Iliade riscritta

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Cl@sse 2.0 – Liceo Scientifico Pitagora di Rende (CS) www.ilpitagora.it/blog L’Iliade riscritta dagli alunni della I H –Cl@sse 2.0 Voce narrante: Criseide - Iliade Libro I Tutto iniziò in un giorno di violenza, il giorno in cui gli Achei mi rapirono, strappandomi alla mia terra e a mio padre. Erano nove anni che gli Achei assediavano Troia. Spesso avevano bisogno di viveri, animali o donne, e allora lasciavano l’assedio per procurarsi ciò che volevano, saccheggiando le città vicine. Quel giorno toccò a Tebe, la mia città, ci presero tutto e lo portarono alle loro navi. Quel giorno portarono via anche me, Criseide, figlia di Crise, il sacerdote di Apollo. Quando arrivarono al campo si spartirono il bottino. Agamennone, il re dei re e il capo di tutti gli Achei mi vide e mi volle per sé. Alcuni giorni dopo mio padre arrivò all’accampamento. Portava doni splendidi e chiedeva in cambio la mia liberazione. Dopo averlo ascoltato, tutti i principi Achei si pronunciarono per accettare il riscatto, per onorare quel nobile vecchio. Solo Agamennone non si fece incantare, si scagliò brutalmente contro mio padre, gli intimò di andarsene e di non farsi più vedere, se voleva salva la pelle. Così disse Agamennone a Crise che era vecchio ed era il sacerdote di Apollo. Mio padre afflitto se ne andò in silenzio e scomparve nel rumore del mare. Allora accadde che all’improvviso la morte piombò sugli Achei; gli uomini e gli animali morivano e i roghi ardevano incessantemente. Il decimo giorno Achille, convocò 1

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L’Iliade riscritta dagli alunni della I H –Cl@sse 2.0

Voce narrante: Criseide - Iliade Libro I

Tutto iniziò in un giorno di violenza, il giorno in cui gli Achei mi rapirono, strappandomi alla mia terra e a mio padre. Erano nove anni che gli Achei assediavano Troia. Spesso avevano bisogno di viveri, animali o donne, e allora lasciavano l’assedio per procurarsi ciò che volevano, saccheggiando le città vicine. Quel giorno toccò a Tebe, la mia città, ci presero tutto e lo portarono alle loro navi. Quel giorno portarono via anche me, Criseide, figlia di Crise, il sacerdote di Apollo. Quando arrivarono al campo si spartirono il bottino. Agamennone, il re dei re e il capo di tutti gli Achei mi vide e mi volle per sé.

Alcuni giorni dopo mio padre arrivò all’accampamento. Portava doni splendidi e chiedeva in cambio la mia liberazione. Dopo averlo ascoltato, tutti i principi Achei si pronunciarono per accettare il riscatto, per onorare quel nobile vecchio. Solo Agamennone non si fece incantare, si scagliò brutalmente contro mio padre, gli intimò di andarsene e di non farsi più vedere, se voleva salva la pelle. Così disse Agamennone a Crise che era vecchio ed era il sacerdote di Apollo. Mio padre afflitto se ne andò in silenzio e scomparve nel rumore del mare.

Allora accadde che all’improvviso la morte piombò sugli Achei; gli uomini e gli animali morivano e i roghi ardevano incessantemente. Il decimo giorno Achille, convocò l’esercito in assemblea e insieme decisero di consultare un profeta, o un indovino, o un sacerdote che potesse spiegare cosa stava succedendo e che li liberasse da quel flagello.

Fra loro c’era Calcante, il più famoso degli indovini, si alzò e parlò così: - quando abbiamo offeso quel vecchio, il dolore è caduto su di noi. Agamennone non ha liberato Criseide e il dolore è caduto su di noi-.

Agamennone allora, colmo di furore, guardò con odio Calcante e lo insultò chiamandolo “profeta di sciagure”. Ma fu costretto a cedere, disse che mi avrebbe consegnata a mio padre per porre fine a quella sciagura. In cambio voleva un dono che

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mi potesse sostituire e che lo risarcisse, visto che solo lui fra gli Achei era rimasto senza bottino.

Agamennone e Achille - Iliade libro I

Agamennone: - Per voi mi sono privato di Criseide che mi è più gradita della mia stessa sposa Clitemnestra. La renderò a suo padre, ma preparatemi subito un dono che la possa sostituire. Non è giusto che io solo fra gli Achei resti senza bottino -.

Achille:- Come possiamo trovarti un dono, Agamennone? Tutto il bottino è stato diviso ormai. Te lo prometto, sarai ripagato quattro volte tanto quando prenderemo Troia dalle alte mura -.

Agamennone: - Non mi inganni Achille! Io restituirò la fanciulla poi verrò a prendermi quello che mi piacerà. Lo prenderò a Ulisse, ad Aiace e magari lo prenderò a te -.

Achille:- Uomo impudente e avido!. Che cosa mi hanno fatto, in fondo, i Troiani? Nulla. Non mi hanno rubato né buoi né cavalli, non mi hanno distrutto il raccolto. Per seguire te sono qui, per difendere l’onore di Menelao. E tu, bastardo, faccia di cane, minacci di togliermi il bottino per cui ho tanto penato? Meglio tornare a casa che restare qui a farmi disonorare e a combattere per procurare tesori e ricchezze a un uomo indegno come te -.

Agamennone:- Vattene, se lo desideri, altri combatteranno al mio fianco. Tu non mi piaci, Achille, ami le risse, lo scontro, la guerra. Sei forte,è vero, ma non è merito tuo. Tornatene pure a casa. Non ti temo, anzi, sai cosa ti dico? Verrò io stesso nella tua tenda e mi prenderò Briseide, la tua schiava, così finalmente saprai chi è il più forte e chi comanda qui.

Achille:- Faccia di cane, cuore di cervo, vigliacco. Io me ne andrò, non contate mai più su di me. Arriverà il giorno in cui gli Achei tutti mi rimpiangeranno e tu per primo. E quando ripenserai all’offesa arrecatami, impazzirai per il rimorso e per la rabbia. Verrà quel giorno, lo giuro.

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Ettore e Andromaca – Iliade Libro VI

Andromaca:- Infelice, la tua forza sarà la tua rovina, Non hai pietà del figlio e di me, sventurata -? Non tornare là fuori, gli Achei ti verranno addosso e ti uccideranno.-

Ettore:- Donna,non puoi tenermi lontano dalla battaglia, sarebbe per me un disonore. Io sono cresciuto imparando a essere forte sempre, a combattere in prima fila per la gloria di mio padre e per la mia.-

Andromaca:- Ettore, se ti perdo, morire sarà meglio: per me non ci sarà alcun conforto ma solo dolore. Non ho padre, non ho madre, non ho più nessuno. Mio padre me l’ha ucciso Achille, quando distrusse Tebe dalle alte porte. Avevo sette fratelli, tutti li uccise Achille, uno dopo l’altro, nello stesso giorno. E mia madre morì di dolore, all’improvviso nella nostra casa. Ettore, tu mi sei padre e madre e fratello e sei il mio sposo: abbi pietà di me, non andare là fuori, resta a difendere la città vicino al fico selvatico, là dove le mura sono più accessibili al nemico.-

Ettore:- Non posso, né lo vuole il mio cuore; cosa direbbero i Teucri se rimanessi qui, come un vile lontano dalla guerra? Lo so bene, lo sento nell’anima: verrà il giorno in cui Ilio sacra cadrà e con essa Priamo e la gente di Priamo. Io, quando penso a quel giorno, provo un dolore immenso non tanto per mio padre, mia madre, i miei fratelli caduti nella polvere, uccisi dai nemici, quanto per te. Quando immagino quel giorno vedo te, trascinata in lacrime da un guerriero acheo; ti vedo schiava in Argo mentre tessi le vesti per un’altra donna e per lei vai ad attingere l’acqua alla fonte e piangi. Possa io morire prima di udire le tue grida -.

Andromaca:- Ettore, comprendo le tue ragioni, ma ti scongiuro..

Ettore: - Andromaca, ora torna a casa e rimettiti al fuso e al telaio con le ancelle. Ma prima fammi riabbracciare il mio bambino, il mio piccolo Astianatte. Padre Zeus e voi tutte divinità del’Olimpo fate che mio figlio sia come me, il più forte fra tutti i Troiani. Fate che la gente vedendolo tornare dalla battaglia, dica: “ E’ perfino più forte del padre” E tu mia sposa non affliggerti troppo. Solo il destino potrà decidere la mia sorte e tu sai che al destino nessun uomo, vile o coraggioso che sia, potrà sfuggire.

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Voce narrante: Euriclea, La nutrice - Iliade Libro VI

Mi ricordo tutto di quel giorno. In mezzo al frastuono delle armi e alle urla dei guerrieri, Ettore entrò in città dalle Porte Scee e si recò da Ecuba, la sua dolcissima madre. Era stanco, così lei cercò di confortarlo e gli porse una coppa di vino perché riprendesse vigore.

Ma Ettore rifiutò: non voleva vino, non voleva perdere le forze e dimenticare la battaglia.

Le disse di recarsi con le donne più anziane al tempio di Atena e di deporre ai suoi piedi il peplo più bello, quello che aveva più caro e pregasse la dea di allontanare la sciagura incombente su di noi. E così lei fece.

Poi……Io non c’ero veramente, ma queste cose le so perché si parlava sempre fra di noi, le ancelle e le serve della casa.

Poi Ettore andò a cercare Paride per riportarlo in battaglia. Lo trovò nel talamo, lucidava le armi bellissime. Entrò Ettore e gridò: < Miserabile, cosa stai qui a goderti il tuo rancore mentre i guerrieri combattono intorno alle alte mura di Troia? Proprio tu che sei la causa di questa guerra. Muoviti, vieni a combattere, o ben presto vedrai la tua città bruciare nel fuoco nemico>.

Rispose Paride e cercò di giustificarsi: non stava lì a covare astio per i Troiani, ma a vivere il suo dolore. Pregò Ettore di aspettarlo che sarebbe ritornato in battaglia. Ettore neanche gli rispose.

Nel silenzio del talamo si udì la voce di Elena: avrebbe preferito non essere mai nata, o che una tempesta quel giorno l’avesse portata lontano,sulla cima di un monte, per evitare che tutto ciò accadesse. Diceva:< Vieni qui, Ettore, siediti qui accanto a me. Il tuo cuore è oppresso dagli affanni ed è colpa mia e di Paride e della nostra follia. Sai, la tristezza è il nostro destino: ma è per questo che le nostre vite saranno cantate per sempre, da tutti gli uomini che verranno.

Ma Ettore non si fermò; era ansioso di rivedere sua moglie Andromaca e suo figlio Astianatte. Giunse a casa, ma non ci trovò, chiese alle schiave dove eravamo e quelle

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risposero che Andromaca era corsa sulla torre di Ilio, che aveva sentito che i Troiani stavano cedendo alla forza degli Achei e che la nutrice era corsa con lei, stringendo tra le braccia il piccolo Astianatte, che stavano vagando come pazze verso le mura.

Ettore non disse una parola, corse verso le porte Scee riattraversando tutta la città,ma non ci trovò.

Stava per uscire dalle mura per ritornare in battaglia quando Andromaca lo vide e gli andò incontro ed io, Euriclea la nutrice, dietro di lei con il bambino fra le braccia, piccolo tenero, l’amato figlio di Ettore, bello come una stella.

Ci vide Ettore. Si fermò e sorrise.

Questo l’ho visto proprio io, Euriclea, con i miei occhi.

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Demodoco - Odissea libro VIII

Il mio nome è Demodoco, il mio mestiere è cantare le avventure e le gesta degli eroi. la Molto tempo dopo le vicende qui narrate, mi trovavo alla corte dei Feaci. Un giorno arrivò lì, naufrago, sopravvissuto a una terribile tempesta, un uomo misterioso, senza nome. Fu accolto con tutti i riti dell’ospitalità e in suo onore il re Alcinoo fece allestire un suntuoso banchetto. Mi fecero sedere fra i convitati, mi porsero la cetra e io Demodoco, poichè sono un aedo e cantare le vicende degli dei e degli eroi è il mio mestiere cominciai …

Era trascorso il decimo anno e ancora durava la guerra che precipitò nell’ Ade tante vite di eroi, Troiani e Achei. Achille giaceva sottoterra accanto all’amato Patroclo. Morto era Paride, causa di ogni sventura. Morto era Aiace di Telamone ed Ettore e Sarpedonte e Reso. E Troia ancora si ergeva intatta, protetta dalle alte mura.

Molti invocavano la fine di quella guerra infinita. E solo grazie a un uomo, Ulisse di Itaca e grazie alla sua astuzia, la fine avvenne. Egli fece costruire da Epeio un enorme cavallo di legno; radunò tutti i principi in assemblea, e dichiarò che con l’ intelligenza e non con la forza avrebbero preso Troia, poi disse:

< Lo vedete il magnifico cavallo di legno costruito da Epeio? Ascoltate bene il mio piano: alcuni di voi entreranno là dentro senza paura, tutti gli altri, dopo aver distrutto gli accampamenti, salperanno per l’alto mare e si nasconderanno con la flotta dietro l’ isola di Tènedo. I Troiani dovranno credere che ce ne siamo andati davvero. Credetemi, vedranno il cavallo e lo porteranno dentro le mura e sarà la loro fine.>

Così parlò e lo ascoltarono ed ebbero fiducia in lui.

All’alba del giorno dopo, il vecchio Priamo, circondato dagli anziani di Troia, vide l’immensa spiaggia abbandonata in mezzo alla quale si ergeva maestoso il cavallo di legno. Alta si alzò la voce che gli Achei se n’erano andati e rimbalzò da l’uno all’altro. I troiani uscirono dalle mura, circondarono il cavallo e ammirarono quell’ immensa costruzione e volevano consacrarla agli dei, altri ne rimasero impauriti e volevano buttarlo a mare.

Alla fine il cavallo venne spinto entro le mura della città.

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Cassandra, figlia di Priamo, a cui gli dei avevano concesso il dono di leggere il futuro e la pena di non essere creduta, solo Cassandra, strappandosi i capelli e le vesti, urlava:<Miserabili, state correndo verso la vostra rovina! Questo cavallo di sventura è pieno di guerrieri achei che nella notte usciranno e ci trascineranno in una grande ondata di morte e per Troia sarà la fine. Vi supplico, ascoltatemi, fermatevi finché siete in tempo!

Si disperava Cassandra,ma nessuno volle ascoltarla.

Portarono il cavallo davanti al tempio di Atena, poi il popolo si abbandonò alla gioia più sfrenata, festeggiò fino a notte fonda, finchè la città sprofondò nel sonno.

Dal ventre del cavallo uscirono i guerrieri, erano stati scelti fra i più valorosi della Grecia: Menelao, Diomede, Anticlo e Neottòlemo e lo stesso Ulisse

Nella notte immobile una torcia brillò era il segnale, le navi achee tornarono sulla spiaggia e l’esercito in silenzio inondò la pianura. Quando gli Achei varcarono le porte iniziò il massacro e Troia rovinò dalle sue alte mura. Dovrei cantare di Priamo ucciso ai piedi dell’altare di Zeus, del piccolo Astianatte, il tenero figlio de Ettore scagliato da Ulisse giù dalle mura, di Andromaca trascinata come una schiava. Ancora a lungo dovrei cantare della rovina di una città bellissima, divenuta un rogo fiammeggiante, ma sono solo un Aedo, lo facciano le Muse se ne sono capaci, una simile notte di dolore,io non la canterò.

Così dissi. Po imi accorsi che quell’uomo, l’ospite senza nome, stava piangendo.

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Ettore e Achille: Il duello finale - Iliade libro XXII

ETTORE: -Non fuggirò mai più figlio di Peleo. Ho corso tre volte attorno alla rocca di Priamo, temendo il tuo assalto; ma ora l’animo mi spinge a starti di fronte, per vincerti o essere vinto-

ACHILLE: -Ti sconfiggerò Ettore, non illuderti, sono tornato in battaglia solo per

ucciderti.-

ETTORE: -Invochiamo gli dei, che siano testimoni dei patti giurati, Io non farò di te uno scempio tremendo, se riesco a strapparti alla vita, Achille, ma dopo aver tolto le splendide armi restituirò il corpo agli Achei.; e tu fa’ lo stesso-

ACHILLE: -Ettore, odioso nemico, non mi parlare di patti: lupi e agnelli non possono avere mai i cuori concordi. Così non esiste amicizia per me e per te, fra noi non ci saranno patti, finché uno dei due non cada. Non eviterai la Parca, figlio di Priamo, sconterai la morte dei miei amici che hai ucciso infuriando con l’asta. Ed ora, prova a evitare questo colpo, se sei capace.-

ETTORE: -Hai fallito Achille, ho scansato la lancia. Non ho deposto la forza e l’ardore, non a me mentre fuggo pianterai la tua lancia nel dorso; scagliala contro il mo petto mentre ti affronto e sfuggi ora questa mia lancia bronzea……; la prendessi tutta nel corpo !–

ACHILLE: -Ti è andata male Ettore, lo scudo mi ha protetto, la lancia è balzata via e tu non potrai più recuperarla. Dov’è tuo fratello Deifobo dal bianco scudo? Non è più accanto a te.-

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ETTORE: -Ahi! Ora sì che la morte crudele è sopra di me, è inevitabile ormai. Ma io non morirò senza lotta né gloria! Combatterò con la spada fino alla fine.-

ACHILLE: -Miserabile, tu indossi le armi belle che hai tolto a Patroclo dopo averlo ucciso, erano le mie un tempo, prima che offeso e indignato mi ritirassi dalla guerra. Per questo so dove colpire… proprio là, dove l’armatura lascia scoperta la candida gola. E ora muori!! Te i cani e gli uccelli sbraneranno con onta, a Patroclo, invece, renderanno onore gli Achei.-

ETTORE: -Mi hai colpito Achille, sto per morire.. Per l’anima, per le ginocchia, per i tuoi genitori ti supplico, non lasciare che i cani mi sbranino, presso le navi achee.. Accetta l’offerta di oro e di bronzo, i doni che ti daranno mio padre e la nobile madre e restituisci il mio corpo alla patria.-

ACHILLE: -Non mi pregare, cane, non avrò pietà di te, non dimenticherò mai quello che hai fatto. Anche se dieci o venti volte aumenteranno il prezzo del riscatto, neppure se a peso d’oro Priamo tentasse di recuperarti, mai tua madre potrà piangerti, composto sul letto, ma cani e avvoltoi ti divoreranno.-

ETTORE: - Io ti conosco bene, figlio di Peleo,non era possibile che ti piegassi, il tuo cuore è di ferro nel petto. Ma bada che io non diventi ricordo e vendetta divina per te il giorno in cui Paride, ti ucciderà, benché forte, sopra le porte Scee-

Voce narrante Andromaca

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E mentre parlava così, il destino di morte lo avvolse; volò dalle membra l’anima e andò verso l’Ade, piangendo la sua sorte e il suo vigoroso fiore di giovinezza.

Achille dal corpo di Ettore ritrasse l’asta ferrata, poi di dosso le cruente armi gli tolse, tremenda offesa apprestando. A entrambi i piedi, fra caviglia e calcagno, egli forò i nervi, poi vi inserì cinghie di cuoio e dietro il carro lo avvinse, il bel capo lasciando a terra. Balzò sul carro il Pelide e incitò con la sferza i i cavalli che si lanciarono volando. Una polverosa nube turbinò sopra il corpo e la bella testa e le nere chiome di Ettore sommerse nella polvere.

Era così bello il suo volto ora striscia nella terra. Eravamo nati lontani noi due, tu a Troia, io a Tebe, ma un solo infelice destino ci aspettava. Il Fato ti ha fatto morire lontano da me, e questo sarà il mio dolore più grande: perché non ho avuto per me le tue ultime parole: le avrei tenute strette e le avrei ricordate per tutta la vita. Ogni giorno e ogni notte della mia vita.

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Il duello fra Ettore E Achille - Voce Narrante Andromaca

I Teucri si rifugiavano nella città come cerbiatti atterriti. Priamo aveva fatto spalancare le porte Scee e loro entravano di corsa; a migliaia trovarono la salvezza nel ventre della città.

Solo uno rimase fuori dalle mura, inchiodato al suo destino: era l’uomo che amavo,e il padre di mio figlio.

Da lontano arrivò Achille correndo, davanti ai suoi guerrieri, veloce come un destriero, splendente come una stella, fulgido come un presagio di morte,

Ettore rimase immobile, appoggiato alle mura ad aspettare Achille. In cuor suo rimpiangeva i tanti eroi morti quel giorno di guerra. Sapeva di averli uccisi lui quando si era rifiutato di ritirare l’esercito, dopo il ritorno di Achille. Li aveva traditi, ora l’unica cosa da fare era riconquistare l’amore del suo popolo sfidando quell’uomo.

Lo vide arrivare di corsa, splendente nelle sue armi come un sole che sorge. Lo vide fermarsi davanti a lui, terribile come un dio della guerra. E il terrore gli prese il cuore e fuggì Ettore, correndo lungo le mura. Come un falco Achille si lanciò all’inseguimento, furente. Per tre volte girarono intorno alle alte mura di Troia, come cavalli scatenati in una corsa: ma quella volta in palio non c’erano oro, schiavi o ricchezze: la vita di Ettore era il premio.

La corsa durò fino a quando dalle porte Scee uscì Deifobo e veloce corse al fianco di Ettore e gli disse < Fermiamoci,e combattiamo insieme, il fato deciderà chi sarà il vincitore>.

Smise di fuggire Ettore, si fermò Achille, Lentamente andarono l’uno contro l’altro.

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