Il Venerdì di Repubblica 6.9.13 O. Sacks

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A sinistra, Oliver Sacks in un’elaborazione gra!ca «lisergica». Qui il suo Allucinazioni, edito in Italia da Adelphi (pp. 332, euro 19. Traduzione di Isabella Blum)

di Antonella Barina

GLI ANNI «ACIDI» DEL GRANDE NEUROLOGO E SCRITTORE INGLESE. NELLA CALIFORNIA DEGLI HIPPY. SONO UNO DEI CAPITOLI PIÙ DIVERTENTI DEL NUOVO LIBRO, Allucinazioni. INCONTRO STUPEFACENTE CON L’AUTORE

Sacks, droga& rock‘n roll

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EW YORK. Oliver Sacks è franco, cordiale, nonostante un’insormontabile timidezza, ma si racconta seguendo le pro-

prie priorità, come fossero criteri di valu-tazione universali. Svela subito di avere appena compiuto 80 anni e che il numero 80 corrisponde al mercurio nella tavola periodica di Mendeleev, il chimico russo che ordinò gli elementi chimici in base al loro peso atomico. Poi impacciato ti guarda, interlocutorio: a una signora, si sa, l’età non si chiede, ma sapere se corrispondi anagra-ficamente a un gas inerte o a un metallo alcalino, se sei uranio, carbonio o piombo, deve essere per lui come ricevere il tuo bi-glietto da visita. E allora ti sveli, delusa di scoprire che il numero dei tuoi anni con-trassegna un metallo prodotto artificial-mente, che non esiste in natura: ti senti un po’ sintetica, contra!atta, ma subito Sacks ti incoraggia, enunciando qualità insospet-tabili del tuo metallo anagrafico. Sul muro del suo studio di Manhattan, nell’edificio dove abita da 47 anni, un dipinto ra"gura Mendeleev, barba e capelli al vento, che brandisce la sua preziosa tavola: «Giovane ebreo appassionato di chimica, c’era un tempo che lo scambiavo per Mosè».

Intorno a Sacks ci sono decine e decine di minuscole felci, la sua passione, e di pez-zetti di metallo a!astellati su ogni superfi-cie piana. Il dottore a!erra due barrette e te le mette in mano: la forma è identica, ma una è pesantissima, l’altra una piuma. Ed eccolo lì che ti scruta di sottecchi, sornione, in attesa di una reazione. Se sgrani gli occhi

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Album di famigliadel dottor Sacksda Londra a N.Y.

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no un metallo o una pianta per vincere ogni paura».

Oliver Sacks ha raccontato quell’infan-zia tra crudeltà e ricerca, insicurezza e voglia di sapere, nello Zio Tungsteno; e la sua successiva maturità di neurologo in capolavori come Risvegli, che ispirò a Pen-ny Marshall il film con De Niro e Robin Williams e a Harold Pinter una play. Op-pure L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello, che a portare in teatro fu Peter Brook. Ora, per la prima volta, Sacks squarcia il velo della propria giovinezza: narra gli anni in cui lasciò per sempre l’In-ghilterra con i suoi freni inibitori per le libertà d’America; e una famiglia a!ollata (tre fratelli, cento cugini, trenta e passa zii) per una vita di solitudine (non ha mai più vissuto con nessuno e, se gli chiedi perché, si alza spinto da un’urgenza irre-frenabile di prendere qualcosa nella stan-za accanto).

Il suo nuovo libro, Allucinazioni, edito come tutti gli altri da Adelphi (pp. 332, euro 19), è sì un’antologia di stati allucinatori d’o-gni tipo – pazienti convinti di vedere o udire o fiutare o toccare cose inesistenti – ma è anche una confessione tardiva del lungo, pericoloso flirt del giovane Oliver con gli allucinogeni Anni 60. Una nuova straordi-naria carrellata di casi clinici, in cui patolo-gie e biografie dei malati si intrecciano in vicende bizzarre, secondo la cifra inconfon-dibile di questo scienziato dalla penna ma-gica, ma anche un inedito Sacks ventiset-tenne, appena laureato a Oxford, che sfrec-cia per gli States in moto, facendosi senza freno di cannabis, Lsd, anfetamine...

«Di allucinazioni si è sempre parlato poco, perché paiono allarmanti: diverse dal sogno, indipendenti dalla volontà, sono esperienze sbalorditive, in cui si percepisce ciò che nessun altro avverte. E questo spa-venta: lo si associa alla follia». Ma Sacks ama gli scarti dalla norma e, a smentire il timore di!uso, si dichiara subito un habitué delle allucinazioni. Le prime da bambino, quando aveva attacchi di emicrania; l’ulti-ma qualche giorno fa: «Da quando ho perso l’occhio destro per via di un melanoma, il mio cervello compensa le immagini perdu-te con suggestive visioni geometriche». Ora un occhio di Sacks è immobile;

è soddisfatto, se la fronte ti si corruccia in un punto interrogativo ancora di più. E via sulle straordinarie qualità del tungsteno e del magnesio: roba che farebbe gongolare chiunque, a sentirsi descrivere così.

Poi spiega: «Nei quattro anni che da bambino passai in collegio, durante la guerra, con un preside depravato che ci picchiava senza pietà e compagni bulli e spietati, trovai rifugio nei numeri e nella scienza: uniche sicurezze imperturbabi-li in un mondo sadico e caotico. Quando tornai a Londra – a casa – ero introverso, disturbato, ma bastava che avessi in ma-

Negli anni che, da bambino,

passai in collegio con un preside depravato che

ci picchiava senza pietà

trovai rifugio nei numeri

(1) Londra, 1933: Oliver in braccio alla madre in una foto con il padre e i fratelli. (2) 1936: Oliver a tre anni. (3) Nel ‘39 ancora sulle ginocchie della madre durante le vacanze. (4)A tredici anni nel giorno del bar-mitzvah. (5) New York, 2013 con Peter Brook (a destra) che ha portato in scena il suo L’uomo che scambiò sua moglie per un cappello. (6) Sacks alla prima di Risvegli, il !lm di Penny Marshall (1990) tratto dal libro omonimo.(7) Robin Williams (Sacks) e Robert De Niro (il paziente) nel !lm

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hanno avuto un ruolo importante nella cul-tura, che sia arte, folclore o religione».

Pare ad esempio che Piranesi abbia con-cepito le Carceri durante i deliri della ma-laria; che Guy de Maupassant, malato di neurosifilide, fosse perseguitato da un suo

Mendeleev, autore della famosa tavola

degli elementi, era un mio

mito. Per anni lo credetti Mosè

(1)Giovanna d’Arco interpetata da Ingrid Bergman nel !lm del 1948.

(2) La molecola dell’Lsd, l’acido lisergico. (3) Alice nel paese delle

meraviglie di Lewis Carrol in un’illustrazione del 1900.

(4) Il peyote. (5) Uno dei disegni del ciclo Carceri d’invenzione di

Giovanni Battista Piranesi (1760)

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Visionari e illuminati

di tutti i tempi

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l’altro, schivo, sfugge agli sguardi. E, tanto per scoprire senza indugio ogni fragilità, il dottore mostra anche il suo apparecchio acustico. Quindi ricorda di so!rire di pro-sopagnosia, l’incapacità di riconoscere i volti delle persone, compreso il proprio allo specchio: «Ho imparato a identificare gli amici dalla voce, dai gesti...»

Nel suo accento british, incontaminato da 53 anni di vita yankee, la conversazione di Sacks procede a zigzag, ma non perde il filo conduttore: «Le allucinazioni sono as-sai più di!use di quel che non si pensi e, potendo eccitare, terrorizzare, ispirare,

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S i era alzato di scatto dalla sedia, con lo sguardo terrorizzato a !ssare l’altra parete dello studio. “Le !amme!”, sentii gridare, e mi invase un senso profondo di angoscia e di paura. Guardai d’istinto nella direzio-

ne del suo sguardo. “Mi scusi, dottore, l’ho spaventata. La mia solita alluci-nazione …”. Sentii allentarsi la paura, ma non il senso di angoscia. Eppure mi aveva parlato da subito, prima di cominciare il nostro percorso psicoterapico, del suo disturbo neurologico …

A torto considerata prerogativa della psicosi (le voci), l’allucinazione – un’anomala e involontaria percezione (uditiva, visiva, musicale, olfattiva, gustativa, tattile, dolori!ca, della percezione del tempo, ecc.) in assenza del corrispondente stimolo sensoriale, che si impone nel mondo soggettivo con caratteristiche di perentorietà e spesso di grave disturbo – è stata via via descritta nell’uso di droghe e in molte patologie neurologiche (la sindrome di Alzheimer, l’epilessia, l’emicrania, la demenza alcolica, etc.) e !nanco in per-sone sane, come attestano le biogra!e di Socrate e Galileo e Cartesio; può inoltre veri!carsi nelle fasi dell’addormentamento e del risveglio, in varie condizioni mistiche e religiose e in taluni processi di lutto. Il bel libro di Oliver Sacks costituisce un’a"ascinante antologia di questo tipo di esperienze.

Il recente impatto della rivoluzione neuroscienti!ca ha molto attenuato la storica di"erenza tra fenomeni percettivi normali, illusionali e allucinatori, imponendoci di rivedere assunti relativamente scontati, come quello che la percezione (quella visiva, per esempio) sia una ra#gurazione abbastanza fedele, quasi fotogra!ca, del mondo che ci circonda. Sappiamo invece che la trasmissione dalla retina alla parte di corteccia che si fa carico di riconosce-re l’oggetto percepito avviene (per esigenze computazionali) mediante una drastica riduzione dello stimolo (da 10 miliardi di bit/sec a 100 bit/sec) e che quindi il cervello è continuamente cimentato nel compito di indovinare l’og-getto, sulla base di euristiche (scorciatoie) consolidatesi nel corso dell’evolu-zione (la tridimensionalità, l’ombra, la prospettiva, ecc.) e di apprendimenti che si sono veri!cati durante lo sviluppo sulla base della regolarità e ripeti-tività delle cose che abbiamo incontrato e imparato a riconoscere.

Così oggi consideriamo l’allucinazione in modo nuovo, ma ancora con molte questioni irrisolte: visto che allucinazione e percezione implicano l’attivarsi delle medesime aree cerebrali, perché in determinate circostanze quell’area si attiva in assenza dello stimolo esterno corrispondente (varie teorie e modelli sono stati proposti, ma non si è ancora pervenuti ad una soddisfacente conclu-sione)? Perché in molti casi la persona non è in grado di riconoscere la prove-nienza interna della percezione? È pos sibile che l’allucinazione sia essenzial-mente un modo di dar forma alle nostre paure e alle nostre fantasie?

di Silvio A. Merciai*

ILCOMMENTO

doppio, ispiratore della novella L’Horla; che paradossi e assurdità di Alice nel paese del-la meraviglie siano forse dovuti alle emicra-nie di Lewis Carroll... E che dire di fate e folletti, demoni e streghe della tradizione popolare? O delle crisi «estatiche» di Gio-vanna d’Arco o Dostoevskij, due epilettici convinti che i loro attacchi li mettessero in contatto con il Signore? Sacks sorride: «Sono un ebreo ateo da quando, a 6-7 anni, in quell’atroce collegio, mi sono sentito ab-bandonato dai miei genitori e da Dio».

Quel drammatico periodo (vissuto in-sieme a un fratello, che ne uscì psicotico) lascia mille paure in Oliver, che le tiene a bada sfidando i propri limiti, mettendosi continuamente a rischio, be!eggiando la morte. Da bambino, con pericolosi esperi-menti chimici, tutti esplosioni e incendi. A 11 anni, con disgustose dissezioni di cada-veri, al seguito della mamma medico. Infi-ne, da grande, con le droghe. Prima divora i libri di De Quincey, Baudelaire, Gautier, Poe, Huxley, legge pubblicazioni sul peyo-te... Poi ordina per posta l’Lsd (nel 1953 è legale) e con un amico si prepara al «viag-gio» – musica, occhi chiusi – ma non accade nulla: la dose è troppo piccola, la delusione grande. «Non ci riprovai più fino ai 30 anni, quando ero già neurologo in California. Per capire come funziona la mente durante le allucinazioni, mi dicevo, ma c’era di più: volevo anche spingermi oltre me stesso, allentare le inibizioni, trovare una scorcia-toia per il piacere e l’euforia...»

Sacks era arrivato in America tre anni prima, inseguendo il sogno giovanile degli spazi sconfinati, delle infinite possibilità. «Scappavo dai miei genitori, che accusavo anche di colpe non commesse; dalla vec-chia Inghilterra classista e poco libertaria; da una gerarchia medica rigida e a!ollata, dove era di"cile farsi strada per un ragaz-zo chiuso e strano come me». Il suo sguar-do ha un che di malinconico mentre sussur-ra che da 47 anni, due volte a settimana, va dallo stesso psicoanalista. «Il libro che sto scrivendo parla proprio di quella mia fuga negli States. Prima in Canada, poi in Cali-fornia: in attesa della green card, girai il Paese in moto, senza un soldo. Poi aiutai in un ospedale di San Francisco: in camice bianco ero Oliver; la notte, on the road,

La Pet del cervellodi un paziente a!itto

dalle allucinazioni

* Psichiatra e psicoanalista. Insegna Psicoanalisi

e Neuroscienze alla Facoltà di Psicologia dell’Università

Vita-Salute San Ra!aele di Milano

Un mododi dar formaalla paura C

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enza a!ondare nelle allucinate mostrerie dell’antico universo, del dentro e del fuori d’ogni psi-che malata o sanissima, senza

additivi, se non quelli delle folgoranti sceneg-giate d’ogni credo soprannaturale, la folgore umana s’è figurata tutte le possibili e!razioni fuor del «normale». Soi disant (sedicente). Eravamo allora allo svolacchio di santi con

Sdi Giuseppe Marcenaro

DA E.A. POE E LANDOLFI, LE ALLUCINAZIONI NELLA letteratura.PER SCOPRIRE CHE SPESSO LE FANTASIE SFRENATE SONO AUTOPRODOTTE

Ma è l’intelligenza,il più pericolosodegli allucinogeni

ero Wolf, Lupo, il mio secondo nome. E una mia antica fantasia: disperatamente solo, in quel collegio, avevo raccontato in giro di essere stato abbandonato e allevato da un branco di lupi».

«Ma fu solo nel ‘62, quando iniziai l’in-ternato in Neurologia all’Università della California, che mi feci la prima canna. Can-nabis, Lsd, semi di ipomea: durante la set-timana lavoravo, il weekend sperimentavo ogni sostanza. Spesso in dosi da cavallo. Con allucinazioni di ogni tipo. C’erano mol-ti nodi psicologici irrisolti dietro quella doppia vita dissennata». Ha rischiato la tossicodipendenza? «Sono diventato un tossico. Quando non lavoravo, provavo un senso insopportabile di vuoto. E nell’estate del ‘65, in tre mesi di libertà tra l’internato a Los Angeles e un nuovo incarico di ricer-catore a New York, sprofondai nelle dro-ghe a tempo pieno, sperimentando anche le endovena. Poi, di nuovo al lavoro, ma depresso e insonne, passai ai sonniferi: fi-no a quindici volte la dose normale, con terribili deliri da astinenza. E alle anfeta-mine: le più pericolose, le più facili all’over-dose. Allora studiavo le emicranie, un te-ma che mi seduceva quanto da bambino i numeri e i metalli, e una domenica, stra-fatto di anfetamine, lessi sul tema cinque-cento pagine di un fantastico libro ottocen-tesco. Fu la folgorazione: nessuno scriveva più con quel mix di rigore scientifico e at-tenzione al lato umano della malattia. De-cisi di provarci io».

La stesura del suo primo libro, Emicra-nie, nel ‘70, segna la svolta: l’abbandono definitivo delle droghe e l’inizio di un cari-sma quasi da sciamano. L’inibito e geniale Sacks diventa il medico che chiunque ha sempre sognato di avere, abbastanza ipo-condriaco da provare forte empatia verso i suoi pazienti, così curioso della vita da svelarne le più fascinose complessità. «Di-cono che le droghe ampliano la mente. Come tutti i viaggi. In realtà la restringo-no, perché sostituiscono la fantasia. Ho tirato la corda con il mio corpo e sono pie-no di acciacchi, ma mi piacciono gli 80 anni: è l’età della libertà. Dalle ansie, so-prattutto». Cambierebbe qualcosa? «La timidezza». Antonella Barina

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mondo au contraire pur nella sua tagliente realtà. Mettiamo La maschera della morte ros-sa, Il corvo, Il pozzo e il pendolo o i desolati deliri di Gordon Pym. Frutti delle solerti sbronze di Poe o della sua disperata intelli-genza? In compagnia di Stevenson, mettiamo del rispettabile dottor Jekyll e del suo trucido doppio, il signor Hyde. Non a caso evocato da una pozione additiva. E la slavinata del com-battimento per scoprire le dimensioni nasco-ste procede tra disperazioni e fughe. Impos-sibile perderci, lungo l’accidentato cammino, tipi come Mattheu Phipps Shiel e la sua Nube purpurea. L’avrà sognato o veramente l’avrà compiuto il viaggio verso il Polo per salvarsi da un mondo sovrastato da una nube venefi-ca che ha stecchito (tipo gas nervino) tutta l’umanità? L’io narrante non a caso si chiama Adam – l’aspirazione a un nuovo mattino del mondo – che tornato dal viaggio, unico uomo rimasto sulla terra, contemplandone l’inuti-lità, incendia Londra e medita di far il mede-simo falò con Istambul. Perfetto. Come il diavolo incontrato per le strade di San Pie-troburgo da Bulgakov. Ine!abile come il sor-prendente risveglio di quel disperato che si sorprende d’essersi trasfigurato in un coria-ceo coleottero. Ma l’adittivo di Kafka non erano paradisi artificiali. Semmai i suoi di-sturbi. A meno che l’eccesso di farmaci coniu-gati con l’angoscia non avessero compiuto il miracolo. L’esaltazione del ribrezzo è messa in scena da Landolfi. La sua droga era l’azzar-do, il gioco al casinò. Fonte di forsennate an-gosce. Come la sua labrena, un geco aggrap-pato al so"tto sopra il letto, dove il desolato scruta con terrore il repellente, flaccido e gelido extraterrestre. Teme possa sganciarsi e spiaccicarsi sul suo volto terreo di paura.

La partita però non si chiude. Né con ip-notiche malvagità nei sotterranei di nefan-dezze del film L’uovo del serpente di Ingmar Bergman, né con la grande avventura nove-centesca di una creatività corroborata dall’a-cido lisergico. Tutta la scuola della Beat gene-ration. E certi marginali come Philip Dick. Ma è tutta, fin dall’origine, soltanto una storia di paure raccontate. Per fuggire le quali ci si son messi in tanti per esorcizzarle, con fervi-di corroboranti. Droghe e prostrazioni. Con il pericolo di deragliare. Con l’intelligenza. Con gli occhi asciutti del pensiero lucido, il peggiore delle droghe.

coacervo, allora, di idealizzazione di giochi eccentrici in forma letteraria e in pittura. Salti nell’altra dimensione? Quel portentoso pianeta ultrauniversale raggiungibile solo in forma di narrazione o di rappresentazione sulla tela. Le resocontazioni da un libro di bordo dopo un’esplorazione dentro di sé. A occhi esterrefatti. E da un certo punto, spes-so volentieri, con l’eccentricità di un carbu-rante «truccato». Ogni diavoleria alchemica capace di portare fuori di sé. Oppio e assen-zio. Ma non si chiama forse Assenzio la stel-la in cui si distilla inusitato terrore che sta da qualche parte dell’Apocalisse di quel visiona-rione di san Giovanni?

Saranno state le vorticose bevute di absin-the in gara con Verlaine a far vedere a un illu-minato Rimbaud se medesimo con una mano sulla tastiera di un pianoforte sul tetto del Duomo di Milano con la contemporanea con-templazione delle Alpi? Sogna «la notte ver-de delle navi abbagliate» mentre sullo sfondo enormi serpenti vengono rosicchiati dalle cimici. In gara inconscia con folgorazioni che già avevano colto il superbo maestro di splen-dide trucidezze, Baudelaire. Dans les caveaux d’insondable tristesse Où le Destin m’a déjà relégué..., e come un inesorabile cuciniere, ebbro di funebri voglie fa bollire il proprio cuore per masticarlo. D’altra parte l’epoca era giusta per sprofondare in corroboranti stupefacenti, nel nome dell’arte.

L’età in cui si corteggiavano i fantasmi tali ad amici di strada. Il «girotondo» degli Odilon Redon che fa vedere l’occhio allucina-to che veleggia come un pallone aerostatico. Qui l’apporto del volo ai suoi esordi o!re il proprio contributo di modernità. Da far per-dere la testa. Assieme ai rincorsi spettri, a base di spipettate da fumeria, di gente come Barbey d’Aurevilly e Villiers de l’Isle-Adam. Carichi di diaboliche crudeltà. Da far ovvia-mente il paio con il «cielo» di un campione tale a Edgar Allan Poe. Basta rileggere il

Nella foto grande, un’illustrazione per La metamorfosi di Franz Ka!a, qui accanto. (1) Edgar Allan Poe. (2) Fëdor Dostoevskij. (3) Charles Baudelaire. (4) Michail Bulgakov. (5) Un «mostro» tratto da De monstruorum natura dello studioso seicentesco Fortunio Liceti

zampe di arpie e chimere, le cui astinenze d’ogni genere facevano palesare a eremiti di tutti i deserti. Ed erano angelici voli di tenta-tori dalle ali di fuliggine. Demoni con sdenta-te bocche e facce truci al posto del culo. Tra-sfigurazioni di menti soggiogate dal rosicchio di inesistenti peccati da espiare.

Tant’è. E, oltre, la celestiale contempla-zione di tutte le Madonne e i cerchi siderali con arcangeli, angeli e cherubini. Solo un irresponsabile potrebbe azzardare che il sommo Dante si fosse fatto una pinta di can-carone o fosse in preda al viaggio con il via-tico di una botta di cannabis. Tanto meno l’ine!abile Hieronymus Bosch sondato con a!ezionato fervore da Jurgis Baltrusaitis. E compagnia. Fin all’apparire del De monstris, catalogo generale di tutte le e!razioni «na-turali»: bambini con due teste, inspiegabili «fratelli siamesi», femmine con l’utero al posto dei polmoni… Questo vede scientifica-mente l’antico studioso Fortunio Liceti. Un

Tutta la Beat Generation e certi marginali come Philip Dick sono corroborati dall’acidolisergico

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