Imagine - Marsilio Editori · Imagine I VENEZIA magine. Nuove immagini nell’ar-te italiana...

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la Repubblica DOMENICA 29 MAGGIO 2016 56 RCULT Imagine VENEZIA I magine. Nuove immagini nell’ar- te italiana 1960-1969 è una mo- stra suadente, ora aperta dalla Collezione Peggy Guggenheim , a Venezia (fino al 19 settembre; a cura di Luca Massimo Barbero; ca- talogo Marsilio). Ricca di molte co- se diverse (da Kounellis a Gnoli, da Paolini a Pascali), riparte, collegandovisi idealmente, dove s’era fermata Azimut/h – l’altra rasse- gna, sempre alla Guggenheim ed egualmen- te curata da Barbero che, due anni fa, aveva guardato alla Milano della fine degli anni Cin- quanta, svelandovi la tentazione di tabula ra- sa, d’azzeramento, di monadico rigore che av- volse la ricerca artistica della città e che di- chiarava, fino al bianco del taglio di Fontana, poi dell’Achrome di Manzoni e della tela estroflessa di Castellani, il bisogno di toccare un grado zero della pittura. Oggi si racconta tutt’altro: si narra quanto avvenne, in parti- colare a Roma ma anche a Torino, nel tempo che immediatamente seguì quell’iconocla- stia governata dal nitore pre-concettuale di un pensiero che sfiorava l’assenza e il silen- zio. Non tutto quel che vi avvenne, racconta la mostra di oggi: che non mira a costituirsi co- me un contenitore onnicomprensivo del pre- potente ritorno all’immagine che segnò que- gli anni e quei climi; né pretende d’essere esaustiva, di coprire tutto il percorso che por- tò allora ad una nuova dimensione “narran- te” della pittura, autorizzata ma non condi- zionata dalla Pop americana. Ed è come se es- sa costituisse un tassello d’una vicenda da narrare in più puntate. D’altronde è così va- sta la portata di quel che accade nelle tre capi- tali dell’arte italiana fra i Cinquanta e i Ses- santa , e tanto diramato il suo percorso, che pretendere una completezza di sguardo sa- rebbe vano. È invece importante che un’inda- gine di tal fatta sia stata intrapresa: per dare conferma della qualità e del peso davvero in- ternazionale che l’arte italiana delle nuove avanguardie ebbe allora, in un autentico e U n ritorno alle origini per Pino Pinelli, a Catania, dove è nato nel ‘38, con la mostra nel Palazzo della Cultura fino al 26 giugno, curata da Alessandra Pinelli, da un’idea di Piero Mascitti. Un percorso di mez- zo secolo dai Settan- ta ai nostri giorni, per raccontare la ri- cerca di un artista che partendo dalla pittura analitica, in- frange presto i confi- ni del quadro. Lo fa lavorando sulla tela, sul monocromo, sulla superficie, i suoi stru- menti per creare un nuovo stato della pittura in altri territori dove segni e colori vibrano in uno spazio libero. È la Disseminazione di Pi- nelli, quando nei Settanta preferisce una pel- le di daino alla tela, per una pittura più tatti- le. Poi negli Ottanta i suoi frammenti domina- ti dal colore esplodono pieni di tensione. Una ricerca che preferisce le domande alle rispo- ste, come quella sulla percezione, per Pinelli ancora in bilico tra mobilità e ambiguità. O gni artista è un bond umano. Ogni opera, ogni performance determina l’oscillazione delle quotazioni. L’arte contemporanea, insomma, è pura finanza. L’interpretazione apocalittica del luccicante sistema delle mostre viene oggi abbracciata da critici illustri, Jean Clair in testa. Si presen- ta come un vademecum nel contraddittorio mon- do di eventi estetici e biennali del terzo mil- lennio il saggio di Pier- luigi Panza, giornalista del Corriere della sera, dall’azzeccato titolo be- njaminiano: L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità finanziaria (Guerini). Tra scandali realizzati – questi sì – a regola d’arte e impegno politico puramente esterio- re, ce n’è per tutti i grandi nomi campioni di incasso nelle aste. Ma anche per i critici tra- sformati in copywriter pronti a battezzare l’i- dea di un artista, più che ad aiutare lo spetta- tore a comprenderla. FABRIZIO D’AMICO La riscoperta delle figure nei colori del ’68 PISTOLETTO Michelangelo Pistoletto: Mappamondo (1966-1968) { ©RIPRODUZIONE RISERVATA BETTINA BUSH CATANIA Pinelli, la pittura oltre i suoi confini ©RIPRODUZIONE RISERVATA DARIO PAPPALARDO IL LIBRO È un’opera d’arte? No, è finanza ROTELLA Al centro della pagina, Mimmo Rotella: Posso? (1963-1965) CITAZIONI A destra, Franco Angeli: Stemma pontificio (1964); Giosetta Fioroni: Particolare della nascita di Venere (1965) LA MOSTRA AL GUGGENHEIM DI VENEZIA Sopra, Giulio Paolini: Académie 3 (1965) in mostra al Guggenheim fino al 19 settembre LA ROMA IMPERIALE SU HISTORY Da domani al 3 giugno alle 21 su History (Sky canale 407) una programmazione speciale sulla città eterna

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laRepubblicaDOMENICA 29 MAGGIO 2016 56RCULT

Imagine

VENEZIA

Imagine. Nuove immagini nell’ar-te italiana 1960-1969 è una mo-stra suadente, ora aperta dalla Collezione Peggy Guggenheim , a Venezia (fino al 19 settembre; a cura di Luca Massimo Barbero; ca-talogo Marsilio). Ricca di molte co-

se diverse (da Kounellis a Gnoli, da Paolini a Pascali), riparte, collegandovisi idealmente, dove s’era fermata Azimut/h – l’altra rasse-gna, sempre alla Guggenheim ed egualmen-te curata da Barbero che, due anni fa, aveva guardato alla Milano della fine degli anni Cin-quanta, svelandovi la tentazione di tabula ra-sa, d’azzeramento, di monadico rigore che av-volse la ricerca artistica della città e che di-chiarava, fino al bianco del taglio di Fontana, poi dell’Achrome di Manzoni e della tela estroflessa di Castellani, il bisogno di toccare un grado zero della pittura. Oggi si racconta tutt’altro: si narra quanto avvenne, in parti-colare a Roma ma anche a Torino, nel tempo

che immediatamente seguì quell’iconocla-stia governata dal nitore pre-concettuale di un pensiero che sfiorava l’assenza e il silen-zio. Non tutto quel che vi avvenne, racconta la mostra di oggi: che non mira a costituirsi co-me un contenitore onnicomprensivo del pre-potente ritorno all’immagine che segnò que-gli anni e quei climi; né pretende d’essere esaustiva, di coprire tutto il percorso che por-tò allora ad una nuova dimensione “narran-te” della pittura, autorizzata ma non condi-zionata dalla Pop americana. Ed è come se es-sa costituisse un tassello d’una vicenda da narrare in più puntate. D’altronde è così va-sta la portata di quel che accade nelle tre capi-tali dell’arte italiana fra i Cinquanta e i Ses-santa , e tanto diramato il suo percorso, che pretendere una completezza di sguardo sa-rebbe vano. È invece importante che un’inda-gine di tal fatta sia stata intrapresa: per dare conferma della qualità e del peso davvero in-ternazionale che l’arte italiana delle nuove avanguardie ebbe allora, in un autentico e

Un ritorno alle origini per Pino Pinelli, a Catania, dove è nato nel ‘38, con la mostra nel Palazzo della Cultura fino

al 26 giugno, curata da Alessandra Pinelli, da un’idea di Piero Mascitti. Un percorso di mez-

zo secolo dai Settan-ta ai nostri giorni, per raccontare la ri-cerca di un artista che partendo dalla pittura analitica, in-frange presto i confi-ni del quadro. Lo fa lavorando sulla tela,

sul monocromo, sulla superficie, i suoi stru-menti per creare un nuovo stato della pittura in altri territori dove segni e colori vibrano in uno spazio libero. È la Disseminazione di Pi-nelli, quando nei Settanta preferisce una pel-le di daino alla tela, per una pittura più tatti-le. Poi negli Ottanta i suoi frammenti domina-ti dal colore esplodono pieni di tensione. Una ricerca che preferisce le domande alle rispo-ste, come quella sulla percezione, per Pinelli ancora in bilico tra mobilità e ambiguità.

Ogni artista è un bond umano. Ogni opera, ogni performance determina l’oscillazione delle quotazioni. L’arte

contemporanea, insomma, è pura finanza. L’interpretazione apocalittica del luccicante sistema delle mostre viene oggi abbracciata

da critici illustri, Jean Clair in testa. Si presen-ta come un vademecum nel contraddittorio mon-do di eventi estetici e biennali del terzo mil-lennio il saggio di Pier-luigi Panza, giornalista del Corriere della sera, dall’azzeccato titolo be-njaminiano: L’opera d’arte nell’epoca della

sua riproducibilità finanziaria (Guerini). Tra scandali realizzati – questi sì – a regola d’arte e impegno politico puramente esterio-re, ce n’è per tutti i grandi nomi campioni di incasso nelle aste. Ma anche per i critici tra-sformati in copywriter pronti a battezzare l’i-dea di un artista, più che ad aiutare lo spetta-tore a comprenderla.

FABRIZIO D’AMICO

La riscoperta delle figurenei colori del ’68

PISTOLETTO

Michelangelo Pistoletto: Mappamondo (1966-1968)

{

©RIPRODUZIONE RISERVATA

BETTINA BUSH

CATANIA

Pinelli, la pitturaoltre i suoi confini

©RIPRODUZIONE RISERVATA

DARIO PAPPALARDO

IL LIBRO

È un’opera d’arte?No, è finanza

ROTELLA

Al centro della pagina, Mimmo Rotella: Posso?(1963-1965)

CITAZIONI

A destra, Franco Angeli: Stemma pontificio (1964); Giosetta Fioroni:Particolare della nascita di Venere (1965)

LA MOSTRA AL GUGGENHEIM DI VENEZIA

Sopra, Giulio Paolini: Académie 3 (1965)in mostra al Guggenheim fino al 19 settembre

LA ROMA IMPERIALE SU HISTORY

Da domani al 3 giugno alle 21 su History (Sky canale 407) una programmazione speciale sulla città eterna

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VICENZA

Vincenzo ScamozziPalladio Museum Un intellettuale architetto al tramonto del Rinascimento. La mostra, progettata dal Canadian Centre for Architecture, celebra l’opera del maestro in occasione dei 400 anni della morte, proponendo un viaggio attraverso i volumi della sua biblioteca personale e i suoi affascinanti disegni di architettura.

Fino al 20 novembre

ROMA

Extraordinary visionsMaxxiPer i 70 anni della nascita della Repubblica il museo presenta una vasta selezione di fotografie che documentano paesaggi sublimi, architetture d’autore e periferie abusate, scattate da Ghirri, Basilico, Barbieri, Jodice, Fontana, Berengo Gardin, Scianna, Sugimoto, Vitali e da molti altri autori.

Dal 2 giugno

VENEZIA

Ippolito CaffiMuseo CorrerTra Venezia e l’Oriente. Omaggio al più moderno e originale vedutista dell’Ottocento italiano, insuperabile nell’immortalare con la sua pittura di luce l’anima di luoghi e di popoli incontrati nei viaggi in Italia, in Europa e nel Mediterraneo. In mostra le opere, donate nel 1889 dalla vedova dell’artista, morto nella battaglia di Lissa nel 1866.

Fino al 20 novembre

MADRID

Hieronymus BoschMuseo del PradoCelebra il quinto centenario della morte del maestro olandese una grande esposizione che, oltre alle opere conservate al Prado, raccoglie prestiti eccezionali, come il trittico con le Tentazioni di Sant’Antonio di Lisbona. Altri lavori provengono dai musei di Vienna, Boston, New York, Washington, Parigi e Venezia.

Dal 5 giugno

ZURIGO

Francis PicabiaKunsthausIn occasione del centenario della costituzione del gruppo Dada, proprio a Zurigo, una retrospettiva, realizzata in collaborazione con il MoMA di New York, invita a rivedere l’opera di questo artista (1879-1953) eclettico e contraddittorio, a partire dagli esordi come pittore impressionista e fino agli ultimi quadri astratti, eseguiti nel dopoguerra.

Dal 3 giugno

A CURA DI LUISA SOMAINI

non servile dialogo con New York. Non ha molto senso quindi rimarcare le as-

senze. Mi consento un’unica “nota a margi-ne”: Piero Dorazio ricordò il giorno in cui con-dusse Fontana nello studio di Salvatore Scar-pitta. Era il 1957, lo studio di Scarpitta era in-vaso dalle bende servite a fasciare la figlia, e ora messe in tensione sul telaio, con l’aria, la luce e il vuoto che passavano attraverso i per-tugi di quegli incastri. Fontana, dice ancora Dorazio, fu molto colpito da quella pittura nuovissima; e subito dopo vennero i suoi “ta-gli”. Scarpitta, conscio della distanza che li se-parava dalle sue “bende”, non rivendicò mai alcuna precedenza su quel lavoro di Fontana, certo sostanziato da un pensiero diverso e più radicalmente riformatore degli statuti

della pittura. Ma resta il fatto che le “bende”, ancora intrise sovente di colore (bianco, ros-so, bruno…) sono un antefatto per la fine del decennio di Fontana, e per quella sua casta “figura” che innervò la prassi di un’intera ge-nerazione. Scarpitta andò invece in America; lì, nella galleria di Leo Castelli, espose le sue bende in tensione, che andavano nel frattem-po recuperando dalla vita una necessità di im-magine, di testimonianza. E con quei suoi ma-nufatti, nati fra Roma e New York, Scarpitta fu allora il ponte più autentico fra la cultura italiana, debitrice di Burri, e quella new dada d’oltreoceano, che tanto avrebbe premuto sulle esperienze nostre dei primi Sessanta.

Mario Schifano, cui la mostra dedica due splendide sale, è poi il vero cardine attorno a cui ruota il “ritorno all’immagine” che carat-terizza questo settimo decennio del secolo. È ancora una parete muta, senza racconto, il

Murale grande a Franz Kline del 1962, con il bianco che gocciola sul nero, il nero sul bian-co, nello spazio della carta: già non più una su-perficie potenzialmente senza confini su cui esercitare l’estrinsecazione orgogliosa o do-lente del proprio io, come era nella pittura d’azione. Schifano aveva per compagni di strada, in questo suo primo momento, Jannis Kounellis, Fabio Mauri, Francesco Lo Savio e, ancora più prossimi, Festa, Angeli, la Fioroni. Franco Angeli è forse la vera riscoperta di questa mostra, con le lupe capitoline, e i trire-gni pontici. Mentre Domenico Gnoli attinge una metafisica diversa ma ugualmente stra-niante, con i suoi improvvisi blow up su una realtà senza storia né passato, a Torino ri-sponde l’immagine negata di Paolini, quella

di Pistoletto, e di Boetti. Ma ha ragione Barbero

a indicare poi il grande trittico di Schifano del 1963, Corpo in moto e in equilibrio, come un pas-saggio cruciale dei suoi anni. In esso, come nei di poco successivi Io non amo la natura o Central Park East, nei vasti spazi della tela le immagini – su cui si ripiegano memo-rie di Balla e di Matisse – s’impigliano in rapida

successione, come fossero su uno schermo, “affollate di assenze e dimenticanze”; rielabo-rando quella “suspense metafisica”, come scrisse allora Cesare Vivaldi, che era stata di de Chirico. Una tensione straniante, una vo-lontà di catturare il volto di una realtà mai av-vistata – assieme ad una opposta volontà di non abbandonare in tutto i comandamenti della scultura, come ha letto Cesare Brandi – sta anche nelle tele centinate di Pascali: una delle cui sculture bianche, La decapitazione del rinoceronte, è in mostra, a dimostrare quanto pesi ancora su quel tempo dell’arte a Roma la sospensione, l’attesa e il mistero del-la Metafisica. Pascali morì giovanissimo nel 1968: e con quella morte si chiudeva davvero un’epoca in cui la memoria dei passi remoti delle prime avanguardie s’era coniugata con un’ansia imperfetta del nuovo.

All’ingannevole flusso di suggestioni sinesteti-che del Caravaggio virtuale del Palazzo delle Esposizioni di Roma, Palazzo Barberini rispon-de con una minimostra priva di magie spettaco-

lari, ma concretissima nel presentare, fresca di restauro, una monumentale tela di Muziano creduta dispersa, che getta un nuovo fascio di luce su due capolavori del grande pittore lombardo: la prima e la seconda versione della pa-la d’altare della Cappella Contarelli in San Luigi de’ Fran-cesi (Girolamo Muziano e il San Matteo e l’angelo Conta-relli, a cura di Cinzia Ammannato e Andrea G. De Marchi, fino al 30 giugno). Da quando De Marchi ha assunto la di-rezione scientifica del Laboratorio di restauro di Palazzo Barberini, le scoperte si succedono a ritmo incalzante, ma questo recupero è il più clamoroso. Proviamo a riassu-mere. Il francese Matteo Contarelli, futuro cardinale, in-carica nel 1565 il pittore bresciano Gerolamo Muziano di realizzare la decorazione della sua cappella in San Luigi de’ Francesi. Muziano si mette al lavoro, ma poi, distratto dal successo di una carriera che culminerà con la nomina a “pictor papalis”, si disamora di un incarico accettato quando i compensi erano modesti. Nel 1580 Contarelli e Muziano erano addivenuti a un accordo: in cambio della li-berazione dall’incarico, il pittore cedeva al committente vari dipinti, tra i quali anche la pala ora ritrovata. Dopo va-ri indugi, l’esecutore testamentario del cardinale affida la decorazione della cappella al Cavalier d’Arpino, che pe-rò si limita ad affrescare la volta (1593). Sei anni dopo, Ca-ravaggio ottiene di poter eseguire i laterali su tela. E la pa-la d’altare di Muziano? Torniamo alla morte di Contarelli, nel 1585. Un anno dopo, Muziano accetta l’ incarico di de-corare la cappella Mattei in S. Maria in Aracoeli con una serie analoga di storie di San Matteo. Nel giro di tre anni completa il lavoro e induce i Mattei a recuperare dai Con-tarelli la vecchia pala, che viene installata sul nuovo alta-re. Da tempo era stato notato che sia il Cavalier d’Arpino per la volta Contarelli, sia Caravaggio per i laterali aveva-no tratto consistenti spunti dalle storie di Muziano all’A-racoeli. Ora, però, sappiamo che il Merisi trasse ispirazio-ne anche dalla pala, che poté vedere sull’altare della cap-pella Mattei, dove però nel ’700 fu sostituita da una me-diocre Madonna di Loreto tuttora in situ. Ignoriamo at-traverso quali peripezie la pala sia poi giunta al generale che, nel 1934, la donò alla Guardia di Finanza di Roma. Fatto sta, che De Marchi, quando se la vide consegnare al Laboratorio dai finanzieri per un restauro, non ebbe dub-bi nel riconoscervi l’inconfondibile stile di Muziano. Affi-data alle mani di Chiara Merucci e Maria Milazzi, la tela non solo ha riacquistato vividezza, ma ha rivelato una ste-sura ricca di pentimenti e aggiustamenti “in diretta”, tipi-ca della tecnica esecutiva lombardo-veneta di Muziano. Inoltre è apparso chiaro che fu eseguita negli anni ’60. Trent’anni più tardi, nonostante l’abissale divario di ge-nialità creativa, la prima versione della pala Contarelli di Merisi (andata perduta a Berlino) deriva dall’impianto compositivo escogitato dal predecessore lombardo. E per-fino la seconda versione, che rifulge tuttora sull’altare del-la cappella, conserva, nella mano destra del San Matteo, un’evidente memoria dell’archetipo oggi ritrovato.

A sinistra, il San Matteo e l’angelo oggi ritrovato e restaurato Fu realizzato da Gerolamo Muziano negli anni Sessanta del Cinquecento Sotto, la prima versione del San Matteo e l’angelodi Caravaggio (perduta a Berlino) che prende spunto dalla composizione di Muziano

GABRIELE BASILICO DAL MAXXI A MADRID

L’Istituto Italiano di cultura in Spagna ospita fino al 9 settembre una mostra di foto dalle collezioni del Maxxi

a cura di Silvia Silvestri

I visitatori

della settimana

VISITATORI

FINO AL 19 SETTEMBR

IMAGINE. Nuove immaginnell’arte italiana 1960-196

9.723

VENEZIA

Peggy Guggenheim Collection

FINO AL 3 LUGLIO

Caravaggio experience/Gianni Berengo Gardin.Vera fotografia

7.752

ROMA

Palazzo delle Esposizioni

FINO ALL’11 SETTEMBR

Alphonse Mucha

7.082

ROMA

Complesso del Vittoriano-Ala Brasini

FINO AL 24 LUGLIO

Edward Hopper

11.556

BOLOGNA

Palazzo Fava

FINO AL 24 LUGLIO

Da Kandinsky a Pollock.La grande artedei Guggenheim

9.459

FIRENZE

Palazzo Strozzi

©RIPRODUZIONE RISERVATA

LE MOSTRE

DA VEDERE

IN ITALIA

E IN EUROPA

ANTONIO PINELLI

ROMA

Quel San Matteo ricorda Caravaggio