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Il Novecento, quando non è stato teatro di guer- re, ha trovato nel viaggiare e nel fare turismo una sua dimensione caratteristica, contrapposta e complementare al tempo del lavoro e della pro- duzione, secondo un modello che la civiltà bor- ghese aveva in parte già sviluppato nel secolo pre- cedente con la diffusione della pratica escursio- nistica (modello reso possibile dallo sviluppo dei treni e della “cultura” del weekend fuori città), con la ripresa del viaggio di piacere (che da metà secolo interesserà tutte le sponde del Mediterra- neo e comincerà a spingersi verso l’Asia e l’Africa) e con lo sviluppo di località di vacanza, soprattut- to montane e marine, destinate ad accogliere va- canzieri della classe media, e non più soltanto l’é- lite aristocratica e alto-borghese. Gli storici del turismo hanno provveduto a trac- ciare le linee di sviluppo di questo fenomeno, che ri- guarda al contempo la società, l’economia e il siste- ma del lavoro, il costume, la moda, l’urbanistica, la tecnologia e l’organizzazione dei trasporti: stiamo insomma parlando di un intreccio di storia sociale, di evoluzione culturale e di business (come si usa di- re), come componenti tutte necessarie, senza le quali il turismo novecentesco, per come viene per- cepito nell’immaginario collettivo condiviso, non esisterebbe. In altri termini, eventi e fenomeni di natura molto diversa tra loro – come la rivoluzione dei trasporti, l’invenzione del viaggio organizzato, le ferie pagate, la cultura dello svago, la pratica spor- tiva ecc. – hanno concorso, nelle prime decadi del Novecento, alla costruzione di una società che, co- stituitasi sulla stanzialità e sulla produzione, si av- viava a garantire per tutti tempo libero e riposo co- me beni da tutelare, e a istituzionalizzare la vacan- za, conferendole valore di distinzione sociale. È certo il dato quantitativo che consente allo studioso o al ricercatore di associare il Novecento al trionfo della mobilità organizzata, e di parlare di boom del turismo: un numero progressivamen- te crescente di uomini e donne si è avvicinato alla pratica del viaggio e del turismo, ha trovato nel viaggiare un’occasione di identificazione e di cre- scita personale, dedicandovi quote sempre mag- giori del proprio tempo. Il barometro turistico – con i dati aggiornati dei flussi e delle loro variazio- ni – è spesso usato dagli analisti come indice di misurazione di un benessere che si pensa ormai ampiamente condiviso; e sarà probabilmente que- sto barometro a dirci se il nuovo secolo – inaugura- to nel segno di traumi e guerre globali – conti- nuerà a trascorrere sotto il segno della mobilità or- ganizzata, o se il “tempo del turismo”, per come è stato vissuto nel Novecento, è da considerarsi fini- to, o comunque sensibilmente modificato. Ma indietro davvero non si torna: e c’è un pun- to di non ritorno nella metamorfosi decisiva del viaggiatore fattosi turista, che è dato dal rappor- to che il soggetto moderno ha instaurato con il tempo. Potrà cambiare l’ambiente “emotivo” del viaggio – il nostro viaggiare futuro potrà farsi di nuovo più “avventuroso” (non tanto per una cre- scente domanda di “viaggi d’avventura”, quanto per un concreto rischio di sicurezza) – ma il conte- sto crono-logistico del viaggiare non subirà so- stanziali trasformazioni: anzi, il tempo del/nel viaggio continuerà a contrarsi, fedele ai parametri della modernità. Il Grand Tour resterà “grande” proprio perché residuale di un mondo che si stava affacciando alla modernità, pur senza averne in- teriorizzato ancora gli effetti. A voler riflettere invece in termini qualitativi, di valutazione dell’esperienza, certi discorsi non perdono di attualità: che si parli del viaggiatore, del turista, o del post-turista (etichetta che con qualche efficacia restituisce l’idea di una distanza Rossana Bonadei, Claudio Bisoni, Lorenzo Flabbi, Federica Frediani e Stefano Pivato Il turismo Introduzione Gioco, festa, turismo e moda Un'affollata spiaggia in Costa Smeralda all'inizio del Duemila. Il turismo di massa è una costante della nostra società a partire dagli anni del boom economico.

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Il Novecento, quando non è stato teatro di guer-re, ha trovato nel viaggiare e nel fare turismo unasua dimensione caratteristica, contrapposta ecomplementare al tempo del lavoro e della pro-duzione, secondo un modello che la civiltà bor-ghese aveva in parte già sviluppato nel secolo pre-cedente con la di�usione della pratica escursio-nistica (modello reso possibile dallo sviluppo deitreni e della “cultura” del weekend fuori città),con la ripresa del viaggio di piacere (che da metàsecolo interesserà tutte le sponde del Mediterra-neo e comincerà a spingersi verso l’Asia e l’Africa)e con lo sviluppo di località di vacanza, soprattut-to montane e marine, destinate ad accogliere va-canzieri della classe media, e non più soltanto l’é-lite aristocratica e alto-borghese.

Gli storici del turismo hanno provveduto a trac-ciare le linee di sviluppo di questo fenomeno, che ri-guarda al contempo la società, l’economia e il siste-ma del lavoro, il costume, la moda, l’urbanistica, latecnologia e l’organizzazione dei trasporti: stiamoinsomma parlando di un intreccio di storia sociale,di evoluzione culturale e di business (come si usa di-re), come componenti tutte necessarie, senza lequali il turismo novecentesco, per come viene per-cepito nell’immaginario collettivo condiviso, nonesisterebbe. In altri termini, eventi e fenomeni dinatura molto diversa tra loro – come la rivoluzionedei trasporti, l’invenzione del viaggio organizzato,le ferie pagate, la cultura dello svago, la pratica spor-tiva ecc. – hanno concorso, nelle prime decadi delNovecento, alla costruzione di una società che, co-stituitasi sulla stanzialità e sulla produzione, si av-viava a garantire per tutti tempo libero e riposo co-me beni da tutelare, e a istituzionalizzare la vacan-za, conferendole valore di distinzione sociale.

È certo il dato quantitativo che consente allostudioso o al ricercatore di associare il Novecento

al trionfo della mobilità organizzata, e di parlaredi boom del turismo: un numero progressivamen-te crescente di uomini e donne si è avvicinato allapratica del viaggio e del turismo, ha trovato nelviaggiare un’occasione di identi�cazione e di cre-scita personale, dedicandovi quote sempre mag-giori del proprio tempo. Il barometro turistico –con i dati aggiornati dei �ussi e delle loro variazio-ni – è spesso usato dagli analisti come indice dimisurazione di un benessere che si pensa ormaiampiamente condiviso; e sarà probabilmente que-sto barometro a dirci se il nuovo secolo – inaugura-to nel segno di traumi e guerre globali – conti-nuerà a trascorrere sotto il segno della mobilità or-ganizzata, o se il “tempo del turismo”, per come èstato vissuto nel Novecento, è da considerarsi �ni-to, o comunque sensibilmente modi�cato.

Ma indietro davvero non si torna: e c’è un pun-to di non ritorno nella metamorfosi decisiva delviaggiatore fattosi turista, che è dato dal rappor-to che il soggetto moderno ha instaurato con iltempo. Potrà cambiare l’ambiente “emotivo” delviaggio – il nostro viaggiare futuro potrà farsi dinuovo più “avventuroso” (non tanto per una cre-scente domanda di “viaggi d’avventura”, quantoper un concreto rischio di sicurezza) – ma il conte-sto crono-logistico del viaggiare non subirà so-stanziali trasformazioni: anzi, il tempo del/nelviaggio continuerà a contrarsi, fedele ai parametridella modernità. Il Grand Tour resterà “grande”proprio perché residuale di un mondo che si stavaa�acciando alla modernità, pur senza averne in-teriorizzato ancora gli e�etti.

A voler ri�ettere invece in termini qualitativi,di valutazione dell’esperienza, certi discorsi nonperdono di attualità: che si parli del viaggiatore,del turista, o del post-turista (etichetta che conqualche e�cacia restituisce l’idea di una distanza

Rossana Bonadei, Claudio Bisoni, Lorenzo Flabbi, Federica Frediani e Stefano Pivato

Il turismo

Introduzione

Gioco, festa, turismo e moda

Un'a�ollata spiaggia in Costa Smeralda all'inizio del Duemila. Il turismo di massaè una costante della nostrasocietà a partire dagli anni del boom economico.

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Con il Novecento, nonostante le battute d’arre-sto portate dai due con�itti mondiali, il turismocresce nel mondo occidentale in misura ragguar-devole ed espande i suoi orizzonti geogra�ci anchegrazie a mezzi di trasporto più veloci: in treno e inpiroscafo, in automobile, e in aereo i turisti viag-giano veloci in un mondo che si fa sempre più pic-colo e a portata di viaggio. Il turismo insomma cre-sce e diventa accessibile a un numero sempre piùalto di persone, provenienti da varie classi sociali econ capacità di spesa variabili. Diventa una possi-bile risorsa economica per governi che ne promuo-vono lo sviluppo, organizzando servizi e favorendoinvestimenti: e mentre per lo stato liberale l’eco-nomia turistica è un indicatore sensibile della «ric-chezza della nazione», nei sistemi totalitari il turi-smo si fa sempre più leva politica, strumento di sa-lute collettiva e di controllo delle masse.

A partire dagli anni Cinquanta forse il turismonon è ancora “per tutti”, ma è nei progetti e neisogni di tutti (o quasi), alimentato da una culturache punta a includere il tempo “liberato” (dal la-voro) nel Welfare nazionale, ovvero tra i consumistabili, alla portata di larghi strati di popolazione.In questa prospettiva il turismo di massa, �gliodel boom economico, non è solo il frutto di unmercato (dominato da investimenti privati) chepunta al massimo pro�tto ma anche l’ovvia con-seguenza di un’idea di sviluppo che fa coincidereil comfort materiale di massa con la felicità col-lettiva. Vero o falso, giusto o sbagliato che sia, è aquello stadio che il turismo diventa nell’immagi-nario collettivo una “fabbrica dei sogni”, un’im-presa di servizi che sforna prodotti e “pacchetti”in serie, muove tanti soldi e occupa un esercito dioperatori.

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critica, se non ironica, e di un senso di “responsa-bilità” rispetto al proprio ruolo di ospite in casaaltrui), due ri�essi originari e pervicaci sembranosostenere la struttura di questo “tipo” umano cheabita la scena culturale e sociale novecentesca:«guardare per sapere» – sapere del mondo e dellecose del mondo – come volgarizzazione del viag-gio di conoscenza di matrice rinascimentale e poiilluminista (il primo grande �lone generativo del-l’approccio occidentale al viaggio); «guardare pergodere» – alla ricerca di paesaggi ed emozioniestetiche – secondo la formula del viaggio pitto-resco, codi�cato nelle “fotogra�e” gallesi di Wil-liam Gilpin, “inventore” del pittoresco inglese, ereincontrato attraverso le lenti del “sublime” ro-mantico o riletto in chiave “esotica” (per chiama-re in causa generi ben noti alla codi�cazione este-tica seppure poco indagati nella loro funzioneprescrittiva di emozione “per le masse”).

Parlare di turismo in modo non banale, voler-ne sapere qualcosa di più, interrogandone la sto-ria, dalle matrici antiche alle dinamiche evolutive,signi�ca mettere mano a un palinsesto immagi-nario e discorsivo molto denso. È questo che ci ac-cingiamo a fare, servendoci appunto di repertoridi immagini e di testi, visti da vicino, come docu-menti originali, e attraverso le molte mediazionidisciplinari che oggi consentono di avvicinarci alcampo turistico.

Le parole si portano appresso le idee, ci parla-no del mondo, raccontano storie: e dalle parole cipiace partire per il nostro discorso matriciale sulturismo, nella consapevolezza che il mondo chesi fa è al contempo mondo che si descrive. È se-gno, è immagine.

Se il termine tour, come variante di voyage, ècertamente di origine francese e risale agli inizidel Seicento, (dal greco tornos e dal latino tornus),e lo ritroviamo nei resoconti di viaggio degli ingle-si come un gallicismo alla �ne del Seicento, i ter-mini tourist e tourism sono certamente inglesi, co-me a�erma anche Roland Barthes, tra i primi �lo-so� dell’attualità a ri�ettere sulle declinazioni delviaggio moderno (Barthes 1998). Nell’Ottocento idue termini sono comunemente usati nella lin-gua parlata e scritta, come attesta l’ English Dictio-nary a partire dall’edizione del 1811. Dal 1937, ilturismo entra nei discorsi e nei documenti u�-ciali della Lega delle Nazioni, come un fenomenodi portata internazionale su cui ri�ettere con stru-menti condivisi.

E tuttavia, dire quando esattamente “nasce” ilturismo non è semplice, come accade per tutti i

fenomeni che si quali�cano come processi di dif-ferenziazione, che maturano all’interno di intrec-ci storici e culturali densi, e di complesse econo-mie che combinano il mercato con gli ine�abilianimal spirits (come li de�niva John M. Keynes)che attraversano e dirigono il sistema del costu-me e quello dei consumi.

Se si accetta la de�nizione di turismo come“viaggio organizzato” e potenzialmente destinato agrandi numeri, si osserverà che l’idea e la pratica ri-salgono al Medioevo: lo si chiamava pellegrinag-gio, muoveva migliaia di persone che con�uivanoda varie parti d’Europa e del Vicino Oriente perconvergere in�ne verso alcuni luoghi sacri dellaCristianità – Santiago, Roma, Gerusalemme – tra-scorrendo periodi non brevi e in condizioni di scar-so comfort (in ciò all’opposto del turismo). Privile-giando altri criteri e grandezze, la �logenesi turisti-ca tocca anche i secoli “laici” – dal Rinascimentoall’Illuminismo – e incrocia il fenomeno del“Grand Tour”, che raggiunse il suo picco di fortunanegli ultimi decenni del Settecento (nei termini diun vero e proprio istituto culturale promosso dallaclasse aristocratica ma da cui la nascente modernaborghesia europea si farà volentieri contagiare). Ilboom delle terme e l’“invenzione” del mare e dellamontagna come luoghi di vacanza aggiungononuovi tasselli a una storia che rapidamente evolveverso ciò che noi oggi chiamiamo turismo, anchese la scala del fenomeno è ancora solo europea.Con l’Ottocento – e in particolare grazie alla mo-dernizzazione dei trasporti e dei sistemi di orga-nizzazione – il viaggio esce dai con�ni europei, siaquanto a destinazioni (si va ovunque, sulle rotte de-gli Imperi) che a provenienza dei viaggiatori (chegiungeranno dalle Americhe, soprattutto). Gli sto-rici del turismo sono abbastanza concordi nell’at-tribuire sempre all’Inghilterra il ruolo di “apripi-sta”, con Thomas Cook che nel 1841 organizzò ilprimo viaggio di gruppo “tutto compreso”, portan-do 570 persone in treno da Leicester a Loughbo-rough: nasceva allora la prima agenzia di viaggio.Negli anni immediatamente a seguire, le agenziedi viaggio si di�ondono un po’ in tutta Europa: laBennet in Norvegia (1850), la Sangen in Germania(1863), la Lubin in Francia (1874), la Lissone inOlanda (1876). In Italia la Thomas Cook nel 1860apre succursali a Napoli e a Palermo; nel 1878 aprea Firenze l’Agenzia Chiari (oggi Chiariva), la primaagenzia italiana, seguita da una serie di agenzie mi-nori, con sedi nelle città “turistiche” di Roma, Fi-renze, Venezia e nelle due maggiori città dei com-merci, Milano e Torino.

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Bambine mangiano uva a una sagra di paese. Cherasco,1956. Con l'aumento della mobilità e della velocitàdegli spostamenti, oggis'intende per turista anche chi trascorre una sola nottefuori di casa.

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lizzarsi. Racconti e dipinti hanno raccontato il viag-gio, hanno costruito i luoghi, hanno suggerito mo-tivazioni e �ssato degli stili; oggi viaggiamo e fac-ciamo turismo a tempo di musica, specchiandocipiù o meno consapevolmente nelle immagini checi vengono dalle pagine dei giornali, dalla tv, dalloschermo dei pc; per dirla con John Urry, teoricodella mobilità postmoderna: «Costantemente, at-traverso la pubblicità e i media, le immagini co-struiscono un sistema chiuso di informazioni, illu-sioni, cliché, che si auto-perpetuano e costituisco-no per i futuri turisti la base per la scelta delle loropotenziali destinazioni» (Urry 1982, p. 24).

Del carattere metamor�co ed evolutivo del tu-rismo si è del tutto convinta la World Tourism Or-ganization, che progressivamente ha riadattato lade�nizione di turismo allo “spirito dei tempi” ealle curve di un mercato assai poco prevedibile.Per il Unwto il turismo denotava «attività di per-sone che viaggiano e soggiornano in luoghi ester-ni al proprio habitat abituale per non più di un an-no consecutivo, a scopo di piacere, a�ari, e altreragioni che non siano collegate all’esercizio diuna attività remunerata nel luogo stesso della visi-ta». La di�erenza dal viaggio starebbe nel percor-so e ci deve essere una distanza che implichi l’uti-lizzo di un mezzo di trasporto che non siano leproprie gambe. In anni recenti, si è voluto intro-durre un riferimento alla durata del viaggio o delsoggiorno turistico, ovvero alle notti trascorsefuori casa: almeno cinque, poi almeno tre; nellaversione più aggiornata si parla addirittura di unasola notte. Nel mondo della velocità e della mobi-lità quotidiana basta dunque una sola notte tra-scorsa in un luogo che si è raggiunto con un mez-zo di trasporto qualsiasi, per essere quali�cati,“conteggiati”, come turisti.

In realtà dire che cosa sia il turismo agli inizidel sec. XXI non pare davvero indispensabile: tantoche gli esperti parlano sempre più spesso di “turi-smi” – al plurale – praticati nel contesto di «mobi-lità temporanee» (Cli�ord 1999) regolari e ripetute:siamo insomma tutti turisti e con l’idea che fareturismo non è un’eccezione ma una regola, perlo-meno nel mondo occidentale – ammesso che an-cora abbia senso parlare di un mondo occidentaledentro a un universo ridisegnato e governato inprospettiva globale.

Il presente lavoro ha preso la forma di un rac-conto scandito in cinque capitoli, organizzati at-torno a uno schema ripetuto di sequenze dedicatealla storia, alla cultura e all’immaginario del turi-smo. L’indice dei capitoli ri�ette una scansione

cronologica, che rilegge il Novecento attraversouna periodizzazione arbitraria (di cui ci assumia-mo ogni responsabilità). Assunto teorico di fondoper gli autori del saggio è stato quello di conferirevalore epistemico agli accadimenti non meno cheagli ambienti discorsivi dentro a cui azioni e com-portamenti maturano e vengono interpretati.

In viaggio verso il turismo

Gli albori

Viaggio e mito dei luoghi: alle origini del Belpaese|Parole e frasi, immagini e grumi cromatici: è dun-que un mondo di forme, aree fatte di materia, checostituisce un luogo, non meno delle acque e del-le pietre di cui è fatto. C’è il territorio nella suaconcretezza, c’è un mondo tangibile, sede di atti-vità esse stesse deputate a dare un senso al luogo,ma sono i nomi, le frasi che lo dicono e i numeriche lo rappresentano, le atmosfere impalpabiliraccontate o dipinte, a farne oggetto di relazione etraduzione, a renderlo leggibile e riconoscibile ri-spetto ad altri luoghi, a farne eventualmente unameta, immaginaria o reale.

Questo ci porta a dire che il lavoro artistico eletterario (e dunque mitico) è direttamente pro-porzionale alla densità semiotica di un luogo e so-vente responsabile della sua fortuna immagina-ria e culturale: sono le storie raccontate, o le storiedipinte, a creare attorno a un luogo un brusio im-maginario capace di generare memoria e deside-rio: memoria di esperienze altrui e desiderio di ve-dere dal vero ciò che la parola o la �gura promet-te. Così un luogo diventa una meta per la mente eper lo sguardo, diventa una destinazione (ancheuna destinazione turistica). Un luogo diviene me-ta quando è valorizzato, cioè «quando qualcunolavora per attribuirgli valore agli occhi del possibi-le viaggiatore» (U. Volli in Bernadei e Volli 2003, p.33). Vi è insomma un lavoro semiotico che attri-buisce un certo senso al luogo legandolo a percor-si mitici, politici, ludici». Che è come dire che l’ap-prodo a un luogo – conosciuto o sconosciuto –non avviene mai senza un “destinatore”, esplicitood occulto, una voce, un testo, la traccia di un pas-saggio precedente, la memoria di un’eco. E que-sto può essere un primo utile argomento di ri�es-sione: se manca il racconto, tanto quello “sogna-to” che quello frutto di esperienza, è di�cile cheun luogo diventi una meta verso cui mettersi inviaggio con libri o con viaggi veri. In un recente

Abbiamo parlato sin qui, nella nostra de�ni-zione di turismo, di strati�cazioni storiche, dicongiunzioni culturali e di intrecci complessi chechiamano in causa l’ideologia e il costume, eppu-re siamo certi di non esagerare se diciamo che aun certo punto il turismo verrà percepito semprepiù come “fabbrica della vacanza”, appunto, daparte sia di chi lo produce sia di chi ne fruisce:un’economia di settore, che deve crescere per es-sere sana, con pochi vincoli e auspicabilmentesenza con�ni: come una sorta di salvi�ca «econo-mia della frontiera» dove però i turisti passano insecondo piano rispetto alle logiche aziendali. Inquesto quadro, gli studiosi del turismo non po-tranno che essere gli economisti, a�ancati dagliesperti in misurazioni statistiche, in risorse uma-ne e in modelli di marketing: per fare previsioni e

proiezioni, per tracciare modelli e fare indagini diprodotto.

Eppure, ricordando piuttosto l’economia atten-ta agli animal spirits , è sulle matrici culturali – lavo-rate dentro alle molte �liere simboliche di ieri e aquelle mediatiche di oggi – che vale la pena di ri�et-tere per capire qualcosa di più di un fenomeno cheappare sempre più complesso da descrivere e com-plicato da prevedere nei suoi andamenti (ancheper chi vi investe quattrini).

Da pratica culturale, eletta dalle élites a segno didistinzione sociale, a consumo di massa costruitoattorno al desiderio della «fuga temporanea» (En-zensberger 1996), il turismo appartiene al mondodella rappresentazione prima ancora che a quellodell’esperienza, vive di sogni e di immagini cheprecedono, preparano, accompagnano il suo rea-

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Jakob Philipp Hackert, Johann Wolfgang von Goethevisita il Colosseo a Roma , 1790circa. Goethe è il più conosciuto viaggiatoresettecentesco dell'Italia ed è autore di un famosoresoconto del suo viaggio.

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Giovanni Paolo Pannini, Galleria ideale di Roma antica ,1756 circa. Parigi, Louvre. I viaggiatori del Grand Tourerano spesso appassionaticollezionisti di opere d'arte e vestigia del passato.

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Italia passata per fiumi di parole, che hanno fattoe fanno costantemente da filtro rispetto a un pae-saggio. È su questo cortocircuito tra letteratura,pittura e memoria culturale che si è alimentata eancora si alimenta l’idea di una civiltà mistica-mente incarnata nel suo paesaggio: dove le traccedell’antico e le atmosfere vengono ricoagulate dicontinuo nei testi che nel tempo hanno significa-to i luoghi, e li hanno resi “mitici”, e in qualchemodo congelati in immagini vagamente atempo-rali. In tal senso, la storia e la geografia collassanodentro a un distillato italiano che insiste su alcu-ni stereotipi regionali e si alimenta di alcuni ge-neri ben precisi (il pittoresco, soprattutto).

Di una “favolosa” Italia dunque si parla, si scri-ve e si dipinge dai tempi antichi fino a oggi, dallaMater Tellus di Lucrezio, il Tevere antico, al giardi-no Elisio di Virgilio, da Las Italias di Cervantes al-la Vallombrosa di Milton: per cui ancora oggi mi-lioni di viaggiatori sognano l’Italia, affollano lesue città d’arte, invadono pacificamente le suemolte campagne, o le ammirano dai finestrini deitreni che li conducono da una tappa a un’altra diun moderno Grand Tour.

Non c’è apparentemente nessuna grave frattu-ra tra Virgilio, il viaggiatore del Grand Tour, il tu-rista americano dell’Ottocento e il modernoescursionista del mercato globalizzato: per tuttiquesti l’Italia resta un approdo mitico, un paesag-gio delle origini la cui essenza si manifesta in ungenius loci che evoca fiabe di colore, quelle stessefiabe che sempre più spesso ritroviamo lavoratedentro alle narrazioni filmiche e ai palinsesti pub-blicitari (incluso quelli che reclamizzano prodot-ti stranieri collocati in paesaggi italiani esclusivi,per clientele internazionali non meno esclusive).Gli stereotipi – ci ricorda Roland Barthes – sonomitologie del quotidiano, nomi o immagini chesi formano e si reggono su un senso congelato,dove l’ideologia fa resistenza all’esperienza. Undiscorso sui luoghi comuni del viaggio è quantomai pertinente quando si parla di turismo: chi simette in viaggio parte sempre con in mente qual-cosa di “già detto”, e di “già visto” da altri; nessunturista arriva in un luogo senza un cospicuo baga-glio di idee preconcette e di luoghi comuni, chel’esperienza – forse – potrà modificare. Dunque,prima del viaggio viene un racconto, prima di unviaggiatore un altro che l’ha preceduto: il raccon-to dei viaggiatori costituisce un’enciclopedia euna mitologia dei luoghi non meno vera e legitti-ma di quella costituita dai residenti. Il senso di unluogo non è che la storia delle sue concrezioni, e

quindi dei molteplici “si dice” che lo avvolgonodentro una matassa che si sbroglia grazie ad altri“si dice”.

Grand Tour e petits tours: l’Italia come palestra del turismo

Territori senza frontiere né sbarramenti di polizia, passeg-giate tranquille, itinerari tracciati come i viali di un parco…questa è l’Europa dei Lumi: un gigantesco luogo di villeggia-tura frequentato da viaggiatori solitari (il turismo di massaè lontano), piuttosto giovani e ben provvisti di beni di fortu-na, appassionati d’arte e di storia, animati da una grande cu-riosità di vedere e pronti a stupirsi. Essi vanno dappertutto,osservano tutto, giudicano, pesano, paragonano. Ciò sichiama fare il Grand Tour, e gli inglesi, che hanno inventa-to la parola, se non la cosa, ne sono gli adepti più entusia-sti… In questa scorribanda attraverso l’Europa, l’Italia delSettecento occupa un posto privilegiato. Tappa indispensa-bile per gli adoratori della Bellezza, la patria di Dante segnaaltresì il compimento del loro itinerario iniziatico (Lever1996, pp. XXXI-XXXII).

Quando l’enciclopedia racconta il Grand Tour par-la di un viaggio attraverso l’Europa, un viaggio diconoscenza e di formazione per alcune privilegiateélites che consideravano importante fare esperien-za del mondo, lontano dalle patrie terre. Per gli eu-ropei del Settecento, e per gli inglesi soprattutto, ilGrand Tour era la versione aggiornata di quel viag-gio rinascimentale – ispirato ai dettami di Baconee all’esperienza di Montaigne – che rilanciava il va-lore del viaggio come lezione di vita, soprattuttoper chi si apprestava a diventare “classe dirigente”.Il Grand Tour, che la nuova intellighenzia dei Lumiaveva fatto proprio anche nel nome dell’universa-lità dell’arte e della cultura, si faceva con la busso-la puntata a sud, verso l’Italia – der magick Land –per finire nella Città Eterna, eletta a culla della ci-viltà: quasi un pellegrinaggio laico, dunque, ove ar-te e cultura sono le reliquie di una rinnovata «au-tentica passione per l’Italia quale immenso depo-sito di antichità e di opere d’arte, inesauribile ri-sorsa di itinerari e di attrazioni naturali, incredibi-le repertorio delle più diverse e singolari forme po-litiche» (Brilli 1987, p. 41).

Dell’Italia meta del Grand Tour, di questo terri-torio vario e stratificato fino all’esasperazione e ca-pace di testimonianze culturali senza pari, i grand-turisti parlavano e scrivevano quasi ossessivamen-te, come di un oggetto del desiderio prismatico einafferrabile, intessendo storie o interrogando ilpaesaggio con sketches e dipinti destinati ad arric-chire famosi e meno famosi taccuini di viaggio. E simoltiplicano anche le scritture d’autore: il “viag-

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saggio sul viaggio nelle province italiane destina-te a diventare nei secoli scorsi mete ambite deiviaggiatori stranieri, Attilio Brilli ritorna sul «pre-zioso mosaico di citazioni» che da sempre muoveil viaggio in Italia, ricordando peraltro che nellanostra cultura fatta di scrittura «prima del mon-do viene il libro», per cui «sono le opere d’arte e leraffigurazioni topografiche a costruire i paesag-gi». Nell’antichità, l’approdo a un luogo – cono-sciuto o sconosciuto – non avveniva mai senza ri-ti di propiziazione e di preparazione all’incontrocon il luogo, senza operazioni simboliche che,mettendo in gioco corredi culturali, immaginari estilistici, sancivano un’inestricabile continuità traspazio fisico e spazio mentale.

Il viaggiatore antico vedeva il paesaggio popolato di ricor-di eroici che erano congiunti alle tombe degli eroi visibiliin ogni luogo. La stessa natura, la fonte, la grotta, la vetta,l’albero, gli apparivano abitati da divinità che attribuiva-no forma oggettiva a ciò che l’uomo moderno vive in formasoggettiva… È il pathos mitico che rende degne d’essere vi-ste città, mura, templi avvolti nella leggenda, per non par-lare dei luoghi sacri legati alla parola oracolare del dio(Brilli 1997, pp. 16-17).

Da tempo immemore incontro e racconto del luo-go sono proceduti inestricabilmente: e se ogni in-contro può generare un racconto, il luogo sarà al-la fine il frutto dei molti incontri e dei molti rac-conti che si sono stratificati nel tempo. Da qui lapercezione sovratemporale del tutto specifica delviaggiatore e l’inevitabile dimensione intertestua-le del suo sguardo. La tradizione del viaggio mo-derno si è indubbiamente andata via via inscri-vendo nel solco profondo di tale interconnessio-ne tra citazione ed esperienza: per cui uno sguar-do percepirà i tratti di un paesaggio, di una città,di un’opera d’arte innanzitutto attraverso altri oc-chi, ovvero attraverso i racconti o le opere figurati-ve, dunque tracce verbali o poche fuggevoli lineedi matita o aggregazioni cromatiche che la me-moria individuale coglie al volo e la facoltà imma-ginativa riproduce in proprio, elaborando propriscenari. Ieri come oggi – ricordava Goethe – è unamemoria cromatica, lavorata tra ricordo ed enci-clopedia culturale a mediare gli incontri con ilpaesaggio: per cui prima della percezione indivi-duale – impercettibilmente prima – un corredo diimmagini di incerta origine, squarci di luce, gio-chi di colore o geometriche scansioni (visioni o ve-dute appunto) impressiona il cristallino e condi-ziona la percezione stessa. Per gli studiosi delviaggio in Italia, la fortuna straordinaria e duratu-

ra del paesaggio italiano starebbe anche proprioin questa sua “godibilità intertestuale”, in questadimensione riflessa che mette la percezione incortocircuito con una sua caratteristica essenzacolta, essenza che verrà “messa a quadro” e resacelebre innanzitutto dai grandi maestri della pit-tura italiana.

È su questo cortocircuito racconto-pittura-esperienza che si è alimentata e ancora si alimen-ta l’istanza estetica e letteraria del genius loci ita-liano: un’atmosfera, un’essenza caratteristica,che sopravvive e attraversa i testi che nel tempo sisono accostati ai “mitici” luoghi italiani. Un pre-sunto, ineffabile, spirito del luogo, piuttosto cheun senso generato dall’esperienza del luogo, haper secoli mediato l’idea dell’Italia.

Di una “favolosa” Italia dunque si parla, si scri-ve e si dipinge dai tempi antichi fino a oggi, dallaMater Tellus di Lucrezio, il Tevere antico, al giardi-no Elisio di Virgilio, da Las Italias di Cervantes al-la Vallombrosa di Milton. Catturato dalla pennadei classici e precipitato nel caleidoscopio lette-rario, il paesaggio italiano si materializza sullosfondo degli affreschi e nelle tele dei maestri ita-liani del Quattrocento e del Cinquecento (Pierodella Francesca, Leonardo, Giorgione, Veronese,Bellini, Pontormo), a testimoniare tra l’altro del-l’avanzata di un genere – la pittura di paesaggio –che era, storicamente parlando, ormai a portatadi mano.

Accolto e rielaborato nel tempo da molte pittu-re (Salvatore Rosa, Canaletto, Bellotto, Panini, Jo-li), il paesaggio italiano abbraccia gradatamentetutto il territorio, incluso quello urbano, diventacommon property per una vasta comunità interna-zionale di estimatori, di studiosi, di viaggiatori,consegnato a interessanti contaminazioni: pen-siamo alle campagne già “romantiche” di Lorrai-ne e Poussin, ai paesaggi neoclassici di Hackert eCozens, costruiti attorno alle citazioni letterarie, epiù tardi ai paesaggi “gotici” di Ducros, quelli“mistici” di Bocklin o quelli sgargiantementefrondosi di Sargent, il perfetto péndant dellesinfonie vegetali e architettoniche dei sempre piùnumerosi viaggiatori ottocenteschi che a piedi ein bicicletta scandagliano il territorio italiano,con una prevedibile predilezione per le regionidel centro Italia.

Un’Italia dipinta

C’è insomma una fascinosa “Italia dipinta”, co-stituita attorno a icone pittoriche potenti, e una

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municazione, fatta di inclusioni ed esclusioni, cheil viaggio in Italia progressivamente si fa organizza-to: si sceglie l’accesso, per mare o attraverso i vali-chi alpini (dalla Francia, attraverso Chamonix, oda Marsiglia verso Genova; oppure dalla Svizzera,attraverso il Gottardo, e dalla Germania attraversoil Brennero), a cui consegue un certo itinerario pre-ferenziale (che può includere Genova o Milano, aseconda che si provenga da ovest o si cali da nord).

Da ovunque si provenga, le tappe d’obbligo sonoVenezia, Firenze, Roma, a cui spesso si aggiungeNapoli (esotica ma familiare agli inglesi, che aveva-no lì un viceré di stanza permanente alla corte deiBorboni); le trasferte sono occasione di sightseeing,con viste e vedute sulla campagna: quella veronesee toscana, a seconda dell’itinerario, e poi la campa-gna romana e i campi �egrei, per citare i classiciloci amoeni del viaggio (quelli più tipicamente im-mortalati negli schizzi e negli acquerelli dei dilet-tanti, oltre che nei paesaggi dei pittori che si spe-cializzano in pitture per grand-turisti).

È d’altronde il percorso obbligato, unito alletappe e agli appuntamenti �ssi, alle visite da fareinsieme ad altri grand-turisti, a dar vita a un tourche è altra cosa dal viaggio: a ricordarci, tra l’altro,che a sostanziare questo nuovo tipo di mobilità è laripetizione “rituale”, ed è il segno sociale a impor-si sull’improvvisazione e sul gusto individuale, apre�gurare «il soggetto turistico» (MacCannell1976; Urry 1989).

La progressiva “turisticizzazione” del GrandTour fu, per lo meno nelle sue origini, un prodottodella cultura anglosassone (che, tra l’altro, conThomas Cook, inventore del viaggio organizzato intreno, si sarebbe di lì a poco appropriata delle rot-te del Grand Tour per poi passare all’avventura delturismo su scala globale): sono infatti gli inglesi,numerosi e ben organizzati, ad arrivare in gruppifamiliari o comitive professionali, a muoversi afrotte tra una località e un’altra, a creare stagiona-lità propizie per clima o attività culturali, a trasfor-mare i luoghi in destinazioni – tourist sites comediremmo oggi – e a codi�care motivazioni, caden-ze materiali, atteggiamenti, costumi, a suggerire�nanche reazioni ed emozioni. Come si trattassedi una colossale lezione pedagogica (e che altronon erano anche le guide turistiche se non stru-menti per educare lo sguardo e il comportamentodei turisti?), di un gioco di de�nizione di ruoli e diattori in vista di quel grande teatro turistico che sistava formando e di cui l’Italia era la prima grandepalestra europea.

Il turismo delle rovine

Certo, a ben guardare, la scena turistica coincidecon un territorio che pare più un museo a cieloaperto che un paese con un suo speci�co conti-nuumculturale: la presenza “italiana”, la cosiddet-ta comunità dei residenti, è ridotta a qualche para-ta festiva, a qualche comparsa arcadica (basti ve-dere anche i dipinti del Grand Tour, paesaggi sen-

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gio in Italia” – non meno che il “paesaggio italiano”per i pittori – diventa a tutti gli e�etti un generenarrativo: con Addison e Sterne, Montesquieu e DeSade, e con Goethe (autore di un memorabile Italie-nische Reise) si distillava il pensiero di un viaggio àla moderne che eleggeva a oggetto privilegiato l’I-talia. Una traccia testuale solida e duratura, chefarà da sponda stilistica e tematica a molte futurescritture dedicate al Belpaese (si pensi ai molti

scrittori-viaggiatori, soprattutto inglesi, che sog-giornarono sul territorio italiano per tutto l’Otto-cento), ma anche alla nascente e fortunata editoriadel viaggio: quella che porta ai vademecumdi viag-gio e alle Guide di Murray e di Beadeker, che �ltra-no il territorio italiano attraverso lo sguardo e lalingua degli stranieri, indicano strade, elencanoluoghi “da vedere”, locande ove soggiornare, cibida assaggiare. È anche grazie a questa potente co-

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I primi scavi del tempio di Iside a Pompei. Acquerellodel volume Campi Flegrei:Osservazioni sui Vulcani delle due Sicilie, pubblicato nel 1776 da Lord Hamilton,viceré di Napoli.

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dranno a innescare imprese culturali sia privateche pubbliche, oltre che progetti di respiro univer-sale (la Fondazione del Museo Capitolino e del Mu-seo Vaticano di Antichità Pagane, la nascita del Bri-tish Museum). Così, tra affari governativi e freneti-che compravendite private destinate ad alimentarecollezionismi di vario cabotaggio (leggendaria, intal senso, la figura di Lord Hamilton, viceré di Na-poli), le suppellettili del paesaggio italico andran-no ad alimentare la dilagante voga neoclassica diun’Inghilterra divisa tra il richiamo cosmopolitaper origini che gravitavano attorno al fascino dellalatinità e la domanda ugualmente pressante perun’inglesità autoctona e anticontinentale.

Qualcuno ha di recente parlato di una “coloniz-zazione” – naturalmente non violenta – da cui ilterritorio italiano è uscito ridisegnato, e risignifica-to, secondo criteri di godibilità estetica e turistica:alla fine del Settecento l’Italia è, dal mercato dellevestigia alle proprietà immobiliari, oggetto di com-pravendita tra gli stranieri. Pezzi d’arte, pezzi d’Ita-lia, sono destinati a essere ricollocati e risignifica-ti altrove, per raccontare una storia europea e nonancora italiana; mentre terreni e case in Italia co-minciano a passare di mano, andando ad alimen-tare famose diaspore (a Roma, a Napoli, a Firenze edintorni).

Dove c’è guerra non si viaggia

Con la Rivoluzione francese e il nuovo clima politi-co e sociale, il Grand Tour conosce una prima bat-tuta d’arresto: alcuni corridoi di accesso all’Italiasono interrotti (chi proviene dall’Inghilterra o danord-ovest in generale deve piegare sulla Svizzera,essendo la Francia non più percorribile); con l’av-vio delle campagne napoleoniche, tutta l’Europa èincendiata da conflitti, cade definitivamente lapossibilità di viaggiare in sicurezza ma vengono an-che a mancare i soggetti propri del Grand Tour,prevalentemente impegnati a combattere sui varifronti del conflitto. Finita l’Europa dei Lumi (terri-tori senza frontiere né sbarramenti di polizia, pas-seggiate tranquille, itinerari tracciati come i vialidi un parco), mandato in esilio Napoleone, unanuova forte borghesia impone i propri interessi e ipropri valori, monopolizzando comunque moltidegli stili di vita precedentemente appannaggiodelle classi aristocratiche: il viaggio e la villeggiatu-ra sono segmenti importanti di un beau vivre chenon ha rinunciato alla pratica del viaggio for lear-ning and pleasure, ma lo va ricostituendo attorno anuove etichette sociali e morali. Intorno agli anni

Venti dell’Ottocento, gli europei ricominciano aviaggiare: li ritroveremo, in gruppi assai più nume-rosi e con una sensibile presenza femminile, sullestrade battute dal Grand Tour, di nuovo soprattut-to alla volta dell’Italia, in città diventate affollate erumorose; ma intenzionati anche a scoprire itine-rari nuovi, fuori dalle rotte convenzionali, viaggia-tori più consapevoli e “fai da te”, a caccia di espe-rienze e conoscenze meno scontate. Ad avviare lapratica – e la moda – dei petits tours sono all’iniziodi nuovo gli inglesi, presto seguiti dagli americani,che sempre più numerosi calcano l’Europa, apren-do la strada a nuovi flussi turistici: personalizzato evariato, quasi un’anticipazione di più moderni tu-rismi tematici, il petit tour punta sui centri minoricaratterizzati da ben visibili addensamenti stilisti-ci e architettonici (il gotico, il romanico, il baroccoecc.), si spinge in campagne e paesaggi sconosciu-ti (osservati in precedenza in qualche suggestivatela di scuola italiana esposta al museo), contem-pla tratti di percorso a piedi o in bicicletta. Alla ma-niera di Vernon Lee, per citare una famosa cosmo-polita “italiana di adozione” appassionata del ge-nius loci caratteristico del triangolo Lazio-Umbria-Toscana (peraltro destinato a diventare uno deigrandi bacini del turismo culturale mondiale del-l’Ottocento).

Insomma, il viaggio in Italia – rideclinato e tra-sformato secondo moventi e mode aggiornate aimomenti che scandiscono la storia dell’Europatra Settecento e Ottocento – tiene, ed è anzi in vor-ticosa crescita (in termini di appeal culturale, dinumeri e di movimento economico), catalizzan-do quella più generale “passione del Mediterra-neo” presto declinata su nuove destinazioni: ver-so il Sud delle isole (lo spettacolare golfo di Napo-li e la Sicilia) e delle lande sperdute, battute daibriganti (la Old Calabria celebrata da NormanDouglas e la Sardegna).

Dall’estetica, all’economia, alla politica, il viag-gio in Italia, cominciato for learning and pleasure, èdiventato un’avventura carica di implicazioni cul-turali e di conseguenze storiche. Cesare De Seta,enciclopedista del Grand Tour ma anche attentostudioso del quadro storico-culturale che gli fa dasfondo, rileva come il viaggio – qualunque viaggio– finisca con l’attivare processi di reciprocità, tra-sformando l’identità del viaggiatore non meno chequella del residente. In tal senso, l’“invasione” del-l’Italia aveva infatti implicato nel Settecento unalatinizzazione dell’Europa, una sorta di nuova mes-sa in comune dei destini culturali del Nord e delSud; nell’Ottocento la passione per l’Italia, visitata

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za figure ove a campeggiare sono gli artisti in viag-gio e i “granmilordi”, ritratti davanti a rovine o sup-pellettili antiche in atteggiamenti apertamente pro-prietari), o a qualche folcloristica scena popolare instile sangue e core. Insomma, all’ipertrofico raccon-to del luogo “con occhi stranieri” alimentato dalGrand Tour non corrisponde un contro-raccontoautoctono di eguale forza e impatto culturale: an-che perché gli italiani allora parlavano e scrivevanopoco in italiano, ma piuttosto in veneziano, in fio-rentino, in romano, in napoletano o in latino.

C’è dunque una penisola italica, e un vagheg-giato spirito italico che la abita, ma l’Italia non c’è(e l’Italia unita sarà una questione ottocentesca).Forgiata al tornio di una memoria mitica e storicache sembra fare resistenza all’esperienza dei luo-ghi, congelata dentro ai discorsi culturali ed esteti-ci costruiti e condivisi dalle élites europee vecchie enuove, l’Italia è all’epoca dapprima una “cartogra-fia mentale” – da inseguire attraverso le citazioniletterarie – e poi una carta turistica. Come avrebbericordato un secolo dopo anche Freud, appassio-nato viaggiatore, in Italia sono le pietre a parlare: èil racconto suscitato dai luoghi – nella lingua deiviaggiatori – ad affascinare più e meglio di coloroche vengono percepiti come immemori abitanti.

Nel Settecento, il mito dell’Italia e del paesag-gio italiano era di fatto tutt’uno con il mito dellarovina: e la rovina è, a ben guardare, essa stessa ilperfetto correlativo oggettivo di una storia congela-ta, elemento residuale di un passato che in essa so-pravvive, marcando indelebilmente il territorio, in-teressante per il visitatore straniero quanto soven-te ingombrante per chi quel territorio lo abita e lousa quotidianamente. Inseguita, sorpresa, mostra-ta, comprata, citata ripetutamente, in ogni occa-sione, essa sarà la suppellettile necessaria, l’attesadidascalia (“siamo in Italia”): una rovina che si favero e proprio trofeo di viaggio, nel caso di rovineimportanti, e poi, più banalmente, souvenir d’Italie,in forma di piccolo oggetto di vetro o di coccio, in-cisione, statuetta, gioiello, talismano da portare acasa. Da mito a feticcio d’esportazione, il reperto èmerce su cui far soldi: anche da falsificare o ripro-durre in copia, avviando così un altro colossalemercato proprio dei luoghi turistici.

La statistica e la misurazione dei flussi sonostrumenti recenti, ed è quindi difficile fare una va-lutazione quantitativa del fenomeno Grand Tour.In assenza di veri e propri censimenti, sono le fon-ti indirette a consentire ipotesi numeriche: dalletestimonianze stesse dei viaggiatori – «Tra il 1760 eil 1780, non c’è viaggiatore straniero che non si la-

menti dell’invadente presenza di compatrioti a Fi-renze, a Venezia, a Roma, o a Napoli, non escluse lecittadine minori, da Lucca a Siena, a Vicenza e aVerona» (Wilton e Bignamini 1996) – ai repertorifigurativi (quadri e incisioni che rappresentanospesso un paesaggio italiano popolato di facce stra-niere, con delegazioni in ammirazione di edifici emonumenti, gruppi in visita alle rovine, musei egallerie d’arte gremite di gente); dai cataloghistampati, come il Dictionary of British and Irish Tra-vellers in Italy 1701-1800, agli elenchi ufficiali re-datti dai “circoli per stranieri” (soprattutto inglesi)presenti nelle grandi città. Quello che emerge è larealtà abbastanza sorprendente di una folla di turi-sti, e addirittura di un senso di saturazione di spa-zi e di insufficienza dei servizi: alla metà del sec.XVIII, nella sola Roma le stime parlano di 40.000stranieri, in larghissima parte inglesi, presenti nelcorso della stagione invernale.

Quanto vasta e variegata fosse la folla dei grand-travellers, inglesi soprattutto, lo riafferma Ilaria Bi-gnamini in una recente rilettura volta a creare uncollegamento tra l’anglicizzazione del Grand Toure la sua progressiva trasformazione in pratica bor-ghese, articolatasi dentro al mondo (già rinasci-mentale) delle arti e dei mestieri, ma ora decisa-mente proiettata nella sfera segnatamente moder-na del connubio tra ideologia, politica e impresacommerciale (Wilton e Bignamini 1996). Da quiquel romanzo del Grand Tour che celebra il viaggiocome icona libertaria: un’occasione di emancipa-zione “democratica”, una pratica per uomini edonne uniti dal gusto per un’esperienza culturalenegoziata tra nazioni e comunità disposte a sogna-re di liberarsi da vincoli e istanze d’oppressione, asognare appunto libertà di movimento, di espres-sione, di aggregazione, di commercio e di impresa,senza frontiere né sbarramenti di polizia.

Di questo nuovo orizzonte politico, che salda larivendicazione di diritti individuali all’avventuradelle identità nazionali di stampo europeo e occi-dentale, il Grand Tour sembra farsi una significati-va icona culturale, degna appunto di pagine e pagi-ne di racconto e resoconto, di corrispondenze in-crociate, di diari e di testimonianze figurative. Maoltre l’enciclopedia e il romanzo, vi è – dicevamo –un discorso di politica culturale. È infatti il GrandTour a fare dell’Italia il cuore della prima vera im-presa archeologica del mondo occidentale, ovecontatti politico-diplomatici (tra l’Inghilterra, loStato Vaticano e il Regno delle due Sicilie, soprat-tutto) prepareranno colossali attività di recupero(gli scavi di Roma, Pompei ed Ercolano), che an-

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ro per la Gran Bretagna. A partire dal 1862, annoin cui le ferrovie non gli concessero più tari�escontate, Thomas Cook iniziò a organizzare viag-gi a Londra e Parigi e in Svizzera. Nel 1883 arrivòanche in Italia, dove nel 1886 acquistò la funicola-re del Vesuvio. Ormai Cook coordinava viaggi intutto il mondo: l’Egitto fu il paese extraeuropeodove ebbe il maggior successo. Negli anni Ottantadell’Ottocento controllava tutti gli spostamentidei viaggiatori sul Nilo. Nel 1872, in concomitan-za con la pubblicazione del Giro del mondo in Ot-tanta giorni di Verne, Cook portò una comitiva afare il giro del mondo in 222 giorni. Cook fu il pri-mo a introdurre i biglietti circolari che coprivanotutte le tratte ferroviarie del percorso da e�ettua-re, il Cook Coupon con cui si pagavano pranzi epernottamenti negli alberghi convenzionati; in�-ne ideò una prima forma di travellers’ cheque.

In Italia la prima agenzia di viaggio fu aperta,con il consueto ritardo rispetto alla Gran Breta-gna, da Massimiliano Chiari a Firenze nel 1878 esubito trasferita nel 1879 a Milano. Chiari pubbli-cava con regolarità il giornale «Le Touriste» indi-rizzato principalmente ai turisti che venivano inItalia, ma che si occupava anche di altre questionilegate allo sviluppo del turismo. Chiari decise ditrasferire la sua agenzia a Milano poiché era unimportante snodo dei viaggi di allora e perché erail centro economicamente più produttivo. All’ini-zio degli anni Ottanta Chiari iniziò a organizzareviaggi più importanti che avevano come destina-zione principale le grandi capitali europee e leesposizioni universali (i primi viaggi furono orga-nizzati a Parigi nel 1878 in occasione dell’Esposi-zione universale). Nella seconda metà degli anniOttanta invece Chiari organizzò numerosi viaggi

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e “comprata”, doveva produrre anche processi diidenti�cazione, diventare passione per le sue vi-cende politiche, e in particolare per una causa na-zionale che avrebbe avuto molti simpatizzanti stra-nieri, soprattutto tra gli inglesi. Venendo in Italia incerca di un comune passato, gli inglesi contribui-rono in fondo a restituire anche l’Italia a un suopassato, romanzando le sue origini classiche, i fastidel Rinascimento, i magisteri artistici e letterari(come fecero Ruskin e Pater, per esempio).

Alla �ne dell’Ottocento, la cartogra�a turisticadell’Italia – quella restituita dagli itinerari presen-tati dalle mappe e dalle guide per stranieri – mo-stra uno stivale unito, e un paese dotato di meteturistiche in grado di soddisfare gusti e interessidiversi, con tipologie già a�ni a quelle del turi-smo moderno: città d’arte e centri minori per ilturismo culturale; stazioni montane per i piùsportivi, ove praticare escursioni in quota e saluta-ri passeggiate nei boschi, generate a ridosso deivalichi alpini più battuti e in vista di massiccispettacolari (come il Monte Bianco, a ovest, a�ac-ciato sulla Val d’Aosta, e le Dolomiti a est, tra levalli trentine e venete); località marine e costiere,a�ollate da turisti in viaggio di salute, ma ancheinteressate dalle prime timide apparizioni del tu-rismo balneare (la riviera ligure a nord e il golfodi Napoli a sud). Trasformatosi in pratica non piùriservata a pochi privilegiati, il turismo ha abbrac-ciato un mondo borghese esso stesso deciso acreare proprie mode turistiche e proprie icone. Ètra l’altro sulle tracce di un passaggio internazio-nale che si vanno costituendo agglomerati resi-denziali destinati ad acquistare valore turistico,ove nuclei di comunità italiana �ssano la propriadimora vacanziera, soprattutto estiva, nelle varie“marine” appresso alle città costiere o in campa-gna e in collina, ai “freschi”, e vicino agli specchid’acqua dolce. Altri tasselli, su scala regionale, siaggiungono dunque alla mappa di un’Italia turi-stica dove sono le aree decentrate ora a guadagna-re visibilità e valore: dai laghi lombardi alla Brian-za, dai ronchi appenninici alle pinete in riviera,dalle campagne ai gol� esclusivi che punteggia-no il territorio italiano.

Mondi in movimento

Il treno, il battello a vapore e il viaggio organizzato |Tra il 1820 e il 1830 la nascita della ferrovia e delbattello a vapore comportò una vera e propria ri-voluzione nei trasporti e, conseguentemente, unradicale mutamento nelle pratiche turistiche. Le

prime linee ferroviarie furono inaugurate in In-ghilterra e subito dopo nell’America del Nord.Nell’Europa continentale lo sviluppo fu più lento:la prima linea fu quella da Saint-Étienne a Lionenel 1826, a cui seguirono nel 1835 le prime lineein Germania e in Belgio e nel 1837 in Austria, inRussia e in Svizzera. La prima linea ferroviaria ita-liana fu la Napoli-Portici che venne conclusa nel1839 e allungata �no a Castellamare nel 1844. Nel1840 fu aperta la Milano-Monza, nel 1844 la Pisa-Livorno, nel 1846 la Mestre-Padova, nel 1848 laTorino-Genova, nel 1856 la Roma-Frascati.

A partire dal 1845 le navi inglesi percorrevanocon regolarità le principali rotte del mondo.

Il mondo iniziava a essere visitato da grandinumeri di persone e non più solo dalle élites ari-stocratiche e borghesi. Il successo delle localitàturistiche, indipendentemente dal tipo di turi-smo e dalla dislocazione sul territorio, dipendevastrettamente dall’esistenza e dallo sviluppo deinuovi mezzi di trasporto che consentivano di co-prire distanze, considerate �no ad allora imper-corribili, in breve tempo e a costi contenuti. Alla�ne dell’Ottocento si di�usero la bicicletta, la mo-tocicletta e l’automobile, mezzi che consentironoai viaggiatori e ai turisti di muoversi in libertà fuo-ri degli itinerari precostituiti delle ferrovie. Il fat-to che il viaggio fosse divenuto più economico emeno pericoloso aveva fatto sì che anche moltiesponenti della piccola e media borghesia comin-ciassero a viaggiare. La crescita della domanda fe-ce nascere l’esigenza di organizzare commercial-mente i viaggi: la prima agenzia di viaggio nacquenel 1841 in Gran Bretagna su iniziativa di ThomasCook.

Le agenzie di viaggio: dalla Thomas Cook alla Chia-ri Viaggi | Thomas Cook è considerato il primoagente di viaggi organizzati. L’attività di Cook ini-ziò nel luglio del 1841, quando organizzò un viag-gio in treno da Leicester a Loughborough per cin-quecento persone che dovevano recarsi a un in-contro antialcolista. Cook intuì che la ferroviaavrebbe rappresentato una rivoluzione nel mon-do dei viaggi e che era fondamentale occupare tut-ti i posti disponibili nei treni per rendere le ferro-vie produttive. Grazie a questa intuizione, riuscì aottenere dai gestori delle ferrovie dei prezzi conve-nienti. Non vi erano più limitazioni nel numerodi viaggiatori e anche quelli con scarse possibilitàeconomiche erano in condizione di viaggiare. Nel1845, Cook aprì la prima agenzia turistica e neiprimi quindici anni di attività portò i turisti in gi-

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Passeggeri sulla funicolare del Vesuvio tra la �nedell’Ottocento e l’inizioNovecento. La funicolare fuacquistata nel 1886 da Thomas Cook, il primoagente di viaggi organizzati.

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vità artigianale in un’attività imprenditoriale,guardando come modello alle grandi agenziestraniere. L’agenzia si chiamò da quel momento“Chiariva” e conobbe un certo successo. Il 1900fu l’anno migliore per il turismo organizzato ita-liano grazie a due contingenze fortunate: l’Esposi-zione universale di Parigi e il giubileo. La doman-da di viaggi non fu sempre così alta come nel1900, che era stato indubbiamente un anno parti-colarmente favorevole. In generale il settore delleagenzie di viaggio risentiva dell’arretratezza eco-nomica dell’Italia, che si era sviluppata in ritardorispetto agli altri paesi europei.

Luoghi di vacanza

Acqua e salute| Il turismo termale, considerato laprima forma di turismo moderno, nasce in GranBretagna alla �ne del Seicento e conosce il suomassimo sviluppo tra la metà del Settecento e l’i-nizio dell’Ottocento. Frequentare le stazioni ter-mali inglesi dell’epoca, come racconta esemplar-

mente Jane Austen nei suoi romanzi, signi�ca af-fermare lo status sociale raggiunto e vederlo rico-nosciuto pubblicamente. La città termale per an-tonomasia, in Inghilterra, è Bath. Il grande suc-cesso di Bath fu determinato dalla sua trasforma-zione da luogo di cura a luogo di divertimento, ca-ratterizzato dalla costruzione di un parco termale,dalla proliferazione di teatri, ca�è, giardini egrandi alberghi.

Verso la �ne del Settecento la moda delle va-canze alle terme si spostò nell’Europa continenta-le, il cui centro più famoso fu Spa, in Belgio. Nelmomento di declino del turismo termale si af-fermò il turismo balneare nei mari freddi (1775-1780). Fu l’aristocrazia, oltre alla scoperta medicadelle proprietà terapeutiche dell’acqua per la cu-ra di molte malattie, a sancire il successo del turi-smo termale e del turismo balneare. Il passaggiodal turismo termale a quello balneare avvenne aScarborough, ma la città balenare più famosa del-l’Inghilterra, soprattutto nell’Ottocento, fu Brigh-ton. Il mare di questo turismo balneare era un

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anche in Oriente, soprattutto in Egitto, verso Ge-rusalemme e i Luoghi Santi, nonché veri e propripellegrinaggi e un viaggio a Capo Nord, che ri-scosse un grande successo. Agli inizi degli anniNovanta la Chiari proponeva viaggi nei quattro

continenti, compreso il giro del mondo. Le atti-vità dell’agenzia Chiari non furono mai partico-larmente redditizie e conobbero spesso momen-ti di crisi. Nel 1898, Chiari decise di cedere l’agen-zia a Sommariva che riuscì a trasformare un’atti-

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Manifesto pubblicitario delle acque imbottigliate pressole terme di Montecatini, 1880.Gli impianti termali di questacittà conobbero fortuna a livellointernazionale dalla secondametà dell'Ottocento.

Alberghi a Sorrento e vista sulla baia a �ne Ottocento. La costiera sorrentino-amal�tana è stata una delleprime località italiane interessatedal turismo balneare.

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francese. Lo sviluppo turistico di Sanremo fu mol-to simile a quello di Nizza. Inizialmente si trattavadi un piccolo paese arretrato, la cui economia sireggeva sull’agricoltura. Con lo sviluppo turistico simodificò l’assetto urbano e si costruirono grandialberghi, ville, centri sportivi e ricreativi. Sanremofu principalmente frequentata da inglesi che crea-rono una vera e propria comunità autonoma cheraramente entrava in contatto con la popolazionelocale. Negli anni Ottanta del Settecento, Sanremoera ormai diventata una delle principali mete turi-stiche internazionali, grazie anche al miglioramen-to dei collegamenti ferroviari.

Viareggio, dove i primi stabilimenti balneari fu-rono costruiti nel 1828, attirava invece bagnantiitaliani, soprattutto l’alta borghesia e la nobiltà fio-rentine. Sulla costa tirrenica l’altra grande desti-nazione era la costiera sorrentino-amalfitana: Ca-pri e Sorrento erano già mete turistiche fin dai tar-di sviluppi del Grand Tour. Sulla costa adriatica,invece, a fine Ottocento solo il Lido di Venezia erauna località turistica di successo. Nel corso dell’Ot-tocento iniziarono a essere costruiti piccoli stabili-menti balneari in diverse località marine: Viareg-gio (1828), Rimini (1843), Livorno (1846), Lido diVenezia (1857), Alghero (1862), Cagliari (1863).

Il carattere innovativo della villeggiatura mari-na, come scrive Triani, era più gradito a una classedi nuova formazione e in particolare ai ceti medi,per il fatto che non evocava antiche tradizioni e re-taggi e soprattutto perché consentiva modalità divacanze socialmente ed economicamente dimen-sionate (Triani 1988, p. 56).

La spiaggia e il mare restano, però, almeno allafine della prima guerra mondiale, due zone di con-fine che vengono sfruttate soprattutto per l’idea dicura a esse associata. Dal 1870 si assiste a un gra-duale mutamento delle mentalità e le località bal-neari italiane iniziano a trasformarsi, così come eraavvenuto in Inghilterra, da luoghi di cura a luoghi didivertimento e di socialità. Spesso in queste loca-lità venivano costruiti i casinò e il gioco d’azzardocostituiva un’attrazione turistica importante.

Le differenze di classe sociale si manifestanonon tanto nelle pratiche dei bagni e nel modo divivere spiaggia e mare, quanto nei divertimenti enella vita sociale. Il mare era dunque ancora unacura e il sole un nemico da cui proteggersi. Nessu-no metteva in dubbio l’importanza delle villeggia-ture al mare per curare e prevenire molte patologie.Il corpo doveva essere nascosto e i bagni, a volte ef-fettuati all’interno di bizzarri casotti, dovevano du-rare due minuti al massimo. C’era inoltre una rigi-

da separazione fra zone destinate agli uomini e zo-ne destinate alle donne. Bisognerà attendere an-cora qualche anno per vedere modificato il mododi vivere il mare, la spiaggia e il sole. I primi sensi-bili cambiamenti si verificarono infatti fra la pri-ma e la seconda guerra mondiale, ma la vera rivolu-zione ebbe luogo nel secondo dopoguerra.

L’invenzione della montagna | Per lungo tempo lamontagna fu vista come un luogo spaventoso einaccessibile, abitato da bestie feroci e da popo-lazioni crudeli e inospitali. Geografi e scrittori del-l’antichità avevano contribuito ampiamente allacostruzione di questa immagine, che non inco-raggiava a farne esperienza. La “scoperta” dellamontagna come oggetto di contemplazione e dicimento fisico avvenne in tempi relativamente vi-cini a noi, a seguito del mutamento dei paradig-mi estetici, filosofici e scientifici. Si iniziò infatti aconcepire e apprezzare, a fianco alla natura ordi-nata e regolamentata, anche una natura più sel-vaggia e disordinata. In Europa, i primi segnali diinteresse sono da attribuire ai poeti e agli artistitra Medioevo e Rinascimento: Petrarca e Leonar-do avevano guardato e amato la montagna, e, ispi-rati da un sentimento avvolto da un’aura mistica e“minerale”, ne avevano fatto esperienza. L’Ascen-sione al Monte Ventoso e le rocce dipinte con preci-sione scientifica lo testimoniano; nel Trattato del-la pittura Leonardo trova nella montagna la chia-ve della “composizione” naturale: una rivelazio-ne geologica ed estetica che diventa più tardi unalezione per gli scienziati naturalisti e per i poetidel sublime che, nel trasformare la montagna inun laboratorio en plein air, ne fecero anche un luo-go affascinante e degno di interesse – soprattuttoper i cittadini, che cominciarono ad avvicinarsi al-le montagne. Spicca fra questi il nome del filosofoe linguista Horace Bénédict de Sassure che tral’altro, nel 1787, scalò il Monte Bianco. L’impresafu immortalata da artisti al seguito, con varie seriedi acquerelli e disegni divenuti subito famosi checertamente contribuirono a diffondere l’immagi-ne dei massicci rocciosi e dei ghiacci perenni, afarne un’icona culturale. Ma la rivelazione è an-cora per pochi, e la stessa mistica del sublime infondo traduce in esperienza estetica (vertigine,mancamento, accecamento) lo smarrimento e lospaesamento della tradizione popolare. A partiredalla fine del Settecento, quando i flussi dei viag-giatori che attraversano i valichi per andare in Ita-lia si fa cospicuo, la montagna diventa un luogodi epifanie visionarie. Per Ruskin – e siamo a metà

Il turismo439

mare freddo e i bagni, secondo i dettami medicidell’epoca, avevano solo scopi curativi e doveva-no durare pochi minuti. In un certo senso il turi-smo balneare rappresentava il prolungamentoideale del turismo termale. Come scrive Triani, ilmodello di vacanza marina derivava totalmenteda quello termale (Triani 1988, p. 51).

La struttura “caratterizzante” delle stazioni bal-neari era il Kursaal, anch’essa di origine termale. Sitrattava di una costruzione molto simile agli stabili-menti termali, ma a differenza di questi ultimi, ve-niva costruita vicino al mare ed era caratterizzatada un lungo molo, sorretto da piloni.

La spiaggia e il sole non erano ancora stati sco-perti. Con la diffusione della ferrovia sorsero in In-ghilterra molte stazioni balneari aperte a un turi-smo meno aristocratico, in particolare alle famigliedel ceto medio in ascesa, che si concentrarono pre-valentemente nel sud-est dell’Inghilterra e nel De-von. Fra il 1880 e il 1910 sorsero nuovi centri balnea-ri, soprattutto nelle province settentrionali, che atti-rarono turisti appartenenti alle classi operaie. La piùfamosa località turistica popolare fu Blackpool.

Successivamente si è assistito a un lento pro-cesso di meridionalizzazione delle mete turistichebalneari. Verso la fine del sec. XVIII sorsero deicentri sul Mare del Nord e sul Mar Baltico. Le cittàbalneari continentali, anche se riproducevano ilmodello di Brighton, non conobbero mai il succes-so delle località inglesi, non solo perché le abitudi-ni dell’aristocrazia dell’Europa continentale eranodiverse, ma anche perché si svilupparono in con-temporanea con le località termali. Le coste delNord della Francia iniziarono a essere frequentatedai turisti solo all’inizio dell’Ottocento. Dalle co-ste settentrionali i turisti scesero a poco a poco ver-so le coste meridionali dell’Europa: dal mare fred-do in estate si passò al mare freddo in inverno. Laprima località balneare della costa meridionaledella Francia fu Sète, il cui modello era semprequello di Brighton. I turisti, soprattutto inglesi esoprannominati “rondini” o hivernants, venivano acercare un mare freddo. Le località balneari delMediterraneo accoglievano i turisti da ottobre adaprile e poi dai primi di maggio si svuotavano. Inpratica la specificità di queste località consistevanell’offrire la possibilità di trascorrere l’inverno inun clima mite e, grazie al fatto che si concentrava-no in un diverso periodo dell’anno, non entraronomai in concorrenza con le stazioni balneari inglesi.Anche nel caso delle stazioni balneari della costameridionale francese, furono le istanze mediche apromuovere questo genere di vacanza: l’aria di ma-

re era considerata importante per la cura delle ma-lattie polmonari, fra cui primeggiava la tubercolo-si, che erano assai diffuse in quel periodo. A fiancoai malati di polmoni iniziarono ad arrivare aristo-cratici e borghesi in cerca di svago e di divertimen-to. Nella seconda metà dell’Ottocento la Costa Az-zurra conobbe il suo massimo splendore. Nizza,Mentone, Cannes e Montecarlo diventarono le me-te turistiche invernali più ambite dagli aristocrati-ci e borghesi europei, a cui successivamente si ag-giunsero anche gli americani. Furono costruitigrandiosi alberghi e bellissime ville adornate dipiante esotiche. Questi luoghi, prima modesti vil-laggi di pescatori, si trasformarono in centri esclu-sivi capaci di attrarre una clientela cosmopolita. Ècon la prima guerra mondiale che questo modelloturistico entra in crisi.

In questo quadro europeo l’Italia conosce unosviluppo a sé stante. A fianco ai pellegrinaggi e alGrand Tour si era sviluppato anche un turismo ter-male che, dopo il grande sviluppo in epoca roma-na, conobbe una nuova stagione fra il 1300 e il1400. Le terme medievali, concentrate in prevalen-za intorno ai più importanti nuclei urbani, eranoveri e propri centri di cura e non offrivano occasio-ni di svago e di evasione ai frequentatori, come lecittà termali inglesi. Dunque, anche se la praticatermale aveva conosciuto un’ampia diffusione, inItalia si sviluppò, nel senso modernamente inteso,con un secolo di ritardo rispetto alle località inglesi.Bagni di Pisa fu la prima località termale a rendersiconto dell’importanza dello sviluppo turistico e fe-ce una serie di investimenti fra il 1742 e il 1766. Ilsuccesso delle località termali italiane arrivò con laBelle Époque. La più importante città termale fu sen-za dubbio Montecatini, seguita da San Pellegrino,Recoaro, le terme euganee, gli stabilimenti napole-tani. Un caso particolare fu rappresentato da Salso-maggiore che fu letteralmente inventato dal nullacome centro turistico. Ischia, già tappa del GrandTour, fu una delle poche stazioni termali italianead avere un carattere internazionale.

Dalle terme a Sanremo | L’Italia fu interessata dalturismo balneare più tardi; dapprima quando siscoprì il mare in inverno e successivamente quan-do si scoprirono le proprietà terapeutiche del sole.La prima zona interessata dal turismo balneare fu,come prevedibile, la costa ligure che seguì l’esem-pio della vicina Costa Azzurra, di cui rappresentavail naturale prolungamento. Intorno al 1870 Sanre-mo iniziò a svilupparsi, facendo perno sugli effettiterapeutici del clima e sulla vicinanza con la costa

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La Svizzera fu il primo paese dove si sviluppòin modo signi�cativo il turismo alpino; le localitàdi montagna si dotarono delle stesse strutturedelle stazioni termali e balneari: grand hotel,ca�è, stabilimenti termali e di cura, passeggiate.Una clausola della costituzione impediva la co-struzione in Svizzera di casinò, il luogo di diverti-mento più di�uso nelle località turistiche euro-pee, rendendo così possibile la di�usione deglisport sulla neve. A St. Moritz venne costruita laCresta Road , una delle prime piste in Europa persport invernali. Il principale fautore di queste ini-ziative fu Johannes Badrutt, che promosse anchevarie attività per far sì che la stagione turistica nonsi limitasse ai soli mesi estivi. Sorsero in questomodo strutture sportive e di divertimento e sira�orzarono i collegamenti ferroviari che reseroSt. Moritz più accessibile.

Il passaggio dal turismo nei mesi estivi a quel-lo nei mesi invernali fu lento e graduale. Intorno al1870 gli albergatori cercarono di attrarre i turistianche in inverno. Il primo sport praticato in mon-tagna fu il pattinaggio, mentre lo sci si sviluppòpiù tardi. St. Moritz è un modello esemplare dellanascita e dell’evoluzione delle stazioni montane.Già nota ai viaggiatori, St. Moritz conosce la primasvolta turistica nel 1856, quando Johannes Flugi,già promotore di uno stabilimento termale nel1832, fa costruire anche il primo albergo. St. Mo-ritz iniziò presto a essere frequentata non solo dasvizzeri, ma anche da inglesi, italiani e austriaci,tanto da diventare una delle più importanti meteinternazionali e cosmopolite dell’epoca.

Se per gli inglesi l’alpinismo divenne una verae propria moda, per gli altri europei era principal-mente una forma di lavoro, poiché gli abitanti delluogo spesso guidavano i turisti nelle montagne.Nella seconda metà dell’Ottocento si costituiro-no diverse associazioni con l’intento di promuo-vere l’alpinismo e la conoscenza delle montagne.Il primo club alpino nacque in Inghilterra nel1857, e successivamente nacquero quello austria-co (1862), quello italiano (1863) e tedesco (1869).

Il club alpino italiano nacque per iniziativa diQuintino Sella. Il Club si proponeva idealmentedi promuovere la conoscenza della montagna e dicostruire rifugi ad alta quota, per consentire aglialpinisti di riposarsi durante le scalate. La primasede attiva del CAI fu quella di Torino, ma con ilpassare del tempo ne sorsero altre soprattuttonelle città appenniniche e alpine che svolgevanoun’attività di propaganda per la promozione deivalori dell’associazione.

La nascita del turismo italiano

L’Italia in viaggio fra le due guerre

Liberalismo, economia e stato moderno| L’associa-zionismo costituisce un indizio per misurare il gra-do di sviluppo di una società civile. La forma asso-ciativa indica infatti il raggiungimento di un gradodi rappresentanza degli interessi privati. Ma, so-prattutto, rivela la democratizzazione della formaassociativa, cioè a dire l’estensione della parteci-pazione a strati sociali sempre più ampi. La perdi-ta, in de�nitiva, di quel carattere elitario che certeforme aggregative rivestono nell’Ottocento.

È ciò che avviene in Italia nel periodo d’iniziosecolo, allorché la forma associativa diviene larappresentazione plastica di quella «voglia di par-tecipazione» che connota la realtà del nostro pae-se. Si pensi, per esempio, a ciò che avviene nelcampo dell’associazionismo del tempo libero: so-cietà velocipedistiche, boccio�le e sodalizi sporti-vi riferiti alle varie discipline vengono a ricoprireruoli che, di fatto, danno risposte a una di�usadomanda di partecipazione in una Italia in via dirapido cambiamento.

Oppure si consideri il turismo: pro loco, so-cietà di divertimenti, associazioni territoriali perla promozione delle varie località balneari o mon-tane colgono immediatamente le potenzialità diun nuovo settore dell’economia e, in maniera deltutto autonoma e spontanea, organizzano i loro“interessi”. Favoriti in questo da quel nuovo respi-ro liberale dell’età giolittiana, da quel laissez faireche consentiva l’autonoma organizzazione di as-sociazioni.

Insomma, per l’inizio del secolo è tutto un �o-rire di associazioni che se da una parte denotanouna democratizzazione nella vita sociale, dall’al-tra indicano anche il ruolo economico dell’asso-ciazionismo: cioè a dire la difesa di interessi par-ticolari, soprattutto territoriali. Da questo puntodi vista l’aggregazione in un settore così particola-re come quello del turismo stava a indicare la“supplenza” che l’associazionismo esercitava difronte all’assenza dei pubblici poteri. Letto peròin positivo il fenomeno stava anche a indicare laliberalità con la quale i pubblici poteri favorivanocerte forme aggregative comprendendo che la lo-ro funzione si esercitava in direzione della cresci-ta di un interesse collettivo.

La nascente industria turistica diviene, in de�-nitiva, lo specchio fedele di quella profonda mu-tazione del rapporto fra governanti e governati

Il turismo441

dell’Ottocento – le montagne sono come «catte-drali della terra», luoghi di Stimmungcatartica dapreservare, limitandone gli accessi. E proprio gliinglesi, spinti da motivazioni sportive e dalla di-sponibilità di tempo libero, avevano preso ad “an-dare in montagna”, dedicandosi a escursioni eascensioni. La molla propu lsiva era costituita dalrischio e dal pericolo: scalare le vette più alte rap-presentava una s�da nei confronti della natura eun tentativo di superamento dei limiti umani. Alla�ne dell’Ottocento, con l’arrivo degli escursioni-sti americani, le Alpi europee si con�gurano comeuna vera e propria palestra di divertimenti: vienein mente la sorprendente satira del Tartarin sur lesAlpesdi Daudet, dove il paesaggio naturale si pre-senta infarcito di suppellettili e arredi “a tema”, eletteralmente infestato da escursionisti alquantochiassosi e indisciplinati.

I club alpini | Pur contribuendo a modi�care la per-cezione generale della montagna, dandone cioèun’immagine addomesticata, il turismo alpino ri-mase comunque �no agli inizi del Novecento un

turismo elitario. Nella maggior parte dei casi, fattaeccezione per le vette più importanti come il Cervi-no e il Monte Bianco, i �ussi turistici erano deter-minati dalla conquista delle vette. Una volta con-quistate, i �ussi si spostavano verso la vetta succes-siva. Come comprensibile, la combinazione diquesti fattori rendeva di�cile lo sviluppo turisticodelle località alpine. Il primo centro europeo di al-pinismo fu Chamonix, il luogo delle imprese di DeSaussure, divenuto presto meta di avventurosiescursionisti (molte le donne) che da lì partivanoper la traversata della Mer Glacée con rudimentalisci ai piedi. Associati al turismo alpino erano anchealcuni paesi ai piedi delle Alpi svizzere: il successodi queste località non fu determinato dagli alpini-sti e dagli sportivi – che rimanevano un numeroesiguo – ma da vacanzieri di alto ceto borghese, for-se anche già in cerca di aria e di acqua buona. I pae-si di montagna diventarono i luoghi ideali per tra-scorrere le estati calde, vissuti come luoghi di curae di divertimento al tempo stesso. Le stazioni cli-matiche montane svolgevano in estate la funzioneche le coste meridionali assolvevano in inverno.

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La Mer de Glace sul MonteBianco, in un acquerellodi John Ruskin del 1849.

L'intellettuale inglese contribuìall'a�ermazione delle Alpi come luogo ideale per la percezione del sublime.

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saggio. Si apre così il periodo delle vacanze dimassa che comporterà dei profondi mutamentianche nel Touring, che abbandona de�nitiva-mente il culto del Risorgimento e inizia a occu-parsi dello sviluppo dei nuovi tipi di turismo, conuna particolare attenzione alla tutela delle risorseturistiche. Nel 1963 «Le vie d’Italia» inizia a occu-

parsi degli scempi della speculazione edilizia sel-vaggia. Nel 1967 il Touring in collaborazione conItalia Nostra organizzerà una mostra intitolataItalia da salvare . Il Touring all’inizio degli anniSessanta già intravede il carattere ambivalentedello sviluppo turistico: da una parte un impor-tante fattore di modernizzazione, dall’altra una

Il turismo443

che avviene nel primo Novecento. Come a direche se sul piano politico il fervore associazionisti-co rivela il progressivo organizzarsi di interessi so-ciali ed economici di fronte a una generale mo-dernizzazione del paese, sul piano turistico l’as-sociazionismo denota la risposta che gruppi pri-vati e territoriali forniscono a nuovi bisogni cheemergono dalla collettività.

Da questo punto di vista lo sviluppo del turi-smo italiano è favorito da certe forme aggregati-ve che sorgono spontaneamente ed esercitano unvero e proprio ruolo di supplenza nei confronti diuna nuova forma di economia, di fronte alla rela-tiva assenza dei pubblici poteri.

Per dirla in breve, è l’iniziativa privata che, frala �ne dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, fa-vorisce la nascita del turismo.

Il Touring Club Italiano | Il Touring Club Italiano, disicuro la più grande e conosciuta associazione diturismo in Italia, nasce nel 1894 grazie all’iniziati-va di un gruppo di “ciclisti”, che comprende alcuniimportanti esponenti dell’imprenditoria milane-se dell’epoca, fra cui spicca Luigi Bertarelli, l’ani-matore principale delle attività e delle iniziative delTouring. Originariamente chiamato Touring Clubciclistico italiano, prende a modello le forme di as-sociazionismo nate in Europa e in particolare inGran Bretagna. In questo periodo storico la bici-cletta è simbolo di modernità, velocità e produtti-vità, valori condivisi e promossi dalla borghesia in-dustriale in ascesa. La missione principale del Tou-ring è quella di di�ondere la �loso�a e la praticadel “velocipedismo” e del viaggio, nonché promuo-vere la conoscenza dell’Italia presso gli italiani. So-prattutto nei primi anni, l’attività del Touring è ca-ratterizzata da una forte spinta patriottica che siesplicita e nelle opere di miglioramento delle stra-de e nella pubblicazione delle guide volte a far co-noscere, come si vedrà in seguito, appunto «l’Italiaagli italiani». Nel 1895 il Touring propone la crea-zione di piste ciclabili, appronta punti di soccorsomedico lungo le strade e promuove una campagnaper l’abolizione della tassa governativa sui veloci-pedi. Nel 1897 il Touring si impegna a predisporrecartelli indicatori e stradali. Questo impegno, chesi modi�cherà nel corso degli anni dapprima conl’introduzione del Codice stradale del 1933 e poicon l’applicazione degli accordi di Ginevra del1949 che diede inizio alla realizzazione di una se-gnaletica internazionale, terminerà solo nel 1974,anno della chiusura dell’U�cio tecnico segnala-zioni del Touring. A cinque anni dalla fondazione i

soci sono già sedicimila. Il 25 marzo 1900 l’Assam-blea generale decide di cambiare la denominazio-ne in Touring Club Italiano, in ragione del fatto chesi sta di�ondendo l’uso dell’automobile e che sista aprendo una nuova epoca nel mondo dei tra-sporti e del turismo. La di�usione dell’automobileha un impatto radicale non solo sull’economia, maanche sul costume. Soprattutto negli anni delboom economico, quando la Fiat mise sul mercatola famosa Seicento – simbolo della democratizza-zione dell’automobile – gli italiani scoprono il pia-cere del viaggio individuale, con tappe e itineraristabiliti in autonomia e libertà.

Nemmeno lo scoppio della prima guerra mon-diale rallenta il lavoro del Touring, che si fa promo-tore dell’ENIT, l’Ente nazionale italiano per il turi-smo, di cui la rivista del Touring «Le vie d’Italia» di-venta l’organo u�ciale. Nel 1914 viene inoltre isti-tuito l’U�cio cartogra�co. Il Touring Club, in li-nea con il suo spirito divulgativo e patriottico, pro-muove la pubblicazione delle prime guide turisti-che italiane destinate a italiani, come vedremo piùdi�usamente in seguito. Nel 1932 il Touring entraa far parte della Consulta per la tutela delle BelleArti e nel 1937 ha 477.000 soci.

Dopo il secondo con�itto mondiale, duranteil quale c’era stata una forzata sospensione delleattività, il Touring riprende le pubblicazioni di «Levie d’Italia» nel gennaio del 1946. Nell’articolo diapertura si ribadisce ancora una volta che il Tou-ring ha come missione quella di partecipare allaricostruzione materiale e morale del paese di-strutto dalla guerra. Inizia a di�ondersi la praticadel turismo scolastico come mezzo di conoscenzadel territorio italiano e delle di�erenze culturalidelle regioni italiane. Il Touring si attiva ancheper la ricostruzione delle infrastrutture indispen-sabili al turismo: alla �ne della seconda guerramondiale sono settemila i chilometri di binari di-strutti, per non parlare di strade e ponti. Comeinevitabile, anche monumenti e musei hannosubìto importanti danni così come le strutture ri-cettive. Inoltre il generale impoverimento non ècerto un incentivo al turismo, che continua a esse-re, e ora anche più di prima, un bene di lusso. Conil boom economico cambiano le condizioni di vi-ta degli italiani che cominciano a viaggiare con leloro utilitarie lungo le autostrade di nuova costru-zione (nel 1956 inizia la costruzione del primotratto dell’Autostrada del Sole). Il Touring Clubapprova e promuove lo sviluppo delle nuove gran-di arterie viarie, ma manifesta anche una certasensibilità per la tutela dell’ambiente e del pae-

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La festa del Touring ClubItaliano a Milano con la s�latadei ciclisti. Copertina di AchilleBeltrame per la «Domenica del Corriere» del 4 giugno1905. Il Touring nasce comeassociazione di "velocipedisti".

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minaccia per l’ambiente e per il territorio. A que-sto punto il Touring si fa promotore di una seriedi campagne per evitare il sovra�ollamento neicentri storici e la concentrazione delle ferie degliitaliani nel solo mese di agosto.

Il Touring non si occupa solo di limitare gli ef-fetti negativi del turismo, ma anche di incentivarelo sviluppo del campeggio. L’associazione, comescrive Pivato, promuove mete turistiche lontanedal frastuono del turismo di massa che mettano ilsocio Touring a contatto con un ambiente e unanatura ancora incontaminati (Pivato 2006, p. 151).

Negli anni Settanta il Touring prosegue la suaattività, dando uno spazio maggiore, a �anco allatradizionale attività di editoria e cartogra�a, al-l’organizzazione di viaggi per singoli e gruppi. Ne-gli anni Novanta viene creato il Centro Studi conl’obiettivo di fare ricerche e studi, anche in colla-borazione con enti e università che si occupanodi turismo, sugli «aspetti più signi�cativi del viag-gio e del turismo» nella società contemporanea.Il Centro Studi pubblica con regolarità i Libribianchi e gli annuari del Turismo e della cultura.

Nazionalismo e internazionalizzazione: la fondazionedell’ENIT e gli albori del fascismo | Nell’immediatoprimo dopoguerra alcuni eventi vanno segnalati co-me indizi di un processo che nel volgere di qualcheanno avrebbe posto le premesse per una nascitadella industria delle vacanze anche in Italia.

Nel 1919 si costituisce l’Ente nazionale italia-no per il turismo (ENIT), a cui viene demandato ilcompito di curare la promozione e la pubblicità delturismo italiano. Organismo di carattere governa-tivo, l’ENIT era stato varato dallo stato italiano alloscopo di promuovere in maniera meno episodica il�usso turistico. Nel suo consiglio di amministra-zione sedevano rappresentanti dell’Associazionedegli albergatori, delle pro loco e dell’Unione Ca-mere di commercio. Vicepresidente dell’Ente funominato Luigi Vittorio Bertarelli, presidente eanima del Touring Club Italiano, che era stato unodei promotori dell’iniziativa. Non a caso l’organou�ciale del nuovo sodalizio divenne, come abbia-mo visto, «Le vie d’Italia», fondata qualche tempoprima dal TCI. Fra gli scopi del nuovo organismorientravano la propaganda editoriale, fotogra�cae cinematogra�ca, la produzione di manifesti, car-tine ferroviarie e marittime, l’organizzazione delleattività delle pro loco, il censimento delle risorseturistiche e delle strutture alberghiere di tutti i co-muni d’Italia e la valutazione della consistenza delmovimento dei forestieri.

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dica al Lazio ci si so�erma sulla boni�ca dell’A-gro Pontino:

Non è possibile seguire con i dati esatti una così celere tra-volgente attività; sarà possibile farlo quando sarà compiutala possente opera, consacrata nelle parole lapidarie del Du-ce: «Si redime la terra, si fondano le città».

L’Italico | Insomma, si viaggia alla scoperta dell’Ita-lia celebrando anche il fascismo e il suo capo. An-che l’ospite straniero fa comunque i conti con lapropaganda del regime. In realtà, se nel corso deglianni Trenta appaiono pienamente superati i pre-giudizi contro lo “straniero”, ciò che invece non ap-pare superato, anzi è destinato ad accentuarsi, è lapolemica contro gli “stranierismi” per la difesa del-la lingua italiana. Una polemica che, paradossal-mente, nel corso degli anni Trenta giunge a vietareinsegne e indicazioni in lingua straniera, in nomedi una «purezza della lingua italica» che arriva a

proibire ogni terminologia straniera. Un provvedi-mento che colpisce in particolare il linguaggio le-gato al turismo, in gran parte debitore delle sue pa-trie, la Francia e l’Inghilterra.

Da più parti si levano voci di quanti si chiedono«perché… dobbiamo abbondare di restaurant, dihotel, di maison-meublées, di pension, di bar, ditea-room, club, casino e per�no di kursaal?». Inmaniera ancora più speci�ca i difensori del puri-smo linguistico pretendono di eliminare la «deno-minazione franciosa o anglicana» dalle insegne de-gli alberghi: «Bellevue, Majestic, Du Nord, Impe-rial e molti altri termini debbono sparire dalle fac-ciate degli italianissimi alberghi», raccomanda «IlPopolo d’Italia», organo del regime fascista. Altrigiornali levano lamentele contro le etichette dellevaligie dei viaggiatori: Rome, Naples, Venise.

A queste polemiche e alle conseguenti disposi-zioni del regime va ricondotta la trasformazione ditutta la terminologia che si riferisce al turismo: ho-

Il turismo447

In quel clima fortemente impregnato di nazio-nalismo che caratterizzava l’attività turistica delprimo dopoguerra, l’ENIT si proponeva anche dicreare, attraverso l’apertura di agenzie viaggi al-l’estero, dei «focolari di italianità».

Di�cile valutare se l’incremento delle presen-ze straniere in Italia in quei primi anni del dopo-guerra sia direttamente relazionabile alla nascitadell’ENIT. Resta il fatto che il �usso è in aumentocostante: 320.000 presenze nel 1920; 600.000 nel1922; 830.000 nel 1924. Con gli anni l’a�usso deituristi stranieri e il rilevante apporto economicoavrebbe mitigato, tra l’altro, quegli eccessi di xe-nofobia che, nel periodo prebellico, avevano ca-ratterizzato alcuni atteggiamenti ostili in partico-lare nei confronti di tedeschi e austriaci. Era statoinfatti Filippo Tommaso Marinetti, il vate del fu-turismo italiano, a dare il via a una campagnacontro il turismo estero ritenuto espressione diservilismo nei confronti degli stranieri, preconiz-zando un futuro «radioso» nel quale città come Fi-renze o Venezia sarebbero state rase al suolo da«bombe bene�che», in modo da eliminare ognipretesto per i turisti stranieri per venire in Italia.In un suo discorso, tenuto al teatro La Fenice nel1910 e poi pubblicato in Contro la Venezia passati-sta , Marinetti invitava a «ripudiare la Venezia deiforestieri» e a «schiacciare qualche lurido e grotte-sco professore nordico dal cappellaccio tirolese».

Gli inviti di Marinetti dovevano avere avuto po-ca eco all’estero, tanto che a partire dagli anniVenti, mentre il mito dell’Italia appare in declinopresso il pubblico inglese, il �usso del turismoestero in Italia è in ascesa grazie ai tedeschi e aisudditi dell’ex impero asburgico (cecoslovacchi,iugoslavi, ungheresi, austriaci).

Ma gli strali di Marinetti avevano poca eco an-che tra gli italiani: i pubblici amministratori di Ve-nezia, anziché ripudiare i «forestieri», varano unaserie di progetti destinati a lanciare de�nitiva-mente la città lagunare fra le mete preferite del tu-rismo d’Oltralpe. Nel 1919 l’ingegnere DaniloDonghi progetta un tunnel sottomarino che colle-ghi, in solo tre minuti, il Lido di Venezia a S. Mar-co. Quel progetto sarebbe rimasto sulla carta, etuttavia il capoluogo veneto conferma, negli annifra le due guerre, la sua vocazione turistica attra-verso l’istituzione della Mostra del cinema, nel1932, e l’apertura del casinò, nel 1936.

Anche altre stazioni balneari disegnano i pro-pri futuri destini negli anni Venti. Riccione richie-de (e ottiene) l’autonomia comunale da Riminiproprio in considerazione di uno sviluppo turisti-

co che sarebbe puntualmente giunto fra la �nedegli anni Venti e l’inizio degli anni Trenta lan-ciando la “perla verde dell’Adriatico” nel �rma-mento del turismo italiano. La stagione turisticariprende a funzionare anche a Grado, dopo l’in-terruzione per i danni causati dalla prima guerramondiale. Nel 1928 a Cesenatico si inaugura ilGrand Hotel con 110 camere, 180 letti e grandi sa-le e terrazze sul mare.

Anche sulla costa tirrenica è tutto un �orire diiniziative che denotano un inedito slancio del set-tore: costruzione di alberghi, inaugurazione distabilimenti balneari, promozione di stagioni tu-ristiche.

Anche sul piano dell’organizzazione turisticaalcune iniziative denotano il fervore di quegli an-ni. Nel 1924 a Milano nascono due agenzie desti-nate a giocare negli anni futuri un ruolo di primopiano: la Teorema e l’Istituto italiano di turismo epropaganda, che più tardi avrebbe assunto il no-me di Turisanda. E, nel 1927, da una costola del-l’ENIT, nasce la CIT, la prima grande catena ita-liana di agenzie turistiche.

Con buona pace di Marinetti anche altre ini-ziative dimostrano la volontà degli operatori turi-stici italiani di attrarre clientela dall’estero. Nel1922, il Touring edita il primo volume intitolatoItalie - Des Alpes à Rome al quale segue, nel 1924,Rome, l’Italie Méridionale et les Îles , di cui comparenello stesso anno anche l’edizione in lingua ingle-se, a cui avrebbe fatto seguito, a partire dal 1926quella in lingua tedesca: Oberitalien .

Anche l’ENIT, in collaborazione con le Ferro-vie dello Stato, incomincia a pubblicare guide inlingua inglese ( Seaside resorts, 1933) e francese(Plages italiennes, 1938). Più volte ristampati, queivolumi segnano la �ne di un’epoca, iniziata nellaseconda metà dell’Ottocento quando i turisti stra-nieri percorrevano l’Italia accompagnati dalleBaedeker, dalle Murray e dalle Joanne. Ed è pro-prio nelle guide rivolte al pubblico italiano che ladirezione di marcia dal regime fascista cominciaa farsi sentire. Sempre più frequenti sono gli spa-zi dedicati, per esempio, alle opere volute dal fa-scismo: le boni�che dell’Agro Pontino, la fonda-zione di città come Littoria e altre opere realizza-te negli anni Trenta entrano negli itinerari di gui-de ormai a�ermate come quelle del Touring Club.Anche se la qualità complessiva dei prodotti nonne risente, l’enfasi propagandistica si a�accia ditanto in tanto a ricordare che l’Italia è soprattuttoquella voluta dal suo Duce. Così, per esempio, nel-la guida che, nel 1935, il Touring Club Italiano de-

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Nella doppia pagina precedente,ospiti dell'Hotel Excelsior al Lido di Venezias'intrattengono sulla terrazza,1920 circa. Nonostante gli attacchi di Marinetti, Veneziasi conferma negli anni Venti una delle mete più ambite del turismo internazionale.

Mussolini partecipa allatrebbiatura nell'Agro Pontino,1934. Negli anni Trenta, le zone boni�cate grazie agli interventi del regimefascista sono inserite con toni entusiastici nelle guide turistiche..

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tel in albergo; hall in atrio; kursaal in sala della cu-ra; mentre nei menù dei ristoranti il sou�é si tra-sforma in so�ato, il vol au vent in volo al vento. Lalingua italiana viene sancita come unica lingua uti-lizzabile nel settore turistico: tutto questo metteva�ne a dispute che si erano trascinate �n dall’iniziodel Novecento allorché il Touring Club si era fattopromotore della necessità di fornire, negli esercizialberghieri e nelle località turistiche, indicazionianche nelle varie lingue straniere per agevolare ilsoggiorno dei forestieri in Italia.

Del resto anche il Touring avrebbe dovuto farebuon viso a cattiva sorte, se è vero che la prestigio-sa e benemerita associazione avrebbe dovuto con-vertire il suo nome in quello di Consociazione Tu-ristica Italiana eliminando così una denominazio-ne che faceva l’occhiolino alla lingua della “per�daAlbione”. Stessa sorte sarebbe del resto toccata alClub Alpino Italiano e al Reale Automobile Clubd’Italia che si sarebbero chiamati rispettivamenteCentro Alpinistico Italiano e Reale Automobile Cir-colo d’Italia.

Forzature linguistiche a parte, mentre il turi-smo dei ricchi prende dunque decisamente il largoa partire dall’inizio degli anni Venti, quello dei po-veri decollerà un decennio più tardi, pur con alcu-ni signi�cativi antecedenti proprio nell’immediatoprimo dopoguerra: fra il 1919 e il 1920 l’estensionegraduale a un numero sempre più ampio di catego-rie della giornata lavorativa di otto ore e, l’introdu-zione di un seppur minimo periodo di ferie pagateper alcune fasce di lavoratori, pone le premesse perl’inizio di un turismo più popolare.

Numeri e �ussi

L’Italia come meta degli stranieri: le prime statistiche| Fino alla �ne dell’Ottocento, osserva Guido Vac-caro, «il turismo era un fenomeno di élite, con dif-fusione e dimensioni ristrette e con una rilevanzatrascurabile nella vita socio economica del nostropaese. Non avendo grande rilevanza come fenome-no collettivo o di massa evidentemente non rice-veva neppure alcuna attenzione e considerazionedalla statistica, scienza giovane, dedita allora solo(o principalmente) ai maggiori fenomeni demo-gra�ci» (Vaccaro 2007). Agli inizi del Novecentonon è esagerato parlare per l’Italia di �ussi turisti-ci consistenti, soprattutto concentrati attorno a de-terminate località, così investite di sviluppo e diuna nuova ricchezza: che si tratti di grandi investi-menti sostenuti da gruppi di interesse anche a ca-pitale internazionale, o di attività familiari dedite

all’accoglienza e al commercio turistico, l’indu-stria turistica si avvia a diventare un fenomeno con-sistente. Essendo il turismo degli italiani allora in-consistente, le valutazioni statistiche riguardava-no soprattutto gli stranieri, a partire da alcuni do-cumenti u�ciali che avevano per oggetto la spesadegli stranieri e le entrate valutarie. Tra i primi in-teressati alle stime numeriche – e promotori dellestesse – furono gli albergatori, tra cui la Società ita-liana degli albergatori, costituita nel 1899. Biso-gnerà attendere il 1910 per avere le prime valuta-zioni davvero attendibili, a cura della Banca d’Ita-lia: si parlò allora di circa 900.000 presenze, sullabase dei biglietti ferroviari rilasciati a viaggiatoristranieri presenti in Italia e a varie congetture, chetenevano in conto della durata media del soggior-no e della spesa giornaliera media.

Assommando informazioni e testimonianze la-sciate dai viaggiatori (il materiale scritto a disposi-zione è d’altronde robusto) ai dati numerici pro-dotti dalle prime statistiche, è possibile fare qual-che cauta valutazione sulla presenza degli stranie-ri in Italia agli albori del turismo, sulle motivazionie sulle destinazioni prescelte. Volendo sottolinearealcuni aspetti distintivi del fenomeno, converrà su-bito dire che sono sostanzialmente due i �loni turi-stici che vanno consolidandosi, dando origine aimpatti economici e culturali importanti. Potrem-mo dunque parlare di un �lone di “turismo cultu-rale” (sulle tracce del Grand Tour) e di un �lone chechiameremo per sempli�care di “turismo della sa-lute”, versione ammodernata di pratiche più anti-che che ruotavano attorno all’acqua e all’aria salu-bre, e che ora prescelgono come proprio orizzontegeogra�co il mare e la montagna.

Alla �ne dell’Ottocento, la rapidità e l’economi-cità dei trasporti aveva portato grandi cambiamen-ti nel mondo del viaggio. Le visite erano più brevi egli individui si spostavano di più. Se è di�cile par-lare di statistiche sicure, qualche dato certo circa lepresenze degli inglesi e degli americani (la “tribù”turistica più numerosa) consente di fare una valu-tazione dei �ussi in relazione ad alcune destina-zioni, a partire da Roma, meta imperdibile perchiunque decideva di recarsi in Italia. David Youngannota che negli anni Ottanta del sec. XIX gli in-glesi e gli americani u�cialmente registrati a Ro-ma si aggiravano attorno alle 20.000 unità, desti-nate a crescere di cinque volte nel primo decenniodel Novecento. Quanto alle altre destinazioni, latraccia del Grand Tour continuava a resistere, an-che per via di un certo spirito gregario (d’altrondetipico del fenomeno turistico, quando questo si fa

Il turismo449la Cultura Italiana448

Turista sul tetto del Duomo.Milano, 1910-1915. I �ussi di stranieri in visita all'Italia sono in costante crescita pertutto l'inizio del Novecento.

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mappa delle destinazioni italiane e internaziona-li è sostanzialmente la stessa, con Venezia, Firen-ze e Roma in testa al gradimento, come città-em-blema del Belpaese ritrovato per sé, destinate aentrare nei sogni turistici degli italiani.

L’Italia come meta degli italiani: segnali di sabbia eorizzonti alpini | Se come in una elementare se-quenza si pongono a confronto le immagini dellecartoline illustrate del primo Novecento e quelledei �lmati Luce dei primi anni Trenta ci si accor-ge che è la spiaggia a diventare il luogo-simbolodi un’importante metamorfosi sociale e di costu-me, che ci parla di modi nuovi di stare sul proprioterritorio, di goderne le amenità. Ai rari turisti del-la Belle Époque, vestiti di tutto punto (gli uomini ingiacca e cravatta, le «dame» con l’ombrellino perproteggersi dal sole allora considerato segno di

appartenenza plebea) si sostituiscono arenili gre-miti di bagnanti in costume da bagno.

Il ritratto che, nel 1930, Achille Campaniletraccia ironicamente sulle folle di vacanzieri do-menicali che si accalcano sulle spiagge sembrapre�gurare, almeno sulla battigia, un’anticipazio-ne dell’Italia del boom economico:

D’estate, quelli che passano la domenica al mare, partiti al-l’alba pieni di speranza, freschi, forti, allegri e puliti, rientra-no la sera in città come in un immenso esercito disfatto.Hanno le ossa rotte, le spalle ustionate, i capelli e le scarpepieni di sabbia. Quasi non si reggono in piedi. Le loro faccesono scottate dal sole, gli occhi son lustri e i nasi sembranopiccoli pomodori. Li direste ubriachi o febbricitanti… Ahi,ché la vera faccia del mare non è quella che si vede, nellastagione dei bagni, sulle spiagge gremite di belle donne, diombrelloni, tende e accappatoi multicolori, e di bambini.Questo è un mare truccato e imbellettato, un mare da si-gnorine, da amoretti e da dilettanti.

Il turismo451

segno di distinzione sociale) che implicava arrivi epartenze in massa, e conseguenti a�ollamenti, checontribuivano ad alimentare non pochi problemi eperplessità – generando qualche decennio più tar-di un vero e proprio sentimento antituristico.

Osservando �ussi e destinazioni, è innegabile ilconsolidamento di un turismo che oggi chiame-remmo «d’arte e di cultura», che includeva Vene-zia, e poi le città incontrate procedendo dal versan-te tirrenico degli Appennini verso Firenze, ignoran-do la costa adriatica: «Passavano l’autunno a Firen-ze, andavano a Roma per Natale e Capodanno, sispostavano a Napoli per il resto dell’inverno e poiritornavano a Roma per la settimana santa e Pa-squa» (Pemble 1998). L’opera, i ca�è e le pasticce-rie alla moda (Doney a Firenze, Spillman e Nazzaria Roma), gli spettacoli in costume e il carnevale:tutto prosperava grazie al sostegno dei britannici.Nella testa del cittadino inglese (come si ha mododi leggere nei numerosi romanzi che mettono a te-ma il viaggio in Italia) “Italia” e “cultura” erano si-nonimi. Al viaggio in Italia ci si preparava parecchimesi prima, ascoltando conferenze, esaminandofotogra�e, leggendo libri di storia italiana e di arte�orentina e milanese.

Amusement| Ma non di sola cultura vive il mito delBelpaese, che accompagna il turismo verso la Bel-le Époque.

«Che cosa cerchiamo noi uomini e donne in-glesi – si chiedeva una lady inglese, pioniera delturismo balneare – che, anno dopo anno, quandoè novembre, ci riversiamo in massa a Folkestone eDover, per imbarcarci numerosi sui pirosca� conquella inconfondibile aria di “partire per l’este-ro”, borse e cappelli a tesa larga, scialli e gonne dialpaca?». La risposta era il sole e l’aria del Medi-terraneo, che signi�cava allora sostanzialmente“salute”. «Un buon clima signi�ca salute per lametà di noi; e salute signi�ca la possibilità di go-dere la vita, perché senza salute, anche la più per-fetta delle famiglie è disgraziata e triste». Già dalSettecento i malati aristocratici d’Europa migra-vano verso destinazioni ove acque salubri e climamite promettevano sollievo da malattie “epocali”(come la tisi, allora una vera e propria epidemia, ocerte paralisi associate a disturbi psichici chesembravano colpire soprattutto le donne). Manella seconda metà dell’Ottocento la �ducia nellecapacità terapeutiche del clima mediterraneoaveva ride�nito la mappa del turismo della salute,dando spazio al mare e alle località di riviera, piut-tosto che alle terme alpine o silvane, �no a quel

fenomeno a tutt’oggi spiccatissimo del soggior-no al mare associato ai bagni termali, attorno acui si è costruita la fortuna turistica del golfo diNapoli. Nell’era vittoriana «prescrivere un viaggioal Sud» divenne una pratica medica consueta perle persone abbienti. A �ne secolo era già possibi-le parlare di veri e propri �ussi migratori capacidi produrre grandi impatti sul territorio, tali datrasformare umili villaggi di pescatori, in Franciae in Italia, in località invernali alla moda. Insom-ma: la riviera si è consolidata come mito del luogoe come destinazione turistica, per un pubblico in-ternazionale che si a�erma come modello da imi-tare. Certamente, data anche la speci�cità del ter-ritorio italiano, la vacanza marina in Italia riguar-dava già una cospicua parte, trasversale per ap-partenenza sociale, di italiani: ma – come già os-servato in precedenza – si trattava di vacanze so-prattutto estive, legate a case di proprietà o in af-�tto solitamente vicino ai luoghi di residenza abi-tuale (i quartieri al mare e le marine), non ancoraa soggiorni in pensione o in albergo. Fenomenoquesto destinato a di�ondersi solo nel primo do-poguerra, insieme alla moltiplicazione delle rivie-re (oltre alla Liguria, la Versilia e la riviera roma-gnola) e delle località costiere prossime alle cittàdi mare.

Dopo la prima guerra mondiale – che aveva pa-ralizzato la mobilità turistica degli stranieri versol’Italia – lo sviluppo del turismo entrò nell’agendanazionale come un obiettivo strategico, utile a farcrescere un’economia dissestata e in cerca di mo-dernizzazione. L’intervento dello stato, che puntaa un’organizzazione istituzionale del settore conenti e associazioni (ENIT e EPT) deputate a coor-dinare le categorie di settore e a promuovere atti-vità di informazione, si traduce anche in una mag-giore attenzione statistica come base per valuta-zioni economiche e provvisionali. Nel 1924 le pre-senze straniere in Italia superarono il milione diunità, per quadruplicarsi nel giro di dieci anni:mete turistiche prevalenti erano in quegli anni inVeneto, Toscana e Lazio (con Venezia, Firenze eRoma a fare da traino), in Lombardia (per la pre-senza soprattutto dei laghi), in Campania e in Si-cilia (isole del Golfo e Taormina).

Sono di quegli anni le prime stime sul turismodegli italiani all’estero, misurate in termini diesborsi valutari: si tratta di cifre esigue, peraltrodestinate a non aumentare nel successivo venten-nio. Mentre aumenta invece nettamente il nume-ro dei turisti italiani in Italia, identi�cati tramitele strutture ricettive: interessante notare come la

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Ragazze giocano al tiro alla fune su una spiaggiaveneta, 1930 circa. In queglianni la spiaggia e il mareiniziano a essere fruiti in maniera massiccia.

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para e difende una ancora fragile nazione, non èfatta solo di ardue vette dove sperimentare il va-lore dei singoli ma è già luogo della memoria, difatica e battaglia, di eroismi collettivi (legati al la-voro e al sacri�cio degli Alpini) e diviene un per-corso mentale attraverso il quale ra�orzare l’at-taccamento all’idea di patria.

Del resto, a partire dalla �ne del primo con�it-to mondiale sarà proprio l’ideologia dei «sacricon�ni» a ispirare una delle forme di turismo alpi-no più popolare: quella dell’escursionismo alpi-no. Se stazioni sciistiche come Cortina o Sestrièredevono il loro decollo turistico alla scoperta deglisport sulla neve da parte dei ceti più abbienti, l’e-scursionismo alpino resterà a lungo segnato dal-la ideologia delle origini. Che esce anzi ra�orzatadal primo con�itto mondiale. Associazioni comeil Club Alpino Italiano, il Touring Club Italiano ele varie società alpinistiche regionali concorronoa promuovere un tipo di turismo a sfondo patriot-tico diretto proprio a far conoscere agli italianiquelle zone che il con�itto mondiale aveva acqui-sito ai con�ni nazionali. Mete come il Trentino ol’Alto Adige, montagne come le Dolomiti o le AlpiGiulie fanno parte di una geogra�a reale (e ideale)che entra nelle guide degli anni Venti.

Le escursioni «nazionali» promosse dal Tou-ring Club Italiano, a partire dal 1919, in Friuli, nelTrentino e, più in generale, nei territori irredentisegnano l’inizio di questo tipo di turismo a tintenazionalistiche che durerà durante tutto il venten-nio. I campi di battaglia, i cimiteri di guerra (e, piùtardi, i sacrari militari) diventano mete di un turi-smo a sfondo patriottico destinato di lì a legarsi aidestini del fascismo che proprio sulla retorica del-le trincee della prima guerra mondiale fonda i pre-supposti della religione della patria. Vengono cosìpubblicati, a cura del Touring, breviari di un turi-smo patriottico come la serie delle guide Sui cam-pi di battaglia (dal 1927 al 1931) e un’in�nita seriedi volumetti sulle zone «irredente».

A motivi d’altra natura si ispira invece l’ideolo-gia della montagna espressa dal mondo cattolico.A partire dall’inizio del Novecento i cattolici, men-tre continuano a guardare con di�denza al mare ealla spiaggia, ritenuta luogo di «esposizione dellacarne», esaltano invece la montagna come spaziodi elevazione spirituale. In anni successivi, model-li come Pio XI, il papa «alpinista», o Pier GiorgioFrassati, esempio della gioventù cattolica degli an-ni Trenta del Novecento, contribuiranno ancorpiù a elevare la montagna a luogo simbolico pereccellenza.

L’alpinismo era divenuto, soprattutto a partiredagli anni Venti e Trenta, una sorta di metaforaeducativa, un’attività che così come era racco-mandata sviluppava le migliori qualità del mili-tante cattolico. Nella �loso�a alpinistica, che peril mondo cattolico diviene una vera e propria pro-posta pedagogica, non è di�cile scorgere una �-liazione diretta con l’ideologia ruralista. Di fronteal progredire della civiltà industriale la montagnadiviene, per il mondo cattolico, una sorta di sim-bolo ideale, un rifugio incontaminato ed estremo,lontano dal rumore e dalla tentazione della civiltàindustriale. E la montagna diviene il luogo idealeper l’esaltazione dello spirito e della esperienzareligiosa.

Così Pio XI, in uno dei suoi numerosi interven-ti sul tema, aveva tracciato la funzione educativadell’alpinismo, la «lezione», in de�nitiva, che lamontagna poteva trasmettere ai giovani:

Coraggio, prudenza, passione vera; entusiasmo, calmaperseverante e anche spesso il ricordo materno, il ricordodella chiesetta del villaggio natio, e la preghiera, imparatasulle braccia della mamma, e soprattutto un sentimento,un vero timor di Dio nel formare forti coscienze, atte a so-stenere di�cili prove.

Insomma, per gli educatori cattolici la «vacanza»ideale non era certamente sulle spiagge peccami-nose e dense di insidie per la carne ma sulle vetteche forti�cavano il carattere ed elevavano lo spiri-to. Nulla dunque di più distante da quella conce-zione edonistica che veniva a�ermandosi in que-gli anni sulle spiagge italiane.

Basta leggere gli inviti pubblicati da giornalipopolari come «L’illustrazione italiana» per capi-re come sia cambiata la concezione della vacan-za: «Desiderio di stenderci sulla rena bruciante,di o�rire il nostro corpo alle carezze dei raggi ar-denti che lo avvolgono, lo penetrano, lo disintos-sicano dai veleni della stanchezza accumulati du-rante la faticosa vita invernale».

Il linguaggio che non nasconde più immaginiseducenti per descrivere le emozioni di una giorna-ta passata al mare, è funzionale a una celebrazionedella vita balneare che serve da una parte a tempe-rare il rigorismo passato e dall’altra a santi�care ilbinomio sole-benessere, inteso quasi in un’acce-zione erotica. Una sottolineatura, quella del piace-re che coinvolge i sensi, destinata a provocare lereazioni di quanti continuano a riconoscere il ri-spetto della moralità come valore prioritario del-l’onesto e morigerato cittadino.

Il turismo453

È il segno che nell’arco del primo trentennio delsecolo non solo l’italiano ha scoperto il suo corpo el’abbronzatura ma che la spiaggia si è trasformatada appendice del salotto aristocratico, o alto bor-ghese, a luogo della socialità piccolo borghese.

Ma la spiaggia non è l’unico luogo che ci testi-monia di quella profonda metamorfosi che inte-ressa il viaggio dell’italiano nel corso degli anniTrenta. La mutata sensibilità nei confronti dellamontagna nel periodo fra le due guerre è confer-mata anche dal fatto che proprio in quegli annivengono creati i primi Parchi nazionali. Il primo aessere istituito, nel 1922, fu quello del Gran Para-diso. Al quale seguirono, nel 1923, il Parco nazio-nale d’Abruzzo e, negli anni Trenta, il Parco nazio-nale del Circeo e il Parco nazionale dello Stelvio.

A di�erenza della cultura balneare, nella qua-le prevalgono aspetti terapeutici o di semplice ri-cerca di evasione, nella scoperta della montagnaentrano come elementi non secondari motivi di

carattere ideologico. Prima della de�nitiva sco-perta degli sport invernali, negli anni Settanta delNovecento, e dunque della de�nitiva laicizzazio-ne del rapporto degli italiani con la montagna,ideologie di diversa matrice ne hanno caratteriz-zato la scoperta. Ideologie che per diversi motiviraggiungono il loro apice proprio negli anni fra ledue guerre.

Se nelle prime ascese degli alpinisti verso ilMonte Bianco la motivazione di fondo è dettatadalla ricerca del rischio e del pericolo che costi-tuisce una costante della mentalità aristocratica,la scoperta della montagna si carica via via di si-gni�cati ideali e simbolici. La difesa della patria edei con�ni nazionali e l’esercizio di miti, creden-ze e valori della nazione, che avevano ispirato lanascita e lo sviluppo del Club Alpino fondato daSella, restano valori forti in un’Europa attraversa-ta da tensioni e con�itti. Per l’Italia del primo do-poguerra, la montagna, con�ne naturale che se-

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Tazio Nuvolari e Gian BattistaGuidotti su Alfa Romeonell'edizione del 1932 della Mille Miglia. Questa gara,inaugurata nel 1927, rinnova il mito della velocità ed esalta la giovane industriaautomobilistica italiana.

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e Volli 2003, pp. 127-140). Eppure le rappresenta-zioni letterarie del turismo costituiscono un pun-to di vista privilegiato e fertile di indicazioni an-che inattese per osservare nella sua complessitàun fenomeno quanto pochi altri caratteristico delnostro tempo come quello del turismo.

La tematizzazione letteraria del fenomeno tu-ristico è sin dagli albori marcata da un certo di-sincanto. Con uno sguardo sociologico e popola-re, già a inizio secolo nascono le prime parodie,che verranno intercettate in seguito, con l’avventodella società di massa vera e propria, da numero-si scrittori e sceneggiatori cinematogra�ci. È il ca-so de La famiglia De-Tappetti del vulcanico giorna-lista ligure Luigi Vassallo, in arte Gandolin. Poli-carpo De-Tappetti, impiegato di modeste pretesee ancora più modeste risorse (per molti versi ante-signano dello sfortunato ragionier Fantozzi diPaolo Villaggio), parte in villeggiatura con i suoi

cari e l’occasione si trasforma in una satira sullevelleità degli italiani del tempo, costretti loro mal-grado a inseguire modelli imposti tanto dall’alto(della scala sociale) quanto dall’esterno (i piùavanzati paesi stranieri). La villeggiatura diventaallora, più che un vero e proprio momento di sva-go e rilassatezza, una costrizione sociale vissutacome un tormento, una liturgia alla quale è obbli-gatorio sottoporsi per non s�gurare in società.Sulla strada polverosa che porta alla squallida ca-tapecchia che i De-Tappetti hanno fatto passare,con tutto il vicinato, come un villino a più piani,sotto un sole cocente, oppresso dall’afa e dal su-dore, il capofamiglia Policarpo esclama, con vocea�aticata: «Qui almeno… si respira un po’ d’aria…un po’ d’aria sana… fa piacere… in verità… chebella frescura!». E all’obiezione della moglie Ro-sa che osa suggerire che le pare si crepi di caldocome a Roma, l’uomo è costretto a ribattere: «Tu

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Nonostante tutte le reprimende, la vacanzabalneare conquista però sempre nuovi consensi,�no a diventare parte del costume nazionale. «Ibrontoloni che non l’approvano si estraniano dal-la storia», liquida senza mezzi termini un croni-sta che fa un resoconto delle vacanze in riva all’A-driatico. Un giudizio che conferma l’idea della fe-sta e degli svaghi praticati durante le ferie comenaturale ethos della vita quotidiana. Un’abitudi-ne che da questo momento in poi diventerà parteintegrante del tempo libero degli italiani che an-noverano la vacanza nei tempi destinati per sé.

Libertà di muoversi | Negli anni fra le due guerre si èmodi�cato profondamente il rapporto di una partecospicua degli italiani con la cultura (e la pratica)del turismo, a partire da una diversa e più regolarepratica del tempo libero. Un dato signi�cativo: ilnumero delle biciclette circolanti, che alla vigiliadella prima guerra mondiale assommava a pocomeno di un milione e trecentomila, sale a 2.549.718nel 1925, nel 1934 a 3.554.940, a 4.935.000 nel 1938.Cala anche il prezzo della bicicletta, che se agli ini-zi del secolo si aggira sulle 500 lire, negli anni Tren-ta scende a 400 lire e, per i modelli più popolari, an-che al di sotto delle 300 lire.

L’ulteriore popolarizzazione della bicicletta èdovuta anche alla progressiva abolizione della tas-sa che gravava sui velocipedi. Abrogata nel 1927,fu ripristinata nel 1931 ma contenuta in 10 lire an-nue. E, �nalmente, soppressa in via de�nitiva nel1938.

Notevole anche l’incremento delle automobi-li. Le 4082 autovetture censite nel 1907 salgono a75.775 nel 1925 e a 142.091 nel 1928. Nel decen-nio successivo arrivano alle 222.000 del 1936 e au-mentano a 290.000 nel 1939. Stesso incrementoanche per i motocicli censiti in 13.290 nel 1914 esaliti a 48.875 nel 1925.

Nel 1927 prende il via la corsa automobilisticadestinata ad alimentare la fantasia di milioni di ita-liani: la Mille Miglia. L’allestimento di quella com-petizione alimenta nella propaganda di regime ilmito della velocità: campioni del volante come Var-zi, Villoresi, Campari entrano nella leggenda gra-zie alla Mille Miglia. Le vittorie delle Alfa Romeo,delle Bugatti o delle Maserati vengono esibite co-me prova dell’elevato grado tecnologico dell’indu-stria automobilistica italiana ma, soprattutto, vo-gliono dimostrare al mondo quanto siano cambia-te le strade italiane rispetto ai racconti che ne ave-vano fatto i viaggiatori del Settecento e dell’Otto-cento. Replicando un meccanismo che si era inau-

gurato fra le competizioni ciclistiche e l’industriadella bicicletta all’inizio del secolo, la Mille Migliadiviene la vetrina della nascente industria automo-bilistica italiana.

Scrittura e immaginario turistico

Tra parodia e lusso: segni e stili dell’Italia neo-turi-stica | Agli albori del turismo moderno la lettera-tura è ancora in grado di creare e alimentare mitiche incidono profondamente nell’immaginariocollettivo. Nella seconda metà dell’Ottocento, erastato il libro di un italiano esiliato all’estero a pro-vocare un’autentica ondata turistica nella rivieraligure. Si tratta del Doctor Antonio, romanzo digrande successo che il mazziniano Giovanni Ruf-�ni scrisse in inglese (e per gli inglesi) e pubblicòa Londra nel 1855. Le suggestive descrizioni delpaesaggio incontaminato della provincia di Im-peria divennero talmente popolari oltremanicada creare una vera e propria colonia britannicasulla costa ligure e da alimentare quel mito dellariviera che, con alterne vicissitudini, si è protratto�no a oggi. Con un notevole parallelismo geogra-�co e letterario, va detto che il ruolo che Ru�niebbe per la Liguria è analogo a quello che per ilSud della Francia fu giocato da un altro scrittore,quello Stéphen Liégeard il quale, abituato a sver-nare a Cannes, coniò l’espressione «Costa Azzur-ra» proprio per rimpiazzare il termine «riviera»con il quale gli inglesi, a partire proprio dal mo-dello italiano, designavano buona parte del lito-rale mediterraneo.

I testi letterari, ancora a inizio Novecento, in-�uiscono nella percezione sociale dei luoghi, pla-smano paesaggi e preparano orizzonti di aspetta-tiva che vanno ad alimentare il desiderio dei luo-ghi stessi. Con l’avanzare dei decenni, questa ca-pacità mitopoietica, così come il suo impatto sulcrescente fenomeno del turismo di massa, saràvia via da ricalibrare nei termini di un netto ridi-mensionamento: decisivo in questo senso saràl’avvento delle forme artistiche visuali di grandeconsumo che caratterizzeranno l’a�ermarsi delpubblico sempre più ampio e trasversale della so-cietà di massa. All’epoca attuale, ad alimentare ildesiderio è soprattutto una convergenza di ambi-ti della cultura popolare anche assai diversi tra lo-ro: il cinema, la musica e, almeno negli ultimi 15anni, lo sport. Sono questi i fattori che creanol’ abbinamento perfetto da cui la letteratura sem-bra essere oramai, almeno a una prima ricogni-zione, quasi del tutto esclusa (Stevens in Bonadei

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Fotogra�a-cartolina di Monterosso a inizioNovecento. La poesia di Montale è ricca di riferimenti al paesaggio delle Cinque Terre.

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Estero�lia e regionalismi: primi sguardi nel paesaggioitaliano | La letteratura dei primi decenni del seco-lo rappresenta dunque il turista in situazioni estre-me e opposte, o con chiari intenti canzonatori ora�gurandone la declinazione più elitaria e inavvi-cinabile. Sarà solo più tardi e nelle pagine di scrit-tori avveduti e attenti che il turista, smesse le vestieroiche del viaggiatore (una sorta di suo “fratellomaggiore”, almeno secondo una distinzione daicontorni talvolta poco chiari), diventerà oggetto diuna rappresentazione letteraria senza pregiudizi.

A questa altezza temporale l’Italia è, dal puntodi vista culturale, un paese ancora in via di de�ni-zione, in cerca di una strada che porti non tanto aun’omogeneità d’intenti, quanto a un’identità na-zionale realmente unitaria. Il dibattito culturale sianima attraverso le pagine di riviste talvolta forte-mente contrapposte sia nell’impostazione ideolo-gica sia per le di�erenti interpretazioni del ruolodella letteratura. Ad atteggiamenti marcatamenteestero�li fanno da contraltare altri che, per contra-sto a questi o fondati su un’autonoma ri�essionesul valore della tradizione, si caratterizzano perun’orgogliosa esposizione del dato regionale. Que-sto �ero regionalismo non andrà sempre intesonei termini conservatori di chi si oppone ai muta-menti o, semplicemente, non ne capisce la portata,ma anche come espressione di militanza criticanel tentativo di salvaguardare le speci�cità cultura-li di un territorio diversi�cato anche letterariamen-te. Il forte rapporto tra letteratura e vita nazionaleviene stretto dalla rivista �orentina «La Voce», inparticolare durante la direzione di Giuseppe Prez-zolini (1908-1912), quando la rivista ancora si avva-le della preziosa collaborazione di Gaetano Salve-mini. Senza addentrarsi in un resoconto dettaglia-to dei di�erenti nodi relazionali tra cultura e terri-torio (complicati, con l’avvento del fascismo, dallapropagandistica celebrazione del paesaggio itali-co), si potrà illustrare il quadro generale facendo ri-ferimento alle pagine di «Solaria» – la rivista fon-data da Alberto Carocci nel 1926 – le quali ospitaro-no e fecero conoscere grandi autori stranieri delcalibro di Valéry, Joyce, Kafka o Majakovskij, purpubblicando versi di insigni rappresentanti dellatradizione lirica regionale italiana. E proprio daquesta mobilità di sguardo erano nati i componi-menti degli Ossi di seppia di Eugenio Montale, pub-blicati in prima edizione l’anno precedente la fon-dazione della rivista, pregni delle più vivaci espres-sioni del contemporaneo respiro europeo e al con-tempo modellati sul paesaggio delle Cinque Terre�no a diventarne un emblema di riferimento, che

in tempi recenti non si è trascurato di sfruttare tu-risticamente anche al di là dei circuiti selettivi e ri-stretti dei pellegrinaggi letterari. Una forte posizio-ne xenofoba e speci�catamente antieuropea èquella delle riviste �lofasciste sorte all’indomanidel delitto Matteotti e all’insegna del movimentodi Strapaese, come «Il Selvaggio» di Mino Maccari e«L’Italiano» di Leo Longanesi. In entrambi i casi,però, a un primo periodo più marcatamente squa-drista seguirà un progressivo distacco dalle vicen-de politiche che porteranno a ospitare, sul versan-te letterario come su quello artistico e pittorico, ar-tisti importanti anche avversi al regime.

L’incontro tra perlustrazione del paesaggio erappresentazione letteraria dei luoghi si è spessorealizzato anche grazie al tramite visivo, intenden-do con ciò non soltanto il versante cinematogra�-co, di cui si dirà a parte, ma anche gli apparati ico-nogra�ci messi a disposizione da pittori, incisori efotogra�. Ne è un esempio assai signi�cativo l’o-perazione dei �orentini fratelli Alinari, che a �neOttocento cominciarono a fotografare le opered’arte della loro città (contribuendo dunque allalarga di�usione nel mondo del patrimonio artisti-co toscano) per poi testimoniare dei capolavori deimigliori musei d’Europa, a Parigi come ad Atene.Dopo aver indetto un concorso incentrato sull’il-lustrazione della Divina Commedia , Vittorio Alina-ri, letterato appassionato, decise di fotografare tut-ti i siti italiani citati nel poema di Dante. Il volume,dal titolo Il paesaggio italico nella Divina Comme-dia , vide la luce nel 1921 e rappresenta una sorta dipunto d’incontro tra nuove tecnologie, tradizioneculturale e pulsioni politiche verso l’unità nazio-nale, un’unità che, pur nella dispiegata varietà deipaesaggi, veniva indicata risiedere proprio nei co-muni riferimenti linguistico-letterari.

Il cinema e il viaggio immobile | Se ci si sposta sulcampo speci�co del rapporto tra le pratiche turi-stiche e la loro rappresentazione in termini di cul-tura visuale ci si accorge immediatamente che illegame tra turismo e cinema si pone come essen-ziale per studiare le implicazioni generali tra prati-che del viaggio e percorsi dell’immaginario. Il chenon ha nulla di sorprendente: il cinema rappresen-ta per tutta la prima parte del Novecento il mediumdi massa egemone, più naturalmente predispostoalla perlustrazione della realtà �sica e del territo-rio. Turismo moderno e cinema hanno entrambi laloro origine in quella società industriale di �ne Ot-tocento che comincia a organizzare la propria sfe-ra pubblica e il rapporto con la vita privata intorno

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non calcoli il peso delle parole, disgraziata! Tu ca-lunnii la villeggiatura, tu vorresti insinuare nel co-re inesperto del mio tenero �glio, un sospetto: ilsospetto che Policarpo De-Tappetti sacri�chi 22 li-re d’a�tto per fargli so�rire in piena campagna ilcaldo insopportabile delle grandi città». Nel brevespazio di un paio di battute, ecco già proposto nel1902 il tema del divertimento coatto, ossia dell’an-sia da vacanza che coglie ancora oggi tute blu enuovi colletti bianchi, dirigenti e liberi professio-nisti. I luoghi visitati, se intesi come status symbol,implicano l’obbligatorietà di un divertimento for-zato, arti�ciale, in fondo anche falso.

Di ben altro tenore, nell’Italia liberale di inizioNovecento, le rappresentazioni delle vacanze del-l’oligarchia sociale da parte di scrittori di vasto con-sumo come Pitigrilli o Guido da Verona, i cui eroi,romanzati avventurieri intrisi di dannunzianesi-mo e dagli accenti vagamente superomistici, scor-razzano tra i Grand Hotel di Rapallo e Capri mar-cando così la loro condizione di privilegio sociale eponendosi come irraggiungibile modello per ilpubblico più popolare a cui i romanzi sono e�etti-vamente rivolti. Dal punto di vista letterario si trat-

ta di una forma speci�ca dell’eroe problematicomoderno, sintomo e al contempo simbolo dellacrisi culturale che investe l’epoca. L’esempio piùemblematico viene da T. S. Eliot, il poeta e dram-maturgo angloamericano che ebbe vasta in�uenzasu almeno tre generazioni di intellettuali e poetiitaliani, da Montale ad Anceschi a Sanguineti: sitratta dell’aristocratica signora austriaca che com-pare nelle prime pagine del celebre poemetto Laterra desolata . La funzione del personaggio, tra iprimi turisti stagionali di laghi e mari del Sud, èeminentemente parodistica e indica la progressivaperdita di contatto dapprima con la saggezza (ilpercorso conoscitivo del viaggio omerico) e poi conla conoscenza (la genuina sete culturale del GrandTour sette-ottocentesco), a favore o di un saperedai contorni non de�niti (il percorso europeo degliintellettuali americani, sul modello di Pound e del-lo stesso Eliot) o di una mera ricerca di agi e di sod-disfazione di curiosità e�mere non contestualiz-zate in un percorso di più ampio respiro (condizio-ni climatiche favorevoli, avventure fuggevoli, sov-vertimento di cicli e distanze ancora percepite co-me “naturali”, e così via).

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L'Elsa. Si tratta di una dellefotogra�e di Vittorio Alinari peril volume Il paesaggio italiconella Divina Commedia , 1921.

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ai nuovi ritmi richiesti dai nascenti mezzi produtti-vi e distribuitivi. La profonda modi�cazione delrapporto tra le masse e il tempo libero genera unacollettività con a disposizione un capitale tempora-le da investire. Lo svago, la “cura di sé”, diventanofenomeni mondani gestiti all’incrocio tra i princi-pali snodi dell’industria culturale e dell’intratteni-mento: turismo, narrativa popolare, cinema, sporte, poco più tardi, il fumetto e la radio.

Agli inizi del Novecento il cinematografo fa giàparte dell’immagine turistica, è già davanti allosguardo del viaggiatore prima ancora di riprodur-lo. Cioè, prima che l’immagine cinematogra�cametta in scena a propria volta un paesaggio o unapratica dello spostamento, lo schermo è un’attra-zione (anche turistica) in sé: esibizione spettaco-lare e meravigliosa di un’inedita tecnologia di ri-produzione. Ben presto però il contenuto dell’im-magine in movimento ottiene la sua rivincita (delresto la storia dell’immaginario cinematogra�cocomincia con un treno, ripreso nel primo �lm deiLumière, che arriva alla stazione di La Ciotat, lo-calità di villeggiatura del Sud della Francia). E daqui prende vita un movimento che porterà il cine-ma a esercitare profonde modi�cazioni sull’as-setto delle pratiche turistiche stesse, secondo unpercorso i cui esiti sono osservabili soprattutto aigiorni nostri.

Il cinema primitivo incorpora alcune modalitàdello sguardo proprie del vedutismo ottocentescoe della successiva pratica dei panorami e dei dio-rami. C’è una corrispondenza tra le vedute dei pri-mi operatori (anche italiani) e le scelte dei sogget-ti delle cartoline postali illustrate sempre più invoga dalla �ne dell’Ottocento in avanti. Entramberivolgono le proprie attenzioni a luoghi rappre-sentativi (�umi, monumenti, i centri delle città,le periferie ecc.) e dotati di un potenziale pittore-sco, alle pratiche lavorative quotidiane nelle loroposture più nobili e signi�cative, ai momenti ri-tuali del vivere sociale (per esempio la s�lata mili-tare). Le preoccupazioni professionali dei primioperatori di vedute e di attualità hanno un versan-te che le collega alla tradizione pittorica e alle con-suetudini di visione del paesaggio proprie delviaggiatore tradizionale del diciannovesimo seco-lo: trovare il punto di vista vantaggioso alla ripre-sa, comprendere attraverso una sola inquadratu-ra, un solo movimento di macchina, l’essenzialedi un evento o di un luogo, ottenerne una sintesipanoramica.

D’altra parte il cinema ha qualcosa che gli èesclusivamente proprio. Le vedute e i panorami

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Una scena del �lm Macisteall'inferno (1926), regia di Guido Brignone. Le ripreseesterne sono girate in ValleStura, in Piemonte,comunicando un'atmosferatenebrosa corrispondente al soggetto della pellicola.