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IL POTERE'ASSOLUTO*DELTERAPÈUIA

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ASSISTENZA SOCIALE E INQUISIZIONE

Gli assistenti sociali debbono spesso prendere provvedimenticontro quella che è la volontà dell'assistito, in quanto non sem-pre quest'ultimo è in grado di riconoscere ciò che va a suo vol-taggio. In certi casi dispongono di strumenti legali per eseguirei provvedimenti che reputano opportuni e, quando questi stru-menti mancano, gli assistenti sociali avvertono immediatamentel'inadeguatezza del loro operato. E possibile, ad esempio, sot-trarre ai genitori i bambini maltrattati o gravemente trascurati;molto spesso, però, le autorità non hanno appigli legali per inter-venire, anche se è assolutamente evidente che un bambino vieneallevato in condizioni sfavorevoli. La possibilità di prendere i prov-vedimenti necessari, anche contro il volere del bambino e dei ge-nitori, può presentarsi solo più tardi, quando il bambino è piùgrande e magari, ormai adolescente, si trova a trasgredire la leg-ge penale. Molti di coloro che si occupano di assistenza socialelamentano il fatto che in genere sia possibile agire solamente quan-do è troppo tardi e inoltre che sia così difficile sottrarre ai geni-tori i figli, anche quando ciò sia nell'interesse di questi ultimi.

Ancor più difficile è prendere provvedimenti coercitivi con-tro persone adulte. In Svizzera può essere posto sotto tutela chiabbia messo in pericolo se stesso o la sua famiglia per motivi qualidissipazione, alcolismo, corruzione o cattiva amministrazione del

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Adolf Guggenbiihl-Craig

proprio patrimonio. Ma secondo le leggi svizzere e quelle dellamaggior parte dei paesi civili, un assistente sociale non sempreha facoltà di intervenire dove e quando lo ritenga necessario, an-che se in molte situazioni gli è possibile adottare misure controi genitori a favore dei figli. Un adulto sotto tutela non può agirein contrasto con le disposizioni dell'assistente sociale cui è affi-dato, e i giovani sotto i diciotto anni che commettono anche lapiù lieve infrazione della legge possono essere allevati e istruitifino al compimento del ventiduesimo anno di età secondo la de-cisione delle autorità competenti.

Per prendere provvedimenti contro il volere di un assistito bi-sogna essere convinti, addirittura certi, che le proprie idee sianogiuste. Il caso seguente può illustrare questo punto. Una ragazzadi diciassette anni, che chiameremo Anna, viveva con la madredivorziata due volte. Dopo il secondo divorzio della madre, inseguito a denunce presentate da alcune persone intime della fa-miglia, la ragazza fu messa sotto tutela. Sembrava che fra madree figlia esistesse una dipendenza morbosa tale che ogni minimodesiderio della figlia venisse esaudito. Dopo aver terminato glistudi, la figlia ebbe una serie di lavori saltuari e infine smise deltutto di lavorare. Sebbene la madre si lamentasse del comporta-mento della figlia, di fatto ne incoraggiava l'inattività, non vo-lendo che crescesse e diventasse indipendente. L'assistente sociale,dopo aver esaminato meticolosamente il caso, giunse alla conclu-sione, d'accordo con uno psichiatra, che madre e figlia dovevanoessere separate: era in gioco la salute mentale della ragazza e nonsi doveva tener conto del fatto che entrambe resistevano dispe-ratamente a questa soluzione.

Anche a separazione avvenuta si rivelò impossibile stimolarenella ragazza qualsiasi interesse per il lavoro: tutto sembrava in-dicare che preferisse farsi mantenere dagli uomini e, per evitareche si desse alla prostituzione, la sua tutela fu prolungata fin ol-tre il ventesimo anno di età.

I funzionari che si erano occupati del caso ritenevano che sifosse agito correttamente sotto ogni punto di vista. Su cosa si

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fondava tanta sicurezza, visto che, è il caso di ricordarlo, le mi-sure adottate erano state prese in contrasto con la volontà delleinteressate?

Il lavoro degli operatori sociali si basa su una filosofia nata conl'illuminismo, la quale presume che tutti possano e debbano es-sere ragionevoli e socialmente adattati e che lo scopo della vitaconsista in uno sviluppo più o meno "normale" e felice in rap-porto alle proprie possibilità. Un neonato amato dalla madre do-vrebbe diventare un bambino appagato, al quale un padreresponsabile dovrebbe garantire una giovinezza attiva e sana inun contesto materiale largamente sicuro. Dopo un felice periodoscolastico, il giovane dovrebbe gradualmente distaccarsi dai ge-nitori, intraprendere una professione e, quale individuo non ne-vrotico, equilibrato e socialmente adattato, trovarsi una compagnacon cui avere a sua volta dei figli che lui, da padre soddisfatto,guiderà verso la maturità. Quando i suoi figli saranno cresciutie avranno a loro volta una famiglia, sperimenterà allora le gioiedell'esser nonno. Secondo questa filosofia, lo scopo di tutti i no-stri sforzi è quello di creare individui sani, socialmente adattati,felici nei loro rapporti interpersonali. Lo sviluppo nevrotico, ildisadattamento sociale, l'eccentricità e ogni sorta di rapporti fa-miliari non regolari devono essere evitati e combattuti.

Quando una persona non risulta felice e normale secondo que-sto modello, si suppone che qualcosa non abbia funzionato nellaprima infanzia, cioè nel modo in cui è stata allevata. L'assuntoè che cure "appropriate" fanno della maggior parte dei bambinidegli adulti equilibrati e felici. Bisogna far sì che il loro sviluppoproceda in sintonia con questi concetti largamente accettati, cono senza l'assenso degli interessati.

A prima vista, sembra assolutamente corretto che la filosofiache ho presentato in forma alquanto semplificata debba costitui-re il fondamento delle nostre azioni, tuttavia non sempre la filo-sofia della normalità e dell'adattamento sociale ha avutol'importanza che ha oggi. I primi cristiani e quelli del medioevo,ad esempio, avevano modi di vedere assai diversi. Il loro scopo

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jiAdolf Guggetibùbl-Craig

principale non mirava ad allevare individui sani, non nevrotici,socialmente adattati, bensì a salvare le loro anime e ad aiutareil prossimo a raggiungere il regno dei cicli. Concetti quali la salu-te o la malattia psichica, l'adattamento o il disadattamento so-ciale, i rapporti interpersonali, l'indipendenza dai genitori ecc.avevano per essi un ruolo molto secondario o addirittura nullo.Il modo in cui durante il medioevo un cristiano ricercava la sal-vezza dell'anima oggi verrebbe considerato in parte nevrotico esocialmente disadattato. I modelli guida erano i santi, i quali nonindietreggiavano di fronte a nessuna delle difficoltà che poteva-no incontrare nel loro personale cammino verso Dio. C'erano,ad esempio, gli stiliti, pii cristiani d'Oriente che cercavano di ser-vire Dio passando la maggior parte della loro vita seduti o rittiin cima a una colonna, e che, al pari degli uomini di Dio che vi-vevano da eremiti nel deserto, non erano di certo molto adattatio socialmente integrati. Secondo il paragrafo 370 del codice ci-vile svizzero, quei santi che distribuivano tutti i loro beni terre-ni ai poveri e poi conducevano una vita da mendicanti dovrebberoessere messi sotto tutela per aver messo se stessi in stato di biso-gno o di povertà. Osservati secondo la nostra filosofia della nor-malità e dell'adattamento, gli asceti che digiunavano e siinfliggevano penitenze ci appaiono quanto meno degli sfortunatieccentrici, se non addirittura delle persone malate di mente, bi-sognose di cure psichiatriche.

Nel medioevo cristiano vi furono anche coloro che non aderi-rono alla visione allora predominante. Essi perseguivano valoridiversi dalla salvezza dell'anima in senso cristiano, cosa che spessorisultò loro fatale. In certi periodi e in certe circostanze, quelliche, come loro, deviavano dalla dottrina ufficiale o ammetteva-no una diversa gerarchla di valori furono perseguitati e martiriz-zati dalla chiesa. Oggi la parola "inquisizione" ha un suonofunesto, ma gli inquisitori cristiani erano in grado di giustificarecon convinzione assoluta le loro azioni, ed erano considerati, econsideravano se stessi, uomini di buona volontà. Le autorità cri-stiane erano assolutamente sicure che i loro punti di vista sulla

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salvezza dell'anima fossero i soli corretti. In tal senso, gli inqui-sitori avevano un duplice compito: da un lato dovevano proteg-gere la comunità da pericolose eresie, che rappresentavano ungravissimo pericolo per le anime; dall'altro, dovevano protegge-re gli eretici dalla loro stessa imminente dannazione. Lo shockdella carcerazione e della tortura doveva portare gli eretici a ca-pire che le loro anime avevano bisogno di essere salvate, mentrela morte sul rogo eliminava il pericolo che rappresentavano pergli altri uomini. Se, una volta di fronte alle fiamme, un ereticorecidivo ammetteva il proprio errore, veniva comunque bruciatoper evitargli di ricadérvi, ma gli era concessa la grazia di essereprima strangolato.

Il compito principale dell'inquisizione non era perciò quellodi perseguitare, torturare o uccidere; il suo nobile scopo consi-steva nel proteggere e aiutare l'umanità in generale, e l'individuo in particolare, e gli inquisitori credevano che tutti i mezzifossero leciti per diffondere la dottrina ufficiale, l'unica

Naturalmente, non voglio sostenere che il modo di operare del-l'attuale assistenza sociale sia una diretta filiazione dell'inquisì"!zione medioevale, oggi non si tortura e non si brucia nessuno]tuttavia vi sono alcuni evidenti paralleli. Ci sforziamo di com-battere situazioni familiari malsane, di correggere strutture so-ciali insoddisfacenti, di adattare i disadattati: in breve, tentiamodi imporre a forza ciò che consideriamo "giusto" per le personee, spesso, lo facciamo anche quando il nostro aiuto viene rifiuta-to dagli interessati. Sovente imponiamo agli altri una particolareconcezione della vita, indipendentemente dal fatto che ne sianoconvinti oppure no; il "diritto" alla malattia, alla nevrosi, a rap-porti familiari malsani, alla degenerazione sociale, all'eccentrici-tà non rientra nelle nostre scelte.

Le somiglianze fra l'inquisizione e il moderno servizio socialenon dovrebbero comunque essere prese troppo alla lettera. Quelloche voglio dire è che disporre del nostro prossimo contro la-suavolontà può creare problemi assai gravi, anche quando sembral'unica via corretta: non potremo mai sapere quale sia il reale si-

Li,C?r'^.'

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Adolf Gufffnbiihl-Craig

gnificato di una vita umana. Lo scopo degli sforzi individuali ecollettivi è visto in modo più o meno diverso a seconda delle per-sone o delle epoche: i nostri valori di oggi non sono i soli e nean-che i definitivi; fra duecento anni potrebbero essere addiritturaconsiderati primitivi e ridicoli. All'interno della società occiden-tale vi sono oggi movimenti che disprezzano e combattono i va-lori di normalità e di adattamento sociale, come ad esempio glihippies con tutte le loro varianti e sottogruppi. I vagabondi ca-pelluti che fanno pellegrinaggi dall'Europa all'India, sopravviven-do con lavori occasionali, mendicando e trovando la felicità nelturno dell'hashish, non ritengono certo che la normalità sia lo scopofinale della vita.

La consapevolezza che i nostri sistemi di valori possono esseremejsjjn discussi^ne^ovr^bberenclerci cauti nell'imporli àgli al-trì. Gli inquisitori avevano ben pochi scrupoli in proposito e, con-siderando la cosa a posteriori, ci sembra che sarebbe stato moltomeglio se avessero esaminato più a fondo i moventi delle proprieazioni. Studiando l'inquisizione oggi, è difficile evitare il sospet-to che le pulsioni psicologiche che spingevano quei santi crociatifossero così pure come volevano far credere a se stessi e al mon-do: a me sembra che fossero mossi anche da una certa crudeltàinconscia e dal desiderio di potere. Per molti di noi l'inquisizio-ne medioevale è il compendio dei desideri sadici di potere san-zionati ufficialmente. Nel nostro lavoro assistenziale, quandoimponiamo a qualcuno cose che lui, da parte sua, respinge, le no-stre motivazioni sono sicuramente migliori. O forse non sempreè cosi? In anni e anni di analisi ad assistenti sociali ho notatoripetutamente che, ogniqualvolta si deve imporre qualcosa a qual-cuno, i motivi consci e inconsci di chi lo fa sono assai polivalen-ti: nello sfondo si cela un misterioso desiderio di potere e i sognie le fantasie portano alla luce moventi che la coscienza preferisceignorare. Un assistente sociale, ad esempio, sognò di investire conla sua auto una persona alla quale, nella vita diurna, aveva impo-sto determinate cose: nel sogno temeva che si scoprisse che loaveva fatto intenzionalmente. Anche le emozioni manifestate aper-

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tamente nel corso della psicoterapia non sempre indicano un pu-ro desiderio di aiutare il prossimo. "Mentre le sedevo di frontee lei continuava a contraddirmi, sentii il desiderio di farle final-mente capire chi era il capo. Avevo l'esaltante sensazione che noncomprendesse quanto poco poteva fare contro la mia opinione.."Affermazioni di questo tipo qualificano esattamente la situazio-ne emotiva di molti assistenti sociali.^Molto spesso, più che il be-nessere dell'assistito, sembra piuttosto essere in gioco il poteredicnT assiste. Imporre a una persona un provvedimento accura-tamente giustificato da all'assistente sociale un profondo sensodi soddisfazione, lo stesso che prova uno scolaro che, battendoun compagno, dimostra di essere il più forte e pensa: "Così im-para che con me non si scherza!".

Mi ha colpito anche un altro fenomeno molto interessante:quanto più l'assistente sociale è contaminato da motivi oscuri,tanto più sembra aderire a una supposta "obiettività". Quandociò accade, la discussione sulle misure da adottare in un determi-nato caso diventa manifestamente dogmatica, come se la solu-zione corretta del problema fosse obbligatoriamente una sola. Unassistente sociale molto intelligente, che era in analisi con me,disse un giorno: "Ogni volta che riesco a dimostrare ai miei col-leghi che un provvedimento che abbiamo dovuto imporre è esat-to, proprio come due più due fa quattro, di notte faccio sognisgradevoli e le opinioni diverse dalla mia cominciano a sembrar-mi attacchi personali".

Le motivazioni psicologiche di tutti coloro che esercitano pro-fessioni assitenziali, che lavorano "per aiutare l'umanità", sonoaltamente ambigue. L'assistente sociale si sente obbligato dallapropria coscienza e dal mondo circostante a ritenere che il desi-derio di aiutare sia la motivazione principale che lo muove; con-temporaneamente, però, nel fondo della sua anima si costella ilcontrario: non il desiderio di aiutare, bensì il desiderio di poteree la soddisfazione di depotenziare l'assistito. Soprattutto nei ca-si in cui l'assistente sociale è costretto ad agire contro la volontàdell'assistito, si scopre, analizzando a fondo il suo inconscio, che

Adolf Guggenbùhl-Craig

il desiderio di potere ha avuto un ruolo assai importante nellesue decisioni. Se lo si può far passare per obiettività e rettitudi-ne morale, esso gode della più ampia libertà di azione: infatti,l'uomo si dimostra massimamente crudele proprio nelle occasio-ni in cui può usare la crudeltà per imporre il "bene". Se nellavita quotidiana lasciamo che il desiderio di potere ci condizionieccessivamente, accade spesso di sentire dei rimorsi, ma questisentimenti di colpa scompaiono completamente se le nostre azioni,motivate inconsciamente da tale desiderio, possono essere giu-stificate consciamente con ciò che si presume giusto e buono.

Il problema dell'ombra di potere è quindi di somma importan-za per l'assistente sociale, il quale è spesso obbligato a prenderedecisioni di portata vitale contro la volontà delle persone assisti-te. Vorrei, però, prevenire alcuni malintesi. Nessuno agisce inbase a motivi del tutto franchi. Anche le più nobili imprese si fon-dano su motivazioni pure e impure, chiare e oscure, ed è per questofatto che molte persone e le loro azioni vengono ingiustamenteridicolizzate o compromesse. Anche il più generoso dei filantro-pi è spinto, in urta certa misura, dal desiderio di essere rispettatoe onorato per la sua generosità, ma non per questo la sua filan-tropia ha meno valore. Un assistente sociale fortemente mossoda desiderio di potere può comunque prendere decisioni utili alsuo assistito; c'è tuttavia il pericolo che quanto più si illude diagire in base a motivi esclusivamente altruistici, tanto più la suaombra di potere diventi determinante nel portarlo, a tradimen-to, a prendere decisioni assai discutibili.

In Svizzera vi sono persone che propugnano l'applicazione delcodice penale minorile oltre il ventesimo anno di età. Potremmochiederci se questa, come molte altre, non sia l'espressione del-l'ombra di potere dell'assistente sociale (che, naturalmente, pos-siamo incontrare anche in ruoli affini, quali il pubblico ministero,il difensore dei minori ecc.). Il codice penale minorile tende in-fatti a evitare che a un trasgressore della legge in minore età ven-ga comminata una pena puramente formale per renderne possibilela rieducazione o riabilitazione, ma nello stesso tempo — e que-

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sto è inevitabile — lo sottomette al volere più o meno arbitrariodell'autorità. Se tale codice venisse esteso fino al venticinquesi-mo anno di età, ad esempio, ne conseguirebbe che un giovanedi ventidue anni, il quale commetta un'infrazione anche minimadella legge, non solo dovrebbe pagare per il suo reato, ma po-trebbe essere costretto a subire un programma di riabilitazionepiù lungo e più duro della pena prevista dal normale codice pe-nale: invece di subire la pena stabilita dalla legge, si troverebbein balia delle intenzioni pedagogiche dell'autorità, che presumi-bilmente tenterebbe di costringerlo a cambiare con un program-ma di rieducazione.

A questo punto, possiamo lasciare campo libero alla nostra im-maginazione. Molti assistenti sociali e alcuni giuristi interessatial problema hanno proposto che il codice penale generale vengariformato, eliminando interamente le pene specifiche e mante-nendo solo le misure educative. Un trasgressore della legge nonverrebbe più punito ma aiutato, tramite la rieducazione, a trova-re il proprio posto nella società. Ciò significa che verrebbero ana-lizzati il suo carattere e il suo atteggiamento sociale e, se nonrisultassero conformi ai modelli e ai valori di chi lo esamina, eglipotrebbe essere sottoposto a rieducazione per costringerlo a mu-tare il suo atteggiamento intcriore. Se vogliamo descrivere la si-tuazione ancora più chiaramente, possiamo dire che, in certecondizioni, la violazione di un divieto di sosta potrebbe portarea diversi anni di riabilitazione. L'assistente sociale incaricato disuggerire o di eseguire tali provvedimenti avrebbe nelle sue ma-ni un potere senza precedenti ed è questo che mi ha indotto achiedermi se tali proposte di riforma non possano essere in partel'espressione di una diffusa ombra di potere.

Mi colpisce sempre vedere quanto sia difficile proprio per gliassistenti sociali più coscienziosi accettare il fatto che i diritti deigenitori siano fortemente protetti. In Svizzera, anche quando èchiaro che dei bambini vengono allevati in modo del tutto inade-guato dai loro genitori ed è quindi assai probabile che avranno,in seguito, serie difficoltà nella vita, le autorità non hanno alcun

Adolf Gitggeribubl-Craig

potere di intervento, a meno che non si tratti di casi evidentidi negligenza grave o di maltrattamento. Molti assistenti socialisostengono che questo è assolutamente insensato e che dovrebbeessere possibile fermare i genitori prima che provochino danniirreparabili ai loro figli.

Si ripresenta ora il problema se dietro questa vigorosa richie-sta di intervento non faccia capolino l'ombra di potere. Un'assi-stente sociale tentò accanitamente di sottrarre un bambino a quelliche, secondo il suo parere, erano genitori assolutamente inadat-ti, ma non vi riuscì per carenza di motivi legali. Parlandomene,disse con ammirevole candore: "La cosa principale che sento oraè rabbia e odio per quei genitori. Vorrei proprio fargliela vedereio!". La sua frustrazione per non essersi dimostrata più forte diquelle persone era molto maggiore del dispiacere di non essereriuscita ad aiutare il bambino.

Per chiarire ulteriormente il problema, voglio tornare al casodi Anna. Al punto in cui erano le cose, diventava urgente esami-nare a fondo le nostre motivazioni. Forse non era così scontatoche si potessero ottenere dei risultati positivi sottraendo la ra-gazza a sua madre. Certo, il loro era un rapporto malsano, maera impossibile stabilire se la nostra interferenza forzosa facessepiù bene che male: avremmo almeno dovuto chiederci se la vitanon contempli anche la possibilità che madre e figlia rimanganoa lungo legate l'una all'altra. Come ho già cercato di chiarire, puòdarsi che le nostre idee di salute e normalità non rappresentino\A_ suprema saggezza; poteva anche darsi che la figlia sarebbe sta-ta in grado di condurre una vita significativa, pur rimanendo le-gata alla madre. Eravamo davvero più capaci di loro, che siopponevano alla separazione, di discernere ciò che costituiva unsistema di vita "significativo"? Volevamo veramente aiutarle onon eravamo piuttosto vittime dei nostri istinti di potere? Io an-drei anche oltre: perché eravamo così certi che la cosa più giustaper salvare la ragazza dalla prostituzione fosse di prolungarne latutela oltre il ventesimo anno di età? Come potevamo sapere seuna tale situazione non sarebbe stata molto dannosa per lei? In

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realtà né la tutela prolungata né un anno di riformatorio mutaro-no affatto il suo comportamento.

Gli assistenti sociali lamentano spesso che le persone si rivol-gano all'autorità solo quando hanno esaurito tutte le loro risorsee che ascoltino attentamente i consigli che si danno loro e faccia-no poi il contrario, salvo ritornare allorché questo comportamentosi sia risolto in un disastro. Un atteggiamento del genere irritaoltremodo gli assistenti sociali, i quali si rammaricano che nonesistano altri mezzi per imporre i loro consigli. Tuttavia, quest'ir-ritazione e questo rammarico sono veramente un'espressione dieros sociale o non sono semplicemente la manifestazione di unaesigenza delusa di potere? Il vero eros non comporta la volontàdi imporre il nostro modello di vita e le nostre idee agli altri.

La presenza di un problema di potere nel campo dell'assisten-za sociale è confermata indirettamente dall'immagine che l'opi-nione pubblica ha di altre figure professionali, oltre gli assistentisociali, cioè di medici, sacerdoti, avvocati, uomini politici ecc.Quest'immagine è solitamente doppia, con un lato in ombra euno in luce, e quello negativo è in genere più unitario e standar-dizzato di quello positivo. I sacerdoti vengono rappresentati co-me degli ipocriti, gli insegnanti come infantili e lontani dalla vita,i medici come dei ciarlatani, e così via. Queste immagini, negati-ve o positive che siano, vanno considerate in parte come pregiu-dizi, ma, se esaminate con cura, risultano avere spesso una certavalidità, ancorché distorta. .—

II problema delTombra di potere ha un ruolo estremamente im-portante neU'immaginecòTIéltlvF3èTrasHsTente sociale poiché que-sti viene rappresentato come uno che si intromette ogniqualvoltagli è possibile, che impone la sua volontà alle persone senza capi-re veramente che cosa sia in gioco, che tenta di allineare tuttosecondo ristretti schemi moralistici e borghesi, che è spinto daun compiacimento del proprio potere, che si sente offeso e divie--,ne cattivo quando questo non viene riconosciuto.

In una situazione concreta, questa "mitologia negativa" del-l'assistente sociale potrebbe presentarsi più o meno così: alle dieci

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del mattino l'assistente bussa alla porta di un appartamento, en-tra, ficca il naso dappertutto, osserva che i letti sono disfatti ei piatti della sera prima ancora sporchi. La padrona di casa è investaglia e sta cominciando solo in quel momento i lavori dome-stici. Sulla base di questa visita l'assistente sociale conclude chela famiglia è inadatta a tenere il figlio adottivo e questi, amatoprofondamente dai genitori, è portato via per essere sistematoin un'ordinata casa borghese. L'opinione dell'assistente socialeè negativa non solo a causa del disordine che ha trovato, ma an-che perché la padrona di casa ha rifiutato la sua intromissionee in un primo momento era perfino riluttante al suo ingresso nel-l'appartamento.

A questo punto si può obiettare che ciò che ho detto finorapotrebbe essere applicato all'assistente sociale di vecchio stam-po, il quale, con tutta probabilità, aveva veramente una grandeombra di potere, ma che nella professione moderna il problemaè molto meno acuto. L'assistente moderno e aperto conosce leteorie psicologiche e, sulla base di queste, tenta di capire e aiuta-re le persone; spesso il suo atteggiamento di fondo differisce po-chissimo da quello di uno psicoterapeuta. Ho sperimentato tuttaviache il problema del potere può essere affinato, ma certo non eli-minato, da tale conoscenza psicologica, poiché essa può venirelargamente utilizzata al servizio dell'ombra di potere, arrivandoa creare una situazione in cui l'assistito è perfino derubato dellasua anima. Ora non solo la sua situazione sociale e finanziaria,ma anche quella psicologica è diventata trasparente e può esseremanipolata dall'assistente sociale e, quando alla congerie di stru-menti che questi usa vengono aggiunti anche i test psicologici,lo sfortunato individuo non può più difendersi. Egli è in gradosolo di percepire vagamente che la sua anima è stata radiografatafino in fondo e che ha rivelato indirettamente il suo essere piùintimo a coloro che ritiene dovrebbero aiutarlo. A una madre cheafferma di amare suo figlio l'assistente sociale può ora dire chein realtà lei con il figlio non ha alcun rapporto. A un giovane cheresiste disperatamente, dopo molti anni di riabilitazione, può di-

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re che in realtà egli è contento che gli si impongano dei limiti.L'assistito non è più in grado di dire nulla, poiché l'assistentesociale lo ha radiografato e scrutato fino in fondo.

Qui tocchiamo già i problemi d'ombra di un'altra professione,quella dello psicoterapeuta, che è il vero punto focale di questolibro: ce ne occuperemo nel prossimo capitolo. Prima vorrei co-munque aggiungere qualche riflessione di tono meno negativo.

La professione dell'assistente sociale, difficile e carica di re-sponsabilità, viene intrapresa per una grande varietà di motiva-zioni psicologiche, che differiscono da individuo a individuo:tuttavia, e quantunque anche il caso giochi la sua parte, ce nesono alcune in comune. Non mi riferisco certo a coloro che pra-ticano la professione con spirito cinico, come puro mezzo per gua-dagnarsi il pane: le persone di questo tipo non sentono il problemadell'ombra di potere in modo particolarmente acuto. Quelli chene cadono continuamente vittime sono invece principalmente gliassistenti sociali diligenti, entusiasti, sinceramente dediti alla lo-ro attività. L'individuo cinico e indifferente si limita a fare il suolavoro in modo formale e corretto e non ne è toccato profonda-mente, né dagli aspetti positivi né da quelli negativi.

Cosa spinge dunque un individuo a preoccuparsi dal lato oscu-ro della vita sociale? Che cosa gli da la forza di trattare, giornodopo giorno, con persone infelici, sfortunate, disadattate? Checosa lo affascina in questo deprimente quadro della vita? Devesenz'altro trattarsi di una persona di tipo particolare: l'individuomedio "sano" preferisce infatti ignorare e dimenticare le disgra-zie e le sofferenze del suo prossimo quando queste non lo tocca-no direttamente, o almeno preferisce averci a che fare di rado,a sufficiente distanza, leggerle cioè nei giornali o vederle alla te-levisione. Solo un numero piuttosto ristretto di persone si preoc-cupa di entrare in contatto con i guai altrui, la maggior parte neha abbastanza dei propri. Se diciamo semplicemente che gli assi-stenti sociali sono esseri benedetti da un più grande amore peril prossimo non risolviamo nulla, poiché non è vero, e d'altrondenon tutti sono cristiani osservanti mossi dalla convinzione che

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Adolf Guggetibùhl-Craig

l'amore verso il prossimo, manifestato aiutando gli infelici, siail principale comandamento divino. Anche se la tentazione di smi-nuire ciò che è ammirevole è molto forte, non dobbiamo vedereil desiderio di aiutare gli altri come una semplice razionalizzazio-ne del desiderio di potere, che è il lato ombra di questa profes-sione. Sono state scritte molte opere di psicologia per dimostrarecome un'espressione di eros sia in realtà la mera sublimazionedi qualche ignobile istinto: secondo questo modo di vedere, il pit-tore è un bambino sporcaccione frustrato, l'insegnante è un sedut-tore di bambini represso, lo psicoterapeuta è un voyeur, e così via.

Devono essere persone di una struttura psicologica molto spe-ciale quelle che scelgono come lavoro il confronto quotidiano conalcune delle polarità fondamentali dell'uomo: adattamento-disadattamento, successo sodale-insuccesso, salute mentale-malattia mentale. Chi esercita una professione assistenziale neè certamente più affascinato di altri.

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PSICOTERAPEUTA, CIARLATANO EFALSO PROFETA

La psicoterapia nella sua forma attuale è relativamente giova-ne: i modelli secondo cui opera sono stati mutuati da una varietàdi professioni e non possono essere compresi se non vengono messiin rapporto con arti più antiche. Che ci piaccia o no, la psicote-rapia è parente della medicina: i modelli professionali ed etici cheguidano il medico sono in parte gli stessi dello psicoterapeuta ei lati oscuri dell'analista sono, in certa misura, legati al caratteremedico del suo lavoro.

Il medico si assume il compito di aiutare i malati e i sofferenti.Il Giuramento d'Ippocrate dice a un certo punto: "Prescriveròagli infermi la dieta opportuna che loro convenga per quanto misarà permesso dalle mie cognizioni, e li difenderò da ogni cosaingiusta e dannosa [...]. In qualsiasi casa entrato baderò soltantoalla salute degli infermi rifuggendo ogni sospetto di ingiustiziae di usare corruzione [...]. Considererò sacre la mia vita e la miaarte". Nei suoi tratti generali questa nobile concezione del me-dico è familiare alla maggior parte del mondo occidentale.

Nel Giuramento d'Ippocrate sono assenti i lati oscuri dell'at-tività medica, abilmente ridicolizzati da Jules Romain nel suoKnock o il trionfo della medicina. Il protagonista non desidera af-~fatto guarire il suo prossimo disinteressatamente: egli usa le sueconoscenze mediche per vantaggio personale, non esitando nean-

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