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Pubblicato il 09/05/2020 N. 00841/2020 REG.PROV.COLL. N. 00457/2020 REG.RIC. REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione Prima) ha pronunciato la presente SENTENZA ex art. 60 c.p.a. sul ricorso numero di registro generale 457 del 2020, proposto da Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello Stato di Catanzaro, domiciliata presso gli uffici di questa, in Catanzaro, alla via G. da Fiore, n. 34; contro Regione Calabria, in persona del Presidente in carica, rappresentata e difesa dagli avvocati Andrea Di Porto, Massimiliano Manna, Oreste Morcavallo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia; nei confronti

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Pubblicato il 09/05/2020N. 00841/2020 REG.PROV.COLL.

N. 00457/2020 REG.RIC.

R E P U B B L I C A I T A L I A N A

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria

(Sezione Prima)

ha pronunciato la presente

SENTENZA

ex art. 60 c.p.a.

sul ricorso numero di registro generale 457 del 2020, proposto da

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente in

carica, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Distrettuale dello

Stato di Catanzaro, domiciliata presso gli uffici di questa, in

Catanzaro, alla via G. da Fiore, n. 34;

contro

Regione Calabria, in persona del Presidente in carica, rappresentata

e difesa dagli avvocati Andrea Di Porto, Massimiliano Manna,

Oreste Morcavallo, con domicilio digitale come da PEC da

Registri di Giustizia;

nei confronti

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Ristorante di Pesce a Rende S.r.l. Semplificata, non costituita in

giudizio;

e con l'intervento di

ad adiuvandum:

Comune di Reggio di Calabria, in persona del Sindaco in carica,

rappresentato e difeso dall'avvocato Emidio Morabito, con

domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

ad opponendum:

Comune di Amendolara, in persona del Sindaco in carica,

rappresentato e difeso dagli avvocati Giancarlo Pompilio e Claudia

Parise, con domicilio digitale come da PEC da Registri di

Giustizia;

Comune di Tropea, in persona del Sindaco in carica, rappresentato

e difeso dagli avvocati Giovanni Spataro e Renato Rolli, con

domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

CODACONS - Coordinamento delle Associazioni e dei Comitati

di Tutela dell'Ambiente e dei Diritti degli Utenti e dei

Consumatori, in persona del legale rappresentante pro tempore,

rappresentato e difeso dagli avvocati Gino Giuliano, Carlo Rienzi,

con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

Pasticceria Siciliana di Nicocia J.&C. S.n.c. in persona del legale

rappresentante pro tempore, La Cambusa S.a.s. di Montalto Dino

& C. in persona del legale rappresentante pro tempore, Francesco

Covello, Carmelo Pirri, rappresentati e difesi dagli avvocati

Fabrizio Criscuolo, Mauro Fortunato Magnelli, con domicilio

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digitale come da PEC da Registri di Giustizia;

per l'annullamento

dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria del 29 aprile

2020, n. 37, recante «Ulteriori misure per la prevenzione e

gestione dell’emergenza epidemiologica da COVID-2019.

Ordinanza ai sensi dell’art. 32, comma 3, della legge 23 dicembre

1978, n. 833 in materia di igiene e sanità pubblica: Disposizioni

relative alle attività di ristorazione e somministrazione di alimenti

e bevande, attività sportive e amatoriali individuali e agli

spostamenti delle persone fisiche nel territorio regionale», in

relazione al suo punto 6, nel quale è stato disposto che, a partire

dalla data di adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della

Regione Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar,

Pasticcerie, Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con

somministrazione esclusiva attraverso il servizio con tavoli

all’aperto».

Visti il ricorso e i relativi allegati;

Visto l'atto di costituzione in giudizio della Regione Calabria;

Visti gli atti di intervento;

Visti tutti gli atti della causa;

Relatore nella camera di consiglio del giorno 9 maggio 2020 il

dott. Francesco Tallaro e trattenuta la causa in decisione ai sensi

dell’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con mod con

l. 24 aprile 2020, n. 27;

Rilevato in fatto e ritenuto in diritto quanto segue.

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FATTO e DIRITTO

I – L’iter processuale

1. – Oggetto dell’odierno giudizio è l’ordinanza del Presidente

della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37.

Con tale provvedimento, adottato ai sensi dell’art. 32, comma 3 l.

23 dicembre 1978, n. 833, sono state dettate misure per la

prevenzione e la gestione dell’emergenza epidemiologica da

COVID-19.

In particolare, si controverte della legittimità del punto n. 6, con il

quale è stato disposto che, sin dalla data di adozione

dell’ordinanza, è consentita, nel territorio della Regione Calabria,

la ripresa dell’attività di ristorazione, non solo con consegna a

domicilio e con asporto, ma anche mediante servizio al tavolo,

purché all’aperto e nel rispetto di determinate precauzioni di

carattere igienico sanitario.

2. – Ad impugnare l’ordinanza, chiedendone l’annullamento a

questo Tribunale Amministrativo Regionale, è stata la Presidenza

del Consiglio dei Ministri, con ricorso notificato a mezzo PEC e

depositato il 4 maggio 2020.

Ha resistito la Regione Calabria, la quale si è costituita nella

medesima data.

3. – Unitamente al ricorso è stata proposta domanda cautelare di

sospensione degli effetti dell’ordinanza, nella parte impugnata,

accompagnata dalla richiesta di decreto cautelare monocratico ai

sensi dell’art. 56 c.p.a.

In data 5 maggio 2020 il Presidente di questo Tribunale

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Amministrativo Regionale ha sentito informalmente e

separatamente le difese delle amministrazioni.

Esse, nell’interesse generale della giustizia, avuto riguardo

oltretutto alla delicatezza dei temi trattati in ricorso, che toccano i

rapporti fra Stato e Regioni dal punto di vista dei rispettivi poteri di

intervento nell’attuale drammatica fase epidemica in atto, hanno

concordato sulla necessità di addivenire in tempi molto brevi a una

decisione collegiale, eventualmente anche quale sentenza in forma

semplificata ai sensi dell’art. 60 c.p.a.

Pertanto, l’Avvocatura dello Stato ha rinunciato all’istanza di tutela

cautelare monocratica ai sensi dell’art. 56 c.p.a.; entrambe le parti

hanno rinunciato ai termini a difesa di cui all’art. 55, comma 5

c.p.a.

4. – È stata dunque fissata la camera di consiglio del 9 maggio

2020.

5. – Al giudizio hanno inteso intervenire anche altre

amministrazioni.

In particolare, in data 6 maggio 2020 si è costituito, ad

adiuvandum, il Comune di Reggio Calabria; al contrario, si sono

costituiti ad opponendum nella medesima data del 6 maggio 2020

il Comune di Amendolara e nella successiva data del 7 maggio

2020 il Comune di Tropea.

In data 7 maggio 2020 si è costituito ad opponendum anche

CODACONS - Coordinamento delle associazioni e dei comitati di

tutela dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori.

In data 8 maggio 2020 si sono costituiti, in pretesa applicazione

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dell’art. 28, comma 1 c.p.a., alcuni operatori del settore della

ristorazione, meglio individuati nell’epigrafe della sentenza.

In vista della decisione la Presidenza del Consiglio dei Ministri e la

Regione Calabria hanno depositato memorie ad ulteriore supporto

delle argomentazioni difensive utilizzate.

6. – Il ricorso è stato trattato collegialmente in data 9 maggio 2020

ai sensi dell’art. 84, comma 5 d.l. 17 marzo 2020, n. 18, conv. con

mod con l. 24 aprile 2020, n. 27, e, ricorrendone i presupposti, è

stato deciso nel merito ai sensi dell’art. 60 c.p.a.

II – Le posizioni delle parti

7. – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha dedotto

l’illegittimità dell’ordinanza impugnata, nella parte di interesse,

sotto tre diverse prospettive.

7.1. – In primo luogo, essa violerebbe gli artt. 2, comma 1, e 3,

comma 1 d.l. 25 marzo 2020, n. 19, e sarebbe stata emanata in

carenza di potere per incompetenza assoluta.

Infatti, l’art. 2, comma 1 dell’atto normativo citato attribuisce la

competenza ad adottare le misure urgenti per evitare la diffusione

del COVID-19 e le ulteriori misure di gestione dell’emergenza al

Presidente del Consiglio dei ministri, che provvede con propri

decreti previo adempimento degli oneri di consultazione

specificati.

Per quel che rileva, il Presidente del Consiglio dei Ministri ha

provveduto con d.P.C.M. del 26 aprile 2020 che, con efficacia dal 4

maggio 2020 al 17 maggio 2020, dispone la sospensione delle

attività dei servizi di ristorazione (fra cui bar, pub, ristoranti,

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gelaterie, pasticcerie) e, in via di eccezione, consente la

ristorazione con consegna a domicilio nel rispetto delle norme

igienico-sanitarie sia per l’attività di confezionamento che di

trasporto, nonché la ristorazione con asporto, fermo restando

l’obbligo di rispettare la distanza di sicurezza interpersonale di

almeno un metro, il divieto di consumare i prodotti all’interno dei

locali e il divieto di sostare nelle immediate vicinanze degli stessi.

Come visto, l’ordinanza regionale, in contrasto con quanto

disposto dal d.P.C.M., ha autorizzato anche la ristorazione con

servizio al tavolo.

Ma tale intervento integrativo non sarebbe consentito dalla

normativa applicabile, in quanto l’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del

2020 prevede che le Regioni possano adottare misure di efficacia

locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e senza

incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza strategica

per l’economia nazionale», ma tale potere è subordinato a tre

condizioni, e cioè che si tratti di interventi destinati a operare nelle

more dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi

giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del

rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di

misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive

esercitabili nella regione.

Né l’ordinanza impugnata potrebbe trovare fondamento nell’art.

32, comma 3 l. n. 833 del 1978, e perché derogato dalla disciplina

dettata dal d.l. n. 19 del 2020, e perché l’emergenza sanitaria ha

carattere nazionale, e dunque impone l’intervento da parte del

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Governo centrale.

7.2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce che l’ordinanza

sarebbe priva di un’adeguata motivazione, non sarebbe stata

supportata da una valida istruttoria, sarebbe illogica e irrazionale.

In particolare, non emergerebbero condizioni peculiari che

giustifichino, nel solo territorio della Regione Calabria,

l’abbandono del principio di precauzione; non sarebbe stato

adottato un valido metodo scientifico nella valutazione del rischio

epidemiologico; si porrebbe a rischio la coerente gestione della

crisi epidemiologica da parte del Governo.

7.3. – Infine, l’ordinanza sarebbe viziata da eccesso di potere,

evidenziato dalla violazione del principio di leale collaborazione.

Invero, l’ordinanza sarebbe stata emessa in assenza di qualunque

interlocuzione con il Governo.

8. – La Regione Calabria ha posto una questione pregiudiziale di

giurisdizione e si è difesa nel merito.

8.1. – Pregiudizialmente ha dedotto che il ricorso è volto ad

assumere che l’ordinanza del Presidente della Regione Calabria

invada una sfera di attribuzioni propria del Governo centrale,

sottraendogli così la possibilità di esercizio di una propria

prerogativa.

La controversia assumerebbe, così, un tono costituzionale che

attribuirebbe la giurisdizione alla Corte costituzionale, quale

giudice dei conflitti di attribuzione ai sensi dell’art. 134 Cost.

8.2. – Nel merito, l’ordinanza impugnata troverebbe un sicuro

fondamento nell’art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 e sarebbe

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pienamente informata ai principi di adeguatezza e proporzionalità

espressamente richiamati dall’art. 1, comma 2 d.l. n. 19 del 2020, i

quali richiedono di modulare i provvedimenti volti al contrasto

dell’epidemia al rischio effettivamente presente su specifiche parti

del territorio.

Al contrario, a tali principi non si conformerebbe il d.P.C.M. del 26

aprile 2020, che sottopone a una disciplina unitaria tutto il

territorio nazionale, senza tener conto delle differenze fattuali.

Peraltro lo strumento normativo utilizzato dal Governo (un

d.P.C.M.) sarebbe palesemente inadeguato perché la Costituzione

non prevede la delegabilità dei poteri di decretazione d’urgenza di

cui all’art. 77 Cost.

8.3. – Per altro verso, la regolamentazione dettata dal Presidente

della Regione Calabria non sarebbe in contrasto con il contenuto

del d.P.C.M. del 26 aprile 2020, essendo invece da interpretare

quale disposizione di dettaglio della medesima, in funzione delle

specificità della situazione epidemiologica presente nel territorio

regionale ed in presenza di alcune “misure minime” da adottare a

tutela della salute pubblica e del rischio di contagio.

Il ricorso, dunque, non dovrebbe essere esaminato per difetto di

interesse.

8.4. – Infine, l’ordinanza sarebbe supportata da un impianto

motivazionale sufficiente, nel quale si dà atto che l’analisi dei dati

prodotta dal Dipartimento Tutela della Salute e Politiche Sanitarie

della Regione Calabria ha fatto rilevare, alla data del 27 aprile

2020, un valore del Rapporto di replicazione (Rt) con daily time

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lag a 5 giorni, pari a 0,63; in generale, valori inferiori ad 1

indicano che la diffusione dell’infezione procede verso la

regressione.

9. – Gli interventori hanno arricchito il giudizio con le loro

deduzioni.

9.1. – Il Comune di Reggio Calabria, invero, ha inteso condividere

in tutto i contenuti del ricorso presentato dalla Presidenza del

Consiglio dei Ministri.

9.2. – Il Comune di Amendolara ha aderito all’eccezione di difetto

di giurisdizione di questo giudice amministrativo in favore della

Corte costituzionale e ha affermato l’infondatezza dei motivi di

ricorso.

Ha aggiunto che il d.l. n.19 del 2020, al quale non sarebbe aderente

l’ordinanza del Presidente della Regione, sarebbe in contrasto con

gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41, 117, co. 3 e 120, co. 2, Cost.

Partendo dal presupposto che l’ordinamento costituzionale italiano

non prevede lo “stato di emergenza”, la normativa in questione

sarebbe in contrasto con gli artt. 77, 13, 14, 15, 16, 17 e 41 Cost. in

quanto demanderebbe al Presidente del Consiglio dei Ministri il

potere di limitare le libertà garantite dalla Costituzione.

Peraltro, si tratterebbe di normativa non essenziale per affrontare

l’attuale stato di emergenza, in quanto nell’ordinamento sono

contemplate diverse ipotesi in cui è consentita l’emanazione di

ordinanze contingibili e urgenti per affrontare situazioni urgenti.

Sotto altro profilo, il d.l. n.19 del 2020 priverebbe le Regioni della

potestà normativa concorrente in materia di salute, prevista

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dall’art. 117 Cost. e rappresenterebbe esercizio di potere sostitutivo

da parte dello Stato non previsto dall’art. 120 Cost.

9.3. – Il Comune di Tropea ha aderito anch’esso all’eccezione

pregiudiziale di difetto di giurisdizione.

Ha poi eccepito l’illegittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020,

che rappresenterebbe un indebito esercizio di potere sostitutivo da

parte dello Stato in violazione degli artt. 117, comma 5 e 120 Cost.,

e una violazione dei principi di sussidiarietà e leale cooperazione.

Nel merito, l’ordinanza sarebbe giustificata dall’art. 32, comma 3 l.

n. 833 del 1978 e sarebbe coerente con i principi di adeguatezza e

proporzionalità, violati invece dalla decisione del Governo di

predisporre una disciplina unitaria per tutto il territorio nazionale.

L’ordinanza avrebbe alla base l’analisi dei dati epidemiologici

regionali e, a ben guardare, nemmeno si porrebbe in contrasto con

il d.P.C.M. del 26 aprile 2020, di cui è mera specificazione.

9.4. – CODACONS ha argomentato nel senso che la lite,

qualificabile in termini di conflitto di attribuzioni, sarebbe devoluta

ai sensi dell’art. 134 Cost. alla giurisdizione della Corte

costituzionale, cui ha chiesto di trasmettere gli atti.

9.5. – Gli operatori della ristorazione, infine, si sono qualificati in

termini di controinteressati e, costituitisi ai sensi dell’art. 28,

comma 1, hanno domandato il differimento dell’udienza camerale

con assegnazione di termini per poter esercitare correttamente i

proprio diritto di difesa.

Nel merito, hanno aderito alle tesi difensive della Regione

Calabria.

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9.6. – Va infine notato che la Regione Calabria, nella memoria

depositata in data 9 maggio 2020, ha lamentato di non aver potuto

prendere posizione sui numerosi interventi che si sono succeduti e

ha invitato il Tribunale a valutare se, rispetto a tale vulnus al diritto

di difesa, si rendesse necessario o anche solo opportuno, un

differimento della Camera di consiglio.

III – Le questioni pregiudiziali e preliminari

III.1. – La questione di giurisdizione

10. – È opinione del Tribunale di essere dotato di giurisdizione sul

ricorso proposto dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri.

Tale conclusione si basa su tre, concatenate osservazioni.

10.1. – È innegabile che il provvedimento emanato dal Presidente

della Regione Calabria abbia natura di ordinanza contingibile e

urgente in materia di igiene e sanità, nel quadro della disciplina

dettata dall’art. 32 l. n. 833 del 1978.

Si tratta, dunque, di esercizio di potere amministrativo, sul quale il

sindacato giurisdizionale è naturalmente attribuito al giudice della

funzione pubblica, cioè il giudice amministrativo.

10.2. – Il fatto che le ragioni di illegittimità dedotte da parte

ricorrente siano inerenti anche ai confini delle attribuzioni

assegnate ai diversi poteri dello Stato non è sufficiente ad attribuire

alla controversia un tono costituzionale.

In proposito, si richiama la costante giurisprudenza della Corte

costituzionale, secondo la quale il tono costituzionale del conflitto

sussiste quando il ricorrente non lamenti una lesione qualsiasi, ma

una lesione delle proprie attribuzioni costituzionali (ex plurimis,

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Corte cost. 14 febbraio 2020; Id. 14 febbraio 2018, n. 28; Id. 15

maggio 2015, n. 87; Id. 28 marzo 2013, n. 52).

È stato, in particolare, chiarito (da Corte cost. 29 ottobre 2019, n.

224) che non basta che nella materia in questione vengano in gioco

competenze e attribuzioni previste dalla Costituzione, perché la

controversia assuma un tono costituzionale. La natura

costituzionale delle competenze, infatti, così come il potere

discrezionale che ne connota i relativi atti di esercizio, non esclude

la sindacabilità nelle ordinarie sedi giurisdizionali degli stessi atti,

quando essi trovano un limite «nei principi di natura giuridica

posti dall’ordinamento, tanto a livello costituzionale quanto a

livello legislativo» (Corte cost. 5 aprile 2012, n. 81 del 2012).

Ebbene, il ricorso con il quale è stato innescato il sindacato

giurisdizionale da parte di questo Tribunale Amministrativo

Regionale fa valere la dedotta violazione, da parte del Presidente

della Regione Calabria, dei limiti che dalla legge, e in particolare

dal d.l. 25 marzo 2020, n. 19, derivano all’esercizio delle

competenze in materia di igiene e sanità spettanti al Presidente

della Regione Calabria.

In questa prospettiva, l’atto è giustiziabile d’innanzi al giudice

della funzione pubblica, giacché questo giudice non è chiamato a

regolare il conflitto sulle attribuzioni costituzionali tra gli Enti

coinvolti nella controversia, ma solo a valutare la legittimità,

secondo i parametri legislativi indicati nei motivi di ricorso,

dell’atto impugnato.

10.3. – In ogni caso, se pure si opinasse che nel caso di specie

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fosse attivabile, da parte della Presidenza del Consiglio dei

Ministri, il conflitto di attribuzione d’innanzi alla Corte

costituzionale, ciò non esclude che sia legittimamente esperibile

anche la via del ricorso d’innanzi al giudice amministrativo.

Secondo il costante insegnamento delle Sezioni Unite della Corte

di Cassazione (cfr. Cass. Civ., Sez. Un., 19 luglio 2013, n. 17656;

in precedenza, Id. 20 maggio 1978, n. 2492; Id. 28 maggio 1977, n.

2184; Id. 13 dicembre 1973, n. 3379; Id. 10 novembre 1973, n.

2966), infatti, vi è diversità di struttura e finalità fra il giudizio per

conflitto di attribuzione tra Stato e Regione ed il sindacato

giurisdizionale davanti al giudice amministrativo: il primo è

finalizzato a restaurare l'assetto complessivo dei rispettivi ambiti di

competenza degli Enti in conflitto; il secondo, viceversa, si svolge

sul piano oggettivo di verifica di legalità dell'azione

amministrativa, con l'esclusivo scopo della puntuale repressione

dell'atto illegittimo. Ciò comporta la possibilità della loro

simultanea proposizione, sicché deve escludersi che in tali ipotesi

sussista difetto di giurisdizione del giudice amministrativo.

Anche il Consiglio di Stato (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 27 dicembre

2011, n. 6834), dal canto suo, ha affermato che il soggetto

legittimato ad impugnare l'atto autoritativo dinanzi al giudice

amministrativo può valutare se sussistono i presupposti per

sollevare un conflitto di attribuzione, ovvero se avvalersi del

rimedio di carattere generale della giurisdizione generale di

legittimità. Tale conclusione risulta corroborata dalla

considerazione per cui, mentre la Corte costituzionale può decidere

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le censure attinenti al riparto delle attribuzioni, il giudice

amministrativo, ai sensi dell'art. 113 Cost., può decidere su ogni

profilo di illegittimità dell'atto, anche su dedotti aspetti di eccesso

di potere, sicché, anche per esigenze di concentrazione, l’Ente in

conflitto ben può scegliere se, anziché proporre due giudizi e

devolvere alla Corte costituzionale l'esame dei profili

sul difetto di attribuzione, sia il caso di proporre un solo ricorso al

giudice amministrativo, deducendo tutti i possibili motivi di

illegittimità dell'atto.

III.2 – Le condizioni dell’azione

11. – Benché la Regione Calabria non abbia contestato la

legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a

ricorrere nel caso di specie al giudice amministrativo, la verifica

delle sussistenza di tale condizione dell’azione deve essere operata

d’ufficio.

11.1. – Il Tribunale ritiene, dunque, di dover esplicitare che sussiste

la legittimazione della Presidenza del Consiglio dei Ministri a

impugnare un’ordinanza ex art. 32, comma 3 l. n. 833 del 1978 del

Presidente di una Regione in virtù delle funzioni ad essa attribuite

con riferimento al rapporto tra il Governo e le Autonomie di cui la

Repubblica si compone.

11.2. – Limitando l’esame ai rapporti tra Stato, Regioni e Province

autonome, e senza alcuna pretesa di esaustività, si rileva che spetta

al Presidente del Consiglio dei Ministri il compito di promuovere e

coordinare “l'azione del Governo per quanto attiene ai rapporti

con le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano” (art.

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5, comma 3, lett. b) l. 23 agosto 1988, n. 400), nonché di

promuovere lo sviluppo della collaborazione tra Stato, Regioni e

Autonomie locali (art. 4 d.lgs. 30 luglio 1999, n. 303).

Per svolgere tali funzioni, il Presidente si avvale della Presidenza

del Consiglio dei Ministri (art. 2, comma 2, lett. d) d.lgs. n. 303 del

1999), presso la quale è istituito un Dipartimento per gli Affari

regionali (art. 4, comma 2 d.lgs. n. 303 del 1999).

Presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri è costituita la

Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le Regioni e le

Province autonome, che dal Presidente del Consiglio è presieduta e

che deve essere consultata sui criteri generali relativi all'esercizio

delle funzioni statali di indirizzo e di coordinamento inerenti ai

rapporti tra lo Stato, le Regioni, le Province autonome e gli enti

infraregionali (art. 12 l. n. 400 del 1988).

Spetta, infine, al Presidente del Consiglio dei Ministri “promuove

le iniziative necessarie per l'ordinato svolgimento dei rapporti tra

Stato, regioni e autonomie locali ed assicura l'esercizio coerente e

coordinato dei poteri e dei rimedi previsti per i casi di inerzia e di

inadempienza” (art. 4, comma 1 d.lgs. n. 303 del 1999).

11.3. – In sintesi, la Presidenza del Consiglio dei Ministri

costituisce il fulcro del necessario coordinamento dell’attività

amministrativa posta in essere dallo Stato e dalle Autonomie di cui

la Repubblica si compone.

In altri termini, in capo ad essa si sintetizzano i vari interessi alla

cura dei quali le amministrazioni pubbliche, statali, regionali e

locali, sono preposte.

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Alla Presidenza del Consiglio dei Ministri è attribuito il compito di

assicurare l’esercizio coerente e coordinato dei poteri

amministrativi; cosicché è logica conseguenza ritenere che ad essa

sia assegnato dall’ordinamento anche il potere di agire

giudizialmente, in alternativa all’esercizio delle funzioni di

controllo e sostitutive previsti dalla Costituzione, laddove

l’esercizio dei poteri amministrativi avvenga in maniera

disarmonica o addirittura antitetica.

12. – Sussiste anche l’altra condizione dell’azione, invero messa in

dubbio dalla difesa della Regione Calabria, e cioè l’interesse ad

agire.

In effetti, allo stato risultano in vigore sia l’ordinanza del

Presidente della Regione Calabria oggetto di impugnativa, sia il

d.P.C.M. del 26 aprile 2020.

Benché sia stato negato in giudizio che il provvedimento regionale

sia in contrasto con il d.P.C.M., di cui costituirebbe invece mera

specificazione, osserva il Tribunale che il provvedimento

impugnato ammette una nuova e diversa eccezione alla

sospensione delle attività dei servizi di ristorazione. Dunque,

l’ordinanza impugnata ha un contenuto parzialmente difforme dal

d.P.C.M., rispetto al quale si pone in posizione di antinomia.

Sicché, essendo effettivo ed attuale il contrasto tra i due

provvedimenti, sussiste l’interesse all’odierna decisione.

III.3. – Sui controinteressati, gli interventori e la loro posizione

processuale

13. – La Presidenza del Consiglio dei Ministri ha, in via

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prudenziale, notificato il ricorso a un potenziale controinteressato,

identificato in un imprenditore titolare di un esercizio di

ristorazione, il quale non si è costituito in giudizio.

13.1. – Tuttavia, è evidente che il provvedimento impugnato ha

natura generale, sicché non sono individuabili controinteressati.

Infatti, la figura del controinteressato in senso formale, peculiare

del processo amministrativo, ricorre soltanto nel caso in cui l'atto

sul quale è richiesto il controllo giurisdizionale di legittimità si

riferisca direttamente ed immediatamente a soggetti, singolarmente

individuabili, i quali per effetto di detto atto abbiano già acquistato

una posizione giuridica di vantaggio; per definizione, tale figura

non è ravvisabile nei riguardi dell'atto generale, atteso che esso non

riguarda specifici destinatari, che sia a priori che a posteriori non

sono individuabili (cfr., per tutte, Cons. Stato, Sez. VI, 15 dicembre

2014, n. 6153).

Poiché, dunque, nel caso di specie il terzo destinatario della

notifica è sostanzialmente estraneo alla presente controversia, la

sua mancata costituzione non impedisce la definizione del giudizio.

13.2. – Le medesime considerazioni valgono con riferimento

all’intervento degli operatori del settore della ristorazione.

A fronte di un atto amministrativo generale, essi non rivestono

ruolo di controinteressati, e il loro intervento, da riqualificare in

termini di intervento adesivo ai sensi dell’art. 28, comma 2 c.p.a.,

non comporta alcuna specifica necessità di salvaguardia dei diritti

della difesa, giacché, come infra sarà ricordato, essi debbono

accettare lo stato e il grado in cui si trova il giudizio.

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14. – Occorre dunque occuparsi degli interventi adesivi spiegati,

onde verificarne l’ammissibilità.

14.1. – L’art. 28, comma 2 c.p.a. stabilisce che chiunque non sia

parte del giudizio e non sia decaduto dall'esercizio delle relative

azioni, ma vi abbia interesse, può intervenire accettando lo stato e

il grado in cui il giudizio si trova.

In via generale, si deve osservare che tale norma recepisce una

consolidata tradizione pretoria, per cui l'intervento in giudizio va

riconosciuto ammissibile anche in presenza di un interesse di mero

fatto, dipendente o riflesso rispetto a quello delle parti.

Gli intervenienti, tuttavia, sono tenuti a chiarire nell'atto di

intervento e a dimostrare quale sia l'interesse che intendono

tutelare (cfr. CGA 3 gennaio 2017, n. 1).

14.2. – Quanto all’intervento ad adiuvandum, è ammesso dalla

giurisprudenza più recente anche da parte del cointeressato, purché

non sia decaduto dall'esercizio delle relative azioni e vi abbia

interesse, senza tuttavia potere ampliare il thema decidendum;

l'intervento del cointeressato è, quindi, ammesso nei limiti della

domanda già proposta, in conformità allo strumento azionato, il

quale comporta per l'interveniente di accettare, ex art. 28 comma 2,

c.p.a . lo stato e il grado in cui il giudizio si trova (Cons. Stato, Sez.

V, 30 ottobre 2017, n. 4973; cfr. anche TAR Campania – Napoli,

Sez. III, 14 gennaio 2019 , n. 201).

14.3. – Alla stregua di tali criteri, si deve ritenere ammissibile

l’intervento degli Enti locali e degli operatori del settore della

ristorazione.

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Quanto al Comune di Reggio Calabria, intervenuto ad

adiuvandum, esso ha espressamente dedotto che l’ordinanza di cui

si discorre incide in maniera grave sul diritto alla salute dei

cittadini di cui è Ente esponenziale e che l’auspicato accoglimento

del ricorso comporterà un indiretto ma rilevante vantaggio nei

confronti del Comune di Reggio Calabria. Tanto più che il Sindaco

del Comune ha adottato in data 30 aprile 2020 l’ordinanza

contingibile e urgente n. 44 con cui ha disposto l’applicazione, sul

territorio comunale, esclusivamente delle misure adottate dal

Governo.

Anche il Comune di Tropea, intervenuto ad opponendum, ha

illustrato gli interessi che hanno animato la sua iniziativa

processuale, sebbene questi si pongano in una prospettiva ribaltata

rispetto al Comune di Reggio Calabria. Infatti, il territorio su cui è

costituito l’Ente ha forte vocazione turistica, sicché la chiusura

forzata degli operatori della ristorazione per attenuare i contagi da

COVID-19 ha avuto effetti devastanti sull’intero comparto

economico, essendo state azzerate le presenze turistiche per i mesi

di aprile e maggio. La conservazione del provvedimento

impugnato rappresenta, in questo contesto, un vantaggio per la

comunità di cui il Comune di Tropea è ente esponenziale,

consentendo di riavviare le attività imprenditoriali.

Le medesime considerazioni valgono per il Comune di

Amendolara.

L’interesse fattuale degli operatori della ristorazione alla

conservazione dell’ordinanza regionale impugnata è, dal canto suo,

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evidentemente individuabile nella possibilità di riprendere le

attività imprenditoriali.

14.4. – Al contrario, è inammissibile l’intervento del CODACONS

- Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela

dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori.

In effetti, esso ha depositato in giudizio il proprio Statuto, da cui si

evince che persegue il fine di «tutelare con ogni mezzo legittimo,

ivi compreso il ricorso allo strumento giudiziario, i diritti e gli

interessi dei consumatori ed utenti […] tale tutela si realizza nei

confronti dei soggetti pubblici e privati, produttori e/o erogatori di

beni e servizi, anche al fine di contribuire ad eliminare le

distorsioni del mercato determinate dalla commissione di abusi e

di altre fattispecie di reati contro la P.A.».

Ma non ha specificato quale interesse, sussistente in modo

omogeneo in capo agli associati, l’intervento è inteso a tutelare.

15. – Va infine esaminata la sollecitazione della difesa della

Regione Calabria affinché il Tribunale differisca l’udienza

camerale allo scopo di consentirle di prendere posizione sugli atti

di intervento.

Ebbene, poiché gli interventi spiegati, siano essi ad adiuvandum o

ad opponendum, non hanno condotto a un ampliamento

dell’oggetto del giudizio, in nessuno dei suoi aspetti, in quanto un

simile ampliamento è vietato dall’ordinamento processuale, non

sussiste alcuna lesione del diritto di difesa dell’amministrazione

regionale, che ha avuto modo di argomentare su ciascuno dei

motivi di ricorso proposti dalla Presidenza del Consigli dei

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Ministri.

IV – Esame dei motivi di ricorso

16. – Si può finalmente passare all’esame dei motivi di ricorso.

Nondimeno, il forte interesse che nell’opinione pubblica ha

suscitato l’odierno giudizio giustifica alcune sintetiche

considerazioni di carattere generale.

Non è compito del giudice amministrativo sostituirsi alle

amministrazioni e, dunque, stabilire quale contenuto debbano

avere, all’esito del bilanciamento tra i molteplici interessi pubblici

o privati in gioco, i provvedimenti amministrativi.

Tale principio, valido in via generale, è da affermare ancora con

più forza quando, come nel caso di specie, il provvedimento

amministrativo oggetto di sindacato sia stato adottato dal vertice

politico-amministrativo, dotato di legittimazione democratica in

quanto eletto a suffragio universale, di una delle Autonomie da cui

la Repubblica è formata; e ad impugnarlo sia l’organo di vertice

del potere esecutivo, anch’esso dotato di legittimazione

democratica in quanto sostenuto dalla fiducia delle Camere.

In questa prospettiva, l’operato dell’Autorità giurisdizionale, in

questo caso del giudice amministrativo quale giudice naturale della

funzione pubblica, è meramente tecnica, e finalizzata a verificare la

conformità del provvedimento oggetto di attenzione al modello

legale.

17. – Si è già accennato al § 7.1. al contenuto del d.l. n. 19 del

2020.

L’art. 1 prevede, per quel che in questa sede rileva, che, allo scopo

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di contenere e contrastare i rischi sanitari derivanti dalla diffusione

del virus COVID-19, su specifiche parti del territorio nazionale

ovvero, occorrendo, sulla totalità di esso, possono essere adottate

una o più misure che, secondo principi di adeguatezza e

proporzionalità al rischio effettivamente presente su specifiche

parti del territorio nazionale ovvero sulla totalità di esso, possono

prevedere, tra l’altro, la limitazione o sospensione delle attività di

somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di

consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti.

Il successivo art. 2, comma 1, attribuisce al Presidente del

Consiglio dei Ministri il potere di emanare, con d.P.C.M., tali

misure.

L’art. 3, comma 1 consente alle Regioni di adottare misure di

efficacia locale «nell’ambito delle attività di loro competenza e

senza incisione delle attività produttive e di quelle di rilevanza

strategica per l’economia nazionale». Ma ciò è possibile solo a

condizione che si tratti di interventi destinati a operare nelle more

dell’adozione di un nuovo d.P.C.M.; che si tratti di interventi

giustificati da «situazioni sopravvenute di aggravamento del

rischio sanitario» proprie della Regione interessata; che si tratti di

misure «ulteriormente restrittive» delle attività sociali e produttive

esercitabili nella Regione.

Il comma 3 dell’art 3, infine, precisa che «le disposizioni di cui al

presente articolo si applicano altresì agli atti posti in essere per

ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni disposizione di

legge previgente».

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18. – Il Tribunale ritiene che non ci siano gli estremi per

sospendere il giudizio e sollevare d’innanzi alla Corte

costituzionale questione di legittimità del decreto legge il cui

contenuto è stato illustrato.

18.1. – Innanzitutto, va ricordato che l’odierna controversia

riguarda esclusivamente la possibilità di svolgere, dal 4 maggio

2020 al 17 maggio 2020, l’attività di ristorazione con servizio al

tavolo.

In proposito, si osserva che l’art. 41 Cost., nel riconoscere libertà

di iniziativa economica, prevede che essa non possa svolgersi in

modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità

umana.

Come noto, non è prevista una riserva di legge in ordine alle

prescrizioni da imporre all’imprenditore allo scopo di assicurare

che l’iniziativa economica non sia di pregiudizio per la salute

pubblica, sicché tali prescrizioni possono essere imposte anche con

un atto di natura amministrativa.

Non si coglie dunque un contrasto, in particolare nell’attuale

situazione di emergenza sanitaria, tra la citata norma costituzionale

e una disposizione legislativa che demandi al Presidente del

Consiglio dei Ministri di disporre, con provvedimento

amministrativo, limitazione o sospensione delle attività di

somministrazione al pubblico di bevande e alimenti, nonché di

consumo sul posto di alimenti e bevande, compresi bar e ristoranti,

allo scopo di affrontare l’emergenza sanitaria dovuta alla

diffusione del virus COVID-19.

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Tanto più che, come rivela l’esame dell’art. 1 del d.l. n. 19 del

2020, il contenuto del provvedimento risulta predeterminato

(«limitazione o sospensione delle attività di somministrazione al

pubblico di bevande e alimenti, nonché di consumo sul posto di

alimenti e bevande (...)»), mentre alla discrezionalità dell’Autorità

amministrativa è demandato di individuare l’ampiezza della

limitazione in ragione dell’esame epidemiologico.

18.2. – Non vi può essere dubbio che lo Stato rinvenga la

competenza legislativa all’adozione del decreto de quo innanzitutto

nell’art. 117, comma 2, lett. q) Cost., che gli attribuisce

competenza esclusiva in materia di «profilassi internazionale».

Ma la competenza legislativa si rinviene anche nel terzo comma

del medesimo art. 117 Cost., che attribuisce allo Stato competenza

concorrente in materia di «tutela della salute» e «protezione

civile».

18.3. – A tale ultimo proposito, occorrono alcune ulteriori

osservazioni, che traggono le mosse dal duplice rilievo critico

secondo cui l’impianto normativo delineato dal d.l. n. 19 del 2020

comporterebbe un’inammissibile delega al Presidente del

Consiglio dei Ministri del potere di restringere le libertà

costituzionali dei cittadini e comporterebbe un’alterazione alla

ripartizione dei compiti amministrativi delineata dall’art. 118 Cost.

Limitando, per evidenti ragioni, il campo dell’analisi alla sola

possibilità di limitare o sospendere le attività di somministrazione

al pubblico di cibi e bevande, il Tribunale ritiene di dover

innanzitutto ribadire quanto già anticipato al § 18.1., e cioè che è la

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legge a predeterminare il contenuto della restrizione alla libertà di

iniziativa economica, demandando ad un atto amministrativo la

commisurazione dell’estensione di tale limitazione.

Ciò posto, il fatto che la legge abbia attribuito al Presidente del

Consiglio dei Ministri il potere di individuare in concreto le misure

necessarie ad affrontare un’emergenza sanitaria trova

giustificazione nell’art. 118, comma 1 Cost.: il principio di

sussidiarietà impone che, trattandosi di emergenza a carattere

internazionale, l’individuazione delle misure precauzionali sia

operata al livello amministrativo unitario.

18.4. – Ma, una volta accertato che l’individuazione nel Presidente

del Consiglio dei Ministri dell’Autorità che deve individuare le

specifiche misure necessarie per affrontare l’emergenza è

conforme al principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., deve

altresì essere affermato che ciò giustifica l’attrazione in capo allo

Stato della competenza legislativa, pur in materie concorrenti quali

la «tutela della salute» e la «protezione civile».

È noto, infatti, che la Corte costituzionale ha ritenuto (sin dalla

sentenza dell’1 ottobre 2003, n. 303, con cui ha per la prima volta

teorizzato la c.d. chiamata in sussidiarietà) che l’avocazione della

funzione amministrativa si deve accompagnare all’attrazione della

competenza legislativa necessaria alla sua disciplina, onde

rispettare il principio di legalità dell’azione amministrativa, purché

all’intervento legislativo per esigenze unitarie si accompagnino

forme di leale collaborazione tra Stato e Regioni nel momento

dell’esercizio della funzione amministrativa (cfr., sul punto, Corte

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cost. 22 luglio 2010, n. 278).

Nel caso di specie, conformemente al principio enucleato dalla

Corte costituzionale, l’art. 2 d.l. n. 19 del 2020 prevede

espressamente che il Presidente del Consiglio dei Ministri adotti i

decreti sentiti – anche – i Presidenti delle Regioni interessate, nel

caso in cui riguardino esclusivamente una regione o alcune

specifiche regioni, ovvero il Presidente della Conferenza delle

Regioni e delle Province autonome, nel caso in cui riguardino

l'intero territorio nazionale.

18.5. – Quanto illustrato ai §§ che precedono esclude che si possa

affermare che nel caso di specie siano stati attribuiti

all’amministrazione centrale dello Stato poteri sostituitivi non

previsti dalla Costituzione.

L’art. 120, comma 2 Cost., invero, prevede che «il Governo può

sostituirsi a organi delle Regioni, delle Città metropolitane, delle

Province e dei Comuni nel caso di mancato rispetto di norme e

trattati internazionali o della normativa comunitaria oppure di

pericolo grave per l'incolumità e la sicurezza pubblica, ovvero

quando lo richiedono la tutela dell'unità giuridica o dell'unità

economica e in particolare la tutela dei livelli essenziali delle

prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo dai

confini territoriali dei governi locali».

In tali casi deve essere seguita la procedura prevista dall’art. 8 l. 5

giugno 2003, n. 131.

Ma, come supra specificato, nel caso di specie non vi è stato un

intervento sostitutivo dello Stato, bensì avocazione delle funzioni

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amministrative in ragione del principio di sussidiarietà,

accompagnata dalla chiamata in sussidiarietà della funzione

legislativa.

18.6. – Va conclusivamente affermato che le questioni di

legittimità costituzionale del d.l. n. 19 del 2020 sollevate appaiono

manifestamente infondate, onde non occorre rimetterle alla Corte

costituzionale.

19. – Il d.P.C.M. 26 aprile 2020, dal canto suo, non è un atto a

carattere normativo, bensì un atto amministrativo generale.

Esso non può essere oggetto di disapplicazione da parte del giudice

amministrativo, essendo piuttosto onere del soggetto interessato

promuovere tempestivamente l’azione di annullamento.

20. – Giunti a questo punto, emerge chiaramente l’illegittimità

dell’ordinanza del Presidente della Regione Calabria denunciata

con il primo motivo di ricorso.

Spetta infatti al Presidente del Consiglio dei Ministri individuare le

misure necessarie a contrastare la diffusione del virus COVID-19,

mentre alle Regioni è dato intervenire solo nei limiti delineati

dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020, che però nel caso di specie

è indiscusso che non risultino integrati.

Né l’ordinanza di cui si discute potrebbe trovare un fondamento

nell’art. 32 l. n. 833 del 1978.

Infatti, come correttamente messo in evidenza dall’Avvocatura

dello Stato, i limiti al potere di ordinanza del Presidente della

Regione delineati dall’art. 3, comma 1 d.l. n. 19 del 2020 valgono,

ai sensi del successivo terzo comma, per tutti gli «atti posti in

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essere per ragioni di sanità in forza di poteri attribuiti da ogni

disposizione di legge previgente».

21. – È fondato, nei limiti di seguito specificati, anche il secondo

motivo di ricorso.

Invero, l’ordinanza regionale motiva la nuova deroga alla

sospensione dell’attività di ristorazione, mediante l’autorizzazione

al servizio al tavolo, con il mero riferimento del rilevato valore di

replicazione del virus COVID-19, che sarebbe stato misurato in un

livello tale da indicare una regressione dell’epidemia.

È però ormai fatto notorio che il rischio epidemiologico non

dipende soltanto dal valore attuale di replicazione del virus in un

territorio circoscritto quale quello della Regione Calabria, ma

anche da altri elementi, quali l’efficienza e capacità di risposta del

sistema sanitario regionale, nonché l’incidenza che sulla diffusione

del virus producono le misure di contenimento via via adottate o

revocate (si pensi, in proposito, alla diminuzione delle limitazioni

alla circolazione extraregionale).

Non a caso, le restrizioni dovute alla necessità di contenere

l’epidemia sono state adottate, e vengono in questa seconda fase

rimosse, gradualmente, in modo che si possa misurare, di volta in

volta, la curvatura assunta dall’epidemia in conseguenza delle

variazioni nella misura delle interazioni sociali.

Un tale modus operandi appare senza dubbio coerente con il

principio di precauzione, che deve guidare l’operato dei poteri

pubblici in un contesto di emergenza sanitaria quale quello in atto,

dovuta alla circolazione di un virus, sul cui comportamento non

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esistono certezze nella stessa comunità scientifica.

Si badi, che detto principio, per cui ogni qual volta non siano

conosciuti con certezza i rischi indotti da un'attività potenzialmente

pericolosa, l'azione dei pubblici poteri debba tradursi in una

prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze

scientifiche (cfr. Cons. Stato, Sez. III, 3 ottobre 2019, n. 6655),

deve necessariamente presidiare un ambito così delicato per la

salute di ogni cittadino come è quello della prevenzione (Corte

cost. 18 gennaio 2018, n. 5).

È chiaro che, in un simile contesto, ogni iniziativa volta a

modificare le misure di contrasto all’epidemia non possono che

essere frutto di un’istruttoria articolata, che nel caso di specie non

sussiste.

22. – Va infine rilevata la fondatezza anche dell’ultimo motivo di

ricorso.

Sul punto, occorre ricordare come la violazione del principio di

leale collaborazione costituisca elemento sintomatico del vizio

dell’eccesso di potere (cfr. Cons. Stato, Ad. Plen. 14 dicembre

2001, n. 9).

Nel caso di specie, non risulta che l’emanazione dell’ordinanza

oggetto di impugnativa sia stata preceduta da qualsivoglia forma di

intesa, consultazione o anche solo informazione nei confronti del

Governo.

Anzi, il contrasto nei contenuti tra l’ordinanza regionale e il

d.P.C.M. 26 aprile 2020 denota un evidente difetto di

coordinamento tra i due diversi livelli amministrativi, e dunque la

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violazione da parte della Regione Calabria del dovere di leale

collaborazione tra i vari soggetti che compongono la Repubblica,

principio fondamentale nell’assetto di competenze del titolo V

della Costituzione.

23. – In conclusione, per tutte le ragioni esposte l’ordinanza, nella

parte oggetto di impugnativa, deve essere annullata.

La novità, la complessità, la delicatezza della tematiche trattate

giustifica l’integrale compensazione tra le parti delle spese e

competenze di lite.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Calabria (Sezione

Prima), definitivamente pronunciando sul ricorso, come in epigrafe

proposto:

a) dichiara inammissibile l’intervento di CODACONS -

Coordinamento delle associazioni e dei comitati di tutela

dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori;

b) accoglie il ricorso e, per gli effetti, annulla l’ordinanza del

Presidente della Regione Calabria del 29 aprile 2020, n. 37, nella

parte in cui, al suo punto 6, dispone che, a partire dalla data di

adozione dell’ordinanza medesima, sul territorio della Regione

Calabria, è «consentita la ripresa delle attività di Bar, Pasticcerie,

Ristoranti, Pizzerie, Agriturismo con somministrazione esclusiva

attraverso il servizio con tavoli all’aperto»;

c) compensa tra le parti le spese e le competenze di lite.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità

amministrativa.

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Così deciso in Catanzaro nella camera di consiglio del giorno 9

maggio 2020 con l'intervento dei magistrati:

Giancarlo Pennetti, Presidente

Francesco Tallaro, Primo Referendario, Estensore

Francesca Goggiamani, Referendario

L'ESTENSORE IL PRESIDENTEFrancesco Tallaro Giancarlo Pennetti

IL SEGRETARIO

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