonel 1935 a Beni Chiker, unpiccolo villaggio del Rif ma-rocchino, da una famigliaberbera molto povera, chesuccessivamente emigra aTangeri in cerca di fortuna.Ancora bambino fugge dalpadre tirannico e violento ediventa un bambino distrada, vivendo nei bassi-

fondi, in mezzo alla miseria, alla violenza, alla prostituzione e alladroga. All’età di 20 anni, ancora analfabeta, farà un incontro che cam-bierà il corso della sua vita. Apprenderà a leggere e scrivere, diven-tando successivamente maestro elementare.Negli anni '60 conosce Paul Bowles, Jean Genet e Tennessee Wil-liams. Nel 1966 pubblica il suo primo romanzo Violenza sulla spiag-gia (Al-Unf ala al-shati). Il successo a livello internazionale arrivanel 1973 quando Bowles traduce in inglese Il pane nudo (al-Khubzal-Hafi), il romanzo autobiografico che appena uscito in Marocco nel1983 subisce la censura, così come accade in altri paesi arabi, perchéracconta senza infingimenti alcuni ‘tabù’ culturali. La censura in Ma-rocco cesserà solo nel 2000.Due volte candidato al Nobel, Choukri è considerato uno dei più im-portanti scrittori arabi del Novecento. Muore nel 2003 nell’ospedaledi Rabat.

Copertina del film Il pane nudodi Rachid Benhadj (2004)

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processi di alfabetizzazione che la scuola al-gerina, impregnata ideologicamente di cul-tura francesce, mette in atto, influenzando iloro pensieri, il loro quotidiano. Dove lascuola è strumento – in quel caso – dellapervasività di una cultura ‘altra’ che espungela ‘cultura locale’, la tradizione e le radici diun popolo, la sua identità. Penso alla vio-lenza ‘bianca’ e sotterranea di tutto questo,perché costringe tutti, il maestro musul-mano, da una parte, e gli alunni della classe,dall’altra, a fingere, a recitare quotidiana-mente una menzogna, ad aderire al falso,saputo tale…

R: Sì è così… Quando ero ragazzo e an-davo a scuola – non c’era stata ancora l’in-dipendenza dalla Francia –, tutte le mattine,prima di entrare in classe, stavamo in piedi,nel cortile della scuola, per assistere all’al-zabandiera e cantavamo la Marseillaise. Ilnostro libro di storia diceva che i nostri an-tenati erano i Galli e io pensavo: ma se ab-biamo degli antenati così belli, con gli occhiblu, perché noi siamo così brutti?… Studia-vamo la geografia della Francia a memoria,ma non sapevamo nulla di cosa ci fosse atrecento metri dalla nostra casa, non cono-scevamo nulla del nostro territorio, del no-stro Paese. In classe era vietato parlarearabo, usavamo solo e soltanto il francese,per questo comunque il francese è per meuna lingua importante, fa parte della miacultura. C’era una divisione tra ciò che vive-vamo a scuola e ciò che vivevamo a casa. Acasa parlavo sempre arabo; l’arabo ci venivainsegnato alla moschea, a leggerlo e a scri-verlo; alla moschea imparavamo la cultura

araba. Vivevamo divisi tra due mondi com-pletamente diversi. Per questo penso chesiamo un po’ bastardi, ibridi, ma a mio av-viso questa è in sé una cosa positiva. Per meconoscere la cultura francese è stato bellis-simo e sicuramente quello che io sono è pro-prio il risultato di quest’ibrido tra culturafrancese e cultura araba. Quando guardo lenuove generazioni di ragazzi algerini chenon studiano più la cultura e la lingua fran-cese, perché ora il francese è una linguastraniera come qualunque altra, mi rendoconto che il loro modo di essere, di pensareè molto diverso. A: Possiamo dire che la tua infanzia, la

tua adolescenza in Algeria, hanno un pesoimportante nei tuoi film, nella tua poetica?

R: Sono convinto che in fondo lavoriamosempre sulla nostra adolescenza. Nel nostrolavoro, così come in un qualsiasi altro lavorodi creazione, il creatore si costruisce il ba-gaglio quando è piccolo. Anche quando ri-cordiamo, quando recuperiamo i nostriricordi, è come se essi arrivassero fino allanostra adolescenza e si fermassero lì. Il ba-gaglio dell’infanzia è la cultura materna.

Ho questa sensazione, e dunque pensoche, per la costruzione di questo ‘bagaglio’,sia decisivo il periodo dalla nascita fino al-l’adolescenza; dopo cominci ad elaborarlo erielaborarlo, perché cominci a capire, co-minci ad interpretare, ma il periodo in cui siassorbe e basta, senza pensare, senza cri-tica, è quello lì.

Ho vissuto sino a 18 anni in Algeria edunque questo è un fatto sicuramente moltoimportante. A: Come è nato in te l’amore per il ci-

nema?R: Da bambino vivevo nella casbah di Al-

geri, quella dove Pontecorvo ha girato il suofilm. Eravamo dieci figli e i miei genitori ave-vano una stanza ed un angolo cucina; inquesta stanza, molto piccola per tutti noi, ri-cordo che c’era un grande letto a baldac-chino, molto bello, alto, con la partesuperiore di ferro battuto che sem-brava una bellissima gabbia, unagabbia d’amore [butta giù unoschizzo mentre lo dice];lì sopra dormivano i mieigenitori, mentre sottodormivamo tutti noifigli, distesi uno afianco all’altro,come sardine. Ilproblema è chel’inverno non pote-

Rachid Benhadj e Gérard Dépardieu

durante le riprese di Mirka (1999)

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vamo stare tutti lì a giocare; allora miopadre ci portava al cinema, non per vederei film che proiettavano, ma per stare al caldoe al riparo dalla pioggia e i miei fratelli ed iostavamo lì tutto il tempo a giocare sotto lepoltrone. Entravamo alle due ed uscivamoalle sette e intanto lo stesso film veniva pro-iettato più volte. Finché un giorno – avevo 6o 7 anni –, stavo sempre al cinema con imiei fratelli a far ‘casino’ sotto le poltrone,quando alzo la testa, guardo verso loschermo e vedo il viso di un bambino che stapiangendo perché suo padre è stato preso inquanto aveva rubato una bicicletta. Era ilfilm di Vittorio De Sica “Ladri di biciclette”.Da quel momento ho capito che su quelloschermo succedeva qualcosa e ne fui moltoattratto. Avevo scoperto questo universodello schermo bianco che raccontava dellestorie.

Il cinema è entrato così nella mia vita. Durante gli anni della mia infanzia ed

adolescenza ho continuato ad andare al ci-nema, entravo e vedevo anche due-tre voltelo stesso film, guardavo di tutto, tutto quelloche la sala passava. E’ stato così che ho co-minciato a crearmi una cultura cinemato-grafica e dunque mi è apparso moltonaturale successivamente mettermi a fare ilcinema.

Quando ero diventato un po’ più grande –avevo 14 anni –, andai a vedere il film diDracula e, alla scena in cui l’attore Christo-pher Lee tira fuori la croce contro Dracula,che a quella vista si contorce tutto, chiesi amio padre: “ma noi musulmani cosa pos-siamo far vedere se c’è Dracula?”… [risata].Da piccolo cominci a confrontarti con la di-versità in modo divertente, è come un gioco.A:Il tuo mondo di ragazzo è un vero e

proprio serbatoio di immagini a cui attin-gere…

R: Il bel letto abaldacchino deimiei genitori l’homesso in uno deimiei film! E’ statonel “Cantico delledonne di Algeri”:ho ricreato lastanza della nostracasa, con il letto abaldacchino, e hoscritto una scena incui due bambini cigiocano sotto. Lamia casa era unavecchia casa more-

sca, accanto ad altre simili tutte vicine, conun cortile interno su cui tutte le varie stanzesi affacciavano. In quel cortile dove abitavoio c’era pure una mia zia che aveva la tele-visione e questa zia ogni volta che in tv c’eraun uomo si copriva perché pensava che lastesse guardando. Noi bambini allora perdarle fastidio accendevamo la televisione elei correva a nascondersi. Ho messo anchequesto in quel film!A: Esiste un file rouge che lega i tuoi la-

vori, è possibile individuare un tema ricor-rente che li accomuna in qualche modo?

R: Col tempo in effetti uno ci pensa unpo’ a questo.

Credo che i miei lavori hanno un trattocomune nel raccontare persone che nonhanno la parola, che non hanno spazio, ed iomi sento un po’ una sorta di portavoce diquesti emarginati, di questi personaggiesclusi dalla società. Il tratto comune deipersonaggi che scelgo di raccontare credoproprio che sia la marginalità, l’isolamento,l’essere senza parola. A: Come nasce un tuo film? Ci sono delle

ritualità tue, che percorri ogni volta, o cia-scun tuo lavoro è sempre un percorso di-verso?

R: Ma… Ogni volta alla base di tutto c’èsempre la passione, nel senso che è comese mi innamorassi di una cosa e allora sentoche devo per forza parlare di quella cosa, diquesto amore. Sicuramente non posso scri-vere di una cosa che non mi appassiona, chenon mi mette in questo stato… è come es-sere innamorato di una persona e all’iniziosei lì e c’è tutta la fase di osservazione in cuicerchi di entrare, di scoprire, di approfon-dire; sei anche in uno stato di ansia, ancheda un punto di vista fisico, che non ti fa dor-mire bene…

A: Un vero eproprio travaglio?

R: Sì… io miconsidero comeuna donna incintaogni volta che la-voro ad un nuovofilm: senti che lastoria cresce in te…A: Come ali-

menti questa storiaper farla arrivare avedere la luce?

R: Dal momentoin cui ho scelto untema, la fase im-portante per me è

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la ricerca, documentarmi, leggere e ancoraleggere, capire, trovare cosa hanno scrittogli altri sulla stessa tematica, cosa pensano,perché sono convinto che sia molto impor-tante basarsi sulla esperienza degli altri.Anche se sono nello stato di ebbrezza di cuidicevo prima, comunque devo conoscerebene ciò che voglio raccontare, non possoparlare di una cosa che non conosco bene,debbo approfondire, ancor più se si tratta diun personaggio storico o comunque real-mente esistito. Senza però perdere quellostato di ebbrezza per ciò che voglio raccon-tare.

Sai, io dico che ripetiamo sempre lestesse storie, non credo che in fondo cre-iamo cose nuove, ripetiamo le storie di sem-pre, di tutti, di ogni tempo, forse ogni voltain modo diverso, ogni volta in modo perso-nale, in questo vi è la novità.A: Quindi per te raccontare è fondamen-

talmente un ‘ri-raccontare’…R: Penso proprio di sì. Guardando in par-

ticolare al nostro mestiere, sono convintoche un regista faccia un unico film nella suavita e poi ripete ogni volta quel film, in modointelligente… Io ho la sensazione di raccon-tare in fondo lo stesso film con sfaccettatureogni volta diverse, ma comunque lo stessofilm, anche se il tema non è lo stesso, per-ché il film sei tu, che ti racconti attraverso ituoi film, ogni volta in modo diverso, manello stesso tempo identico. Non lo so, io hosempre questa sensazione quando mi ac-cingo a fare i miei film.A: Oltre che come regista sei anche im-

pegnato come docente presso la Scuola diCinema di Cinecittà. Che tipo di docente sei?

R: E’ una domanda molto difficile [sor-ride]… dovrebbero rispondere i miei al-lievi. Sicuramente lo sforzo costante checerco di fare è quello di chiedermi: sefossi io dall’altra parte, se fossi io stu-dente in questo momento, che cosa vor-rei sapere, che cosa vorrei che mivenisse detto? Questa domanda mi aiutaad andare sulle cose che possono toc-care direttamente lo studente, senzaperò banalizzare o semplificare. E poi iodico sempre ai miei allievi che non misento un insegnante, quanto piuttostouna persona che ha una grande pas-sione per una cosa e cerca di trasmet-terla. Il mio ‘insegnare’ è soprattuttotrasmettere una passione, far innamo-rare l’altro di ciò che io amo; inoltre èper me un’esperienza importante discambio con l’altro; anch’io prendo dal-

l’altro, nel senso che i miei ragazzi mi per-mettono di avere sempre un piede nella re-altà; stare con loro, capire le loropreoccupazioni, le loro problematiche, mipermette di non essere staccato dal mondo,mi insegnano tante cose e questo mi piacemolto. Sono contento quando riesco a tra-smettere qualcosa, a far amare qualcosache amo…A: Per te quindi esiste un forte nesso tra

apprendimento e passione, amore?R: Credo che tutta la conoscenza sia uno

scambio affettivo, uno scambio amoroso, setogli questa cosa, tutto diventa piatto. In-vece ci vuole la passione, perché se c’è lapassione allora vuol dire che tu per primosenti quello che stai cercando di insegnare eallora lo scambio diventa un regalo, un re-galo di esperienze, di vissuti. Non so se tuttoquesto possa chiamarsi ‘insegnare’. Per melo è. Anche lo stare qui a Tricase, questi tregiorni a fare il workshop, per me è stato ungran piacere, ho appreso e scambiato dellecose…A: Mi parli un po’ dei corsi che tieni alla

Scuola di Cinema, da quanto tempo insegnilì?

R: Questo è già il terzo anno. Ho unaclasse di quindici ragazzi e insegno regia,che io intendo in modo molto ampio, nelsenso che in questo corso io do anche moltaimportanza alla scrittura, perché trovo chesia fondamentale che un regista abbia laconsapevolezza di cosa significhi costruireuna storia, raccontarla. Poi, sai, cerco anchedi far comprendere quale è la realtà del me-stiere del regista, quali sono le dinamicheche ci si trova a dover gestire, quali sono ledifferenti professionalità che ruotano attorno

Una scena del film Il pane nudo (2005)

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al prodotto ‘film’, portando in aula quella cheè stata la mia esperienzaA: Ti capita di avere giovani allievi che si

accostano al mestiere del regista, sognandodi fare il cinema, con una visione molto idea-lizzata di questo mondo, di questo lavoro,poco vicina a quella che è la realtà?

R: Sì sì, i giovani arrivano spesso conl’idea di lanciarsi subito con una videoca-mera in mano a fare riprese… Ricordo chel’anno scorso i miei allievi avevano una eser-citazione: erano divisi in due gruppi e dove-vano realizzare un documentario su di untema da loro stessi individuato. Il docentenon sarebbe intervenuto sul tema scelto nésul modo di costruire il documentario.Avremmo valutato il risultato e su quelloavremmo eventualmente continuato a lavo-rare. Uno dei due gruppi aveva scelto di rac-contare la storia di una amica di uno di loroche soffriva di una forma patologica di in-sonnia. Ad un certo punto si erano arenatiperché non riuscivano a convincere la ra-gazza a collaborare per girare il documenta-rio. E lì ho sentito il bisogno di fare unapiccola riunione per spiegare il senso del no-stro lavoro.

Perché il nostro è anche un lavoro d’etica.A: In che senso?R: A quei ragazzi ho cercato di far capire

che per la ragazza non doveva essere facileparlare di sé, della sua malattia, soprattuttodavanti ad un gruppo di persone che non co-nosceva, semmai lo poteva fare solo con ilsuo amico, se era un vero amico. Perciò hochiesto loro il senso profondo di quellascelta, perché volevano raccontare propriouna storia simile, quale era il loro obiettivo.E piano piano, ascoltando le loro parole, sco-pri che in fondo hanno una visione voyeuri-stica della vita.

Allora ho raccontato loro che quando co-minciai a lavorare per la televisione avevoconosciuto un ragazzo affetto da una malat-tia terribile, per la quale era condannato adinvecchiare rapidamente. Per sei mesi an-davo una volta alla settimana a filmarlo e viavia si era sviluppato un rapporto di amicizia.Intanto in sei mesi era cambiato moltissimo,invecchiato come se fossero passati diecianni. Durante tutto il periodo delle mie vi-site e delle riprese non mi ero mai chiestoperché facessi questa cosa. Fino a quandoun giorno arrivo e lui stava malissimo e michiede: Rachid perché fai questa cosa, per-ché mi riprendi? Ed io non sapevo cosa ri-spondergli perché io stesso non avevo maipensato attentamente al perché filmavo la

sua malattia. C’era stata una grande super-ficialità da parte mia a non pormi domande,specie davanti a qualcosa di così forte e cosìdrammatico. Invece il problema etico devisempre portelo. Non ho mai montato i ma-teriali che avevo girato durante la malattia diquel ragazzo, che di lì a poco morì.

Ai miei allievi dico che c’è sempre un pro-blema di etica nel nostro lavoro.A: Traspare un grande ottimismo dalle

tue parole, trasmetti molta positività, anchequando racconti di cose brutte, di episodianche tristi che hai vissuto, della tua infan-zia, hai sempre il sorriso sulle labbra, riesciad essere sereno, non c’è risentimento sultuo volto…

R: Cerco sempre di essere ottimista. Lacreatività per me è ottimismo, positività.Penso che siamo fortunati.

Il primo film che ho fatto, forse può spie-gare un po’ come è maturato questo miomodo di essere.

E’ la storia di un handicappato che non hale braccia, ha un piede piccolo e uno nor-male e con quello normale fa tutto. Scrive, sifa la barba, fuma, mangia, fa tutto. Il suopiede è tutto. Ed è arrivato a laurearsi ingiurisprudenza scrivendo con il suo piede.Prima di conoscere questa persona, io ero incrisi esistenziale, stavo male, ma poi vidi intelevisione in trenta secondi questo perso-naggio. Mi dissi: questa persona devo cono-scerla. Abitava nel sud dell’Algeria, neldeserto. Andai a trovarlo. Arrivo a casa suae mi dicono che non c’è, che è al Comune.Chiedo cosa ci era andato a fare e mi dicono,con mio grande stupore, che lì ci lavorava.Allora vado in Comune, mi faccio indicare ilsuo ufficio, mi avvicino alla stanza e bussoalla porta. Una voce mi dice ‘avanti’. Apro laporta e c’è una scrivania e vedo di spalle unuomo molto robusto e grande. Dietro que-sto uomo robusto c’era una voce che lo sgri-dava: ‘ma tu non sai neanche scrivere, seiun ignorante, non sai neanche riempire que-sto foglio’. Allora io mi piego per guardareoltre l’uomo robusto e vedo il mio perso-naggio con il piede sulla scrivania che stavacorreggendo tutto il lavoro di quell’altro. Inquel momento mi sono chiesto: ma chi èl’handicappato? E da lì mi sono detto: devoraccontare la storia di questo personaggio.Una persona di una forza e di una energiastraordinarie. Per me è stata una grande le-zione di vita.

Il film è andato al Festival di Cannes, haavuto un grande successo, e in Francia, inuna sala, è rimasto addirittura in program-

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L’intervista

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mazione per sei mesi di fila.Alla fine di una sua proiezione a Toronto si accendono le luci affinché cominciassi un di-

battito sul film e mi accorgo che la prima fila è tutta in lacrime. Chiedo allora se il mio filmera così triste e invece le persone lì sedute mi rispondono che non stavano piangendo peril protagonista ma per la tristezza delle loro individuali esistenze che il film aveva eviden-ziato. Il film era stato uno specchio per loro. A: Cosa hai in cantiere adesso?R: Adesso la cosa urgente è l’impegno che ho per la fine del mese: vado a girare un do-

cumentario per una televisione, che, per questo progetto, ha individuato alcuni registi di di-versi Paesi: Palestina, Tunisia, ed altri, tra cui me. Il mio documentario vado a girarlo inAlgeria ed ha per tema il racconto che un bambino fa del mestiere di suo padre, che lavoradi notte.

E poi c’è il progetto di commedia musicale dell’adattamento che ho fatto del romanzo diuno scrittore algerino… e poi tante altre cose.A: Buon lavoro allora e grazie per la disponibilità e le immagini che ci hai regalato.R: Grazie a te.

Tricase – 01.02.2009

FILMOGRAFIA DI RACHID BENHADJ

2008 – Corso d’Alfabetizzazione AraboSceneggiatura e regia di 150 puntate di 30 minuti l’una sull’apprendimento della lingua araba. Produzione Nettuno (Italia)

2008 - L’uomo che guarda passare i treniDocumentaria finzione sulla vita e il lavoro di “Puccetto” il guardiano di un passaggio al livello di un piccolopaese sperduto in Puglia.

2006 - Il COMPITO (24’)Produzione: Fondazione SolinasCast: Fabiana Pagani, Tobia Khandan, Endejuru Stephen, Kaori, RobertoNobile, Marzia Tedeschi.Sceneggiatura e regia del cortometraggioMusica: Linda bongiovani A Pablo, un ragazzo di 10 anni, figlio di un’emigrata argentina, la mae-stra ha chiesto di redigere un tema sulla famiglia. Non conoscendo altriparenti se non la madre con la quale vive nel phone-center che la donnagestisce, il ragazzo descrive i tanti clienti abituali, molti dei quali emi-grati, come i membri della sua vera famiglia.

2005 - IL PANE NUDO (90’)Coproduzione: Italia - Francia A.E.Media – Progetto visivo – Esse&Bi - la R.A.I. (Italia),Paladin-Productions (Francia) Sceneggiatura e regia del lungometraggio Cast: Said Taghmaoui, Daniel Ducret, Marzia Tedeschi,Sana Laoui, Karim Benhadj.Tratto dal romanzo autobiografico dello scrittore maroc-chino Mohamed Choukri (candidato al Premio Nobel), lastoria narra il riscatto del piccolo Mohamed che dopo un’ infanzia vissuta nella miseria e prostituzione, sco-pre a vent’anni che la più grande povertà è essere analfabeta. Ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:- Premio del pubblico festival Mediterraneo (Montpellier - Francia)- Premio miglior attore a Said Taghmaoui festival del Cairo (Egitto) - Premio miglior attrice a Marzia Tedeschi festival di San Francisco (USA)

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L’intervista

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- Premio della giuria festival d’Algarve (Portogallo) - Premio miglior film festival di Busto Arsizio (Milano - Italia) - Premio miglior sceneggiatura festival di Busto Arsizio (Milano - Italia)- Premio miglior attrice a Marzia Tedeschi festival di Busto Arsizio (Milano)- Premio miglior montaggio festival di Busto Arsizio (Milano)- Premio miglior colonna sonora festival di Busto Arsizio (Milano)- Premio miglior attrice a Marzia Tedeschi festival di Rotterdam (Olanda)- Globo d’Oro della stampa Estera 2006 (Italia)- Premio miglior film festival internazionale del Salento (Italia) - Premio miglior regista arabo festival del Cairo (Egitto)

1999 - MIRKA (115’)Coproduzione: Filmart (Italia) Depardieu Productions (Francia) - CEREZO(Spagna). Ha ottenuto: script-fund e fondo europeo (Eurimages)Sceneggiatura e regia del lungo metraggio.Casting: Vanessa Redgrave, Gérard Depardieu, Barbora Bobulova, Karim Ben-hadj, Sergio Rubini, Franco Nero.Fotografia di: Vittorio Storaro Scenografia di: Gianni Quaranta.Dopo dieci anni, Mirka, nato da uno stupro etnico e allontanato ancora infasce, torna al villaggio in cerca della sua famiglia. Il suo arrivo scatena fan-tasmi del passato da tempo sepolti. Potrà questo figlio dell’odio, i cui tratti so-matici sono quelli dell’antico nemico, essere amato della giovane madre?Ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:- Globo d’oro della stampa estera a Karim Benhadj come attore esordiente peril ruolo di Mirka (2000)

- Medaglia Felini per Vanessa Redgrave (2000)- Medaglia Felini per Gérard Depardieu (2000)- Medaglia del 50° anniversario della dichiarazione dei diritti dell’uomo dell’UNESCO al regista Rachid Ben-hadj (2000)- Premio di qualità del Ministero dello spettacolo (2000)

1997 - L’ALBERO DEI DESTINI SOSPESI (108’)Produzione: Filmalbatros di Marco Bellochio e la R.A.I. (Radio TelevisioneItaliana)Sceneggiatura e regia del lungometraggio televisivo.Casting: Giusy Cataldo e Said TaghmaouiFotografia: Gianni MammolotiMusica: Safy BoutellaUna storia d’amore tra il giovane emigrato marocchino Samir e l’italianaMaria. Il destino, che li fa incontrare per caso, li conduce alla scoperta l’unodell’altro. Un viaggio iniziatico nei meandri di due culture così vicine e cosìlontane.Prodotto per il piccolo schermo, il film è stato selezionato alla Mostra di Ve-nezia (1997).

1996 - CARI COMBONIANI (28’)Produzione: Filmart (Italia)Cast: Missionari Comboniani Perché ragazze giovani provenienti da tutto il mondo, scelgono di dedicare la loro vita ai meno fortunati di-ventando suore missionarie? Un documento-inchiesta nei meandri delle missioni dell’Ordine dei Comboniani. Ha ottenuto i seguenti riconoscimenti: il documentario è stato proiettato nell’occasione della Beatificazione diDaniel Comboni, padre fondatore dell’ordine (1997).

1995 - L’ULTIMA CENA (50’)Produzione: Filmart (Italia) Cast: missionari Comboniani di VeronaNella casa madre dell’Ordine dei Comboniani di Verona, Padre Nanni compie 100 anni, sessanta dei qualivissuti in Africa. La storia dell’Africa vista attraverso i ricordi dei missionari. Ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:

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- Premio Cattolico festival Africano (Milano) (1995)- Premio Cattolico al festival di Varsavia (Polonia) (1996)

1993 - TOUCHIA (Cantico delle donne d’Algeri) (85’)Coproduzione: E.N.P.A (Algeria) – Adventure Film Productions (America) -Films Singuliers (Francia) Ha ottenuto il fondo speciale del Ministero degli affari esteri francese. Casting: Nabila Babli, Dalila Helilou, Lynda AitOukaci, Samir Guettara, NabtiArezki.Sceneggiatura e regia di un lungo metraggio cinematografico.Come la maggior parte delle donne algerine, Fella si sente privata del dirittoalla libertà, costretta a subire le leggi imposte da un mondo maschile. Sotto laminaccia delle manifestazioni integraliste del 1991, Fella decide di rompere ilsilenzio e raccontare pubblicamente la sua storia.Il film à stato presentato alla Mostra di Venezia (1993).Ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:- Menzione speciale (Venezia)- Premio del pubblico festival Africano (Milano)- Premio Cattolico festival Africano (Milano)- Premio Speciale festival Africano (Milano)

- Premio Khuribga (Marocco)- Premio festival Montpellier (Francia)

1989 - LOUSS (Rosa di sabbia) (110’)Produzione: C.A.A.C. (Centro Cinematografico Algerino)Sceneggiatura e regia del lungo metraggio. Cast: Bubeker Belarussi, Dalila Helilu, Atmane Ariut, Bume-diene Serat, Nawal Zatar, Karima Hadjar. Con la partecipazionedella popolazione della città di Guemar (regione dell’Oued) Nato senza braccia, Mussa sopravvive grazie all’aiuto dellasorella che vive con lui in una capanna in pieno deserto. Lamalattia della sorella lo costringe a prendere in mano il suodestino. Riuscirà a sopravvivere in questo deserto superandoil suo handicap?Il film è stato presentato al festival di Cannes (1989)

Presente in numerosi festival, ha ottenuto i seguenti riconoscimenti:- Premio Internazionale della Critica festival Valenza (Spagna) (1989)- Premio Nouvel Observateur festival Montpellier (Francia) (1989)- Premio Internazionale festival Montpellier (Francia) (1989)- Premio Don Chisciotte festival Valencia (Spagna) (1989)- Gran Premio Festival Internazional di Huston (U.S.A.) (1990)- Premio Navicella (Ente dello Spettacolo) Roma (Italia) (1990)- Premio Cattolico del Cinema festival di Cartagine (Tunisia) (1990)- Premio Tanit d’Argento festival di Cartagine (Tunisia) (1990)- Premio Internazionale festival di Damasco (Siria) (1990)- Premio Delfino D’oro festival Inter. di Troia (Portogallo)- Premio della sceneggiatura festival Ouagadougou (Burkina Faso) (1990)- Gran Premio festival Africano Roma (Italia) (1990)- Gran Premio festival Lille (Francia) (1990)

1986 - LA SETA (28’)Produzione: C.A.A.C. (Centro Cinematografico Algerino)Sceneggiatura e regia del documentario scientifico sul processo di fabbricazione della seta sintetica. La seta, questo tessuto che ha vestito principi e dame, è oggi fabbricata industrialmente.

1985 - COLORI NOSTALGICI (50’)Produzione: R.T.A. (Radio Televisione Algerina)Cast: Il pittore Abdelkader HouamelDocumentario sulla vita e sull’opera di Houamel, pittore algerino che vive e lavora in Italia da più di 30 anni.Il mondo nostalgico di un emigrato d’eccezione, che vive e lavora Roma, riproducendo i colori delle donne edegli oggetti tradizionali della sua terra l’Algeria.

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1984 - MILLE E UNA NASCITA (45’)Documentario sul problema della pianificazione familiare in Algeria.A vent’anni dall’Indipendenza, l’Algeria si confronta con un’esplosione demografica non controllata. Sensi-bilizzare la popolazione al problema è diventato un’emergenza nazionale.

1984 - PREVENZIONE (4’) 4 spots pubblicitari (durata 4’), sulla prevenzione stradale prodotta per il Ministero degli Affari Sociali alge-rino.

1983 - CAMERA 28 (360’)Produzione: R.T.A. (Radio Televisione Algerina).Serie televisiva in 6 episodi (durata 60’ ciascuna) Sceneggiatura e regia della serie televisiva Cast: Dalila Helilu, Sabah Saghira, Antar.Musica: Safy BoutellaCostrette a dividere la stessa stanza d’albergo, due giovani donne al-gerine si interrogano sulle loro scelte: una ha deciso di emigrare fug-gendo dal paese, l’altra vuole tornare in Algeria dopo aver vissutoall’estero.

1980 - NUMERO 49 (60’) Produzione: R.T.A. (Radio Televisione Algerina)Sceneggiatura e regia del lungo metraggio Cast: SidAli Meguelati, Samia BenhadjMusica: Safy BoutellaTutti i weekend una famiglia numerosa di una bidonville d’Algeri, fa picnic sul terreno dove saranno co-struiti i nuovi alloggi popolari. Aspettano l’assegnazione di un appartamento, ogni membro sogna l’inizio diuna nuova vita. Ma una sorpresa li aspetta riportandoli alla cruda realtà.Il film è stato presentato al festival di Berlino (1981) e nello stesso anno al festival di Locarno nella retrospet-tiva dedicata al cinema algerino.

1979 - GLI AGRESSORI (80’)Produzione: R.T.A. (Radio Televisione Algerina)Sceneggiatura e regia del lungo metraggio televisivo. Cast: Debbah Mohamed, Tayane Omar, Mekkoui Sonia,Chafia Budraa, Atmane Ariuet.Musica: Abdelaoui CheichLe avventure di una banda di quattro giovani delin-quenti che opera nel clima sociale e politico dei quartieripopolari dell’Algeri degli anni ‘70.

1976 - IMMIGRAZIONE (60’)Film di diploma della scuola di cinema sulle condizioni divita dei 3000 immigrati Nord africani di una bidonvilledi Nizza (Francia).Copia del film fa oggi parte del patrimonio audiovisivo delCentro di Beaubourg di Parigi.