Il viaggio di Maria Arcangela Biondini da Burano ad Arco 1/10 marzo1689.

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Il viaggio di Maria Arcangela Biondini da Burano ad Arco 1/10 marzo1689

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Intesa dal Collegio dei Savii la domanda di S.M.C. è incredibile il tumulto che ne nacque…

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Commisero che consegnassi tutte le lettere che mi erano state scritte da Principi o loro Ministri

e me le levasse per forza

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Molti dicevano che ero infettata dal morbo dell’eresia e fecero molte prove ..per farmi castigare…

“siete voi Petruccina o Segnarina?”

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Le mie stesse monache mi avevano querelata come usurpatrice del buono e migliore del Convento

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Il magistrato aveva spie … e il Convento era circondato dalla Barca dei Zaffi…

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Il cuore oppresso dal dolore… dissi“Mie carissime Madri è giunta l’ora…”

...il burchiello al monastero era già preparato

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La partenza da Venezia per il convento di Arco

Il cuore era già oppresso dal dolore di doverle lasciare, diedi un gran sospiro e dissi : “ecco mie carissime Madri, figlie e sorelle che ormai è giunta l’ora da voi bramata di vedervi libere da questa scellerata che vi è sempre stata una spina nel cuore. Vi ringrazio mie care madri di tutto cuore perché mi avete sopportata e soprattutto vi ringrazio per il bene che mi avete fatto col tenermi oppressa, poiché Dio ha ricavato da questo le sue grandi misericordie verso di me”.

E’ certo che glielo dicevo di cuore perché così conoscevo e intendevo, Chiesi loro perdono e le pregai di non voler mai più trattare le loro Superiore come avevano trattato me perché Iddio le avrebbe castigate e se io avessi saputo che trattassero male la nuova Superiora, avrei benché lontana, operato in modo che sarebbero rese mortificate, mentre la dovevano amare, riverire et obbedire e non voler essere esse superiore alla Superiora. Poi dissi loro apertamente che la mattina mi sarei partita, che era già il Burchiello al Monastero preparato.A tale nuova diedero alcune in strida dicendo : “Ah Madre ci avete tradito, così all’improvviso volete partire; sono queste cose da farci morire d’angoscia”. E poi diedero in un divoto pianto chi per un motivo e chi per un altro. Io che ero assai più commossa di loro nell’affetto, dissi loro alcune altre parole e poi partii di Capitolo. Tutta quella notte però convenni passarla in confortare or l’una or l’altra poiché quelle che più mi erano contrarie erano solo sei o sette, le altre poi mi portavano piuttosto affetto, ma essendo deboli di animo e di mente, nelle occasioni si lasciavano subornare e tirare ed operare contro di me.Il Lunedì mattina dunque, primo di Marzo 1689, il Prelato disse la S. Messa e ci comunicò tutte, poi essendo di fuori all’ordine ogni cosa, ci avviammo alla porta del convento : io prima, la madre mia compagna dopo di me, poi le due nobili venete, et un’altra figlia di buona nascita, che tutte tre erano in monastero meco. Tutte le monache ci seguivano con gran pianto. Apersi la porta di clausura, et ivi stava il Prelato vestito col rocchetto, i suoi ministri, il Cancelliere, alcuni canonici, altri Sacerdoti, le quattro matrone, mio fratello con quelli che ci dovevano accompagnare per il viaggio, e poi un gran numero di popolo concorso. Il Cancelliere lesse ad alta voce il Decreto di Roma et un’altra scrittura che doveva essere consegnata al Delegato di Trento, che doveva riceverci quivi. Il Prelato poi fece un discorsetto e ci raccomandò alle quattro matrone et a mio fratello, poi ci diede la Benedizione episcopale. Io tra l’affetto che predominava verso le mie care monache per doverle lasciare e tra la confusione di tanta gente, oltre quello che nella mia mente rifletteva sopra l’opera di Dio, ero così fuori di me stessa, né sapevo porre il piede fuori dalla porta. Il Prelato s’avvide e però mi prese per la sua mano dicendomi : “Or via Madre Abbadessa, bisogna uscir fuori”.

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Entrammo in burchiello

che era dei bellissimi che si vedono in Venezia…..

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Seguitati da gondole et altre barche ci condussero fuori da Burano

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…la sera a Venezia ci portammo al palazzo delle due figlie nobili che avevo meco…

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….al monastero di sant’Andrea ove è monaca una mia sorella et molte di esse religiose bramavano vedermi

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L’Ecc.mo Sign. Ambasciatore volle accompagnarci con le sue gondole fuori Venezia

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…si arrivò a Padova e la sera ci condussero al Santo …

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All’altare del Santo mi sentivo liquefare l’anima dal soave odore…

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…al tardi si arrivò a Vicenza ove dagli Ill.mi Conti Feramosca fummo accolti

con inesplicabile cortesia…

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A Verona alloggiammo la notte in casa di un mercante nostro grande amico…

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Mio fratello pose i colli della roba in barca e li mandò per il lago…

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Ci fu una burrasca così grande che tutti i colli andarono nell’acqua

e si guastò tutta la roba

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Arrivammo al tardi in una strada assai pericolosa …da una parte vi era l’Adige e dall’altra certe montagnole

ove si ascondono i banditi …

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…allora cominciai un poco a temere per l’oscurità della notte

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…di lontano molte voci di uomini con torce accese venivano alla volta di noi…

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Questi erano li quelli di Ala ….mi desideravano molto da queste parti, ove erasi radunato tutto il popolo

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Ci ricevettero le Dame nelle loro carrozze bellissime e fummo condotte in Arco…

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…in Arco all’entrar delle porte sbarò il Castello

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Cominciarono la processione verso la chiesa del convento…

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Tutti chi ci aveva accompagnati in chiesa intonarono il Te Deum laudamus con spari e campane

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Maria Arcangela Biondini entra nel Monastero di Arco

Giunte alla porta del Monastero ove era concorsa gran calca di gente, il Sig. Arciprete così apparato col piviale si fermò alla porta con le chiavi di essa in mano e noi, prostrate ai suoi piedi; fece egli un devoto e virtuoso sermone appropriato alla funzione, poscia ci benedisse e mi9 diede le chiavi in mano e con voce alta mi disse : “Ingredimini figlie sion” a questa parola subito entrammo in convento, noi diue monache e le sette figlie venute meco per monacarsi, onde in tutto eravamo nove. Era il giorno dei 40 Martiri il 10 Marzo 1689. Entrate dunque e chiusa la porta, ci portammo subito in coro e i Sacerdoti, Conti e Contesse con tutti quelli che ci avevano accompagnate in chiesa e subito intonarono il Te Deum Laudamus con spari e campane, quale finito fu terminata la funzione e noi, dopo rese grazie particolari al Signore e alla B. Vergine andammo a vedere il Monastero et subito trovai motivo di sofferenza e pazienza poiché non vi era altro che le pure muraglie, di modo che neppure trovammo una sedia da poter sedere, né letti da dormire, né pane , vino a altra cosa da mangiare. Così ci ponemmo tutte sopra la nuda terra perché eravamo molto stanche e sebbene io avessi sino a Venezia dato l’ordine e il modo di preparare tutte le cose necessarie, con tutto ciò, niente fu eseguito, onde convenne esercitare la sofferenza. Dio fece che mio fratello ci mandò il desinare cotto ed io poi lo stesso giorno cominciai a fare la provvigione delle cose per il vitto e per il dormire, sebbene non si poté fare così presto, che ci convenne dormire quindici giorni per terra e sedere la più parte per terra, perché quivi non si può avere le cose usuali quando si vuole, ma bisogna aspettare le fiere o congiunture.La prima notte che entrammo in questo Convento, venne un tempo così fiero che pareva precipitasse il mondo, onde le povere figlie erano tutte spasimate, tanto più che a Riva qui vicino, cedette un poco di montagna, che rovinò molte case, onde sentimmo lo strepito, ma non sapendo che fosse, tanto più arrecava terrore. Si cominciarono poi a sentire ogni notte strepiti et urli così orrendi che le povere figlie erano sommamente abbattute, e sebbene io procuravo far loro credere che fossero cose naturali, elle però non potevano farsi cuore.Giunte alla Settimana Santa, il mercoledì, la Madre Vicaria si gettò a letto con male pericolosissimo. Io come la vidi a letto e me sola per attendere al governo del Convento e massime dovendo insegnare alle figlie quelle faccende che mai avevano esercitato come cucinare, fare il pane, il bucato, l’ufficio di dispensiera, canevare, sacrestana e portinaia li quali uffici o non avevo esercitato nel mio Convento oppure avevo voluto esercitarli con la direzione di un’altra, avendo avuto sempre questo genio di non fare mai cosa alcuna da me stessa, ma volevo che un’altra mi dirigesse e dicesse fate così e così, onde vedendomi obbligata ad insegnare alle figli e dover io stessa operare per far loro apprendere tutto il bene, mi sentivo così afflitta che non lo posso esprimere e non avevo con chi parlare né a chi ricorrere perché già mio fratello et gli altri si erano partiti dopo dieci giorni che fummo qui.

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Noi due monache e le sette figlie entrammo in convento. Era il giorno dei 40 martiri

il 10 marzo 1689