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IMITAZIONE, RIPETIZIONE E LINGUAGGIO FORMULARIO NELLACQUISIZIONE LINGUISTICA IL CASO DEI BAMBINI NON VEDENTI CHIARA TADDEI Introduzione In questo lavoro si valuta, avanzando possibili proposte interpretative ed esplicative, il ruolo di imitazione, ripetizione e linguaggio formulario (IRR speech- Imitation, Repetition, Routine) a partire da studi sul processo di acquisizione linguistica di bambini non vedenti e si segnalano possibili implicazioni teoriche sul processo di acquisizione del linguaggio tout court. Quale premessa fondamentale alla discussione va sottolineato che, nel corso dell’acquisizione linguistica, il bambino non vedente si trova nell’impossibilità di sfruttare alcune risorse della comunicazione non verbale (CNV) che caratterizzano il processo di interazione madre-bambino, soprattutto nella fase pre-linguistica. Pur ricorrendo in modo più diffuso agli elementi para- ed extralinguistici linguistici ai quali ha accesso, come le vocalizzazioni ed il contatto fisico 1 , si trova necessariamente in una situazione “limitante”, in quanto da una parte le frequenti 1 Attraverso l’atto di toccare o altri componenti tattili, il bambino non vedente cerca di attirare l’attenzione dell’adulto, tenta di iniziare una comunicazione (Junefelt, 1987). Le vocalizzazioni, frequenti, risultano il mezzo cui ricorre maggiormente il bambino cieco per instaurare un contatto, per iniziare un proto-dialogo o per prendere il turno (Als, Tronick & Brazelton, 1980).

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IMITAZIONE, RIPETIZIONE E LINGUAGGIO FORMULARIO

NELL’ACQUISIZIONE LINGUISTICA

IL CASO DEI BAMBINI NON VEDENTI CHIARA TADDEI

Introduzione

In questo lavoro si valuta, avanzando possibili proposte

interpretative ed esplicative, il ruolo di imitazione, ripetizione e

linguaggio formulario (IRR speech- Imitation, Repetition, Routine) a

partire da studi sul processo di acquisizione linguistica di bambini non

vedenti e si segnalano possibili implicazioni teoriche sul processo di

acquisizione del linguaggio tout court. Quale premessa fondamentale

alla discussione va sottolineato che, nel corso dell’acquisizione

linguistica, il bambino non vedente si trova nell’impossibilità di

sfruttare alcune risorse della comunicazione non verbale (CNV) che

caratterizzano il processo di interazione madre-bambino, soprattutto

nella fase pre-linguistica. Pur ricorrendo in modo più diffuso agli

elementi para- ed extralinguistici linguistici ai quali ha accesso, come

le vocalizzazioni ed il contatto fisico1, si trova necessariamente in una

situazione “limitante”, in quanto da una parte le frequenti

1 Attraverso l’atto di toccare o altri componenti tattili, il bambino non vedente cerca di attirare l’attenzione dell’adulto, tenta di iniziare una comunicazione (Junefelt, 1987). Le vocalizzazioni, frequenti, risultano il mezzo cui ricorre maggiormente il bambino cieco per instaurare un contatto, per iniziare un proto-dialogo o per prendere il turno (Als, Tronick & Brazelton, 1980).

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vocalizzazioni ed il contatto fisico spesso non vengono valutate

opportunamente dall’adulto, con conseguente e frequente fallimento a

livello di interazione, dall’altra non ha accesso a un vasto numero di

informazioni della CNV, attraverso le quali si attua il processo

comunicativo. Molti degli elementi che caratterizzano la CNV

emergono proprio durante il periodo pre-verbale, all’interno del quale

il bambino, non ancora capace di parlare, e l’adulto, nell’intento di

facilitare la comprensione del bambino, ricorrono a una serie di

informazioni extralinguistiche tipiche della situazione dialogica, tra

cui mimica, gesti, incontro degli sguardi, contatto fisico e

condivisione spazio-temporale (Schönherr, 1997), fattori che

promuovono l’interazione e contribuiscono alla condivisione del

contesto, prerequisito per l’instaurarsi degli elementi che regolano

l’attività dialogica. Proprio l’incontro degli sguardi sembra svolgere

un ruolo fondamentale per lo sviluppo di una adeguata capacità di

interazione, in particolare per l’acquisizione del processo del cambio

del turno, indispensabile per la successiva abilità dialogica (Bruner,

1983). E’ evidente che il bambino non vedente non può usufruire di

tutti gli elementi della CNV, per la cui percezione è necessaria la

facoltà visiva e, conseguentemente, non può fare affidabilità su tali

segnali per interpretare le strategie interazionali dell’adulto, né per

esprimere le proprie intenzioni comunicative. Tutto ciò sembra avere

delle conseguenze sullo stile comunicativo verbale dei bambini non

vedenti, a supporto della tesi di Bruner (1983), secondo cui

l’acquisizione del linguaggio inizia nel periodo pre-verbale ed è

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fortemente legata alla condivisione contestuale, favorita e stimolata da

vari elementi para- ed extralinguistici2.

Nel periodo linguistico, infatti, il bambino cieco adotta uno stile

comunicativo verbale particolare, allo scopo di creare un contesto

d’interazione condiviso e di stabilire il cambio del turno. Si registra, in

bambini non vedenti di 30 mesi, la spiccata tendenza a parlare di

argomenti passati, in modo abbastanza anomalo rispetto a quanto si

osserva normalmente nel processo acquisitivo del linguaggio, in cui la

tendenza generale dei bambini privi di deficit è ancora quella di

parlare dello hic et nunc (Dunlea, 1989). Inoltre, i bambini non

vedenti fanno maggiore ricorso alle domande, al fine di ottenere, nel

corso dell’atto comunicativo, le informazioni necessarie alla

prosecuzione del dialogo (Mc Ginnis, 1981; Erin, 1986). Entrambi i

processi sono interpretabili quali strategie interazionali: riferirsi ad

argomenti passati sembra una strategia propria dei bambini non

vedenti che, a causa della mancanza dell’informazione visiva, hanno

accesso limitato al contesto immediato e alle informazioni ivi

contenute, trovando perciò difficoltà nel parlare di un topic che si

riferisce al “qui ed ora”. Gli argomenti passati danno invece al

2 “[...] Language does not grow out of prior protophonological, protosyntactic, protosemantic, protopragmatic knowledge. It requires a unique sensitivity to a patterned sound system, to grammatical constraints, to referential requirements, to communicative intentions, etc. Such intensitivity grows in the process of fulfilling certain general non linguistic functions – predicting the environment, interacting transitionally, getting to goals with the aid of another. These functions are first fulfilled primitively if abstractly by prelinguistic communicative means. Such primitive procedures, I will argue, must reach requisite levels of functioning before any Language Acquisition Device, whether innate or acquired can begin to generate linguistic hypothesis.” (Bruner, 1983:70).

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bambino cieco la certezza di condividere col suo interlocutore

l’informazione; pertanto, l’introduzione di un argomento nuovo

attraverso la rievocazione di un evento passato si configura

un’efficace strategia comunicativa che permette di stabilire un focus

comune con l’interlocutore, ricorrendo alla via più accessibile.

Parimenti, il maggiore ricorso a frasi interrogative costituisce,

presumibilmente, una strategia per instaurare il turn-taking, oltre che

per valutare l’attenzione dell’ascoltatore, essenziale ai fini

dell’efficienza e dell’efficacia comunicativa.

Dopo queste brevi premesse, in quanto segue verrà sviluppato

l’oggetto specifico del presente lavoro, ovverosia il ricorso allo IRR-

speech che caratterizza la prima produzione verbale dei bambini non

vedenti.

1. Imitazione e linguaggio formulario nei bambini non vedenti

Lo stile comunicativo verbale dei bambini ciechi nel corso

dell’acquisizione linguistica è caratterizzato da un’ulteriore

peculiarità, tipicamente dal maggior ricorso all’imitazione rispetto ai

bambini normovedenti. Soprattutto nei primi stadi del processo di

acquisizione, i bambini ciechi imitano le espressioni degli adulti in

misura molto maggiore e per un periodo più lungo. Coerentemente

con ciò, impiegano più a lungo e in quantità maggiore rispetto ai

bambini vedenti i cosiddetti «sintagmi non analizzati» – come le

routine o gli schemi – ovvero ricorrono a un linguaggio formulario

(cfr. par. 2): la presenza di tali elementi è una chiara manifestazione di

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imitazione, dato che tali sintagmi presentano una struttura sintattica

che va oltre la maturità linguistica del bambino. Questa caratteristica

si rivela di estremo interesse, in quanto fornisce un contributo al

dibattito relativo al ruolo dell’imitazione, della ripetizione e del

linguaggio formulario nel processo di acquisizione linguistica e, più in

generale, al processo di acquisizione del linguaggio. Preliminare

all’analisi della questione è una definizione di tali fenomeni.

2. Imitazione, ripetizione e linguaggio formulario: definizione e

caratteristiche

Sulla base di Snow (1981), si distinguono tre tipi di imitazione

delle espressioni dell’adulto: l’imitazione esatta, l’imitazione ridotta e

l’imitazione espansa/modificata (cfr. Tabella 1).

TTAABBEELLLLAA11

TIPOLOGIA DEFINIZIONE ESEMPIO Imitazione esatta Riproduzione di

tutte le parole e di tutti i morfemi presenti nella frase dell’adulto e nello stesso ordine in cui parole e morfemi compaiono nel modello, senza alcun cambiamento o aggiunta. Sono ammesse, invece, deviazioni fonetiche causate dalle imperfezioni articolatorie del bambino, mentre sono mantenuti intonazione e stress.

Mother: Let’s see. Child: Let’s see.

TIPOLOGIA DEFINIZIONE ESEMPIO Imitazione ridotta Riproduzione di

almeno una parola appartenente ad una delle

Mother: You brought him downstairs, isn’t it?

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categorie semantiche maggiori (nome, verbo, aggettivo) presente nella frase dell’adulto. Sono ammesse deviazioni dall’ordine delle parole presenti nella frase modello.

Child: Downstairs. Mother: Want some

granola and youghurt for breakfast?

Child: Youghurt granola.

Imitazione espansa/

modificata

Produzione di una frase contenente almeno una parola marcata nella frase modello dall’accento ed almeno una parola o un morfema assenti dalla frase modello.

Mother: What did you crash into last night, Nathaniel?

Child: Crash into living room.

Mother: Do you

like cheerios? Child: Cheerios?

Eat cheerios. Mother: Mummy

has to do pee-pee now. Child: Nathaniel

has to do pee-pee now too. Mother: That’s

mummy’s hair clip. Child: That’s

Nathaniel’s hair clip.

Con ripetizione si intende la parziale o completa riproduzione di

frasi in assenza di un modello presente: il bambino cioè, riproduce in

parte o in toto una frase da lui precedentemente formulata (Conti-

Ramdsen & Pérez-Pereira, 1999).

Il linguaggio formulario, detto anche linguaggio stereotipato, è

costituito da routine e formule. Si identifica con stringhe di linguaggio

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riprodotte dal bambino e associate a un particolare contesto,

presumibilmente unità linguistiche non analizzate, dunque frutto di

imitazione linguistica, adottate nel corso dell’acquisizione del

linguaggio in specifici contesti comunicativi, per l’appunto routine o

formule e schemi (cfr. Tabella 2).

TTAABBEELLLLAA 22

TIPOLOGIA DEFINIZIONE ESEMPIO

Routine Interi enunciati stranamente privi di

errori, che non mostrano fasi transitorie di sviluppo o di ordine sistematico di acquisizione. Vengono apprese come insiemi non analizzati, proprio come si impara una singola parola. Vengono prodotte in determinate occasioni, come nei saluti o durante un gioco (Dulay, Burt & Krashen, 1985:297).

How are you? It’s my turn

Schemi Sono simili alle routine, ma caratterizzati da una certa flessibilità, in quanto si configurano come enunciati analizzati soltanto parzialmente, che comprendono uno spazio aperto per una parola o un sintagma (Dulay, Burt & Krashen, 1985:297).

That’s________ Do you

want__________?”

Routine e schemi compaiono nel processo di acquisizione

linguistica sia della lingua madre che della lingua straniera. Entrambi

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vanno ben al di là della maturità linguistica del

bambino/dell’apprendente di L2, in quanto contengono elementi

sintattici complessi analizzati e appresi più tardi nel corso

dell’acquisizione, tipicamente nella cosiddetta “fase grammaticale”,

che inizia intorno al 24° mese di vita del bambino 3.

Inoltre, sembra che routine e schemi siano elaborati nel cervello

in modo diverso e distinto dal cosiddetto “linguaggio creativo”. Ne è

prova anche il dato clinico secondo cui, in caso di afasia globale o

dopo emisferectomia sinistra, i pazienti conservano il linguaggio

automatico comprensivo di schemi e routine, dato che segnala una sua

possibile localizzazione nell’emisfero destro.

3. Funzione dell’imitazione, della ripetizione e del linguaggio

stereotipato

La funzione dell’imitazione nei bambini è di tipo pragmatico:

serve a mantenere la coesione ripetendo il focus, a segnalare

condivisione del topic o mancanza di comprensione, a mostrare

accordo, a ricambiare un saluto, a porre domande, a dare risposte, a

reclamare qualcosa, etc. (Conti-Ramdsen & Pérez-Pereira, 1999). In

modo interessante, è emerso che l’imitazione è una delle prime

componenti attraverso cui il bambino stabilisce il cambio del turno

3 Ad esempio, non è raro sentire un bambino che dice That’s is mine: questo prova che non ha ancora analizzato la stringa That’s come DP+VP, ma la interpreta e produce come un’unica stringa. Ciò prova che schemi come That’s________ sono acquisiti inizialmente come parole singole e non sono analizzati, risultando pertanto espressione di imitazione (Dulay, Burt, Krashen, 1985:297).

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nella (in questo caso) proto-conversazione (Masur, 1989). Ugualmente

pragmatica è la funzione della ripetizione, prevalentemente usata per

insistere relativamente ad una richiesta, per rendere una domanda più

chiara, per puntualizzare, in ultima analisi per attuare e mantenere la

comunicazione. In sintesi, imitazione e ripetizione svolgono un ruolo

fondamentale nel mantenere il topic della conversazione e nel

promuovere l’attività dialogica. Anche la funzione del linguaggio

formulario è pragmatica. Schemi e routine vengono di fatto utilizzati

in contesti specifici, nel corso di acquisizione sia della prima lingua

che della seconda (e, più in generale, nella vita quotidiana in

situazioni che prevedono il ricorso a un linguaggio automatico, tipico

e adatto al contesto in questione). Dunque, il comune denominatore

del linguaggio stereotipato è il contesto specifico in cui questo viene

usato. Il ricorso a esso garantisce il successo comunicativo, ovvero

assicura l’interazione tra i partner. Nel corso dell’acquisizione della

prima lingua, il linguaggio formulario è utilizzato da madre e

bambino in contesti specifici, come il gioco, l’ora della pappa, l’ora

del bagnetto, ecc., situazioni in cui, tipicamente, emergono espressioni

stereotipate proprie del contesto e che garantiscono una buona

interazione/comunicazione tra adulto e bambino. Non molto diverso il

quadro dell’apprendente di L2: routine e schemi costituiscono, nel

corso dell’apprendimento della seconda lingua, uno strumento

pragmatico e rapido che favorisce e consente l’interazione sociale,

nonostante la competenza linguistica dell’apprendente sia minima.

Anche il linguaggio stereotipato è utilizzato al fine di permettere

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l’interazione sociale. Il ricorso a esso nelle prime tappe acquisitive,

ovvero quando le regole produttive non sono ancora pienamente

attive, garantisce e facilita, sia nel bambino che acquisisce la L1 sia

nell’adulto che apprende la L2, l’interazione all’interno di un

determinato contesto. Se consideriamo inoltre che nella vita

quotidiana il linguaggio formulario viene utilizzato dal parlante

competente in specifiche situazioni interazionali (saluti,

ringraziamenti, scuse, complimenti, sollecitazioni, apertura e chiusura

di un discorso, richieste ecc.), viene ulteriormente confermata la

funzione pragmatica – nel senso di sociale, interattiva – del linguaggio

formulario stesso (Dulay, Burt & Krashen, 1985).

4. Valutazione dell’imitazione, delle routine e del linguaggio

formulario all’interno del dibattito scientifico

La valutazione di imitazione, ripetizione e linguaggio

formulario nel processo di acquisizione linguistica è duplice: alcuni

Autori considerano negativi tali elementi, in quanto non promotori

dello sviluppo linguistico, ritenendo che i sintagmi linguistici non

analizzati, e dunque memorizzati, non svolgano un ruolo significativo

nell’acquisizione di fonologia, morfologia e sintassi e siano destinati,

dunque, a finire in un vicolo cieco4 (Bloom, Lightbown & Hood,

4 Al massimo si ammette che possano avere una qualche influenza nell’acquisizione lessicale, anche se il linguaggio formulario è stato addirittura definito come un elemento negativo, caratterizzato da un utilizzo di espressioni prive di contenuto semantico per il bambino che le utilizza: una sorta di verbalismo, dunque (Burlingham 1961, 1964, 1965; Wills 1969).

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1975; Leonard & Kaplan, 1977; Stine & Bohannon, 1973). Altri

vedono imitazione, ripetizione e linguaggio formulario – presenti sia

pure con modalità e frequenza diverse in tutti i bambini nel corso del

processo di acquisizione – come una tappa fondamentale e uno

strumento utile all’analisi del linguaggio: da questa prospettiva, tali

elementi sono assunti non soltanto come promotori dell’interazione e

dello sviluppo cognitivo, ma anche, più specificatamente, quale

caratteristica di uno stile acquisitivo definito gestaltico (Peters, 1977,

1994; Clark, 1977; Pérez-Pererira, 1994).

Di fatto, Peters (1977) suggerisce che due siano gli stili di

acquisizione della prima lingua, uno analitico e uno gestaltico

(approccio olistico). Quello analitico è lo stile acquisitivo

maggiormente studiato dalla ricerca scientifica che individua nel

bambino, nel corso dell’acquisizione linguistica, la tendenza ad

analizzare il linguaggio procedendo dalle parti al tutto, ovvero dal

meno al più complesso, dalla parola alla frase. Lo stile gestaltico è

caratterizzato da un approccio olistico: secondo Peters (1977,1994), il

bambino inizia imitando il contorno intonativo del discorso

estraendone e riproducendone la melodia5: il bambino che acquisisce

il linguaggio ricorrendo a questo stile parte dal tutto, ovvero dalla

frase, piuttosto che dalle singole parole. In modo interessante, Peters

(1977) riferisce che il bambino da lei analizzato usa entrambi gli stili,

ma in situazioni diverse: ricorre allo stile analitico in contesti

referenziali (denominare figure in un libro [horsie, doggie], nominare

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una qualità [hot, cool], nominare oggetti desiderati o azioni [cookie!,

milk!, up!]), mentre il linguaggio gestaltico emerge in contesti definiti

dal punto di vista interattivo/pragmatico: aprire la conversazione

(What’s that?), giocare con qualcuno (Airplane go up), chiedere

qualcosa (I want milk), discutere su qualcosa (Silly, isn’t it?). Lo stile

gestaltico, in ultima analisi, risulta caratterizzato dal ricorso a interi

enunciati in una situazione socialmente appropriata, perciò viene usato

in contesti conversazionali, confermando l’ipotesi per cui il linguaggio

formulario è utilizzato in contesti specifici, ovvero di interazione

sociale, con scopo comunicativo. Anche Clark (1977) considera il

linguaggio formulario e, più in generale, l’imitazione da parte del

bambino di costrutti presenti nell’enunciato dell’adulto quali elementi

fondamentali nel corso dell’acquisizione: secondo la studiosa, i

costrutti imitati possono costituire un’informazione utile al bambino

per estrarre informazioni grammaticali. In sintesi, la riproduzione di

un linguaggio che va oltre il livello posseduto faciliterebbe il

bambino nell’acquisizione della sintassi: Clark fa sue le osservazioni

di Brown & Fraser, secondo cui “remembered reduced imitations of

adult utterances form a storehouse of information from which children

gradually induce the rule of language” (Clark, 1977:135). Conti-

Ramdsen e Pérez-Pereira (1999) pongono inoltre l’accento su un

elemento fondamentale all’interno del dibattito sul ruolo

dell’imitazione (e quindi anche della ripetizione e del linguaggio

formulario) nel processo di acquisizione linguistica, sottolineando che

5 Si noti che le informazioni relative a melodia, prosodia ed intonazione, proprio

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le conclusioni raggiunte, spesso, sono dipese dal tipo di imitazione

considerata: chi non vede nell’imitazione una sorta di “promotore”

dello sviluppo linguistico si è limitato ad analizzare l’imitazione esatta

o ridotta; chi, invece, vede in essa un elemento promotore dello

sviluppo grammaticale considera nella propria analisi anche

l’imitazione espansa o modificata.

Credo che un’analisi rigorosa del ruolo dell’imitazione, delle

routine e delle ripetizioni non possa non prendere in considerazione le

variazioni introdotte in sintagmi/stringhe memorizzati, in quanto sono

evidentemente indice di un processo di riflessione sulla lingua, e

dunque di analisi della lingua. Presumibilmente, le sostituzioni e/o

espansioni registrate in vari studi (Peters 1977,1994; Clark 1977;

Pérez-Pereira 1994; Casby 1994) sono indice del fatto che il bambino

analizza nelle sue componenti il costrutto sintattico che ha come

modello, mostrando inoltre di riconoscerne le sub-componenti

linguistiche6. Da questa prospettiva, il bambino che adotta lo stile

gestaltico utilizza la specifica strategia acquisitiva che analizza le parti

a partire dal tutto. Il processo imitativo, dunque, non è puramente

meccanico, ma “creativo”: nei costrutti imitati, che siano essi

come il linguaggio automatico, sembrano essere elaborate dall’emisfero destro. 6 Snow (1981) riporta come Nathaniel, il bambino da lei analizzato, presenta imitazioni diverse a seconda della fase acquisitiva: a 2;3 mesi il piccolo produce imitazioni ridotte o esatte, ma, col progredire l’abilità sintattica, il bambino tende ad usare maggiormente imitazioni espanse o modificate e ad incorporare nella produzione spontanea segmenti imitati, per formare, ad esempio, frasi grammaticalmente più complesse o per formare composti. L’Autrice vede in ciò una strategia “for performing communicatively above his linguistic level, and might at the same time provide the learner with linguistic material which is susceptible to segmentation and further analysis” (Snow, 1981:211).

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imitazioni, ripetizioni o routine, compaiono gradualmente elementi

fonologici, morfologici e sintattici non appartenenti al modello e

dunque creati dal bambino, a conferma del processo di riflessione

metalinguistica del cosiddetto gestaltic style language learner.

5. Imitazione, ripetizione e linguaggio formulario nei bambini ciechi:

immaturità linguistica o strategia acquisitiva?

Come ho precedentemente accennato, i bambini ciechi ricorrono

più a lungo e maggiormente rispetto ai vedenti all’imitazione, alla

ripetizione e al linguaggio formulario. Seguendo i due filoni relativi al

dibattito sullo IRR speech, vediamo che lo spiccato ricorso ad esso da

parte bambini ciechi ha portato a definire il loro linguaggio ecolalico

e, più specificatamente, autistic like, ovvero simile al linguaggio dei

bambini autistici, fortemente caratterizzato dallo IRR speech. Tale

caratteristica è stata interpretata come sintomo di uno sviluppo

linguistico deficitario.

Pertanto, in tale prospettiva, il linguaggio dei bambini non

vedenti si configurerebbe ritardato, dunque immaturo (Fay, 1973;

Brown, 1997).

Fay (1973), specificatamente, pur sottolineando che l’ecolalia

persistente nei bambini ciechi e nei bambini autistici può costituire un

indice della loro volontà di partecipazione alla comunicazione con

l’adulto, vede tuttavia il linguaggio ecolalico come espressione di

immaturità e addirittura elemento negativo che rifletterebbe il ritardo

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o l’incapacità del bambino cieco, a causa della restrizione sensoriale,

ad acquisire significato e struttura del linguaggio:

It is this motivation, this desire [for communication] which I believe

forms the basis of the audiovocal activity leading to echolalia [...]. Now: if

such a drive to communicate develops to a given level beyond which it can

not proceed into the normal acquisition of the symbols and structure of the

language, then the result would be an ever-increasing facility with echolalia.

The desire to communicate would not necessarily diminish, but the requisite

tools and skills to do so would be unavailable. Or, in other words, the child

would continue automatically to do all what he could do with his truncated

language system: repeat what others say. (Fay 1973:480).

Nel suo studio su due bambini ciechi e un ipovedente, Dunlea

(1989) riferisce della tendenza dei bambini non vedenti a utilizzare

maggiormente e più a lungo il linguaggio stereotipato. Pur

condividendo l’ipotesi di Peters (1977) secondo cui esistono due modi

in cui il bambino può acquisire il linguaggio e che possono essere

compresenti anche se quantitativamente sbilanciati, pur asserendo che

i bambini non vedenti da lei analizzati adottano in netta prevalenza

uno stile gestaltico e, pur sottolineando che il linguaggio stereotipato

viene da loro utilizzato a scopo comunicativo (richiedere, commentare

un’azione), Dunlea non vede in esso un elemento positivo, una

strategia acquisitiva che possa favorire l’analisi del linguaggio e ciò,

essenzialmente, per due motivi:

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1) nel corpus manca un’evoluzione delle routine in

schemi, ovvero manca un’inserzione “creativa” in una stringa

stereotipata, cioè l’espansione di una routine, dato valutato

come incapacità di analizzare le unità (morfemi, parole)

presenti nel linguaggio stereotipato;

2) l’uso del linguaggio stereotipato condurrebbe

allo scorretto utilizzo dei pronomi, in particolar modo di you e

me: i bambini ciechi da lei osservati non compiono un tale

slittamento quando riproducono le stringhe imitate7.

In sintesi, i dati e le interpretazioni di Dunlea (1989) inducono a

considerare il linguaggio stereotipato nei bambini non vedenti quale

indice di linguaggio immaturo, in quanto non evolverebbe in

un’analisi della struttura linguistica e sarebbe, anzi, dannoso per il

processo acquisitivo pronominale.

Di tutt’altro parere sono studiosi come Peters (1994) e Pérez-

Pereira (1994), che inquadrano il ricorso allo IRR speech da parte dei

bambini ciechi quale specifica strategia acquisitiva di carattere

pragmatico e con risvolti positivi nel processo di analisi del linguaggio

che il bambino compie nel corso dell’acquisizione linguistica.

Peters (1994) analizza l’acquisizione linguistica di Seth, un

bambino cieco congenito con normale sviluppo cognitivo, fra i 20 e i

7 Ad esempio, il pronome me viene usato in give it to me quando il soggetto chiede all’interlocutore di prendere qualcosa dalle proprie mani: Dunlea (1989) osserva che la crescita negli errori pronominali è direttamente proporzionale all’aumento del linguaggio stereotipato.

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30 mesi; dallo studio emerge che il ricorso al linguaggio formulario

non è pura ripetizione, ma riflessione sulla lingua, un’attività, quindi,

di tipo metalinguistico. Il forte ricorso al linguaggio formulario

compare non soltanto quando interagisce con l’adulto (il padre), ma

anche quando parla da solo; questa tendenza emerge nel bambino a

partire dal 21°mese e si protrae fino al 26° mese d’età, quando

manifesta un comportamento interessante e significativo. Il bambino è

invitato dal padre a costruire, da solo, un giocattolo, precisamente una

torre. Il gioco era già stato fatto in precedenza (la prima volta quando

Seth aveva 24;3 mesi), ma sempre insieme al padre e ciò favoriva lo

sviluppo di un dialogo. Nella nuova situazione Seth, trovandosi a

costruire da solo la torre, parla con se stesso, ma il fatto rilevante è che

l’intonazione a cui Seth ricorre suggerisce la presenza di due voci, una

più acuta dell’altra. La voce più bassa utilizza un linguaggio più

maturo e controllato, quella più acuta un linguaggio meno

“competente”, con incertezze organizzative e strutturali a livello di

attività dialogica: forse rappresenta il parlante Seth8. E’ evidente che

8 Il monologo a due voci (Peters, 1994:212) si configura come segue (in grassetto è riportata la voce che “rappresenta” quella del padre): 1. I wan’ kick it. (pacatamente) 2. I want – I wanna finish –. (lamentandosi) 3. I wanna bild the tower ’knock it down. (con enfasi) 4. Okay! (in modo chiaro) 5. I wanted ta build th’ tower ’knock it down (con sicurezza) 6. me doo! (lamentandosi) 7. wawawan niww Bird (lamentandosi; con tono acuto) 8. Build one by self. (con tono basso; con sicurezza) 9. Put the blue one. 10. num by self.

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alle “due” voci del monologo corrispondono due figure che

normalmente interagiscono nel gioco: il padre e Seth. Lo sviluppo di

una voce che rappresenta Seth come parlante competente – al di là

della “externally guiding Daddy voice” (Peters, 1994:213) –

suggerisce che il bambino sta interiorizzando quel linguaggio che gli

serve per interagire in varie situazioni. L’alternanza delle due voci

suggerisce una riflessione sulla lingua e non una ripetizione passiva

delle strutture linguistiche cui Seth è stato esposto, fatto che sarebbe

indice di immaturità linguistica e, dunque, di linguaggio ritardato.

Pérez-Pereira (1994), nel suo studio di due sorelle gemelle di cui

una cieca, sottolinea il ricorso più prolungato e quantitativamente

maggiore da parte della bambina non vedente all’imitazione in

generale e a schemi e routine in particolare. Lo studioso ha seguito le

bambine con sedute mensili, tra i 2;5 e i 3;5 anni: i dati mostrano un

maggior ricorso della sorella cieca a routine, schemi e ripetizioni con

un incremento di tali produzioni nel periodo dell’osservazione.

Emerge, inoltre, che la MLU (Mean Lenght of Utterance) degli

enunciati in cui compaiono tali elementi è maggiore di quella dei

11. Put – I can put the blue one by self (con tono acuto; piagnucolando) 12. Eeyeah. (con approvazione) 13. This tower. (con tono basso, con sicurezza) 14. I wanna put the yellow one. (con tono acuto) 15. Oh. 16. So put the red one by self. (con tono più basso) 17. Dis a red one. (con tono più acuto) La voce “competente” annuncia l’intenzione di Seth di costruire la torre (linee 3, 5), lo incoraggia e lo rassicura (linee 4, 8, 10), gli dice che lui ha trovato e aggiunto le parti blu e rosse (linee 9, 16). La voce meno sicura dice di voler aggiungere i blocchi

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sintagmi non imitativi o che non contengono tali espressioni

stereotipate. Al termine del periodo di osservazione, la bambina cieca

utilizza ancora con notevole frequenza il linguaggio formulario,

diversamente dalla gemella che, a partire dai tre anni circa, non ne fa

più uso. Dallo studio risulta, in modo interessante, che la funzione più

comune del ricorso a tale tipo di linguaggio è, in entrambe le sorelle,

quella di mantenere il topic della conversazione, attirare l’attenzione,

chiedere o offrire qualcosa, comunicare con forza le proprie

intenzioni, manifestare il proprio accordo e indicare di aver capito. In

definitiva, la funzione è tipicamente pragmatica. Lo studioso

interpreta senza esitazioni il ricorso prolungato e maggiore allo IRR

speech da parte dei bambini non vedenti come una strategia con cui

sopperire all’inevitabile “isolamento” causato dalla mancanza dei

segnali non verbali (incontro degli sguardi, sorriso, etc.) che

favoriscono la comunicazione e supportano l’interazione, un’autentica

strategia adattativa che spiega lo scarto qualitativo e temporale tra le

due sorelle. Il bambino non vedente si trova costretto ad affidarsi

maggiormente al linguaggio e, in modo significativo, proprio al tipo di

linguaggio tipico di determinati contesti e situazioni conversazionali.

Ma non solo: lo studioso va al di là della prospettiva interazionale,

riconoscendo una forte componente metalinguistica nelle molte

imitazioni e ripetizioni espanse o modificate impiegate dalle due

sorelle: infatti, tali imitazioni presentano delle modificazioni quali

sostituzione di un predicato nominale con un pronome o espansione di

blu, gialli e rossi (linee 11, 14, 17) e viene poi rassicurata (linea 12) (Peters,

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una frase imitata tramite l’aggiunta di nuovi elementi, inequivocabili

espressioni di analisi linguistica che dà luogo a segmentazioni e a

sostituzioni di alcune parti dell’enunciato. Pérez-Pereira (1994)

analizza inoltre la MLU dello IRR speech, assumendo che, qualora la

MLU dei sintagmi imitativi sia maggiore di quella dei non imitativi,

questo possa essere indice del fatto che lo IRR speech favorisce lo

sviluppo morfosintattico, in quanto i bambini potrebbero far ricorso a

esso come ad una sorta di “impalcatura” per costruire una frase di

maggiore complessità. I dati mostrano che, in effetti, la MLU degli

enunciati IRR è maggiore di quella dei non IRR (detti produttivi), con

l’osservazione importante che la MLU della bambina cieca è,

comunque, maggiore di quella della sorella vedente.

In ultima analisi, entrambe le bambine fanno ricorso allo IRR

speech, ma la sorella cieca lo utilizza maggiormente e più a lungo,

specialmente lo IRR speech modificato, autorizzando l’Autore a

concludere che

this suggests that she carried out a kind of self-scaffolding procedure,

introducing successive modifications in a phrase or previous utterance which

she thereby used as a frame for practising certain types of structure and

pragmatic formulas. The successive modifications introduced are a reflection

of her analytical activity. These large number of modified repetitions used

1994:212).

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by both children is a clear evidence of the potential of this self scaffolding

strategy (Pérez-Pereira, 1994:333)9.

In sintesi, i bambini non vedenti fanno sistematico ricorso allo

IRR speech; più in generale, il loro processo acquisitivo è di tipo

olistico: il bambino cieco è, cioè, un gestaltic style language learner.

Tutti gli studiosi concordano nel sottolineare che il ricorso a tale tipo

di linguaggio nei bambini non vedenti ha lo scopo di sopperire alla

mancanza dei segnali non verbali (per la maggior parte di natura

visiva), pertanto di creare, tramite il canale acustico, un’interazione

efficace con l’interlocutore. Tuttavia, alcuni vedono nel prolungato,

duraturo e qualitativamente maggior ricorso allo IRR speech un indice

di immaturità. Altri invece lo concepiscono, esattamente come il

ricorso alle domande e agli argomenti passati, come una strategia

acquisitiva; ovverosia, analogamente all’impiego di schemi e formule,

l’imitazione si configura, da tale prospettiva, come un elemento

9 Anche Karpf (1994) concorda su un uso abbondante e specifico di routine e schemi da parte di bambini ciechi. Analogamente a Pérez-Pereira (1994), interpreta tale dato come una strategia acquisitiva e, in qualche modo, compensatoria: “Der fehelende visuelle Input bei den Blinden scheint dazu zu führen, da sie auf diese Strategie bei ihrem Spracherwerb besonders angewiesen sind. [...] Bei der Gruppe der Blinden kann man davon ausgehen, da aufgrund der Art ihrer Sinnesbeeinträchtigung die Verwendung von frames ebenso hilfreich und ökonomisch für ihre Kommunikation ist, wie wir dies auch bei den Redewendungen feststellen konnten; ihre verstärkte Anwendung könnte fur Blinde von Bedeutung sein, denn sie haben wenige Möglichkeiten, auf nonverbale Informationen (Mimik, Gesitk) eines Gesprächs-partners unmittelbar zu reagieren als hörende und sehende Kinder. Daher könnte es sein, da sie vermehrt frames beibehalten, obwohl sie diese vielleicht schon segmentiert haben“ (Peltzer-Karpf 1994: 78-79).

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basilare per la segmentazione e, dunque, come una strategia per

l’acquisizione del linguaggio.

Ritengo che quest’ultima interpretazione spieghi in modo più

soddisfacente ed esauriente tale caratteristica, per una serie di motivi.

In primo luogo, credo che il ricorso protratto a una risorsa (in questo

caso il canale acustico) in qualche modo compensatoria o che, quanto

meno, attenua la mancanza d’accesso all’informazione visiva, sia da

considerarsi non come automatismo, ma, anzi, come strategia con

chiaro intento comunicativo, come scelta interazionale. I bambini non

vedenti ricorrono allo IRR speech in modo così accentuato e protratto

dato che, come gli studi evidenziano concordemente, tale tipo di

linguaggio ha una funzione altamente internazionale, consentendo

loro, pertanto, di creare un contesto condivisibile con l’adulto e,

dunque, di poter interagire con lui. Abbandonare lo IRR speech, a mio

avviso, sarebbe come rinunciare a una risorsa disponibile e in più già

sperimentata. Inoltre, non è corretto affermare che il bambino cieco

non ricorre al linguaggio produttivo: lo fa, partendo però dalla risorsa

che ha già a disposizione, ovvero dallo IRR speech, affidandosi a uno

stile gestaltico di acquisizione linguistica, tramite il quale “scopre” le

regole produttive del linguaggio: gli studi rigorosi sullo IRR speech

nei bambini ciechi hanno dimostrato che la ripetizione di parole e/o

sintagmi evolve in costrutti in cui vengono introdotti nuovi elementi:

ciò denuncia un processo metalinguistico. In questo senso, il bambino

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non vedente può essere visto come un piccolo “economo” nel

processo di acquisizione linguistica: ricorre a ciò che ha a disposizione

e di cui fa già uso per scopi interazionali, al fine di scoprire, dedurre le

regole produttive del linguaggio. Dunque, il ricorso allo IRR speech

non può dirsi “nocivo” per il processo di acquisizione, in quanto non

impedisce, ma anzi favorisce, la scoperta delle regole produttive.

In secondo luogo, mi sembra plausibile l’ipotesi avanzata da alcuni

Autori e sintetizzata da Conti-Ramdsen & Pérez-Pereira (1999),

secondo cui la capacità dei bambini non vedenti di memorizzare

lunghe stringhe di enunciati indica che questi pongono maggiore

attenzione al linguaggio rispetto ai coetanei vedenti o che sono

particolarmente sensibili alle proprietà formali dell’input linguistico.

Secondo quest’ipotesi, è logico pensare che, a causa del mancato

accesso all’informazione visiva, la lingua costituisca un tipo di

esperienza particolarmente rilevante e importante per ottenere

informazioni. Ecco che il bambino non vedente è portato ad affidarsi

molto al linguaggio, dunque a concentrarsi su di esso e a

memorizzarlo. Dal forte processo di memorizzazione scaturirebbe la

tendenza a fissare e riprodurre esattamente i costrutti linguistici

prodotti dal partner comunicativo. In sintesi, poiché la lingua è una

fonte di esperienza particolarmente importante per i bambini ciechi, è

possibile che essi vi pongano maggiore attenzione e, quindi, ne

riproducano lunghi segmenti più frequentemente e più a lungo rispetto

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ai bambini vedenti, usando le strutture come unità e poi analizzandole.

Sembra dunque che il ricorso ai sintagmi sia una strategia al fine di

analizzare la struttura della lingua. In tal caso l’uso del linguaggio

formulario si configura piuttosto come un loro modo di processare la

lingua. Da questo punto di vista, è possibile ipotizzare che il bambino

cieco si concentri sulla lingua per ricavarne informazioni sul mondo

che lo circonda e che, a sua volta, tale attenzione all’input linguistico

lo “incanali” verso uno stile di acquisizione di tipo gestaltico. Alla

luce di queste argomentazioni, l’analisi che porta a definire il ricorso

allo IRR speech da parte dei bambini ciechi come indice di immaturità

linguistica appare abbastanza superficiale, in quanto esso si configura

piuttosto, come avrò modo di sottolineare in seguito (cfr. par.6), quale

strategia acquisitiva specifica, un modo certamente non meccanico di

acquisire il linguaggio, bensì uno dei modi. Ovverosia, data la

situazione di partenza, il bambino fa ricorso alla strategia più

congeniale per affrontare determinati processi.

6. Alcune considerazioni

L’analisi degli studi sulla comunicazione pre-verbale e sul tipo

di comunicazione verbale dei bambini ciechi comprova uno stretto

legame tra periodo pre-linguistico e periodo linguistico. Le

particolarità della comunicazione verbale dei piccoli non vedenti,

caratterizzata dal ricorso alle domande, agli argomenti passati e da un

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più intenso e più prolungato impiego dello IRR speech, si configurano

chiaramente come una conseguenza della particolare situazione

comunicativa pre-verbale tra bambino cieco e adulto a causa

dell’handicap visivo. Ciò consente di dedurre l’importanza che

l’interazione in generale e il tipo specifico, peculiare di interazione nel

periodo pre-linguistico hanno per il processo di acquisizione

linguistica, confermando, in effetti, la tesi di Bruner (1983) esposta

nell’introduzione. Più specificamente, dalle osservazioni fatte sul

ricorso allo IRR speech da parte dei bambini non vedenti si possono

trarre alcune considerazioni generali sul ruolo dello IRR speech

nell’acquisizione linguistica.

In primo luogo, i dati sui bambini non vedenti confermano una

funzione pragmatica dello IRR speech e, più specificatamente, di tipo

internazionale, confermando altresì il ricorso all’imitazione quale

strategia per attuare il cambio del turno conversazionale.

In secondo luogo, il ricorso allo IRR speech si configura come

una via per analizzare il linguaggio e, in particolar modo, può

considerarsi, data una certa situazione di partenza, la via più naturale.

Inoltre, poiché il livello di competenza linguistica raggiunto dai

bambini non vedenti uguaglia, in ultima analisi, quello dei bambini

vedenti, è lecito sostenere che il linguaggio formulario non sia affatto

nocivo per il processo di acquisizione linguistica, ma anzi lo

promuova.

Terzo, sembra plausibile ipotizzare che lo spiccato e prolungato

ricorso allo IRR speech, verificandosi in questa misura proprio in

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bambini privi della vista, sia stimolato dal mancato accesso a

informazioni non verbali, per cui si viene a creare una situazione nella

quale il bambino ricorre maggiormente a un certo tipo di linguaggio

per sopperire alla mancanza di tali informazioni, con la conseguenza

importante che è portato a riflettere maggiormente sulla lingua

compiendo un processo di analisi. Dall’altra parte si può dedurre che

un processo di acquisizione condotto con una strategia di tipo

analitico, dunque immediatamente caratterizzato dalla combinazione

delle parole e dall’utilizzo di regole produttive, sia fortemente favorito

dall’accessibilità agli elementi non verbali della comunicazione: essi

svolgono un ruolo fondamentale nel garantire l’efficacia della

comunicazione; inoltre, l’accessibilità o meno a tali elementi nel

periodo pre-verbale influenza il tipo di stile comunicativo verbale che

il bambino adotterà.

A questo punto è plausibile ipotizzare che tale fattore influenzi

anche il modo di acquisire il linguaggio: un’informazione la più ricca

e integrata possibile promuove forse un determinato stile acquisitivo,

ovvero lo stile analitico. Pertanto è lecito ipotizzare che il tipo di

comunicazione pre-verbale influenzi lo stile di acquisizione. Da

questa prospettiva, il processo di acquisizione linguistica inizierebbe,

di fatto, nel periodo pre-verbale, strettamente connesso a fattori extra-

linguistici e soprattutto cinesici, quali l’incontro degli sguardi e il

gesto, primi segnali per indicare, rispettivamente, cambio del turno-

attenzione condivisa e deissi. Se è così, allora è legittimo includere i

segnali cinesici nel processo acquisitivo e, conseguentemente,

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sostenere che l’inizio dell’acquisizione linguistica è fortemente

condizionato dall’acquisizione di determinati gesti che, a questo

punto, risulterebbero intimamente collegati al linguaggio.

Altra considerazione sulla base dei dati descritti riguarda l’impianto

teorico generale circa l’acquisizione del linguaggio: tale processo non

può considerarsi rigidamente pre-programmato, identico in tutti i

bambini. Indubbiamente, proficui anni di ricerca hanno messo in luce

le similarità nelle tappe acquisitive tra bambini parlanti la stessa

lingua madre e tra bambini parlanti lingue diverse, a sostegno di una

programmazione del processo di acquisizione linguistica,

dell’innatismo del linguaggio e, in particolar modo, dell’esistenza di

un modulo linguistico che prevede tappe e modi di acquisizione pre-

specificati. Lungi dal voler mettere in discussione la componente

innata del linguaggio e le evidenti predisposizioni, se non modulari

quanto meno dominio-specifiche, con cui il bambino affronta il

processo di acquisizione linguistica (Karmilloff-Smith, 1992), credo

però necessario considerare i casi che si collocano “al di fuori della

norma” (ovvero al di fuori di uno stile analitico di acquisizione) e che,

tuttavia, pervengono a un’acquisizione del linguaggio priva di

deviazioni. E’ questo il caso, appunto, dei bambini non vedenti che,

pur ricorrendo fortemente e quasi esclusivamente a uno stile di

acquisizione gestaltico, acquisiscono il linguaggio senza deviazioni,

poiché utilizzano questa strategia a scopo di analisi della lingua e a

scopo pragmatico.

159

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Ma è opportuno sottolineare che, sebbene in misura diversa,

questo processo non riguarda esclusivamente i bambini ciechi: anche

alcuni bambini privi di handicap sensoriali ricorrono in misura elevata

allo IRR speech, adottando prevalentemente uno stile olistico di

acquisizione, oppure ci sono piccoli che alternano i due stili. La

ricerca scientifica (Gleason, 2001) individua parallelismi netti tra

caratteristiche attentive del periodo pre-verbale e stile acquisitivo

(analitico/gestaltico). Sembra che i bambini che adotteranno uno stile

di acquisizione gestaltico si concentrino, nel periodo pre-verbale e

successivamente, su informazioni orizzontali quali numero di sillabe,

accento e pattern intonativi, mentre i piccoli che svilupperanno uno

stile analitico si concentrano prevalentemente su informazioni

verticali contenute in una singola sillaba (generalmente quella tonica),

focalizzando i dettagli di consonanti e vocali. In sostanza, emerge che

i bambini mostrano una preferenza/sensibilità spiccata verso i tunes

prosodici che uniscono interi segmenti, frasi o verso sillabe e segmenti

che formano una singola parola: bambini più sensibili alla prima

caratteristica sarebbero i futuri gestaltic style language learners,

bambini che si concentrano maggiormente sul secondo fattore

costituirebbero gli analyitic style language learners. Dunque, una

maggiore attenzione all’informazione prosodica incanalerebbe il

bambino verso uno stile acquisitivo che procede dal tutto per arrivare

alle parti. Questo fattore sembra confermato dai dati sui bambini

ciechi: se pensiamo che nella fase pre-verbale questi cercano di

stabilire un contatto proprio con le ripetute vocalizzazioni, è palese

160

Page 29: Imitazione e linguaggio formulario nei bambini non vedenti · chiara, per puntualizzare, in ultima analisi per attuare e mantenere la comunicazione. In sintesi, imitazione e ripetizione

l’importanza che per loro svolgono prosodia e tunes intonativi.

Presumibilmente, si concentrano proprio su tale aspetto del linguaggio

adulto e cercano, inizialmente, di comunicare sfruttando al massimo

questo canale prosodico, riproducendolo, inizialmente, nelle

vocalizzazioni. Se poi pensiamo che i bambini non vedenti adottano

(quasi) esclusivamente uno stile acquisitivo gestaltico, allora il

collegamento tra prosodia, intonazione e stile gestaltico sembra

confermato.

Altra correlazione tra sensibilità pre-verbale e stile acquisitivo viene

suggerita da Plunkett (1993): si sottolinea che la fluenza/scioltezza

articolatoria e l’accuratezza articolatoria siano inversamente correlate

nelle prime fasi di produzione linguistica. In particolare, si sostiene

che il linguaggio frasario rappresenti un tipo di segmentazione che va

oltre una parola target dell’adulto. Le espressioni che costituiscono il

linguaggio frasario vengono tendenzialmente riprodotte in modo

fluente, ma con scarsa accuratezza articolatoria dei singoli segmenti

fonetici. Di contro, l’accuratezza articolatoria è il risultato di una

diversa strategia con cui il bambino analizza la parola target

dell’adulto per concentrarsi sulla produzione accurata di unità

sublessicali. Plunkett (1993) individua nella variazione dell’acutezza

percettiva, della memoria verbale e/o nelle caratteristiche dell’input i

fattori che possono influenzare il tipo di unità linguistiche

percettivamente salienti e preferibilmente utilizzate. Di nuovo, queste

osservazioni trovano conferma nei dati sui bambini non vedenti: in

pratica, sopra viene suggerita, tra le altre cose, l’importanza della

161

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sinergia percettiva (suono + movimento articolatorio) ai fini

dell’accuratezza articolatoria, la cui fruizione, presumibilmente, porta

il piccolo a concentrarsi maggiormente sulle singole sillabe: tale

sinergia, se percepita, incanalerebbe il bambino verso un processo di

acquisizione analitico. E’ ovvio che nei bambini non vedenti la

percezione della congruenza tra suono e movimento delle labbra

manca, con conseguenze a livello di accuratezza articolatoria e di

tipologia di produzione delle prime sillabe. Dunque, è plausibile che i

bambini non vedenti si concentrino sul linguaggio frasario,

informazione a loro più congeniale, riproducendolo correttamente da

un punto di vista strutturale, anche se con una certa carenza

nell’accuratezza articolatoria. Ora, proprio quei bambini che non

fruiscono di un’informazione trasmodale (informazione acustica

[suono] + informazione articolatoria [movimento delle labbra])

sviluppano uno stile acquisitivo non analitico, ma partono dal tutto per

arrivare alle parti. Ciò sembrerebbe confermare l’ipotesi di Plunkett

(1993) circa la dicotomia accuratezza/fluenza articolatoria, nonché il

legame che esiste tra questa dicotomia e i due diversi stili acquisitivi

del linguaggio. D’altro canto, sembra plausibile che, a scapito della

sinergia percettiva, i bambini ciechi si basino sulla memoria verbale,

concentrandosi su interi segmenti. Dunque, i dati sui bambini non

vedenti confermerebbero le cause ipotizzate da Plunkett (1993) alle

base della dicotomia articulatory fluency vs. articulatory precision.

Altro fattore collegato all’adozione di uno stile analitico o gestaltico

viene individuato nell’input, o meglio nella combinazione input-

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contesto. A diversi contesti corrispondono anche input diversi: si

sottolinea come episodi di attenzione condivisa siano associati alla

produzione di etichette da parte di bambini e a commenti da parte

delle madri, come la lettura del libro possa costituire un contesto

particolarmente adatto per l’acquisizione di termini denotanti oggetti,

mentre altre situazioni di vita quotidiana (ora del pranzo, della

vestizione, del gioco, del bagnetto) possano costituire contesti

piuttosto diversi da un punto di vista dell’input e per l’acquisizione. In

sintesi si nota che

each context […] provides a unique opportunity to learn some aspect

of language: whole words or phrases, object labels or words for actions and

states, labelling or demanding, prosodic or segmental accuracy. Thus, as the

range of context varies, opportunities for language learning will differ for

individual children. (Gleason, 2001:334)

Sembra esistere una correlazione tra tipo di input e stile

acquisitivo: le madri dei bambini cosiddetti espressivi (quelli il cui

stile è gestaltico) adottano molte frasi stereotipate. Madri di bambini

referenziali (quelli il cui stile è analitico) basano l’interazione

comunicativa nominando e descrivendo oggetti che costituiscono un

contesto di attenzione condivisa col bambino.

Di nuovo, queste correlazioni input-contesto-stile acquisitivo

sono confermate dai dati sui bambini ciechi: i genitori di bambini non

vedenti spesso coinvolgono i loro piccoli in attività stereotipate, di

gioco routinario, dunque forniscono loro un input ricco di linguaggio

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Page 32: Imitazione e linguaggio formulario nei bambini non vedenti · chiara, per puntualizzare, in ultima analisi per attuare e mantenere la comunicazione. In sintesi, imitazione e ripetizione

stereotipato (Junefelt, 1987). In più, queste osservazioni sembrano

confermare l’ipotesi per cui l’informazione extralinguistica basata sul

processo di attenzione condivisa favorisce lo sviluppo di uno stile di

acquisizione analitico, a conferma che questo stile è “stimolato” da

una concomitanza di fattori linguistici (denominazione di oggetti) ed

extralinguistici (attenzione condivisa), questi ultimi basati

essenzialmente sull’incontro/sullo scambio degli sguardi.

Tutte queste osservazioni, nel loro insieme, al di là delle

implicazioni specifiche che se ne ricavano e appena descritte,

suggeriscono un’implicazione più globale e importante a livello

teorico: i bambini potrebbero disporre di vari meccanismi per

acquisire il linguaggio e, conseguentemente, sfruttano quei

meccanismi a loro più congeniali data una serie di fattori quali

contesto, input, accesso o meno a determinate informazioni (cfr.

sinergia percettiva). I modelli connessionisti hanno elaborato reti

neurali che segmentano unità maggiori di una singola parola dallo

speech connesso e hanno dimostrato quanto siano spiccate le

differenze che possono emergere nell’output in corrispondenza di

piccole differenze nell’apprendente (simulato con la rete neurale) e/o

nell’input. Questi modelli, pertanto, costituiscono uno strumento

metodologico potenzialmente valido per esplorare il tipo di interazioni

che presumibilmente soggiacciono alla variabilità osservata nella

forma e nella funzione del linguaggio (Junefelt, 1987). Dunque, tali

modelli non supportano un unico percorso acquisitivo del linguaggio,

una via monolitica di acquisizione linguistica. I dati sui bambini ciechi

164

Page 33: Imitazione e linguaggio formulario nei bambini non vedenti · chiara, per puntualizzare, in ultima analisi per attuare e mantenere la comunicazione. In sintesi, imitazione e ripetizione

e quelli sui bambini vedenti che alternano i vari stili di acquisizione

autorizzano a ipotizzare che, di fatto, non esista una pre-

programmazione rigida, dove, si noti, la negazione non è riferita a

‘pre-programmazione’, ma a rigida. E’ innegabile, infatti, una pre-

programmazione nel processo di acquisizione linguistica; i dati

sull’acquisizione, le chiare tappe individuate, le regolarità interne a

queste tappe la confermano. Tuttavia, mi sembra plausibile sostenere

che non vi sia, per l’acquisizione del modulo o del dominio

linguistico, una unica, rigida pre-programmazione: i dati parlano a

favore di vie di acquisizione linguistica, dunque di modi diversi in cui

la pre-programmazione si attua o se, vogliamo, di varie pre-

programmazioni.

Perché considerare le varie strategie pre-programmate? Perché

anche nella strategia che prevede l’impiego dello stile gestaltico

emergono delle regolarità: i bambini passano da un’imitazione esatta o

ridotta a una espansa o modificata, scoprendo e applicando regolarità

e regole produttive. Emerge un programma graduale anche in questo

caso.

D’altro canto, come sottolineano Pine & Lieven (1993), anche lo

stile acquisitivo gestaltico è di tipo analitico, intendendo, con

analitico, di analisi, segmentazione delle componenti del linguaggio:

ciò che varia è la lunghezza dell’unità di analisi, ma non il processo.

Dunque, credo lecito ipotizzare almeno due tipi di pre-

programmazione che, come comune denominatore, hanno la

deduzione delle regole produttive. La scelta dell’uno o dell’altro non

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rappresenta una dicotomia, piuttosto una preferenza che si adatta a

vari fattori, una scelta determinata e innescata dalla situazione di

partenza del soggetto e dall’ambiente in cui questi è immerso e che si

concilia con l’evidente plasticità del cervello umano alla nascita e

durante i primi mesi di vita.

Chiara Taddei

Dipartimento di Linguistica

Sezione di Linguistica Applicata

Università degli Studi di Pisa

[email protected]

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