IL VALORE PEDAGOGICO DEL GIOCO - Istituto Psico …...(la loro scuola) doni che potessero stimolare...
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IL VALORE PEDAGOGICO DEL GIOCO
1. Gioco e apprendimento
2. Alcune teorie e riflessioni sul gioco
o Maria Montessori
o Rosa Agazzi
o John Dewey
o Friedrich Wilhelm August Froebel
o Edouard Claparède
o Jean Piaget
o Lev Vygotskji
o Sigmund Freud
o Donald Winnicott
o Le 4 categorie di gioco, secondo Roger Caillois
o Altre teorie sul gioco
3. Gioco è…
4. Giocare è una cosa seria
5. L’aspetto neurobiologico del legame tra apprendimento e gioco
6. Gioco e pedagogia
7. Il ruolo dell’adulto nelle attività per bambini
8. I giocattoli
9. Il valore dell’animazione
10. Giocare non è solo una cosa da bambini
11. Giocare con gli animali
12. I videogiochi e televisione
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1. GIOCO E APPRENDIMENTO
La parola «gioco» deriva da latino iŏcus, che significa «scherzo, burla» e poi «gioco» e si
riferisce a qualcosa che accomuna tutti noi, grandi e piccini, e anche gli animali… tutti
amiamo giocare!
Gioco e apprendimento vanno considerati come concetti legati tra loro.
Il detto: “giocando si impara” non vale solo per i bambini, ma anche per gli adulti, che non
dovrebbero perdere mai la voglia di apprendere, mettersi in gioco, emozionarsi e
alimentare la propria fantasia, la propria immaginazione e la propria creatività.
Da un punto di vista didattico, esistono metodologie come il problem solving e il brain-
storming, che stimolano le abilità creative e il gioco accompagna l’uomo da sempre. Anche
nelle tribù indiane, erano presenti giochi simili a quelli moderni.
La sfida è, dunque, rendere divertente l’apprendimento.
Il bisogno di movimento e di esplorazione tipici dell’infanzia spingono al gioco, che nasce
per un principio di piacere e, poi, si carica dell’attribuzione di significato. Il gioco è
considerato un bisogno esistenziale per l’uomo, che, grazie ad esso, forma la propria
personalità, permette di sviluppare lo spirito di cooperazione, socializzazione e
autocontrollo.
Il gioco nasce come un complesso di pratiche, regole, tecniche e costruzioni mentali, che
aiutano a passare del tempo e dare un senso a cose che, altrimenti, un senso non lo
avrebbero (per es., depositare una palla in una rete).
Per i Greci e i Romani, il gioco era una materia di studio: si imparavano regole, che poi si
mettevano in pratica, svolgendo principalmente esercizi ginnici), perciò il gioco non era né
spontaneo né piacevole.
Solo i pedagogisti più moderni hanno dato un’impostazione psicologica ed educativa ai
giochi infantili. Friedrich Fröbel1 mise a disposizione dei bambini del “giardino d’infanzia”
(la loro scuola) doni che potessero stimolare la loro attività simbolica, evocativa e
1 Friedrich Wilhelm August Fröbel (Oberweißbach, 21 aprile 1782 – Marienthal, 21 giugno 1852) è stato un pedagogista tedesco.
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fantastica (per esempio, una sfera che potesse far maturare l’idea del movimento, un cubo
che desse l’idea del riposo ecc.). Poi, però, ci si rese conto che i “doni” erano troppo
astratti e che i giochi imposti dagli insegnanti ostacolavano la spontaneità dei bambini.
L’idea di introdurre il gioco in ambito educativo potremmo farla risalire a Jean-Jacques
Rosseau2, prima di lui la scuola era un luogo in cui si lavorava seriamente, memorizzando
nozioni e comportamenti, in un clima di severità, ubbidienza, disciplina, distacco e
punizioni (anche fisiche). Rosseau, invece, anche nell’Emilio, evidenziò la dimensione
creativa del lavoro e dell’esperienza.
Studiosi come Maria Montessori3, Rosa Agazzi4, John Dewey5 e Friedrich Wilhelm August
Froebel6 compresero quanto il bambino riesca ad apprendere giocando e facendo. Anche
Jean-Ovide Decroly 7 e Edouard Claparède 8 credevano che il gioco fosse utile per
sviluppare integralmente la vita psico-fisica del bambino.
Al gioco è stata data importanza nel ‘900, grazie alle scienze umane e sociali, ma anche
grazie agli studi antropologici.
Nella prima parte del ‘900, il movimento a favore dell’educazione nuova e della pedagogia
dell’attivismo si prefissero di tradurre sul piano dei comportamenti educativi e delle prassi
scolastiche una nuova visione dell’infanzia: la pedagogia tradizionale poneva al centro
dell’evento educativo il programma di studio, il maestro, la disciplina e il metodo, mentre
l’educazione nuova si incentrava sul fanciullo.
A tutte le età, bisognerebbe dedicare il giusto tempo ad attività ludiche, perché permettono
anche di scaricare tensione, stress e stanchezza, recuperando energie utili alle attività
2 Jean-Jacques Rousseau (Ginevra, 28 giugno 1712 – Ermenonville, 2 luglio 1778) è stato filosofo, scrittore e musicista svizzero. 3 Maria Tecla Artemisia Montessori (Chiaravalle, 31 agosto 1870 – Noordwijk, 6 maggio 1952) è stata educatrice, pedagogista, filosofa, medico, neuropsichiatra infantile e scienziata. Tra le prime donne a laurearsi in medicina in Italia, è nota in tutto il mondo per il metodo educativo che prende il suo nome. 4 Rosa Agazzi (Volongo, 26 marzo 1866 – Volongo, 9 gennaio 1951) e Carolina Agazzi (Volongo, 1870 – Roma, 24 novembre 1945) sono state pedagogiste ed educatrici sperimentali ed erano note come sorelle Agazzi. 5 John Dewey (Burlington, 20 ottobre 1859 – New York, 1 giugno 1952) è stato filosofo, pedagogista, scrittore e professore 6 Friedrich Wilhelm August Fröbel (Oberweißbach, 21 aprile 1782 – Marienthal, 21 giugno 1852) è stato un pedagogista tedesco. 7 Jean-Ovide Decroly (Ronse, 23 luglio 1871 – Uccle, 10 settembre 1932) è stato un importante pedagogista, neurologo e psicologo. 8 Edouard Claparède (Ginevra, 24 marzo 1873 – Ginevra, 29 settembre 1940) è stato uno psicologo e pedagogista.
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lavorative (funzione di abreazione). Nell’infanzia il gioco permette l’acquisizione delle
regole della vita sociale. Il gioco permette di dare “sfogo” a surplus di energia.
Le ricerche di questi ultimi decenni hanno mostrato come, proprio con il gioco, in
particolare il gioco simbolico, il bambino possa maturare competenze cognitive, affettive e
sociali. Attraverso il gioco, infatti, il bambino mette alla prova emozioni e sentimenti
allenandosi ad affrontare con sicurezza e padronanza la realtà.
La creatività non può essere appresa, ma può essere –e va- favorita e stimolata,
attraverso adeguate metodologie didattiche ludiche e cooperative.
Il gioco assume significati importanti anche nelle scienze della comunicazione, tanto che si
può considerare all’origine anche dei messaggi pubblicitari.
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2. ALCUNE TEORIE E RIFLESSIONI SUL GIOCO
o MARIA MONTESSORI
La Montessori, con il suo “metodo”, ha proposto una scuola a misura di fanciullo, in cui
tutto fosse maneggiabile liberamente dal bambino e alla sua portata, in modo che il piccolo
avesse la possibilità di stimolare creatività e immaginazione. Il materiale ludico da lei
proposto era graduato al fine di sviluppare le funzioni senso motorie e compito
dell’educazione montessoriana non era impartire nozioni e ordini, ma creare un ambiente
adatto al bisogno di agire, giocare e apprendere spontaneamente.
o ROSA AGAZZI
Sosteneva che il materiale didattico non dovesse essere preordinato, ma un insieme di
“cianfrusaglie”, di cui i bambini potevano servirsi per allestire, nella scuola, un “museo” e
cercare di favorire lo sviluppo della fantasia e della creatività.
o JOHN DEWEY
Ritiene che la scuola debba porre l’attenzione su questi interessi fondamentali:
conversazione e comunicazione; indagine o scoperta delle cose; fabbricazione o
costruzione delle cose per stimolare la creazione artistica nel bambino e considerare il
gioco uno strumento di apprendimento e di didattica.
o FRIEDRICH WILHELM AUGUST FROEBEL
Fu il primo a dare valore al gioco, non considerandolo più un’inutile perdita di tempo. Per
Froebel, il gioco favorisce lo sviluppo del bambino, poiché lo aiuta a capire come
relazionarsi con gli altri e quali sono le forme generali dell’universo (grazie a giocattoli
detti “doni”).
o EDOUARD CLAPARÈDE
Nel 1912, Cleparedè fonda a Ginevra l’istituto J-J. Rousseau per ricerche di psicologia
dell’età evolutiva. Grazie al suo progetto di una scuola “su misura” dell’allievo, può essere
considerato uno dei più importanti psico-pedagogisti moderni. Il motto della sua scuola fu
“il maestro vada a scuola dal fanciullo”.
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Cleparedè fu il promotore della teoria dell’educazione funzionale, secondo cui il
fondamento dell’educazione non deve essere né il timore di un castigo né il desiderio di
una ricompensa, ma l’interesse profondo per ciò che si deve assimilare o eseguire. Il
bambino, quindi, non deve lavorare o comportarsi bene per far piacere ad un altro, ma
perché questo modo di comportarsi lo considera desiderabile lui stesso (la disciplina
interiore sostituisce quella esteriore).
Cleparedè considerava il gioco un importante esercizio educativo spontaneo. Non era
importante che il bambino imparasse, ma era importante che il bambino avesse tempo e
modo di aprirsi a un ventaglio di capacità, senza la mortificazione di una specializzazione
precoce. Ecco che, quindi, la scuola doveva essere introdotta al momento giusto per
evitare che l’evoluzione e il processo di auto-formazione fossero pregiudicati.
Secondo la teoria di Claparéde (1920), il gioco è un’attività efficace per soddisfare i
bisogni naturali e permettere che i desideri diventino reali.
o JEAN PIAGET9
Secondo Piaget, l’attività ludica orienta verso uno sviluppo completo e il gioco per i
bambini è un vero e proprio addestramento alla futura vita adulta, oltre che un modo per
socializzare e impiegare energia in eccedenza e imparare il controllo dei momenti di
frustrazione.
Secondo Piaget, inoltre, i bambini tendono a trasferire nel gioco eventi concreti (anche di
carattere negativo), che, in una dimensione fittizia, risultano prevedibili e meglio gestibili,
rispetto alla realtà.
Anche l’apprendimento del linguaggio, in fondo, risulta basato su un’attività ludica: nel
gioco, le forme linguistiche ludiche diventano un prolungamento dell’azione e si
trasformano in veri e propri dialoghi con oggetti e personaggi del pensiero fantastico (brum
brum, ciuf ciuf, beeeee, muuuuu, bau bau ecc.). L’uso del linguaggio durante i giochi e la
scoperta di nuove forme espressive permettono al bambino di introdurre queste
competenze nelle relazioni con gli altri.
9 Jean Piaget (Neuchâtel, 9 agosto 1896 – Ginevra, 16 settembre 1980) è stato uno psicologo, biologo, pedagogista e filosofo. È considerato il fondatore dell’epistemologia genetica.
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o LEV VYGOTSKJI10
Vygotskij ritiene che il gioco sia un fenomeno complesso (che racchiude storia,
socializzazione, cultura, confronto logica-linguisticità, distacco dalla realtà ecc.) e che il
bambino possegga una forma diversa di intelligenza (l’intelligenza creativa), che ricorda la
capacità di produrre eventi. Anche Piaget credeva esistesse una forma simile
d’intelligenza infantile, ma non le dava connotazioni emotive.
Vigotskij riuscì senza difficoltà a convincere dei bambini a posticipare il consumo di dolci,
coinvolgendoli nel gioco “del veleno” e sosteneva che da piccoli si impari velocemente a
risolvere i problemi posti dall’uso di materiali con cui si ha precedentemente giocato.
o SIGMUND FREUD11
Secondo Freud gli aspetti del gioco sono:
Aspetto catartico: il gioco aiuta a controllare l’ansia, riproponendo nell’attività
ludica una situazione angosciante.
Controllo della realtà interna ed esterna: con il gioco, il bambino può passare
da una situazione fittizia ad una reale con minore ansia e può esteriorizzare il
proprio mondo interiore, concretizzandolo negli oggetti.
o WINNICOTT
Secondo Winnicott, la vita psichica del bambino può essere divisa in tre fasi:
dipendenza assoluta;
dipendenza relativa;
indipendenza.
Le prime due fasi sono le più cruciali, perché si struttura il dialogo madre-bambino
sul piano verbale e non verbale e, da questo dialogo scaturirà il meccanismo di
apprendimento linguistico.
10 Lev Semënovič Vygotskij (Orša, 5 novembre 1896 – Mosca, 11 giugno 1934) è stato uno psicologo sovietico, padre della scuola storico-culturale. 11 Sigismund Schlomo Freud, noto come Sigmund Freud, (Freiberg, 6 maggio 1856 – Londra, 23 settembre 1939) è stato un neurologo, psicoanalista e filosofo austriaco, fondatore della psicoanalisi, sicuramente la più famosa tra le correnti teoriche e pratiche della psicologia.
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Winnicott ritiene che, nella prima fase, gli stimoli non verbali (carezze, attenzione
affettiva ecc.) sviluppano nel neonato il sé, mentre nella fase successiva si
svilupperà l’io. Se il bambino in età evolutiva è stato oggetto di cure parentali
materne, può gradualmente emanciparsi dalla sensazione di sentirsi un’entità non
distinta dalla madre, entrando in una fase d’interazione ed elaborazione dei simboli
radicati nella sua esperienza del mondo.
Winnicott considera il gioco tra i fenomeni transizionali, come altre attività in cui il
soggetto in età evolutiva esperisce il passaggio dalla dipendenza all’autonomia,
imparando a star solo e mantenendo una certa fiducia in una realtà positiva che lo
protegge.
Dagli oggetti transazionali (giocattoli o cose come coperte, foulard, etc...), secondo
Winnicott, il bambino trae senso di sicurezza immediato, paragonabile alla
sicurezza esperita nei futuri rapporti affettivi interpersonali.
o LE 4 CATEGORIE DI GIOCO, SECONDO ROGER CAILLOIS12
Roger Caillois, nel saggio I giochi e gli uomini – la maschera e la vertigine (1958), ha
classificato (per primo e in modo sistematico) i giochi in 4 categorie principali (pulsioni
primarie).
I giochi, secondo Caillois, agiscono fra due poli opposti:
- paidia, che è turbolenza, divertimento, libera improvvisazione e fantasia
incontrollata
- ludus, che è regole, convenzioni arbitrarie e imperative, sforzo, tenacia, abilità e
sagacia.
Le quattro categorie sono:
- AGON (dal greco antico: “gara”, “disputa”): vi rientrano i giochi competitivi. Regola
indispensabile è l’uguale possibilità di vittoria per tutti i giocatori e ciò è reso
artificialmente possibile dal complesso di regole, che fungono da limite spazio-
12 Roger Caillois (Reims, 3 marzo 1913 – Le Kremlin-Bicêtre, 21 dicembre 1978) è stato uno scrittore, sociologo, antropologo e critico letterario.
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temporale. Su chi vince non ci possono essere dubbi. È una prova fisica (sport) o
intellettuale (tornei), che, di solito, implica disciplina e costanza. L’agon è pura
forma di un merito personale.
- ALEA (dal latino: “gioco dei dadi”: vi rientrano giochi in cui ci si affida al caso per
ottenere un risultato e vincere. Anche per questi giochi esistono regole, ma, mentre
l’agon è legato a responsabilità personale, l’alea è abdicazione della volontà.
- MIMICRY (dall’inglese: “mimetismo”): vi rientrano quei giochi in cui si diventa
un’altra persona e non è inganno, perché tutti sono consapevoli della situazione e
sono rispettate tutte le caratteristiche del gioco (libertà, spazio e tempo limitati,
convenzione, sospensione dal reale). Le regole sono meno rigide. Durante
l’infanzia, la mimesi è la regola: il bambino imita “i grandi” e il mondo che lo
circonda.
- ILINX (dal greco: “gorgo”, da cui deriva vertigine, “ilingos”): vi rientrano quei giochi
in cui si cerca una vertigine, distruggendo temporaneamente la stabilità della
percezione e alterando la coscienza. C’è voglia di sottrarsi a regole fisiche (piacere
del pericolo e certezza di poterlo controllare) o morali (piacere esercitato dal
disordine e dal proibito) e, al giorno d’oggi, vediamo appagato questo desiderio
anche in parchi divertimento che propongono attrattive sempre più al limite.
o ALTRE TEORIE SUL GIOCO
- Heinz Schaller13 considerava il gioco come riposo e ricreazione.
- Per Herbert Spencer14, l’attività ludica è una strategia di simulazione che
innesca, per poi scaricarle, energie represse; è uno sfogo di energia
superflua, che nasce dal bisogno “di liberarsi di forze a base biologico
istintuale”.
- Karl Groos15 considerava il gioco un esercizio di preparazione alla vita
adulta, perché affinerebbe delle condotte che sono già presenti, in nuce, a
livello istintivo-intuitivo.
13 Heinz Schaller (Lörrach, Germania, 1 febbraio 1932 - 10 aprile 2010) è stato un biologo molecolare
14 Herbert Spencer (Derby, 27 aprile 1820 – Brighton, 8 dicembre 1903) è stato un filosofo di impostazione liberale, teorico del darwinismo sociale. Molto apprezzato, specialmente nel mondo anglosassone, nel 1902 venne candidato al Premio Nobel per la Letteratura.
15 Karl Groos (Heidelberg, 10 dicembre 1861 – Tubinga, 27 marzo 1946) è stato uno psicologo.
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- La teoria di Stanley Hall16 riconduce il gioco a strumento di eliminazione di
funzioni ataviche superflue. Secondo Hall, le fasi del gioco procedono dalle
espressioni non complesse (di carattere senso motorio) alle più mature
(collegate a processi imitativi e sociali).
- Huizinga17, invece, considerava il gioco un tratto fondamentale dell’uomo,
che è all’origine della cultura e dell’organizzazione sociale. Nella sua opera
Homo Ludens, sottolinea la funzione consolatoria dell’attività ludica e il valore
simbolico-rappresentativo del gioco. Per Huizinga, il comportamento di gioco
ha una funzione culturale più che biologica perché “il gioco ha un senso”.
Huizinga e Groos ritengono il gioco assimilabile all’esperienza estetica e
culturale e una categoria contrapposta al lavoro e, perciò, portatrice di valori
come la gratuità (opposta dialetticamente all’utilità) e l’immaginazione
(opposta dialetticamente alla realtà).
- Jean Château18 considerava il gioco un’attività espressiva dello slancio vitale
dell’uomo.
- Giovanni Maria Bertin19 rappresentava l’attività ludica come una sfera
dell’avventura estetica.
- Per Luigi Volpicelli20, il gioco è più di un’attività: “è l’aspetto creativo della
vita, per quel che ha di nuovo e di personale, oltre la ritualizzazione, di
quanto è ormai oggettivo e convenuto”.
Secondo Volpicelli, la creatività del gioco caratterizza il bambino nel suo
modo di essere, adattarsi all’ambiente, crescere ed esprimere la sua
umanità, “mentre l’arte è veramente creatrice, quando, distaccata dal suo
artefice, attinge vita oggettiva”.
16 Granville Stanley Hall (Ashfield, 1 febbraio 1846 – Worcester, 24 aprile 1924) è stato uno psicologo e pedagogista. 17 Johan Huizinga (Groninga, 7 dicembre 1872 – Arnhem, 1 febbraio 1945) è stato uno storico e linguista. 18 Jean Château (Charente, 17 luglio 1908 – 4 agosto 1990) è stato uno psicologo. 19 Giovanni Maria Bertin (Mirano, 7 settembre 1912 – Bologna, 15 novembre 2002) è stato un pedagogista e accademico. 20 Luigi Volpicelli (Siena, 1900 – Roma, 1983) è stato un pedagogista.
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3. GIOCO È…
COMUNICAZIONE
Il gioco possiamo considerarlo un atto comunicativo, perché presuppone la presenza di un
altro. Anche se si gioca da soli, si è almeno in due, perché è come se si giocasse con se
stessi o con il gioco stesso. Tale condivisione permette di distinguere, secondo Donald
Woods Winnicott21, tra fantasticheria e immaginazione: la fantasia immaginativa (che è
stimolata dal gioco) arricchisce la vita con nuovi significati e regala nuovi spunti per
l’azione; mentre la fantasticheria è il prodotto di un isolamento, che inibisce fino a
interferire con l’equilibrio psichico della persona.
REGOLE
La regola è presupposto e creazione del gioco e si può paragonare alla struttura della
lingua, che permette agli interlocutori di comunicare. Non esiste un gioco senza regole.
Nei bambini, la consapevolezza del rispetto delle regole ci permette di capire il loro livello
di apprendimento delle strutture formali.
TRASMISSIONE
Altra funzione importante dell’attività ludica riguarda la trasmissione di un sapere da
giocatore a giocatore, di un bagaglio di conoscenze e nozioni.
EVOLUZIONE E SOCIALIZZAZIONE
I sociologi contemporanei ritengono l’atteggiamento ludico capace di far evolvere la
collettività nel senso della socializzazione.
IMPARARE A DIVENTARE GRANDI
Da adulti, la capacità di saper giocare, si trasforma in capacità di saper lavorare, dato che,
tra i due ambiti riscontriamo significativi parallelismi e stesse condizioni di base:
- capacità di controllare impulsi aggressivi-distruttivi o trasformarli in costruttivi;
21 Donald Woods Winnicott (Plymouth, 7 aprile 1896 – Londra, 28 gennaio 1971) è stato un pediatra e psicoanalista.
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- capacità di portare avanti piani prestabiliti, al di là del risultato o del piacere immediato,
tollerando le frustrazioni momentanee, in vista del risultato finale;
- capacità di passare dal principio del puro piacere (fonte di egocentrismo) al principio di
realtà, che permette di vivere il piacere rispettando le regole sociali.
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4. GIOCARE è UNA COSA SERIA
L’attività ludica implica l’obbedienza a un determinato sistema di regole, quindi è
divertimento, ma anche norma, progetto e addestramento, con un ruolo centrale nella
dinamica inerente allo sviluppo dell’intelligenza.
Il gioco racchiude gli attributi essenziali della dimensione affettiva, cognitiva, motoria,
relazionale e agonistica ed esprime uno scambio sociale.
Quando si gioca, avviene una sospensione della dimensione temporale (che, nel bambino,
è completa) e prevale la dimensione istintuale e pulsionale e ciò comporta un
funzionamento caratterizzato da “scarica” e soddisfazione.
La strutturazione dell’Io comporta la consapevolezza dell’unidirezionalità del tempo, del
“non ritorno”, della possibilità di una fine e della ineluttalibilità della morte.
Nell’adulto, nel gioco, la ripetizione appaga quel desiderio illusorio di ripristinare quella
rassicurante temporalità ciclica vissuta nell’infanzia e rappresenta anche il tentativo di
esorcizzare l’incedere del tempo, spesso angosciante.
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Quando, nel gioco, si dà spazio alla creatività, si favorisce una crescita emotiva e cognitiva
e si creano personalità che non eseguiranno passivamente ordini.
Il gioco è stato inserito in molti programmi di riabilitazione psichica e psicoterapica, perché
stimola lo sviluppo intellettuale e senso motorio e permette anche di cogliere segnali
indicanti la situazione affettivo-emozionale del bambino e di proporre soluzioni nel caso si
riscontrino problematiche.
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5. L’ASPETTO NEUROBIOLOGICO DEL LEGAME TRA APPRENDIMENTO E
GIOCO
Secondo gli psicologi dell’apprendimento, più è complessa la tecnica da apprendere,
minore è il livello ottimale di motivazione richiesto per un rapido apprendimento (legge di
Yerkes-Dodson). Il gioco, perciò, può fornire i mezzi per ridurre un eccesso di tensione e
di frustrazione.
Volendo fare un breve accenno all’aspetto neurobiologico del legame tra apprendimento e
gioco, poi, dobbiamo tenere presente che noi esseri umani possediamo una grande
capacità di apprendere e registrare nuove informazioni in modo inconscio, poiché
acquisiamo una “memoria non associativa” anche in assenza di apprendimento
consapevole o dichiarativo.
La memoria dichiarativa è basata su apprendimento e memorizzazione attiva e dipende
dalla regione cerebrale temporale che comprende l’ippocampo. Se l’ippocampo e le
strutture collegate sono lesionate o distrutte, il soggetto perde la capacità di apprendere
nuovi ricordi e accedere alla memoria recente.
L’apprendimento abitudinario si verifica, invece, quando un’informazione è registrata
inconsapevolmente, mediante ripetizione o processo per tentativi ed errori e questi ricordi
sono conservati in un’altra regione del cervello (ganglio basale).
Scimmie che presentano lesioni nell’ippocampo, al contrario di uomini con lesioni simili
che hanno difficoltà ad apprendere certi compiti, riescono a svolgere gli esercizi
normalmente, forse per abitudine.
Pur non esistendo un vero e proprio “centro del piacere”, sensazioni piacevoli lasciano un
segno inconfondibile, che alcuni neuroscienziati sono riusciti a “vedere” grazie a una
risonanza magnetica funzionale.
Ricerche evidenziano che certi circuiti cerebrali ed alcuni neurotrasmettitori sono implicati
nel suscitare in noi sensazioni correlate allo sforzo di raggiungere qualcosa e al
sentimento provato al raggiungimento dell’obbiettivo.
Sappiamo oramai che le emozioni si riferiscono a costruzioni che coinvolgono processi
attivi, adattativi, crescenti.
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In ambito neurofisiologico, Panksepp22, che ha esposto le sue ricerche nel testo Affective
Neuroscience, ha affermato che, per comprendere il Disturbo da Deficit dell’Attenzione
con Iperattività, bisogna indagare l’attività del sistema emozionale cerebrale che media il
comportamento di gioco, localizzato in zona temporo-parietale.
22 Jaak Panksepp (Tartu, 5 giugno 1943 – Bowling Green, 17 aprile 2017) è stato uno psicologo, neuroscienziato e psicobiologo.
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6. GIOCO E PEDAGOGIA
Il gioco è fondamentale per l’apprendimento e le relazioni, perché favorisce rapporti
attivi e creativi, consente di trasformare la realtà secondo le proprie esigenze interiori,
di realizzare le proprie potenzialità e rivelarsi -a se stessi e agli altri- in molteplici
aspetti, desideri e funzioni.
L’attività educativa non è solo trasmissione di nozioni, ma soprattutto la creazione di
relazioni significative, grazie alle quali si costruiscono competenze.
La strutturazione ludica dell’attività didattica assicura esperienze di apprendimento in i
tutte le dimensioni della loro personalità, stimola un fare produttivo e favorisce
esperienze dirette di contatto con la natura, le cose, i materiali, l’ambiente sociale e la
cultura.
L’insegnamento e l’apprendimento di giochi e movimenti realizzano l’incontro tra
conoscere e fare, essere ed esprimere, possedere e condividere.
L’azione educativa che si vive nelle relazioni è mediata dai linguaggi e dal
coinvolgimento emotivo.
Secondo Jean Piaget e Sigmund Freud, l’attività ludica inizia quando il bambino prende
coscienza dell’esistenza delle persone e delle cose che lo circondano e il gioco è il
mezzo per costruire legami e stabilire comunicazioni che vanno oltre le parole.
Il gioco è indispensabile per lo sviluppo di sé e l’interiorizzazione delle abilità sociali;
permette di acquisire regole e limiti, ma anche la capacità di dare e prendere,
sperimentare la tolleranza, imparare a gestire processi di negoziazione e mediazione
reciproca.
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Il bambino, inizialmente, gioco da solo. Poi, avvia un gioco “parallelo”, accanto ai
coetanei, magari con giocattoli simili, ma senza avere rapporti con loro. Dai 18 mesi ai
6 anni, c’è la fase dei giochi simbolici: i bambini, attraverso l’immaginazione e
l’imitazione, rappresentano oggetti, persone e situazioni fantastiche, che, però, hanno
a che fare con la loro esperienza. Gli oggetti sono usati, oltre che per la loro funzione,
anche per il simbolismo ad essi legato. Perché il bambino attribuisca loro una funzione
simbolica, è necessaria una capacità di analisi del contenuto di un ricordo a essi
legato. Con il gioco associativo, il bambino incomincia poi a relazionarsi con i
compagni e a scambiarsi i giocattoli, pur non riuscendo ancora a dar luogo ad attività
sociali perché le attività e le finalità ludiche non sono ancora coordinate.
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Il passaggio da giochi simbolici individuali a giochi sociali avviene solo verso i cinque
anni, quando il gioco sociale permette l’assunzione di un ruolo sociale e di una
responsabilità differente e ci si inizia a sentire parte di un gruppo, da cui si tende a
escludere chi ne è estraneo. Il bambino, superando la fase egocentrica, gioca con gli
altri, sottoponendosi a regole che porteranno alla formazione del senso di
responsabilità, di onestà e di socialità.
Ecco perché il gioco ha una funzione di socializzazione, ma ha educativa e favorisce
lo sviluppo del linguaggio, lo sviluppo affettivo e anche quello relazionale.
I bambini dopo i 6 anni giocano anche con giochi regolamentati, che presuppongono
una capacità di socializzazione, un certo adattamento alla realtà e anche un buon
grado di tolleranza alle frustrazioni (dato che bisogna accettare la sconfitta e anche
saper vincere senza infierire sull’avversario).
I giochi di squadra permettono di rapportarsi agli altri e stringere amicizie e anche gli
hobby, a ogni età, sono importanti perché, seppur intrapresi per puro piacere, tendono
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alla realizzazione consapevole di uno scopo e le gratificazioni crescono col passare del
tempo.
Verso i sette-otto anni, il bambino inizia a essere capace di assumere i punti di vista
altrui e partecipa a giochi che hanno regole, comprendendo l’importanza di rispettare
queste regole.
Nella prima adolescenza, il gioco con regole includerà anche la capacità di immaginare
situazioni ipotetiche (come accade, per esempio, per le fasi di un gioco da tavola o le
mosse di una partita a scacchi) al fine di poter dedurre le conseguenze che sono le
contromosse a disposizione dell’avversario.
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7. IL RUOLO DELL’ADULTO NELLE ATTIVITÀ PER BAMBINI
L’adulto deve organizzare il tempo libero del bambino o educare il piccolo stesso a usarlo
in modo autonomo?
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Educare il bambino al gioco e all’autonomia dovrebbe essere prioritario rispetto
all’organizzazione minuziosa del suo tempo libero.
Il bambino va aiutato adeguatamente ad assecondare le proprie inclinazioni e a vivere
serenamente il proprio tempo, anche se apparentemente sembra “vuoto”. Un bambino,
infatti, gioca sempre, anche quando a noi adulti sembra non far nulla o perdere tempo.
Dato che i piccoli ancora non conoscono le proprie capacità e i propri gusti, è anche giusto
non programmare né vincolare troppo le loro attività, ma lasciarli liberi di sperimentare e
procedere per tentativi alla ricerca delle proprie passioni.
Il bambino che gioca impara ad “essere” e a relazionarsi con gli altri, attraverso giochi e
attività che, a volte, sfuggono alla nostra totale comprensione.
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I bambini ascoltano, fiutano, toccano, assaporano e, così, “assorbono” il mondo,
apprendendo attraverso i loro sensi
Per l’impegno che vi mettono è un vero lavoro da cui non dobbiamo distoglierli. È giusto
offrire al bambino un ambiente stimolante e vigilare su ciò che fa, ma non dobbiamo
interromperlo, né invadere la sua sfera di gioco.
L’adulto ha un ruolo importante nel gioco del bambino (il cui primo giocattolo potremmo
affermare che sia la madre!), ma non deve interferire o necessariamente comprendere
razionalmente ciò che il bambino fa… Può partecipare al suo gioco, ma dando valore al
gioco stesso, diventandone complice e rispettandone le regole e il senso o anche restare
fuori per osservarlo e ascoltarlo, per cogliere i suoi ritmi e le sue iniziative e aiutarlo poi a
dare un nome alle cose e un senso alle azioni.
Giocare – anche insieme- aiuta a conoscere meglio i bambini e il loro mondo e aiuta
anche a farsi conoscere meglio dai bambini stessi, aiuta a dialogare, creare e rafforzare
legami e ciò getta le basi per una più efficace educazione.
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Anche coinvolgere i bambini nelle proprie attività (di lavoro o casa) può diventare un gioco
educativo molto importante e gratificante. Per valorizzare il gioco –così come
l’apprendimento e l’educazione- è opportuno valorizzare il rapporto con i bambini.
Predisponendo un ambiente e degli strumenti “di lavoro” sicuri e adeguati, è importante
incentivare le attività di lavoro manuale, in modo che ci sia un buon equilibrio e
coordinazione con il lavoro mentale, al fine di uno sviluppo psico-fisico equilibrato, che
permetta di muoversi senza difficoltà nelle diverse situazioni.
Il ruolo dell’adulto è importante in relazione all’individuazione dei possibili svolgimenti delle
attività scelte dal bambino, delle regole e dei limiti, in modo che il bambino possa
individuarsi in rapporto a sé, agli altri e alle cose.
I bambini di oggi vivono in un mondo sempre più fatto di segni e non di cose, vivono una
realtà virtuale (anche tv, tablet e cellulari sono segni) e compito dell’adulto è anche far sì
che il bambino giochi e si relazioni con la realtà delle cose e delle relazioni.
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8. I GIOCATTOLI
Spesso, per rendere concrete le loro immaginazioni, i bambini hanno bisogno di oggetti
e questo lo si capito da sempre… Anche tra gli oggetti dei popoli più antichi, sono stati
ritrovati carrettini, trottole, fischietti, bambolotti ecc. Il bambino, però, utilizza –con
funzione di “giocattolo” qualunque cosa, anche oggetti che non sono veri e propri
giocattoli, ma a cui lui assegna quella funzione.
I giochi standard o imposti dal marketing soffocano l’immaginazione, che è, invece,
stimolata da oggetti il cui utilizzo può essere più libero ed è meno univoco e strutturato.
Materiali poveri o di riciclo (carta e cartoncini, sabbia, sale, pietre, foglie ecc.)
permettono, per esempio, di dar sfogo alla fantasia.
Il giocattolo è una sorta di facilitatore dello sviluppo del linguaggio gestuale e verbale e,
più è “incompleto”, più stimola la costruzione di accessori e la ricerca di nuove e
ulteriori situazioni di gioco.
Qualunque oggetto può essere considerato “giocattolo” dal bambino, se il bambino gli
assegna una funzione all’interno del suo gioco.
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9. IL VALORE DELL’ANIMAZIONE
Un accenno importante va fatto anche al concetto di “animazione”, attività che –
soprattutto, in relazione ai lavori di gruppo- permette di promuovere trasformazioni in
un soggetto e la capacità di riflettere su se stesso, a favore di una maggiore
conoscenza e coscienza di sé (attraverso giochi di cooperazione, di comunicazione,
brainstorming, tecniche di drammatizzazione ecc.).
Le metodologie creative messe in atto traggono spesso spunto dal folklore, dalla
psicologia percettiva e di gruppo, da aspetti psicomotori e sociomotori, da attività dei
Boy Scouts, dall’Attivismo del ‘900 e si avvalgono di strumenti appartenenti ai diversi
codici linguistici (arte, grafica, pittura, drammatizzazione, corporeità ecc.).
La drammatizzazione è una forma di gioco simbolico che permette, attraverso la loro
fantasia, di diventare attori e protagonisti, di identificarsi in burattini e marionette e
rivivere esperienze o anticiparne simbolicamente alcune non ancora sperimentate.
La drammatizzazione presuppone una profonda comunicazione con l’altro e assume
funzioni psicopedagogiche ed educative.
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10. GIOCARE NON È SOLO UNA COSA DA BAMBINI
L’attività ludica, nell’adulto, continua a mantenere la caratteristica di poter trasformare
simbolicamente la realtà (si pensi, per esempio, ad attività relative alla scrittura creativa,
allo sport, alla musica, all’artiste ecc.). e risponde, solitamente, al bisogno di confrontarsi o
mettersi alla prova, sospendendo le conseguenze delle azioni, attraverso la funzione che
Jerome Bruner23 definisce “moratoria del gioco”.
Nei momenti ludici, si prova piacere e, grazie alla fusione di Io e Super-io, le potenzialità
del soggetto impegnato in attività ludiche risultano ampliate.
Ecco perché, per continuare a crescere anche “da grandi”, bisogna utilizzare in modo
creativo il proprio tempo.
Il gioco, ad ogni età, fa bene, anche perché permette di ritrovare se stessi, allentare le
tensioni e stare in compagnia.
23 Jerome Seymour Bruner (New York, 1º ottobre 1915 – New York, 5 giugno 2016) è stato uno psicologo che ha contribuito allo sviluppo della psicologia cognitiva e della psicologia culturale nel campo della psicologia dell'educazione.
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11. GIOCARE CON GLI ANIMALI
Anche le attività con gli animali (così come la cura delle piante) rivestono
un’importanza molteplice e infinita. Oltre a divertirsi, il bambino si educa all’impegno
e alla responsabilità nei confronti di un altro essere vivente e da questa relazione
ne esce arricchito e gratificato.
Per caso, il neuropsichiatria Boris Levinson si accorse, durante una seduta di
terapia con un bambino che soffriva di autistismo, che la presenza in studio del suo
cane Jingles era di notevole aiuto. Alla fine della seduta, infatti, il bambino ,
espresse il desiderio di tornare da Levinson, per rivedere il cane. Nelle sedute
successive, il bambino iniziò a giocare col cane e, gradualmente, a questo gioco si
aggiunse il neuropsichiatria, che riuscì, in questo modo, a stabilire un ottimo
rapporto con il bambino.
Dopo questa esperienza, Levinson continuò a sperimentare questa “pet therapy”
(da “pet” che in inglese significa “animale domestico”), che era basata sulla
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comunicazione tra paziente, animale e terapeuta e utilizzava il gioco come mezzo
principale di comunicazione.
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12. I VIDEOGIOCHI E TELEVISIONE
E, per concludere questo excursus sul tema, non si possono non menzionare i giochi
“moderni”: i videogiochi e i giochi digitali, che possono fungere da ulteriori supporti
educativi, pur presentando risvolti incerti e rischi legati al mondo dei social e della
tecnologia.
Va sottolineato, però, che è sempre l’uso scorretto e l’abuso di qualcosa che rende
questo “qualcosa” pericoloso e, nel caso dei videogiochi, questi, in fondo,
rappresentano una evoluzione tecnologica di gioco, perciò, posseggono
potenzialmente anche effetti positivi. Infatti, possono:
-come “gioco sensomotorio”, stimolare abilità manuali e di percezione;
-favorire la comprensione di compiti da svolgere, sostenendo anche forme induttive
di pensiero;
-abituare a gestire gli obiettivi, individuando prima dei sotto-obiettivi;
-allenare l’autocontrollo e la gestione delle emozioni legate all’esercizio di un
compito;
-sviluppare alcuni aspetti della personalità (abilità di prendere decisioni e iniziative
con rapidità, affrontare difficoltà ecc.)
-favorire apprendimenti specifici su alcune tematiche, conoscenze o procedure.
Esistono aziende specializzate nella creazione di videogiochi educativi, che
favoriscono anche l’apprendimento in presenza di disturbi specifici (dislessie,
discalculie o deficit sensoriali). Questo perché il videogioco ha un forte potere
motivante e riesce a catturare e mantenere l’attenzione, utilizzando
contemporaneamente anche più canali sensoriali di stimolazione.
Stesso discorso vale per la televisione, che, usata con buon senso, può anche
stimolare la creatività e il gioco, offrendo idee, spunti di conversazione e confronto e,
insieme, si può anche giocare a “fare la televisione”, realizzando –con del cartone- un
mondo in cui entrare e diventare protagonista di storie e programmi tv.