Il Valore Magico de La Palabra Florensky

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IOOlf4\ 'Q;J':I ( .H OCT2001¡ Introduzione di Graziano Lingua 1. Dalla matematica algulag Pochi personaggi della cultura de! Novecento possono vantare un cosi ampio spettro di interessi come quello che ha caratterizzato la ri- cerca del matematico e filosofo russo Pave! A. Florenskij. Nonostante cio la diffusione delle sue opere e de! suo pensiero si e per molti anni bloccata a causa del velo di silenzio che esceso su di lui dopo la condan- na a morte comminata dal regime sovietico ne! dicembre 1937. Da que- sto silenzio, che ha privato la cultura mondiale di importanti intuizioni nei campi piu disparati de! sapere, si sta oggi uscendo con fatica anche perché ancora molta parte dell'opera di Florenskij giace manoscritta nell'archivio conservato con cura dai suoi famigliari ne! piccolo centro di Sergej Posad nei pressi di Mosca. Pave! Aleksandrovié Florenskij nasce a Evlach nel governatorato di Elizavetpol' (nell'attuale Azerbaigian) il9 gennaio 1882. Dopo ayer trascorso la sua infanzia a Tiflis in Georgia si trasferisce a Mosca per iscriversi alla facolta di Matematica. In que! periodo vi insegnava N. V. Bugaev, esponente di spicco della scuola filosofico-matematica della capitale. Florenskij viene profondamente influenzato da questo perso- naggio e sulla scia della sue teorie sul numero e suBa discontinuiti scrive la sua tesi sulle curve piane come luoghi di violazione del principio di continuiti. E degli anni universitari la pro fonda attrazione per il movi- mento simbolista le cui idee avranno grande importanza in tutta la sua riflessione matura. L'amicizia con A. Belyj, personaggio di spicco de! movimento, lo avvicina al mondo della poesia e a una concezione misti- ca della parola. Malgrado gli sia offerta la possibiliti di continuare le sue ricerche in Universiti dopo la tesi Florenskij sceglie di iscriversi all'Accademia Teo- logica e di trasferirsi presso il Monastero della Triniti e di San Sergio a Sergej Posad, dove soggiornera fino all'arresto. In una lettera a sua madre spiega la sua sce!ta con l'intenzione di creare una sintesi tra tradizione cri- stiana e cultura secolare, cercando di far dialogare l'insegnamento della Chiesa ortodossa con la nuova visione scientifico-ftlosofica de! mondo.

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( .H OCT2001¡

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Introduzione di Graziano Lingua

1. Dalla matematica algulag

Pochi personaggi della cultura de! Novecento possono vantare un cosi ampio spettro di interessi come quello che ha caratterizzato la ri­cerca del matematico e filosofo russo Pave! A. Florenskij. Nonostante cio la diffusione delle sue opere e de! suo pensiero si e per molti anni bloccata a causa del velo di silenzio che esceso su di lui dopo la condan­na a morte comminata dal regime sovietico ne! dicembre 1937. Da que­sto silenzio, che ha privato la cultura mondiale di importanti intuizioni nei campi piu disparati de! sapere, si sta oggi uscendo con fatica anche perché ancora molta parte dell'opera di Florenskij giace manoscritta nell'archivio conservato con cura dai suoi famigliari ne! piccolo centro di Sergej Posad nei pressi di Mosca.

Pave! Aleksandrovié Florenskij nasce a Evlach nel governatorato di Elizavetpol' (nell'attuale Azerbaigian) il9 gennaio 1882. Dopo ayer trascorso la sua infanzia a Tiflis in Georgia si trasferisce a Mosca per iscriversi alla facolta di Matematica. In que! periodo vi insegnava N. V. Bugaev, esponente di spicco della scuola filosofico-matematica della capitale. Florenskij viene profondamente influenzato da questo perso­naggio e sulla scia della sue teorie sul numero e suBa discontinuiti scrive la sua tesi sulle curve piane come luoghi di violazione del principio di continuiti. Edegli anni universitari la profonda attrazione per il movi­mento simbolista le cui idee avranno grande importanza in tutta la sua riflessione matura. L'amicizia con A. Belyj, personaggio di spicco de! movimento, lo avvicina al mondo della poesia e a una concezione misti­ca della parola.

Malgrado gli sia offerta la possibiliti di continuare le sue ricerche in Universiti dopo la tesi Florenskij sceglie di iscriversi all'Accademia Teo­logica e di trasferirsi presso il Monastero della Triniti e di San Sergio a Sergej Posad, dove soggiornera fino all'arresto. In una lettera a sua madre spiega la sua sce!ta con l'intenzione di creare una sintesi tra tradizione cri­stiana e cultura secolare, cercando di far dialogare l'insegnamento della Chiesa ortodossa con la nuova visione scientifico-ftlosofica de! mondo.

8 / Pavel A. Florenskij

Frutto matura di questi anni di ricerca e l'opera piu famosa di Flo­renskij, La colonna eilfondamento della veritd (1917) presentata come tesi di dottorato alla fine degli studi teologici. L'opera suscita forte stupore per lo sti1e originale e per la capacita di dominare in un solo filo conduttore molteplici fonti ispiratrici. Non mancano peró le critiche da parte di chi, come N. Berdjaev, riscontra in questa originaliti una pericolosa deriva estetizzante, attenta, a suo dire, piu alla magia che al cristianesimo.

In ogni caso La colonna impone Florenskij all'attenzione del mon­do culturale moscovita e sanpietraburghese e gli permette di iniziare l'insegnamento della filosofia in Accademia. Comincia cosi un periodo di intenso lavora su Platone e Kant che lo portera a pubblicare una serie di contributi tra cui JI significato dell'idealúmo (1917) e a far parte di alcuni dei salotti piu importanti della cosiddetta «Rinascita filosofico-religiosa russa». Questo momento di attiviti viene peró interratto bruscamente dalla Rivoluzione di Ottobre e dagli eventi che la seguono, tra cui il piu drammatico e la chiusura dell'Accademia stessa. Rimasto senza uno spazio per continuare il suo lavora teolot,tÍco Florenskij ritorna ai suoi studi scientifici e si interessa ai dibattiti sorti a praposito delle avanguar­die artistiche. Si fa cosi animatore di un gruppo di artisti che si raccolgo­no intorno alla rivista «Makovec» e, su invito del grafico Favorskij, tiene il corso di Teoria dello spa\Jo, all'interno della Facolti poligrafica del Vchutemas di Mosca (a queste lezioni si riferisce il testo recentemente pubblicato Lo spa\Jo eil tempo nell'arte1). Risalgono a questo periodo le ri­cerche piu profonde nell'ambito tecnico-scientifico e la collaborazione all'importante Enciclopedia tecnica diretta da L .K. Martens.

1 sospetti da parte del regime non tardano peró a farsi sentire. I1 suo volume Gli immaginari nella geometria (1922) viene colpito dalla cen­sura per ayer riabilitato, con l'aiuto della teoria della relativiti, la conce­zione dello spazio contenuto nella Divina Commedia di Dante e, termina­ta la relativa liberti culturale del periodo della Nep, viene arrestato una prima volta nel 1928 e definitivamente condannato al gulag nel 1933 in base all'articolo 58, commi 10 e 11 per «propaganda antisovietica e par­tecipazione a organizzazione contrarivoluzionaria»2.

Cornincia cosi il periodo piu triste della vicenda di Florenskij. A te­stimonianza di questi anni si possono leggere le lettere dal carcere, recen­temente pubblicate in italiano a cura dei due piu importanti studiosi di Florenskij, Natalino Valentini e Lubomir Zak, che sono uno spaccato im­pressionante della condizione a cuí e ridotto il suo lavora3. Un SUD com­pagno di prit,tÍone, A. Favorskij in una lettera a uno dei nipoti di padre Pa­vel, cosi descrive la sua figura: <<11 vostro nonno Pavel e stato molto amato

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nelle isole Solovki: era un fJlosofo geniale, urnile e coraggioso. La rnia e l'impressione di tutti i prigionieri che condividevano il SUD destino in me­rito a Florenskij era di un'alta spiritualiti, benevolenza nei confronti degli uornini, ricchezza dell'anima, tutto ció che rende grande un uomo»4.

Al regime comunista peró non e sufficiente urniliare la sua figura relegandolo alle isole Solovki: dopo un ulteriore ciclo di interragatori padre Pavel viene fucilato nella notte dell'8 dicembre e si mette cosi per sempre fine alla vita di un uomo di appena 55 anni la cui unica colpa era stata la fedelti alla chiesa ortodossa.

Fino alla fine del 1989 la data ufficiale della morte di Florenskij era considerata il15 dicembre 1943. Ancora ne11939 una richiesta avanzata dalla moglie Anna per la sospensione della pena era stata rifiutata con la motivazione che Florenskij non aveva deposto il SUD ufficio presbiteria­le. Fatto sta che soltanto dopo la perestraika di Gorbac'ev, su richiesta della famiglia, l'Ufficio di stato civile emette un nuovo certificato di morte che suona: «I1 cittadino Pavel A. Florenskij mori 1'8 dicembre 1937 all'eta di 55 anni. Causa della morte: fucilazione. Luogo della mor­te: regione di Leningrado»5.

2. L'estremajede/td alla Russia

Ma cos'e che fa dell'opera di questo pensatore encic1opedico uno dei pilastri della cultura russa contemporanea? Malgrado il desiderio quasi ossessivo di insistere sull'unitarieti della propria ispirazione, il pri­mo elemento che ha creato interesse intorno alla figura di Florenskij e stato senza dubbio la sua capacita di intervenire nelle discipline piu di­sparate senza cadere mai in dilettantismi. 1 suoi studi sulle geometrie non euc1idee o illungo lavora di ricerca sull'estrazione dello iodio dalle alghe sono altrettanto innovativi quanto la sua teoria dell'icona o le sue ipotesi per la fondazione di una nuova matematica della discontinuiti. In ogni campo che ha toccato egli e stato in grado di acquisire una com­petenza straordinaria e apportare un contributo innovativo. E aquesto ha accostato un continuo impegno pubblico come animatore di gruppi culturali e come membra di diverse commissioni tra cui la «Commissio­ne per la conservazione dei beni artistici della Laura di San Sergio» e il «Consiglio Superiore dell'Economia Naziona1e».

Tra le cause che portarano al suo arresto e alla condanna al gulag da parte del potere staliniano si deve certamente annoverare la competenza dimos trata nei piu disparati settori tecnici accostata peró alla sua testarda

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fede!ti alla cruesa ortodossa. Ordinato sacerdote ne!1913, egli continuera anche durante il periodo sovietico a vestire l'abito talare, manifestando apertamente la sua fede. Contrariamente a quanto faranno altri intellet­tuali, quali N. Berdjaev e S. Bulgakov, Florenskij non accettera mai di la­sciare la Russia, convinto di dover servire la sua patria fino alla fine anche a costo di pagare can la vita. E anche durante i quattra anni di interna­mento nei gulag (prima a Skovoradino, poi nelle isole Solovki) cantinue­d a lavorare alle sue ricerche e proseguid la sua testimonianza cristiana.

La fede!ti alla Russia e alla sua tradizione culturale e spirituale e d'altro canto uno degli aspetti centrali di tutta la ricerca di Florenskij fin dai primi passi compiuti durante gli studi matematici all'Universita di Mosca. La stessa sce!ta di non praseguire la sua carriera come matema­tica, ma di iscriversi all'Accademia Teologica edettata dall'esigenza di riconciliare la nuova cultura scientifico-ftlosofica con i contenuti della religione cristiana ortodossa che caratterizzano la trama piu profonda della sensibilita russa. Si comprende casi il fatto che l'ingresso di Flo­renskij ne! dibattito fJ1osofico sia sotto il segno della critica alla fJ1osofia moderna, e in specifico al positivismo e al neokantismo, presenti nei circoli filosofici de! primo novecento russo, particalarmente in quelli le­gati alla cosiddetta inteffigencija russa.

A suo giudizio due sano i modelli che hanno alimentato la storia della cultura: da una parte la WeftanschauUf~ antica che si radica nell'An­tico Testamento ebraico e nell'antico testamento pagano (l'ellenismo), dall'altra la «cultura nuova», frutto del Rinascimento e che ha il praprio culmine ne!la filosofia kantiana. La prima euna cultura interiore, reali­sta, contemplativo-creativa, la seconda e invece esteriore, rapa­ce-meccanica e nemica della vita6•

Flarenskij ritiene di callocarsi nel primo di questi modelli culturali. 11 soggettivismo moderno e, secando lui, uno psicologismo che non e responsabile verso le cose, centri e grumi di essere, non pure apparenze fenomeniche. La sua caratteristica e l'illusione, la pre-determinazione categoriale che invece di riconoscere la realti si preoccupa di legittimar­la solo nella misura in cui la scienza ne autarizza l'esistenza. A esso va contrapposto l'ontologismo realista, definito «metafisica concreta», che si basa su un'accettazione rispettosa della realri e che vede la conoscen­za come una uscita dalla filosofia de! soggetto.

Florenskij arriva aquesta «metafisica concreta» partendo da tre dif­ferenti ispirazioni, che a vario titolo hanno cantribuito alla sua formazio­ne di pensatore: il medioevo russo, la tradizione slavoftla e la scuola arit­metologica di Cantor. La cultura russa medioevale eI'erede diretta della

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cultura antica e ha la sua connotazione piu propria nell'ontologismo esi­casta; Florenskij afferma esplicitamente di collocare la propria visione de! mondo all'interno di uno stile che carrisponde per forma aquello dei se­coli XIV e XV del medioevo russo e che ha in san Sergio di Radonez il momento di piu cruara espressione. Quest'epoca ecentrale perché in essa si costruiscano le matrici teoriche fondamentali dell'ontologismo russo ed essa e anche l'erede legittima della tradizione bizantina e, attraverso questa, di tutta la tradizione culturale dell'anticruri. Secando Florenskij solo la terra della Rus' eautorizzata aquesta erediri: il Rinascimento ita­liano eun «accaparramento illegittimo» dell'antico.

L'eredita di cuí deve andare fiera la Russia si puó raccogliere in due principi: l'assolutezza de! divino (messa in gioca dalle controversie tri­nitarie e dal concetto di ousia in Palamas) e l'assoluto valore spirituale de! mondo (teandria e dottrina delle energie di Palamas). 11 suo ontolo­gismo contrappone al principio dell'illusione rinascimentale la canvin­zione che tutta la vita esegnata dalla presenza de! divino, marcando allo stesso tempo che questa presenza e anche assenza in quanto l'ousia di Dio ci resta comunque nascosta. La matrice dell'ontologismo palamita equindi antinomica, perché antinomico eil cristianesimo e antinomica puó essere soltanto la sua dogmatica.

Il rifiuto de! razionalismo occidentale a favare de! realismo onto­logico e uno dei temi fondamentali della correnté dello slavoftlismo, corrente ben presente negli ambienti culturali della Russia di inizio se­colo (bisogna ricordare che Florenskij era malta legato a V. Ern, pensa­tare dai tratti fortemente slavofili). 11 nostra eredita dalla slavofilismo la convinzione che solo un pensiera integrale fondato sulla saggezza pos­sa vincere l'«antiontologismo gnoseologico» occidentale.

L'erediri piu diretta dallo slavofilismo ela dottrina della «verita vi­vente» che Florenskij sostiene in molte opere giovanili e sistematizza nella Cofonna. Essa sottolinea I'inscindibile nesso tra veriri e vita, non nel senso di un cieco vitalismo, ma come responsabiliri nei confronti dell'esistenza nella sua globaliti spirituale. Questa sensibiliri si trasmet­te nella parala russa istina ed ela stessa che ha fatto da contesto alla spiri­

tualiri russa dello stareestt'o.

3. Magia eforza ontologica del nome

Lo stesso desiderio di fedelri alla tradizione propriamente sla­vo-ortodossa costituisce il cantusflrmus dei saggi sulla filosofia del nome

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che qui proponiamo in traduzione parziale. Essi appartengono a una se­rie di scritti dedicati al linguaggio che Florenskij aveva progettato di rac­cogliere in un volume sotto il titolo Mysl' ija'{Yk [pensiero e linguaggioJ, volume che e stato pubblicato soltanto dopo la perestroika nel 1990. 1 manoscritti sono tutti datati tra gli anni 1920-1922, anche se del proble­ma dellinguaggio padre Pavel si era interessato fin dagli anni Dieci. A suscitare la sua attenzione, infatti, erano state due esperienze di quegli anni: in primo luogo la vasta polemica sulla venerazione del nome [ime­slavie] sorta all'interno della Chiesa ortodossa a partire dal 1912 e con­cIusasi con la condanna dei monaci del Monte Athos che sostenevano di sperimentare I'essenza di Dio pronunciandone il nome; in secondo luogo lo stretto sodalizio con A. Belyj e gli altri simbolisti che avevano fatto del linguaggio lo strumento principale del rapporto tra finito e Infinito.

Ora, non e possibile comprendere gli scritti contenuti in N!ysl' i ja'{Yk se non si fa riferimento a questi due movimenti culturali, anche se negli anni Venti si era gia spenta la polemica sull'imeslavie e consumata la forza creativa del simbolismo. Del dibattito sulla glorificazione del no­me a Florenskij non interessa soltanto il relativo significato teologico (che troviamo analizzato nel saggio Sul nome di Dio), ma piu in generale lo considera come occasione a cui riferire la centralita del rapporto tra linguaggio e realta. La venerazione del nome e un esempio esplicito del­la necessita di concepire un legame sostanziale e non soltanto conven­zionale tra il nome e ció che viene nominato. Negare I'imeslavie significa quindi negare il valore ontologico del linguaggio, ridurre la parola a gu_ scio vuoto e convenzionale.

Anche qui ci troviamo di fronte a due prospettive antitetiche che hanno attraversato la storia della cultura occidentale. Da una parte colo­ro che hanno sostenuto un realismo linguistico e dall'altra coloro che sono invece caduti in un esplicito nominalismo. Per Florenskij e impor­tante tracciare una chiara linea di demarcazione tra le due posizioni per­ché spesso le si confonde e la confusione non aiuta a combattere l'er­rore. Eppure I'abisso che separa le due tesi e profondo. Lo si coglie ana­lizzando lo svuotamento che ha subito la parola nella societa attuale. «Che cos'e la paroIa agli occhi dei piu? Un senso enucIeato piu o meno felicemente; un concetto, plasmato in modo piu o meno preciso, tra­smesso a un altro mediante una traccia sonora e un segnale collegato esternamente al concetto»7. Su queste basi si infiltra un'abitudine, prima linguistica e poi globalmente culturale, a sottovalutare la parola. «Sono solo parole», si sente dire, come a significare che le parole non hanno

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nessun valore intrinseco, sono un nihilaudibile come dicevano i nomina­listi medioevali, un puro flatus vocis. Ma se si fa un passo indietro e ci si stacca anche per un solo momento dalla superficialita abituale con cui si guarda alla paroIa ci si rende conto che essa e qualcosa di piu della sem­plice articolazione di un suono. «Ció che si chiama buon senso e che in realta e la comune coscienza umana deve invitare ciascuno a prendere in considerazione i principi fondamentali della venerazione del nome»8.

Riportare la parola alla sua forza originaria significa allora cogliere la potenza creativa in essa contenuta e la capacita che ogni nome ha di condensare strati differenti di significato. Tale era la convinzione che animava i simbolisti e Florenskij stesso e convinto che «il rinnegamento del nome e il rinnegamento della possibilita del simbolo», perché signi­fica negare che diversi strati dell'essere possano entrare in relazione tra loro, che individuale e universale possano coappartenere alla parola senza separarsi e senza confondersi.

Anzi per sottolineare ulteriormente la capacita di mediazione sim­bolica della parola egli parla di «potenza magica» del nome. Esso eredita e traduce filosoficamente la visione del mondo magica, cioe non media­ta dalle astratte categorie scientifiche. All'interno di questo rapporto magico con il mondo, il nome e centrale in quanto spetta alla paroIa la funzione fondante di identificazione della realta. «Nella misura in cui il nome rappresenta il nodo di tutti gli incantesimi e di tutte le forze magi­co-teurgiche e comprensibile che la filosofia del nome sia la filosofia piu diffusa e risponda alle aspirazioni piu profonde dell'uomo. Anche una ftlosofia fine ed elaborata pone il nome come' il suo concetto base, co­me principio metafisico dell'essere e della conoscenza»9.

Ne e un esempio I'uso che si fa del nome nell'incantesimo o nel­l'esorcismo. Non esiste popolo primitivo che non abbia visto nella pa­rola e neI nome una reale possibilita di intervenire nel mondo, anche se in modo misterioso e occulto. Nelle parole dello sciamano il nome por­ta con sé la presenza reale di ció che viene pronunciato, fa essere ció che viene nominato. Certo, l'uomo contemporaneo, alla scuola dell'il­luminismo e del positivismo, non si lascia piu cosi facilmente suggestio­nare, ma non si puó negare che resti in lui una nostalgia per un rapporto diretto con il mondo, che non sia offuscato da una visione frammentata della realta. E in questo senso che va interpretato I'uso non casuale del termine magia. Magico e il rapporto che il linguaggio instaura con mon­do, la sua capacita di farsi tramite della spinta centrifuga del soggetto verso la realta e di condensare la sua volonta. Di questo si era gia accor­to uno dei primi interpreti di Florenskij, A. F. Losev che aveva mostrato

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come il termine magia non avesse un significato di basso profilo, ma fa­cesse riferimento alla tradizione coIta della magia rinascimentale e alla sua concezione olistica del mondo10. In questo senso piu propriamente la forza magica della parola ein reaIta un modo estremo per esprimere l'irriducibilita dell'energia della parola all'analisi razionalistica. La parola ein fondo la forma per eccellenza dell'esperienza spirituale e mistica del mondo: solo se la parola erealmente il ponte misterioso tra mondo e soggetto si puó pensare a un rapporto reale con l'essere delle cose e piu ancora, solo se si mantiene e si porta agli estremi la capacita di media­zione simbolica del nome si puó cogliere che essa diventi mediazione del divino, concreta presenza dell'energia di Dio nel mondo.

4. L'antinomia della pamla

Per cogliere a pieno il valore magico della parola eperó necessario porre attenzione alla struttura interna dellinguaggio e al processo che porta l'uomo alla nominazione. In russo come in greco il termine slovo [parola] non indica soItanto la parola come singola parte del discorso, ma anche la frase, in quanto ogni singolo termine non eesistente in mo­do autonomo, «ma solo come nodo di quei processi che costituiscono il discorso», per cui ela parlata viva che fa la parola e non la solitudine del vocabolario.

Ora, in questo senso forte la parola estrutturata al suo interno da due elementi in rapporto antinomico: per un verso la lingua e un pro­dotto finito, ergon e per l'aItro einvece una inarrestabile attiviti energeia: «Ecco l'essenza dell'antinomia secando Humboldt: nella lingua tutto vive, tutto scorre, tutto si muove; ed effettivamente nella lingua soItan­to c'e l'origine istantanea, l'atto istantaneo dell'animo, l'atto singolo nel­la sua peculiariti e per di piu proprio nella sua realizzazione concreta. Per questo l'uomo ecreatore della lingua, divinamente libero nella sua creazione linguistica, completamente definito dalla sua vita spirituale, dal di dentro. Tale ela tesi, la costellazione di tesi dell'antinomia hum­boldtiana. Al contrario l'antitesi, o la costellazione di antitesi, parla del carattere monumentale della lingua. Le parole e le regale della loro combinazione sano fornite al singolo individuo dalla storia come qual­cosa di pronto e di assoluto. Noi possiamo far uso della lingua, ma non siamo affatto i suoi creatori»l1.

Secando Florenskij il merito di Humboldt e di ayer coIto l'intrinseco legame tra linguaggio evita, per cui la lingua non puó essere

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ridotta a una statica oggettivazione dello spirito umano, ma deve conce­pirsi come un «equilibrio mobile»12 tra energeia ed ergon, tra creativita e monumentalita. Per il filosofo tedesco la lingua, a cui Florenskij si riferi­sce come modello, e «una fresca e palpitante creazione dello spirito»; l'uomo eun libero creatore della lingua, ma essa nello stesso tempo e anche patrimonio di un popolo, tanto che, isolando uno dei poli della tensione, si decreterebbe la morte dellinguaggio. Se ci si limita al fattore creativo, individuale, originale della lingua si cade nell'incomunicabilita: eil caso, secando Florenskij, della poesia futurista dove la parola si svuo­ta di senso e diventa pura inarticolazione, perdendosi in suoni naturali come rumori, battiti, sibili, bisbigli e grida. Se si assolutizza il momento oggettivo si rischia di considerare la lingua come un oggetto marta e ci si adopera alla sua fredda analisi negli stantii laboratori dei positivisti.

Occorre allora affermare che la parola ecome un ponte che mette in comunicazione l'energia interiore (energeia) con il deposito di signifi­cati contenuto nel termine che viene usato (ergon). E in modo ancora piu radicale distrugge la barriera che la filosofia moderna ha eretto tra sog­getto e oggetto. Se si riconosce a fondo questa capaciti mediativa della parola si deve riconoscere che l'uomo non eil soggetto dellinguaggio. Nella parola eil cosmo stesso a parlare, o piu correttamente el'umaniti stessa a esprimersi: il singolo parlante esoltanto uno strumento di que­sto linguaggio universale che cerca sfogo nell'átto della denominazione.

Si giunge casi a quella che ela tesi centrale di tutta la filosofia del nome comune a Florenskij e ad aItri filosofi russi di inizio secolo come S. N. Bulgakov e A. Losev. L'uomo nonpossiede la parola come un suo tesoro, ma la trova come un dono. Il suo compito ecoltivarla, portarla a maturazione, incrementando attraverso la propria energia il deposito da sempre esistente nei termini. AlIara si riconosce quanto afferma Bulga­kov: «Si eacceso il senso e la parola enata, ecco tutto... Le parole nasco­no, non egiusto dire che vengono utilizzate, nascono prima di questa o quella utilizzazione, etutta qui la faccenda»13.

1 P. A. Florenslcij, Lo spazio e i/ tempo nell'arte, trad. it., Adelphi, Milano 1995. 2 Le diverse fasi dell'istruttoria di Florenskij sono reperibili in traduzione italiana

nell'opera di V. Sentalinslcij, 1manoscritti non bmciano. G/i archilJi /ettfran delKGB, Garzanti, Milano 1994, pp. 171-206.

J P. A. Florenslcij, Non dimm/icatemi (a cura di N. Valentini e L. Zak), Mondadori, Mi­lano 2000.

4 Citato in P. Florenskij, Eine Chronik seines Lebens, Ostfildern 1995, pp. 38-39. 5 Per ulteriori elementi biografici si veda G. Lingua, O/tre I'illusione de/I'Occidente. P. A.

l'Iorenskij e ifondamenti della ji/osofia mssa, Zamorani, Torino 1999, pp. 35-54

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6 P. A Florenskij, Abratnaja Perspektiva, Moskva 1919 (trad. it. L1 prospettiva rovesciata,

Roma 1990, p. 90. 7 P. A. Florenskij, ¡¡ valore magico della parola, ¡nfra. BP. A. Florenskij, L1 venera:¡jone del nome come presupposto jilosofico, infra. 9 P. A. Florenskij, Obscéce1oveceskie komi idealizma, in «Bogoslovskij vestnilo>, 4 (1909),

p.49. 10 P. A. Florenskij, Antinomijajovka, in U vodorazde1ov mysli, Moskva 1990, p. 155. 11 Cfr. Ju. Rostvcev, P. V. Florenskij (a cura), Pave1 Fforenskijpo vospominanijam A. Lo·

seva, in "Kontekst", (1990), pp. 6-24. 12 P. A. Florenskij, Termin, in U vodorazde1ov mysli, p. 201. 13 S. N. Bulgakov, Filosofija imeni, y mca Press, Paris 1953, p. 15.

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18 / Pavel A. Florenski¡

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Mnimasti vgeometri (Cli immaginari ingeometria) , Moskva 1922.

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La venerazione del nome come presupposto fl1osofico

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La parola eenergia umana: sia quella del genere umano, sia quella della singola persona, el'energia dell'umanid che si rivela attraverso la persona. Ma, in senso proprio, non possiamo con­siderare questa energia come oggetto della parola, o come suo con­tenuto: nella sua attivita conoscitiva la parola guida lo spirito al di Id dei confini della soggettivid e lo mette in contatto con il mon­do che si trova oltre i nostri stati psichici. Grazie alia sua natura psico-fisiologica la parola nel mondo non svanisce come fumo, ma piuttosto ci mette faccia a faccia con la reald e puó pertanto, toccando il suo oggetto, essere riferita allo stesso modo sia alia rivelazione dell'oggetto in noi, sia alla nostra rive1azione in lui e di fronte a lui. Siamo cosi giunti a una convinzione che non ese­parabile dal pensare onni-umano [obsceceloveceskqj mysl¡]: l'idea che vi sia un nesso tra l'essenza e la sua energia. Questa dottrina eassodata per ogni pensiero vivo; in ogni tempo e presso tutti i popoli e stata alla base della concezione del mondo. Elaborata filosoficamente dall'antico idealismo e poi dal neoplatonismo, e stata quindi tramandata al realismo medio'evale e nel XIV secolo approfondita dalla Cruesa Orientale, precisamente in relazione alle dispute sulla luce taborical. In seguito ha nutri to W. Goethe; era presente, seppure in modo non del tutto chiaro, in E. Mach, e infine e ricomparsa ai nos tri giorni nelle dispute del monte Athos intorno al nome di Dio, come vibrante protesta contro l'illusionismo e il soggettivismo teologico. La genealogia storica delle idee che innervano la dottrina dell'essenza e delle energie potrebbe essere ampiamente sviluppata seguendone le radici che giungono nel passato profondo, stabilendo quali sono gli anelli intermedi e seguendone le ampie ramificazioni; e aliora difficile dire quali sistemi di pensiero non sarebbero da trattare sotto un tale punto di vista. Ogni evento del pensiero osi ebasa­to su un presupposto onni-umano 00 chiameremo, dopo l'ul­tima grande disputa, «venerazione del nome» [imeslavie]) o lo ha contrastato, rifiutandone il principio fondamentale. Per il mo­mento non enecessario addentrarsi nella genealogia della vene­razione del nome, tanto piu che su alcuni dei suoi momenti ci

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soffermeremo piu avanti. Un'osservazione eperó necessaria: il significato della tendenza alla venerazione del nome per il pen­siero non elimitato all'una o all'altra specifica questione della fi­losofia o della teologia, ma abbraccia la generalevisione del mon­do, addirittura tutte le visioni del mondo. Nel suo rapporto con il mondo ognuno deve decidersi in via di principio per o contro la venerazione del nome. La particolare definizione di tale presup­posta viene scelta dall'autore in relazione ai suoi interessi bio­grafici, in parte a causa della dura controversia apertasi sul ver­sante teologico e non su altri versanti, cosa che fra l'aItro edel tutto naturale. Non occorre tuttavia essere teologi, né filosofi per riconoscere il significato generale della dottrina da discutere. Ció che si chiama buon senso, e che in realti e la coscienza on­ni-umana [vseeeloveeeskoe soznanie], deve invitare ciascuno a pren­dere in considerazione i principi fondamentali della venerazione del nome. E veramente: ecco, io vivo nel mondo, nel vasto mon­do e con il mondo, con le persone, con gli animali, con le piante, con gli elementi e con le stelle. Come non potrei pormi la do­manda se davvero la realti ecasi, o invece eun'illusione, un so­gno necessario, «ben fondato», secando quanto dice Leibniz, «oggettivo», secando quanto dice Kant. La coscienza onni-uma­na mi conferma che appare (kaiet!Ja) ció che enella reald; la mag­gior parte dei rappresentanti della filosofia e della scienza cerca­no con ogni sforzo di smascherare questo «appare» come con­cetto vuoto e ingannevole: sembra ció che non e. Per me non e assolutamente indifferente il fatto di pensare e sentire con il ge­nere umano oppure con chi eincline alla negazione, vale a dire all'eresia dall'onni-umano, al pensiero di cerchie isolate, di circoli e di singoli. Per me non eaffatto indifferente se respiro a pieni polmoni nel basca o in campagna oppure se cerco, in una stanza piena di polvere, di prendere disperatamente una boccata d'aria. Attraverso il profondo ancoraggio della mia coscienza, la mia vi­ta viene determinata in modo del tutto diverso proprio in ció che per me rappresenta la cosa piu importante.

Quel che noi definiamo venerazione del nome salda forte­mente il nostro destino, e la responsabiliti spirituale per la vita, con la coscienza cosmica dell'umanid. La venerazione del nome

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professa una verid originariamente insita nell'umaniti e da essa inseparabile, perché soltanto la verid conferisce all'uomo digni­ta. Coito o ignorante, istruito o selvaggio, moderno o antico, l'uomo e stato sempre e dovunque uomo, cioe al centro della sua essenza spirituale ha sempre avuto il sentimento vivo della veri­ti, e in questo senso tutti sano stati sempre uguali in quanto uo­mini. Il compito della venerazione dell'uomo, in quanto atto in­tellettuale creativo, edi dichiarare il sentire ancestrale dell'uma­niti in modo strutturato, senza il quale l'uomo non e uomo, ed esporre casi le condizioni ontologiche, gnoseologiche e psi­co-fisiologiche che sano all'origine del sentire universalmente

umano e del sentire personale. La veneraiJone del nome voleva e vuole scmpre procedere in

maniera analitica e fissare ció che emerge dall'analisi. Fin da principio mette in canto la possibilid di un'antinomia, e ricono­sce che non potra mai spiegare e unire tutto in modo unitario. Né riconosce il proprio compito fondamentale nella spiegazio­ne e nell'unione, quanto piuttosto nel fissare posizioni della co­scienza, rinunciare alle quali significherebbe distruggere la co­scienza cosmica dell'umanid e cadere nell'eresia. Il modo di pen­sare opposto (chiamiamolo sempre partendo dalla disputa di Athos, la lotta al nome [imeboicestvom]) non riconosce da subito il nesso originario di verid e genere umano, non vede fin dall'inizio la dignid nell'uomo, per cui non le resta altro che nu­trire la convinzíone che, se anche l'umanid in generale non pos­siede la verid, questa puó venir costruita o inventata da singoli gruppi o da singoli ricercatori. Poiché peró e impossibile realiz­zare un edificio senza avere un terreno sotto di sé, in quanto si sospetta del terreno onni-umano, o addirittura lo si rifiuta, il ri­cercatore che combatte il nome [imeborceskomy issledovatelJu] deve attenersi necessariamente alla coscienza del gruppo o alla pro­pria. Questo atteggiamento, che sostituísce ció che eonni-uma­no con ció che e dell'uomo singolo, ovvero casuale, el'essenza dell'eresia. Eppure la coscienza eretica della lotta al nome - ere­tica anche se l'ha fatta propria il catechismo - deve scopríre i propri presupposti, e casi i motivi interni della seíssione dell'umanid inevítabilmente resteranno presi nelle reti dei ricer­

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catori. Ma visto che proprio questi motivi rappresentano il parti­colare, ció che e positivamente particolare, ció che distingue il gruppo nominato dall'umanid, e visto che di conseguenza pro­prio in essi sano da ricercare le forze spirituali che ispirano tale gruppo, aliara proprio questi motivi diventano i centri di coagu­lo dell'intero sistema. Tutto dev'essere spiegato a partire da essi, tutto dev'esser chiuso in un insieme unitario intorno a essi, e ció che non puó essere spiegato o unito viene rifiutato soltanto in base alla sua inconciliabilid con i presupposti di eresia, viene esclusa dal sistema e bandito per sempre dalla coscienza.

In questo modo l'autodefinizione fondamentale di cui qui si parla, fa anche opera di pulizia della coscienza. O la coscienza on­ni-umana viene purificata da quella del gruppo, del circolo e del singolo, o, viceversa, lo e dagli elementi che in esso residuano di ció che e onni-umano.

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11 sentimento fondamentale dell'umaniti - «io vivo nel mondo e con il mondo» - sottintende l'esistere, il vera esistere nella forma della realta: sia la mia, quella dell'umanita, sia quella che e al difuori di me, che esiste senza l'umanita o, piu precisa­mente, indipendentemente dalla sua coscienza. In questa dupli­cid dell'essere c'e tuttavia contemporaneamente, per la coscien­za dell'umaniti, anche l'unione, o il superamento di tale duplici­ta come qualcosa di altrettanto vero. Chi conosce e ció che dev'essere conosciuto sano autenticamente uniti, in questa rela­zione, ma sano altrettanto autenticamente autonomi. Nell'atto della conoscenza il soggetto non puó essere separata dal suo og­getto: la conoscenza e contemporaneamente l'una e l'altra cosa insieme; piu precisamente, e conoscenza dell'oggetto attraverso il soggetto, una unid [edinstvo] in cui si puó distinguere l'uno dall'altro soltanto nell'astrazione, mentre attraverso tale unid. l'oggetto non viene distrutto nel soggetto, né il soggetto si dis­salve nell'oggetto della conoscenza che esiste al di fuori di esso. Unendosi, essi non si fagocitano a vicenda, sebbene, pur mante-

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nendo la loro autonomia, non rimangano neppure separati. La formula teologica «non mescolati e non separati», adottata nel concilio di Calcedonia, epienamente applicabile alla correlazio­ne gnoseologica di soggetto e oggetto, casi come e stata ed e tut­tora intesa dall'umanid. Si puó dire: ogni uomo, a meno che non gli vengano inculcati dalla filosofia accademica pensieri opposti, interpreta l'oggetto della conoscenza proprio in questo modo. Per ogni persona semplice, per ogni membro del genere umano e in­fatti una cosa scontata, forse la cosa piu scontata di tutte, il fatto che l'oggetto della conoscenza non e il concetto o l'idea che ne ha, proprio come egli stesso in quanto uomo non e una combi­nazione qualsiasi di realia del mondo estema, ma che la cono­scenza ela sua conoscenza, ed effettivamente si rivela a lui attra­verso di essa, e in essa il mondo esteriore e in generale la realta, senza che questa possa esaurirsi nell'atto conoscitivo.

Se l'umanita non rinuncia aquesta convinzione, e non puó rinunciarvi senza perdere il suo equilibrio spirituale e con ció tutti gli impulsi verso un'attivita culturale, alIara alla coscienza generalmente umana si lega anche il riconoscimento di una certa ambivalenza nel soggetto e nell'oggetto. L'essere- ha un lato inte­riore con cui e rivolto verso se stesso, nel suo non essere legato con tutto ció che non e, e ha un lato esteriore che e rivolto verso un altro essere. Sano due lati che non sano solo accostati, ma so­no originariamente una cosa sola, sano lo stesso identico essere, seppure con due direzioni differenti. L'uno dei lati serve all'au­toconferma dell'essere, l'altro alla sua rivelazione, al suo appari­re, al suo emergere, o qualunque nome si voglia dare aquesta vi­ta che lega un essere all'altro. Nell'antica terminologia questi due lati dell'essere vengono chiamati sostanza o essenza (ousía) e attivitd o energia (enérgeia). Accolta dal neoplatonismo, dagli scritti dei Pa­dri della Chiesa, dalla teologia tardo-medioevale della Chiesa orientale e in buona misura anche dalla scienza contemporanea (penso soprattutto al termine energia nell'uso che ne fanno la fisi­ca e la fl1osofia della natura), questa terminologia sembra corri­spondere meglio alle esigenze del pensiero filosofico. Ma viene usata spesso anche nellinguaggio quotidiano. Quando i pensa­tori medioevali dicono che ogni essere possiede la propria ener­

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gia e che soltanto il non-essere non la possiede, allora questo as­sioma ontologico epienamente valido anche per la comprensio­ne comune, perché ció significa che tutto quel che veramente e porta in sé vita e la rivela, testimonia la propria esistenza con la rivelazione della vita e la testimonia non solo agli altri, ma anche a se stesso. Questa rivelazione della vita eanche l'energia dell'es­senza.

Ma se ció evero, allora i singoli esseri, pur restando slegati nella loro essenza e non riducibili né dissolvibili uno nell'altro, possono tllttavia essere veramente uniti tra di loro attraverso le loro energie. Allora tale unione puó essere pensata non come una somma di attivita, come un contatto meccanico, bensi come un compenetrarsi delle energie, !Jnérgeia : non piu l'una e l'altra ener­gia separate, ma qua1cosa di nuovo. La corre1azione dei vari esseri eallora pensata non meccanicamente, ma organicamente, o, an­cor piu profondamente, ontologicamente, come un connubio di conoscenza dal quale nasce un terzo, un figlio, e questo figlio, che partecipa dell'essere materno e dell'essere paterno, esicuramente piu della somma dell'energia ontologica dell'autorive1azione dei due genitori: ela conoscenza, il frutto della comunanza dello spi­rito che conosce e de1 mondo conosciuto. Unendo spirito e mon­do in unid vera e non soltanto apparente, questo frutto tllttavia non porta al fatto che uno o entrambi i genitori vengano annullati; uniti e arricchiti l'uno dall'altro, continuano la loro esistenza co­me centri dell'essere.

La rela~one dei singoli esseri nella loro corre1azione e rive1a­zione reciproca rappresenta cosi essa stessa una reald che, pur non separandosi dai centri che attraverso di essa sono collegati, non ea questi riconducibile. Essa esinergia e coazione dei singoli esseri e necessariamente rivela attraverso se stessa sia l'uno, sia l'altro essere. Non eidentica né all'uno, né all'altro, in quanto rap­presenta rispetto a ciascuno di essi qualcosa di nuovo, ma essa e ognuno di loro nella misura in cui attraverso di essa viene rive1ato l'essere corrispondente. L'essere al di fuori di essa, che non ne ac­coglie l'energia, rimane non rive1ato, non manifesto, e di conse­guenza non riconosciuto. Una qualsivoglia energia dell'essere as­similata puó essere soltanto l'energia dell'essere che l'ha realmen-

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te assimilata. Se il flusso di energia non incontra un ambiente si­rnile a una corrente che gli viene incontro, ció significa che l'es­sere ricevente non si puó riconoscere come tale, non mostra segni di un'attivita ricevente: allora non esiste in re1azione all'essere da ricevere, ecome inesistente, e il flusso di energia passa attraverso tale essere, passa via senza toccarlo, senza accorgersene, senza es­serne ricevuto o notato.

Allo stesso modo le onde elettromagnetiche evitano circui­ti oscillanti a loro inadatti, e la correlazione elettromagnetica, l'unione con un altro circuito oscillante, non viene stabilita. Per stabilire l'unione bisogna che ci sia un circuito oscillante che agi­sce come eco e che aspira l'energia che entra. Allora questa azio­ne non sara soltanto la sua azione, in quanto le oscillazioni di ri­sonanza non possono essere separate dalle azioni che la provo­cano. La risonanza non el'azione dell'una o dell'altra serie, ma la co-azione delle serie, e il risonante non fa vibrare soltanto la sua energia, o l'energia dell'oscillante, ma quella di entrambi: esiner­gia. La sua esistenza fa si che due serie, seppure separate nello spazio, diventino una sola. L'oscillante si rivela all'essere del ri­sonante per mezzo delle oscillazioni di risonanza e, osservando queste ultime, possiamo a buon diritto considerare l'oscillante come reale. E non solo a buon diritto, ma ne siamo costretti, po­iché sotto il profilo dell'esistenza elettromagnetica l'essere dell'oscillante non ci e, né puó esserci noto in altro modo che at­traverso l'unione stabilita dalla risonanza tra i due. Perció abbia­mo il diritto e siamo obbligati, nella misura in cuí la nostra perce­zione e limitata da onde elettromagnetiche di una determinata lunghezza, a interpretare le oscillazioni di risonanza ne1 nostro apparato percettivo come una sequenza vibrante, e non possia­mo parlare di risonanza, in quanto questa e soltanto un mezzo, ma della sequenza della serie, quale vera oggetto della conoscen­za e1ettromagnetica. Concepita cosi, risonanza significa sinergia che porta in sé gli esseri che l'hanno prodotta. La risonanza epiu di essi stessi: e contemporaneamente la causa che ha prodotto il loro essere. E dato che riteniamo ció la cosa piu importante, e piu giusto mettere al primo posto l'essere che si rivela attraverso la sua energia, e al secondo l'energia che si rivela, ma che riceve il

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suo valore e la sua esistenza dal primo. E con questo siamo giun­ti al concetto di simbolo.

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Una realta che epiu di se stessa. Questa e la defInizione fonda­mentale del simbolo. Esso eun 'entita che manifesta qualcosa che esso stesso non e~ che epiugrande e chepero si rivela attraverso questo simbolo nella sua essenza. Analizziamo questa defInizione formale: il simbolo euna re­alta la cui energia cresciuta insieme o, meglio, confluita [sratvorennq;a] insie­me con un altro essere piupreiJoso rispetto a lui, contiene in sé quest'ultimo. Portando peró in sé l'essere che nella relazione esaminata e piu

. prezioso, il simbolo, nonostante che possieda una propria deno­minazione, a buon diritto puó essere defInito con la denomina­zione di quell'essere di valore maggiore; anzi, dev'essere proprio chiamato casi.

Per circoscrivere la questione e renderla nello stesso tempo piu semplice, delle varie unioni [so/'aze¡] di essere analizzeremo sol­tanto quelle gnoseologiche; le relazioni causali, e le altre che ven­gano solitamente osservate dall'esterno, involontariamente assu­mono nella nostra comprensione il carattere di concatenazioni esteriori, di impulsi esterni del tipo di causaliti meccaniche. Natu­ralmente questo genere di interpretazione non e fondato, ma e comprensibile, considerata la concezione psicologica del mondo oggi dominante. Eutile pertanto che ci occupiamo delle relazioni che in questa sede ci interessano prioritariamente, dove forme meccaniche sano notoriamente inammissibili, e quello dei rap­porti tra i singoli esseri e un carattere interiore. Stiamo parlando delle relazioni gnoseologiche. Di queste fa parte essenzialmente la sfera spirituale, ovvero ció che non e meccanico.

Non ne deriva, peraltro, la falsa conclusione che le relazioni gnoseologiche non sottostiano a categorie ontologiche. La natura trascendentale delle forme della ragione non ci esime dalla que­stione della valutazione ontologica della ragione: qualunque cosa rappresentino i punti di vista, le categorie e gli altri elementi aprio­ristici della ragione secando la loro funzione gnoseologica, e qua-

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lunque risposta venga data anche aquesta domanda in prospetti­va gnoseologica, l'altra questione, ovvero quella della sua natura e del suo essere in sé al di fuori del suo rapporto con la conoscenza, al di fuori della sua posizione nella struttura del sapere, non viene per questo in alcun modo risolta, ma anzi e ti che viene verarnente posta. Ció riguarda le forme della ragione. Ma vale anche in gene­rale: gli atti conoscitivi che hanno signifIcato per la conoscenza sano come tali, ontologicamente, non un nulla, ma una realta, e in questo senso se ne puó parlare come di incarnazioni in un carpo di parole. Della natura magica della conoscenza, della magia della parola, abbiamo gii detto; ma qui non si tratta della conoscenza in sé, non e in questione la parola in senso ontologico e cosmico, ma la conoscenza rispetto alla sua funzione di base.

L'unione causale e la rivelazione nell'essere di un altro essere da esso diverso. Dal di fuori, peró, non osserviamo la rivelazione in sé, ma una certa variaiJone dell'essere; perció giungiamo all'es­sere che si rivela attraverso l'effetto causante non direttarnente; attraverso il flusso della sua energia che si rivela si nello spazio, ma non e qualcosa di separata dal suo centro, bensi indirettamen­te, sulla scorta di conclusioni, cioe attraverso il tentativo di stabili­re un'unione giipropria, gnoseologica, con la fonte. In questo caso puó succedere che noi non entriamo in contatto con il centrO ve­ro e proprio. Questo e il rapporto causale, dove io non percepisco l'essere, ma un rapporto di due esseri.

Viceversa, nel caso di un'unione gnoseologica non c'e una correlazione tra un essere esistente al di fuori di me con un altro essere, ma io stesso percepisco direttamente con la mia energia l'essere da riconoscere nella sua rivelazione per me e in me. Come detto, manifestandosi nella sua essenza, si unisce all'energia della mia percezione e pone casi la base per tutto l'ulteriore processo conoscitivo. Di conseguenza l'ulteriore processo conoscitivo, se­cando il suo contenuto gnoseologico, non e piu della sinergia pre­sente in esso dall'inizio, non guadagna nulla di nuovo, ma tende a conservare, per colui che conosce, la rivelazione sinergetica della veriti, e fa si che nella coscienza continuamente si rinnovi da sé ció che si e rivelato una volta in modo inatteso, casi che le rinno­vate rivelazioni della veriti perdano il meno possibile della piena

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validiti della rivelazione originaria. Da organo della costruzione spontanea dell'unione tra colui che conosce e ció che econosciu­to funge la parala, e in particolare il nome, ovvera il suo equivalen­te, che viene usato come un nome: la metonimia.

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In senso piu ampio, per parala si deve intendere ogni auto­noma manifestazione della nostra essenza verso l'esterno, nella misura in cui noi consideriamo come meta di una tale manifesta­zione non le energie calcolabili esternamente come energie fisi­che, occulte, e non solo, ma il senso che attraverso di esse entra nel mondo trans-oggettivo. D'altrande, non e la prima volta che vie­ne esteso in tal senso il concetto di parala: anche nella linguistica si distinguono diversi tipi di linguaggio - quello dei gesti, dei se­gni, delle note musicali ecc. -, in considerazione del fatto che scopo di tutte queste attiviti e di manifestare un senso. In base a questo fine comune, attiviti evidentemente malta differenti ven­gano tuttavia unite sotto il nome comune di lingua.

Sarebbe peró un errare vederne l'appartenenza soltanto nel fine, tracciando dei fossati tra i differenti mezif attraverso i quali tale fine viene raggiunto. L'organismo dotato di ragione, quale insieme organico che racchiude una grande moltepliciti, reagi­sce all'energia della realti da riconoscere nella sua interezza, e non soltanto con una delle sue funzioni. Tale risonanza non si cela in una qualche dimensione periferica, ma e precisamente l'energia dell'ente che conosce; e di conseguenza anche l'ondata di risposta pravocata dalla risonanza scuote l'organismo fin nel­le sue radici, e solo ben piu addentra alla periferia 1'onda si sfran­gia nelle singole attiviti. Per quanto attivamente indirizzata a una determinata funzione dell'organismo, la sinergia conoscente si estende tuttavia a tutte le funzioni, seppure in gradi differenti: essa scorre prevalentemente in un unico flusso, e tuttavia colma, anche se in misura diversa, l'intera sistema dei canali. La parala viene pronunciata dall'intero organismo, anche se vengono ac­centuati specificamente questo o quellato dell'autorivelazione

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del soggetto della conoscenza; in ogni tipo di linguagg10 sano contenuti in germe tutti gli altri. Casi parlando, gesticoliamo, eioe usiamo illinguaggio dei movimenti corporei, tendiamo a di­segnare ideogrammi: e illinguaggio dei segni, o delle note musi­cali. Gia un'analisi superficiale, psicofisica, delle nostre reazioni farebbe registrare l'esistenza di questo o di molti altri atti incan­sci che accompagnano ogni azione cosciente. L'attiviti del dise­gnare viene inconsciamente accompagnata da una concentra­zione silenziosa, e talvolta, in caso di forte concentrazione, espressa da segni e suoni ad alta voce. In altre parale, in fondo esiste solo una lingua - la lingua dell'autorivelazione attiva attraverso l'organismo nella sua totalitd - ed esiste un unico tipo di parale, quelle che sano articolate dal co'1o intero. Ma casi come nel di­scorso si puó piu o meno accentuare il momento musicale o mi­mico o gestuale o quello che si esprime nei segni, casi anche nel­la lingua, intendendo la parala nel senso piu ampio, possono es­sere accentuate in maniera differente queste o quelle sfumature che sano attribuite prevalentemente a un'azione, come anche i suoni armonici che accompagnano tutte le altre azioni. Ma, insi­stiamo, questa differenza di accentuazione non impedisce ai di­versi tipi di lingua di essere una lingua, semplicemente lingua, lingua dell'organismo interiore. Ogni parala viene pranunciata da tutti i nostri organi, dall'intera carpo, sebbene risulti domi­nante l'attivita deH'uno o dell'altra.

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Ma fra tutte le attiviti ce n'e una che segue in modo piu pre­ciso e col minar sforzo la nostra volanta cosciente, esiste un or­gano che e piu adatto alla ripraduzione cosciente del senso desi­derata; ma che, soprattutto, esempre disposto a servire tutte le al­tre parti del carpo. Tale attiviti e illinguaggio -la parala artico­lata, e tale organo e l'organo della voceo Per certi aspetti potreb­bera avere illora pregio altre attiviti, altri organi: per esprimere determinate sfumature si adatta meglio illinguaggio dei gesti, ed e ben noto che

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non occorre sprecare parole dove basta che parli la forza2

e il canto talvolta ci fa sperimentare piu profondamente il trasporto dell'anima di quanto non possa un monologo, per quanto elegante. Vi sono infine casi in cui questa o quell'attivita possono essere la via piu breve e, quindi, piu facile per scaricare l'energia interna: per esempio, illinguaggio dei segni sembra es­sere piu efficace nelle operazioni logiche, e praticamente insosti­tuibile nella matematica. Ma nell'orchestra delle diverse funzio­ni dell'organismo, tutti questi linguaggi hanno illoro ruolo spe­cifico, e sono perció utilizzabili solo in modo limitato, mentre il linguaggio della parola articolata e uno mezzo universale, il pia­noforte a coda tra gli strumenti dello spirito, versatile come nes­sun altro e piu adatto a corrispondere alle esigenze piu svariate.

Puó darsi che al momento non ci sia possibile chiarire le sin­gole cause che stanno all'origine di ció. Ma evidentemente l'or­gano della voce e collegato in una maniera particolarmente versa­tile con i centri nella cui attivita coordinata si rivela il processo si­nergetico del nostro rapporto spirituale con la reald. E il caso di considerare il parallelismo omotipico del sistema di respirazione della voce e del sistema coronario e genitale, e precisamente l'omotipia degli organi della voce e degli organi genitali. La loro centralita nell'organismo e la loro relazione essenziale con tutte le funzioni e ben nota, cosi che cambiamenti in quest'ambito porta­no con sé cambiamenti analoghi nel sistema vocale. Non scendia­mo nei particolari anatomo-fisiologici, ma dobbiamo tuttavia confermare che soltanto per mezzo della parola prodotta dall'or­gano vocale si esplica il processo conoscitivo, e diviene oggettivo ció che prima restava nel soggettivo e non si manifestava neppure davanti a noi stessi come verid conosciuta. Al contrario, la parola pronunciata traccia il bilancio del nostro desiderio interiore di ve­rita e ci mette davanti agli occhi l'impulso (Sehnsuch~ di una cono­scenza quale meta raggiunta e valore acquisito dalla coscienza. E non importa tanto, in tal senso, se questa parola viene pronuncia­ta in silenzio, mormorata o urlata, per quanto certamente il volu­me della voce, il tuonare della verid annunciata nella sua oggetti-

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vita, conferisce fermezza e affidabilita conoscitiva. L'atto conoscitivo sinergetico puó svilupparsi molto lenta­

mente, tormentoso, come qualcosa di iniziato e non concluso. Tale processo, tuttavia, non e ancora il contatto cosciente con la realti da conoscere, non e la conoscenza acquisita, ma soltanto la preparazione a essa. Due energie, quella della realta e quella del conoscente, sono prossime l'una all'altra, e forse si mescolano, roa tale mescolanza fluttuante non rappresenta ancora un'unita e suscita, a seguito della lotta inconciliata dei suoi elementi nel no­stro intero organismo, un forte desiderio di equilibrio. La tensio­ne cresce, e sempre piu forte si percepisce il contrasto tra colui che conosce e ció che dev'essere conosciuto. E come prima del teroporale: la parola e illampo che straccia il cielo da est a ovest e rivela il senso incarnato; nella parola vengono compensate e unite le energie accumulate. La parola e un lampo, non e l'una o l'altra energia, roa un nuovo fenomeno energetico, costituito da due unita, una nuova realta nel mondo: un canale di collegamento tra ció che finora era separato. La geometria insegna che per quanto breve sia la distanza tra due punti nello spazio, puó sempre essere stabilito un collegamento in cui la distanza equivale a zero. La li­nea di tale collegamento e il cosiddetto isotopo. Stabilendo un rapporto isotopico tra due punti, questi vengono direttamente in contatto l'uno con l'altro. Il pronunciare la parola puó essere cosi paragonato a un contatto del conoscente con ció che dev'essere conosciuto nell'isotopo: seppure separati uno dall'altro nello spa­zio, si rivelano uniti. La parola e un isotopo ontologico.

Come un nuovo evento nel mondo che racchiude ció che e diviso, la parola e né l'uno né l'altro di ció che estato unito; e la parola. Ma non si puó dire «e se stessa in sé». Senza i poli da colle­gare essa non eaffatto. Come un nuovo fenomeno, la parola di­pende completamente dai suoi sostegni, come il ponte che unisce due rive non ené l'una né l'altra riva e muore nella sua qualita di ponte se perde uno dd punti d'appoggio. Diviene cosi compren­sibile anche l'affermazione opposta, che cioe la parola e il sogget­to conoscente e l'oggetto da conoscere, le cui energie unite la ten­gono in essere. Al viandante che si trova su una delle due sponde, non si estende forse il ponte all'altra sponda cosicché essa giunga

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fino a lui? Esso e la propaggine dell'altra sponda attraverso cui e possibile raggiungere il non raggiungibile da sé, e lo saluta sulla sua soglia. Se il viandante fosse gia sull'altra sponda il ponte rap­presenterebbe la sponda opposta. Cosi anche la parola e ponte tra lo e non-lo.

Considerata dal punto di vista della sponda del non-lo, cioe dal punto di vista del cosmo, la parola e l'attivid del soggetto; ma ali'interno dell'attivid e il soggetto stesso che penetra nel mondo. Ascoltando la parola diciamo, e dobbiamo dire, se non abbiamo particolari motivi di concentrarci sulle facold dell'autorivelazione del soggetto: «Ecco, questa e la ragione che conosce, questa e la persona che ragiona». E dicendoci questo ci addentriamo, attra­verso la parola, nell'energia dell'essenza di questa persona. Pro­prio cosi, dalle sue parole, noi conosciamo una persona, un essere ragionevole in generale, poiché siamo convinti che le sue parole riproducono direttamente l'attivid del suo sé, e che attraverso di esse si rivela la sua essenza nascosta: siamo convinti che la parola e il parlante stesso.

D'altro canto, se consideriamo la parola dalla sponda dell'Io, vale a dire la nostra parola dal punto di vista psicologico e gnoseologico, dobbiamo dire: «Questa e la reald da conoscere, questo e l'oggetto da conoscere», e ció solamente nella misura in cui non prendiamo specificamente in considerazione i mezzi espressivi, come nel caso in cui osserviamo un quadro dal punto di vista estetico non conta la valutazione della bond della tela o dello stato di conservazione della cornice. Quando ci siamo resi conto che la parola e l'oggetto stesso, la reald da conoscere, al­lora penetriamo attraverso la parola nell'energia della sua essen­za, persuasi di riconoscervi l'essenza rivelata attraverso la sua energia. La parola e la reald stessa che viene pronunciata dalla parola, non qualcosa di doppio, come una copia giustapposta, ma la realta nella sua autenticid, nella sua identid numerica con sé stessa. Nella parola riconosciamo la reald e la parola e la real­d stessa, perció vale per essa, e in sommo grado, la formula del simbolo: essa e piu di se stessa. Piu precisamente, e piu in un du­plice senso, essendo la parola nello stesso tempo soggetto e og­getto della conoscenza. Se ora consideriamo il soggetto della co-

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noscenza (nella misura in cui abbiamo sempre con noi il sogget­to della conoscenza, ovvero noi stessi) come essenza della paro­la-simbolo, allora vale per tutto ció che s'e detto della parola la formula ontologica sopra illustrata del simbolo quale realü che porta con sé fusa l'energia di un'altra reald attraverso cui gli e dato anche questo altro essere.

7

Si e parlato sin qui della parola in generale. Ma una grande concentrazione spirituale che corrisponde a una condensazione di essere, un centro di molteplicid che si incrocia, un portatore di caratteristiche e di stati, nel linguaggio scolastico chiamato «so­stanza», esige una parola di densid maggiore che sia nello stesso tempo punto di appoggio di atti linguistici e punto di incrocio di una serie di attivita verbali. Tale centro di parole e il nome.

In quanto caratteristica comune di tutti i tipi di sostantivo, secondo Potebnja, vale l'asserzione che «esso e la denominazione grammaticale della sostanza e della cosa»3, quale complesso o to­talita di tutte le caratteristiche del sostantivo.

La relazione del conoscente con la sostanza da conoscere esige anche dalla parola una particolare condensazione: questa e il nome. Ma tra le sostanze, quella che e considerata un centro parti­colarmente importante all'interno delle determinazioni dell'esse­re e dei rapporti di vita, attraverso cui le e data nel mondo una in­dividualid, una persona irripetibile, esige anche un nome unico, il nome di persona.

La nostra conoscenza della reald di solito non intende la real­ta stessa, ma si serve di essa per un altro scopo. In tale rapporto tat­tico, pragmatico, con l'oggetto della conoscenza, questo non ei sembra né prezioso, né attraente: in fondo sono soltanto certe ca­ratteristiche, certi nessi con altri contenuti di essenza che ci interes­sano in esso. L'oggetto stesso appare nella nostra coscienza e nel nostro discorso nella misura in cui non vi si puó rinunciare. Se l'oggetto viene soltanto tollerato, aliora e assolutamente naturale che noi non vediamo alcun motivo di accertarci spiritualmente di

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tutte le sue energie, di tutte le sue caratteristiche e re1azioni, visto che solo nella loro pienezza si rive1a la veriti. Se noi invece miriamo solo a una parte di tale rivelazione, e non alla rivelazione dell'essenza, ma a una sorta di processo, a materiale per detertrÚnati scopi estranei, allora ci sforziamo di travisare tutto il resto, anzi lo rimuoviamo espressamente dalla nostra coscienza. In questo modo nasce in noi una coscienza che accentua i lati di cui necessitiamo e dell'oggetto vero e proprio, le cui energie si ignorano, resta solo una pallida ombra. Tale attiviti conoscitiva e definita astrazione e il no­me ottenuto come risultato, un nome di genere, o nome astratto (anche qui uso il tertrÚne in un modo leggermente diverso rispetto a quello che ne fa la grammatica scolastica). Al nome di genere cor­risponde la categoria della sostanza: non di quella metafisica, ma di quella grarnmaticale, come giustamente ha notato Potebnja; natu­ralmente non bisogna confondere la sostanza grammaticale con quella metafisica: mentre la sostanza metafisica «e una cosa in sé sciolta da tutte le sue caratteristiche» (cioe e essenza - P. F.), quel­la grammaticale «e la totaliti dei segni fpriznakov] che sono identici con questo (segno - P. F.), con ció che e dato etimologicamente nel sostantivo»4. Noi pensiamo cioe l'oggetto defmito come so­stantivo nel modo in cui pensiamo la sostanza metafisica, ovvero avvolto nella categoria della sostanzialiti, e non direttamente come sostanza. Esso viene concepito come energía dell'essenza, non co­me l'essenza in sé. Ma l'essenza di tale energía viene al tempo stesso pensata trasversalmente nel nome di genere, analogamente a ció che si vede trasversalmente. 11 pensiero scientifico e totalmente edi­ficato sui nomi di genere, si occupa di singoli generi, di relazioni e di caratteristiche, ma si comporta con indifferenza nei confronti della realti, anzi vede in essa un ostacolo alla costruzione dei suoi sche­mi. 11 pensiero scientifico «cerca il suo proprio».

Cosi si comporta il conoscente quando ció che e da conosce­re non e il suo amore, ma il suo utile.

Per quanto ció spesso avvenga, nella vita non ne consegue l'impossibiliti dell'amore. Esiste anche l'amore verso la realti da conoscere. Esiste la conoscenza simpatetica, la dedizione amore­vole a ció che e da conoscere, se e questo stesso ad attrarre il co­noscente a sé. Come una stella fissa guida lo sguardo del ricerca-

La veneraziane del name / 37

tore, e con ciascuno dei suoi raggi tende a penetrare in ció che de­ve conoscere, l'intera pienezza dell'autorivelazione dell'essenza da conoscere alimenta lo spirito conoscente, e questo si sforza di percepire l'essenza nella sua forma individuale, dove nel cerchio de1 mtto ogni cosa necessita di una relazione reciproc'l. per la qua­le ogni cosa spieghi l'altra. Questa conoscenza concreta non e un infinito e casuale accumulare singole caratteristiche nel cui vortice viene attirata la ragione: questa, al contrario, tende a cC)ntrapporre alla frammentazione della conoscenza astratta l'uniti, la compat­tezza e l'interezza dell'oggetto da conoscere quale essenza parti­colare; tende a contrapporre alla linea infinita la sfera, al segno la persona. Cosi nasce il nome di persona.

Rispetto aquello comune, il nome di persona puó esserne distinto soltanto quantitativamente; puó essere deseritto come principalmente opposto, ma soltanto in senso quantitativo. Un nome si distingue dall'altro soltanto nella misura in cui ogni nome di persona e in base alle sue caratteristiche linguistiche lo stesso nome comune. Se scritto con la lettera minuscola ogni nome pro­prio diventa nome comune, se non nella nostra, in un'altra lingua. Linguisticamente Vera e vera ~a fede] , Rosa e rosa, Isaak, o meglio Icgak e icgak (il ridere) o Petr epetrOa pietra). Ogni nOtne di perso­na conduce, senza eccezione, a un nome comune, o in ogni caso puó esservi riconducibile. E ció non vale soltanto per i nomi di persona, ma anche per i cognomi, nomen familias, per i nomi di gruppi e di tribu, per i nomi di paesi, citta, animali. Ogni nome proprio puó esser considerato come un nome comune, ma scritto con la lettera maiuscola. Viceversa, nel corso della storia e sotto i nostri occhi continuamente nascono nomi comuni da nomi pro­pri (makintosh, sandwic, zeppelin e altri). Nella linguistica non si e ri­solto se la prioriti vada ai nomi propri o ai nomi COllmni, e le di­verse scuole difendono interpretazioni opposte. 11 problema e e rimará irrisolto perché appartiene alle tante antinothie linguisti­che la cui soluzione corrisponderebbe alla distruziont della lingua stessa. Sia il nome proprio sia il nome comune sono per la lingua parimenti indispensabili come lo sono le gambe per il camminare, e il voler affermare il primato genetico della gamba destra o di quella sinistra significherebbe distruggere l'uniti organica. Ció

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che principalmente rende impossibile sopprimere l'antinomia di nome comune e nome proprio e il fatto che nel loro carattere esteriore sono uguali, mutando solamente l'accento dell'interesse. Per il pensiero, e di conseguenza per il discorso, entrambi gli ac­centi sono indispensabili, ma in guesto spostamento di accento si racchiude anche il principale contrasto tra i due tipi di nome. Dal­la struttura della parola deriva necessariamente che, nell'uso spe­cifico, venga percepita con un determinato accento. Cio detto, possiamo o tollerare tutta la rimanente quantiti di caratteristiche che si potrebbero aggiungere mentalmente a ció che estato perce­pito - come una sorta di nebbia psicologica che oscura la chia­rezza logica del pensiero - e di conseguenza sforzarci di non considerarne la realra, o, al contrario, apprezzare nella singola ca­ratteristica percepita lo strumento con cui penetriamo nella realta, in cui non vediamo dunque una nebbia, ma ció che evero, il vero e proprio culmine della conoscenza. Nel primo caso la realti ap­partiene al segno, e guesto eil nome comune; nel secondo caso il segno appartiene alla realti, e in questo caso la nostra ragione ha a che fare con il nome proprio.

Dal punto di vista etimologico il nome proprio ha general­mente gli stessi limiti del nome comune, in quanto deriva dalla stessa radice; ma ascriviamo al suo seme una quantiti infinita di contenuti e vorremmo, per quanto le nostre forze ce lo consento­no, fissare tutta questa pienezza nella coscienza. E riusciamo nell'impresa, ma non accumuIando singole lettere, bensi conside­rando la forma individuale, o «ecceita» (haecceitas\ Diesheit) tiJ de tz), del seme, nel guale non consideriamo piu come nome proprio il nome comune, che visto dall'esterno e uguale al nome proprio, ma questa haecceitas, la forma individuale del seme nelIa sua infini­ta pienezza: «Haecceitas est singularitas»7. Nel discorso questo motivo dell'individuale viene introdotto per mezzo di un materia­le linguistico che deriva dal corrispondente nome comune. Il no­me proprio viene riferito solitamente al nome comune, ma esiste anche il procedimento esattamente opposto. Aliora utilizziamo lo stesso materiale linguistico, forse addirittura ce lo procuriamo di­struggendo un nome proprio, anche mutilando un seme in modo che conservi soltanto il numero necessario di segni tali da ottene­

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8

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38 I Pavel A. rIorenskij

che principalmente rende impossibile sopprimere l'antinomia di nome comune e nome proprio e il fatto che nel loro carattere esteriore sono uguali, mutando solamente l'accento dell'interesse. Per il pensiero, e di conseguenza per il discorso, entrambi gli ac­centi sono indispensabili, ma in questo spostamento di accento si racchiude anche il principale contrasto tra i due tipi di nome. Dal­la struttura della parola deriva necessariamente che, nell'uso spe­cifico, venga percepita con un determinato accento. Cio detto, possiamo o tollerare tutta la rimanente quantid. di caratteristiche che si potrebbero aggiungere mentalmente a do che estato perce­pito - come una sorta di nebbia psicologica che oscura la crua­rezza logica del pensiero - e di conseguenza sforzarei di non considerarne la reald., o, al contrario, apprezzare nella singola ca­ratteristica percepita lo strumento con cuí penetriamo nella reald, in cui non vediamo dunque una nebbia, ma do che evero, il vera e proprio culmine della conoscenza. Nel primo caso la reald. ap­partiene al segno, e questo eil nome comune; nel secondo caso il segno appartiene alia reald., e in questo caso la nostra ragione ha a che fare con il nome proprio.

Dal punto di vista etimologica il nome proprio ha general­mente gli stessi limiti del nome comune, in quanto deriva dalla stessa radice; ma ascriviamo al suo seme una quantid. infinita di contenuti e vorremmo, per quanto le nostre forze ce lo consento­no, fissare tuUa questa pienezza nella coscienza. E ríusdamo nell'impresa, ma non accumulando singole lettere, bensi conside­rando la forma individuale, o «ecceit:;m (haecceitas5, Diesheit) to de tI), del seme, nel quale non consideriamo piu come nome proprio il nome comune, che visto dall'esterno euguale al nome proprio, ma questa haecceitas, la forma individuale del seme nella sua infini­ta pienezza: «Haecceitas est singularitas»7. Nel discorso questo motivo dell'individuale viene introdotto per mezzo di un materia­le linguistico che deriva dal corrispondente nome comune. Il no­me proprio viene riferito solitamente al nome comune, ma esiste anche il procedimento esattamente opposto. Aliora utilizziamo lo stesso materiale linguistico, forse addirittura ce lo procuriamo di­struggendo un nome proprio, anche mutilando un seme in modo che conservi soltanto il numero necessario di segni tali da ottene-

La venerazione del nome I 39

re un nome di genere. Senza dubbio la persona con il nome pro­prio Makintosh aveva un volto preciso, una sua vita interiore, un SUD ritmo unico e inconfondibile, aveva moglie e figli e i rapporti con la sua famiglia erano unici al mondo. Aveva amici e non era per essi soltanto un mezzo; ma tutto questo seme, questo mondo di rapporti, questa haecceitas, la lingua l'ha tagliato via dal seme Ma­kintosh, semplicemente tagliando i due vertiei della lettera inizia­

le, ed erimasto makintosh.

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Se il nome comune epiu di se stesso, essendo sia colui che nomina sia la cosa da nominare, aliora questo vale a maggior dirit­to per il nome proprio. Peraltro, bisogna tenere in conto alcune diverse sfumature: il nome comune non mira alla realta come tale, ma a qualcos'altro, alla fin fine a colui che parla. Pur esistendo una realta da nominare, il nome comune serve tuttavia all'autorivela­zione di colui che conosce ed eprevalentemente luí stesso. Il no­me proprio, invece, ha davanti agli occhi do che dev'essere cono­sduto, e pertanto rende manifesto, sebbene anch'esso riveli colui che conosce, soprattutto la realra da conoscere, ed eesSO stesso tale reald. Qui non e necessario traceiare delle linee di confine nette. Sebbene siano opposti in base al loro accento interno, il no­me proprio e il nome comune non raramente si compenetrano, e uno passa nell'altro. Talvolta in una consapevolezza egoistica bril­la una scintilla di amore verso l'oggetto; cio che epragmaticamen­te generico, l'aspetto generale passa in secando piano e il nome personificato diventa nome proprio, non solo in un certo senso, ma effettivamente, seppure anche solo per un attimo. Cosi gli dei romani si rivestivano per un attimo di individualid. e i loro nomi comuni entravano nello sp1endore dei nomi di persona. Ma anche viceversa: la conoscenza amorevole e il contatto morale con do che va conosciuto puo affievolirsi, e la persona vivente nella no­stra coscienza puó decadere, dallo stato di fine a se stesso, a livello di mezzo. Ciascuno di noi ha esperienza di tale salto da un tipo di conoscenza a un altro. Ognuno di noi ha sperimentato che il viso

40 / Pave! A. Florenskij

dell'interIocutore, che un attimo príma ci conduceva ancora nella profondit:l della personalita e dischiudeva ai nostri occhi una vita nascosta, improvvisamente pare coperto da un velo ontologico e sta davanti a noi come strappato dalla sua essenza, come qualcosa di esteriore. Ognuno di noi ha sperimentato che 10 sguardo che penetro nell'infinita dello sguardo dell'altro, improvvisamente in­contra l'umida rotondita del globo aculare, scivola insensibilmen­te sulla pelle e percepisce Soltanto i parí del viso. In quell'attimo, l'intera personalit:l non ci appare come un fascio mallegato di sin­gole caratteristiche? A causa di questo offuscamento il nome pro­prío, pur serbando l'inviolabilita della sua materia linguistica, tro­va un diverso punto di vista interno e, perdendo la sua individuali­t:l, diventa nome comune. «Adesso posso chiedere proprio a te, caro lettore, se nella tua vita non hai passato ore e settimane in cui tutto il tuo agire ti ha provocato un doloroso disgusto e in cui tut­to cio che normalmente era importante e meritava di essere pen­sato, ora ti sembrava banale e indegno. 11 tuo petto si eliberato da un sentimento confuso come se si dovesse realizzare in qualche momento e da qualche parte un desiderio che passasse la cerchia di tutti i piaceri terreni, che 10 spirito, come un bambino educato severamente e timido, non osava nemmeno pronunciare. Un de­siderio tale verso questa cosa sconosciuta che era intorno a te do­yunque tu camminavi e stavi come un sogno prafumato con figu­re trasparenti che sfumavano davanti a uno sguardo pili acuto, e tu sei diventato muto di fronte a tutto cio che ti circondava e dive­nivi triste come un amante che non ha speranze di realizzare il suo amare e tutto cio che vedevi che facevano gli uomini in vari madi non ti procurava né dolare né gioia, come se tu non facessi pili parte di questo mondo»6. Casi E. T. Hoffmann descrive il senti­mento di chi viene strappato da un contatto vivo con la realta. Portato alla logica conseguenza psicopatologica ne deriva l'immagine di un isolamento dall'essenza del mondo, in caso di nevrastenia, e dalla prapria essenza, nel caso d'isteria. Se i nomi prapri diventano nomi comuni, cio e il sintomo di un disturbo funzionale, magari lieve, ma indubitabilmente mentale. Alcuni procedimenti dell'arte della parola favoriscono come fini veleni questo distacco patologico di singole caratteristiche dalla perso-

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nalita e la trasformazione del nome proprio in nome comune, nel nome di una maschera, di un volto staccato dalla personalid. L'esempio pili calzante di tale maschera sano gli erai di Gogol' i cui nomi bramano addirittura a diventare nomi comuni, e di con­seguenza rivelano, piuttosto che le cose nominate, il procedimen­to di pensiero di colui che nomina. «Di chi ridete? Voi rídete di voi stessi»7. Naturalmente io rido se chiamo un conoscente CiCikov oppure Sobakevié, anche se con cio l'ho caratterizzato in modo calzante; ma rido soltanto di me stesso, perché sano io che ha rovinato il fondamento della conoscenza e la natura del nome alla radice, cosa che testimonia di me come uno che rovina. Si puo chiamare questa attivid onomoclastia, per analogia con l'icono­clastia, che significa rompere le icone o i nomi nella loro essenza spirituale. L'iconoclasta eun distruttore di icone, l'onomodasta e un distruttore di nomi. Non a caso l'attivid inversa, ovvero con­servare l'essenza spirituale dei nomi nella sua totalid, proteggerla contra invasioni e lasciare casi che il nome acquisti fama e gloria, ha assunto il nome di «venerazione del nome» [imeslavia].

Chi si eaddentrato nelle dispute teologiche su tale questione si rende facilmente canto che i concctti di .onomodastia e ono­modulia sano qui usati in senso pili ampio, mentre in quelle di­spute si parIava quasi esdusivamente dell'una persona e dell'un nome; ma il nudeo ftiosofico non solo non viene intaccato da questa estensione: al contrario, viene riconosciuto come principio di una vita riconoscente e attiva, in contrapposizione a una vita il­lusoria e priva di essere.

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La posizione teologica della venerazione del nome si espri­me nella formula:

«I1 nome di Dio eDio stesso». Pili articolatamente si dovrebbe dire: «JI nome di Dio eDio, ovvera Dio stesso. Ma Dio non ené il

suo nome, né il suo Nome Stesso». Il modo pili chiaro per formulare cio lo troviamo nella lingua

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greca, che e particolarmente adatta a rendere le sfumature del pensiero ftlosofico:

YO Onoma toú Theoú Theós est; kai de o Theós

á/l'o Theós oúte ónoma oúte to eautoú Onomá ésti

Illustriamo questa formula. Nel greco l'articolo determinati­vo accentua l'espressione a cui si riferisce, la isola rispetto a conte­nuti di pensiero simili. In questo modo viene fissata l'uniti del contenuto e l'autoidentiti dello stesso nella sfera del pensiero, e con ció anche la sua identita numerica con se stessa. La caratteri­stica, come qualcosa di generico, non puó avere alcun articolo; perció e comprensibile la regola generale della sintassi greca se­condo cui il predicato non ha articolo. In alcuni casi eccezionali, per esempio in ftlosofia, in teologia e in particolare nellinguaggio del Nuovo Testamento, il predicato ha articolo. Questa violazio­ne della regola generale indica che il predicato non epreso come un concetto generale tra cui si inserisce il soggetto nella sua totali­ti, ma come qualcosa di concreto, che eontologicamente equipa­rato alla concretezza del soggetto. Nell'esperienza esterna e in ba­se a considerazioni esterne, la realti del soggetto e la realta del predicato non soltanto non sono la stessa cosa, ma non sono nean­che paragonabili. Ma visto dalla prospettiva del rapparto interno dei due esseri, a partire da un giudizio ontologico, queste due real­ti vengono confermate nel rapporto instaurato in una determina­ta proposizione come la stessa identica cosa, non simili l'una all'altra, ma identiche nelloro essere. In altre parole il predicato viene inteso come idea platonica, come concreta pienezza di sen­so. Con le parole «Voi siete il sale della terra - Umeís este to á/as tés gés» (Mt 5,13) non si sostiene che gli apostoli siano simili al sale da un punto di vista esteriare, oppure che il concetto di discepolato rientri nel concetto fisico-chimico del sale (allara si sarebbe dovu-

La venerazione del nome / 43

to dire umeís este á/as tésgés), bensl che l'essenza spirituale del sale e l'essenza spirituale delle persone nelloro essere vengono conside­rate identiche. Il sale, ció che veramente nel senso ontologico dev'essere definito come tale, non ealtro che il sale interiore del discepolato. Il sale comune, la materia, euno dei particolari sim­boli del sale, e il discepolato e il sale stesso. Analogo l'uso dell'articolo nel predieato in Mt 5, 13; 5, 14; 6, 22; 16, 16; 26, 28; Mc 14, 22; 1 Cor 11,23-24; Gv 11, 25; 14, 6; Bf 1,23 e cosi via.

Nella formula sopra indicata della glorificazione del nome, nella prima parte il soggetto e il Nome di Dio e nella seconda parte e Dio; nella loro caratteristica di soggetti le definizioni hanno articoli. Come predicati sono nel primo caSO Dio e nel se­condo il Nome, i due predicati compaiono in due modi, una vol­ta senza articolo e una volta con articolo. Ció corrisponde in pri­mo luogo al divieto di sottoporre il soggetto al concetto di predi­cato e in secondo luogo a stabilire l'identiti ontologica della re­alta che spetta al predicato con la realti del soggetto, a sottopor­re il predicato al soggetto. Viene cosi affermato nella formula che il Nome di Dio ecome una realta che rivela l'essenza divina e la rende manifesta, rappresentando piu di sé stessa. Essa edivi­na, ma ció non basta: essa eDio stesso, effettivamente Nome e non qualcosa di illusorio, non un'apparenza ingannevole; ma, una volta manifestato, Egli nell'apparire non perde la sua realti anche se, pur essendo riconosciuto, non si esaurisce nella cono­scenza, non eun nome, ovvero la sua natura non ela natura di un nome, di nessun nome di qualunque tipo sia, neppure del suo

stesso nome, del suo Nome che Lo rivela. Se viene compreso pienamente il valore di questa formula, e

di altre formule equivalenti, si fonda sulla convinzione di base dell'umanita che i fenomeni rendono manifeste le cose che devono essere rese manifeste, e che dunque vengono a buon diritto definite con il nome di ció che deve essere reso manifesto. In un ambito specifico, ma centrale nella sua decisiva responsabilita, il problema della manifestabiliti di ció che deve essere manifestato e della defi­nibiliti del fenomeno secondo ció che deve essere reso manifesto, e stato discusso e risolto in vía generale nelle dispute palamitiche del XIV secolo. Una disputa durata a lungo intorno all'essenza e al­

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le energie. Essa ela luce che i protagonisti della fede scorgono spiri­tualmente al culmine della loro azione - e la percepiscono come lu­ce divina, una manifestazione di se stessa, l'energia della sua essen­za - oppure equalcosa di ingannevole, di soggettivo nella nostra psiche, o ancora un processo fisico al di fuori di noi, un fenomeno occulto, ovvero nulla che rappresenti una conoscenza dell'essenza dell'Essere Superiore? E, se egiusta la prima affermazione, si puó cmamare questa luce diviniti o Dio? Questo era, da un punto di vi­sta generale, il senso delle dispute teologiche. Come c'era da aspet­tarsi, alle domande poste non si sarebbe potuto rispondere (<no» senza distruggere cosi l'intero edificio teologico, e con ció l'azione eroica della vita. Di conseguenza nella struttura del pensiero teolo­gico gli anatemi erano pre-dati 10gicamente8.

In primo luogo: «In re1azione a coloro che considerano la luce che emana dal Signore nella sua Trasfigurazione divina, ora come irnmagine creata e ingannevole, ora come l'essere divino stesso [va­le a dire o non riconoscono alla luce del Tabor un rapporto interno con l'essenza da manifestare o riducono l'essenza stessa al processo del manifestarsi e farmo quindi di quest'ultimo un qualcosa di non ontologico] e che non confessano che questa luce divina non ené l'essenza di Dio, né creatura, ma increata e fisica [vale a dire che de­riva dalla natura, dallaprystS] e un bagliore e un'energia che costan­temente si genera dall'essenza divina stessa».

In secondo luogo: «In re1azione a coloro che affermano che Dio non possiede un'energia fisica propria alla Sua natura, ma che e soltanto un'entiti, un'essenza, e che non esiste differenza tra l'essenza divina e l'energia. Coloro che non vogliono seguire l'idea che l'unione dell'essenza divina e l'energia siano un qualcosa di non unito, ritenendo che la loro diversiti sia irnmodificabile, scontata».

In terzo luogo: «In relazione a coloro che sostengono che ogni forza fisica e ogni energia della divinita siano create».

In quarto luogo: «In re1azione a coloro che dicono: se si am­mettesse una differenza tra energia ed essenza. ció significhereb­be pensare Dio come essere composto».

La veneraziane del name / 45

In quinto luogo: «In re1azione a coloro che pensano che sol­tanto dell'essere divino sia proprio il nome della diviniti, e di Dio,

non dell'energia».

E infine: «In relazione a coloro che assumono che l'essere di­vino possa essere incorporato a tutto l'uomo o a tutto il creato in generale, a tutto ció che non eDio. A coloro che non vogliono ammettere che l'incorporaúone eun fatto proprio della grazia e

dell'energia». Stabilire questi principi nella coscienza ecclesiastica porta, in

fondo, a distinguere in Dio due lati, uno interiore, la sua essenza, e uno rivolto verso l'esterno, l'energia; entrambi, sebbene non siano mescolati, non sano semplicemente inseparati. In vi.rtU di questa in­separabilici l'uomo, e tutto ció che ecreato, e la sua essenza, ein rap­porto con la sua stessa sostanZa e ha dunque il diritto di nominare ta­le energia con il nome di Colui che agisce, il nome di Dio. E chiaro che queste osservazioni non sono separabili dal cammino spirituale di coloro che riconoscono la religione; negarle non significa altto che negare in linea di principio la religione in generale, la quale e rr:ligio, unione di due mondi. La tesi della denominabilici dé!ll'energia divina con il suo nome epresupposto necessario di ogni giudizio religioso. TI credente si rende conto che ha a che fare con fenomeni divini, ma la sua attiviti non viene equiparata alla sua essenza, né collegata, e dunque non si assume mai il caso di applicare la parola Dio quando con questo nome dell'essenza non si definisca anche la sua attiviti in base alla sua essenza. Quando si dice «Dio ha salvato, Dio ha guarito, Dio ha derto»... si ha in mente sempre la sua azione. Se in questi e in altri simili casi fosse sbagliato dire cio che si dice, aliora la parola "Dio" dovrebbe essere rapidamente eliminata dallessico, per man­cama di possibilici applicarive, come parola superflua. Detto altri­menti, le dispute del XN secolo non harmo portato niente di nuovo, e tanto meno certe cavillose disquisizioni scolastiche. Harmo, se­guendo la ragione cosmicaonniumana, esplicato ció che dalia ragio­

ne era sempre e dovunque ciconosciuto. Non a caso stiamo parlando di cosmico e di onniumano; seb­

bene lo sforzo intellettualedi Gregorio Palamas, e di quanti la pen­sano come lui, si concentri storicamente in un ambito ristretto, i

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principi pronunciati dai Palamiti si riferiscono tuttama a un ambito malta piu esteso di quanto possa sembrare da un punto di msta pu­ramente esteriore, e anzi e difficile dire dove non siano applicabili. Non occorre essere teologi, né credenti per capire il valore di tali principi ai f1!lÍ dell'economia generale del pensiero: e sufficíente ac­cettare la mta e rendersi canto della sua solidaried con quanto e ge­neralmente umano. Si tratta, in definitiva, del rapporto di essenza e di energia: di quale essenza si parli, cio dipende naturalmente dalla questione rispettivamente posta. Naturalmente l'ateo non discute­ra dell'energia dimna, dal momento che non crede all'esistenza di un Essere eccelso; ma cio non significa che nella sua sfera spirituale egli possa rinunciare del tutto alle tesi affermate dal pensiero del XIV secolo: riconoscendo generalmente un'essenza - dell'uomo, dell'animale, della materia, dell'elettrone e simili -, si scontra con la questione gnoseologica del rapporto di tale essenza con le sue manifestazioni, ed e quindi costretto esistenzialmente a rispondere aquesta domanda per se stesso. O l'esistenza mene considerata co­me qualcosa di illusorio, oppure mene considerata come qualcosa di autentico. Allora e un palamita. Credente e non credente, orto­dosso e giudeo, pittore e poeta, scienziato e linguista, tutti hanno bisogno di chiarezza sul1a dottrina dell'essenza e delle energie, per­ché solo casi si pua rispondere alla domanda fondamentale della conoscenza in armonia col pensiero generalmente umano.

A11a riflessione umana sulla verid appartengono infatti due concetti basilari: il concetto dell'entid e dell'essenza che dev'esse­re manifestata, e il concetto dell'energia, o dell'attivita del manife­starsi. In astratto si possono dunque collegare questi due termini mediante le quattro diverse "inclusioni" che vengono qui sotto il­lustrate (usando un termine della logica simbolica). In altre parole, il riconoscimento, la conferma di uno dei concetti basilari ha co­me conseguenza o la conferma o la negazione dell'altro. O se­guendo lo schema: «Se A e, anche Be», oppure seguendo lo sche­ma «se A e, B non e». Ma casi come il rapporto dell'inc1usione dei termini del pensare (dei concetti e dei giudizi) non pua essere let­to in maniera reversibile, l'esistenza dei due termini esige anche l'affermazione espressa dell'inclusione opposta, ovvero: «se B e, allora A e», casi come «se B e, alIara A non e».

La venerazione del nome / 47

L'esistenza di due termini del pensare comporta dunque la necessita delle quattro inclusioni simbolicamente rappresentante:

A ::J B A::J - B B::JA B::J - A

dove il segno definisce un legame di inclusione: «allora», «se - allora», «quando - alIara», «OD> e il segno - davanti al termine

significa la sua negazione. La correlazione di due termini pua essere caratterizzata solo ­

mediante due inclusioni, e non mediante un'inclusione isolata. Nel nostro caso, vi e la possibilita astratta di una dottrina quadru­plice della sostanza e dell'energia, che viene schematizzata logica­mente con quattro coppie di inc1usioni. Espresso in simboli:

I A=>B:B=>A II A=>-B:B=>A III A =>-B: B =>-A IV A => B : B =>-A

Come si evince dalla teoria delle combinaziGni, non esistono altre possibilid logiche. Se ora trasferiamo i segni delle lettere al corrispettivi termini manifestazione ed essenza, giungiamo alla seguente tabella di possibili dottrine:

1 JTIanifestaziont:_=>sostanz~: sostanza => m<ll1ifestazione ::: irnmanentismo Il_ manifestazion~ =>- sostanza~ostanza => manifestazione ::: POSitiyismot:stretr1~lli

1 III manifestazione => - sostanza: sostanza => - manifestazione ::: kantismo jtrY -maIl1fest~zione => S;:;stanza: sostanza- => - manife~o~- platorusmo ­

La prima dottrina identifica pienamente cosa e apparenza, ed esc1ude ogni distinzione tra le due: questo eirnmanentismo, che ri­fiuta categoricamente cío che l'umanid pensa a proposito della real­d, poiché nella coscienza generalmente umana l'apparenza non esa­urisce la pienezza della reald che dev'essere manifestata. La seconda dottrina sbaglia perché dissolve la reald nella manifestazione, e al tempo stesso non riconosce che nell'apparenza si manifesti la reald stessa; questo eun positimsmo estremo. La terza dottrina climostra giustamente che, seguendo l'interpretazione omni-umana, una cosa

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non puó essere ricondotta a1la sua apparenza, ma sbaglia laddove so­stiene che la verita non ericonoscibile nella sua apparenza: questo eil kantismo. Infine, la quarta dottrina condivide con il kantismo la con­vinzione della realci autonoma degli esseri, e con l'immanentismo l'accomuna la tesi che nell'apparenza si rivela effettivamente l'es­senza. L'ultima delle dottrine in questione ein parte imparentata con il kantismo, in parte con l'immanentismo, mentre il positivismo estremo vi e radicalmente escluso. In una delle sue interpretazioni piu chiare, tale contrasto nei confronti del positivismo espresso nello schema elegato al nome di Platone, benché la dottrina sia molto piu ampia di quanto disponga il pensiero della scuola platonica e la visio­ne del mondo onni-umana.

Le dispute teologiche del XIV secolo, in base a1la loro logica, rappresentavano i1 seguente schema teoretico gnoseologico:

A ~ B:B ~-A

Questo ei1 senso generale della venerazione del nome come presupposto fllosofico. r...J

* II testo tradotto comprende soltanto i primi dieci paragrafi del saggio originale. 1 Si tratta deHa disputa Sorta nel XIV secolo tra Gregorio Palamas e Barlaam il Cala­

bro in merito al valore deHa luce sperimentata dai discepoli sul Monte Tabor durante la Trasfigurazione. Barlaam sosteneva che essa non poteva essere considerata, come face­vano i monaci esitasti, quale un'esperienza diretta di Dio, ma soltanto un pura simbolo della divinitil. Sulla questione si veda Yannis Spiteris, Pa/amas: /0 grazia e /'esperienza, Lipa, Roma 1996, pp. 90ss (N.d.T.).

2 Ivan Krylov, Kot i pOl-ar, in Po/noe sobranie Kry/01Ja, Berlin/Paris 1929, p. 99. 3 A. A. Potebnja, IZ Zapisok po rtlsskojf,rammatike, Vol. l, Charkov 1888, p. 92 [sottoli­

neatura di P.A. Florenskij].

4 A. A. Potebnja, IZ Zapisok po rtlsskojgrammatike, VoL l, Charkov 1888, p. 213.

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5 Cfr.loannis Duns Scoto,Quaestiones subtilissimae in Metapbysicam Aristotelis, in Opera Onmia, Vol. IV, Lyon 1639, p. 697-710.

6 E. T. A. Hoffmann, Romanzj eracconti, a cura di Carlo Pinelli, Einaudi, Torino 1969,

"Quarta vigilia», 7 N. Gogol', L'ispettore genera/e, Atto quinto, secna ottava. 8 Florenskij fa qui riferimento alle definizioni prese dal Concilio del 1351 contra la

posizione di Barlaam il Calabro. La fonte a cui attinge e il Sinodik v nedelija pra~os/atiJa:

slJodtIJJ tekIt sprimecanijami UspenskolJO, Odessa 1893 (N.d.T.).

Il valore magico della parola / 53

1

Siamo abituati a vedere, nella parala, manifestarsi il senso [smys~, e facciamo bene a identificarla con il senso. Ma spesso di­mentichiamo che, oltre aquesto, essa epraprio la manifestaiJone Jjavlenit] del senso, per cui insieme alla suddetta identificazione ne e senz'altra possibile un'altra, quella di parola e manifestazione. La parala enello stesso modo in noi e fuori di noi e, se egiusto ve­dere nella parala un avvenimento della nostra vita interiore, non dobbiamo tuttavia dimenticare che nello stesso tempo si egii sot­tratta al nostra potere e si trova sciolta dalla nostra volonta nella natura estema. Fin che noi disponiamo liberamente della parala, la parala non eancora. <<La parola ecome un passero, lasciala libe­ra e non la prenderai mai pilD>, dice la saggezza popolare. Ma que­sto istante cogente della parala viene dimenticato quasi subito, specialmente dalle persone che sono di casa nella scienza, malgra­do il popolo, complessivamente, non lo dimentichi mai. Ma se si considera la forza e il potere della parala, una tale dimenticanza non rimane impunita e non conduce soltanto a errori teoretici, ma anche a mancanze sociali e personali che in certí casi non possono che essere definite un crimine.

n prablema e che la parala, quale termine intermedio fra mondo estemo e interno, eun'entita anfibia, che vive sia nell'uno, sia nell'altra, intesse specifiche relazioni tra questo e quel mondo, e tali relazioni, per quanto l'occhio del positivista stenti a perce­pirle, tuttavia esistono e stanno alla base di tutte le ulteriori fun­zioni della parala. Questa base, evidentemente, punta a due dire­zioni: anzitutto muove da colui cheparla verso l'estemo, come atti­vita che da colui che parla esce fuori verso il mondo; in secondo luogo, in quanto percezione che riceve colui che parla dal mondo estemo, va verso colui che parla. Detto altrimenti: attraverso la parola la vita viene trasformata e assimilata allo spirito. O ancora: la parala emagica ed emistica. Considerare l'aspetto magico della parola significa comprendere come e perché noi possiamo agire nel mondo tramite la parola. Indagare come e perché la parola sia mistica significa rendersi conto del senso di quella dottrina secon­do cuí la parala ela realti da essa significata. Naturalmente non e

S4 / Pavel A. Florenskij

nostro compito dimostrare quanto insegnano, in quest'ambito, la mistica e la magia: dimostrarlo, affidarsi cioe alle scienze positive, significherebbe in primo luogo giudicare altre scienze con meto­do e procedure estranei alle caratteristiche di queste scienze e che

.le mettono in discussione apriori, e in secondo luogo trascurare o non rispettare l'esperienza diretta su cui si basano quelle scienze e dalle cui specificiti esse procedono. Una dimostrazione di questo genere potrebbe essere data soltanto dall'eperienza, da indagini sperimentali, qualora veramente si desse un dubbio sulla credibili­ta delle testimonianze della magia e della mistica. Ma questo non e compito nostro, dal momento che noi ci interessiamo soltanto della trama e dei singoli fili della «concezione del mondo», quando emergono dall'oscurira del sub-conscio, oltre la soglia della co­scienza. Il nostro impegno, piuttosto, dev'essere quello di giustifi­care la possibilita, non di dimostrare l'esistenza degli aspetti magi­ci e mistici della parola, nella speranza che, superata l'erronea in­terpretazione della sua impossibiliti, ognuno possa piu facilmen­te ricordare le esperienze personali e conferire una struttura men­tale articolata alle proprie esperienze che, non trovando finora adeguate strutture verbali o ostacolate da altre cause mentali, fini­vano col condurre a un'esistenza ghettizzata, da cortile oscuro della coscienza, e venivano dichiarate o inesistenti oppure impu­tabili a una causalita inspiegabile di origine ignota.

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Compito nostro sara dunque rilevare la possibilita, e anzi la probabilid. dell'effetto magico della parola, nella prospettiva di mostrarne anche l'effetto mistico. La persuasione della potenza magica della parola, d'altro canto, rappresenta il patrimonio seco­lare e millenario dei piu diversi popoli, ed e difficile trovare un po­polo, e un'epoca nella sua storia, che non manifesti una fede vivis­sima in essa. Questa fede era ed ecosi diffusa che bisogna consi­derarla, trattando di popoli, inscindibilmente connessa all'uso della lingua, occorre riconoscervi un momento indispensabile nella vita della lingua. Epertanto quanto di piu naturale che ci at­

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teniamo, in questa sede, al piu generale e popolare sentimento della vita, alla ragione onni-umana [obsceceloveceskomy], e non se~ guiamo nella questione proposta l'accezione negativa del positivi~

smo linguistico, ma poniamo al1a base della parola la concezion~ positiva dell'intera umanita. Del1'onere della dimostrazione se n~

faranno carico quanti, dissociandosi dall'umanita, sostengon() l'impotenza e il vuoto della parola, contrariamente a tutte le tradi~

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temporanei, non appena ha assaporato la «concezione scientificq

del mondo», si efermamente persuasa che la parola, se agisce, agi~

sce solo come senso razionale, e non riflette minimamente su com~ questo senso possa essere trasrnesso da una coscienza ali'altra ~ quali siano i processi interni che rendono possibile la rivelazion~ del senso della coscienza. Il segreto presupposto di questa semplifi~ cazione estrema delle cose eil dualismo cartesiano nella compren, sione generale del mondo, dualismo cuí non si sottrae nemmenC) un problema specifico come quello della parola. L'uomo consiste di materia, che edi natura esclusivamente meccanica, e di anima, la cui essenza va ricercata in modo altrettanto esclusivo nella coscien, za. Le due sostanze di Descartes, res extensa e res eogitans, tra loro in­comparabili, pur avendo perso in evidenza continuano tuttavia a segnare la comprensione del mondo in ampie cerchie dell'intell~e1Z. ga; euna verita scontata, per questa, che i processi della realti mate, riale e il senso che si rivela nella coscienza possano non ayer nulla itl comune; ma se l'anima e il carpo non hanno nulla in comune, Se l'uomo in senso proprio non euna totalita, aliora tanto meno la S\la parola puo essere una totaliti. Sul fJlo di questa interpretazione, Se. condo cui la parola non e una totalita, rna e costituita da un involu_ cro esterno e da un contem.1to interno organicamente scollegatí corre l'ostacolo per la comprensione della magia della parola e dej suo effetto sovrarazionale sulla coscienza, sull'anima e sul corpo; di

piu: sull'intera natura dell'uot!lo. Che cos'e la parola agli occhi dei piu? Un senso enucleato piu

o meno felicemente; un concetto, plasmato in modo piu o meno preciso, trasmesso a un altro mediante una traccia sonora e un Se­

gnale collegato esternamente al concetto. Un suono connesso COn

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il senso che viene descritto solo in modo condizionato, nonostante sia assolutamente incomprensibile come possano connettersi, an­che condizionatamente, cose che non hanno alcun rapporto inter­no e, di conseguenza, non possono stabilire alcun collegamento stabile, visto che la condizione dev'essere data dall'una o dall'altra párte - o in modo meccanico-materiale o in modo logico-razio­nale. Da questo punto di vista sarebbe piu giusto negare, in buona sostanza, l'esistenza della parola in generale, come il cartesianesimo dovrebbe negare l'uomo; ma la realta, in questo caso o in quel­l'altro, si fa sentire. E siccome. sarebbe troppo faticoso sottrarsi completamente alla visione onni-umana, si giunge a un compro­messo: l'esistenza della parola non viene negata, come non viene negata l'esistenza dell'uomo, ma l'incomprensibiliti o, ancora, l'inaccettabilita di tale esistenza, nei limiti del dualismo, viene taciu­tao Con ció la parola come concetto e senZa via di scampo; ingab­biata in una soggettivita impotente e irreale, se si porta a termine il ragionamento non ha posto nell'essere. D'altra parte, in quanto se­gnale, la parola rappresenta un'energia minimale, di ordine fisico, un'energia-suono dall'effetto esiguo; talmente piccolo che, a prima vista, non c'e da farvi conto quale forza nel mondo esteriore, alme­no, a quanto pare. Siamo tanto generosi da indicare un calcolo esat­to del valore minimale di questa energia. Unpeso di cinquanta gram­mi che cade da un metro di altezza e sufficiente a produrre, con fre­quenza normale, un suono ininterrotto per diecimila anni. Per dirla altrimenti, se un comunissimo cappello cade su! pavimento, utiliz­zando l'energia di caduta e trasformandola, con l'ausilio di un appa­recchio del tipo di un fonografo, si potrebbe fargli raccontare inin­terrottamente per diecimila anni l'evento accaduto. Quindi, e cosi i nostri avversari si affrettano a condudere, la parola nella sua carat­teristica di forza esteriore e invero «solo una parola», un flatus vocis, un soffio di voce, e, secondo la definizione dei nominalisti medie­vali, un nihil audibile, un nulla che, si e ascoltabile, ma che natural­mente al di fuori della sua ascoltabilita non produce alcuna conse­guenza che passi i limiti della soggettivita di colui che parla. Trala­sciandone l'esigua appendice fisica, la parola non puó essere consi­derata come realta autentica ed e soltanto senso, astrattamente con­cepito.

Il valore magico della parola / S;

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Personalmente, non starei a difendere l'efficacia fisica del­la parola contro le suddette obiezioni, dal momento che nella mia comprensione del mondo non esiste affatto il fisico come tale, senza la penetrazione con l'energia spirituale e occulta. B, sono dell'avviso che non il magico dev'essere spiegato da cauSe fisiche, ma il contrario; ció che ai profani appare come fisico dev'essere spiegato attraverso forze magiche. Visto che qu.i c'interessa una via alla comprensione simbolica della vita, e uti­le per la logica dell'esposizione superare dialetticamente detto pregiudizio nei confronti della parola. Essa, come l'intera vi­sione del mondo dei nos tri contemporanei, non pecca infatti contro la fisica, in generale e la seconda legge della termodina­mica in particolare? Non e una grossolana negligenza della ca­tegoria dell'ordine, della qualita o se si desidera della forma? Come se nel bilancio della natura contasse solo la quantita dell'energia e non la qualita, l'ordine e la forma, quando il sen­so della seconda legge della termodinamica conduce invece all'affermazione che e di importanza primaria il modo con Ctü

si presenta una data quantita di energia. Persino il calore del so­le che si da su una superficie di migliaia di chilometri quadrati in centinaia di anni non e in grado di incendiare anche solo un granello di polvere, mentre una lente convessa riunisce in fasci l'energia dei raggi del sole di dieci centimetri quadrati e in po­chi secondi e in grado di far esplodere intere polveriere e di di­struggere un'intera citta. Non dovrebbe essere difficile costrui­re un apparecchio capace di reagire al piu flebile suono di una determinata frequenza che non si lasci sconvolgere dal boato degli esplosivi. Una cassaforte resistente al fuoco si lascia quasi senza fatica aprire con una chiave, mentre il suo contenuto ri­mane inaccessibile anche ai piu robusti colpi d'ascia. Dobbia­mo ricordare per l'ennesima volta che Mosca e stata arsa da una candela del valore di un copeco, ma che la brace piu poten­te non puó arrecare alcun danno agli altiforni. Si puó inoltte immaginare, introducendo il concetto delle forze-guida dell'e­nergetica, come minuscole quantita di energia ottengono mas­

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nostro compito dimostrare quanto insegnano, in quest'ambito, la mistica e la magia: dimostrarlo, affidarsi cioe alle scienze positive, significherebbe in primo luogo giudicare altre scienze con meto­do e procedure estranei alle caratteristiche di queste scienze e che le mettono in discussione apriori, e in secondo luogo trascurare o

'non rispettare l'esperienza diretta su cui si basano quelle scienze e dalle cui specificita esse procedono. Una dimostrazione di questo genere potrebbe essere data soltanto dall'esperienza, da indagini sperimentali, qualora veramente si desse un dubbio sulla credibili­ta delle testimoruanze della magia e della mistica. Ma questo non e compito nostro, dal momento che noi ci interessiamo soltanto della trama e dei singoli fili della «concezione del mondo», quando emergono dall'oscurid del sub-conscio, oltre la soglia della co­scienza. JI nostro impegno, piuttosto, dev'essere quello di giustifi­care la possibilit:'1, non di dimostrare l'esistenza degli aspetti magi­ci e mistici della parola, nella speranza che, superata l'erronea in­terpretazione della sua impossibilit:'1, ognuno possa piu facilmen­te ricordare le esperienze personali e conferire una struttura men­tale articolata alle proprie esperienze che, non trovando finora adeguate strutture verbali o ostacolate da altre cause mentali, fini­vano col condurre a un'esistenza ghettizzata, da cortile oscuro della coscienza, e venivano dichiarate o inesistenti oppure impu­tabili a una causalid inspiegabile di origine ignota.

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Compito nostro sara dunque rilevare la possibilid, e ami la probabilita dell'effetto magico della parola, nella prospettiva di mostrarne anche l'effetto mistico. La persuasione della potenza magica della parola, d'altro canto, rappresenta il patrimoruo seco­lare e millenario dei piu diversi popoli, ed e difficile trovare un po­polo, e un'epoca nella Sua storia, che non manifesti una fede vivis­sima in essa. Questa fede era ed e cosi diffusa che bisogna consi­derarla, trattando di popoli, inscindibilmente connessa all'uso della lingua, occorre riconoscervi un momento inclispensabile nella vita della lingua. Epertanto quanto di piu naturale che ci at-

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teniamo, in questa sede, al piu generale e popolare sentimento della vita, alla ragione onm-umana [obsceeeloveceskomy], e non se­guiamo nella questione proposta l'accezione negativa del positivi­smo linguistico, ma poruamo alla base della parola la concezione positiva dell'intera umarud. Dell'onere della dimostrazione se ne faranno carico quanti, dissociandosi dall'umanita, sostengono l'impotenza e il vuoto della parola, contrariamente a tutte le tradi­ziom della storia.

La maggioranza, la schiacciante maggioranza dei nostri con­temporanei, non appena ha assaporato la «concezione scientifica del mondo», si e fermamente persuasa che la parola, se agisce, agi­sce solo come senso razionale, e non riflette minimamente su come questo senso possa essere trasmesso da una coscienza all'altra e quali siano i processi interru che rendono possibile la rivelazione del senso della coscienza. JI segreto presupposto di questa semplifi­ca:;o;ione estrema delle cose e il dualismo cartesiano nella compren­sione generale del mondo, dualismo cui non si sottrae nemmeno un problema specifico come quello della parola. L'uomo consiste di materia, che e di natura esclusivamente meccanica, e di anima, la cui essenza va ricercata in modo altrettanto esclusivo nella coscien­za. J.e due sostanze di Descartes, res extensa e res cogitans, tra loro in­comparabili, pur avendo perso in evidenza continuano tuttavia a segnare la comprensione del mondo in ampie cerchie dell'intelligen­qa; euna verid scontata, per questa, che i processi della reald mate­riale e il senso che si rivela nella coscienza possano non ayer nulla in comune; ma se l'anima e il corpo non hanno nulla in comune, se l'uomo in senso proprio non e una totalid, allora tanto meno la sua parola puó essere una totalita. Sul filo di questa interpretazione, se­condo cui la parola non euna totalid, ma e costituita da un involu­cro esterno e da un contenuto interno organicamente scollegati, corre l'ostacolo per la comprensione della magia della parola e del suo effetto sovrarazionale sulla coscienza, sull'anima e su! corpo; di piu: sull'intera natura dell'uomo.

Che cos'e la parola agli occhi dei piu? Un senso enucleato piu o meno felicemente; un concetto, plasmato in modo piu o meno preciso, trasmesso a un altro mediante una traccia sonora e un se­gnale collegato esternamente al concetto. Un suono connesso con

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simi effetti: l'esercito dei demoni distributori di Clerk Max­welJ!, ovvero di esseri piccoli come molecole e che si muovono tra le molecole, potrebbe causare, senza dispendio energetico, ma con un minimo di energia, una tale ridistribuzione dell'e­nergia cinetica delle molecole che in un punto qualsiasi del­l'ambiente materiale avverrebbe un innalzamento della tempe­ratura, un cambiamento della composizione chimica, addirit­tura un mutamento dell'intero quadro fisico nella direzione in­dicata da uno di questi demonio Sarebbe sufficiente comandare a uno di questi esseri di produrre una serie di effetti puramente fisici - ogni positivista li accetterebbe senza problema _ e si otterrebbe qualcosa che potrebbe essere definito un che di ma­gico. Perché respingere l'idea che l'energia, l'energia sonora della parola, possa essere indiri?:7:ata a un determinato effetto, e che lo produca indipendentemente dalla sua esiguita quanti­tativa, sebbene si debba anche aggiungere che i concetti di quantita e di esiguiti sono concetti limitati? Intanto la parola, dal punto di vista del suono, non e affatto un suono in senso as­so/ufo, non e affatto un'energia sonora qualsiasi; al contrario, e un suono assai articolato che ha un'organizzazione precisa e raffinata e che, parlando con a W. Ostwald di «energia di for­ma»2, dispone di una grande intensiti. La parola, che a prima vista e qualcosa di semplice, come si e visto, e un mondo di su­oni ricco e complesso. Potremmo imparare ad apprezzare que­sto mondo come qualcosa di ricco e multiforme, se il nostro orecchio non fosse cosi poco educato a distinguere dei brevi intervalli sonori. Se per esempio noi fossimo in grado di distin­guere quarti di suono, come quelli il cui udito e stato addestra­to dalla scala orientale, alIora le modulazioni della parola sareb­bero per noi accessibili come opere musicali complesse, che sembrano in miniatura solo per la loro breve durata, ma dopo un allungamento del tempo si rivelano come una totalita molto articolata, una sinfonia di suoni. L'organizzazione compiuta di tutto questo intreccio di suoni, la sua individualita dai contorni nettissimi, la sua non casualita persino nei piu piccoli dettagli, risulta tra l'altro dal fatto che la minima modifica del comples­so unitario dei suoni, una modifica irrilevabile con i mezzi

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dell'analisi fisica, viene percepita immediatamente dall'orec­chio. Non ci e difficile ascoltare da un insieme di suoni una vo­ce determinata che noi conosciamo, di rkonoscere, fra tutti quei suoni, una voce che ci e famigliare. Perfino i piu piccoli cambiamenti nel timbro - come nel caso di voce rauca -, o le piu fini flessioni della voce che volentieri si vorrebbero na­scondere, vengono immediatamente percepite, trascurando il mare di suoni che ci circondano. Non c'e dubbio, in un modo o nell'altro il suono penetra nel nostro orecchio e nella nostra coscienza come la totalita individuale con cui e stato origina­riamente prodotto. La dottrina di H. von Helmholtz sull'at­tivita analitica del nostro «apparato uditivo», dottrina secondo la quale ogni suono complesso una volta giunto all'organo cor­ticale viene scomposto in oscillazioni elementari e sommaria­mente giunge nel sistema nervoso centrale come accumulo di oscillazioni elementari dello stesso tipo, di suoni diversi dal­¡'impronta individuale, questa dottrina lascia del tutto incom­prensibile in qual modo noi siamo in grado, dopo ayer scom­posto il suono e dopo averne estinto completamente la forma individuale, di strutturare il caos di suoni che si sovrappongo­no in individualita chiuse e di percepirli con la massima certez­za, senza mescolarli e senza confonderne i limiti. Anche se si supponesse una ricostruzione psichica di queste infinite indivi­dualita sonore, il che e altamente improbabile, non si otterreb­be niente, perché se la forma del suono non raggiungesse il si­stema nervoso centrale Ce cosi bisogna pensare secondo von Helmholtz), allora non sarebbe possibile neanche una sintesi sonora, perché sarebbe cosa del tutto arbitraria, non posseden­do in sé alcuna base oggettiva e, di conseguenza, si poggerebbe soltanto su un arbitrio, sul caso, o, detto piu precisamente, sa­rebbe del tutto impossibile. Si puó infatti costruire qualcosa, anche arbitrariamente, solo se per la costruzione c'e un model­lo, non necessariamente per questa percezione, ma almeno per qualche cosa di paragonabile. Ma se la realta non offre nu//a di ció, se non esistono certe caratteristiche della forma sonora nella percezione, allora non si capisce perché possa effettiva­mente sorgere una simile idea. In altre parole, esiste la forma

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sonora individuale quale forza oggettiva, una forza basilare che provoca la percezione sonora, che organizza il suono e gli ele­menti sonori comunque essi si caratterizzino, unendoli in una totaliti. E, una volta creata, questa totalita rimane come un in­dividuo, come un organismo permanente, e si conserva nel mondo.

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Non eun caso che mi sia venuta alle labbra la parola «organi­smo». Riconoscere o non riconoscere la realti della parola porta in ultimo, direttamente, alla questione se la parola sia un organi­smo, poiché in caso contrario, se non la riconoscessimo come ta­le, saremmo costretti a considerarla un'unione estrinseca di ener­gíe, e quindi casuale, nonché priva di ogni costanza. La questione della parola quale organismo ha una lunga storia gíi nell'antichiti: era oggetto di disquisizioni vivaci, in particolare in re1azione al termine «fisiciti». «La voce eun elemento fisico, la parola e fisi­ca?», si domandavano gli antichi, ehiedendosi in questo modo se la parola avesse un SUD corpo proprio, vale a dire se fosse qualco­sa di duraturo nel mondo oppure no. E aquesta domanda anche Tito Lucrezio Caro rispondeva: «Corpoream quoque enim vocem con­starefatendum esIJ) - «Si deve rieonoseere che anche la voce euna sostanza eorporea»3.

Ma intanto la maggioranza degli intellettuali non vede questa fisiciti della parola: sotto il proftlo fisico essa e, per loro, solamen­te un processo, non una struttura stabile. Un organismo aereo tes­suto da onde sonore pare loro un sogno. Ma, se per riconoscere la stabilita, questi negatori hanno assolutamente bisogno di un'identiti materiale, vale a dire di un'autoidentiti numerica di molecole materiali che son parte del bagaglio di un ente fisico or­ganizzato, non dovrebbero allora mettere in discussione anche la loro stessa esistenza di organismi - dal momento che rifiutano l'aspetto organico della parola -, perché anche illoro fisico, per non parlare dell'aruma, e in un ineessante fluire, dove continua­mente qUalche cosa scompare e qualcos'altro sempre di nuovo

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viene reeepito? Perfino il nostro fisieo, che nella sua costanza e veramente affidabile, rappresenta soltanto un processo di rinno­vamento costante, un processo che resta identico a se stesso co­me ogni invariante di rapporti e funzioni, e ció per quanto riguar­da la firma ehe organizza i processi fisico-chimici, ma non per quanto riguarda ¡'identiti numerica degli elementi. Che cosa sia l'identiti numeriea nella sfera materiale necessita di un urgente chiarimento, tanto piu in quanto gli energetisti, semplicemente, la rinnegano. E dunque: questa circolazione attraverso il corpo di materia densa avviene in maniera relativamente lenta (un comple­to rinnovamento del fisico avviene in un arco di tempo di 7 anni), mentre in orgarusmi con un corpo semiliquido e per di piu di pic­cole dimensioni, ció avviene in un lasso di tempo incomparabil­mente piu breve, sebbene tali organismi non cessino di essere or­ganismi, con una struttura interna invariante. Tuttavia, si diti, tutti questi organismi consistono di materie colloidali e liquide, mentre i gas che fanno parte del loro bagaglio non hanno in nessun caso una struttura caratteristica per un dato organismo. Ci sia concesso il dubbio: senza voler scendere in polemica su tale questione, pa­riamo il colpo considerando che se le cose stanno cosi eperché i processi che avvengono nei gas di un organismo non posseggono sufficiente intensiti per conferirgli una struttura. Per esempio, un anello di fumo che esee dalla bocea di un fumatore ha senz'altro struttura, stabiliti e forma, e puó esistere sia in un liquido, sia an­che in un gas. Perché una tale figura di fumo non dovrebbe essere in linea di principio il corpo di un organismo vivente? Perché la possibiliti di un tale essere fatto di gas, vapore o fumo dev'essere esclusa aprion? Se esistono gli gnomi possono esistere anche gli elfi e le salamandre, e possedere una sostanza gassosa; ne abbia­mo gíi parlato a proposito della fiamma: la fiamma ha una struttu­ra propria, in essa avviene un processo di separazione di calore, nonché una serie di altri processi complessi; si nutre di materiale combustile, respira bruciando ossigeno, esige una determinata protezione (una specie di casetta), si moltiplica, e cosi via. Insom­ma, si provi a toccare la fiamma col dito e si percepiti una leggera resistenza, come se si attraversasse un involucro elastico che la circonda, una speeie di pellicola, e che si richiude non appena il di­

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to l'ha passata. Il nostro organismo non di rada estato paragona­to a una fiamma, e si puó del pari paragonare la fiamma con il no­stro essere che ci enoto da dentro, e non soltanto dal punto di vi­sta delle sue manifestazioni interiori. Rinnovando il paragone, ci si riconferma la possibilid di vedere nella parola un organismo che si scioglie, che si stacca dagli organi vocali, che viene partorito e che nasce nel grembo della voceo Ci si clira: ma, e tutti gli altri suo­ni? Anche questi bisogna considerarli esseri viventi? E, se si, dove corre il limite della vita? Non viene casi soppresso il concetto dell'essere vivente in sé? Per quanto mi riguarda non ha mai detto niente di simile, ed etutto da vedere se mai lo faró; io sottolineo soprattutto la caratteristica della parola, ovvero che non esempli­cemente un suono tra altri suoni, un suono tra altri nella natura, ma ein tutta evidenza un suono articolato, espresso da un essere vivo, dotato di ragione, cosciente. Ripeto, la parola si sgrava da sé, si svincola dall'organo vocale dell'essere vivente. Ma, mi si diri, esiste anche una produzione meccanica della parola mediante un grammofono; certo, ma anche nel caso in cui una parola venga prodotta da uno strumento, per esempio da un grammofono, in realta esce da una bocca viva, solo in forma rimandata e conserva­ta nel grammofono per un tempo indeterminato. In linea di mas­sima il ritardo non differisce da quello che si da quando si parla al telefono elettrico o dal radiotelefono, o avvicinandosi alla comu­nicazione usuale, al telefono via ftlo, o ancora se si parla attraver­so il telefono a tubo, o ancora piu vicino, attraverso il megafono, o piu ancora attraverso lo stetoscopio, e infine, semplicemente, attraverso lo spazio d'aria, perché anche ti la parola non giunge istantaneamente al nostro orecchio, ma deve superare una distan­za. Tutti gli apparecchi acustici altro non sano che uno spazio in­terposto tra colui che parla e colui che ascolta, tra due esseri vi­venti; ma a parte questi passaggi, in linea di massima continui, dal­la parola del grammofono alla parola comune, non vedrei alcun motivo di obiezione se qualcuno insistesse nell'affermare una gra­dazione piu essenziale quanto all'effetto magico della parola, che si da attraverso varie trasmissioni. Ritengo assai probabile che esi­stano simili gradazioni, ma non so quanto siano state accertate. Esistono esperimenti di ipnosi attraverso il telefono. E fuor di

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dubbio che persino il semplice cambiamento della distanza, alme­no per quanto riguarda gli interventi magici di basso livello, non e privo di conseguenze.

Casi dunque la parola e, dal punto di vista fisico, un processo sonoro individuale separata dal resto della natura il cuí tessuto ha struttura assai fine, in linea di principio percettibile anche con l'occhio, casi come possiamo vedere le ande sonare con il metodo dello spostamento scoperto da van Toepler e sviluppato da Dvo­rak, Mach e altri: in una parola, un microcosmo chiuso, autorganiz­zato. Questo intreccio di energie sonare naturalmente non si man­tiene soltanto uguale a se stesso, ma al suo interno avvengono i pro­cessi piu svariati. Probabilmente sarebbe interessante cercare di de­lineare in modo piu concreto especifico quell'immagine infinita­mente complessa del sostrato fisico della parola, che non va trascu­rato, come pensa invece la scienza attuale, ma non possiamo occu­parcene, non essendo esso sostanzialmente necessario ai fmi della questione. Costatata la struttura di questa irnmagine, non ha per noi piu importanza come essa sia camposta nel particolare; importante eche tale individualita di parola si muova nello spazio come una to­talita, e muovendosi partí costantemente con sé il suo senso. Ora dobbiamo dedicarci aquesto senso della parola, casi da poterla inda­

gare su! piano dell'effetto magico.

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Qual e dunque la funzione magica del senso della parola? Il senso di una parola viene definito attraverso il suo semem, e nel ti­po di formazione del semem va cercata la risposta alla domanda. Gli strati del semem, i suoi involucri stratif1cati, le sue armature concentriche, nascono da specifici atti creativi, e ciascuno trova pienezza in una crescita spirituale che talvolta dura a lungo e che, in generale, dev'essere sperimentata dall'intero popolo. Ogni stra­to del semem va considerato il deposito di un processo spirituale sulla parola, come un precipitato dello spirito che in questa con­centrazione di se stesso in un dato rapporto emerge per la prima volta dal mondo subconscio e semiconscio, divenendo creativo, e

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quíndi si raccoglie in se stesso nel processo di formazione del se­memo La formazione di ogni strato di semem e dunque un'atten­zione compatta rivolta a un punto, a una punta: emonoideismo. Ora, il monoideismo eperó la condizione fondamentale di ogni azione magica. La creazione di un semem enecessariamente magi­ca, sempre che si ammetta, in generale, l'esistenza di azioni magi­che. Se esiste qualche cosa di magico, aliora si deve considerare soprattutto il semem in statu nascendi, nella cui formazione si espri­me la massima tensione e la piu forte concentrazione dell'atten­zione. Gli strati di deposito del seme non restano inattivi nella pa­rola, ma ricordano piuttosto i rotifen che senz'acqua seccano, e nuovamente si rigonfiano in presenza di umidita. La stessa cosa succede con il seh¡em che, una volta creato attraverso la partecipa­zione di un intero popolo, giace come morto fino a quando la pa­rola non viene USata, ma quando entra a far parte del flusso del di­scorso vivo il semem si ridesta a nuova vita e si riempie di forza e si­gnificato interiori. Equí evidente la disposizione antinomica della parola. Giunta1l1i dall'esterno, prelevata dalla stanza dei teson del­la lingua e del popolo, la creazione estranea viene creata ex novo da me riusandola, viene nuovamente immessa in statu nascendi e ogni volta diventa piu fresca e nuova. lo sono semicosciente e, analiz­zando rapida1l1ente gli strati del seme, concentro la mia attenzio­ne creativa, e la nüa attenzione non resta solo mia, ma diventa quella generale, quella del popolo, diventa sovrapersonale, pro­prio come l'attenzione generale del popolo che ha formato e de­positato gli strati del seme diventa la mia attenzione approprian­domi di quella parola. Nella parola io esco dai confini del mio li­mite e mi unisco alla volonta dell'intero popolo, che supera infini­tamente la mia volonta individuale, e ció non solo in questo preci­so momento storico, ma in un modo incommensurabilmente piu profondo e sintetico: mi unisco con la volonta del popolo che ha stoncamente troVato la sua espressione cosciente nella formazio­ne proprio di questo semem in una data parola. La parola esinerge­tica, l'energia r· ..] (il manosmtto in questo punto elacunoso, n.d.r.). Quasi seguendo i filetti di una vite, la mia attenzione penetra at­traverso i depositi nel semem e si concentra quanto mai potrebbe farlo con uno sfor~o individuale. La parola eun metodo, un me-

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todo di concentrazione. Nella parola io dispongo della volonta storica di un intero popolo raccolta in un punto focale, e non si tratta di forza, ma semplicemente della capacita di indirizzarla nel­la direzione da me desiderata. Con la parola che io pronuncio si mette in moto la mia venta concentrata, la forza della mia atten­zione accumulata, e si sospinge avanti nello spazio. Se incontro un oggetto in grado di ricevere un impulso della volonta, aliora la parola vi provoca quel cambiamento che quest'oggetto ecapace di sperimentare, e penetra nell'oggetto con tutte le spire della vo­lonta che estata ridestata in coluí che ha pronunciato la parola at­traverso le spire del seme. Se l'oggetto della nostra parola eun uo­mo, o un altro essere dotato di ragione o per 10 meno di coscien­za, aliora questa parola entra, insieme ad altri effetti, e produce, in virtu di un'ingente spinta di volonta dell'intero popolo, una pres­sione che obbliga a sperimentare, a vivere gli strati sovrapposti del semem, a percepirli e a riflettervi, di modo che tutta la sua attenzio­ne ne risulti indirizzata in quella direzione e venga provocata la corrispondente espressione della volonta. L'essenza dell'effetto nasce dal fatto che i depositi del semem non si danno arbitrariamente nella parola, ma in un certo ordine che epiu che semplicemente logico. Basta discernere l'estremita del ftlo che la potente volonta e la complessa ragione del popolo ha avvolto in gomítolo. Esuffi­ciente afferrare questa estremita in modo che la necessaria conse­quenzialita conduca lo spirito individuale lungo il ft10, per quanto lungo possa essere, e questo spirito giungera impercettibilmente ali'altro estremo, al centro della matassa: giunge a concetti, a per­cezioni e a un volere cuí non pensava mínimamente di sottoporsi. La forza dell'effetto di una parola suscitata dal suo semem consiste nella struttura a spirale attraverso cuí la parola attira qualche cosa. La parola eun condensatore della volonta, un condensatore dell'at­tenzione, un condensatore dell'intera vita dell'anima. Essa adden­sa la vita nello stesso modo in cuí la spugna di platino addensa l'ossigeno nei suoi pori, provocando sull'idrogeno quell'effetto straordinario. Allo stesso modo agisce la parola: con maggior for­za, prima, sulla vita dell'anima in coluí che la pronuncia, e poi, quale effetto, sull'oggetto a cui la parola pronunciata eindirizzata. Dice bene Vitruvio: «Vox est spiritusfluens et aereis ictu sensibilis audi­

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tus- La voce eun soffio fluente e, in conseguenza del movimento dell'aria, percettibile dall'udito»4.

Il termine, quale parola delle parole, parola compressa, suc­co concentrato, sostanziale della parola e principalmente questo condensatore della vita dell'anima. Tutto quanto abbiamo detto riguardo al semem della parola va detto del termine; einoltre il caso di riflettere che l'autoaddensamento della volonta non si compie solamente attraverso un addensamento graduale, ma in modo di­scontinuo nel passaggio a determinati piani di vita, mediante ca­dute e innalzamenti di carattere qualitativamente diverso; gli ef­fetti noti della magia non li si raggiunge perció con l'uso di parole comuni, per quanto elevato possa essere il grado di concentrazio­ne personale. Il grado della concentrazione della volonta qui ne­cessario eun «tipo di crescita» diverso da quello di cui noi dispo­niamo usando le parole comuni. Anche se ci fosse possibile un grado di sforzo superiore a quelli messi finora in atto, tuttavia la vera via dello sforzo sarebbe molto pÍlI ripida di quella che po­tremmo percorrere con l'impegno che abbiamo cercato di met­tercio Soltanto con la parola concentrata, che appartiene a un ordi­ne superiore della sintesi, si puó raggiungere il necessario grado di concentrazione. Per quanto forte si soffi dentro un mucchio di carboni che, supponiamo, sono stati scaldati in acqua bollente, non cominceranno a bruciare e la stufa rimarra fredda; ma se agli stessi carboni viene appiccato il fuoco in un sol punto, allora e sufficiente un soffio per incendiare l'intero mucchio, la stufa si scalda, il cibo cuoce e i carboni si trasformano in acido carbonico e cenere. Cosi anche l'effetto magico di un determinato livello non si da fintanto che l'energia, per quanto presente in grande quantita, non sia cosi organizzata da raggiungere un determinato livello, ma poi essa scorre senza fatica ove necessario e produce quasi da sé campi magici come fosse un gioco. E se di tutte le pa­role, i nomi, i nomi di persona rappresentano il massimo grado di sintesi, allora enaturale pensare che sullivello successivo di valo­re magico ai termini e alle formule (e una formula non e nient'altro che un nome sviluppato) stanno i nomi di persona. Infatti i nomi, sempre e dovunque, costituivano lo strumento piu significativo della magia, e non esistono procedimenti magici che

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possano prescindere dai nomi di persona. Non occorre inoltrarsi, qui, nella disputa se i nomi come tali producano illoro effetto in abstracto, oppure se l'effetto percorra vie piu complesse e colga il segno soltanto attraverso la trasmissione delle parole. La questio­ne cosi posta escorretta, perché la parola dev'essere pronunciata o scritta, e ció non epossibile senza un contesto sociale.

Ecco perché riconoscere difatto la corrispondenza tra il no­me e chi lo porta non significa ancora necessariamente - e vorrei tranquillizzare quanti ne sono allarmati - riconoscere incondi­zionatamente la natura metafisica del nome. Per parlare dei nomi come di tipi della struttura individuale dell'anima e del corpo non e necessario riconoscervi delle sostanze mettifisiche: e sufficiente peró riconoscere che si comportano come talio Si puó addirittura negare ai nomi la qualita di energie autonome, e con questo pri­varli della caratteristica di sostanze (ma, secando la parola dei Santi Padri, soltanto il non-essere non ha energia); si puó abbrac­ciare una prospettiva nominalistica; si puó rifiutare, in generale, ogni metafisica, e ció nonostante considerare le affermazioni ba­silari dell'onomatologia come una generalizzazione corretta della realta. Ma come nel caso che si riconoscano i nomi quali sostanze metafisiche enecessaria una spiegazione gnoseologica della loro natura, cosi epure necessario, quando se ne neghi la natura meta­fisica, spiegare come sia possibile che i nomi abbiano in un cer!o senso energie proprie e queste siano in un cer!o senso ontologiche, e come questo «avere in un certo senso» ed «essere in un certo sen­so» voglia dire non avere e non essere. L'onere della spiegazione empirica consiste nello scoprire perché i nomi si presentano con un'energia propria e, dal punto di vista ontologico, con un essere

proprio. E evidente che se i nomi non avessero energie proprie, do­

vrebbero essere interpretati come punti focali di altre energie, e se non avessero un'essenza propria, come specchio di altri esseri. Dato che nell'indagine empirica di fenomeni sociologici, di cui fanno parte anche quelli onomatologici, l'unica realta ammessa e l'ambiente sociale, le uniche energie ammesse sono le energie di questo ambiente, allora l'obiettivo e spiegare in qual modo le energie dell'ambiente sociale si raccolgano in quelli che sembrano

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quindi si raccoglie in se stesso nel processo di formazione del se­memo La farmazione di ogni strato di semem e dunque un'atten­zione compatta rivolta a un punto, a una punta: emonoideismo. Ora, il monoideismo eperó la condizione fondamentale di ogni azione magica. La creazione di un semem enecessariamente magi­ca, sempre che si ammetta, in generale, l'esistenza di azioni magi­che. Se esiste qualche cosa di magico, allora si deve considerare soprattutto il semem in statu nascendi, nella cui formazione si espri­me la massima tensione e la piu farte concentrazione dell'atten­zione. Gli strati di deposito del seme non restano inattivi nella pa­rola, ma ricordano piuttosto i rotiferi che senz'acqua seccano, e nuovamente si rigonfiano in presenza di umidita. La stessa cosa succede con il semem che, una volta creato attraverso la partecipa­zione di un intero popolo, giace come morto fino a quando la pa­rola non viene usata, ma quando entra a far parte del flusso del di­scorso vivo il semem si ridesta a nuova vita e si riempie di forza e si­gnificato interiori. Equi evidente la disposizione antinomica della parola. Giuntami dall'esterno, prelevata dalla stanza dei tesori del­la lingua e del popolo, la creazione estranea viene creata ex novo da me riusandola, viene nuovamente immessa in statu nascendi e ogni volta diventa piu fresca e nuova. lo sono semicosciente e, analiz­zando rapidamente gli strati del seme, concentro la mia attenzio­ne creativa, e la mia attenzione non resta solo mia, ma diventa quella generale, quella del popolo, diventa sovrapersonale, pro­prio come l'attenzione generale del popolo che ha formato e de­positato gli strati del seme diventa la mia attenzione approprian­domi di quella parola. Nella parola io esco dai confini del mio li­mite e mi unisco alla volonta dell'intero popolo, che supera inflni­tamente la mia volonta individuale, e ció non solo in questo preci­so momento storico, ma in un modo incommensurabilmente piu profondo e sintetico: mi unisco con la volonta del popolo che ha storicamente trovato la sua espressione cosciente nella formazio­ne proprio di questo semem in una data parola. La parola esinerge­tica, l'energia [...] (if manoscritto in questo punto eiacunoso, n.d.r.). Quasi seguendo i flletti di una vite, la mia attenzione penetra at­traverso i depositi nel semem e si concentra quanto mai potrebbe farlo con uno sforzo individuale. La parola eun metodo, un me-

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todo di concentrazione. Nella parola io dispongo della volonti storica di un intero popolo raccolta in un punto focale, e non si tratta di forza, ma semplicemente della capaciti di indirizzarla nel­la direzione da me desiderata. Con la parola che io pronuncio si mette in moto la mia veriti concentrata, la forza della mia atten­zione accumulata, e si sospinge avanti nello spazio. Se incontro un oggetto in grado di ricevere un impulso della volonta, allara la parola vi provoca quel cambiamento che quest'oggetto ecapace di sperimentare, e penetra nell'oggetto con tutte le spire della vo­lonta che estata ridestata in colui che ha pronunciato la parola at­traverso le spire del Seme. Se l'oggetto della nostra parola eun uo­

mo, o un altro essere dotato di ragione o per lo meno di coscien­za, allora questa parola entra, insieme ad altri effetti, e produce, in viríU di un'ingente spinta di volonta dell'intero popolo, una pres­sione che obbliga a sperimentare, a vivere gli strati sovrapposti del semem, a percepirli e a riflettervi, di modo che tutta la sua attenzio­ne ne risulti indirizzata in quella direzíone e venga provocata la corrispondente espressione della volonta. L'essenza dell'effetto nasce dal fatto che i depositi del semem non si danno arbitrariamente nella parola, ma in un certo ordine che e piu che semplicemente logico. Basta discernere l'estremiti del filo che la potente volonta e la complessa ragione del popolo ha avvolto in gomitolo. Esuffi­ciente afferrare questa estremiti in modo che la necessaria conse­quenzialiti conduca lo spirito individuale lungo il ft10, per quanto lungo possa essere, e questo spirito giungera impercettibilmente all'altro estremo, al centro della matassa: giunge a concetti, a per­cezioni e a un volere cui non pensava minimamente di sottoporsi. La forza dell'effetto di una parola suscitata dal suo semem consiste nella struttura a spirale attraverso cui la parola attira qualche cosa. La parola eun condensatore della volonta, un condensatore dell'at­tenzione, un condensatore dell'intera vita dell'anima. Essa adden­sa la vita nello stesso modo in cui la spugna di platino addensa l'ossigeno nei suoi porí, provocando sull'idrogeno quell'effetto straordinario. Ano stesso modo agisce la parola: con maggior for­za, prima, sulla vita dell'anima in colui che la pronuncia, e poi, quale effetto, sull'oggetto a cuí la parola pronunciata eíndirizzata. Dice bene Vitruvio: «Vox est spiritusfluens et aereis ictu sensibifis audi­

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dei punti focali, definiti col termine <<llomi», e per quale motivo questi punti focali, pur essendo «apparenti», sembn"no essere delle realti.

1 nomi - sostiene l'empirista - non sono realti. - Puó darsi, ma l'umanita li prende per talio 1 nomi non hanno energia - prosegue l'empirista. - Puó darsi, ma l'umaniti gliene riconosce. 1 nomi non possono essere formule creative della personali­

ti - argomenta l'empirista, tirando cosi le conc1usioni alie sue pre­messe.

Al contrario, basta la convinzione dei popoli per fare dei no­mi i focolai della creazione della personaliti. L'umanita pensa in­fatti i nomi come forme sostanziali, come esseri che formano i lo­ro portatori, quali prima erano dei semplici soggetti non caratte­rizzati. Sono categon"edell'essere. E se l'ambiente sociale ritiene che siano categorie, questo allora esufficiente per farli diventare impe­rativi sociali. Un imperativo, espresso nei confronti di un ambien­te e dell'individuo, egia una parola creativa. 1 nomi sono espressi con un sia (che diventi) formato dalia sostanza delle sue parti. Co­si i nomi diventano un creativo «che diventi», che forma i membri della societi. Essi hanno un significato normativo, e tutto ció che etroppo rigido per accogliere l'impronta dei nomi viene espulso dalia societi, e quindi deperisce, oppure diventa l'inizio di luoghi comuni nuovi e piu solidi per le generazioni future. Se per esem­pio a un bambino viene dato il nome Napoleone, fin da bambino ci si aspetteranno azioni napoleoniche, o per lo meno si cerchera di eliminare tutto ció che potrebbe rappresentare una negazione degli atti napoleonici nella sua personaliti. Il fatto che il neonato venga bollato «come Napoleone» si da a ogni ora, a ogni minuto, dovunque e da ciascuno, attraverso la volonti collettiva del popo­lo. E come un'ipnosi di massa, che non puó essere compresa se non considerando che queste relazioni possano avere degli effetti su di lui, produrre degli effetti napoleonici. Le leggende dei santi, allivello piu alto, e i soprannomi allivello piu basso, le figure nelle favole, nei proverbi e nei modi di dire, i tipi letterari, le osservazio­ni nella vita quotidiana, tutte queste cose conferiscono ali'im­magine che l'uomo ha del carattere di questo e quel nome una for-

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ma specifica, una certezza. 1 nomi hanno qualche cosa di definito e compiuto. Ogni nome eun mondo proprio, cruuso in sé. Que­sta e la pn"ma condizione dell'umaniti. E la seconda e che il nome come tale, ogni nome, ha involontariamente un effetto, non puó cioe restare senza effetto su colui che lo porta, e ció risulta, come detto, un imperativo. Se i nomi hanno un effetto, aliora ogni singo­lo, Ivan, Pavel, Alexander, dev'essere cosi o cosi; aliora ogni sin­gola non puó far altro che corrispondere al proprio nome. Cia­scuno ha perció davanti ai propri occhi l'imperativo di vivere se­condo il proprio nome, di rendere giustizia al compito del nome. E se anche uno non presentasse nel carattere alcuna disposizione in tal senso, cercherebbe tuttavia di apparire cosi come il nome gli richiede; la maschera che porta fin dali'infanzia, nell'eta matura si confondera col suo volto. Ció valga a spiegare, schematicamente, perché i nomi realmente divengono sintesi superiori, rappresen­tando cosi il contenuto fondamentale della scienza storica. E ció e un esempio di come si possa parlare di magia senza toccare la me­tafisica. Ma non penso sia utile temere la metafisica, essendo anzi dell'avviso che tale spiegazione non basti a esprimere tutti gli aspetti dell'effetto magico.

7*

Rimane non chiarita, soprattutto, l'unione tra fonema e seme­ma, su cui veramente si basa la parola in quanto totalita. Sul piano linguistico tale unione e costituita dal morfema, in quanto da un lato esso determina i suoni dei fonemi, e dall'altro sviluppa, a partire dal significato originario della parola che pure edato dal morfe­ma, tutta la pienezza dei depositi del semema. Anche il punto di concentrazione magico della parola sarebbe da ricercare nello stesso punto dove abbiamo rinvenuto il centro di concentrazione linguistico. Se attraverso il morfema, che rappresenta la dupliciti di suono primario e senso primario, si salda nella parola il suono e il senso, aliora bisogna supporre che, nella sua sfera magica, il morfema della parola unisce in sé l'effetto ultrafisico del fonema e l'effetto infrapsichico del semema, agendo cosi in entrambe le di­

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rezioni, oppure, piu precisamente, produce degli effetti che si tro­vano Ira la sfera puramente fisica e la sfera puramente psichica, fa cioe parte della sfera celata nel senso diretto della parola. In altri termini, nell'espressione individuale di cio che e definito come forma, la parola si carica, attraverso gli organi che la producono, di un'energia particolare. Ora, non e tanto importante il nome che diamo aquesta energia - energia nervosa, o astrale, fluído, o altri termini di questo tipo -, perché ne conosciamo troppo poco le caratteristiche e siamo percio piu inclini a mescolare energie mal­ta diverse tra loro. Consapevoli della nostra ignoranza vogliamo definire questa energia, aqueste energie, come si presentano, e te­nerne a mente soltanto la caratteristica individuale, ovvero che queste hanno dei tratti non distinguibili che appartengono sia alla sfera psichica sia aquella fisica.

Ma, prima di tutto, esistono energie simili? E possono venir prodotte dali'organismo umano? Ritengo che aqueste domande non si possa dare una risposta negativa, dopo tanti esperimenti che hanno attestato che scaturiscono dal carpo; dopo che, con l'ausilio di fJ1tri, sano state fotografate e analizzate; dopo che e stato verifi­cato come possono attirare e respingere masse pesanti. Per non perderci nei dettagli ricordiamo soltanto gli esperimenti di Paul Juar, con un apparecchio che luí chiamava stenometro e che consi­ste in un lancetta che poggiando su un perno, appeso a un fJ10 di se­ta, gira leggermente sotto una campana di vetro. Una scala permet­te di leggere per quanti gradi la lancetta dello stenomeno oscilla. La forza di queste oscillazioni e individuale e dipende dalia forza di nervi del soggetto sperimentale, tenendo canto che in un uomo sa­no ha piu forza la mano destra della mano sinistra, mentre nel caso di nevrastenici la mano sinistra porta la lancetta dello stenometro a un'oscillazione maggiore di quamo non faccia la destra e che negli isterici, dopo la crisi, la forza scaricatasi sparisce del tutto. Juar ha dimostrato una volta ancora che la forza dei nervi si puo trasmette­re e viene immagazzinata in diverse materie: alcune la imrnagazzi­nano bene, altre maleo La quantiti di forza che J uar ha analizzato e esigua, ma non si tratta dell'entiti, bensi di riconoscere in linea di principio tale forza. Pur trattandosi, negli esperimenti descritti, di quantita di forza molto piccole, tuttavia non vi e dubbio che la

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quantiti di forza possa essere aumentata, con adeguati procedi­menti, illimítatamente. La scelta dei portatori adatti, il tipo, il modo di creare loro le condizioni favorevoli per l'emanazione della forza attraverso l'anestesia, l'ipnosi, il fumo ... : tutto cio modifica - con i diversi effetti sul sistema nervoso, o, piu precisamente, sugli orga­ni a esso collegati sull'emanazione dell'od-l'emanazione dell'od stesso. Una volta che yerra riconosciuto che l'uomo puo passare i propri limiti, anche in maniera esigua, si sara aperta la via al ricono­scimento di effetti di qualunque entiti. L'esempio dei fenomeni mediatici, dove non si tratta piu soltanto dell'oscillazione della lan­cetta leggera di due decimi di grado sullo stenometro, ma del fatto che pianoforti da concerto e tavoli vengono spostati o addirittura sollevati, chiarira meglio l'idea.

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L'emanazione di od aYVÍene nei punti della superficie corpo­rea in cuí terminano determinati nervi importanti. Per la fmissima innervazione degli organi vocali e necessario un sistema nervoso malta sviluppato. L'atto della parola, del discorso, persino del di­scorso piu banale e l'apice della maturiti interna di un determina­to processo, il grado ultimo della soggettiviti e il primo dell'oggettiviti. La pronuncia di una parola somiglia a quel mo­mento in cuí un aereo in decolla si egia staccato dalia pista nella parte anteriore e ancora la tocca nella parte posteriore. Intelligen­te o sciocca, profonda o superficiale, la parola e il massima che una persona puo dare quand'e matura e non puo far altro che sciogliersi verso l'esterno. Se pero si scioglie verso l'interno e non indirizza la sua forza a cio cui e destinata, aliara questa puo risulta­re rovmosa.

Le parole dell'amore che non ha detto N ella mia anima mi bruciano e mi flagellanos.

Ecco: le parole bruciano e ustionano perché non si sano potu­te pronunciare quando era il momento di farlo. Eppure e la funzio­

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ne delIe parole quelIa di venir pronunciate, e penetrando nelI'anima altmi produrre illoro effetto. La parola epertanto la massima ma­nifestazione delI'atto vitale di ogni persona, la sintesi di tutte le sue azioni e reazioni, la scarica dellivelIo di vita interiore che si eaccu­mulata, l'affetto che edivenuto manifesto. In origine, quando an­cora si dominava meno la parola e la vita interiore spezzava con maggior pressione lo strato sottile della coscienza delIa vita di ogni gíomo, o quando gli uomini erano piu prossimi alla sorgente delI'estasi paradisiaca, la parola, secondo le piu recenti tesi dei lin­guisti, non veniva pronunciata, ma piuttosto si liberava dal petto colmo di eventi e di esperienze sovracoscienti. Era una parola total­mente creativa, che estaticamente si tuffava nel mondo. In quel tempo la parola non detta, non pronunciata, veramente ha lacerato e divorato il petto in cuí era serbata. Infine, occorrera ricordare che la massa d'aria che forma la parola si origina direttamente dai punti di concentrazione del nostro fisico e che viene nutrita e permeata dall'od nelIa misura in cuí ció epossibile a un certo organismo in una condizione di massima attenzione interiore.

Riassumiamo quanto abbiamo detto. Tutto ció che sappia­mo delIa parola ci conferma in quale alto grado essa sia carica del­le energíe occulte delIa nostra essenza: energíe che vengono im­magazzinate nelIa parola e che con ogni uso delIa parola ulterior­mente si accumulano. Tra gli strati del semema si trovano deposi­tate riserve inesauribili di energía, flussi di energía di milioni di labbra vi sono confluite. 11 secondo aspetto di questo arricchi­mento del senso delIa parola el'innalzamento dellivelIo occulto del semema, l'arricchimento delIa molteplicid occulta delIa paro­la, delIa totalid. La parola viene scoperta pronunciandola come il violino viene scoperto suonandolo. 11 vero significato delIa parola lo si ha pronunciandola, cosi come le qualita del violino si com­prendono suonandolo, similmente a una goccia di miele che riu­nisce in sé i succhi piu svariati delIe piante piu diverse. La parola diventa oltremodo un coagulo di od finemente strutturato e stra­ordinariamente addensato, che einsolitamente durevole e conser­va la sua individualita occulta per secoli. In generale continua a

'-{crescere nelIa direzione che ha assunto in certi casi specifici, ma puó anche disgregarsi e morire per cause interne o esteme.

Il valore magico della parola / 73

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Abbiamo osservato rapidamente tutti e tre i cerchi delIa pa­rola, e abbiamo appurato, per ciascuno di essi, che la parola eun piccolo mondo chiuso, un organismo che mostra una struttura fi­ne e una composizione complessa fortemente addensata. Ora, se siamo stati cosi audaci da definire ciascuno dei tre momenti delIa parola un organismo, allora abbiamo ancora piu motivo di defi­nirla tale in quanto totaliti. Essa presenta il momento fisi­co-chimico che corrisponde al corpo, e il momento delI'od che corrisponde al corpo astrale. Detto altrimenti, la parola in quanto prodotto delIa nostra essenza nelIa totalid eeffettivamente il ri­specchiamento delI'uomo, e se la base delIa parola rappresenta il rispecchiarsi del carattere nazionale o addirittura delI'umaniti in­tera, alIora, secondo la suddetta antinomia, questo rispecchiarsi delI'umanid diventa il rispecchiarsi delIa mia personale umanid e, attraverso di me, la parola rispecchia e trasporta le influenze di co­loro che hanno formato la mia personalid; «personaliti» non inte­sa in senso puramente psicologíco, ma in senso totale, integrale, quale i Santi Padri hanno espresso nel termine ipostasi, anima e corpo e corpo astrale nelIa loro uniti individuale. Si puó discorre­re del fatto che nelIa parola emergono i geni delIa mia personalita. Entrando con la mia parola in un'altra personalid apro in essa un nuovo processo di personalid; entrando come per caso nel­l'ambito in cuí la parola si unisce con la sua risposta, che per la sua formazione necessita di questa parola, unita alI'amen delI'ac­cettazione, la parola viene sottoposta a un processo che edifficile non definire cariochinesi, divisione delIe celIule. Tale divisione delIe celIule delIa parola va intesa come la celIula origínaria delIa perso­nalid, perché anche la personalita altro non eche un aggregato di parole sintetizzato nelIa parola delIe parole, ovvero nel nome. Effettivamente una parola, non appena e penetrata in un'altra personaliti e vi estata a sua volta accettata, si divide in soggetto e predicato, formando in questo modo una frase. In questa frase il soggetto e il predicato a loro volta si dividono formando nuove frasi: cosi il processo delIa continua divisione amplia la parola e forma nelIa personalid nuovi tessuti che a loro volta diventano

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fecondi non appena si sano sviluppati oppure, detto altrimenti, non appena la parola creatrice che ne sta alla base, e che e penetra­ta nella personalita, e maturata al punto giusto.

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Confrontiamo dunque la parola con il seme, il discorso con il genere, il parlare col principio maschile e l'ascoltare col principio femminile, l'azione sulla personalid con il processo della fecon­dazione. Il paragone non enuovo, e non c'e rappresentante del pensiero místico dell'antichita che sia estraneo a tali paragoni.

Pensiamo a Platone, che sulla scia di Socrate ha sviluppato una teoria erotica del sapere: il tendere al sapere e il desiderio d'amore, la non-espressione del sapere non ancora maturo e la gravidanza; l'aiuto che rende possibile l'espressione e la maieuti­ca; la comunicazione del sapere e la fecondazione, la dottrina e come la tensione delle anime al parto, e casi via. Ecco cosa ascol­tiamo, a ogni passo, da Socrate e da Platone. E se pensiamo che l'Accademia era totalmente costruita sui principi della gnosi eroti­ca, iliora non ci sara difficile seguire il pensiero secando cui le af­fermazioni di Platone non sano semplici metafore, semplici ana­logie superficiali, ma esprimono l'essenza della cosa. E infatti an­che Platone vedeva la similitudine del seme nella parola. D'altra parte il «seme» di cui parla la parabola evangelica del seminatore, secando la spiegazione che ne ha dato il Salvatore «e la parola» (Mc 4, 14). Questo paragone lo troviamo in innumerevoli passi, nei piu svariati autori. Ma qui non vogliamo citare singoli passi, quanto piuttosto approfondire ulteriori elementi del paragone studiato.

L'uomo ha una struttura polare, la parte superiore corri­sponde esattamente alla parte inferiore. Il polo superiore e infe­riore sano omotipici e il sistema urogenitale del polo inferiore corrisponde, dal punto di vista degli organi e delle funzioni, esat­tamente al sistema respiratorio e vocale del polo superiore. 1nol­tre il sistema e l'attivita del sesso troyano la loro esatta corrispon­denza polare nel sistema e nell'attivita della voce. Non e questa la

Il valore magico della parala ! 75

sede per approfondire il rapporto diretto dei due sistemi. Sottoli­neiamo soltanto che le secrezioni del sesso e quelle della parola sano omotipiche, le ultime maturano come le prime ed escono all'esterno per la fecondazione. Vi eun certo paradosso insito in questa omotipia, e lo si smarrisce se non si tiene in canto che il se­me apparentemente e solo una goccia di liquido: in venta e un es­sere altissimamente misterioso, un essere intelligente, come dice­vano gli antichi, poiché eil portatore della forma, di qualcosa di piu sapiente di quanto il piu sapiente potrebbe escogitare, della ra­gione oggettiva e di quella soggettiva, del pensiero; e inoltre e cari­ca di energie occulte il cui scambio rappresenta il centro dello scambio tra i sessi. TI seme ha cioe il suo morfema, il suo semema e il suo fonema: e questa e la parola, che produce illegame soprat­tutto da parte dell'ousía umana. Tutto ció che si dice contra la pa­rola pronunciata, contro la sua presunta nullita, ugualmente vale per il seme, salvo che qui l'accento non va tanto sulla insignifican­za materiale della goccia di seme, ma sulla sua mancanza di strut­tura e di significato, mentre le obiezioni alla parola muovono con­tro la sua materialita. Si puodire contro la goccia di seme cio che si vuole, lo si puo considerare solo un liquido e per- di piu quanti­tativamente insignificante: esso tuttavia origina il concepimento, ne nasce un uomo. E per quanto si possa ritenere insignificante anche il discorso, esso agisce tuttavia nel mondo e si crea il suo si­mile, e come il concepimento non necessita di una coscienza per­sonale, casi anche la fecondazione attraverso la parola non esige la consapevolezza, perché la parola e gil! nata dentro la societa, ovvero da un creatare di parole, o, piu precisamente, da un colti­vatore di parole che gia esistevano. Questo e il motivo per cui la parola magicamente potente, almeno sui livelli bassi della magia, non necessita assolutamente dello sforzo di volanta individua1e, o addirittura della comprensione chiara del suo significato. E la pa­rola stessa che concentra l'energia spirituale; essa, in un certo sen­so, se ne nutre, quando esiste la minima volanta di pronunciarla, cioe un minimo sforzo interiore. Se poi ha preso vigore o, piu esattamente, ha sviluppato le sue potenze, ció e proprio in virtu del contatto con lo spirito che, al di sopra delle sue intenzioni, le ha consentito di avvicinarvisi, muovendo nella direzione che indi­

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ca l'atto della sua intenzione. Una guaritrice, con le sue formule mormorate il cui significato nemmeno lei capisce, o un sacerdote che pronuncia preghiere parti delle quali sono a lui stesso incom­prensibili, non sono affatto fenomeni assurdi, come superficial­mente puó sembrare. Non appena quella formula viene pronun­ciata, e indicata e fissata la relativa intenzione - il proposito di pronunciare la formula. Si stabilisce cosi il contatto tra parola e persona, e dunque ecompiuto l'atto piu importante. Il resto av­

líi; viene da sé, in virtli del fatto che la parola gia esiste come organi­smo vivente, con struttura ed energie proprie. Certo, una miglior comprensione, una maggiore immedesimazione e una volonta 1;

In piu forte sarebbero, naturalmente, fattori favorevoli per il rivelar­I1

'1 si della parola nel caso specifico; ma questo fattore purifica me­glio i passaggi occlusi verso la parola di quanto producano essi stessi l'effetto e dopo un primo successo iniziale anche minimo, certamente non epiu necessario.

1 Florenskij fa qui riferimento alla teoria statistica della distribuzione delle molecole di un gas ideale elaborata da C. Maxwell. L'idea del "demone distributore" ela personi­ficazione di uno dei parametri di questa teoria.

2 W. Ostwald, Die Energie, Leipzig 1905, p. 144.

3 Lucretius, De rerum natura IV, 526-527. 4 Vitruvio, De architectura, V, 3. 5 K. Bal'mont, Slova ljublJi, Moswa 1900.

* Sia nel manoscritto che nel dattiloscritto il sesto paragrafo emancante

Sul nome di Dio

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Su! nome di Dio / 79

Perché la disputa di Athos! nei nostri tempi epraticamente cessata, e non estata piu portata avanti?

Perché concentriamo la nostra attenzione troppo poco sull'indirizzo generale, sulle linee fondamentali della nostra vita, del nostro pensiero e delle nostre azioni. Pertanto, adesso, non voglio occuparmi di dettagli, ma delle questioni di fondo sollevate dalla disputa di Athos.

Solitamente non si affronta la questione a partire dal punto di vista corretto, vale a dire dai suoi presupposti fondamentali. L'errore nasce dalla mancanza, insita nel nostro tempo, di una comprensione generale del mondo; ciascuno si accontenta di frammenti e di pezzi delle piu svariate idee, cosa che non rara­mente porta all'errore, perché il pensiero accetta delle condizioni in cui egia insito il rinnegamento del cristianesimo, ci sano gia i germi di questo rifiuto che immancabilmente, e contra la sua vo­lanta, necessariamente conducono l'uomo al rinnegamento di tutto.

Ma si possono indicare alcune esperienze concrete attuali sulla cui scorta epossibile accostarsi al problema. Vi sano oggi, nella nostra vita, la visione del mondo ortodossa e mtta una serie di visioni che contengono in sé stesse idee non ortodosse, o con condizioni che alla lunga inconsciamente conducono all'imbito non ortodosso. Dal punto di vista esteriore si distinguono appena dall'ortodossia, perché le loro tesi sano formulate in modo quasi identico, per cui la differenza tra queste e l'ortodossia non consi­ste in questa o quella formula, ma nell'indirizzo generale del pen­Slero.

Se noi formuliamo la nostra visione del mondo senz'altro se­cando il senso dell'ortodossia, in realti ci siamo discostati gra­dualmente e quasi senza accorgercene dalla struttura della vita ec­clesiale e ci troviamo sulla stessa via del protestantesimo. Ecco un esempio2: al posta della candela di cera che ha un senso casi pro­fondo ci sano nelle nostre cruese tubi di latta nei quali viene versa­to qualcosa, non olio, ma una qualche miscela. Al posta della luce naturale simbolica, abbiamo una luce elettrica priva di vita, il vino non evino d'uva, come se tutto questo fosse indifferente; la nor­ma non viene seguita, le formule del culto vengono modificate

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subendo una trasformazione molecolare. All'inizio le singole pa­role della lingua ecclesiastica slava vengono sostituite da parole russe, poi interi passaggi, poi tutto e russo. Ma una volta che si cambi la nostra liturgia ed essa non corrisponda piu all'ordina­mento e alla norma, allora ecruaro che cosi il culto viene imman­cabilmente falsificato.

Certo, ciascuna di queste sostituzioni epiccola e di poca im­portanza, ma senza entrare nella discussione se sia veramente pic­cola o no, viene da cruedersi: che cosa significa tutto questo? Per­ché un qualche significato lo dovra avere questo soppiantare tutto ció che eecelesiale, e in sé deve apparire come un processo ineso­rabile di cm non si intravede la fine.

Alla base di questo fenomeno sta la mancanza del timore di Dio. Il timore di Dio significa la sensazione di trovarsi costante­mente faccia a faccia con l'Essere Supremo, di sperimentare con­tinuamente con tutti i nostri sensi, con tutto il nostro organismo, con tutto il nostro essere uno strato ontologico a cm le nostre mi­sure consuete non si adattano. E la mancanza di questo sentimen­to che ci induce ai cambiamenti nel culto. Noi non ci permettia­mo di fare dei cambiamenti in un appartamento altrui, di spostare mobili, di modificare la biblioteca, ma nella Cruesa lo facciamo senza conoscere i motivi segreti che determinano l'esistenza dell'ordinamento; in una parola, ci comportiamo come se non fossimo in una casa di Dio, ma in un'istituzione umana.

La causa di tutto ció ela mancanza dell'ontologico nella no­stra visione del mondo; noi non portiamo a termine alcun pensie­ro e dimenticruamo continuamente che cosa eautentico e che co­sa esecondario in un fenomeno. Dimenticruamo che la nostra re­alti esoltanto l'imitazione di un'altra realti superiore, e che non e un valore in sé, ma eportatrice di un'altra realta piu alta. Dimenti­cruamo che il culto a Dio non euno spettacolo su un palcosceni­co, ma la rivelazione di un altro strato nella nostra sfera dell'es­sere.

Una simile visione del mondo, una simile comprensione del mondo eespressa molto raramente in termini cruari, evero, ma tanto piu difficile eda combattere e tanto piu gravi e pericolosi sono i suoi effetti. E un po' come nel caso di un incendio latente.

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Ce il fumo, non epossibile cruudere la stufa, ma non si sa dove si trovi il fuoco e il carbone che brucia. Una tale comprensione del mondo puó essere caratterizzata come una visione non religiosa, come positivismo.

Questa visione si eformata e ha atteccruto nella societi russa per motivi sia storici, sia psicologici. Il protestantesimo general­mente e legato a correnti dualistiche, e queste nella Rus' erano ampiamente diffuse. Il bogomilismo3, la cm diffusione e stata ostacolata al Sud, si espinto al Nord, contagiandone la popolazio­neo Da qm il rifiuto di tutto ció che riguarda la carne presente nel popolo semplice e nell'intelligencija ¡L. Tolstoj, Sonata a Kreuzerj, un ascetismo non per amore di Dio, ma dovuto a una sensazione di ribrezzo nei confronti del corpo e del mondo. Inoltre, si pre­suppone segretamente l'inconciliabiliti tra Dio e il mondo, l'impenetrabiliti del mondo per Dio, e di qm si nega la possibilita di una trasfigurazione del mondo e della risurrezione del corpo. Dal punto di vista ftlosofico questo epositivismo, agnosticismo (poiché, se si traduce ftlosoficamente l'idea dell'inconciliabiliti di Dio e mondo, allora si arriva all'agnosticismo che afferma l'impermeabiliti tra essere e Veriti). Il punto di vista ortodosso vede invece il mondo permeato dai raggi della Veriti, vede in que­sto mondo un altro mondo, scorge nell'essere delle creature il simbolo di un altro mondo. Il rinnegamento del nome ecosi il rinnegamento della possibiliti del simbolo.

Il concetto di simbolo eil punto decisivo nella questione del nome di Dio; il rinnegamento del nome eun attentato a questo e un tentativo di distruggere tale concetto. Rinnegare il nome ecosi pericoloso proprio per il fatto che questo atteggiamento epene­trato segretamente dappertutto. Non ha rappresentanti di rilievo e sembra che nessuno abbia precisamente la colpa della sua nasci­ta; non si esprime neppure in questa o quell'idea, ma in una gene­rale comprensione del mondo che viene recepito in modo poco cosciente o addirittura inconscio. La questione del simbolo e la questione dell'unione di due esseri, di due strati dell'essere, uno superiore e uno inferiore, unione nella quale quello inferiore in­elude anche quello superiore e puó essere permeato e nutrito da quello superiore. Invece secondo i bogomili e il positivismo, que­

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sti strati dell'essere non sano uniti, poiché aqueste interpretazioni della realt:i e estranea la percezione del valore dell'essere.

Ecco alcuni esempi di simboli: 1) 11 libro. Che cos'e un libro? La domanda puó avere risposte differenti a seconda che prendia­mo in considerazione illato esteriore o che badiamo soprattutto al suo contenuto interno, secando se, per esprimerci casi, ci inter­roghiamo sul corpo o sull'anima del libro. Dal punto di vista piu basso, materiale, il libro consiste in un certo numero di fogli di carta di un determinato formato, di una particolare rilegatura ecc. Su questa carta sano stampati trattini e punti, il colore e di questa aquella composizione chimica ecc. Ma per quanto ci spingiamo avanti in questa direzione, cioe per quanto profondamente pos­siamo analizzare l'aspetto esteriore e illato materiale, non incon­treremo mai la sua Essenza superiore che ci offre un concetto del libro come di uno dei mezzi spirituali per esprimere e fissare il pensiero umano. 11 nesso tra il senso da un lato e la carta e l'inchiostro dall'altro e inspiegabile, ma evidentemente non si puó dubitare che esso sussista, altrimenti non potrebbe essere un li­bro. Qui lo strato ontologico inferiore e unito organicamente a quello superiore, e ció avviene in un modo che se noi distruggessi­mo quello inferiore, verrebbe distrutto anche quello superiore.

2) 11 seme della pianta. In esso e racchiusa la vita della pianta, esso serba in sé un qualche cosa di piu grande e di qualitativamen­te maggiore di quanto sia visibile in esso.

3) 11 complesso della parola. Una parola puó crescere come cre­sce una pianta; la crescita della parola avviene gradualmente, fin quando e diventata un organismo capace di fecondare altre anime. Nella Sacra Scrittura l'analogia di parola e seme e una delle piu tenaci, e lo stesso vale per il pensiero umano, piu o meno profondo, di tutto il mondo. La struttura omologa del nostro organismo spiega lo stret­to legame che esiste tra le nascite fisiche e la nascita spirituale.

Tutti e tre questi esempi hanno due lati, uno visibile e l'altro invisibile, due piani di azione che si sostengono e si rafforzano re­ciprocamente come l'anima e il carpo nell'uomo. Ma noi siamo inclini a stimare poco il carpo della parola e a ritenere che sia qual­che cosa di insignificante. Spesso diciamo «e solo parola, e soltan­to una parola». Tale punto di vista prepara psicologicamente il

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terreno al rinnegamento del nome [imeboicestva]4. Se illato sonoro della parola, il suo carpo, non e praticamente nulla O'anima intan­to qualche cosa vale), allora si forma il divario tra carpo e anima della parola, di cui parla il rinnegamento del nome. Esso sostiene questa opinione perché tende a osservare tutte le cose in modo ra­zionale, ma la parola, come ogni simbolo, sta al di fuori di ogni comprensione razionalistica. 11 carpo della parola sembra a prima vista elementare. Ma anche il tipo di approccio occidentale alla parola, peraltro assai grossolano e poco profondo, distingue co­munque in essa per lo meno tre strati.

1. Qualcosa di fisico, il fonema. Con questo si intende sia l'oscillazione dell'aria, sia quelle sensazioni interne dell'organismo che abbiamo producendo i suoni della parola; sia, infine, gli im­pulsi psicologici che emergono pronunciando la parola. Per pri­mo strato della parola si intendono allora tutti i fenomeni fisiolo­gici e fisici che si hanno quando viene pronunciata una parola.

2. 11 morfema. Ogni parola e subordinata a determinate cate­gorie, o, per dirlo in linguaggio gnoseologico, e immessa all'in­terno di categorie logiche come essenza e sostanza, o grammati­cali (genere ecc...). In generale tutto ció che ci viene in mente nel­la nostra immaginazione iniziale (per esempio, sentendo la parola betulla ci viene in mente tutto ció che sappiamo sulla sua crescita, sulla fecondazione, sul succo aromatico, sulla sua struttura, su! suo utilizzo come materiale combustibile, sui suoi elementi chi­

mici). 3. Lo strato del semema: il significato della parola. Esso

oscilla e cambia continuamente: per esempio, oggi pronuncio la parola betulla con aria di sognatore, domani la pronuncio con aria di economo. Per questo motivo, la parola si carica di un certo re­trogusto. Lo si percepisce con chiarezza nella poesia, a seconda del genere d'opera. Per comprendere correttamente una parola bisogna arguire dal contesto che cosa vuole dire l'uomo che in quel momento la pronuncia. Una parola e malta piu ricca di quanto lo sia per se stessa. Ogni parola e una sinfonia di suoni, re­ca potenti depositi storici e racchiude un intero mondo di concet­ti. Sulla storia di ogni parola si piu scrivere un intero libro, e un'epoca del pensiero si distingue da un'altra proprio per il fatto

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che essa apporta differenti stratificazioni alla parola. Il fonema e la struttura ossea della parola, ció che vi e di piu

rigído e che e meno necessario, pur essendo nello stesso tempo indispensabile per la vita della parola. 11 morfema e il carpo della parola e il semema la sua anima. Tutto questo e presente nella pa­rola, cosi come nel seme e presente l'intero organismo, cosi come il figlio riceve il suo organismo dal padre e casi come si puó dire che il padre epresente nel figlio, tenendo canto che del padre si conserva intatto l'organismo. Si rende qui percepibile la differen­za tra ousía ed enérgeia5• L'organismo come tale e anche l'attiviti dell'energía ivi presente, e questa energía che si distingue dall'organismo e nel cantempo la sua energía, da esso inseparabi­le, di modo che se noi veniamo in contatto con la sua energía ne­cessariamente lo tocchiamo. 11 padre ha il suo organismo e il figlio e l'opera della sua energía, la sua autorivelazione, ma non la sua essenza, e lo stesso vale per la parola.

La disputa di Athos risale alla vecchia disputa di Palamas, ai tempi di san Sergío di Radonei il quale si interessó particolarmen­te al dibattito in corso e mandó un allievo in quelluogo. 11 nostro tempo assomiglia pienamente aquel tempo, soltanto che si sono scambiate le parti. La situazione storica in cui e stata condotta la disputa di Palamas assomiglia alla nostra: come la Russia attuale, Bisanzio era alla ricerca di un sostegno esterno, e si vedeva espo­sta a diversi tipi di castrizione.

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11 terreno per le dispute sulla luce taborica era gía stato pre­parato dalle vecchie dispute sul filioque. I cattolici, per sminuire il significato dello zelo di fede sull'Athos, tendevano a far apparire la preghiera del cuore come tentazione, e come errata la fede dei disputanti secondo cui essi entravano in rapporto con Dio, tanto da considerare l'esicasmo come un'esperienza che non porta l'uomo al di fuori della sfera terrestre. Barlaam sosteneva che o agli esicasti appare qualcosa di creato, che quindi non porta al di la dei limiti della creatura e dunque nel rapporto con Dio costituisce una pura allucinazione, oppure essi entrano in rapporto con l'essenza di Dio. Ma dato che questa unione di creatura e Creatore non e possibile, non resta che la prima ipotesi, cioe che essi si sba­glino sulla natura della luce da essi scoperta. Ora, se il risultato dei

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loro sforzi di fede e un autoinganno, se il coronamento del loro impegno e un imbroglio, allora anche tutto il cammino della loro esperienza e un abbaglio rovinoso, per cui bisogna farla fInita con Athos. Barlaam era convinto che Dio fosse semplicemente Essenza, nella cui natura non era necessario distinguere nulla al di fuori della divinid, e se qualcosa di diverso vi fosse stato, sarebbe parso solamente un'illusione della nostra astrazione umana sog­gettiva. Di conseguenza - e il pensiero di Eunomio -, la divinita o e indefinibile, nella misura in cui la sua essenza e incanoseibile, o e pienamente conoscibile, vale a dire che si deve accettare o l'agnostieismo, nel caso in cui Dio ci e completamente sconosciu­to, o il razionalismo, nel caso in cui Dio si esaurisce completa­mente nei nostri concetti.

Palamas era invece di quest'avviso: in Dio esiste, accanto ali'Essenza, anche l'attiviti, l'autorivelazione, l'autopresentazione della sua Diviniti. Questa energía divina puó essere comunicata agli uomini, e noi uomini, se veniamo in contatto con questa attivi­ta di Dio, veniamo in contatto con Dio stesso. Palamas non ha det­to niente di nuovo, ha semplicemente ripetuto ció che gía era stato detto dai Santi Padri. Come dicono gli anatemi dei Santi Padri, <<nessun effetto ha soltanto ció che non esiste»; dove esiste un effet­to, esiste anche la causa dell'effetto, e un effetto rivela attraverso se stesso l'essenza, e viceversa. All'essenza corrisponde anche un'attivid, casi che il nome di Dio puó essere riferito alio stesso modo alia denominazione Dio casi come anche al suo effetto divi­no. Ma ci si potrebbe chiedere: tale effetto e stato creato da Dio, o gli era proprio fin dali'inizio? Cioe, e qualche casa di creato, oppure qualcasa di increato? In greco Dio si dice Theós e Divinid Theó­tes. Dato che l'essenza e la causa dell'effetto e che un effetto esiste, aliora deve esistere anche la causa che lo produce; d'altra parte, tut­to ció che esiste ha fondamentalmente un effetto, di modo che non puó esistere un essere senza effetto e, di conseguenza, esistono es­sere ed energía l'uno accanto ali'altra, reciprocamente condizionan­tisi, e non uno dopo l'altra. Per questo motivo si puó chiamare Dio sia Dio, sia la sua energía, e si puó dire «io vedo Dio». Tuttavia, sic­come l'essenza di Dio non puó esserci comunicata, noi dobbiamo o fare assolutamente a meno della parola <<Dio», oppure denotare

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con questa l'energia divina. Perció si puó e si deve dire «Dio mi ha guarito», e non <d'energia di Dio mi ha guarito». Si deve accettare che o questa tesi e inconfutabile, o noi siamo completamente sepa­rati da Dio (se riconosciamo quest'ultima asserzione, siamo peró in preda all'agnosticismo).

Un altro esempio: io posso dire «questo e il sole»; in verita io vedo solo la sua energia, ma e l'energia oggettiva del sole, e perce­pendola noi abbiamo la visione diretta del sole (ma se ci si mette dalla parte del kantismo si deve dire, in ultima analisi, io vedo solo un processo che sta avvenendo dentro di me).

Siamo in grado di uscire dal complesso delIe nostre percezio­ni soltanto se riconosciamo l'incontro sponsale delI'oggettivo con noi. lo posso dire delI'atto delIa conoscenza: «Ecco, sono io che conosco il sole e questo e il sole conosciuto». Di conseguenza, in me avviene l'unione di due energie, e quindi in ultimo di due so­stanze. L'unione di due energie porta il nome di !)'ne'Y,eia, comu­nanza di energie O'intero processo di guarigione e sinergetico). La parola e sinergia di colui che conosce e delIa cosa, soprattutto nel riconoscimento di Dio. L'energia umana e il contesto e la condi­zione per lo sviluppo delI'energia superiore: l'energia di Dio.

Di un libro si puó dire: «Questa e carta»; oppure: «Questa e una grande opera d'arte»; si puó dire sia una cosa sia l'altra, ma e piu giusto indicare il senso spirituale del libro che non la condizio­ne delIa sua produzione. Si puó dire che il Vangelo e mezzo chilo di carta, oppure che il nome di Dio eun suono, ma se da un certo punto di vista si puó parlare anche del peso del Vangelo, per esempio contenuto in un pacchetto postale, tuttavia e piu corret­to riferirsi alIa caratteristica piu importante, alI'anima di questo simbolo. Un fisico puó dire: il nome di Dio e un insieme di suoni, si, ma non sOltanto di suoni. Dare la precedenza a una verita di rango inferiore, mettere la parte al posto del tutto, e menzogna.

Il nome di Dio e Dio, ma Dio non e un nome. L'essenza di Dio e piu alta e superiore alIa sua energia, sebbene questa energia esprima l'essenza del nome di Dio. Ció che io vedo quando vedo il sole e il sole, tuttavia il sole non si esaurisce nelI'effetto che eser­cita su di me. O ancora, se io sento la voce di un conoscente, pos­so dire: questo e N. N., ma quelIa e solo la sua voce, lui e qualcosa

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di incomparabilmente piu alto delIa sua voce, poiché ha una quantiti di altre caratteristiche individuali e non si esaurisce affat­to nelIa sua voce. Oppure, questo eN. N., ma in effetti e soltanto una sua fotografia, e lui vi e presente soltanto attraverso la sua energta.

Negli esempi citati possiamo peró distinguere l'energia de1­l'uomo da lui stesso solo per il fatto che percepiamo l'uomo, oltre che per la sua voce e il suo aspetto, anche attraverso altri modi.

Possiamo guardare un oggetto e la sua energia o dall'alto ver­so il basso o dal basso verso l'alto, cioe giungere dall'oggetto alIa sua energia oppure dalI'energia all'oggetto. Dato che peró Dio lo si puó guardare soltanto dal basso verso l'alto, non possiamo se­parare l'energia da Dio, non possiamo distinguere Lui stesso e la sua energia in Lui.

E con ció siamo di nuovo giunti alla questione del simbolo. Il simbolo e un essere tale che la sua energia e confluita nelI'energia di un altro essere superiore; perció si puó affermare, anche se potrebbe sembrare un paradosso, che il simbolo e una realti che e piu di se stessa.

Da cmarire resta tuttavia la questione dellegame tra cono­scenza e denominazione. La parola potrebbe non essere connessa a un'articolazione vocale. Il primo momento nelI'atto delIa cono­scenza e quando noi ci rivolgiamo a un essere da riconoscere; e un processo ancora soggettivo, ma improvvisamente giunge il mo­mento del grido interiore nel riconoscimento delIa realti. Questo e il primo atto delIa penetrazione nelIa sfera oggettiva. La deno­minazione viene a identificarsi con la conoscenza. Dice Simeone il Nuovo Teologo: «Una mente che non partorisce parole non puó neppure comprendere parole». Dio e denominabile, questo e il primo principio delIa conoscenza cristiana. Ne1 panteísmo non nominiamo Dio, ma nelIa rive1azione tutto comincia con questo; prendiamo il colIoquio con la donna di Samaria: «Noi sappiamo cm adoriamoé, vale a dire Lo denominiamo. Prima delIa venuta di Gesu Cristo si poteva vedere che da un lato si cercavano gli dei, dalI'altro si cercavano i nomi. Dopo la venuta di Gesu Cristo la ri­cerca di diviniti sconosciute non era piu necessaria. Con l'annuncio del «Dio sconosciuto» Paolo ha iniziato il suo discorso

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all'Areopag07• 11 cristianesimo el'annuncio del nome di Gesu Cri­

sto e del Vangelo, l'invito a confessare il nome di Cristo, ma noi sostituiamo la confessione del nome con la confessione di Gesu stesso. Ció che non comprendiamo eil significato, il peso del no­me di Dio che emerge nella Bibbia, e con speciale chiarezza nell'Antico Testamento.

L'impressione psicologica del nome di Dio eun'impressio­ne di peso. E come se ti cadesse in testa un lingotto d'oro. Nel­l'Antico Testamento il concetto di Nome di Dio equasi identico a quello di Gloria di Dio: tra i due c'e spesso una relazione. Noi siamo inclini a pensare che il nome di Dio sia la somma delle lodi degli uomini e degli angeli, ovvero qualcosa di incostante e oscil­lante, ma in effetti equaIcosa di sostanziale, di fecondo nella sua realti. La sua realta puó essere data agli uomini soltanto con la rivelazione: la gloria di Dio riempiva il Sancta Sanctorum come u­na nuvola. Non ha niente a che vedere con le opinioni caduche, oscillanti, con i giudizi degli uomini. Tutto il mondo ecreato per l'onore di Dio, e cosi esiste tutto l'essere. In generale nella Sacra Scrittura i concetti di Gloria di Dio e nome di Dio sono cosi vici­ni che, detto grossolanamente, sono la stessa cosa. Davide dice a Golia: «Tu vieni con la lancia, ma io nel nome di Dio» (nella tra­duzione russa)8. Nel testo ebraico si trova la rima, la ripetizione e l'assonanza:

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Vieni vengo con la spada nel Nome di Dio

11 russo s [con] non rende il vero senso di be, cosi come vo [nel] - nel nome di Dio. E piu vicino al significato originario il greco en tó onómati. Be ha in primo luogo un significato strumenta­le: tu vieni con l'aiuto della spada, io invece con l'aiuto del nome di Dio. In secondo luogo, un significato spaziale, dell'ambiente in cui si svolge l'azione. In terzo luogo un significato causale, che mostra l'origine come risultato dell'unione del primo e del secon­do significato (cfr il battesimo nel Nome). In russo si traduce me­glio, e piu correttamente, con lo strumentale, anche se ció condu-

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ce a un grande impoverimento del testo. Davanti alla parola shem [nome] nel testo biblico si trova spesso la preposizione be, al 59% in tutto, quindi la preposizione ke, il15% delle volte, e le altre pre­posizioni il rimanente 26%. La preposizione be equindi intrinse­camente imparentata con shem, ónoma. In questo modo il nome as­sume un significato creativo e attivo. lo vengo con il nome di Dio, allo stesso modo in cui vengo «con la spada in mano», e non in nome di un'idea astratta. Qui la concretezza del nome come stru­mento, come ambiente e come causa viene espressamente sottoli­neata. «Quelli si fidano di carri e cavalli, ma noi invochiamo il no­me di Dio» (Sal 20, 8). Implorando il nome di Dio noi siamo in grado di resistere ai cavalli e ai carri. L'aspetto strumentale e locale del nome di Dio si estende anche a colui che, pronunciando il no­me, viene con esso in contatto. Lo stesso pensiero si trova nell'espressione «benedire o condannare nel nome di Dio». Nel­l'interpretazione della Bibbia ció significa che il nome stesso be­nedice o condanna. Noi quindi siamo solo lo strumento della sua azione e l'ambiente fecondo in cui egli agisce. 11 nome mi guida, ma per questo c'e bisogno che io sia d'accordo. 11 nostro rapporto con il culto divino mostra che noi abbiamo raggiunto un punto di vista che si avvicina al rinnegamento del nome, perché se noi gra­dualmente modifichiamo la liturgia, se ne strappiamo fibra dopo fibra, allora ci si chiede dove sia l'Assoluto e l'immodificabile, do­ve corra il confine tra imitazione umana e autenticita divina. Forse si puó eliminare un po' per volta tutto. Perché se ci si mette dal punto di vista del rinnegamento del nome, per esempio, non sia­mo in grado di rispondere alla domanda se una persona sia vera­mente battezzata. Se le forme liturgiche sono di origine puramen­te umana, e di conseguenza la benedizione di Dio dipende dalla volonta degli uomini, come possiamo allora sapere il grado della fede dd genitori e il desiderio del sacerdote di compiere il mistero, come possiamo sapere se questo e sufficiente? In una parola, se sono date tutte le condizioni che permettono che la benedizione scenda sul battezzato? Quindi e meglio rinnegare subito tutto, perché non ha senso partecipare aquesta lotteria. Ci si scalda solo nei propri sentimenti pu, ma anche i sentimenti hanno una ragio­ne di esistere solo nella misura in cui noi crediamo che siamo ca­

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paci, per qualunque idea, di distaccarci dall'ambito della creazione e di passare i limiti della sfera terrena.

La stessa cosa si puó dire anche quando i rinnegatori del no­me sostengono: «Noi non preghiamo una tavola di legno, ma pre­ghiamo Dio». Aliora, io chiedo: (<1)ove si deve cercare la radice della loro fede, dove si vede che essa e veramente tale?». La rispo­sta alla domanda si trova nella prafonda e diretta convinzione di ogni uomo, non importa chi sia, che implorando il nome di Dio lasciamo il nostra ambito immanente, cosi come aprendo la fine­stra lasciamo entrare la luce nella camera. La finestra e qualcosa che fa parte della casa, e un'apertura che consente alla luce di en­trare da fuori; dalla finestra si puó dire: «Li c'e il sole!»; e cosi si puó dire dell'energia divina: ti c'e Dio. Qui c'e la garanzia che ve­ramente il culto e culto di Dio, e non uno scaldarsi nei prapri sen­timenti pii. Qui sta la garanzia nei misterio

Il metropolita Filarete ha detto che i misteri si realizzano nel nome di Dio. Ció significa che li compie il nome di Dio, e noi sia­mo soltanto la forza mediatrice (per esempio, lo sono il desiderio del sacerdote di celebrare il culto, la sua e la nostra decisione di implorare Dio ecc ...). Nella preghiera noi doniamo il nostra cor­po affinché il nome di Dio o la gloria di Dio vi si ríveli. Noi diamo il consenso: avvenga secondo la Tua parala, poiché il nome di Dio ci viene dato e non siamo noi a crearlo. Spesso questo aspetto non viene da noi compreso. Ecco un esempio dove la giusta com­prensione del nome di Dio viene cancellata o confusa, e non cor­rettamente interpretata: Gv 14, 26: «11 Consolatore [...] lo Spirito Santo, che il Padre mandera nel mio nome», pémpsei ho pater en tó onómatí Mou. Leggendo questo testo siamo disposti, senza dare la minima motivazione ftlologica, a tradurre en tó onómatí Mou con «per la mia volonta»; ma questa interpretazione e sbagliata. Si con­franti Gv 14, 14: ti an aitéseté me en tó ónómati Mou) toútopoiéso, «qua­lunque cosa chiederete nel mio nome». La parala mja [me] manca nella lingua russa eslava, per qualche motivo la parala greca me non e entrata nella traduzione, praprio la parola greca in cui tra­viamo l'identificazione di Colui al quale si rivolge la preghiera. En te onómatíMou non dev'essere reso con «per la mia volonta», o «per me», ma con «attraverso il mio nome»; vale a dire, se la preghiera

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avviene nel mio Nome, nel mio ambiente, voi entrate nel nome di Gesu Cristo, nella sfera di Gesu e si da il contatto diretto con lui.

Anche per la nostra percezione diretta vale la stessa cosa. Se noi diciamo: «Signore abbi pieta!», allora puó esistere una frattura, uno spazio intermedio, un muro divisorio, oppure anche solo una membrana sottilissima tra Signore e Dio, e dovremmo rimanere

bloccati nella nostra soggettivita?! Ma, per quamo astrattamente possiamo comprendere que­

ste cose, qualunque teoría possiamo elaborare, noi siamo assolu­tamente convinti che pronunciando il nome di Dio entriamo in

modo vivo in Colui che e Nominato.

1 Si tratta della disputa che sorse intorno agli scritti di padre Ilarion, Na garachKavka­za (Sui monti del Caucaso) e di Antonij Bulatovich Apologjja very vo Im;a BoZ/e i vo Im;a Ii­sus (Apologia della fede nel nome di Dio e nel nome di Gesu) in cui veniva esposta la

pratica della preghiera del nome in uso presso alcuni monasteri del Monte Athos. Il Santo Sinodo condannó nel 1913 come eretica la posizione degli imeslavcy (veneratori del nome) sostenendo che l'opinione secondo cui invocando il nome di Dio si speri­mentava la sua presenza reale era da ritenersi superstiziosa. In realtá la Risoluzione ema­nata dal Sinodo non riusci a placare la polemica e la questiohe venne messa all'ordine del giorno del Concilio Panrusso inauguratosi nel 1917. Gli eventi rivoluzionari inter­ruppero peró la discussione che stava prendendo una piega favorevole agli imeslavcy e

la condanna rimase invariata. [N.d.T.] 2 Il contesto di questi esempi riportati da Florenskij ela tacita «riforma» liturgica che

si sviluppa nei primi anni dopo la presa di potere dei comunisti anche grazie all'isolamento imposto dal potere sovietico alle gerarchie ecclesiastiche che non hanno

piu cosi rapporti diretti con le comunitá locali. [N.d.T.] 3 Setta cristiana sorta in Bulgaria nel seCo X che sosteneva un radicale dualismo tra re­

altá spirituali create da Dio e realtá terrestri opera del demonio. Ne conseguiva una mo­rale basata sul rifiuto di tutto ció che si riferisce al corpo. [N.d.T.]

4 Nel dibattito sulla venerazione del nome sviluppatosi negli anni Dieci nella Chiesa russa e tra gli intellettuali appartenenti alla rinascita religiosa gli imeborcestvy (negatori del nome) sostenevano una posizione nominalista negatrice del valore sostanziale della pa­

rola. [N.d.T.] 5 La distinzione tra ousía ed enéry,eia ela struttura portante della teologia palamita. La

realtá, secondo Palamas ecostituita dalla compresenza di due forze, una eentripeta che spinge gli enti all'autoconservazione (ousía), marcandol'inconoscibilitá radicale della lo­ro essenza, e una centrifuga (enéry,eia) che invece fonda la manifestazione esteriore e quindi la loro conoscibilitá. Sia Dio che il mondo esistono grazie all'antinomica com­

presenza di questi due principio [N.d.T.] (, Gv 4,21. [N.d.T.] 7 At 17,22-31. [N.d.T.] H 1 Sam 17,45. [N.d.T.]

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Fin dalla remota antichita due capacita conoscitive sono sta­te considerate come le piu nobili: l'ascoltare e il vedere. 1 diversi popoli talvolta hanno messo l'accento sulI'una, talvolta sull'altra; l'antica Grecia esaltava la superiorita del vedere, l'Oriente attribu­iva maggior valore alI'udire. Ma, comunque si rispondesse alIa domanda su quali delIe due fosse superiore, mai si edubitato del ruolo centrale di queste due capacita negli atti conoscitivi e, di conseguenza, mai si edubitato del valore straordinario delI'arte fi­gurativa e delI'arte delIa parola: esse sono attivita che si radicano nei piu preziosi sforzi delIa conoscenza.

L'osservazione fin qui condotta sulle due massime attivita ci consente di trarre un bilancio quanto alI'attivita conoscitiva in ge­nerale. Essa costruisce simboli: simboli del nostro rapporto con la realta. Il presupposto delIa nostra attivita, sia per l'arte pittorica che per l'arte delIa parola, e la realta. Dobbiamo percepire l'ef­fettiva esistenza di cio con cui veniamo a contatto, di modo che inizi un'attivita culturale, riconoseibile nelIa sua globalita come necessaria e preziosa. Senza il presupposto di questo realismo la nostra attivita si rivela o esteriormente utile, al servizio del rag­giungimento di qualche profitto molto prossimo, ovvero este­riormente dispersiva, un'occupazione artificiale del tempo. Se non comprendiamo che ogni atto di cultura everita, non saremo in grado di riconoscergli dignita interiore e vera umanita. L'il­lusionismo, in quanto attivita che non conta sulIa realta, rinnega per sua natura la dignita umana. Il singolo uomo si chiude nel sog­gettivo e taglia in questo modo illegame con l'umanita, e di con­seguenza verso l'umanitarieta. Se non si percepisce la realta del mondo, alIora si disgrega l'unita delIa coscienza universale e, di conseguenza, anche l'unita delIa personalita cosciente di sé. Il punto-istante, che non enulIa, pretende di essere tutto; al posto delIa legge delIa liberta regna il capriccio del destino. La prospetti­va nelIa pittura e lo schematismo nelIa letteratura sono le conse­guenze di questo distacco dalla realta: tra l'altro, non tanto delIe conseguenze, ma piuttosto l'unica conseguenza: la pura attivita delIa ragione, ovvero la legge di identita del pensiero astratto. Il punto-istante [tocna-mgnovenie] viene qui posto come qualcosa di esclusivo, che nega la realta delIa pienezza delI'essere e pone se

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stesso come assoluto. Ma tagliando fuori e separandosi da ogni veriti, questa assolutezza rimane per natura solo una richiesta for­male, che egualmente spetterebbe a qualsiasi punto-istante, a qualsiasi lo. Il «punto di vista» nella prospettiva eil tentativo della coscienza individuale di distaccarsi dalla reald, addirittura dalla propria realta: dal corpo, dal secondo occhio e persino dal primo, dall'occhio destro, poiché anch'esso non eil punto matematico, l'istantaneita [mgnovenie] matematica. Tutto il senso di questo pun­to di vista prospettico, di questo locus standi, sta nella esclusiviti, nella singolarita: un punto di vista nella prospettiva estupidaggi­ne, perché non appena si spiega un punto nello spazio e nel tem­po definendolo un punto di vista, si nega agli altri punti dello spa­zio lo stesso significato. Bisognerebbe rendersi conto una volta per tutte del yero significato della prospettiva; questa non equal­cosa di positivo, il punto di vista non ha determinazioni e caratte­ristiche positive proprie; viene determinato esclusivamente in modo negativo: esso e«non ció» che sono tutti gli altri punti; per­tanto contenuto della prospettiva si puó definire soltanto la nega­zione di ogni altra realta rispetto a quella del punto dato. Se infatti si ammettesse una realta al di fuori di tale punto, sarebbe possibile anche un altro punto di vista, e perció il postulato di base della prospettiva, l'unita prospettica, verrebbe radicalmente violato. Non a caso, nella storia irrealismo e prospettivismo si sono rivela­ti compagni di strada; uguali nella loro essenza, hanno la stessa in­terpretazione culturale, il primo in base al suo senso interno, il se­condo in base alla sua espressione. Illoro nome comune eillusio­nismo. Cosi succede nell'attivita pittorica, dove l'idea irrealistica si rivela nel vedere, e cosi enell'attivita della parola, che efinalizzata all'ascoltare. La costruzione di uno schema verbale rivela una comprensione irrealistica della lingua, la lotta contro il nome. Essa, come la prospettiva, muove dalla negazione della realta; vu­ole dare nella parola non la realta ma l'illusione della reald, un als ob che dev'essere preso come realta e che non solo non lo e, ma che addirittura, secondo la sua natura, nega la realta nella sua es­senza. Ma lo schema non potrebbe spacciarsi per realta se non in­sistesse sulla sua unicita e negasse ogni altro schema. Se ammet­tesse l'esistenza di un altro schema, la coscienza dovrebbe di con-

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seguenza ammettere anche un altro centro per la costruzione del­lo schema, nel tempo e nello spazio, e perció anche una realti al di fuori di sé, al di fuori del qui e ora. Privo di ogni concretezza, que­sto centro, questo io astratto, resta formale, ed edunque determi­nato in modo puramente negativo. In breve: sul centro del discor­so si potrebbero dire le stesse cose che si sono dette sul punto di vista.

All'illusionismo si contrappone il realismo. La coscienza del punto singolo nel qui e ora non ha realti alcuna. La legge dell'identiti, che sia nell'ambito della vista - prospettiva - o dell'udito - astrattezza [atvlecennost] -, distrugge i legami esi­stenziali e condanna alla chiusura in se stessi. La realta edata sol­tanto nella vita, nel contatto vivo con l'essere. La vita eun conti­nuo capovolgere l'autoidentiti astratta, un continuo morire del singolo per crescere in comuniti [sobornost]. Vivendo, giungiamo alla comunione con noi stessi nello spazio e nel tempo come un organismo unitario; da singoli elementi che si escludono l'un l'altro secondo la legge dell'identiti, particelle, cellule, stati d'a­nimo, noi ci raccogliamo in uniti. Cosi ci raccogliamo per diven­tare famiglia, stirpe, popolo ecc.; ci uniamo diventando umaniti, e comprendiamo nell'uniti dell'essere umano tutto il mondo. Ma ogni atto che crea comunione rappresenta nello stesso tempo un raccogliere diversi punti di vista, punti schemo-prospettici. Ció che viene definito prospettiva inversa corrisponde pienamente al­la dialettica. Da un lato nell'ambito della vista, dall'altro nell'am­bito dell'udito, ma in fondo l'uno e l'altro sono una sintesi pro­dotta dal movimento, dalla vita. Alla immobilita astratta dell'illu­sionismo si oppone il rapporto vivo con la realta. Cosi brillano i simboli della realta che continuamente nascono nella moltepliciti di rapporti vivi, e sono essenzialmente comunitario Pur partendo da me, questi simboli non appartengono a me, ma all'umaniti, esi­stono oggettivamente. Se per l'illusionismo il desiderio interiore e in grado di dire, a proposito di un'attiviti culturale: emio, benché l'opera sia compilativa e arraffata, nella percezione realistica del mondo il creare viene ispirato proprio dalla possibiliti di poter di­re, di quanto e stato creato: non e mio; esiste oggettivamente. L'aspirazione dell'illusionismo e inventare, quella del realismo,

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trovare, trovare ció che e eterno dell'essere. L'inventare, quando e veramente tale, presuppone l'essere chiusi in una soggettivid, il trovare invece e uno sforzo che mira all'essere. Il rapporto reali­stico con il mondo e nella sua sostanza un rapporto di azione: e la vita nel mondo. La comprensione del mondo illusionistica e pas­siva, non puó essere attiva, perché non ammette alcuna percezio­ne della reald, mentre la comprensione del mondo realistica sa con certezza che della reald bisogna appropriarsi in modo attivo e fattivo.

Proprio perché non siamo circondati da sogni fugaci che si susseguono senza forza e senza sangue, secondo il nostro capric­cio, bensi da una reald che vive una sua vita propria in relazione con altre reald, e perció non facilmente accessibile, ci si pretende lo sforzo di riagganciare sempre rapporti con essa, di scavarvi sempre nuovi percorsi: questi sono i simboli. Essi sono gli organi del nostro contatto con la reald, e attraverso di loro veniamo in contatto con ció che finora era stato tagliato fuori dalla nostra co­scienza. Nell'immagine, noi vediamo la reald, e nel nome la sen­tiamo. 1 simboli sono fori, aperture nella nostra soggettivid. Cosi, che cosa c'e da meravigliarsi, se essi, che ci rivelano la reald, non si sottomettono alle leggi della soggettivid? Non bisognerebbe meravigliarsi del contrario? 1 simboli non si troyano sul piano del­la ragione: sono strutturalmente antinomici. Ma illoro aspetto an­tinomico non parla contro di loro, ne e anzi garanzia di autentici­d. La visione del mondo illusionistica, non viva, passiva, cerca a ogni costo di raggiungere un'unicita astratta, e tale unicid esprime l'essenza piu profonda del nichilismo del Rinascimento. Non ne consegue, forse, che l'attivid del mondo realistica, quella che mira alla vita attiva, deve partire dal riconoscimento fondamentale del­la molteplicid comune [sobornlj mnoiestvennostt], addirittura degli strumenti del nostro rapporto con l'essere?

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La percezione del mondo rinascimentale, ponendo l'uomo in un vuoto ontologico, lo condanna alla passivid, e in questa pas­

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sivid si scompone l'immagine del mondo, e l'uomo stesso si divi­de in punti-istante che si escludono a vicenda. Questo, in realta, ne e il vero effetto. Sarebbe peró un errore interpretare tale di­sgregazione dell'intero solo come una minaccia teoretica, troppo estrema per diventare reald storica. Il pericolo che sembrava sta­re a una distanza indefinita si e ora avvicinato enormemente alla cultura, e non sono affatto considerazioni astratte quelle che ci costringono a riesaminare gli insegnamenti della vecchia cultura: e piuttosto la pressione della vita. Come membri del genere uma­no, come personalid, non siamo in grado di vivere fra i prodotti dell'autoavvelenamento della cultura rinascimentale. Ci ribellia­mo a questa cultura; e in questo non sono solo: siamo in molti, la maggioranza. Quando un fisico o un biologo o un chimico, o ad­dirittura uno psicologo, un filosofo, un teologo dicono dalla cat­tedra una cosa, e nelle dissertazioni scientifiche ne dicono un'altra, e poi nel privato hanno percezioni contrastanti con le condizioni di base del loro pensiero, ció non significa forse che la loro personalita si e disgregata in piu personalid che si escludono a vicenda. Se si guarda in profondid, e facile scoprire la sconnes­sione interiore delle lezioni, delle dissertaúoni e del sentimento nei confronti della vita. La personalid si disgrega affermando astrattamente l'unitaried della sua azione. Ma questo non e co­munione, sintesi e unificazione creativa, bensi disgregazione, me­scolanza meccanica; in una parola non evita, ma morte. E la mor­te non e la conseguenza della cattiva volond di questo o quel mo­vimento culturale, ma il risultato inevitabile dello sviluppo nella cultura.

Gia da tempo, forse a partire dal XVI secolo, abbiamo smes­so di percepire la globalid della cultura come vita nostra; gia da tempo la singola personalid, a eccezione di pochi casi, non e piu in grado di elevarsi ai vertici della cultura senza gravissime perdi­te. Gia da molto tempo la partecipazione alla ricchezza viene con­quistata sacrificando la globalita della personalita. La vita si di­sgrega in diverse direzioni, ed e impossibile andare in tutte le dire­zioni contemporaneamente. Ogni direzione di vita e a sua volta sfaccettata in settori specifici, in attivita culturali distinte, e questo di converso comporta la frammentazione in singole discipline e in

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ambiti circoscritti, che poi a loro volta devono essere ulterior­mente suddivisi. Ai singoli problemi della scienza, ai singoli con­cetti teoretici corrisponde l'estrema specializzazione nell'arte, nella tecnica e nella societi. E visto che spesso si fa sentire il disa­gio nellavoro automatizzato della fabbrica, che consente a ogni operaio solo in misura minima di comprendere il meccanismo, o una costruzione la cuí destinazione forse nemmeno conosce, allo­ra non bisogna forse considerare molto piti dannosa e spiritual­mente distruttiva la specializzazione dell'attiviti della ragione e dell'anima, in confronto aquesta specializzazione delle mani? Gia da tempo l'oggetto di un settore specialistico e inaccessibile non solo all'incolto, ma persino allo specialista del settore attiguo. Si, addirittura allo specialista dello stesso settore, una sottodisciplina puo apparire inaccessibile. Se un matematico prende in mano il nuovo numero della sua rivista specializzata e non trova niente per sé, perché non capisce una sola parola di tutti quegli articoli, cio non e forse una reductio ad absurdum del corso della nostra civi­lizzazione? La cultura e l'ambiente in cuí crescono la personalita e la natura, ma se la personaliti in tale ambiente e ridotta alla fame e cerca disperatamente di respirare, cio non testimonia forse che nella nostra vita culturale qualche cosa e fuori posto? La cultura e un linguaggio che unisce l'umaniti, ma non ci troviamo farse in una confusione linguistica in cuí nessuno comprende l'altro e tutti i discorsi servono solo ad accentuare la reciproca alienazione e a conferirle un aspetto quasi definitivo? Non e solo che l'alienazio­ne entra furtivamente nell'uniti della personaliti, ma la personali­ti non comprende piti se stessa, perde il contatto con se stessa e viene dilaniata tra punti di vista che reciprocamente si esc1udono e che si piacciono di esc1usiviti. Uno schema astratto, un'uniti prospettica, il perspekt, hanno scacciato dalla vita la personaliti e l'hanno costretta a un'esistenza illegale ai margini della civilti, nei cortili interni, cioe fuori dal mondo pubblico, la dove lavara per una civilti che l'ha resa schiava e la sta distruggendo.

Ma l'uomo non puo essere reso schiavo definitivamente. Ver­ra il giorno in cuí si liberera del giogo della civilti rinascimentale, anche se con cio dovra rinunciare ai vantaggi che essa gli ha conces­so. Lo sconvolgimento piti forte delle basi della cultura e imminen­

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te; le scosse sotterranee di questo terremoto sono state percepite piti volte nel corso del secolo scorso. Goethe, Puskin, Tolstoj, Nietzsche, e in epoca contemporanea Spengler, hanno messo in guardia da queste forze catastrofiche. All'aspetto minaccioso delle loro rivelazioni e profezie non si puo ovviare pubblicandone le opere omnie e vendendo cartoline con i loro ritratti. L'edificio della cultura espiritualmente inaridito. Si puo continuare a costruirci qualcosa sopra, e certo si continuera a farlo. Non e l'impatto di pro­iettili di grosso calibro che provoca i cambiamenti piti significativi nella storia, bensi un sorriso ironico. La fine di un'epoca storica non si riconosce dai fuochi del bengala e dai "tutti" dell'orchestra, ma dallo sguardo di occhi piti acuti che sono volti al lato opposto dell'orizzonte culturale. La disputa, la lotta, la persecuzione testi­moniano sempre di una certa necessici storica di cio che e contro­verso. Ma viene l'ora in cuí non si litiga piti, e allora si sanno persino apprezzare le finezze della civilti morta. Tuttavia viene pronuncia­ta la parolina «non necessario», e questo decide tutto. Tutto il resto e il decadimento naturale della casa abbandonata. La scolastica non e morta fin quando e stata avversata: la disputa e stata la garanzia del suo esser viva. Cartesio l'ha lasciata semplicemente da parte, senza contraddirla, senza rimprovero, senza ira, ed e andato avanti per la sua strada. Questo gesto noncurante ha deciso del suo desti­no: era la fine della scolastica e l'inizio della nuova visione filosofica del mondo. Voglio dire che la lotta al pensiero rinascimentale ean­cora in corso, ancora ne critichiamo i presupposti e la cultura che ne enata. Probabilmente e l'ultima battaglia. Quelli che verranno dopo di noi pronunceranno il loro fatidico «non e necessario», e tutto il complesso sistema della civilti esanime crollera come all'epoca e crollato l'alto edificio dell'astrologia, come e crollata la scolastica, come sono crollati i grandi imperi, e crollano perché non sono piu necessario

Cio non significa affatto che quel che crolla fosse imperfetto nel suo genere e non avesse assolto questo o quel compito che gli era affidato, come in generale edifficile immaginarsi che un gran­de fenomeno starico che si sviluppa nell'arco di secoli non possa essere stato utile a suo modo, visto che cultura vuol dire essenzial­mente attiviti finalizzata a uno scopo. Ma il compito alla cuí rea­

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lizzazione deve servire questo fenomeno pUÓ risultare inutile, O

per lo meno pua non valere la forza che si edovuta investire per la sua soluzione. Aliora l'umanita rifiuta, con il compito, anche i mezzi; cosi il padrone di casa abbandona la casa cadente, la cuí manutenzione divora tutto il suo patrimonio, e offre si a chi vi abita molti locali, ma solo locali inaccoglienti. La famiglia preferi­sce trasferirsi in una casetta piccola, ma piu adatta alla vita, e la ca­sa grande decade sempre piu rapidamente, fin quando una cata­strofe naturale la distrugge del tutto. La civilta dei tempi moderni euna casa di questo genere, che divora tutte le forze e che costrin­ge l'uomo al suo servizio piuttosto che rendergli la vita piu facile. L'uomo fa un lavoro da schiavo per la cultura senza ricevere altro compenso che l'amaro riconoscimento del suo isolamento, del suo impoverimento e frammentazione. Cosi alla fine decide di far le valigie, di cambiar casa per vivere in modo meno appariscente, ma in compenso piu corrispondente alle vere esigenze della sua famiglia. Si potrebbe pensare che un determinato modo di pensa­re un tempo era necessario, quando la scienza sperava di poter oc­cupare nel mondo il posto della metafisica, e che ora perde il suo senso, visto che deve confessare davanti a se stesso che alla fine tutto si esaurisce in una costruzione di schemi. Ebbene, questo modo di pensare non ha mai corrisposto ai bisogni interiori dell'uomo. Nel corso del suo sviluppo ha sempre solo dimostrato la sua inadeguatezza. La comprensione scientifica del mondo sempre meno corrispondeva allo spirito dell'uomo, non soltanto in senso qualitativo, ma anche in senso quantitativo, poiché supe­raya la capacita di comprensione del singolo. La scienza voleva appropriarsi di tutto cia in cuí la personalita cerca la sua soddisfa­zione. Il risultato di tali sforzi e stata una gigantesca macchina di cuí non si sa che farsene; non si pua certo parlare di soddisfazio­neo E come se si fosse costruita una casa su dozzine e dozzine di chilometri quadrati, con stanze alte chilometri e, dentro, altrettan­ti oggetti di arredamento. Quale utilita potremo trarre da bicchieri con capienza di cento secchi, o da maniglie lunghe quanto l'albero di una nave, da sedie alte come un campanile e da porte che pos­sono aprirsi soltanto con l'aiuto di una meccanica colossale, per cuí forse occorrerebbero degli anni?

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La visione scientifica del mondo ha perduto cosi sia in senso quantitativo, sia in senso qualitativo, la misura con cui dobbiamo misurare tutto, ovvero l'uomo. Naturalmente, una comprensione del mondo priva di azioni non ha lirniti nell'astrazione, pua fanta­sticare e aggiungere un numero infinito di zeri a una qualsiasi cifra. Ma questa espressione a piacimento si fonda su una mancanza di responsabilita nei confronti della vita. Un pensatore di tal genere e fondamentalmente convinto che non dovra testare le sue costru­zioni sulla base della vita, per cuí illoro aspetto fantastico non viene smascherato dai veri bisogni dell'uomo. Un simile pensatore non si cura del mondo; egli afferra quel pezzo di vita che gli piace e segue la sua strada, da qualche parte, lontano dalla vita, nel deserto della soggettivita in cui si e incamminato; naturalmente nessuno lo ri­chiama all'ordine. Luí basta a se stesso, ma allontanandosi mental­mente dall'umanita egli si pone anche al di fuori di se stesso, perché in quanto uomo non pua uscire dalla natura umana, e quindi nem­meno dal suo contatto con l'umanita. Questa soggettivita disuma­na, che sulla base di una strana incomprensione si spaccia per og­gettivita (di se stessa), procura al pensatore la scissione della co­scienza: come pensatore egli pensa e dice- esattamente il contrario di cia che dice e pensa come uomo. Parlando dalla cattedra, egli ri­fiuta la misura con cuí in realta misura la vita, e che gli procura il vi­gore vitale anche per la sua attivita in cattedra.

L'uomo moderno ha una doppia contabilita. Questa avra avuto un senso finché la dottrina tardo medioevale della duplice verita governava sovrana e gli uomini credevano nella scienza co­me alla verita piu vera. Il kantismo, il positivismo, la fenomenolo­gia, l'empiriomonismo e altri hanno abbattuto questa dottrina fi­no alle fondamenta. La scienza non ela verita, non vuole assolu­tamente esserlo, ma intende essere gradevole e utile. Se fosse la verita, anche la piu cruenta che distrugge me e i miei criteri, allora, io che sono un uomo, sarei costretto a piegarmi e mi piegherei. Ma, mi viene spiegato, sulla verita non posso ardire né sperare; in compenso posso attendermi utilita e comodita. Bene, allora mi permetto, come uomo, di decidere da me ció che ritengo utile e comodo, e mi si risparmi ogni benevolenza e non mi si costringa ad accettare delle comodita. Forse la vostra casetta da favola sa­

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rebbe gradevole ai giganti, sono affari loro, ma per la vita che con­duciamo io e i miei prossimi - e i miei prossimi nelI'umanid so­no tutti gli uomini - questo tipo di domicilio ecompletamente inadatto, e chi meglio di me potrebbe sapere che cosa per me e gradevole o comodo o sgradevole? Una scienza che estata desti­tuita dal trono delIa verid dei suoi fautori e che mantiene tuttavia l'etichetta di corte delIa verid, o eridicola o edannosa. Ma io, che sono un uomo, non trovo motivo di tormentarmi in cerimonie ci­nesi che si spiegano come pure e semplici convenzioni e che non danno a1cun contributo alIa conoscenza. lo non ho né tempo né forza di studiarli, perché la vita non aspetta. La vita esige attenzio­ne e sforzo: vivere una vita non ecome passeggiare in un campo. Ecco, se si vuole fare un bilancio, io, uomo degli anni Quaranta del XX secolo, non voglio caricarmi del peso delIe vostre contro­versie prive di azione, delIe vostre incertezze e perfezionismi. Le vostre costruzioni saranno magnifiche, tanto magnifiche quanto un tempo era l'etichetta presso il re Sole; ma a me, che cosa im­porta di questo, che cosa importa delIe vostre finezze, e delIe fi­nezze di Versailles? La mia casa epiccola, la mia vita ebreve, e la mia misura equelIa delI'uomo. Senza amarezza e senza ira, ubbi­dendo semplicemente alIe esigenze delIa vita e delIa mia responsa­biliti verso la vita, io volto le spa11e a11a vita intesa come puro di­vertimento e vivo come ritengo giusto. Sicuramente qua1che cosa sopravvivera nelIa mia economia, e forse entrera addirittura in es­sa, ma la gran parte di questa civild sara dimenticata dopo poche generazioni, non appena il sistema sara crolIato, oppure continue­ra a vivere al massimo come atavismo, come rituale disimpegna­to, come per esempio la fratelIanza nel sangue, nel bere insieme per affratelIarsi. La corrente principale delIa vita passera avanti ri­spetto a ció che un istante fa era ancora considerato un tesoro sa­cro delIa civilti. Anche la comprensione magica del mondo un tempo era un sistema riccamente strutturato ed elaborato, e nelIa sua perfezione non aveva niente da invidiare a11a scolastica, né al­ \

lo scientismo. Le cerimonie cinesi, la ta1mudica, erano sistemi ma­ i!

i I (\ Ignifici. Gli uomini si sono affaticati per tutta la vita, dando esami,

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conquistando titoli scientifici, diventando famosi l'uno rispetto J\(

alI'altro. Piu tardi i resti delIa magia delI'antica Babilonia hanno

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condotto l'esistenza assai misera del chiaroveggente. Persino i piu grandi conoscitori delI'antichid tastano soltanto poche linee di queste grandi costruzioni, ma non sono piu in grado di compren­derne il senso interiore e il valore, anche se non eescluso che rina­sceranno, in qua1che tempo e in qua1che luogo.

Ma oggi, sia iJ mondo, sia la leggenda li ha dimenticati (puskin, Medf!Jj vsadnik)

La scienza rinascimentale avra lo stesso destino, solo che sa­ra colpita piu duramente, con la stessa inesorabiliti con cui essa, un tempo, ha colpito l'uomo.

''f Indice(

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I

Introduzione di Gra:dano Lingua . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 7 i ~

Bibliografia . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. 17

La venerazione del nome ~

I

come presupposto filosofico 19

Il valore magico della parola . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 51

Sul nome di Dio 77

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