Il valore del pane - FARE€¦ · difficoltà sociali hanno beneficiato di beni alimentari donati...

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Servirebbero regole chiare, che potrebbero essere tracciate nei “manuali nazionali di corretta prassi operativa”, previsti dalla legge 147 del dicembre 2013: a distanza di oltre un anno, però, non sono tutti operativi TRATTO DA AE 170 La panetteria Gatti è in via Nicastro, a Milano, dal 1963. L’ha aperta Gian Antonio Gatti, che ancora oggi, a 75 anni, “si sveglia alle due del mattino per fare, insieme a me, pagnotte, michette e focacce fino alle sei” racconta il genero Cristian. “Usiamo le migliori farine, abbiamo clienti ormai ‘storici’ e calibriamo la produzione -aggiunge-: in media, il nostro invenduto ammonta a 5 chili al giorno, su una produzione quotidiana tra i 50 e i 60 chili di pane. Spesso ci restano sugli scaffali soltanto quattro pagnotte. A quel punto le possibilità sono due: darlo ai contadini che lo utilizzano per gli animali o a qualche cliente che lo dà al suo cane”. Se i cinque chili del forno Gatti sembrano pochi, basta ampliare lo sguardo all’interno settore, alle 24mila panetterie italiane associate a Federpanificatori, per avere i dati dello spreco: ogni giorno avanzano circa 2mila quintali di pane, circa 8 chili al giorno per ogni esercizio. Nella grande distribuzione i numeri sono ben maggiori, anche se non esiste un dato ufficiale. Altreconomia ha parlato con l’addetto alla panetteria di una nota catena, all’interno di un ipermercato di medie dimensioni: il forno interno produce al giorno circa 500 chili di pane, registrando un invenduto quotidiano medio di 40 chili al giorno. In un anno diventano 14.400 chili di pane “avanzato”, da parte di una sola struttura. Questo cibo, ancora buono, finisce nell’immondizia. E ciò non è necessariamente legato a scelte aziendali, ma risponde anche a norme inadeguate, quelle che oggi in Italia regolano la donazione degli alimenti invenduti a favore degli indigenti. La pensa così l’avvocato Daniele Pisanello, esperto di diritto alimentare e titolare dello Studio Lex Alimentaria, con uffici a Bologna, Lecce, Pisa e Torino (www.lexalimentaria.eu), secondo il quale “la complessità della normativa e una sua errata interpretazione porterebbe a considerare ‘rifiuti’ migliaia di quintali di prodotti da panetteria rimasti invenduti nell’arco di una sola giornata”. Pisanello spiega ad Ae che le indicazioni date dal ministero della Salute nella nota ministeriale 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003 sulla “gestione dei resi dell’industria di panificazione”, tuttora vigente, hanno portato a interpretazioni fuorvianti che “possono indurre a qualificare come rifiuti o, nella migliore delle ipotesi, come mangime per gli animali, pani e pagnotte di vario genere”. In realtà, osserva il giurista, “si tratta di alimenti che mantengono tutte le caratteristiche per essere utilizzati per l’alimentazione umana ed essere commercializzati” perché il pane, sia fresco sia preconfezionato, “non rientra nella categoria degli alimenti altamente deperibili”, e “non può essere considerato alla stregua di un rifiuto solo perché siano passate 24 ore dalla produzione per il pane fresco o, nel caso del pane preconfezionato, quando sia stato oltrepassato il Tempo Minimo di Conservazione”. L’interpretazione offerta dalla nota ministeriale del 2003 è, quindi, “riconducibile a quei casi sporadici in cui i prodotti presentano ‘difetti’ sanitari perché magari invasi da muffe, corpi estranei o altro”. L’effetto dell’attuale incertezza normativa (la nota ministeriale fa riferimento al decreto legislativo n. 22 del 1997, oggi abrogato dal decreto n. 152 del 2006) spinge i produttori di pane a buttare il cibo nella spazzatura piuttosto che correre il rischio di subire sanzioni penali a fronte di possibili controlli delle Asl. Che, a loro volta, rischiano di basarsi su interpretazioni errate: in generale, infatti, la legislazione attuale prescrive che se si vogliono donare alimenti N° 171 - 5/2015 SOMMARIO COME ABBONARSI DOVE TROVI AE ACQUISTA IN PDF, EPUB, MOBI ARCHIVIO ULTIMO NUMERO I SAGGI, LE INCHIESTE, LE GUIDE IL CATALOGO COMPRA ONLINE I TASCABILI IL CATALOGO COMPRA ONLINE 16/05, ASSEMBLEA DEI SOCI DELLA COOPERATIVA TRATTO DA Tratto da AE170 I NOSTRI BLOG Officina Enoica Terre dei Lanzi: un sogno nel cassetto Il vino declassato di Gambellara Le conseguenze del cemento Stop alla Legge Obiettivo, contro il consumo di suolo L'Italia cancellata dal cemento Distratti dalla liberta' Chi ha paura della tortura? 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Interni Le buone prassi esistono: il progeto "No more Organic Waste" di Cauto e Auchan 

di Francesca Morandi ­ 20 maggio 2015

274Consiglia

Il valore del pane Norme inadeguate e il rischio di sanzioni aumentano la quantità di pagnotte che, a fine giornata,finiscono nel cassonetto. Solo gli associati a Federpanificatori ­24mila panetterie­ ogni giornoavanzano circa 2mila quintali di pane, circa 8 chili per ogni esercizio. Servirebbero regole chiare, chepotrebbero essere tracciate nei “manuali nazionali di corretta prassi operativa”, previsti dalla legge 147del dicembre 2013: a distanza di oltre un anno, però, non sono tutti operativi

TRATTO DA AE 170

La panetteria Gatti è in via Nicastro, aMilano, dal 1963. L’ha aperta Gian AntonioGatti, che ancora oggi, a 75 anni, “si svegliaalle due del mattino per fare, insieme a me,pagnotte, michette e focacce fino alle sei”racconta il genero Cristian. “Usiamo lemigliori farine, abbiamo clienti ormai ‘storici’ e

calibriamo la produzione -aggiunge-: in media, il nostro invenduto ammonta a5 chili al giorno, su una produzione quotidiana tra i 50 e i 60 chili di pane.Spesso ci restano sugli scaffali soltanto quattro pagnotte. A quel punto lepossibilità sono due: darlo ai contadini che lo utilizzano per gli animali o aqualche cliente che lo dà al suo cane”.

Se i cinque chili del forno Gatti sembrano pochi, basta ampliare lo sguardoall’interno settore, alle 24mila panetterie italiane associate aFederpanificatori, per avere i dati dello spreco: ogni giorno avanzano circa2mila quintali di pane, circa 8 chili al giorno per ogni esercizio. Nella grande distribuzione i numeri sono ben maggiori, anche se non esiste undato ufficiale. Altreconomia ha parlato con l’addetto alla panetteria di una notacatena, all’interno di un ipermercato di medie dimensioni: il forno internoproduce al giorno circa 500 chili di pane, registrando un invenduto quotidianomedio di 40 chili al giorno. In un anno diventano 14.400 chili di pane“avanzato”, da parte di una sola struttura.

Questo cibo, ancora buono, finisce nell’immondizia. E ciò non ènecessariamente legato a scelte aziendali, ma risponde anche a normeinadeguate, quelle che oggi in Italia regolano la donazione degli alimentiinvenduti a favore degli indigenti. La pensa così l’avvocato Daniele Pisanello,esperto di diritto alimentare e titolare dello Studio Lex Alimentaria, con ufficia Bologna, Lecce, Pisa e Torino (www.lexalimentaria.eu), secondo il quale “lacomplessità della normativa e una sua errata interpretazione porterebbe aconsiderare ‘rifiuti’ migliaia di quintali di prodotti da panetteria rimasti invendutinell’arco di una sola giornata”. Pisanello spiega ad Ae che le indicazioni date dal ministero della Salute nellanota ministeriale 609/SEGR/47 del 2 marzo 2003 sulla “gestione dei residell’industria di panificazione”, tuttora vigente, hanno portato a interpretazionifuorvianti che “possono indurre a qualificare come rifiuti o, nella migliore delleipotesi, come mangime per gli animali, pani e pagnotte di vario genere”. Inrealtà, osserva il giurista, “si tratta di alimenti che mantengono tutte lecaratteristiche per essere utilizzati per l’alimentazione umana ed esserecommercializzati” perché il pane, sia fresco sia preconfezionato, “non rientranella categoria degli alimenti altamente deperibili”, e “non può essereconsiderato alla stregua di un rifiuto solo perché siano passate 24 ore dallaproduzione per il pane fresco o, nel caso del pane preconfezionato, quando siastato oltrepassato il Tempo Minimo di Conservazione”. L’interpretazione offertadalla nota ministeriale del 2003 è, quindi, “riconducibile a quei casi sporadici incui i prodotti presentano ‘difetti’ sanitari perché magari invasi da muffe, corpiestranei o altro”. L’effetto dell’attuale incertezza normativa (la nota ministeriale fa riferimento aldecreto legislativo n. 22 del 1997, oggi abrogato dal decreto n. 152 del 2006)spinge i produttori di pane a buttare il cibo nella spazzatura piuttosto checorrere il rischio di subire sanzioni penali a fronte di possibili controlli delle Asl.Che, a loro volta, rischiano di basarsi su interpretazioni errate: in generale,infatti, la legislazione attuale prescrive che se si vogliono donare alimenti

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occorre munirsi di furgoni con celle frigorifere, rischiando altrimenti di incorrerein sanzioni.

Per ovviare a questa situazione, servono regole chiare. Quelle che potrebberoessere tracciate nei “manuali nazionali di corretta prassi operativa”, previstidalla legge 147 del dicembre 2013, la “Legge di Stabilità 2014”, ma, adistanza di oltre un anno, non sono tutti operativi. Il loro obiettivo, precisal’avvocato Pisanello, è quello di “definire con chiarezza le modalità (soprattuttoigienico-sanitarie) con cui gli operatori del settore alimentare possono cederegratuitamente i propri articoli a scopo di beneficenza alle organizzazioni diutilità sociale che, a loro volta, devono garantire procedure igieniche volte agarantire un corretto stato di conservazione, trasporto, deposito e utilizzo deiprodotti”.Anche il risultato del lavoro di ricerca condotto dalla Consulta Pinpas (il Piano nazionale di prevenzione dellospreco alimentare avviato dal ministero dell’Ambiente), coordinata dal professor Andrea Segrè, in collaborazionecon Last Minute Market (LLM) e l’Università di Bologna, evidenzia l’esigenza di interventi di semplificazionenormativa: “Oggi ogni Regione stabilisce modalità proprie di gestione degli alimenti invenduti, incluso il pane, equesto rende tutto complicato -spiega Segrè-. È necessario un tavolo interministeriale tramite il quale il governometta in atto ‘linee guida nazionali’ per stabilire norme chiare che agevolino il recupero del cibo invenduto. IManuali di autocontrollo sull’igiene e sicurezza alimentare (HACCP) che predispongono le singole Asl spessoallontanano, involontariamente, da questi obiettivi”. Lo stesso accade con verifiche fiscali spesso inadeguate: “Chidona -osserva Segré- deve avere almeno lo sgravio dell’Iva”.

Per favorire la redistribuzione del pane invenduto c’è anche una “strada europea”, indicata dall’avvocato DarioDongo, esperto di diritto alimentare e fondatore di www.greatitalianfoodtrade.it: “L’obiettivo di semplificazione puòvenire più facilmente raggiunto con una notifica alla Commissione europea della norma italiana e della notaministeriale in questione, evidenziando la loro manifesta  incompatibilità con il diritto comunitario.  È, infatti, probabile ritenere che il ministero della Salute non abbia mai notificato a Bruxelles questa norma tecnica,come invece avrebbe dovuto fare. Nell’esporre il caso alla Commissione europea, si evidenzierà che la normaitaliana non è motivata da esigenze di tutela della sanità pubblica, le uniche che avrebbero potuto eventualmentegiustificarne l’adozione. A quel punto, senza bisogno di perder tempo e risorse per elaborare un decreto attuativo,sarà la Commissione a interpellare il governo italiano per chiedere di fare chiarezza, e poi, presumibilmente, losolleciterà ad abrogare la norma nazionale. Seguendo questo percorso, in due mesi si sbloccherebbe lacommercializzazione di pane invenduto”. A porre l’accento sull’impulso che la crisi economica può dare al riutilizzo del pane “scartato” è Roberto Capello,presidente nazionale di Federpanificatori, secondo il quale “lo spreco di pane si è comunque ridotto”, e “oggi gliipermercati puntano di più sul pane precotto accanto alla produzione di quello fresco, per accontentare l’’immagine’e tenere gli scaffali dei supermarket pieni fino a sera”. C’è poi lo stesso panettiere che, aggiunge Capello, può contribuire a una cultura anti-spreco, suggerendo ai propriclienti che, ad esempio, “una mezza pagnotta grande può diventare la ‘colazione del giorno dopo’, facendola a fettesulle quali spalmare marmellata o biscottandola, favorendo così il riutilizzo”. In ogni caso, più di quattro italiani sudieci (42%) oggi mangiano il pane avanzato dal giorno prima, e -secondo un recente studio di Coldiretti- nel 2014 ilconsumo pro capite di pane degli italiani è sceso al minimo storico di 90 grammi al giorno.

Anche la grande distribuzione, che come abbiamo visto non quantifica lo spreco, può arrivare a risultati eccellenti intermini di solidarietà. Come quelli raggiunti da Auchan, che dal 2013 ha aderito al progetto europeo “No moreOrganic Waste” (NOW) insieme alla cooperativa Cauto (www.cauto.it). In due anni circa 6mila persone in gravidifficoltà sociali hanno beneficiato di beni alimentari donati da tre ipermercati Auchan del Bresciano (Roncadelle,Mazzano e Concesio) corrispondenti a un valore di 260mila euro, di cui circa 4mila di pane. In media, gli iperAuchan del Bresciano attualmente donano il 10% della produzione giornaliera di pane, mentre il 5% viene vendutoil giorno dopo sotto forma di pane raffermo (in sacchi del pane segnalati) o bruschette. --- Sprechi francesiL’Assemblea nazionale francese sta discutendo una legge che vincola gli ipermercati con una superficie superioreai mille metri quadrati a proporre alle associazioni benefiche i propri articoli alimentari invenduti e ancoraconsumabili, prima di smaltirli. La proposta, presentata la scorsa estate da 92 parlamentari di tutti gli schieramenti, ha suscitato alcune riserve daparte dell’Assemblea: c’è il timore, ad esempio, che gli ipermercati scarichino la gestione del magazzino sulleonlus, che non avrebbero i mezzi materiali per distruggere tonnellate di derrate alimentari inutilizzabili rischiando lasaturazione. Suscita inoltre dubbi il costo associato all’obbligo del dono, che può essere oneroso per gli esercizi piùpiccoli, se non possiedono una logistica adeguata.

L’indicazione che arriva dal testo di legge, però, è che la Francia sia determinata a dare battaglia allo sprecoalimentare. Secondo Luca Falasconi, ricercatore dell’Università di Bologna presso il Dipartimento di Scienze eTecnologie Agro-alimentari, “una legge analoga andrebbe presentata anche nel Parlamento italiano: anche se lagrande distribuzione organizzata ha raggiunto un buon livello di efficienza, lo sguardo andrebbe rivolto anche adaltri settori ad essa collegati, come quello dell’agricoltura e della trasformazione. La stessa GDO spesso rifiutainfatti articoli difettosi o ‘imperfetti’ prodotti dalla filiera agricola o industriale, che, quindi, deve farsi carico dellosmaltimento, risultando così più ‘sprecone’”.

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