Il Trenino Verde della Sardegna - In viaggio naturalmente [Prog. grafico GIA®]

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IL TRENINO VERDE DELLA SARDEGNA

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Rivista firmata ARST sul Trenino Verde della Sardegna.

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IL TRENINOVERDEDELLA

SARDEGNA

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Colline coltivate, poi monti e lunghe discese verso il mare. Il granito e gli stazzi della Gallura, i vigneti della Malvasia, i paesi arroccati sui monti del Gennar-gentu. Siti archeologici, parchi e riserve naturali, tradizioni e leggende. I mille volti, spesso inconsueti, della nostra Isola si possono scoprire attraverso un viaggio che è esaltazione di un turismo sostenibile e di un Progetto che mira ad allungare oltre l’estate l’accoglienza senza eguali delle nostre genti. Con il desiderio di esaltare l’orgoglio dell’appartenenza e la felice congiunzione tra mare e montagna. Questo è il Trenino Verde della Sardegna.Le ferrovie della Sardegna fanno parte dallo scorso anno dell’ARST S.p.A. – Azienda Unica Regionale per il trasporto pubblico locale – all’interno della quale opera anche il sistema dei treni turistici, meglio conosciuto come Tre-

nino Verde. Abbiamo quindi pensato di accompagnare il Calendario dei programmi per il 2012, rinnovato e aggiornato nell’aspetto e nei contenuti, con una rivista monotematica per esprimere un nuovo segnale del rinnovato interesse aziendale per questa importante componente della sua attività. Pagine e pagine di av-vincente impatto che attraversano i luoghi, la cultura e l’identità di territori ricchi di storia e fascino, luoghi aspri e dolci, terre selvagge e armoniose, popolazioni che raccontano una civiltà unica.I binari ed i percorsi contro l’isolamento e lo spopolamento, un modo per “aprire” i territori al turismo attra-verso la valorizzazione di un bene che è parte della nostra storia. Il Trenino Verde della Sardegna con i suoi 400 km di linee è, infatti, tra i sistemi di treni turistici più estesi d’Europa e deve essere destinato ad offrire un sempre più vasto contributo all’economia turistica delle zone interne e della Sardegna.Per questo motivo contiamo di rendere possibile la sua attività ben oltre il periodo estivo, per aprire ai pas-seggeri una nuova prospettiva sui variegati territori attraversati. Le sfumature cromatiche dei paesaggi che passano dal verde della primavera al giallo oro dell’estate, e poi al rosso dell’autunno e al bianco di brina e di neve dell’inverno, una diversa suggestione nell’alternarsi delle stagioni che merita di essere ammirata.Ciò richiederà da parte dell’Azienda un grande impegno per rendere il servizio più attraente anche sotto il profilo dell’efficienza e del comfort. Con la disponibilità di altri mezzi di locomozione storici in corso di recupero e restauro, che saranno operativi già da quest’anno, sarà realizzato un grande impulso alla “cor-sa” del Trenino Verde attraverso le nature incontaminate, i forti paesaggi, le culture, le tradizioni, i colori, i sapori della nostra Isola, che troverete sommariamente illustrati all’interno di queste pagine.

Giovanni Caria Presidente ARST SpA

UN NUOVO IMPEGNO PER UN SERVIZIO ANCORA PIÙ ATTRAENTE

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SULLE TRACCE DI LAWRENCEdi Antonello Angioni

C’è una Sardegna costiera, turistica e solare, aperta alle contaminazioni, e c’è ne una interna, riservata, quasi segreta, ma comunque pronta ad offrire pia-cevoli sorprese ed inattese emozioni. Questa Sarde-

gna - fatta di boschi, gole, passi montani, ponti e gallerie di grande suggestione - è possibile coglierla viaggiando sul “Trenino Verde” attraverso un percorso di struggente bellezza.Il viaggio rappresenta - oramai da 27 anni - un originale ed irri-petibile opportunità per conoscere ed apprezzare scorci nascosti dell’isola: un paesaggio selvaggio ed incontaminato di cui la li-nea ferrata sembra costituire da sempre un elemento naturale, come pure le stazioni, le case cantoniere, i viadotti e tutte le opere di ingegneria ferroviaria. Durante il tragitto, i profumi portati dal vento regalano sensazioni profonde, avvolgenti e inebrianti: sono profumi aspri di lentisco e mirto, di fiori di cisto e di ginepri, di corbezzolo, di sassi, di terra umida di muschi e felci.Attualmente le “Ferrovie della Sardegna” presentano un’offerta turistica assai variegata che si articola su quattro tratte di parti-

colare bellezza: 1) Sassari-Nulvi-Palau; 2) Macomer-Bosa; 3) Mandas-Isili-Sorgono; 4) Mandas-Arbatax. Quest’ultima, con i suoi 159 km., costituisce la linea turistica più lunga d’Italia ed è anche quella più frequentata in quanto attraversa il ver-de dei boschi del massiccio del Gennargentu che racchiude il cuore più segreto della Sardegna. Percorriamo quest’ultimo itinerario precisando che il territorio non è raggiungibile con altri mezzi di trasporto.

Il nostro viaggio inizia dalla stazione ferroviaria di Mandas che comprende un fabbricato per viaggiatori ove, nel 1921, lo scrittore David Herbert Lawrence, celebre autore di Sea and Sardinia, alloggiò con la moglie Frida. Prima di salire sul treno si consiglia un’escursione nel paese. Notevole interesse riveste il museo etnografico “Is lollasa de is aiaiusu” (“Le stanze dei nonni”) che costituisce un percorso

Mandas

IL FASCINO DI UN PERCORSO DI STRUGGENTE BELLEZZA

4PH. Enrico Murru Massa

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SULLE TRACCE DI LAWRENCEdi suggestioni nella memoria storica ed economica del territorio. Ospitato in una casa contadina risalente ai primi dell’Ottocento, il museo é suddiviso in diversi ambienti e propone un itinerario che comprende: sa lolla de su forru e de su carru (la stanza del forno e del carro), s’apposentu de croccai (la camera da letto), sa lolla de is ainas (la stanza degli attrezzi), sa lollixedda, sa lolla de su trellaxiu (la stanza del telaio), su magazinu de su inu (il magazzino del vino), sa lolla e sa coxinedda (la cucina piccola). Nella parte più antica del paese si trova la chiesa tardo cinque-centesca, in stile gotico-aragonese, di San Giacomo apostolo. Sull’altare maggiore, realizzato nel 1777 dal mormoraro Giovan-ni Battista Franco, sono collocate le statue policrome di San Gio-acchino e Sant’Anna. Da ammirare il fonte battesimale del 1760 ed il coro ligneo e la paratora della sacrestia risalenti al 1640. Si segnalano inoltre la chiesa medioevale di Sant’Antonio abate (nelle cui adiacenze è presente un tratto di strada di epoca ro-mana), l’ex Palazzo Municipale (costruito intorno al 1860), l’ex collegio degli Scolopi (ora adibito a circolo di lettura) e l’antico

convento di San Francesco (realizzato nel 1610) che, all’interno, conserva un ciclo di pregevoli tempere seicentesche. Il territorio di Mandas era popolato sin dal periodo nuragico, come è comprovato dalle rovine di oltre quaranta nuraghi tra cui si segnala il complesso di Su Angiu, formato da un nuraghe a cinque torri, da cui proviene una navicella votiva esposta nel Museo Archeologico di Cagliari. Inoltre si segnala il nuraghe Ar-diddi. Senza soluzione di continuità, in questo territorio, si regi-stra la presenza punica e poi un insediamento romano. Intorno all’anno 1000, Mandas divenne il capoluogo della Cura-toria di Siurgus e, a seguito della conquista catalano-aragonese, feudo dei Carroz e poi dei Maza de Lizana, originari di Valencia. Nel 1614, Filippo III di Spagna, elevò il feudo dei Maza a “ducato di Mandas”: una realtà che comprendeva un vasto compendio di terreni estesi anche in Barbagia e persino in Gallura. Passa-to alla famiglia Tellez-Giron, a seguito dell’abolizione dei feudi, venne riscattato nel 1843. Oggi Mandas presenta una vivace economia fatta anche di piccole industrie alimentari (formag-

IL FASCINO DI UN PERCORSO DI STRUGGENTE BELLEZZA

5PH. Enrico Murru Massa

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gi, olio d’oliva, vini e dolci) ed attività artigianali (specializzate in particolare nella lavorazione del ferro battuto, del marmo e della pietra locale). Ora saliamo sul “Trenino Verde”. La locomotiva procede lentamen-te, con delicatezza, quasi per non disturbare un ambiente che ri-serva al viaggiatore immagini da favola. Vien da pensare che gli ingegneri che, alla fine dell’Ottocento, progettarono questa linea ferroviaria avessero in mente le esigenze del turista di oggi. Tra le aspre montagne e i boschi secolari ogni tanto si sente il gorgoglio delle acque fresche e limpide di un ruscello.

Dopo Mandas, la ferrovia si dirama in due tronchi: uno procede a nord, verso Seui ed Isili, e l’altro gira ad est per Orroli. Seguendo questa tratta, ci troviamo immersi in un territorio frequentato sin dall’età neolitica, come è comprovato dalla domus de jana di San-

ta Caterina. Le domus de janas (case delle fate) sono tom-be ipogeiche formate da piccole stanze scavate nella roccia, groticelle a volte decorate con incisioni simboliche nelle quali sono state rinvenuti numerosi oggetti votivi che raccontano sulle usanze e le credenze delle popolazioni prenuragiche.Di particolare interesse è la documentazione relativa al perio-do nuragico, rappresentato da alcune decine di monumenti tra cui il nuraghe quadrilobato di Sa Serra, quello di Funtana Spidu e soprattutto il complesso del nuraghe Arrubiu, uno dei più grandi della Sardegna e l’unico del tipo pentalobato. Col-locato al margine della località Su Pranu, presenta un possen-te torrione rinforzato da una cortina muraria.

Il nuraghe Arrubiu occupa, nel suo insieme, un’area di circa 5.000 metri quadri. Sulla base del ritrovamento nella torre centrale di un “alabastron” (una ceramica micenea), il com-

OrroliIl Nuraghe Arrubiu

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ORROLI: NURAGHE ARRUBIU. PH. Maurizio Artizzu

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plesso è stato datato al XIV secolo a.C. E’ una strut-tura possente, costruita con massi di basalto rosso, sui quali crescono i licheni, da cui deriva il suo nome Arrubiu (cioè rosso). Tra le torri, la più imponente è la centrale che attualmente raggiunge i 14 metri ma che, in origine, era alta quasi 27 metri. E’ protetta da pos-senti mura che collegano fra loro le altre cinque torri. Tutto intorno è ben visibile un altro bastione con sette torri e la presenza di altre quattro torri unite da muri fa supporre la presenza di un secondo antemurale.Nella grande torre è possibile ammirare la tholos per-fettamente integra e anche un altro tesoro: sepolto all’interno di una massa di cenere, è rimasto intatto con vaso votivo (che si pensa utilizzato per un rito pro-piziatorio in onore della divinità). Durante gli scavi, gli studiosi hanno inoltre rinvenuto numerosi resti di an-fore destinate alla raccolta di generi alimentari, men-tre una delle torri (denominata “stanza delle donne”) ha restituito una grande quantità di macine, fusaiole e vasetti.Importanti resti di villaggi d’età nuragica affiorano an-che nei siti di Pantaleu, Taccu Perdedinu e Su Putzu. Quest’ultima località riveste particolare rilievo per la presenza di un centinaio di capanne intorno ad un pozzo sacro con pietre appena sbozzate e col prospet-to decorato da una protome taurina (al modo delle tombe dei giganti). Con l’esaurirsi del culto nuragico delle acque, il pozzo venne riadattato per fini pratici. Numerosi ritrovamenti (tombe dei giganti, menhir, cir-coli megalitici) sono avvenuti in località Santu Mracu e nell’area di Su Motti ove, immersi in un bosco di ro-verelle, si trovano una necropoli ipogeica (costituita da 15 domus de janas) e i nuraghi Su Motti e Salonis. Circondato da una fitta vegetazione di macchia medi-terranea ed imponenti zone boschive (con roverelle,

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NURAGHE ARRUBIU

ORROLI: ICHIESA DI SAN VINCENZO MARTIRE

SULLE TRACCE DI LAWRENCE

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querce e lecci secolari), ai piedi del monte Pizziogu, si sviluppa l’abitato di Orroli che presenta un centro storico assai interes-sante e ben conservato con antiche case recuperate. La tipolo-gia abitativa tradizionale è caratterizzata dal materiale edilizio utilizzato (pietra e ladiri) e dagli ampi cortili che si aprono sulla strada grazie a pregevoli portali ad arco. In tutte le abitazioni il portale - costruito con diversi materiali, dimensioni e cura - costi-tuiva spesso manifestazione evidente della maggiore o minore agiatezza economica e del rilievo sociale dei proprietari.

Tra le costruzioni recuperate si segnala Sa Omu Axiu, casa pa-dronale a corte con lolla, di oltre 1.200 metri quadri, apparte-nente alla famiglia Vargiu sin dal 1500. La costruzione è dispo-sta variamente su due livelli in cui il cortile, delimitato da una cinta muraria, racchiudeva la dimora del proprietario, i locali adibiti alla servitù, gli spazi per il ricovero degli animali e degli

attrezzi, nonché gli ambienti destinati alla raccolta dei prodotti della campagna. Attualmente la casa è adibita a museo etnografico e del ricamo. Nei vari ambienti che la compongono è possibile ricostruire i ge-sti e gli antichi mestieri e sentire i profumi ed i sapori tipici della civiltà contadina e pastorale del Sarcidano. A poco a poco si sco-prono i locali adibiti a deposito degli attrezzi agricoli, le stanze con i forni per la panificazione, la cantina per la conservazione dei vini, la dispensa ove sono sistemati i formaggi, i salumi e le conserve. Nel piano superiore della casa è allestito il museo del ricamo: nelle stanze da letto sono raccolti abiti, corredi e ogget-tistica appartenente alla famiglia Vargiu.Per valorizzare tale cultura è stato allestito anche un ristoran-te interno ove abili mani preparano i piatti secondo le antiche usanze. La zona ristorante si trova in una sala interna, antica-mente adibita alla macinazione dei cereali, e nell’antistante log-giato che guarda verso l’ampia corte sulla quale si affacciano

Sa Omu Axiu

8LAGO MULARGIA

SULLE TRACCE DI LAWRENCE

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tutti gli ambienti della casa. A pranzo e a cena vengono serviti antipasti a base di formaggi e salumi, paste di semola di grano duro, carni locali e selvaggina, dolci della tradizione. Il tutto viene accompagnato dal “pane di Orroli” (dalla consistenza, profumo e gusto unici) e dai corposi vini rossi. Lo sbarramento del Flumendosa ha determinato, a Orroli, un invaso particolar-mente suggestivo e funzionale alla pratica sportiva a tutti i livelli. Un secondo lago artificiale, localizzato a Sud-est di Orroli, è stato ottenuto dallo sbarramento del rio Mulargia. Il paesaggio è aspro ma, al tempo stesso, protettivo e materno.

Proseguendo il tragitto, in posizione dominante su un altipiano, troviamo Nurri: un centro dinamico che, accanto alle tradizionali attività agro-pastorali, affianca nuove iniziative industriali legate in particolare al comparto lattiero-caseario ed a quello turistico. Nel suo territorio si trovano molti nuraghi (Is Cangialis, Co-rongiu Maria, Gurti Acqua), domus de janas (specie a Su Monti e Is Fundalis) e le rovine dell’antica città romana di Biora, che ha restituito materiale di varie epoche imperiali.Da Nurri è possibile raggiungere il lago del Flumendosa. Il trenino procede lun-go la valle di Garullo e raggiunge quindi la stazione di Villanovatulo, posta ad alcuni km. dal centro abitato. Superato il lago del Flumendosa - attraversato da un lungo ponte parallelo alla strada - ci lasciamo alle spalle il Sarcidano.Ora siamo nella Barbagia di Seulo, un territorio ricco di boschi e di grotte. Il “Trenino Verde” si inerpica sulla montagna per offrire ai viaggiatori splendide inquadrature del sottostante lago. Poi, incastonata tra due gallerie, troviamo la casa cantoniera di Palarana e, poco dopo, in mezzo al verde, la fermata di Betilli posta di fronte al monte Santa Vittoria in territorio di Esterzili.Il panorama che si offre al visitatore è veramente affascinante, la natura sem-bra aver riconquistato con prepotenza i suoi spazi e regna incontrastata sugli insediamenti umani: quelli antichi, di cui restano tracce di valore inestimabile, e quelli moderni che si integrano con grande rispetto del contesto e dei valori am-bientali. In questi luoghi - che costituirono l’ultimo baluardo di una resistenza infinita verso ogni forma di omologazione e asservimento - gli uomini seguono ancora, con fierezza, i ritmi lenti della natura lungo il percorso tracciato dai padri.

Nurri

9LAGO MULARGIA

SA OMU AXIUph. Archivio GIA

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Dopo Esterzili, il paesaggio cambia rapidamente. Il treno attra-versa l’altipiano di Sadali, che presenta una vegetazione più rada. Nel territorio di Sadali si trova la grotta di Is janas, una delle più belle del Mediterraneo: un percorso affascinante fatto di grandi sale, brillanti concrezioni e preziose stalattiti. Secondo la tradizione popolare questa grotta era il luogo dove abitavano le janas, piccole fate amiche e protettrici degli uomini.L’abitato di Sadali - disposto sull’omonimo altipiano - presenta diverse fonti che alimentavano gli antichi mulini. In una delle antiche case recuperate del centro storico, Sa domu de zia Cra-mela, è stato allestito un museo delle attività locali. Interessante anche la chiesa di San Valentino ove sono state trovate sepol-ture e antiche tracce di epoca romana. Di recente il paese si è contraddistinto nell’attività di accoglienza dei turisti ai quali offre un’ottima cucina ed una genuina ospitalità.Il “Trenino Verde” procede ancora in salita, verso Seui, sopra gli 800 metri. Qui c’è la vecchia miniera di antracite di San Seba-stiano. Seui é il più grosso centro del circondario: paese dal tipi-co aspetto montano, è situato in una bella posizione soleggiata sul pendio del Pitzu ‘e Serra dominante la vallata di S’Isca. Nel centro storico si trova il Museo della civiltà contadina e delle atti-vità pastorali e minerarie locali ed un carcere di epoca spagnola. Interessanti anche il museo ecclesiastico, ove sono esposti arre-di sacri, e la pinacoteca nel Palazzo Comunale.

Il territorio di Seui rappresenta il luogo ideale per gli appas-sionati di trekking, con sentieri designati sotto strapiombi e accerchiati da boschi secolari di querce e castagni da dove si scorgono dei panorami mozzafiato. È tutto un susseguirsi di verdissimi boschi silenziosi, alberi secolari di lecci e querce, sottobosco di macchia mediterranea. Un’ampia varietà di ani-mali selvatici popolano questo territorio, ricco di piccole sor-genti di acque purissime, che nasconde anche innumerevoli testimonianze archeologiche. Tra i luoghi di escursioni si se-gnalano la foresta Montarbu e la suggestiva punta Perda Lia-na (mt. 1293). Dalla stazione ferroviaria di Seui inizia il tratto che accarezza la catena montuosa del Gennargentu che viene superata con lunghe gallerie e arditi ponti (tra cui si segnala quello sul rio San Gerolamo provvisto di una travata metallica sorpresa ad un’altezza di 40 metri). Quindi si giunge ad un’al-tra fermata: la stazione di Niala. Il “Trenino Verde” procede in quota nel più fitto verde dell’Ogliastra sino a giungere alla sta-zione di Ussassai e poi, dopo aver attraversato la valle di Taqui-sara, alla stazione di Gairo. Superate altre gallerie, in territorio di Villagrande, si scorge maestoso il lago dell’Alto Flumendosa. Quindi, procedendo al lato del rio Siccaderba, si raggiunge la stazione di Arzana.

Sadali e Seui

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Da queste montagne, in lontananza si intra-vede il mare che lambisce la costa ogliastri-na. Ora si scende rapidamente di quota sino alla stazione di Lanusei. Situato in posizio-ne baricentrica nella regione dell’Ogliastra, Lanusei è il centro più importante dell’area e sede vescovile. L’abitato - circondato da vigne, campi coltivati e boschi secolari di castagni, noci e querce - si apre come una grande finestra sui monti e sul mare.Assai interessante il Museo diocesano che custodisce reperti storici rinvenuti nella zona, dove la civiltà nuragica e quella prenu-ragica hanno lasciato molte tracce (in parti-colare nel bosco Selene). Lanusei fu impor-tante centro romano. Nelle sue campagne sono stati trovati reperti rari e preziosi (mo-nili, pietre originali, monete, ecc.).Proseguendo in discesa, si attraversa Elini da qui si procede fino a Tortolì, vivace citta-dina dell’Ogliastra distante alcuni chilometri dal mare. Tortolì è il centro più popoloso dell’Ogliastra. L’origine nuragica di questo centro è confermata non solo dai resti di sette nuraghi esistenti nell’agro comunale ma dai vari reperti disseminati soprattutto nella zona di Orrì ove sono stati individuati alcuni complessi prenuragici (domus de ja-nas e menhirs) e nuragici.Tortolì, insieme alla frazione marina di Ar-batax, occupa un posto di rilievo per quanto riguarda il turismo. Presso il porto di Arbatax si possono ammirare le famose rocce ros-se. Incantevoli i paesaggi di Cala Bellavista, Cala Moresca, Lido di Orrì e della spiaggia di San Gemiliano.Oggi si parla tanto dell’esigenza di allunga-re la stagione turistica dell’isola: riteniamo che, in tale prospettiva, il “Trenino Verde” possa rappresentare un importante tassello di questa politica anche perché è a dispo-sizione tutto l’anno, benché i periodi più ri-chiesti siano la primavera e l’autunno.

Lanusei, Tortolì,Arbatax

Arbatax, Rocce Rosseph. Sarah Pinson

SULLE TRACCE DI LAWRENCE

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TRA LAGHI E NURAGHI

Il Trenino Verde corre tra il verde delle montagne e delle colline e il blu delle acque dei laghi Flumendosa, Mulargia e Is Barroccus, dove sorgono paesi antichi come la terra, in cui le meraviglie della natura si sposano con la storia. Sono i comuni del Consorzio Laghi & Nuraghi (Esterzili, Goni, Isili,

Seulo, VillanovaTulo, Serri, Orroli, Nurri, Sadali, Nurallao e Siur-gus Donigala), nato a metà degli anni Novanta per promuovere uno straordinario patrimonio paesaggistico, fatto di laghi cristal-lini e altipiani, valli e foreste incontaminate in cui si ergono ma-estosi i resti dell’epoca nuragica. Fiumi e laghi incastonati tra le verdi colline, profumate di cisto, lavanda, margherite di campo e macchia mediterranea. Un incanto creato dalla natura e dalla mano dell’uomo, quando negli anni Cinquanta vennero realizza-ti due sbarramenti, uno sul Flumendosa e uno sul rio Mulargia, da cui nacquero questi laghi.Due linee delle nostre antiche ferrovie toccano questi luoghi af-fascinanti, quella che da Mandas attraversa il cuore dell’isola

I VAGONI COME MACCHINE DEL TEMPO

fino a Sorgono e quella che dalle acque di questi laghi arriva a quelle del mare d’Ogliastra. Proprio a Mandas, dove ebbe inizio il famoso viaggio di D. H. Lawrence, si trova il parco fer-roviario a lui dedicato.I vagoni come macchine del tempo ci riportano alla civiltà pro-tosarda delle tombe dei giganti e delle domus de janas, come nell’area archeologica di Aiodda a Nurallao, in cui sono stati rinvenuti alcuni tronconi di stele figurate, o nel parco di “Su Motti” a Orroli, dove in mezzo al boschetto di roverelle si può ammirare una necropoli che conta una quindicina di ipogei. È questo il panorama che incanta chi si affaccia alle finestre delle tipiche dimore dei pastori sulle pendici dell’antico vulca-no Pizziogu, oggi trasformate nel Villaggio Antichi Ovili: dimore semplici di pietra e fango che offrono ai visitatori un soggiorno intimo, a stretto contato con la magia di questi luoghi.Scorrono nei finestrini i profili dei nuraghi: dal complesso di “Su Angiu” a Mandas, dove fu ritrovata una navicella votiva in

ph. Enrico Murru Massa

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TRA LAGHI E NURAGHI

I VAGONI COME MACCHINE DEL TEMPO

bronzo oggi esposta al Museo Archeologico da Cagliari, al più imponente complesso nuragico dell’isola, “Nuraghe Arrubiu”, nei pressi di Orroli, che deve il suo nome al colore assunto dal basalto ricoperto di licheni. È l’unico nuraghe pentalobato conosciuto fin ora, datato XIV secolo a.C. grazie a un “alaba-stron”, un vasetto di terracotta giunto dal Peloponneso mentre si completava la costruzione del monumento. E poi il Tempio di “Domu ‘e Urxia”a Esterzili, il più grande tempio a megaron nuragico dell’isola, il cui nome secondo la leggenda derivereb-be da quello della maga che vi custodiva due vasi, uno pieno d’oro e l’altro pieno di mosche assassine, il Nuraghe bianco di “Is Paras” a Isili, uno tra i meglio conservati della zona, e i nuraghi di Santu Mllanu e Valenza a Nuragus, che con il pozzo sacro di Coni formano, forse non casualmente, un triangolo di monumenti. Dal pozzo, luogo destinato al culto delle acque, proviene la statuetta bronzea raffigurante una figura femminile con la gonna svasata nota come la “Matriarca in preghiera”.Ma si può andare ancora più indietro, alle prime forme di vita apparse sul pianeta, quando si visita il sito di Peinconi, vicino al paese di Goni, in cui si trova un banco di scisto nero con numerosissime tracce di graptoliti fossili, che risalgono a circa 450 milioni di anni fa e sono presenti in pochissimi luoghi al mondo.L’antico culto delle acque è testimoniato da altri pozzi sacri e dai templi, tra cui spicca il Santuario Federale Nuragico di Santa Vittoria a Serri, uno tra i più importanti della Sardegna per la sua estensione e la quantità di edifici: un Tempio a poz-zo, un Tempio in antis, il recinto delle feste e quello dell’ascia

bipenne, che conservano ancora intatta buona parte della loro struttura. Culture che si sovrappongono nel corso della storia e i cui resti oggi convivono: all’estremità del santuario sorge la chiesetta di Santa Maria della Vittoria, costruita durante il pe-riodo bizantino per rappresentare il trionfo della cristianità sul mondo pagano.Il treno ci porta ad ammirare chiese che hanno sfidato il tem-po, come la parrocchiale di San Valentino a Sadali, risalente al periodo tardo bizantino, in cui risuona il rumore eterno della Ca-scata, l’unica in Europa all’interno di un centro abitato. Mulini, sorgenti e inghiottitoi naturali caratterizzano questo paese, in cui è possibile passeggiare romanticamente tra le bellezze della natura e le tipiche botteghe degli artigiani.Il viaggio riprende verso altre antiche chiese come quella della Beata Vergine a Seulo del XVI secolo, quelle di Santa Cecilia e della Vergine delle Grazie a Escolca, e la chiesetta campestre di Santa Lucia a Serri, che ha dato il nome a un antico e importante appuntamento fieristico: si racconta infatti che nei pressi della chiesa si riunissero spontaneamente i mercanti di bestiame fin-ché ai primi del Novecento l’amministrazione comunale deliberò l’istituzione della Fiera Zootecnica. Oggi la Fiera di Santa Lucia è diventata una vetrina per i prodotti enogastronomici e artigianali per la promozione turistica e culturale di questo territorio.Binari che hanno unito paesi prima lontani, permettendo a tutti di viaggiare e agevolando il commercio dei prodotti della terra. Persino le case di questi paesi parlano della loro storia, come quelle di Isili dall’architettura tipica dei paesi ad economia agri-cola con ampi cortili a cui si accede da grandi portali costruiti

ESCOLCAph. archivio GIA

ISILI: NURAGHE IS PARAS

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ad arco, che in passato servivano per favorire l’ingresso delle attrezzature agricole all’interno delle “cortes”. Una storia rac-contata anche dagli utensili agricoli che inizia dall’età nuragica, con la “Stanza delle donne” di “Nuraghe Arrubiu”, un luogo di raccolta di oggetti di uso domestico quotidiano come macine, fusaiole e vasi di vario genere e dimensione, per arrivare al Mu-seo Comunale etnografico “Is Lollasa ‘e is Aiaiusu” (Le stanze dei nonni), che riproduce gli ambienti della vita rurale quotidia-na dei secoli scorsi, e alla casa-museo “Omu Axiu” (casa Vargiu) a Orroli, in cui sono esposti gli antichi oggetti della tradizione contadina. Radici ben salde, tradizioni che vengono conservate gelosamente e che si assaporano nei prodotti tipici locali, come i famosi formaggi di Nurri, “Su Crispesu” di Orroli, la scultura di pane che veniva donata agli sposi, il corposo vino di Seulo, l’olio extra vergine di Escolca e quello prodotto a Gerrei dalle olive Mallocrìa, gli arrosti di carne e i primi piatti a base di fregola, malloreddus e ravioli.Tradizioni che si tramandano e prendono vita nelle feste, come quella in onore di San Biagio a Gerrei, durante la quale i bambi-ni del paese portano in chiesa per la benedizione un grappolo di frutti chiamato “su sessineddu”, dal nome dell’erba palustre (“su sessini”) con cui questi frutti sono legati insieme.Il Trenino corre su ponti a strapiombo sui laghi in queste terre ancora selvagge, fortemente legate all’acqua che le ha plasma-te. Ha levigato e scavato inghiottitoi, doline e grotte, teatri di leggende millenarie come quella di “Is Janas”, la “grotta delle streghe”, immersa in un bosco alla periferia di Sadali. Si narra infatti che tre streghe vi avessero trovato riparo da un incendio

che stava devastando il bosco e che lì avessero deciso di vive-re, preparando dolciumi per soddisfare la loro golosità. Senza che le tre streghe se ne rendessero conto iniziò la Quaresima e, mentre ridevano e mangiavano frittelle, all’imboccatura del-la grotta passò un prete che, sentendo le loro risate, entrò e le vide mangiare dolci. Il suo rimprovero suscitò l’ira delle tre, che lo picchiarono selvaggiamente fino ad ucciderlo. Al-lora Dio per punirle le trasformò in pietra e ancora giacciono dentro la grotta, a ricordare la loro storia a tutti i visitatori. Si tratta di tre grandi stalagmiti, che insieme alle altre concrezio-ni di varia forma, costituiscono la particolare attrattiva delle escursioni organizzate dal Janas Village, l’hotel che sorge nei pressi della grotta.Un sapore antico hanno anche le gite in battello sui laghi, in cui si specchiano i paesi di Nurri, Villanova Tulo e Siurgus Do-nigala. Le imbarcazioni in stile Mississipi, con le loro suggesti-ve ruote a pala, scivolano sulle acque brillanti di questi laghi incastonati tra i monti, offrendo lo spettacolo di un paesaggio davvero particolare. Ma c’è spazio anche per lo sport, dalla canoa al free-climbing, dalla pesca sportiva all’equitazione: l’offerta dei centri specializzati della zona, come il Centro Nautico Hotel Istellas di Nurri, è davvero ampia. E mentre qualcuno si allena con la canoa e qualcun’altro prepara la barca per divertirsi con lo sci d’acqua, chi ama il relax può godere del sole sdraiato sulla riva.Vale la pena di lasciarsi trasportare in questo angolo di Sar-degna dove la natura e l’uomo hanno plasmato panorami che non conoscono eguali.

LAGO MULARGIAph. Enrico Murru Massa

I VAGONI COME MACCHINE DEL TEMPO

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GERGEIph. Maurizio Artizzu

MANDASph. archivio GIA

I VAGONI COME MACCHINE DEL TEMPO

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Sport, relax, cultura e tanto verde: questi gli ingredienti che caratterizzano l’area dei due “laghi dorati”, il Mu-largia e il Flumendosa, sorti negli anni Cinquanta dagli sbarramenti dei fiumi omonimi. E “dorati” è l’aggettivo

attribuitogli per via degli onerosi sacrifici tanto economici quanto culturali, derivanti dalla loro creazione, data la vastità degli spazi sottratti alle due attività cardine del sistema economico locale, l’agricoltura e la pastorizia.

Al contempo, non sono da trascurare i progetti di altrettanto pre-gio che intorno alla loro valorizzazione stanno sorgendo. Dagli anni Novanta infatti le amministrazioni dei due laghi hanno co-minciato a vedere in essi possibilità di crescita anche per i co-muni del Sarcidano e della Barbagia di Seulo: da qui l’origine del Consorzio dei laghi, sorto dall’unione di soggetti pubblici e privati accomunati dall’obiettivo di stimolare una nuova idea di turismo in questi territori.

L’INCANTO DI UN VIAGGIO ATTRAVERSO LUOGHI INESPLORATI

TRA REMI E SILENZI

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L’INCANTO DI UN VIAGGIO ATTRAVERSO LUOGHI INESPLORATI

TRA REMI E SILENZIUn’ottima opportunità per far sì che l’economia di queste zone si possa rinforzare con un maggior sviluppo dell’edilizia e del terzia-rio, e alimentare la speranza d’integrazione del reddito finalizzata a bloccare, o almeno arginare, il fenomeno dello spopolamento.Le strutture ricettive che il Consorzio ha generato e incentivato hanno iniziato il loro percorso di produttività: una rete che lavora compatta condividendo gli obiettivi di sviluppo e di conservazio-ne della propria identità culturale e ambientale.

Anche la presenza dei due battelli rientra perfettamente nel qua-dro della valorizzazione di questa cornice storico- paesaggistico che tutti i comuni con impegno hanno tutelato dagli incendi, dall’inquinamento e dal degrado.Da non trascurare, inoltre, il peso che i due laghi rivestono anche a livello di incontro agonistico e sportivo in genere, visto che da anni ormai nel Mulargia si svolgono le gare di canotaggio per le qualificazioni dei campionati italiani, e dai paesi nordici arrivano

ph. Marcheselli

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LAGO MULARGIAph. Maurizio Artizzu

L’INCANTO DI UN VIAGGIO ATTRAVERSO LUOGHI INESPLORATI

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pressanti richieste per la creazione di strutture d’accoglienza e la creazione di un campo di canotaggio dove gli atleti, benefician-do del clima sempre mite, possano svernare e mantenere l’alle-namento costante. A questo sviluppo sono interessati tutti i co-muni del Sarcidano e delle Barbagia di Seulo e soprattutto quelli del Consorzio dei laghi, che conta ben dodici presenze. I comuni che compongono il Consorzio sono Orroli, Nurri, Esterzili, Sadali, Seulo, Villanovatulo, Nurallao, Isili, Serri, Siurgus Donigala, Goni, la Comunità Montana n. 20: ad esso hanno infatti aderito tutti i comuni che, sebbene non siano direttamente interessati dalla presenza dei due laghi, sul loro territorio credono nella rete che lavora per lo sviluppo dell’ambiente e si auspica che tutti i comu-ni del Sarcidano e della Barbagia di Seulo vogliano prenderne parte per costruire insieme un’offerta turistica che vada dalle

attività all’aria aperta come trekking, pesca, canotaggio all’inte-resse per i numerosissimi siti archeologici. A tal proposito, per potenziare la rete turistica esistente, il Co-mune di Orroli, il Consorzio dei laghi, l’Enas (Ente Acque della Sardegna) hanno presentato alla Regione un progetto finalizzato a collegare il Nuraghe Arrubiu con la diga del Flumendosa e a far sì che i fabbricati dell’ex Ente Autonomo del Flumendosa vicini alla diga diventino una sorta di percorso didattico per le scuole di ogni grado e livello o per tutti i visitatori che volessero ammirare queste bellezze incontaminate.In prossimità della diga è prevista la realizzazione di un approdo per il battello che può trasportare le persone verso la struttura alberghiera Is Stellas (Nurri), verso Villanovatulo, Esterzili, oppu-re con il trenino verde verso Nurri, Orroli, Mandas.

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TRA REMI E SILENZI

L’INCANTO DI UN VIAGGIO ATTRAVERSO LUOGHI INESPLORATI

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Il viaggio sul Trenino Verde parte da Mandas: in questo pa-ese al confine tra Campidano e Barbagia gli antichi binari della ferrovia sarda si biforcavano, andando ad ovest in di-rezione di Sorgono e ad est verso Tortolì. Proprio a Mandas

iniziò il viaggio dello scrittore inglese D. H. Lawrence, che nel 1921 percorse in treno i Km che separano questo importante centro della Trexenta dal cuore dell’Isola. Oggi è possibile rivive-re la sua esperienza nelle pagine del libro “See and Sardinia” e sulle carrozze antiche, che ancora corrono su quei tratti di linea a scartamento ridotto rendendoli ancora più suggestivi. Ma a Mandas vale la pena di fermarsi per il suo valore archeologico e paesaggistico. Intorno al paese sorgono infatti 40 nuraghi, tra i quali il complesso di “Su Angiu” è il più imponente: qui venne ritrovata la navicella di bronzo esposta al Museo Archeologico di Cagliari. Alla stessa epoca risale anche la tomba dei giganti di “Sa Ruina de su Procu”. Prima di salire sul Trenino perché non visitare anche il parco di “Acqua Bona”, una delle tante bellezze

naturali di questa zona sulla sponda nord-orientale del lago Mu-largia, dove all’interno all’interno delle numerose gole scorrono ruscelli dalle acque limpidissime? Per chi fosse più interessato alla storia agropastorale del paese, c’è poi il Museo Comunale Etnografico “Is Lollasa ‘e is Aiaiusu”, dove si può tornare alla vita quotidiana delle campagne nei secoli scorsi, passeggiando comodamente tra le camere di due case contadine tipiche.

Ripercorriamo allora il viaggio di Lawrence: la prima stazione che si incontra è quella di Isili, paese che da un altipiano domi-na le estese valli e colline che lo circondano. Il suo nome, se-condo l’autore greco Pausania (II sec. d.C.) deriva da “Ilienses”, l’antica popolazione greca che vi si stabilì dopo la distruzione di Troia. In effetti le origini del paese sono molto antiche: le nume-rose “domus de janas” raccontano una storia che risale al Neo-

TRA ACQUE E NURAGHIL’IDENTITÀ SARDA

DA ISILI A SORGONO

di Lorelyse Pinna

Panoramica di Isiliph. Bruno Atzori

Isili

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litico e a pochi metri dalla ferrovia si trova il nuraghe bianco di “Is Paras”, uno tra i meglio conservati del territorio. Le stesse case di Isili hanno un valore storico. La loro architet-tura è infatti quella tipica dei paesi ad economia agricola con ampi cortili a cui si accede da grandi portali costruiti ad arco, che in passato servivano per favorire l’ingresso delle attrezzature agricole all’interno delle “cortes”. Molto inte-ressante è anche il Museo del Rame e del Tessuto che vi ha sede. E per chi fosse appassionato di cultura e tradizioni isolane è consigliata la visita del paese a giugno, quando si anima con musica e balli in costume tradizionale per la festa si San Giovanni Battista.

La stazione successiva è quella di Nurallao, che si trova in una posizione panoramica sul paese. Il suo territorio è mol-

TRA ACQUE E NURAGHIL’IDENTITÀ SARDA

DA ISILI A SORGONO

NurallaoNurallao, cascata Su Craddaxoleddu

ph. Archivio Turistico Sa Perda’e Iddocca

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to ricco dal punto di vista archeologico: vi si trovano diversi nu-raghi, un importante tempio a pozzo e poco distante, in località Aiodda, è possibile visitare un’area archeologica con una tomba dei giganti e una serie di menhir. Molto suggestivi anche i pae-saggi del parco “Funtana Is Arinus”, a nord del paese, dove tra boschi di querce, lecci e sughere, scorrono torrenti che formano cascate alte anche 20 metri. Il parco è teatro di alcune delle fe-ste principali del calendario di Nurallao: nel periodo di Pasqua la sagra “Is Tallarinus Nuraddesusu”, durante la quale viene offerto ai visitatori il famoso piatto tipico locale, e poco dopo, a maggio, la festa di Sant’Isidoro, patrono dei contadini, e la sagra della pecora. Altro evento di notevole richiamo è la Fiera Regionale della Musica, organizzata ogni terzo fine settimana di settembre per far conoscere o riscoprire il fascino della musica tradizionale sarda, accompagnata dalle degustazioni enogastronomiche.

Arrivati a Laconi si viene subito colpiti dalle rovine del Castel-lo di Aymerich, che sorgono immerse in un parco al centro del paese. Realizzato nella prima metà dell’Ottocento dall’architetto Gaetano Cima, il castello racchiude alcune parti più antiche: una torre che risale al 1053, una sala del XV secolo e un portale del Seicento. Particolare anche la roccia che circonda questo pic-colo centro abitato al confine tra Mandrolisai e Barbagia, il cui nome sembra derivare proprio dal vocabolo locale “locane”, che significa appunto “confine”. Laconi vanta anche due musei, uno dedicato a Sant’Ignazio, a cui diede i natali nel 1701, allestito vicino alla parrocchiale cinquecentesca, il secondo è il Museo Civico, dove sono raccolte molte statue menhir in vario stato e di varie epoche, ospitato dal palazzo comunale.

La quarta tappa del viaggio è Meana Sardo, centro situato in posizione panoramica sotto il monte Sant’Elia, tra le montagne della Barbagia e le colline del Mandrilisai e del Sarcidano. Tra le case emergono i 30 metri della torre campanaria della chiesa di San Bartolomeo, edificata nel XVI secolo su un impianto più antico, di cui si hanno notizie nelle “Ratio Decimarum Sardi-niae” del 1321. Durante la festa patronale di San Bartolomeo, il 24 agosto, è possibile ammirare la musica, gli abiti e le dan-ze tradizionali del paese. Numerosi i reperti di epoca nuragica, tra i quali spiccano il “Nuraghe Nolza”, famoso per la pianta quadrilobata simile a quella di “Su Nuraxi” a Barumini., e il “Nu-

raghe Maria Incantada”. Presenti anche testimonianze di epo-ca romana e bizantina, come la fonte nella località di Polcilis e le tombe di “S’enna sa Pira” e “Laldà”. Ogni anno a giugno il paese si anima per la famosa sagra del formaggio, durante la quale si possono assaporare l’ottimo pecorino sardo e i diversi formaggi preparati secondo le più antiche tradizioni locali.

La fermata successiva di Belvì-Aritzo segna l’inizio delle monta-gne della Barbagia. Il primo sorge sulla costa del monte “Genna de Crobu”, circondato di boschi di ciliegi, noccioli, noci, casta-gni, roveri, lecci e agrifogli. Questo piccolo centro, in passato considerato uno dei più importanti della zona, tanto da dare il nome a questa parte di Barbagia chiamata ancora oggi “di Bel-vì”, si sottomise tardi all’egemonia dei feudatari: fino al 1700 il

Laconi

Meana Sardo

Belvì-Aritzo

Laconi, Museo della Statuariaph. Archivio Museo della Statuaria

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TRA ACQUE E NURAGHIL’IDENTITÀ SARDA

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ph. Archivio Turistico Sa Perda’e Iddocca

Meana Sardo, Sa Mola

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suo governo venne affidato a rappresentante scelto tra i capofa-miglia. Ospita il Museo di Scienze Naturali e Archeologia, sorto una quindicina d’anni fa per iniziativa di un gruppo di appassio-nati, tra cui un naturalista tedesco, vissuto per quasi dieci anni in paese.Aritzo è il centro di villeggiatura in montagna più conosciuto dell’Isola: da qui partono le gite verso il Gennargentu e l’alta val-le del Rio Flumendosa, dove è possibile praticare la canoa. An-che questo paese mantenne a lungo la propria indipendenza per mezzo del privilegio, concessogli dai governi aragonese e spa-gnolo, di essere amministrato da persone del luogo scelte dalla popolazione stessa. Sopravvivono ancora alcune costruzioni di indiscusso valore architettonico e storico, come la Casa degli Arangino, di forme neogotiche, e la cosiddetta ‘’Prigione di Arit-zo’’, imponente edificio seicentesco in pietra. Molte delle case conservano inoltre la facciata in pietra e i lunghi balconi tradizio-nali. Famoso in passato per il commercio della neve, mantiene viva ancora oggi la vocazione artigianale dei mobili in legno, le ‘’cascie’’ nuziali intagliate.

I binari proseguono tra i monti per fermarsi alla stazione di To-nara-Desulo. Il paese di Tonara è sorto alle pendici del Monte Mungianeddu dai suoi tre antichi rioni: Arasulè, Teliseri e Toneri.

Probabilmente il nome dell’ultimo quartiere e quello del pa-ese derivano dalla parola sarda “toneri”, che indica i torrioni calcarei presenti nella zona. È famoso per la produzione di torrone, la cui Sagra, il giorno di Pasquetta, richiama nume-rosi visitatori, dei campanacci per il bestiame e dei tappeti. Si può osservare il lavoro dei mastri ferrai e degli artigiani dei tappeti durante le sagre e nelle loro botteghe, dove ven-gono ancora prodotti secondo le antiche tradizioni locali. All’interno del paese si possono visitare l’antica Casa Porru, che un tempo alloggiava le carceri e la Fonte di Galusè, da cui sgorgano, insieme all’acqua, tanti aneddoti e leggende millenarie.Desulo si trova sul lato occidentale del Gennargentu ed è anch’esso composto di tre antichi rioni: Ovolaccio, Issiria e Asuai, un tempo collegati da piccoli sentieri, ora invece uniti dalle nuove case sorte lungo la strada principale. Ognuno di questi ha mantenuto una propria identità e la manifesta or-gogliosamente durante le sagre e le feste paesane. Una leg-genda vuole che le antiche origini del paese siano legate alla parola “exul”, l’“esilio” degli abitanti di Calmedia, oggi Bosa, fuggiti dalle persecuzioni dei Goti nel IV secolo d.C. Qui an-cora oggi molte donne indossano il costume tradizionale di orbace, decorato con ricami di colori vivaci. La bellezza della tradizione convive a Desulo con le bellezze naturali della val-lata coperta di boschi di lecci e castagni e ricca di sorgenti.

Tonara-Desulo

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Ed eccoci giunti al capolinea del viaggio di Lawrence: la stazione di Sorgono, capoluogo del Mandrolisai le cui origini si perdono nel tempo, risalendo addirittu-ra all’epoca prenuragica. Agli appassionati di arche-ologia si consiglia la visita al sito di “Biru’e Concas”, tra i più suggestivi raggruppamenti di menhir di tut-ta la Sardegna. Il paese conserva inoltre i ruderi di un palazzotto seicentesco, Casa Carta, di una fonte pisana e, allontanandosi un poco dal centro abitato, si può ammirare uno dei santuari campestri più anti-chi dell’Isola: la chiesa di San Mauro, circondata dal tradizionale recinto delle “cumbessias”, gli edifici in cui riposavano i pellegrini, le cui iscrizioni si leggono ancora sulle pietre della chiesa. In questo territorio le testimonianze del passato hanno come sfondo una natura incontaminata, dove è ancora possibile vedere mufloni, volpi, cinghiali e donnole aggirarsi tra i lecci e i castagni, sotto lo sguardo di aquile reali e falchi pellegrini.

Sorgono

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IN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLA STORIA DELL’ISOLALawrence e MandasUn paese per il Trenino Verde

Mandas e Lawrence: un binomio per un Trenino. Da quel gennaio 1921, quando lo scrittore inglese David Herbert Lawrence giunse a Mandas a bordo di una delle carrozze, marca “Baucchiero”, il paese ha tro-

vato una sua bella definizione nelle pagine del libro “Sea and Sar-dinia”. Un viaggio raccontato da Lawrence giocato su due elemen-ti: il viaggio e la conoscenza di una Sardegna particolare: quella dell’interno. Lawrence proprio a Mandas regala un capitolo che fotografa una realtà allora pioneristica: quella del treno a vapore. Da poco più di trent’anni si era imposto come mezzo di trasporto in un territorio dove ancora in tanti privilegiavano il cavallo e le automobili erano ancora lusso per pochi.La Mandas di allora per Lawrence è un paese dai mille volti. Dall’emozione del mattino quando, appena sveglio, esclama che gli sembrava di essere nella sua Cornovaglia o nelle colline del Derbyshire, passa alle riflessioni della moglie Frieda che “quasi quasi resterebbe a viverci”. In quella permanenza di poche ore lo scrittore scruta, analizza e racconta un paese che, dopo quasi un secolo, vuole ripartire anche da Lawrence per raccontarsi e proporsi nel più ampio panorama turistico regionale ed internazio-nale. L’amministrazione comunale, proprio in questa direzione, ha lavorato e sta lavorando tanto. Se il primo impulso, sul piano cul-turale, è stato quello di avviare un ambizioso progetto con il Parco ferroviario-letterario dedicato proprio a D.H. Lawrence, oggi l’at-tenzione è riposta su una serie di interventi ed investimenti di alto livello. Fra questi il finanziamento, per quasi 1 milione e 800mila euro, del’acquisizione e restauro conservativo delle vecchie case dei ferrovieri. Proprio quelle descritte da Lawrence e che, oggi, il Comune ha voluto salvare dall’oblio acquistandole e rendendole

funzionali ad ospitare ben 18 famiglie, fra cui la maggior parte proprio ferrovieri. Non meno ambizioso è il progetto di realizza-zione del parco Lawrence consistente nel restauro della vec-chia locanda dove soggiornò lo scrittore (e che sarà appunto chiamata “Locanda Lawrence”), la realizzazione di un moderno ristorante a forma di vagone ferroviario ed il potenziamento di servizi di supporto attraverso il rifacimento dello stadio comu-nale, di campi polivalenti e di parcheggi. Il tutto in un raccor-do funzionale tra l’abitato, l’area della stazione e l’adiacente parco ambientale detto dell’Acquabona. Quasi cinque milioni di euro di investimento che si integra con gli sforzi della regione Sardegna e dell’Arst che, dopo aver rinnovato e potenziato la linea, puntano oggi al rinnovo del parco locomotive, all’acquisto di carrozze panoramiche e quindi ad un trenino che guarda al futuro, leggendo il passato. Una sfida nella sfida quindi che va giocata con una sinergia rinnovata dove il territorio e i comuni dell’interno devono giocare la loro sfida: un fronte unito che deve puntare a ribadire un concetto: solo con investimenti mi-rati e programmati si può disegnare una nuova Sardegna. Una nuova idea di turismo dove anche Lawrence con il suo viaggio da Cagliari per Mandas e quindi per Sorgono può dire la sua. Un progetto a cavallo tra storia e cultura, passando per l’am-biente ed il paesaggio. Fotografia che si può cogliere nell’altra tratta: quella per Arbatax. Ma per fare tutto questo occorre che la politica regionale e la burocrazia sappiano adottare una nuo-va marcia per evitare l’oblio e, soprattutto, il degrado attuale fatto di stazione abbandonate, cantoniere in rovina.Da Mandas parte una nuova sfida: per un rilancio turistico, in grande stile, a bordo del Trenino Verde della Sardegna.

di Umberto Oppus

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i sardi nelle relazionie nei trafficinel mediterraneoantico

Per ricostruire lo sviluppo delle relazioni tra la cultura dei sardi e quella degli altri popoli che si affacciano nel bacino del Mediterraneo, sia esso orientale che occi-dentale, purtroppo, possiamo fare affidamento su fon-

ti storiche assai scarne. Per fortuna esiste una vasta documen-

tazione archeologica. Le fonti archeologiche vengono considerate “fonti mute” ma sono indispensabili per ricostruire il contesto in cui determinati fenomeni si sono sviluppati.Grazie ai ritrovamenti archeologici può affermarsi che i sardi e la loro organizzazione erano in stretto rapporto con tutte le civiltà

IN VIAGGIO ALLA SCOPERTA DELLA STORIA DELL’ISOLA

di Lucio Deriu

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LAS PLASSAS ph. Sarah Pinson

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del Mediterraneo ed anche col mondo etrusco. Le relazioni si instaurano dapprima direttamente con le città dell’Etruria set-tentrionale (come Vetulonia e Populonia) e poi - dopo lo stan-ziamento degli empori commerciali fenici sulle coste dell’Isola - vengono mediati attraverso questi centri: Tharros, Othoca e Neapolis nel golfo di Oristano; Sulci, Bithia e Nora nella parte più meridionale della Sardegna. Col passare degli anni si instaurano rapporti preferenziali con le città di Vulci, Tarquinia e Cerveteri.Con la fine dell’età arcaica, tra i primi decenni del VI e il V se-colo a C., la Sardegna è oramai ridotta a provincia dell’impero cartaginese e, come efficacemente ha affermato l’archeologo Carlo Tronchetti, “i sardi non sono che una delle tante compo-nenti di questo impero, senza originalità e autonomia politica e culturale”.Dobbiamo pertanto fare un salto indietro nel tempo per accor-gerci quanto la Sardegna sia stata immersa nei circuiti commer-ciali mediterranei: ciò è dovuto alla sua particolare posizione ge-ografica ed alla ricca e frastagliata articolazione delle sue coste, ad eccezione di quelle orientali dove esistono pochi punti favo-revoli all’approdo. Tutto ciò ha fatto sì che l’Isola fosse, sin dalla più remota antichità, un punto di passaggio, d’incontro e anche di rielaborazione autonoma di correnti culturali provenienti dalle

diverse regioni circostanti. La Sardegna era dunque in costante rapporto con altri popoli e non costituiva una realtà separata a sé stante: faceva parte di un più grande bacino culturale ce-mentato attraverso gli scambi di tutti quegli elementi - non solo di cultura materiale - che ora ci permettono di tracciarne meglio i caratteri.Nel neolitico medio (IV millennio a C.) troviamo raffinate cerami-che a superficie bruna e lucida, spesso decorata con incisioni, talora con rilievi, che trovano riscontro nelle coeve produzioni del Mezzogiorno francese così come spiccano le statuette in pietra, le cosiddette “dee madri”, che hanno riferimenti stilistici nelle similari produzioni del Mediterraneo orientale.Il neolitico recente, che inizia alla fine del IV millennio, vede la massiccia presenza della cosiddetta Cultura di San Michele di Ozieri con la sua prestigiosa ceramica che richiama forme e mo-tivi decorativi egeo-orientali (come spirali, festoni, triangoli) e le stilizzazioni di figure umane singole e a gruppi, con riferimenti che vanno da Creta alle isole Cicladi.Tra gli orizzonti culturali che si pongono nella nostra Isola fra la metà del terzo e gli inizi del secondo millennio a C. vi sono le cosiddette facies di Monte Claro e quella definita Campaniforme che prende il nome dalla forma a campana del suo vaso più

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caratteristico. I popoli di tale periodo, definiti spesso come “gli zin-gari della preistoria”, si spostano per tut-ta l’Europa in piccoli gruppi isolati. Arrivano in Sardegna in tempi diversi ed occupano in prevalenza i territori della costa occidenta-le, convivendo pacifi-camente a fianco delle popolazioni indigene.Alla soglie di quella che sarà la fase più importante per la cul-tura della nostra Isola a partire dalla fine del bronzo medio (1800 – 1700 a C.) assistia-mo alla nascita dei nuraghi, prima attra-verso costruzioni più rudimentali, definite protonuraghi e pseu-donuraghi, per finire con forme più evolute come le strutture me-galitiche dei nuraghi maggiori che ancora punteggiano il territo-rio dell’intera Sarde-gna.

Questa fase potremmo sicuramente definirla come “autoctona”. In ambito egeo assistiamo alla costruzione di strutture definite a “tholos” per molti versi architettonicamente consimili alle nostre nel posizionamento dei filari litici che costituiscono la sua erezio-ne. Peraltro tali strutture venivano utilizzate esclusivamente in ambito di un megalitismo funerario ad appannaggio delle classi regnanti.E’ soprattutto in questa fase che i nuragici (così verranno definiti i costruttori di queste possenti torri) entrano in stretto contatto con altre popolazioni mediterranee, stanziate sia a oriente che a occidente dell’Isola. L’incontro con i popoli di area egea avviene al-meno a partire dal quindicesimo secolo a C.; essi sono apportatori di strumenti e nuove tecniche per la lavorazione dei metalli. Nello stesso periodo si intrecciano le relazioni con le isole Eolie e, come già accennato, con l’area tirrenica villanoviana che sfocerà nella splendida civiltà etrusca che ci ha tramandato interessanti reperti come i piccoli bronzetti e altri manufatti tra cui quelli defini-ti “faretrine votive”. In Sardegna i materiali provenienti dalla Peni-sola sono abbondanti: abbiamo armi, strumenti, oggetti metallici e soprattutto fibule. Particolare rilevanza assumono i ritrovamenti di tali oggetti in quanto direttamente legati a fogge di vestiario che nell’Isola non erano in uso. Tali scambi e relazioni fra la Sardegna

e l’area etrusca fanno intendere che essi si svolgono in un con-testo ben determinato e cioè quello delle aristocrazie.La presenza di oggetti prodotti nelle officine sarde, in riposti-gli o in altri contesti di ritrovamento in varie parti dell’Italia (spesso assieme a materiali di alto pregio provenienti da di-versi centri di produzione quali la Grecia), ci fa capire come la partecipazione sarda al “circuito dei metalli” nel bacino del Mediterraneo fosse un fenomeno oramai ben definito.Tutto ciò, chiaramente, non avviene all’improvviso. Gli studi condotti dall’archeologa Fulvia Lo Schiavo, sulla notevole com-ponente vicino orientale presente sia nella bronzistica che nel-la metallurgia sarda più in generale, ci fanno capire che in Sar-degna esistevano già le condizioni per un successivo sviluppo in tali direzioni. La Sardegna prosegue la sua antica tradizione di “crocevia” del Mediterraneo occidentale. Molto spesso dispiace notare, in molti, la tendenza a voler con-siderare la nostra Isola come un’entità culturale distante dagli influssi esterni, incontaminata, quasi che il contatto con gli altri popoli potesse togliere prestigio a quanto il passato ci ha tramandato. Invece la Sardegna é tutto un fiorire di usi e cultu-re frutto delle relazioni instaurate con gli altri popoli. I sardi sono stati e rimangono un importante punto fermo nel grande melting pot culturale neolitico prima e protostorico poi. Il fatto d’aver appreso, talvolta, nuovi metodi per migliorare una tecnica esistente non ci deve per forza mettere in una condizione di sudditanza o inferiorità intellettuale. Al contrario tutto ciò é da interpretare in senso positivo, quale testimonian-za dell’essere stati un popolo aperto agli scambi e alle novità. Il fatto di non aver avuto alcun segno che possa essere deci-frato come “scrittura” non deve essere interpretato in termini negativi.La rivincita di molti sedicenti specialisti nella lettura del terri-torio antico e di quanto in esso contenuto trova spesso sfogo in teorie in cui astronomia ed esoterismo sembrano le uniche attività praticate dai nostri predecessori per poter espletare persino le pratiche quotidiane. La realtà è che spesso il posi-zionamento o l’orientamento di una qualsiasi costruzione era dettato da motivi molto più pratici, come quello di poter sfrut-tare quanta più luce possibile per illuminare un determinato ambiente, o, al contrario, tenere fresca un’altra determinata area. Sono convinto che i nostri progenitori, un po’ come fac-ciamo noi ancora oggi, non cercassero molte complicazioni.I sardi conoscevano l’astronomia e le pratiche esoteriche - che sicuramente adattavano ai loro rituali - ma, soprattutto, erano in grado di dosare con saggezza tali conoscenze che, in una storia da considerare esclusivamente e sempre 360 gradi, tro-viamo come patrimonio comune di ogni popolo e che - proprio grazie agli scambi di idee, esperienze, merci e forse anche di sogni - sono arrivate fino a noi.

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Quando si parla di arte in Sar-degna, non si può prescinde-re dall’elencare una lunga li-sta di nomi. E se poi, ai pittori

si aggiungono gli scultori e gli incisori, musicisti, cantori, poeti ecc. potremmo stare qui giorni interi a illustrare le loro opere e a parlare di questi personag-gi. Ma perché parecchi di loro giaccio-no prigionieri in un dimenticatoio e la scuola e la loro terra fanno così poco per ricordarli e molti, troppi, non sanno di loro?Nei primi decenni del secolo scorso vi fu in Sardegna un fiorire di questi arti-sti di livello non solo locale o nazionale, ma addirittura internazionale. Ed erano pure bravi. Quasi tutti autodidatti. Il loro talento naturale dava sfogo ad una cre-atività unica che si fondeva e plasmava nelle loro opere, tele o statue o cerami-che, incisioni, acquerelli o oggetti di ar-redamento, musica e poesia. Sembra-vano andare di pari passo in un’unica direzione. Una fantasia multiforme e multicolore che ricalcava nelle forme stesse e nelle diverse espressioni, la vita, i colori, i paesaggi, le angosce, le essenze e la quotidianità della Sarde-gna intera.In quell’epoca, come accade oggi re-lativamente all’obbligo di pubblicare nei giornali annunci a pagamento per quanto concerne la pubblicità, gli avvisi e le inserzioni di Comuni e Enti, correva l’obbligo di destinare una parte della spendita per finanziare le opere d’arte, commissionando affreschi, quadri e lavori artistici. Anche la città di Tempio non si sottrasse alla consuetudine e ne-gli anni ‘30, subito dopo l’inaugurazio-ne della Stazione ferroviaria della Sas-sari - Tempio - Palau, la Direzione delle Ferrovie della Sardegna commissionò a Giuseppe Biasi sette tele per abbellirne la sala d’aspetto.Biasi era un artista sassarese, un tipo serio, sempre composto e compassato; più che ridere sorrideva e mentre sorrideva, accompagnava tale gesto inarcando le spalle e alzandosi un po’ sulla punta dei piedi. La sua istruzione era abbastanza solida, tra l’altro si era laureato in leggi poco più che ventenne ed era dotato

di Giuseppe Sotgiu

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anche di una buona penna. Già dal 1913 aveva partecipato alla biennale di Venezia. Molto conosciuto e apprezzato, soprattut-to per la sua bravura, aveva esposto le sue opere in numerose mostre ottenendo sempre lusinghieri successi e addirittura una medaglia d’oro nel 1925 alla Mostra Internazionale delle Arti Decorative di Parigi. Dicono di lui le persone che lo hanno co-nosciuto e frequentato che era un uomo mite e buono dedicato anima e corpo alla sua “arte”.

Una volta conferito l’ordine e accettato l’incarico ci vollero ben dieci mesi per terminare l’opera. Delle originali sette ne resta-no soltanto cinque perché alcuni decenni fa, con la scusa di un ipotetico restauro, due di queste presero il volo andando ad adornare le pareti dell’ufficio romano delle Ferrovie. Nonostan-te le giuste rivendicazioni non fecero più ritorno alla loro sede di origine. Delle cinque tele una è decisamente enorme, poiché il pannello misura 10 metri di lunghezza. Secondo suo solito il

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Biasi rappresenta scene di vita paesana: abbiamo quindi le don-ne alla fonte in costume giornaliero, alla festa con quello di gala, i cavalli, la rivendita del vino, il suonatore di organetto. Riprende nelle sue tele la sua visione della storia ancestrale della Sarde-gna, i suoi costumi, l’incedere matronale delle donne e i tratti della gente nobile e fiera della sua terra. Riprende il folclore in tutte le sue tipiche espressioni, primitive e cromatiche, riportan-do con gesti sapienti e pennellate decise i gesti e le movenze

delle sue figure. E lui la sua Sardegna l’ha ripresa in tutte le pose e in tutte le angolazioni perché di Sardegna si nutriva, privilegiandola rispetto ad altre figure e ad altre immagini.Zio Elio Gabriel, figlio di Gavino, ormai novantaseienne e non vedente, mi parla spesso degli amici del padre, di lirica, di mu-sica, di rima e di canto e quando i versi lo colpiscono o gli tra-smettono emozioni, ebbene lui dice che sono “pennellate di poesia”. Parafrasando viene da dire che Giuseppe Biasi può

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essere considerato, a buon diritto, colui che poetava col pennello. Un uomo immenso come immensa era la sua arte, che ha onorato, contribuendo a farla conoscere, l’al-lora quasi anonima isola di Sardegna.Le numerose opere di Biasi, dai quadri agli affreschi, pos-sono essere ammirate nei vari Musei, nelle collezioni pri-vate, in diversi Palazzi e in qualche Chiesa. Ma la Stazione di Tempio resta l’unico Museo fruibile tutti i giorni gratui-tamente da passeggeri e passanti, curiosi e visitatori oc-

casionali, che possono ammirare la meravigliosa tecnica di questo straordinario artista. Quadri policromi, dai colori naturali e vivaci, molto realistici e molto belli. La linea ferroviaria con annessa stazione, relativa alla Tempio – Monti (la prima ferrovia a scartamento ridotto) fu costruita nel 1888 dalle Strade Ferrate Secondarie della Sardegna. È ormai inesistente e i suoi fabbricati sono rude-ri marci e cadenti a pericolo di crollo; questa ha il nome di “Stazione Vecchia”. La “Nuova” era stata costruita per evi-denti esigenze e comodità un po’ più a valle, fuori dell’abi-tato. Oggi anche questa risulta inglobata in mezzo a recen-ti quartieri. La attuale Sassari – Tempio - Palau, inaugurata nel 1931, che funziona solo per qualche viaggio noleggiato

seghe, magli e utensili vari: un esempio evidente di rara archeologia industriale. Altra visita d’obbligo è la “Carroz-za Bauchiero”, una fedele riproduzione delle vecchie car-rozze dell’ultimo ‘800 custodita nel capiente garage. Un museo a cielo aperto completa il tutto con due locomotive anch’esse d’epoca. Ma le visite sono mirate soprattutto alle bellissime opere di Giuseppe Biasi. Una tappa obbli-gata fra le attrattive che la città possa offrire. Peccato che anche questi necessitino di un controllo se non addirittura di un restauro, badando bene che non facciano la fine de-gli altri. Un utilizzo più organico produrrebbe una ricaduta consistente per tutta la comunità.

o d’estate, impiegando il “Trenino Verde”, potrebbe avva-lersi delle vecchie locomotive perché avrebbero, come del resto avuto negli anni scorsi, un forte richiamo turistico. Tantissima gente, scolaresche, forestieri e turisti sembra abbiano un particolare interesse a viaggiare con il “Trenino Verde” e visitare la Stazione di Tempio con le sale arre-date in stile con gli antichi mobili in castagno e la sua in-teressantissima officina, dove basta alzare un interruttore e vedere muoversi in perfetto sincronismo trapani, torni,

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Testo di Maria Armida ForteleoniFoto di Matteo Sulis

“Prendiamo il Trenino delle Secondarie, ovunque esso vada”.Così Lawrence esprimeva l’idea del viaggio e il de-siderio di conoscenza che lo avevano spinto, nel

1921, a salire su quel mezzo in compagnia della moglie Frieda e a darci conto, da turisti avventurosi, delle meraviglie incontaminate osservate da un finestrino, quello appunto del trenino verde.Il diminutivo ben esprime le dimensioni ridotte del convoglio e l’aggettivo fa riferimento ai boschi e ai paesaggi selvaggi che si incontrano durante il percorso. L’atmosfera, i profumi intensi della vegetazione, la sensazione reale di essere avvolti e quasi inghiotti-ti piacevolmente dalla natura, i piccoli paesi e le loro stazioni attra-versati suscitano emozioni magiche. È l’interno della Sardegna, un territorio a tratti raggiungibile soltanto con la ferrovia e per questo ancora più affascinante; noi e la natura, ponti , fiumi, ruscelli, al-beri secolari, fauna selvatica, montagne e luoghi che mutano al variare delle stagioni.Il servizio turistico, su prenotazione, è fruibile tutto l’anno, su treni a noleggio o a calendario.Storicamente, la ferrovia fu costruita alla fine dell’Ottocento per

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In viaggio sul Trenino Verde

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In viaggio sul Trenino Verde

collegare le zone dell’interno dell’isola con le principali città ed è una delle poche ancora attive per fini turistici a scartamento ri-dotto.La linea Mandas – Arbatax è quella prescelta. Ci accomodiamo nel sedile bordeaux dell’unico vagone, inizia il viaggio. Mandas, Orroli, Nurri, Villanovatulo, sfondi collinari che cambiano repentinamente non appena, lasciato il Sarcidano, ci si trova nella Barbagia di Seu-lo: una lunga salita e il lago del Flumendosa sotto i nostri piedi, uno spettacolo che lascia senza fiato.È un continuo susseguirsi di vegetazione spontanea; tra gallerie scavate nella roccia, corsi d’acqua, arbusti, cisto e lavanda, il treno procede a velocità contenuta dando la possibilità al viaggiatore di godere di quest’incanto.Avvolta nel verde, la stazione montana di Betilli, poi quella di Ester-zili e Sadali – Seulo.Le nuove e particolari forme rocciose annunciano l’ingresso in Ogliastra, territorio dagli scenari unici, racchiuso fra il mare e la montagna.Gli occhi sono paghi di tanta e rara bellezza, la natura è intatta, i boschi rigogliosi, si viaggia sopra gli 800 metri di quota.

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Finalmente possiamo ammirare appieno il paesaggio: si scende dal treno, in una delle sta-zioni ferroviarie fra le più antiche della Sardegna; eccoci a Seui, paesino di 1460 abitanti nella Barbagia di Seulo, in un’oasi naturalistica protetta. Tra i monti del Gennargentu, la foresta di Montarbu si estende su una superficie di quasi 2700 ettari. Il parco naturale permette al visitatore di entrare in contatto con animali selvatici quali cervi e cinghiali e con una fitta vegetazione.Lasciato Seui, dopo alcuni chilometri, attraversando trincee scavate nello scisto, lunghe gallerie e maestosi ponti, si arriva nel territorio della foresta di Montarbu.Il contatto con l’ambiente puro e incontaminato è sicuramente il più suggestivo della tratta del Trenino Verde. In questo tratto del percorso la macchia mediterranea caratterizzata da lentisco, fillirea, corbezzolo, cisto, si alterna con le vaste distese di boschi di leccio in cui svettano i tonneri, alti tacchi calcarei con le loro maestose pareti rocciose.La foresta, con un’estensione di 2800 ettari, è attraversata da numerosi corsi d’acqua ed è

In viaggio sul Trenino Verde

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ricca di specie di rilevante interesse scientifico e ambientale, con la presenza di numerosi alberi monumentali e specie endemiche. Infatti dal 1980 è stata riconosciuta Oasi di pro-tezione faunistica.Meta di numerosi escursionisti e amanti della natura, qui è possibile percorrere i sentieri dei carbonai, testimonianza delle passate utilizzazioni del bosco dove non è difficile incontrare qualche esemplare di cervo, daino, muflone, cinghiale e, se si è fortunati, l’aquila reale.Attraverso un itinerario suggestivo di gallerie e ponti sull’imponente cima sarda, raggiungia-mo il territorio montagnoso di Ussassai e Niala; l’Ogliastra ci accoglie tra il verde più fitto: Gairo, Villagrande, Arzana.La discesa arriva repentina, si scende di quota verso Lanusei ed Elini, una graziosa stazione in pietra; poi Tortolì e Arbatax, il capolinea di questa intensa e meravigliosa giornata, 159 Km di uno scorcio di Sardegna.

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DALL’OGLIASTRAEXPRESS

AL TRENINO VERDE

Il primo viaggiatore che pubblicizzò un tratto di percor-so delle allora Ferrovie Complementari della Sardegna fu lo scrittore Inglese D.H. Lawrence il quale, insieme alla compagna,percorse, all’inizio del 1921,la linea

Cagliari-Mandas –Sorgono, riportando le impressioni sul viaggio nell’emozionante libro dal titolo “Mare e Sarde-

gna”. Era partito dalla stazione di Viale Bonaria ed aveva impiegato 5 ore per arrivare a Mandas da dove aveva pro-seguito l’indomani per Sorgono giungendo a destinazione dopo altre 7 ore.Da allora trascorsero lunghi anni prima che si prendes-se coscienza della opportunità della valorizzazione dello

di Bruno Puggioni

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splendido tragitto che si snodava fra foreste e dirupi, domi-nati da costoni rocciosi, intervallati da una lunga sequenza di ponti e gallerie. Bisogna infatti arrivare al 1968 quando l’Associazione “Italia Nostra” presenta uno “Studio di salva-guardia delle ferrovie e proposta di parchi ad esse collega-ti”, citando come esempio quello della Svizzera. A questo progetto però non fecero seguito opportune iniziative fino al

1982, allorquando il Gruppo Naturalistico del Club Alpino Italia-no di Cagliari organizzò il 30 maggio la prima escursione in treno, aperta a soci e cittadinanza, affittando un locomotore e due va-goni carichi di entusiasti partecipanti con al seguito zaini, foto-camere e chitarre. Il convoglio venne per l’occasione battezzato scherzosamente con il nome di “Ogliastra Express”.L’appuntamento era fissato per le ore 7,15 alla stazione di P.za

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Repubblica, l’arrivo previsto a Lanusei alle ore 18. La sosta per la colazione al sacco si fece nello splendido bosco del Rio S.Gerolamo con opportune fermate lungo il percorso per am-mirare e fotografare il paesaggio. Il rientro avvenne in pullman lungo la SS 125. Curiosità: la quota individuale era di £ 22.000.L’iniziativa era stata una scommessa: l’escursione ebbe un gran-de successo. L’anno successivo fu replicata dal WWF Sardegna,

il quale la ribattezzò con il nome di “ Trenino Verde”, denominazione che in seguito venne estesa a tutti i rami delle Ferrovie della Sarde-gna a scartamento ridotto.L’anno venturo l’Ogliastra Express compirà trent’anni durante i quali ha cambiato nome ma è rimasto tale quale nel tragitto e nel senti-mento di chi lo ha visto nascere. Auguri.

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Il Trenino delle biodiversità

Testo di Luca Pinna

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Il Trenino delle biodiversità

L’orribile mostro ha flnalmente flschiato alle porte di questo alpestre paeselIo, ne ha lambito i casolari, ha spruzzato il tiepido vapore sprigionante dall’infernal caldaia su centina-ia e centinaia di persone accorse a salutare quel potente

fattore di civilta e di progresso che è la vaporiera».Con queste parole, nell’aprile del 1894, il cronista di una pubblica-zione edita dal Comune di Seui, descriveva l’arrivo del trenino a va-pore nel paese ogliastrino per l’inaugurazione della linea ferroviaria Mandas-Arbatax.Per la gente delI’interno, quello era un gran giorno: il trenino avrebbe reso finalmente possibile il collegamento fra quei centri delI’interno sino ad allora isolati, innescando in tal modo una nuova fase di svi-luppo economico e sociale. Sono trascorsi oltre cent’anni e di questa ferrovia, che allora era stata considerata come elemento propulsore delI’economia ogliastrina, negli ultimi tempi se ne faceva un utilizzo scarsissimo. In alcune giornate il treno viaggiava con pochissimi pas-seggeri. La forte concorrenza del trasporto stradale (più comodo e veloce) ha avuto un ruolo determinante in questo fenomeno, tant’è che più voIte, si è ipotizzato lo smantellamento di buona parte della rete ferroviaria a scartamento ridotto perchè ormai caduta in disuso. Ma, oggi, l’antica ferrovia sembra riscoprire una nuova giovinezza. Il Trenino Verde, infatti, rappresenta un mezzo ideale per avvicinarsi alla conoscenza della biodiversità della Sardegna. Uno degli aspetti più sorprendenti per il turista che percorre le ferrovie a scartamento ridot-to è la varietà di paesaggi attraversati e i panorami offerti dal treno permettono di apprezzare una grande diversità di morfologie e aspetti naturalistici che caratterizza la nostra isola.Alla varietà dei paesaggi corrisponde la molteplicità degli ambienti naturali della Sardegna, che cambiano man mano che dalle aree co-stiere o collinari si raggiungono le zone montane. Ma gli aspetti biocli-matici non sono i soli a determinare la diversità degli habitat, anche la composizione del substrato, con le principali formazioni geologiche

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di Luca PInna

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(calcaree, vulcaniche, granitiche e scistose) influenza la di-stribuzione delle comunità animali e vegetali nel territorio.Una delle tratte più note e suggestive del Trenino Verde è quella che da Mandas conduce ad Arbatax.L’abitato di Mandas sorge sulle marne mioceniche che caratterizzano il paesaggio collinare della Marmilla e della Trexenta. L’aspetto più caratteristico di questa parte della Sardegna è la presenza degli estesi altipiani basaltici noti con il nome di Giare. La più estesa è la Giara di Gesturi, che rimane un po’ distante dalla ferrovia ma rappresenta un elemento essenziale del paesaggio per chi percorre il primo tratto della linea per Sorgono. L’altopiano è occupa-to dalle sugherete e ospita i famosi cavallini con gli occhi a mandorla. Fra gli ambienti naturali sono importanti i “pau-lis”, specchi d’acqua temporanei che accolgono un’impor-

ph. Simone Ariu

Il Trenino delle biodiversità

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tante fauna migratrice (soprattutto anatidi) e che in primavera ospitano spettacolari fioriture di ra-nuncolo d’acqua.Più vicini alla linea ferroviaria sono altri due altipia-ni basaltici, la Giara di Serri e il tavolato che sovra-sta gli abitati di Nurri e Orroli, separandoli dal Lago del Medio Flumendosa. Sul primo predominano i pascoli e i querceti, il secondo ospita invece la bellissima lecceta di Padenti Mannu. Affacciandosi sul margine orientale dell’altopiano si gode un’am-pia veduta sul lago artificiale, che viene a lungo co-steggiato percorrendo la tratta Mandas-Arbatax..Allontanandosi da Mandas, entrambe le linee si dirigono verso uno dei sistemi ambientali più im-portanti per la biodiversità della Sardegna: la Re-gione dei Tacchi, costeggiata sul margine occiden-tale dalla Mandas-Sorgono e attraversata nella sua parte centrale dal ramo per Arbatax . Con il nome di “Tacchi” o “Tonneri” si indicano le particolari for-mazioni di natura carbonatica che costituiscono un complesso di piccoli altipiani, spesso smem-brati e ridotti a formare torrioni naturali, poggianti sulle rocce del basamento scistoso. In quest’ambi-

LA GIARAph. Archivio GIA

ph. Luca Pinna

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to va inclusa anche la regione del Sarcidano, denominata anche Tacco di Laconi, che può essere infatti considerata la più estesa ed omogenea di queste formazioni carbona-tiche. Quest’ultimo e il vicino Tacco di Sadali si presentano come altipiani dalla superficie regolare, su cui si possono praticare le attività agro-pastorali. Sulle aree più marginali, spesso delimitate da altissime pareti verticali, si concen-tra invese l’importantissimo patrimonio di biodiversità di questi territori. In queste aree si trovano infatti bellissime leccete, ricche di corbezzoli, agrifogli e biancospini. Nelle radure, abbondano le fioriture di peonie. Gli aspetti di maggiore rarità sono costituiti principalmente dalla flora rupestre, che conta numerosi endemismi, come la Cymbalaria muelleri e Hieracium iolai, che sono specie esclusive di questo settore mentre Hypericum aegyptia-cum ssp. webbii è una rara pianta nordafricana presen-te in Sardegna esclusivamente sulle ripide pareti che si affacciano sulla vallata del Flumendosa. La foresta di Montarbu è tuttavia nota soprattutto per la sua fauna, in particolare per la presenza di un’importante colonia di mufloni. Altrettanto importanti sono i carnivori come

Anacamptis Papilonaceaph. Franco Sotgiu

Il Flumendosaph. Archivio Turistico Sa perda’e Iddocca

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il gatto selvatico, la martora e la donnola e i rapaci come l’aquila reale, l’astore e lo sparviero. Recente-mente l’Ente Foreste ha reintrodotto il daino, mentre il vasto recinto di ripopolamento ospita il cervo sardo. Per completare il quadro della fauna va ricordato che lungo i torrenti non è difficile osservare le trote e il tritone sardo.Proseguendo verso Arbatax si lascia l’area dei Tac-chi per entrare nella regione granitica dell’Ogliastra. Il trenino viaggia ancora per un po’ a quote elevate, fino a Lanusei, poi, con un percorso particolarmente tortuoso, scende lentamente verso il mare. Il paesag-gio ogliastrino, come indica il nome della regione, è caratterizzato dalla presenza di estesi oliveti, spesso ricchi di alberi secolari. Gran parte del territorio è col-tivato ma permangono bellissimi tratti di bosco come la foresta di Selene, presso Lanusei, dove alla bellez-za del paesaggio contribuiscono le particolari rocce granitiche delle creste.Un altro fondamentale aspetto della biodiversità

ph. Maurizio Artizzu

Panoramica di Nurallaoph. Gianni Onnis

Il Trenino delle biodiversità

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sarda è quello della costa di Arbatax. Questo centro sorge sul promontorio di Capo Bellavista, famoso per le “rocce rosse” che formano le scogliere. Su queste si sviluppa, nelle immediate vici-nanze della costa, la rada vegetazione a finocchio di mare e sta-tici (con la specie endemica Limonium protohermaeum). Nelle zone appena più elevate e non sottoposte all’azione della salse-dine si possono trovare lembi delle tipiche macchie e boscaglie delle coste sarde, a ginepro turbinato, a olivastro o a euforbia arborea. La fauna di maggiore interesse è presente nel vicino stagno di Tortolì, che viene affiancato dalla ferrovia nel suo ul-timo tratto. Sono presenti, fra gli uccelli, germani reali, folaghe, porciglioni, fischioni, morette e i rari fistioni turchi.La linea che si dirige a Sorgono non scende verso il mare ma, al contrario, si addentra verso le aree montuose più elevate del-la Sardegna, nella Barbagia di Belvì e nel Mandrolisai. Le zone che si attraversano costituiscono un ambiente molto diverso da quelli osservabili lungo gli altri tratti. Inoltre, questo ramo della ferrovia può offrire panorami particolarmente suggestivi nella stagione invernale, quando le nevicate ricoprono di bianco le montagne. Man mano che si procede verso l’interno si abbando-nano le zone con la vegetazione più caratteristica dell’ambiente mediterrraneo, come le leccete dell’area di Laconi, per entra-

ph. Luca Pinna

ph. Marcheselli

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re nel territorio delle caducifolgie. Fra queste dominano le querce, spesso indicate genericamente con il nome di roverella o rovere, ma che annoverano in Sardegna diver-se specie, fra cui riveste un ruolo importante la Quercia di Sardegna (Quercus ichnusae), diffusa nel territorio bar-baricino. L’uomo ha in gran parte utilizzato il territorio, fa-vorendo la diffusione di specie maggiormente redditizie, come il castagno, il noce, il ciliegio, etc. I boschi delle aree montane sono perciò assai vari ma sempre con prevalen-za di specie caducifoglie.La ferrovia diretta a Sorgono lambisce le pendici del più importante massiccio montuoso della Sardegna, che rac-chiude anche valori di biodiversità della massima impor-tanza per l’intero bacino del Mediterraneo: si tratta dei monti del Gennargentu. Sulle cime più alte manca una co-pertura arborea, per le difficili condizioni ambientali delle vette montuose. Queste non dipendono tanto dall’altitudi-ne, piuttosto modesta rispetto alle altre montagne medi-terranee, quanto dalle difficili situazioni ecologiche tipiche delle aree cacuminali, dato che le piante sono sottoposte a forti escursioni termiche, giornaliere ma soprattutto stagio-nali, con presenza di neve nei periodi invernali e fortissima

ph. Luca Pinna

Arbatax, Rocce Rosseph. Enrico Spanu

Il Trenino delle biodiversità

ph. Marcheselli

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insolazione in quelli estivi, sono inoltre soggette a scarsità d’acqua e di nutrienti e a un’altissima frequenza di venti sferzanti. In queste condizioni trovano spazio le formazioni basse a ginepro nano e le garighe di cespugli pulviniformi, per lo più spinosi, fra i quali prevalgono specie endemi-che o di interesse fitogeografico come: Berberis aetnensis, Prunus prostrata, Daphne oleoides, Rosa seraphinii, Thy-mus catharinae, Genista pichi-sermolliana, G. salzmannii, Carlina macrocephala, etc. E’ questo l’habitat di endemi-smi esclusivi di queste cime: Astragalus genargenteus, Lamyropsis microcephala, Ruta lamarmorae, Euphrasia genargentea, Aquilegia nugorensis, Armeria sardoa ssp. genargentea, etc. Si tratta di ambienti e specie vulnerabili e minacciate, che richiederebbero attente misure di con-servazione.Tra gli animali è ancora il muflone la specie più rappresen-tativa, non mancano tuttavia altri importanti mammiferi e uccelli come l’aquila reale, il falco pellegrino, il gracchio corallino, il codirossone e altri rari passeriformi. Importan-tissima risulta inoltre la reintroduzione del gipeto, realizza-ta con un progeto regionale Vanno infine ricordati gli insetti esclusivi di queste aree montane, come il coleottero Age-

Orchidea Farfallaph. Franco Sotgiu

Isili, lago Is Barrocusph. Bruno Atzori

Il Trenino delle biodiversità

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laea fulva e i lepidotteri Maniola nurag, Pseu-dophilotes barbagiae e Polyommatus coridon jennargenti.Il Trenino Verde, da quanto brevemente espo-sto, risulta quindi uno straordinario mezzo per raggiungere alcuni fra i luoghi più impor-tanti dell’ambiente sardo, ma soprattutto per-mette di conoscere la straordinaria varietà di ambienti che quasi sempre sfugge a chi visita la Sardegna solo per le sue coste. I paesaggi che si godono viaggiando sul “tre-nino” tuttavia, seppur così vari e affascinanti, offrono solo una parziale idea della ricchezza di ambienti naturali e di biodiversità del ter-ritorio. Occorre allora pensare alla ferrovia non più solo come un mezzo di attraversa-mento del territorio, ma anche e soprattutto come un mezzo di avvicinamento. E’ suffi-ciente infatti effettuare qualche escursione nei territori circostanti per conoscere le aree attraversate in modo molto più approfondito e godere di quelle bellezze, sopra descritte, non visibili dalla ferrovia eppure tanto vicine a questa, come la Valle del Flumendosa, le cime del Gennargentu, il tacco di Perda Lia-na, i boschi della Barbagia e dell’Ogliastra, a cui vanno uniti i siti archeologici, le chiese, i centri storici, i musei territoriali, le grotte, i siti minerari, etc.La ferrovia, risulta allora un asse viario che offre, con le sue stazioni e fermate ubicate nei punti più “strategici”, una straordinaria opportunità di accesso al cuore della Sarde-gna e può essere punto di partenza per un gran numero di itinerari a piedi, a cavallo o in bici per scoprire un eccezionale patrimonio di ricchezze, naturalistiche e non solo.

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Quello tra il WWF e il “Trenino Verde” è un amore che dura ormai da quasi trent’anni. Un vero e proprio colpo di fulmine per l’associazione am-bientalista, che fu la prima ad accorgersi del

immenso valore delle antiche linee a scartamento ridotto che attraversano la Sardegna: un patrimonio che unisce il valore storico delle vecchie stazioni e delle locomotive d’epoca, al valore ambientale delle linee a scartamento ridotto, che essendo più strette di quelle normali, permet-tono di compiere percorsi impossibili per le altre. Salite

e discese, curve strette, costeggiando monti, talvolta a strapiombo su laghi, su ponti stretti o attraversando bo-schi e campi, spesso in territori in cui non si avverte la presenza dell’uomo. Ecco perché nell’aprile del 1983 la sezione del WWF di Cagliari, presentando un viaggio di due giorni dal capoluogo a Lanusei sul treno delle fer-rovie complementari, coniò il nome di “Trenino Verde” e provvide a registrarlo dieci anni più tardi alla Camera di Commercio di Cagliari.Già nel 1985 organizzò un secondo viaggio, questa volta

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QUELLI CHE AMANO IL TRENINO VERDE

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fino a Sorgono: anche stavolta due giorni in cui coniugare la conoscenza del territorio con la possibilità di usufruire delle strutture ricettive e di ristorazione presenti lungo il percorso, stimolando la nascita di un turismo maggior-mente legato all’ambiente. Ma nonostante queste inizia-tive le antiche locomotive a vapore sembravano essere arrivate al termine della loro carriera, accantonate da qualche anno in favore di motori più nuovi e potenti. L’as-sociazione si batté allora per un loro recupero funzionale e propose all’ESIT un progetto per l’allestimento di una

mostra sul Trenino Verde in occasione della rassegna fie-ristica “Turisport”, alla quale portò la vecchia locomotiva Reggiana 400. Organizzò anche un nuovo viaggio, a cui chiesero di partecipare talmente tanti viaggiatori da ri-empire altri due convogli. E da metà degli anni Ottanta la “signora” Reggiana 400 riprese a correre sui suoi binari grazie a un totale restauro, che gli permise di accompa-gnare i viaggiatori per altri dieci anni.Qui si uniscono i due ingredienti fondamentali del gran-de fascino del Trenino Verde, la storia e l’ambiente, che

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QUELLI CHE AMANO IL TRENINO VERDE

Uscita della vecchia locomotiva dal paese di Sorgonoph. Marcheselli

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offrono la possibilità di coniugare l’esperienza del viaggio in treno con escursioni a piedi e in bicicletta: nel 1994 il WWF propose alle Ferrovie della Sardegna di istituire il servizio turistico “treno+bici” e i suoi vo-lontari predisposero dei percorsi per mountain bike nell’area del Gennargentu, con partenza e arrivo di-rettamente nelle Stazioni.Bastarono una decina d’anni di promozione per far decollare il progetto: già nel 1995 le associazioni che organizzavano viaggi su treni speciali erano tante e il WWF rinunciò a questa sua attività. Quando ormai il Trenino sembrava essere stato riconosciuto come un veicolo di sviluppo turistico sostenibile, sembrò inve-ce prendere corpo l’ipotesi della soppressione delle linee Mandas-Arbatax e Isili-Sorgono. Il WWF scese

allora di nuovo in campo per difendere il patrimo-nio rappresentato dal Trenino Verde e a maggio organizzò un nuovo viaggio, questa volta riserva-to a giornalisti italiani e stranieri, amministratori pubblici e rappresentanti di organizzazioni per la promozione turistica e la valorizzazione del territo-rio. Due anni dopo presentò un documento in cui venivano analizzati i molteplici aspetti della tutela delle linee a scartamento ridotto: un lavoro fonda-mentale in cui si individuarono 16 aree di enorme valore naturalistico e paesaggistico ai margini o attraversate dalla linea Mandas-Arbatax e il modo migliore per visitarle partendo dalle stazioni o dalle fermate del Trenino, 21 mete di interesse culturale, oltre 30 sagre e feste nei comuni lungo

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ph. Sardinia Event

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la ferrovia e numerosi segmenti di domanda turistica destagionalizzata che avreb-bero potuto utilizzare il Trenino come mezzo di spostamento. Insomma anche in quell’occasione fu l’Associazione a credere nelle potenzialità di quei binari antichi, supportando la sua convinzione con dati oggettivi e proposte reali di valorizzazione. E fece lo stesso dieci anni dopo per difendere la linea Isili-Sorgono, minacciata di abbandono, convocando una conferenza stampa in cui presentò gli esempi di Corsica, Grecia e altri paesi dove le vecchie ferrovie sono state difese e valorizzate, e aderendo al “Comitato per la salvaguardia del Trenino Verde”, insieme a comuni, sindacati, associazioni ed enti locali.Un legame che si mantiene saldo anche nel nuovo millennio, quando la promo-zione del Trenino viene inserita tra le azioni di promozione della biodiversità del programma di Conservazione Eco-Regionale del WWF: infatti “Il Trenino Verde della Biodiversità” è stato il titolo dell’ennesima manifestazione organizzata dall’Asso-ciazione per promuovere la ferrovia. Probabilmente senza questo amore, gli studi, le azioni e l’interesse continuo dei suoi volontari, oggi non potremmo godere di un viaggio sul Trenino Verde, abbandonato in favore di treni più veloci e funzionali, ma sicuramente meno suggestivi.

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QUELLI CHE AMANO IL TRENINO VERDE

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La vocedel ventoe del mare di Giorgio Ariu

ph. Matteo Sulis

Sadaliph. Matteo Sulis

Sadaliph. Enrico Pintus 58

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“Tocca, barchitta mia! Cuddu Terra /Chi promitit amo-re e sa gloria Cos’è la poesia? E’ la bella immagine lontana vista e mai raggiunta. Un desiderio, uno sguardo. Un raggio di sole alla finestra….”

Eppoi is figureddas de brunzu narrate da Giovanni Lilliu, mirabile rac-contatore della civiltà nuragica.Le struggenti carezze alla sua isola cantata da Lassù da Marisa Sannia sui versi di Montanaru e Francesco Masala, accompagnano il mio viaggio e queste note. Attraverso le acque, le tante distese d’acqua di cui la nostra terra è ricca e penso che il mare è sem-pre dentro l’isola. Dentro di noi. E si può sognare guardando cielo, acqua e terra dal finestrino umido del Trenino Verde nella stagione lunga di una Sardegna che è tutta Poesia. Attraversi boschi incanta-ti e inesplorati, poi d’improvviso il Flumendosa, eppoi ancora in un lieve camminamento a Sadali per registrare i suoni delle cascate e i silenzi dei ruscelli e la danza delle braccia e il sorriso di una donna giovane all’antico lavatoio comunale. Acqua che scorre sulle mani principesche, grembiulone, stivaloni e lenzuola lunghe lunghe e colo-rate. Qui nel paese di San Valentino a mirare acque e a ripromettersi amore eterno arrivano in dodicimila all’anno, tutti senza ansia nè

di Giorgio Ariu

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fretta, col Trenino Verde. I magici attraversamenti del Trenino sconfiggono l’isolamento di certi paesi dell’interno, rilanciano l’identità della nostra isola e coniugano mare e montagna in un viaggio della memoria che sa di Sardegna che guarda avanti. “It’est sa poesia? Il dolore/La gioia, la fatica, la speranza/Sa oghe de su entu e de su mare/ S’im-magine biada e non toccada/unu vanu disizu, una mirada/ Unu raju ‘e sole a sa ventana/, Unu sonu improvvisu de sa campana/Sa oghe de su entu e de su mare”. E le armonie che abbattono disunione e muretti a secco dell’invidia e mentre il fischio infantile del Trenino su discese e risali-te, boschi e fiumi, costeggia pure il mare penso ad una visione unitaria della nostra Terra e metto insieme in una foto immaginaria attori e compar-se, tutte unite nella missione umile e vincente per la nostra terra accarezzata da quel raggio di sole che spalanchi finalmente tutte le finestre.

Sadaliph. Enrico Murru Massa

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LA MANUALITÀSAPIENTE

di Antonello Angioni

GLI IRRIPETIBILI PRODOTTI DELL’ARTIGIANATO SARDO LUNGO I PERCORSI DEL TRENINO VERDE

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Sadaliph. Elvira Usai

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La produzione artigianale deriva dalla capacità dei primi abitatori dell’Isola di adattare le risorse pre-senti nell’ambiente - le fibre della pianta d’asfo-delo, il legno, l’argilla, ecc. - alle esigenze del la-

voro e della vita quotidiana. Nasce dunque dalla necessità dei protosardi di costruirsi gli strumenti della propria so-pravvivenza ed è rimasta pressocchè immutata nel tempo, senza perdere l’impronta delle origini, pur dimostrando spirito di adattamento all’ambiente. L’artigianato - come è stato osservato - ha rappresentato la manifestazione eco-nomica e culturale di una società, da sempre immersa nel contesto di un sistema di vita agro-pastorale, confinata ai

margini della storia ed è stata la forma di lavoro manuale più diffusa con esiti talvolta geniali e brillanti. Oggi il lavoro artigiano costituisce un settore positivo e significativo dell’economia della Sardegna: lo sviluppo di laboratori e botteghe e la positiva risposta del mercato ne costituiscono la più adeguata riprova. Molti artigiani hanno capito l’elevato valore dei loro manufatti (tappeti, cestini, oggetti di oreficeria e argenteria, ceramiche, statuine di pietra, produzioni in legno, sughero, cuoio, ecc.) quando gli stessi hanno varcato il Tirreno per essere esposti in mo-stre internazionali accanto ai prodotti di altre nazioni: ciò che colpisce è il rigore dei segni e delle forme, la progettua-lità, la fantasia compositiva. In ogni prodotto dell’artigia-

nato sardo è possibile scorgere i segni della storia dell’Isola: negli oggetti d’uso quotidiano, nelle tecniche di produzione e nei simboli che li ornano si ritrovano le tracce di una cultura materiale che ha attraversato i secoli senza mai perdere la propria identità sia pure nell’ambito di numerosi influssi do-vuti al confluire di popoli, costumi, metodi di lavorazione e tradizioni diverse. Ceramiche e tappeti, manufatti in legno e metallo, cestini e oggetti d’arte costituiscono la voce attraverso la quale cia-scun popolo si esprime, il segno peculiare che distingue una regione da un’altra e fa di ogni luogo un luogo unico e irri-petibile. Il patrimonio di un popolo infatti è racchiuso nella

sua storia, nella cultura e nelle tradizioni che è in grado di esprimere. In particolare nell’artigianato artistico è possibile cogliere i passaggi creativi che affondano le loro radici nella tradizione e nella cultura millenaria dell’Isola. In Sardegna, terra di vasti pascoli e di greggi, la filatura e la tessitura hanno sicuramente rappresentato una delle più an-tiche attività del lavoro domestico. Attualmente l’arte del tela-io è uno dei settori più creativi dell’artigianato e contribuisce a dar forma all’identità sarda, insieme dei caratteri peculiari propri di questo popolo. “Un tempo il prodotto principe era il copricassa: le donne lo portavano in dote insieme a quello che era il primo mobile della casa, la cassapanca in cui la sposa, trasferendosi nella casa del marito, disponeva il corre-

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ph. Sardinia Event

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do filato, tessuto, cucito e ricamato giorno dopo giorno per mesi. Ora il copricassa è diventato coperta, tappeto (di lane colorate) e arazzo (dove la lana serve soprattutto alla decorazione, mentre sono il lino e tavolta anche il cotone la base su cui distenderla)” .Tappeti e arazzi, diversissimi da zona a zona, sono il frutto di vere scuole d’arte di antichissima tradizione: gli studiosi più attenti hanno saputo leggere persino influssi arabi e orditi che si ricolle-

gano allo stile carolingio. E alle regole dettate dalle “scuole” si ag-giunge sempre l’opera manuale, sentimentale e creativa di ogni artigiano. I centri più importanti per la tessitura sono Mogoro e Samugheo. In quest’ultimo centro del Barigadu opera la tessitrice Elisabetta Barra, una vera artista del telaio che esporta le sue creazioni persino in America e nei Paesi arabi. Altri centri di produ-zione rinomata sono: Ittiri, Villanova Monteleone, Pozzomaggiore, Bonorva, Ploaghe, Aggius, Calangianus, San Vero Milis, Santu Lus-surgiu, Morgongiori Sarule, Tonara, Villamassargia, Sant’Antioco, Teulada, Isili, Nule e Osilo. A Mogoro tutti gli anni si svolge la “Fiera del tappeto”: qui la suggestione dei colori e dei motivi ornamentali si esprime con raffinatezza, maestria e competenza .In Sardegna, così come il paesaggio fisico varia da zona in zona, altrettanto varia è la produzione dei tappeti, diversi da paese in paese. Generalmente nelle zone montuose il disegno è severo e asciutto e i colori sono più scuri; nelle pianure i colori sono più luminosi e le forme più varie. Altrettanto succede nei costu-

mi tradizionali: la finezza e il fulgore delle fogge e dei colori fanno dei costumi della Sardegna un patrimonio di eccezionali originalità e di grande interesse etnografico. I motivi ornamentali vanno dal geometrico al floreale e recepiscono forme e simboli che spazia-no dall’arte bizantina agli schemi romanici, dal barocco al classico: cavalli, cervi, pavoncelle, leoni, fiori, frutti, spighe di grano, angeli e demoni, figure astratte e motivi antropomorfi. L’interpretazione del

linguaggio che si esprime attraverso questi simboli resta una del-le cose più stimolanti e suggestive. Stessa precisione e ricchezza decorativa si riscontra nei lavori di ricamo: gli scialli fioriti di Oliena, le cuffiette di Desulo, il prezioso filet di Bosa, i pizzi e i merletti dei centri del Campidano, il tovagliato geometrico e le rinomate camicie di Teulada, le stoffe d’arredamento di Busachi , e così via.A Isili, importante centro del Sarcidano, ancora oggi, vive una sorta di comunità di artigiani del rame le cui origini restano avvolte nel mistero. Gli appartenenti a questo gruppo parlano un loro dialetto, forse di origini gitane, denominato arbaresca o s’arromanisca (in-vero il termine rom indica proprio gli zingari): si tratta di un dialetto usato soprattutto al momento della contrattazione. Nell’economia tradizionale sarda, basata quasi esclusivamente sull’agricoltura e la pastorizia, i manufatti in rame hanno rappresentato un importan-te strumento di lavoro non solo per i pastori e i contadini ma anche all’interno dell’ambiente domestico. Ma Isili non è solo l’arte dei ramai: abili tessitrici intrecciano sui tradizionali telai a mano antichi

LA MANUALITÀSAPIENTE

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motivi e i maestri del legno intarsiano con abilità le cassapanche ed altri oggetti .Sempre nel settore dei metalli, una particolare nota va riservata agli artigiani del ferro tra i quali spiccano i fab-bricanti di coltelli: sa resolza. Il coltello sardo ha tre piccole patrie cui corrispondono tre varianti fondamentali di lame: Pattada, con sa pattadesa; Santu Lussurgiu ove si fabbrica sa lussurgesa; e infine il polo di Arbus-Guspini, luogo di produzione di s’arburesa

e di sa guspinesa. Si tratta di coltelli di altissima funzionalità. For-giare lame è arte antica, colma di fascino e di fatica, rimasta viva nelle mani di abili coltellinai che, nella forza della tradizione, tro-vano motivo per continuare a creare pezzi unici di grande valore e oggetti d’uso quotidiano. Questi artigiani sono i protagonisti di “arresojas”, mostra mercato del coltello sardo che tutti gli anni si svolge a Montevecchio (Guspini), nei locali di un ex stabilimento minerario. Arma di offesa e di difesa, ma anche strumento di la-voro, il coltello costituisce un po’ il simbolo della cultura materiale di pastori e contadini posto che fa la sua comparsa in Sardegna sin dal paleolitico con la produzione delle prime lame in osso e in ossidiana.Tra i metalli preziosi si segnala la lavorazione dell’oro e dell’ar-gento. La Sardegna in particolare vanta un’antica tradizione di argentieri che, in età medioevale e sotto le dominazioni spagnola e piemontese, ha dato vita a veri e propri capolavori. Attualmente il gioiello costituisce complemento obbligato dell’abbigliamento

ph. Sarah PinsonGLI IRRIPETIBILI PRODOTTI DELL’ARTIGIANATO SARDO LUNGO I PERCORSI DEL TRENINO VERDE

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tradizionale. In particolare il costume femminile, soprattutto quello di gala e di festa, viene arricchito da spille, collane, braccialetti, anelli e monili. In quasi tutti i costumi sardi il bot-tone di filigrana d’oro o d’argento chiude le maniche, adorna i corpetti o da forza alle forme fiorenti del seno. “Il bottone, che ricorda esso stesso una mammella dorata, è un simbolo di fertilità: tutti i gioielli sardi, del resto, hanno una loro magia, nel senso che a ciascuno di essi è attribuita nei secoli una energia che scaccia il malocchio e chiama la fortuna” . Anche la “fede sarda” - il gioiello più amato da chi viene in Sardegna e vuole portare via un piccolo ricordo - è un augurio di ferti-lità, perché la fertilità richiamano le minuscole perline d’oro che sulla stessa si dispongono quasi a formare un grappolo. E infine si segnalano i capolavori dell’oreficeria realizzati dai maestri algheresi con l’utilizzo del corallo.Grande rilievo ha la produzione della ceramica, attività tipica-mente popolare diffusa sin dai primordi della civiltà neolitica. Le produzioni ripetono, con sorprendente costanza, le figure e le linee arcaiche e recepiscono - filtrandoli e adattandoli all’ambiente locale - gli elementi importati dai popoli che, nel-le diverse epoche storiche, hanno impresso i segni della loro egemonia. Tali elementi peraltro, come detto, sono sempre andati incontro a processi di rielaborazione. Nel complesso i maestri figoli dell’Isola sono rimasti fedeli ad un canone este-tico fatto di semplicità e di eleganza, di praticità e buon gu-sto, di funzionalità ed espressione decorativa ad alto livello. I principali centri interessati dalla produzione ceramica sono

Assemini, Oristano, Dorgali, Pabillonis, Decimomannu, De-cimoputzu, Selargius, Nurallao, Orosei, Olbia, Teulada, Villa-putzu e Tortolì.I manufatti nella sostanza riproducono ancora oggi quelle forme elaborate in età neolitica, nuragica, punica e romana: la brocca, l’anforetta, i tegami da cottura, i contenitori per conservare i cibi e le provviste, e così via, rimandano diretta-mente ad un passato arcaico. In particolare, sino agli inizi del Novecento, “la brocca rappresentava tutta la cultura cerami-ca della Sardegna popolare: significava estrazione di argille locali e successiva lavorazione, sapienza di crescita al tornio (allora a pedale), esperienza nel dominio del fuoco aperto, riflettendo al contempo il complesso di dinamiche sociali di-sagiate che ruotavano intorno alla sua realizzazione. Furono le corporazioni istituite in età medioevale e spa-gnola a disciplinare le forme di produzione dei manufatti salvaguardando i canoni tradizionali. I caratteristici orci (is brugnas) ripetevano - e ancora ripetono con impressionante continuità - le linee dei grossi vasi in uso presso i romani per contenere le provviste; le brocche (is marigas) si adat-tano perfettamente ai modelli utilizzati dagli antichi naviga-tori per il trasporto e la conservazione dell’acqua. Così su frascu e sa stangiàda, ancora in uso presso le popolazioni contadine e pastorali, o is sciveddas riproducono le antiche forme caratterizzate da linee semplici, eleganti e di notevole effetto estetico.Racconta Alberto La Marmora, nel suo celebre Itineraire de

ph. Matteo Sulis

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ph. STL Nord Ovest SardegnaLA MANUALITÀSAPIENTE

GLI IRRIPETIBILI PRODOTTI DELL’ARTIGIANATO SARDO LUNGO I PERCORSI DEL TRENINO VERDE

ph. STL Nord Ovest Sardegna

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l’île de Sardaigne, che i rappresentanti degli stovigliai (detti congio-làrgius) - verso il 1830 - gli chiesero l’autorizzazione a poter dare nuove forme ai loro manufatti in quanto, sulla base dello statuto della corporazione, potevano produrre solo anfore, pentole ed orci. Il conte, allora Commissario reale straordinario per la Sardegna,

acconsentì alla richiesta. Peraltro i cambiamenti non furono notevoli . Oggi alcuni ceramisti sardi hanno sperimentato, con grande creatività, anche forme nuove creando pezzi unici per l’arredamento: tra essi si segnalano Emilia Palomba e Gianluigi Mele.

ph. Matteo Sulis

LA MANUALITÀSAPIENTE

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Sempre per quanto concerne il settore dell’arredamen-to si segnalano le produzioni dell’artigianato del legno tra cui spiccano le cassapanche di castagno finemente decorate sulla parte anteriore da una complessa sce-nografia di simboli: il sole, i fiori, i cavalli, gli uccelli. L’ intaglio è lavoro di grande abilità e pazienza. Il castagno proviene in genere dalle montagne della Barbagia di Belvì (Tonara, Aritzo e Desulo) ove gli artigiani produ-cono tuttora non solo delle pregiate cassapanche ma anche tanti altri oggetti in legno a cominciare dai tradi-zionali taglieri, mestoli e cucchiai, un tempo venduti dai

montagnini che giravano a cavallo per tutte le contra-de della Sardegna.Un cenno anche ai lavori di intreccio. Se vai a Castel-sardo ti colpiscono le donne che, sedute sulle soglie di casa, intrecciano splendidi cestini: non è un caso che proprio qui, nei vasti saloni restaurati dell’ antico castello, ha trovato adeguata collocazione il “Museo dell’intreccio mediterraneo” ove è possibile fare una

ricognizione di tutte le produzioni della Sardegna: dai fassonis di Cabras, le imbarcazioni costruite con l’erba palustre , alle “pontine”, vere e proprie anfore d’asfodelo, ai numerosi cestini dalle forme più sva-riate a seconda dell’uso. I materiali utilizzati variano a seconda delle aree geografiche: si va dalla palma nana all’ asfodelo, dai giunchi alla paglia di grano.Nel complesso anche nelle produzioni artigiana-li si riflette l’indole dei sardi, l’ambiente naturale e le vicende storiche e culturali che in questa terra si sono svolte nel corso dei secoli. Gli artigiani, pur

accogliendo nuovi impulsi, sono fortemente conser-vativi e filtrano attentamente gli elementi estranei alla cultura agropastorale. La storia degli artigiani e dunque parte della nostra storia e narra le vicende di un popolo tenace e laborioso le cui opere hanno attraversato un lungo e travagliato periodo - denso di vicende economiche, sociali e culturali - che va dagli albori della preistoria sino ai nostri giorni.

GLI IRRIPETIBILI PRODOTTI DELL’ARTIGIANATO SARDO LUNGO I PERCORSI DEL TRENINO VERDE

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ph. Archivio GIA

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La prima Stazione di Nuoro, costruita nell’attuale piazza Ita-lia, venne inaugurata nel 1889 insieme alla linea ferroviaria a scartamento ridotto per Macomer. Solo negli anni Cinquanta ne fu deciso l’arretramento in via La Marmora, dove tutt’oggi si trova. Così, alla fine dell’Ottocento, il cuore della Sardegna veniva collegato con il resto dell’Isola, dopo essere stata esclu-so dalle Ferrovie Reali. Da questa città, «sul margine di fertili valli, con clima balsamico e acque salubri», ha inizio il viaggio di Corona. Le prime notizie sulla sua esistenza si trovano nei

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Nel 1896 Francesco Corona diede alle stampe una “Guida Storica artistica e commerciale dell’Isola di Sardegna”, convinto che un’opera di questa portata mancasse ai viaggiatori che si avventuravano per l’Isola. Egli, percor-

rendo le linee ferroviarie sarde, rese conto di ogni paese incontra-to, della grandezza, dell’economia, dei monumenti e della storia di quel piccolo pezzo di Sardegna. È suggestivo adesso, a distanza di più di un secolo, avvalersi del suo prezioso aiuto per viaggiare lungo la linea che attraversa la Sardegna da Nuoro fino alla Planargia, la zona della Malvasia, con quello che per noi è il Trenino Verde e che per lui era semplicemente un treno delle ferrovie secondarie.

Nuoro

IN VIAGGIO DALL’ATENE SARDA A BOSA

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Condaghi di Bisarcio, Silki e Trullas, redatti tra l’XI e il XIII secolo. Il villaggio medioevale di Nugor nacque dall’aggregazione di San Pietro e Seuna, oggi i suoi quartieri più antichi, ma gli altri rioni storici esistevano già alla fine del Seicento. La nostra guida la descrive «divisa in due dalla via Maggiore, che, con altre, pure larghe e dritte, la sezionano in molti isolati di case in granito, ge-neralmente basse, che la rassomigliano ad un borgo medievale e fanno dubitare che vi abiti una popolazione robusta e forte». In passato lungo quella che egli chiama via Maggiore, o Majore, oggi corso Garibaldi, sorgevano il municipio e un’antica chiesa perdu-ta. La cattedrale in stile neoclassico di Santa Maria della Neve

IN VIAGGIO DALL’ATENE SARDA A BOSA

DAL CANNONAU ALLA MALVASIA

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venne costruita invece nella prima metà dell’Ottocento e so-stituì la più antica Pieve di Santa Maria ad Nives, citata già nel XV secolo dal codice di San Pietro di Sorres. Nel quartiere di Seuna si trova inoltre la chiesa delle Grazie, la cui costruzione iniziò alla fine del XVII secolo e che oggi è uno dei monumenti principali della città. Corona si sofferma anche a descrivere gli abitanti, storicamente conosciuti per la loro tenacia e per propensione alla ribellione: «la popolazione», sostiene, «gode triste fama, forse a torto, mentre è piuttosto mite e laboriosa», ma ha un carattere caldo, appassionato, impetuoso. «Il Nuo-rese odia, come ama, tenacemente; né teme d’affrontare la legge pur di appagare lo slancio dell’amor proprio offeso», ma è «di bella taglia, di viso simpatico con occhi nerissimi, il suo aspetto è fiero e ardito» e le donne, scrive, sono bellissime. Particolare è poi la storia della frazione di Lollove, nominata anche da Corona: un borgo di origine medievale di poche deci-ne di abitanti, che sembra essere rimasto fermo nel passato. Le case antiche sono raccolte intorno alla chiesetta seicente-sca della Maddalena e non vi è alcuna attività commerciale. La leggenda narra che alcune suore, fuggite a causa della relazione carnale di una di loro con un pastore, scagliarono sul borgo una maledizione: “Sarai come acqua del mare; non crescerai e non morirai mai”. Così il villaggio è rimasto immu-tato nei secoli.

Superata la fermata di Prato Sardo il treno si ferma alla Sta-zione di Oniferi, un paese di origine medievale sorto «in suo-

lo fertile di cereali, orzo e vino», in cui si praticano la caccia e l’allevamento del bestiame, scrive Corona. Ma ciò che caratte-rizza il territorio di Oniferi è la concentrazione di siti archeologici: i nuraghi Soloai, Maddorocco, Murtas, Istorito, Ola e Predosu, la necropoli-santuario di Sos Settiles, la necropoli e il nuraghe Bro-du e soprattutto la necropoli a domus de janas di Sas Concas. Alcune delle domus recano infatti delle incisioni che raffigurano figure antropomorfe dritte e capovolte, che rappresenterebbero la concezione nuragica del ciclo della vita e della morte.

Si prosegue poi per Orotelli, sul versante meridionale della cate-na del Marghine. Secondo Corona vi si coltivano cereali, canapa, lino e vi si producono vino e formaggi squisiti. In realtà la povertà d’acqua di questo territorio lo rende adatto alla coltivazione dei cereali, mentre quella della vite e dell’ulivo sono meno praticate. La parrocchiale, nominata anche nella “Guida”, è intitolata a San Giovanni Battista e venne costruita in pietra vulcanica nel XII se-colo per ospitare momentaneamente la sede vescovile. Rimango-no ancora tracce del suo originario impianto romanico anche se parte è stata coperta di intonaco bianco.

Dopo essere passato per le fermate di Iscra e Tirso, il treno si ferma a Bolotana, paese «con belle vie, principale quella di San Salvatore, e splendide passeggiate, fra cui quelle che menano al rio Badu e alla chiesa di San Bacchiso», come lo descrive Coro-

Oniferi

Orotelli

Bolotana

Silanus, Santa Sabinaph. Emilio MelisSilanus Archivio STL Nuoro

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na. Questa chiesa campestre, costruita in trachite rossa in stile plateresco, fu consacrata nel 1597 ed è ancora oggi il fulcro di una festa importante per il paese. In trachite rossa fu costruita anche la parrocchiale intitolata a San Pietro, risalente al Seicen-to. «Nell’interno si osserva la gran tela del pittore sardo Benedi Orta, con la data 1591, e che rappresenta l’Assunzione, e in sa-grestia altro quadro del Massa, del 1775, la Pietà». Ma Bolotona è famosa soprattutto per la villa fatta costruire a fine Ottocento dall’ingegner Benjamin Piercy, a cui era stato affidato il progetto delle ferrovie sarde e che Corona definisce «un gran benefatto-re della Sardegna». Intorno all’edificio in stile liberty Piercy fece piantare un giardino di piante esotiche che egli portava con sé dai suoi viaggi.

La Stazione successiva è quella del pittoresco paesino di Lei, circondato dai monti e da una natura rigogliosa, alimentata dal-le molte sorgenti e dai corsi d’acqua. Di Lei Corona ci dice che ha clima salubre, vi si coltivano cereali e canapa e vi si produ-ce vino ottimo e formaggio pregiato. La sua economia è infatti prevalentemente agricola anche se negli ultimi anni il paese sta scoprendo anche la propria vocazione turistica. I visitatori sono attirati dalle bellezze del territorio, i boschi e le montagne con i loro panorami spettacolari, dai tanti siti archeologici, come le domus de janas di Su Ferrighesu e Muros, e dalla qualità prodotti enogastronomici locali.

A breve distanza si trova la Stazione di Silanus, un centro sorto in territorio molto fertile e ricco di selvaggina, «un sito delizioso, fra selve ricche di caccie e campi feraci di cereali, e vigneti e frutteti, bestiame e formaggi». Quest’area è ricca anche di testimonianze storiche: domus de janas, menhir, tombe dei giganti e nuraghi, come il complesso nuragico di Corbos, dei periodi prenuragico e nuragico, la cava di calce di epoca romana e dell’epoca bizantina è rimasta traccia nell’impianto circolare della chiesa romanica di Santa Sabina, costruita nell’XI secolo in una zona dove già sorge-va il nuraghe omonimo. È antica anche la chiesa di San Lorenzo, realizzata dai monaci cistercensi nel XII secolo, dove sono con-servati lacerti di affreschi del XIII secolo.BortigaliSi giunge poi alla Stazione del paese di Bortigali, sorto sull’al-topiano di Campeda, abitato sin dalla preistoria. Il nuraghe Oro-lo è il più importante della zona: costituito da un torre centrale, due camere e altri due corpi a tholos costruiti successivamente, questo sito era stato dotato di acqua corrente mediante un com-plesso sistema di canali che la convogliava da una sorgente poco distante. Il borgo nacque in epoca romana, sembra in seguito alla distruzione di Berre, un oppidum lungo la strada che da Kara-lis portava a Turris Libisonis, l’attuale Porto Torres. Secondo la leggenda sette famiglie scampate alla distruzione si insediarono nella zona, costruendo il primo nucleo del paese, le “sette paded-das”, “sette fuochi” ossia sette famiglie. Corona lo descrive «di

Silanus

Lei

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bell’aspetto, con la maestosa parrocchiale della Vergine degli Angeli», costruita in trachite rossa nel XVI secolo, in cui sono conservate quattro tavole del famoso Retablo di Bortigali del Maestro di Ozieri. Famosi sono anche i portali tardo gotici che ornano porte e finestre delle case del cen-tro storico, risalenti al periodo di dominazione aragonese.

Il paese di Birori sorge nella parte settentrionale dell’alto-piano di Abbasanta. Nei sui dintorni, scrive Corona, si tro-vano “avanzi di nuraghi”, tra i quali quelli di Arbu e Miuddu situati proprio nei pressi del centro abitato. Addirittura vi-cino alla Stazione si trovano i dolmen di Tanca Sar Boga-das e Sa Perda e S’Altare e le tombe di giganti di Lassia, particolari perché vi si trova una coppia di nicchie rialzate rispetto al pavimento, probabilmente usate per le offerte funebri. Come gli altri centri vicini, Birori ha un’economia prevalentemente agricola, cereali, vino, caccia e bestia-me, scrive Corona, ed è conosciuto per la ricca tradizione gastronomica, incentrata infatti sui prodotti della terra: pane bollito, pasta con pomodori secchi, zuppa di finoc-chietti e cipollata, poi brodi di carne, carni cucinate nei modi più svariati e lumache in umido, fino ai dolci a base di ricotta, formaggio e sapa.

Macomer è la Stazione di partenza del tratto di linea oggi esclusivamente turistico. La cittadina sorta su un gradino di rocce vulcaniche a 576 metri d’altitudine, che le rega-la «un immenso orizzonte con paesaggi splendidi e che

Birori

si protende fino alle montagne di Guspini e Villacidro a sud e al Gennargentu a est». Una posizione tanto privilegiata l’ha resa luogo ideale per l’insediamento umano sin dall’an-tichità. Lo testimoniano i numerosi siti nura-gici presenti nel territorio circostante, di cui il più antico è quello della grotta di Is Marras, dove sono stati rinvenuti numerosi reperti tra i quali la famosa “Venere di Macomer”, una statuetta della dea madre risalente al Neo-litico Medio o Antico. Corona dice di questa cittadina che ha «belle vie, case grandiose, e negozi e caffè discreti», un cimitero ricco di monumenti e un’antica parrocchiale a tre navate, S. Pantaleo, esempio di architettura gotica spagnola del XVII secolo. Macomer è ancora oggi un importante nodo commercia-le, favorito dalla sua centralità e dai collega-menti ferroviari con Nuoro e Bosa e stradali con Cagliari, Sassari e PortoTorres. Proprio verso Bosa partivano i prodotti dell’agricoltu-ra e dell’allevamento destinati all’esportazio-ne: «cereali, orzo, legumi, lino, frutta, olio e vini rossi e bianchi, buon formaggio e burro e lana, e pelli». E qui si tiene un’importante rassegna fieristica, “Macomer in Fiera”, a cui partecipano produttori ed espositori di livello locale e nazionale.La Stazione è ospitata, insieme a un alber-go, dalla elegante palazzina dell’industriale inglese Enrico Piercy, la cui famiglia acquistò la ex vetreria e ne fece una colonia agricola e

Macomer

Macomer, Menhir di Tamuliph. Emilio Melis

Silanus Archivio STL Nuoro

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industriale, specializzata nell’allevamento dei cavalli. Corona rac-conta che lì ogni anno si tenevano le corse ippiche «promosse e premiate dal Piercy, frequentate dagli abitanti di quella regione, tutti bravi cavallerizzi e appassionati per l’equitazione».

Il treno da Macomer prosegue in salita e si ferma a lato dell’ab-bazia di Santa Maria di Corte, così chiamata perché fondata per volontà del giudice Gonario di Torres. Secondo la tradizione egli, durante un pellegrinaggio in Terrasanta, incontrò Bernardo di Chiaravalle a Montecassino, che gli promise di inviare monaci ci-stercensi in Sardegna. Questi arrivarono nel 1149 e costruirono l’abbazia che infatti presentava gli stessi schemi architettonici dell’abbazia di Fontanay in Borgogna: un impianto a croce com-missa con un’aula a tre navate, di cui oggi è rimasta solo la parte del transetto.I resti di Santa Maria di Corte si trovano nel territorio di Sindia, fermata successiva a quella dell’abbazia, che nel Medioevo infat-

ti appartenne al Giudicato di Torres, da cui passò ai Malaspina e successivamente al Giudicato di Arborea. Secondo Corona anche l’antica parrocchiale di San Giorgio venne fondata dal giudice Gonario II di Torres. La presenza dei monaci cistercen-si in questa zona è testimoniata anche dalla maestria con cui è stata costruita la chiesetta romanica di San Pietro, situata al centro del paese e anch’essa riconducibile alla architettura re-ligiosa francese di Citeaux. Ma l’altopiano su cui sorge Sindia fu abitato sin dall’antichità, prima dalle popolazioni nuragiche e poi dai romani, che vi costruirono due ponti sul riu Carra-busu e di Oinu. Qui «le donne fabbricano tele e orbace, detto foresu», si producono poi cereali, lino, vino leggero e aspro, ma soprattutto formaggio «reputatissimo, uno dei migliori dell’iso-la». Dal punto di vista architettonico è sicuramente interessan-te Casa Virdis, palazzo nobiliare ottocentesco costruito dietro la parrocchiale di Madonna del Rosario, che incapsula una torre nuragica chiamata infatti “nuraghe Virdis” o “nuraghe Giambasile”.

Procedendo da Sindia verso la fermata successiva di Tinnura

Santa Maria di CorteSindia

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Tinnura

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si entra nella vera e propria Planargia: un territorio più pia-neggiante e coltivato, in cui i paesi sono molto vicini. Così questo paese condivide la Stazione con i vicini Flussio e Suni. Tutto il territorio è stato abitato fin dall’età prenura-gica, come dimostrano i menhir, il nuraghe Tres Bias e la tomba dei giganti Su Crastu Covocadu. Poi i Romani, attratti dalla fertilità di queste terre, vi fondarono aziende agricole che sopravvissero fino al Medioevo, periodo in cui Tinnura fece parte del Giudicato di Torres, poi del feudo amministra-to dai Malaspina e infine del Giudicato di Arborea. Del pae-se, come di Flussio e Suni, Corona dice che vi si producono cereali, coltivano ulivi e viti, e vi si alleva bestiame da cui si ricavano buoni formaggi. Ma ciò che colpisce immedia-tamente di Tinnura sono i colori: nelle strade si alternano infatti il rosso della trachite, il bianco del marmo di Orosei e il grigio di basalti, e le facciate delle case sono coperte da murales raffiguranti momenti di vita rurale. Tutto arricchito dalle statue di artisti di fama internazionale come Stefano Chessa, Simplicio Derosas, Carmine Piras e Pinuccio Scio-la.

Anche la successiva Stazione di Tresnuraghes è condivisa dal paese con Magomadas e Cuglieri, poco più distante. Il nome di questo centro sorto nella parte occidentale dell’al-topiano della Planargia, è legato alla presenza di tre nura-ghi, ma è famoso soprattutto per «il vino ottimo, specie la malvasia». Di questo territorio Corona racconta una leggen-da legata alla presenza di un monolite assomigliante a un giogo di buoi con il contadino nella campagna chiamata ap-punto di “Su juu marmurado”, «tramutati in pietra, secon-do la leggenda, perché questi mentre arava non si scoprì il capo al passaggio della statua di San Marco, che recavasi in processione alla sua chiesa rurale». E sono molte anche le chiese da visitare all’interno del paese, tra le quali spicca la parrocchiale di San Giorgio, intorno a cui il centro si svi-luppa con case basse con una struttura urbanistica molto caratteristica.

Tresnuraghes

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Dopo Tresnuraghes il treno si ferma alla Stazione di Nigolosu e poi a quella di Modolo, uno dei paesi più piccoli della Sardegna, come indicato anche dal nome derivato dal latino “modulus”, diminutivo di “modus” che significa “di piccola estensione”. La sua fondazione risale proba-bilmente al III secolo a.C. e si deve ai Fenici e ai Romani, ma nel 1609 rischiò di scomparire a causa di un’epidemia di colera che ne decimò la popolazione. Al Seicento risale la chiesa di Santa Croce, che si trova nel centro storico del paese come la chiesa parrocchiale intitolata a Sant’Andrea Apostolo, costruita nel Medioevo ma distrutta da un incendio nel 1828 e dunque ristrutturata. Da qui inizia il tratto più bello della linea, i cui binari corrono vicino al mare e alle bellissime spiagge di questa costa. Anche in questo paese, come in tutta questa zona dell’Isola, si producono cereali, vini ottimi e frutta, ma si commerciano anche, scrive Corona, «uva passa e fichi secchi squisiti». Questa è proprio la regione in cui si produce la Malvasia di Bosa, ricono-sciuta come un prodotto a denominazione di origine controllata.

Modolo

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Ed ecco il capolinea di questa linea e del viaggio con Francesco Corona: Bosa. Il Trenino oggi si ferma a Bosa Marina e i binari che giungevano fino al centro della cittadina sono dismessi.Bosa «vista da sud si presenta vaga e pittoresca, con belle strade interne e piazze e passeggiate amene», tra le quali Corona cita il romantico lungo Temo e il Corso, anticamente chiamato “Sa piatta” in quanto strada principale del centro, dove si trovano le antiche residenze dei nobili. Ancora oggi sul Temo si affacciano Sas Conzas, fabbricati un tempo adibiti alla concia e alla lavorazione delle pelli, una delle attività per cui era conosciuta in Sardegna e nel Mediterraneo.Le aragoste e il corallo, la frutta, gli uliveti e i vigneti della pregiata Malvasia, e poi l’allevamento, da cui si ricavano burro e formaggi, ecco i prodotti di Bosa secondo Corona. «In mezzo a tanta dovizia il Bosano ricorre pure al commer-cio, e perciò gira per lungo e per largo l’isola per ismerciarvi i suoi prodotti». Non per niente questa città sulla costa nord occidentale venne fondata dai

Bosa

fenici, gli antichi mercanti del Mediterraneo. E il mare è assoluto protagonista della cucina bosana, la cui regina è l’aragosta che condisce la pasta o viene servita come secondo piatto, condita semplicemente con il rinomato olio d’oli-va. Ma anche spaghetti all’astice, ai ricci o al nero di seppia.Visitare Bosa è un piacere per il palato e per gli occhi, che si fermano affasci-nati a contemplare il profilo particolare di questo centro sorto «sul declivio di un colle, sormontato dal castello di Malaspina, al cui piede scorre il Temo, con un ponte di sette archi e solcato da barche peschereccie». Secondo le notizie riportate da Corona, il castello di proprietà dei marchesi di Malaspina dello Spino Secco fu ceduto nel 1308 ai giudici di Arborea, che lo impegnarono al re d’Aragona nel 1323, ma tornò nelle mani dei giudici appena cinque anni dopo. La sua presenza copre Bosa di un alone medievale, «un passato di leg-gende, d’ eroi, di castellane, di falconieri, di giullari, di lotte e di tradimenti, che si perde nel buio dei tempi remoti». Qui si celebra la messa all’aperto che chiude la Sagra di Nostra Signora di Regnos Altos, una delle più caratteristiche della città.

Bosaph. Sarah Pinson

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Il viaggio di oggi si svolge – semplicemente – in una delle zone più belle del mondo: dal mare di Alghero a quello del-la Costa Smeralda e di Palau, attraverso paesaggi dell’in-terno nel nord della Sardegna, ancora poco conosciuti e

difficilmente raggiungibili in altro modo. E lo faremo utilizzando una delle antiche ferrovie dell’isola: 180 chilometri che attra-versano trasversalmente la provincia di Sassari e quella di Ol-bia-Tempio, passando per le colline dell’Anglona e le montagne ed il silenzio della Gallura.Questa ferrovia ha caratteristiche particolari, uniche, che accol-gono il viaggiatore e lo accompagnano con un’atmosfera sim-patica e accogliente, come in un viaggio già fatto e familiare.

Un po’ di storiaVenne costruita a pezzi in epoche diverse, poi uniti e collegati in un’unica lunga via.Il primo tratto venne costruito in Gallura nel 1888, per collegare Tempio alle ferrovie principali nella stazione di Monti, attraverso una linea che passava per il monte Limbara, e da qui fino a Ter-ranova, l’attuale Olbia. Dell’anno successivo è il tratto tra Sassari e Alghero: era fondamentale, per quei tempi, poter accedere ad uno sbocco al mare, unica via di collegamento con il resto del mondo.Passarono gli anni, ma la Gallura non era ancora collegata con

LE FESTE E LA CALOROSA ACCOGLIENZAdi Alessandro Boccone

Sassari,La Discesa dei Candelieriph. STL Nord Ovest Sardegna

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IN VIAGGIO DA ALGHERO ALLA GALLURA

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Sassari, la città principale del nord della Sardegna: solo dopo 40 anni se ne riprende a parlare per arrivare finalmente negli anni ’30 all’inaugurazione degli ultimi tratti: Sassari-Tempio, Luras-Palau, oltre ai pochi chilometri tra Sassari e Sorso. Questi ulti-mi rami, innestati sui precedenti, hanno consentito di rompere l’isolamento dell’interno e di formare un’unica lunga via coast to coast.

Il viaggioUn po’ forzatamente potremmo definirla la Alghero-Palau, per-ché in verità un treno diretto non c’è: bisogna spezzare il viaggio in più parti: da Alghero a Sassari, poi verso Tempio e, quindi, fino

a Palau, con la piacevole necessità di trascorrere una notte fuori in uno dei centri lungo linea.

La stazione di partenza è in località Sant’Agostino; fino agli anni ’80 ce n’era un’altra in prossimità del porto, ma il fabbricato venne demolito ed il binario fu smantellato per lasciare posto a palazzi e strade della città.Alghero è assai conosciuta per essere stata una colonia catala-na, e per averne conservato con orgogliosa tenacia la lingua. An-che l’antico borgo medioevale riporta ad un’atmosfera di secoli fa, e la torre e le mura danno ancora un senso di protezione e

Da Alghero a Sassari

LE FESTE E LA CALOROSA ACCOGLIENZA

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IN VIAGGIO DA ALGHERO ALLA GALLURA

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sicurezza da potenziali invasioni dal mare.Partiamo presto e saliamo su un piccolo treno formato da un singolo pezzo. Capiamo che la ferrovia è più stretta rispetto a quella delle Ferrovie ordinarie, ed in proporzione lo sono anche i mezzi. Lo scompartimento è contenuto: saliamo e troviamo una decina di persone già accomodate e ci mischiamo tra loro. Si riconoscono dei pendolari che raggiungono Sassari per la-voro, alcuni ragazzi locali, ma ci sono anche turisti. Colpiscono due coppie di stranieri che guardano attoniti dal finestrino, con una strana espressione giocosa. Incrociamo gli sguardi, sor-ridiamo e ci intendiamo: loro devono avere avuto, guardando noi, la stessa impressione. Siamo sorpresi, curiosi, contenti di intraprendere questo viaggio … e di vedere come andrà a fini-re la giornata. Questo treno è un mezzo decisamente allegro,

simpatico, così piccolo e grazioso. Ci accorgiamo di sorridere, senza apparente motivo, come iniziamo a muoverci e ad attra-versare le case della città.Da Alghero a Sassari ci vuole circa mezz’ora: ci sono numero-se corse quotidiane lungo tutto l’arco della giornata, quasi una metropolitana tra la quinta e la seconda città dell’isola.Il viaggio si svolge lungo una lieve e continua salita, costeggian-do estesi vigneti, superando alcune stazioni, tra le quali quella graziosa di Olmedo, poco distante dal magico Monte Baranta che sta donando, con le attuali campagne di scavo, preziose tracce sulla vita dei misteriosi protosardi.La giornata di oggi, però, la dedichiamo al viaggio su questo treno: andremo fino a dove ci porta, ci spingeremo il più lonta-no possibile dentro questa meravigliosa terra.Il mezzo è confortevole, nuovo, azionato da un motore diesel; ”diesel elettrico” – dice compiaciuto il capotreno, che ci infor-ma, però, che dovremo cambiarlo una volta arrivati a Sassari.E ci arriviamo in un baleno, senza neanche accorgercene.Scendiamo tutti nella bella stazione in comune con le Ferrovie dello Stato. I lavoratori e i ragazzi raggiungono frettolosamente

l’uscita, mentre noi cerchiamo il nostro nuovo mezzo. “Per Tempio? E’ quello.” - ci comunica un signore con i baffi, tipi-co ferroviere. Ed eccolo, sull’altro stretto binario, un treno si-mile al precedente, ma più vecchio, come fosse un parente più anziano. La struttura è simile, così come le dimensioni e, immagino, la tecnologia: “Il motore è diesel elettrico?” do-mando bluffando competenza, “No, è diesel meccanico.” Mi risponde quasi con sussiego il ferroviere. Mah.C’è grande attesa sul marciapiede: oltre a noi c’è un gruppo di una trentina di persone, metà sarde e metà d’oltre mare, probabilmente membri di una qualche associazione, le due coppie di turisti da Alghero, un gruppo di ragazzi e noi. Fac-ciamo gara di cortesia nel far salire per primi gli altri, poi ci accomodiamo in coda al treno.

Si riparte: prima destinazione Tempio. In certi periodi dell’anno l’azienda ferroviaria ripristina, per una-due volte alla settimana, i “treni a calendario” che portano in Gallura.Altrimenti è possibile viaggiare su questa linea anche du-rante tutto l’arco dell’anno, affittando un convoglio (è chia-mato “treno speciale”): il costo varia, per una giornata, da circa mille a duemila euro a seconda della composizione del convoglio richiesta. Ciò è possibile anche sulle altre linee ferroviarie ARST, lunghe più di 600 chilometri distribuiti tra Nuoro-Macomer-Bosa, Cagliari-Mandas-Sorgono e Mandas-Arbatax.In carrozza. Attraversiamo le case della periferia e scopria-mo che Sassari è grande, ricca di storia (“Visitate assolu-tamente il Museo Sanna” - ci avevano raccomandato) e di cultura: qui nacque la prima università sarda e una grande schiera di politici capaci ed importanti.Ha l’aspetto vivace e dinamico delle moderne città, e ci ri-

Da Sassari a Tempio

Alghero

IN VIAGGIO DA ALGHERO ALLA GALLURA

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Alghero, verso le Grotte di Nettunoph. Maurizio Artizzu

IN VIAGGIO DA ALGHERO ALLA GALLURA

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proietta nella ordinaria vita che conduciamo nella nostra. Ma la sensazione dura solo un istante, perché terreni coltivati a ulivi, muretti a secco e grandi viadotti in curva e gallerie, rapiscono la nostra mente e riprendiamo a volare sulle immagini.Ci fermiamo un minuto alla stazione di Osilo, poco distante dal paese che appare più in alto addossato ad un colle sulla cui sommità nel 13° secolo la famiglia dei Malaspina costruì un castello. E’ una caratteristica di questo tratto di linea: saremo sempre sorvegliati da un castello e poco dopo ci saranno quelli dei Doria a Chiaramonti e poco più avanti vicino a Perfugas, a protezione interna di Castelsardo.

Procediamo in salita fino alla fermata di Fenosu e, da qui, via in discesa fino a Nulvi, la cui stazione è curata, viva, sebbene leggermente decentrata rispetto al paese, famoso per la sfilata lungo le vie cittadine dei tre enormi Candelieri, in rappresen-tanza delle corporazioni cittadine.Qui sale una coppia di anziani locali. Anche se il treno è turisti-co ed ha un respiro internazionale, l’azienda ferroviaria ha dato la possibilità ai locali di poterlo utilizzare a prezzi ridotti per i collegamenti tra i diversi paesi lungo linea. Si forma, così, una piacevole commistione tra i viaggiatori, tra la spensieratezza dei turisti e la più posata serietà della gente locale impegnata nelle proprie faccende quotidiane.Il treno riparte: il paesaggio è a pascolo, piccole greggi di peco-re sparse tra le colline appaiono come piccoli punti che spez-zano il cromatismo del dolce paesaggio collinare dell’Anglona.Con andatura ondivaga, in un paesaggio tipo far west america-no, superiamo le stazioncine di Martis, e di Laerru, e arriviamo in un paesaggio diverso, formato da una piana conca verdeg-giante dove si trova la stazione di Perfugas. Qui scende il grup-po di persone salite con noi da Sassari: il paese meriterebbe una sosta – ci avevano avvertito – perché ci sono da vedere dei preziosi quadri e retabli, un interessante e particolare mu-seo paleobotanico, ma, soprattutto, un pozzo nuragico in pietra bianca, proprio di fronte alla parrocchiale, tra le case nel mezzo del paese.Noi non abbiamo la possibilità di fermarci, chissà un giorno. Ci

attendono le montagne della Gallura, con in prima fila come sentinella il ‘Monte Rosso’, e non vediamo l’ora di conoscerla tutta questa regione, prima le montagne e poi il mare.Dopo Perfugas, infatti, la ferrovia con un agile ponte attraversa il fiume Coghinas, il terzo per lunghezza della Sardegna, e con-fine naturale tra le due regioni Anglona/Gallura. Inizia una lun-ga salita, e il nostro treno arranca tra le curve ed i viadotti tra le prime propaggini della montagna più alta del nord dell’isola, il Limbara.Ci ritroviamo con i nostri vecchi compagni di viaggio da Alghero affacciati al finestrino, affascinati dal paesaggio e dal panora-

ma che si apre sulle piccole valli, per poi infilarci in una lunga galleria che, come fosse uno scherzo, ci ripresenta lo stesso panorama da un punto di vista poco più alto: siamo passati per quella che si può definire un’autentica opera d’arte d’ingegne-ria ferroviaria, una galleria elicoidale scavata all’interno della montagna. “La pendenza della linea non può superare il 30 per mille – ci informa seriosamente il capotreno – e i costrut-tori dovettero scavare per più di 600 metri questa galleria per poter superare un dislivello di appena una ventina di metri.” Ecco, sotto di noi, la linea appena percorsa, ed ecco la stazione di Bortigiadas, distante alcuni chilometri dal paese, così come quella successiva di Aggius, che appare elegantemente diste-so sotto una bella corona di monti.Finalmente Tempio: le prime case accolgono, abbracciandolo, il treno. La corsa termina in una bella stazione, che appare fre-quentata, con presenza di pullman e di tante persone.”E’ arrivato anche il treno da Palau” – ci informa il capotreno. Scendiamo tutti: il gruppo di ragazzi, i turisti, la coppia di an-ziani e noi.Nella stazione troviamo una sorpresa: la sala d’aspetto è ab-bellita dai quadri che vennero commissionati al pittore sardo Biasi per l’inaugurazione della linea proprio 80 anni orsono: raffigurano con incredibile realismo scene di vita della campa-gna sarda.Il simpaticissimo personale di stazione capisce che siamo af-famati di curiosità e ci accompagna, assieme ai nostri oramai

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IN VIAGGIO DA ALGHERO ALLA GALLURA

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ph. Enrico Pintus

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IN VIAGGIO DA ALGHERO ALLA GALLURA

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inseparabili amici stranieri, a visitare la vecchia officina. In-credibile a vedersi: un pezzo di storia industriale conservato fedelmente e ancora perfettamente funzionante. Il caposta-zione, masticando anche inglese “l’azienda ci fatto frequen-tare un corso di formazione” ci racconta come da un’unica cinghia motore centrale si possano ancora abbinare, attra-verso delle cinghie secondarie, diverse macchine utensili in parallelo e poter lavorare contemporaneamente su più pez-zi: una chicca tecnologica di 120 anni fa. Wonderful!Abbiamo deciso. Stanotte dormiremo fuori. Ci fermiamo a Tempio qualche ora per visitare la cittadina e pranzare, e questo pomeriggio prenderemo il treno per la costa di Palau.Tempio val bene una visita. L’architettura è caratteristica: la maggior parte delle case è realizzata con blocchi di granito che conferiscono al centro un aspetto semplice ma elegan-te, quasi austero. Procediamo a piedi con i nostri amici per le vie del centro e ci fermiamo per pranzo in un semplice ma ottimo ristorante: la cucina tempiese è assai apprezzata, realizzata con ingredienti semplici ma genuini e accompa-gnata da ottimi vini, come il famoso vermentino.Il treno per Palau riparte di pomeriggio, giusto il tempo per fare due passi e raggiungere nuovamente la stazione.Salutiamo calorosamente i nostri compagni d’avventura stranieri: loro ritornano verso la costa ovest di Alghero con il treno che parte poco prima del nostro. Ciao, à bientôt.Ci raggiunge un numeroso gruppo di persone: riconosciamo in loro volti visti poche ore prima: è la gente del mare di Pa-lau, noi invece siamo del mare di Alghero.Ci mischiamo e saliamo su un altro tipo di treno: li abbiamo proprio provati tutti.Questo, però, è decisamente diverso: due vetture in legno spinte da una locomotiva diesel meccanica (no “diesel elet-

Costume di Tempio

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trica”). L’atmosfera è diversa da quella dell’altro mezzo: è sempre contenuto, piccolo come gli altri, ma l’aria è più antica e vissuta, “le carrozze sono del 1930” ci aiuta il nuovo ca-potreno sorridendo come gli altri suoi colleghi e ci ritroviamo subito a nostro agio.

Da Tempio è una continua discesa. Il treno, dopo aver attra-versato sugherifici e stabilimenti di lavorazione del granito della zona industriale, si tuffa tra le sughere come per con-to suo, nel silenzio di questa terra e capiamo meglio ciò che scrisse Elio Vittorini, quando fece nel 1936 un viaggio identi-co al nostro, forse sulla stessa carrozza: “ Dinanzi ad un osta-colo, gira, non ha badato a scavarsi una galleria. Su una sco-scendimento cala senz’altro, trascurando di incastrarsi, come le pretenziose ferrovie d’altrove, in un letto più agevole… Si arrampica, ridiscende, come giù per una scala, si dimena da tutte le parti e talora si ritorce come a volersi mordere la coda. Sembra corra in libertà, facendosi il binario via via”.Raggiungiamo la stazione di Luras: il capotreno c’informa che da qui partiva il tratto più antico del 1888, ora purtroppo smantellato e utilizzabile, almeno in parte, come pista cicla-bile.Si procede in discesa attraversando alcune fermate, finchè all’altezza della stazione di Sant’Antonio si apre un bel pa-norama sul lago sottostante del Liscia. Attraversiamo una galleria ed il paesaggio cambia nuovamente: la vegetazione è meno fitta, la luminosità è aumentata: ci accorgiamo che il mare è vicino, ma non lo vediamo ancora. Ecco la stazione di Arzachena, centro famoso della Costa Smeralda e ad alcuni chilometri dalla costa.

Procediamo ancora per un lungo rettilineo, dritto verso nord, attraversiamo la strada statale e via verso il mare. Siamo un po’ stanchi, il viaggio è stato lungo, la giornata piena di stimo-li, ma non è ancora finita: con una repentina svolta, il treno si affaccia su un panorama che ci mozza il fiato sulla costa gallurese, una visione splendida da Porto Rafael all’Isola di Santo Stefano.Arriviamo alla stazione di Palau, ma non scendiamo qui, per-ché il centro ha due stazioni. L’altra la raggiungiamo dopo che il treno ha effettuato una curiosa manovra tecnica indispen-sabile a causa del poco spazio disponibile per poter tracciare una curva: ecco Palau Marina, dove la stazione è sul molo, di fronte all’imbarco per La Maddalena.Come scendiamo ci saluta un gentile capostazione, al quale chiediamo informazioni perchè ci fermeremo qui per la notte e domani faremo il viaggio di rientro.Palau è un importante centro turistico, cresciuto soprattutto negli ultimi anni grazie alla sua posizione geografica e alla bellezza della costa. Troviamo tante persone, turisti, barche. Siamo quasi frastornati da questa atmosfera briosa, solare, viva. Quale contrasto con il nostro viaggio appena concluso attraverso le colline e le sughere. Ora ci buttiamo in questa at-mosfera: riusciamo anche a fare il bagno in questo splendido mare. Possiamo confrontarlo con quello di Alghero? Impossi-bile! I colori, il fondo, la trasparenza, la costa, l’intorno sono entrambi magnifici e di una bellezza assoluta.Dalla spiaggia si scorge il piccolo caseggiato della stazione: possiamo chiudere gli occhi e lasciarci andare e ripercorre-re con il pensiero quella lunga via ferrata che porta fino ad Alghero.

Palauph. Paolo Curto

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IN VIAGGIO DA ALGHERO ALLA GALLURA

Da Tempio a Palau

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I riti del cibo Da dove arrivarono gli antichi abitatori della Sarde-

gna? Provenivano dalle coste del Medio Oriente, oppure dalla penisola iberica o, ancora, dall’Africa mediterranea? Difficile dirlo. Ancora oggi non è dato

sapere con assoluta certezza come e quando abbia avuto inizio il popolamento della Sardegna. Tuttavia, negli ultimi decenni, le indagini condotte attraverso l’esame del dna hanno aperto agli studiosi nuove strade ed oggi l’archeologia e l’antropologia di-spongono di indicazioni preziose sulle origini dei sardi. Tra non

molto, proprio con l’ausilio della genetica, potremo esse-re in grado di sfilare il sottile velo che avvolge la nostra preistoria. Recenti studi attestano che in Sardegna l’espansione de-mografica si sarebbe verificata - con molta probabilità - nel paleolitico, in un periodo compreso all’incirca tra 27 mila e 78 mila anni fa, allorché l’Isola costituiva un unico grande blocco con la Corsica. Era in atto la glaciazione wurmiana e il livello del mare - notevolmente più basso

di Antonello Angioni

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Ph. Antonella Fadda

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rispetto all’attuale - aveva permesso la formazione di una sorta di ponte tra il blocco sardo-corso e le coste della To-scana, circostanza che favorì flussi migratori di popolazioni “continentali” le quali, alla ricerca di un clima relativamente mite, si spingevano verso le aree più meridionali. Per tale ragione gli studiosi ritengono che la parte di territorio cor-rispondente all’attuale Corsica venne popolata in una fase successiva (tra 15 mila e 42 mila anni fa) quando si era registrata un’attenuazione della rigidità climatica.

Peraltro in Sardegna la cultura materiale si sviluppa in un’epoca assai successiva, vale a dire circa 8 mila anni fa, nel neolitico antico, con la creazione dei primi insediamenti umani stabili e la produzione di rudimentali utensili di pietra lavorata. E’ proprio all’inizio del VI millennio a.C. che la co-lonizzazione neolitica, partendo dall’Oriente fertile (la Me-sopotamia), investe vaste fasce costiere e le isole del Medi-terraneo occidentale gettando per mare i germi della nuova civiltà conseguente alla prima grande “rivoluzione agricola” ed alle relative innovazioni socio-economiche.Da allora la Sardegna è attraversata da un’interessante se-quenza di manifestazioni culturali. La cultura di Bonu Ighinu è la prima a svilupparsi, intorno al 3.900-3.600 a.C., a Mara in provincia di Sassari, attraverso la produzione di cerami-che e macine da mulino. Quindi, fra il 3.000 e il 2.500 a.C., si afferma - inizialmente nei pressi di Ozieri e dunque sem-pre nel Nord della Sardegna - la cultura di San Michele. Due grandi opere contraddistinguono questo periodo: la ziqqu-rat di Monte d’Accoddi, a pochi chilometri da Sassari, e la necropoli di Pranu Mutteddu, nei pressi di Goni, sull’ altipia-no del Gerrei. Coeva alla cultura di San Michele é la cultura di Arzachena: a Li Muri, una località a pochi chilometri dalla Costa Smeralda, sorge il più imponente complesso di tombe a circolo della Gallura.

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Alla fine del III millennio a.C., nei pressi di Cagliari, fa la com-parsa la cultura di Monte Claro (detta anche del vaso cam-paniforme) e, nei pressi di Osilo, la coeva cultura di Abealzu Filigiosa. Intorno al 1.800 a.C., mentre si afferma la cultura di Bonnanaro, ha inizio la civiltà nuragica che rappresenta la manifestazione più originale e compiuta della preistoria sar-da. Tale civiltà, che troverà espressione attraverso quindici secoli, ha lasciato i nuraghi: i maestosi monumenti di pietra che ancora oggi contraddistinguono le grandi solitudini della Sardegna.La Sardegna è una terra dove tutto richiama il passato. Un sot-tile filo lega la cultura prenuragica e nuragica a quella fenicio-punica, romana e cristiana. Il fatto di essere un’isola, infatti, se da un lato ha comportato molti svantaggi, al tempo stesso, ha determinato la ripetizione - nel corso del tempo - dei mo-delli comportamentali e culturali e quindi ha favorito il mante-nimento di un’identità più spiccata, immediatamente avverti-bile da parte di chi entra a contatto con questa terra. Il popolo sardo, per l’ isolamento geografico, da sempre è stato costret-to alla riproposizione della propria cultura sulla quale hanno operato, secondo una dialettica fatta talvolta di aspri conflitti e più spesso di graduali integrazioni, le influenze esterne de-rivate dalle varie dominazioni. Tuttavia l’assorbimento non é mai stato acritico e passivo. I sardi hanno sempre rielaborato i modelli esterni che hanno adattato al loro linguaggio ed alla

loro cultura primordiale.Per questo carattere dei sardi - aperto ma, al tempo stesso, “conservativo” e “resistenziale” - la cristianizzazione dell’Iso-la non fu né semplice e né rapida: circostanza che favorì il permanere, frammisti alla religione che si andava imponendo, di elementi pagani taluni dei quali riscontrabili ancora oggi. In certe preghiere rivolte al Cristo non mancano invocazioni al sole e alla luna. Sa perda de s’ogu, usata contro il malocchio, ad esempio, diventa l’occhio di Santa Lucia. Per sconfiggere le antiche idolatrie il clero, più di una volta, ha dovuto assorbirle cercando di darle un significato cristiano. Del mito di Adone - la divinità che moriva e risorgeva ogni anno simboleggiando la natura fiorente spenta dall’inverno e ride-stintesi nella primavera, e dunque il perenne alternarsi della stagioni - ancora permane in tutta la Sardegna una fievole eco nell’usanza di deporre i vasetti contenenti i pallidi steli de “su nenniri”, germogliati nell’oscurità, intorno al sepolcro del Cristo durante la Settimana Santa: così come facevano gli antichi fe-nici offrendo i germogli del grano a quel loro giovane dio.Reminiscenze bizantine (derivanti dalla chiesa greca) sono tuttora presenti nel rito della benedizione delle case in occa-sione della Pasqua da parte del prete (il mangiamò). Di questo rituale si tramanda una misteriosa filastrocca che dice: “Man-giamò, Kilissò, Kifané; un’anguli a su piccioccu, tre arrialis a sa craccida”.

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Ph. Antonella Fadda

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In fondo, a pensarci bene, anche la Pasqua si ricollega in qual-che modo ad una tradizione precedente al cristianesimo. Infatti, come tutti sanno, a differenza del Natale, é una festa “mobile”. Più precisamente viene celebrata nella prima domenica suc-cessiva al plenilunio dell’equinozio primaverile. Per tale ragione cade nel periodo compreso tra il 22 marzo e il 25 aprile. La Pa-squa si ricollega dunque al calendario lunare biblico: così venne stabilito nel Concilio di Nicea del 325. Dalla data in cui cade la Pasqua dipendono tutte le altre feste mobili dell’anno liturgico.Più in generale - anche in Sardegna - simbologie, ritualità e cre-denze cristiane si fondono con elementi culturali e materiali del substrato pagano e magico. Spesso rosari, amuleti, reliquari, ex voto e talismani convivono e si confondono facendo emergere significativi elementi di continuità. Qui la gente ha una religiosi-tà antica, carica di echi e suggestioni, una spiritualità cristiano-pagana che affonda le radici nelle diverse dominazioni: fenici, romani, vandali, bizantini, spagnoli. Ogni popolo che é sbarcato in questa terra ha portato non solo le armi e i desideri di egemo-nia ma anche la sua religione e le sue credenze.Molti dei luoghi in cui le popolazioni primitive si recavano ad adorare gli idoli di pietra hanno mantenuto nel corso del tempo la loro destinazione sacra. La chiesa di San Giovanni del Sinis, ad esempio, è stata costruita sui resti di un luogo di culto roma-no che si sovrappose ad un precedente tempio punico il quale, a sua volta, era stato innalzato sui ruderi di un tempio più antico legato al culto delle acque. E ancora, sotto il tempio romano di Antas dedicato al Sardus Pater, la maggiore divinità della Sardegna antica, riaffiorano i resti di un precedente edificio cartaginese che numerose iscri-

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zioni puniche indicano dedicato al dio Sid. E tutto intorno si trovano importanti vestigia della civiltà nuragica, la cultura indigena che precede e poi affianca quelle dei primi domi-natori. Evidentemente in questo luogo ci fu una continuità del culto pur nel mutare dei protagonisti. Nel corso dei secoli dunque le divinità cambiano ma il carattere sacro del luogo resta e con esso permane il sentimento religioso del popolo ed il valore che si collega allo spazio fisico in cui il culto si esprime nelle forme esteriori. Nelle città la stratificazione sto-rica è ancora più evidente.L’attuale abitato di Sant’Antioco, ad esempio, presenta una struttura urbanistica piuttosto complessa, retaggio dei vari insediamenti succedutisi, senza soluzione di continuità, nel corso del tempo. La moderna cittadina occupa gran parte del sito dell’antica colonia fenicio-punica di Sulci di cui pertanto non sono visibili emergenze monumentali di particolare rilie-vo. La basilica di Sant’Antioco martire, consacrata dai mona-ci vittorini nel 1102, costituisce la riedificazione di una chiesa più antica di epoca bizantina, risalente al VI secolo, realizzata in forme architettoniche assai simili al San Saturno di Caglia-ri. Ma nella stessa area, in precedenza, erano state ricavate le catacombe paleocristiane, parzialmente sovrapposte ad una preesistente necropoli punica. Ed ora la basilica presen-ta una facciata tardo barocca, del Settecento, forse disegna-ta dall’ingegnere militare Saverio Belgrano di Famolasco.La Dea Madre, divinità comune a tutte le popolazioni neoli-tiche del Mediterraneo, era considerata il simbolo della fer-tilità e della rigenerazione della vita ed esprimeva la spiri-tualità di un popolo ancorato ad una struttura sociale di tipo

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matriarcale. Venne scolpita almeno quattromila anni fa, con un’essenzialità plastica davvero impressionante, proprio per simboleggiare la natura feconda e rigeneratrice. Ad essa si ricollega - con molta probabilità - anche la figura di Orgia, divi-

nità fecondatrice adorata nelle primitive società sarde.La radice “org” - che significa acqua - la ritroviamo in numero-si toponimi della Sardegna: Orgosolo (che venne edificata in un terreno acquitrinoso), Sorgono (che, non a caso, presenta un territorio ricco di sorgenti), ecc. Secondo i filologi il termine òrgia si ricollega al sànscrito ûrg’âs che, tra i vari significa-ti, ha quello di “succo” e quindi di liquido. L’India antica é dunque un mondo meno lontano rispetto a quanto si possa pensare: la radice culturale é la stessa. Quando si parla di popoli “indoeuropei” si fa riferimento proprio a questa comu-nanza di origini. Fatto sta che i caratteri culturali del sànscri-to vennero in parte assorbiti dalla lingua greca per giungere poi sino a noi attraverso la civiltà latina.Le òrgie erano cerimonie a carattere religioso che si compi-vano in uno stato di esaltazione e convulsione. Presso le po-polazioni elleniche il termine indicava certi sacrifici notturni - che si celebravano in onore di Bacco - ai quali erano ammessi i soli iniziati e dove, sotto l’ influsso del vino, si commettevano cose indicibili. Chissà se analoghe cerimonie si svolgevano anche nell’antica Sardegna. Nelle società tradizionali, attra-verso il banchetto, soprattutto se notturno, si univano cibo ed

eros, si coniugava il bisogno primario del cibo al bisogno, altret-tanto primario e potente, dell’attrazione sessuale. La cultura sarda, all’origine, esprimeva anche una colleganza profonda con i flussi della vita, con le pulsioni primarie dell’uomo sano

nella sua pienezza di persona, con ritmi e tempi ancora capaci di gustare eros e cibo immersi nel grande respiro della natura.In epoca punica, nell’Isola la dea più venerata e temuta era Ta-nìt: simboleggiava l’amore e la morte ed esigeva dai suoi fedeli anche sacrifici umani. In tale periodo doveva essere diffuso anche il culto del dio Bes, di sicura origine egiziana, penetrato tra i fenici in conseguenza della lunga dominazione esercitata dai faraoni nella terra di Canaan. Statue di questa divinità ven-nero ritrovate a Karalis, Maracalagonis, Bithia e Fordongianus. Inoltre erano praticati i culti di Baal, Melqart, Sid, Ashtart, Iside (di origine egizia con Bes), Demetra (di origine greca) e di altre divinità. Questi culti, sotto il dominio di Roma, non scompaiono ma subiscono processi di graduale adattamento che confer-mano la continuità delle pratiche religiose e delle credenze tra le popolazioni sarde. Stessa continuità è dato reperire nella va-sta produzione artigianale: quei medesimi motivi ornamentali geometrici presenti nelle ceramiche che vanno dal VI millennio a.C. fino alla colonizzazione romana li ritroviamo ancora oggi non solo nei vasi di Assemini e di Oristano ma anche nei tap-peti di Mogoro, di Samugheo, di Uras, di Nule, di Isili e di tanti altri centri dell’Isola. E ancora li ritroviamo negli arazzi e nelle

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cassapanche lavorate a Desulo, Tonara e Aritzo.L’artigianato sardo, nelle sue espressioni autentiche, riflette l’indole delle popolazioni, l’ambiente naturale e le vicende storico-culturali che si sono svolte in questa terra d’antica

verte immediatamente anche nella straordinaria ricchezza del canto, dei suoni e dei balli popolari. Appartiene al folk-lore musicale sardo uno dei più antichi strumenti del Me-diterraneo, le launeddas, il cui suono misterioso esprime l’anima di questa terra e delle sue genti. La diffusione di tale strumento fin da epoca anteriore alla colonizzazione punica è documentata attraverso il bronzetto del suona-tore, rinvenuto in agro di Ittiri, attualmente custodito nel Museo archeologico nazionale di Cagliari.In questa terra il canto funebre più diffuso è detto attìti-du (dal latino attitiare che significa attizzare, rinfocolare): nome che deriva senza ombra di dubbio dalla sua primiti-va funzione che era quella di incitare alla vendetta per un morto ammazzato. In seguito s’attìtidu ha subito un’evolu-zione e si è stemperato nella forma di lamento del dolore e di canto delle qualità del defunto.Molti dei riti e dei canti religiosi tuttora presenti nell’Isola risalgono alla dominazione iberica. Durante i quattro seco-li in cui la Sardegna fu prima catalana e poi spagnola, il popolo sardo assimilò gradualmente non solo le istituzio-ni, le leggi, la lingua, la cultura e le tradizioni, ma anche il costume e il modo di pensare. Ma l’assimilazione, come detto, non fu acritica e passiva. E proprio in tale periodo, at-traverso un graduale processo, maturò la consapevolezza dei sardi di essere un popolo “distinto” da suoi dominatori: consapevolezza che costituisce la base fondamentale per l’affermazione della propria identità etno-storica e dei valo-ri della moderna autonomia.

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civiltà. I sardi, pur accogliendo i nuovi impulsi, sono conservatori. Per tale ra-gione le produzioni artigianali si sono evolute rimanendo sostanzialmente fedeli alla tradizione e ancora oggi ri-velano una straordinaria ricchezza di fantasia che si esprime in manufatti di rara bellezza e originalità.La continuità ha determinato, nel corso dei secoli, il formarsi di una forte iden-tità culturale, dai connotati etno-storici, che si coniuga con un territorio in cui la qualità ambientale si mantiene assai elevata nonostante certi interventi ur-banistici inadeguati. Spesso, soprattut-to nelle zone interne, le attività umane fanno parte esse stesse del paesaggio, insieme di elementi naturalistici e an-tropici che differenzia la Sardegna da ogni altra terra.Ma la diversità della Sardegna la si av-

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La donna che scrive ha con la cucina, da sempre, un rapporto di doppia valenza In quanto donna si scontra con le “domestiche” faccende, quindi impara presto a cucinare per sé e per gli altri (pri-ma per gli altri, poi per sé…) Ma in quanto donna che scrive deve

conquistare un suo spazio anche all’interno del codice comportamentale che donnesco non è, bensì squisitamente, all’origine, maschile.Così molte scrittrici hanno vissuto il loro lavoro intellettuale con vistosi sen-si di colpa, come tempo “rubato” alle attività riconosciute femminili. Alla cucina, appunto. Ed Alba De Cespedes, nel 1952, dà alle stampe un libro, in questo campo, divenuto esemplare, Quaderno proibito, in cui la protago-nista Valeria scrive di notte, in cucina, dopo aver riassettato i piatti e messo a letto marito e figli, nascondendo il “quaderno proibit”’ perché convinta di aver trascurato la famiglia.A differenza di Valeria che, alla fine del romanzo, brucia il quaderno e ri-torna a fare la madre e la nonna a tempo pieno, Grazia Deledda riuscì a coniugare nella sua vita di donna, la cura della famiglia con la sua grande, vera vocazione alla scrittura.Fin da ragazzina Grazia Deledda aveva una certezza, quella di vivere un destino segnato, come la maggioranza dei suoi personaggi. Il destino di Grazia, Grazietta per i familiari, era quello di scrivere, di descri-vere la sua Sardegna, il suo popolo così poco conosciuto e troppo spesso giudicato dall’esterno, senza prova d’appello! Insomma, narrare la Sarde-gna era, per Grazietta, uno scopo di vita cui si preparò giudiziosamente fin

da ragazzina.E’ soprattutto attraverso il romanzo autobiogra-fico postumo Cosima che apprendiamo quanto precoce e pulsionale sia stata la passione di Grazia per la scrittura; scopriamo l’avversione e la diffidenza del piccolo paese (allora Nuoro con-tava circa sei mila abitanti) nei confronti di una ragazza che, sfrontatamente, usciva fuori dai ca-noni comportamentali e dai ruoli affidati a maschi e femmine nella società agro-pastorale, patriarca-le, barbaricina. Ma Grazietta non si fa intimorire e mentre in cucina segue i rituali della preparazione del cibo, del ricamo della biancheria, guarda dai vetri verso le bianche cime del monte Ortobene che sovrasta Nuoro, che un altro scrittore nuorese, dopo di lei, Salvatore Satta, descrisse come “nido d’aquila”. E come un’aquila, forte, la scrittura di Grazia si leverà in volo ed avrà il vigore sufficiente per portare a conoscenza degli italiani, al di là del mare, le tradizioni e la vita vera della sua gente.Grazia Deledda portò con sé, come preziosa te-stimonianza e competenza personale, tutto quel patrimonio di cultura che conferì originalità e spes-

GRAZIA DELEDDA MARIA CARTA

Quei pranzi di Grazia Deleddae Maria Carta

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di Neria De Giovanni

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Quei pranzi di Grazia Deleddae Maria Carta

sore alla sua scrittura.Nella sua narrativa la casa ed in particolare la cucina è il luogo dove si scatenano le tempeste dei sentimenti, si coltivano rancori ed odi, si arriva al pentimento ed alla espiazione.La cucina inoltre è l’unica stanza in cui le rigide divisioni tra i ceti sociali ed i sessi, padroni e servi, maschi e femmine, possono ma-gicamente essere abbattute. In cucina dorme il servo accanto al camino e la padrona prepara il caffè per l’ospite (Canne al ven-to); in cucina può entrare il bandito in fuga e trovare conforto ed amore tra le braccia dell’ex-padrona (Marianna Sirca); nel giaciglio allestito in cucina, il vano più caldo della casa nel rigido inverno nuorese, si compie il rito di morte con cui Annesa, ‘figlia d’anima’, uccidendo il vecchio zio Zua, sacrifica la propria giovinezza al ri-morso, per salvare il padrone-amante (l’Edera). Attraverso le ricette tratte dai testi più importanti di Grazia Deled-da, si può ripercorrere la veritiera tradizione culinaria della gente barbaricina ed insieme capire dall’interno di un elemento antro-pologicamente e culturalmente femminile, il mondo narrato dalla scrittrice. Gli ingredienti utilizzati dalla cucina deleddiana nei romanzi sardi sono tutti appartenenti all’economia agro-pastorale della società di appartenenza.Oggi la nouvelle cousine è, paradossalmente, la più rigorosa nel

ritornare all’antico.Si riscoprono le cosiddette “cucine povere”, le ricette della non-na che, vivendo presumibilmente in tempo di guerra, lontano dalla nostra società consumistica gonfiata di ormoni, doveva in qualche modo inventarsi ogni giorno piatti diversi, giostrando con tanta fantasia e pochi mezzi, e pochi ingredienti gastro-nomici.Proprio come le ricette deleddiane che spesso sono presentate all’interno di un rituale comportamentale, di un “galateo” di ci-viltà purtroppo dimenticato.La Sardegna è terra di grandi donne, Grazia Deledda, appun-to, e lontano , con sguardo “di legge “ Eleonora d’Arborea, ma , molto più vicino a noi, l’indimenticabile e indimenticata Maria Carta.Mi piace chiudere queste note con un ricordo personale, che ci lega alla buona tavola…Era Pasqua. Maria si trovava ad Alghero con l’allora piccolo David, suo figlio.Amava la città catalana, ne amava il mare e gli amici.Anche i miei figli allora erano piccoli e sapevo che a Maria fa-ceva piacere stare in famiglia. Le proposi un pranzo nella cam-pagna di mia sorella: io apprezzo molto la buona tavola, ne scrivo pure ma in quanto a cucinare, lascio il compito a mani più esperte. Quelle di mia sorella, appunto e di suo marito che nato a Escalaplano, cucina “alla nuorese”.Così ci fu un vero e proprio banchetto, con ravioli di formaggio, il maialetto cotto allo spiedo, all’aperto, olive e sebadas e for-magelle, dolci di Pasqua. Ma soprattutto ci furono le risate e gli occhi splendenti di Maria, il suo schernirsi davanti a richieste di canto (“Qui sono Maria amica non Maria cantante…”).Ricordo anche un particolare che non è molto “culianario” ma che rende indelebile quell’immagine nella mia memoria: sulla tavola ancora apparecchiata e con bricciole di dolci e macchie di vino allegramente traboccato dai bicchieri, ho poggiato il mio (primo) computer portatile, un “primitivo” Zenit, e all’om-bra delle querce, mentre gli altri commensali sonnecchiavano, abbiamo lavorato alla revisione delle sue poesie che, pubblica-te nella raccolta “Canto rituale” non più in commercio, Maria avrebbe voluto io ripubblicassi con una diversa scelta e con l’aggiunta di nuovi testi. Cara Maria, qualche giorno arrivai con l’auto in via Barbagia, sotto casa tua, per prenderti e portarti a pranzo da me , ad Alghero, (anche quel giorno c’erano i ravioli, oh poca fantasia!). Ricordo che dopo ti accompagnai all’aeroporto perché dovevi prendere l’aereo del pomeriggio per Roma: andavi ad una vi-sita medica di controllo.Non ti avrei più rivisto.

il trenino dei saporiattorno alle grandi tradizioni dell’isola

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Niente di più avventuroso che partire con il Tre-nino, attraversare paesaggi collinari, inerpicar-si su per ripidi pendii, attraversare gallerie e all’uscita dal tunnel sprofondare nel verde dei

boschi e delle foreste per godere, attraverso i colori e i profumi, di un pezzo di cultura della storia della Sarde-gna.Dopo il fascino offerto da splendidi paesaggi ricchi di flora e fauna, aver costeggiato fiumi e laghi, si inizia a scendere lentamente di quota per riemergere in pianura magari sul Molo di Cala Genovesi di fronte alle Rocce Ros-se dell’Ogliastra e iniziare una nuova avventura, questa volta su una imbarcazione da pesca, per lasciarsi avvol-gere dal blu del mare.Da diversi anni si sono affacciate sul panorama delle of-ferte turistiche la pescaturismo e l’ittiturismo, un nuovo modo di concepire un giorno di vacanza all’aria aperta, di immergersi nelle cromie del mare o nella quiete di un ambiente costiero e trascorrere una giornata da protago-nista, tra cultura e divertimento, in barca o nelle strutture a terra dei pescatori della Sardegna.Due attività ecosostenibili, pensate per rivalutare il ruo-

lo sociale del pescatore, per dare dignità economica al suo nucleo familiare ma anche per proteggere e tutelare un mestiere antico affinchè la sua “conservazione” di-venti un importante fattore di promozione della qualità della vita e di sviluppo economico per le comunità co-stiere dipendenti dalla pesca.Esperienze entusiasmanti che possono essere vissute sia da grandi che da piccini, da condividere in coppia, con la famiglia, con gli amici o da godere da soli.Itinerari alla scoperta del mare e delle sue creature a bordo di una vera imbarcazione da pesca, oppure in la-guna, ma sempre a stretto contatto con il pescatore per apprendere “modi di vita quotidiana ed esperienze di vita vissuta”.La pescaturismo e l’ittiturismo sono infatti uno straordi-nario connubio di attività ricreative con attività didatti-che, nate per creare un contatto tra l’uomo e l’ambien-te allo scopo di arricchire il bagaglio di conoscenze sul mondo della pesca professionale relativo agli attrezzi utilizzati, alle specie pescate, all’artigianalità del saper fare, alle identità culturale e storica.L’escursione di pescaturismo non è la tipica “gita in bar-

Dal verde al blu:itinerari di terra e di mare

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A cura dell’Agenzia Regionale Laore Sardegna

Ph. Gianna Saba

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ca” e la permanenza in un ittiturismo non è “soggiornare in al-bergo”…, sono giornate di vacanza attiva, nuovi approcci verso la diffusione della cultura del mare e delle tradizioni marinare, esperienze in grado di stimolare intensamente i cinque sensi: l’udito per il frangersi delle onde sullo scafo o per le grida degli uccelli acquatici; la vista per i meravigliosi scorci che si aprono su baie, grotte e scogliere; il tatto per la stupefacente sensa-zione che si prova smagliando pesci e molluschi; l’olfatto per la fragranza emanata dal pesce fresco; il gusto per la varietà di sapori dimenticati che si ricavano da antiche ricette locali, affichè si risvegli in tutti noi la “sensibilità” e il desiderio di proteggere e conservare quanto madre natura offre.Se scegliete l’escursione di pescaturismo si parte la mattina, quando il sole è già alto nel cielo, per andare a salpare le reti. Il pescatore, depositario di una cultura millenaria, attirerà tut-ta la vostra attenzione con i suoi racconti e dopo aver ammira-to tutte le specie pescate vi condurrà in luogo tranquillo per un tuffo e una nuotata in acque limpide e cristalline a ridosso di spettacolari calette, o al largo, lontano dalla terra ferma.Se scegliete l’esperienza dell’ittiturismo potrete passeggiare intorno alla laguna e osservare le operazioni di pesca che si svolgono presso le strutture di cattura, osservare le numero-

se specie di uccelli che nidificano in questi ambienti e godere dei silenzi della natura in un clima di assoluto riposo.Mentre si gioca e si nuota, o si passeggia, iniziano i pre-parativi per poter gustare il pesce appena pescato: il momento più atteso della giornata.Sia in barca che a terra, comodamente seduti intorno ad una tavola festosamente imbandita si chiacchiera, si scherza assaporando la genuinità delle pietanze servi-te, accompagnate dai vini tipici dei territori visitati.Un’avventura per creare sensazioni, dense di profumi, sapori, colori e tradizioni.Ma non finisce così, soprattutto se scegliete un ittituri-smo con accoglienza notturna.Nella casa del pescatore, circondati da persone cordiali e gentili, immersi in una serena atmosfera potete ab-bandonarvi ad un sonno tranquillo e al mattino…conti-nua l’avventura.Rimarrà il ricordo di una giornata incantevole, trascor-sa in compagnia di pescatori esperti e della loro stessa famiglia, attenti a suscitare emozioni che solo il mare o gli ambienti lagunari possono regalarvi.Una speranza: quella di aver arricchito il bagaglio di co-noscenze sul mondo della pesca professionale affinchè, riprendendo i ritmi di vita abituali, i comportamenti ver-so la risorsa acqua, tanto immensa quanto fragile, siano più responsabili e consapevoli.La porta d’accesso è la Sardegna, antica Isola immersa nel blu del Mediterraneo, ricca di baie e di incantevoli spiagge ma anche di coste frastagliate e scogliere moz-zafiato e, disseminati ai margini di un territorio incon-taminato, una straordinaria varietà di stagni e lagune costiere, una tipicità dell’Isola tutta da scoprire per l’in-credibile numero delle forme di vita che contengono, o meglio di biodiversità.Oggi, grazie al progetto di cooperazione transfrontalie-ra Italia-Francia Marittimo Ma.R.Te.+ (Mare, Ruralità e Terra), pensato per favorire lo sviluppo delle aree rurali e costiere attraverso l’innovazione e l’imprenditoriali-tà e per mettere in stretta relazione uomini e territori, agricoltura, mare e turismo, l’Agenzia Regionale per lo sviluppo in agricoltura, Laore Sardegna, ha predisposto un elenco delle imprese di pesca che svolgono le atti-vità di pescaturismo e ittiturismo alle quali è possibile rivolgersi per trascorrere una giornata di vacanza attiva.In una delle località indicate nella tabella scegli la lo-calità o il porto d’imbarco secondo le tue preferenze ed esigenze, poi prenota attraverso le modalità indicate.Val la pena fare una telefonata o inviare una mail per scoprire quanto piacevoli possano essere le tue giorna-te di vacanza all’insegna del verde e del blu.

Gianna Saba

Dal verde al blu:itinerari di terra e di mare

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Alghero Angioi Alessandro 3349181301 [email protected] Alex no no

Alghero Cardone Settimio 079978054 3331112487 [email protected] Eolo si no

Alghero Patrono Angelo 079977663 3286648930 [email protected] San Gennaro no no

Alghero Pensè Ottavio 079974752 3475235703 Michela si no

Alghero Scarpati Massimo 079527113 3396833564 [email protected] Nina si no

Alghero Donadio Pierpaolo 079977551 3480413929 [email protected] Stella Maris si si

Alghero Salaris Giuseppe 0799739371 3400613144 [email protected] Lucia no no

Alghero Piga Pietro 3400024501 San Luigi si si

Bosa Sotgiu Angelo 360653075 Franca 2^ si no

Buggerru Cavassa Daniele 078154448 3923458350 Maria Josè si no

Buggerru Foglia Massimiliano 3771930191 [email protected] Alex si no

Buggerru Billai Gian Paolo 3471442448 Sale si no

Calagonone Ranucci Pio 3388005925 Delfino I si si

Calasetta Farris Agostino 0781840622 Ochin si no

Calasetta Mercenaro Giorgio 3461395305 Magica si no

Carloforte Serra Alessio 0781800162 3282855195 www.pescatour.net I Due Fratelli si si

Golfo Aranci Franchi Francesco 078946220 360367603 [email protected] Franco si no

PORTO

D’IMBARCOREFERENTE TELEFONO CELLULARE E-MAIL IMBARCAZIONE

SERVIZI

IGIENICI

PRANZO

A BORDO

PORTO

D’IMBARCO

LA PARANZA - Aiello Antonio e Brocca Marina

Loc. Sieddozza; Fraz. Santa Lucia Siniscola (NU)

Tel. 0784 878451 Cell. 3386335727- 3461004541

E-mail: [email protected]

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

SABOR’E MARI - Soc. Coop. Pescatori Rinascita - Madeddu Laura

Porto Budello; Teulada (CA)

Cell. 3471787154

E-mail: [email protected] Sito web: www.pescatour.net

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

SA PISCHERA ‘E MAR’E PONTIS - Consorzio Pontis - Pisanu Angelo

Loc. Peschiera Pontis S.P.6 - Km 1.2; Cabras (OR)

Tel. 0783 391774 Cell. 3357703477

E-mail: [email protected]

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

AQUAURCHI - Pinna Marco

S.P.6 - Km 2.5; Cabras (OR)

Tel. 0783-392587 Cell. 3409053472

E-mail: [email protected] Sito web: www.ittioturismoaquaurchi.com

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

SAN DOMENICO - Soc. Coop. Pescatori San Domenico - Loi Antonio

Loc. Pauli Biancu Turri-Marceddì; Terralba (OR)

Tel. 0783 867014 Cell. 3483934232

E-mail: [email protected] Sito Web: www.ittioturismo.com

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

LA PESCHIERA - Soc.Coop. Pescatori Tortolì

Loc. Peschiera San Giovanni; Tortolì (OG)

Tel. 0782 664415

E-mail: [email protected] Sito web: www.pescatortoli.it

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

LA LAGUNA A TAVOLA - Soc. Coop. Pescatori La Sulcitana

Lungomare Cristoforo Colombo n.66 Sant’Antioco (CI)

Tel. 0781 83192 Cell. 3470323404

E-mail: [email protected]

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

TOLENGA - Sechi Tonino

Via Garibaldi n.57; Cabras (OR)

Tel. 0783 290990 Cell. 3498740555

E-mail: [email protected] Sito web: www.theseaworld.it

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: SI

IL PESCA -TORE - Marongiu Salvatore

Via Turr’e Sa Mora s.n.c.; San Vero Milis (OR)

Cell. 3486874657

E-mail: [email protected]

RISTORAZIONE: SI

CAMERE: NO

ITTIOTURISMO DI RIFERIMENTO IN SARDEGNA

PESCATURISMO COAST TO COAST

Page 97: Il Trenino Verde della Sardegna - In viaggio naturalmente [Prog. grafico GIA®]

Isola Rossa Morlè Fausto 3384028957 Tigre si si

La Maddalena Aversano Pasquale 07891832544 3494379414 Trinità si si

La Maddalena Nicolai Domenico 3299832740 Malù si si

Palau Zollo Angelo 3394391131 Rebecca si no

Perd’e Sali Carone Pietro Sergio 0709208105 3473401968 [email protected] Aldo si si

Porto Corallo Porcu Alessandro 3487342273 Milena no no

Porto Corallo Loi Luciano 3474446630 Sa Maista no no

Porto Corallo Ghiani Sandro 3479618912 Mosè si no

Porto Torres Jacomini Giuseppe 079510595 3389350652 [email protected] Zio Ciro si no

Porto Torres Marongiu Gavino 079515328 3935088911 GHIBLI si no

Porto Torres Campus Angelo 3453485455 [email protected] Leonardo si si

Porto Torres Salis Riccardo 079515107 3495992054 [email protected] Giuseppina Madre si si

Porto Torres Fioretti Antonello 3382150534 [email protected] Rosaria no no

Porto Torres Salis Giovanni 079510914 3336980693 [email protected] Cristina si si

Portoscuso Matta Walter 3497724506 Santa Maria d’Itria si si

Portoscuso Rosas Sergio 3406487634 [email protected] Martina si si

Punta Trettu Dessi Emilio 0781696185 3401645356 Francesca si no

Putzu Idu Caddeo Aldo 3477796840 Maria Laura si no

S. Antioco Mei Annibale 3294247088 Valentina si si

S. Antioco Mauro Pintus 3409085749 [email protected] Alessandro Primo si si

S. Antioco Pintus Annibale 3207022909 Azzurra si no

S. Antioco Serra Marcello 0781800162 3384069861 [email protected] Attilio Padre si si

S. Antioco Vadilonga Gesuino 3299612195 [email protected] Nuova Antonina si si

S. M. Navarrese Virdis Antonello 3209609041 Senza Nome si si

S. T. Gallura Marcon Giuseppe 3475802130 [email protected] No Problem si no

S. T. Gallura Aprea Vincenzo 3482240859 Sampei si si e Franco

S. T. Gallura Impagliazzo Antonio 0789754717 3496735768 Moby dick no no

S. T. Gallura Madonna Tomaso 0789754781 3205628161 Roberta no no

S. T. Gallura Morlè Agostino 3286439701 Madonna no no e Salvatore del Carmine III

S. T. Gallura Nicolai Giuseppe 0789754199 3474699422 [email protected] Madonna no no di Fatima

S. T. Gallura Nicolai Mario 0789754726 3338971846 Cristian no no

S. T. Gallura Vitiello Antonio 0789755849 3494224237 Robertino no no

S. T. Gallura Vitiello Nino 0789754609 3470805283 Falco no no

Stintino Di Meglio Gennaro 079516181 3209444544 [email protected] Antonio I si si

Stintino Bazzu Luciano 0795907257 3356790853 [email protected] Luna si si

Stintino Balzano Mario 079523490 3332514144 [email protected] Orsa Maggiore si si

Stintino Balzano Luigi 079523050 3355977154 [email protected] Sirius si si

Stintino Denegri Gaetano 079523050 3382869404 [email protected] Lucia no no

Stintino Denegri Giuseppe 079523050 3687001423 [email protected] Antonio Padre si si

Stintino Denegri Eugenio 079523822 3939702920 [email protected] Fortunato si si

Su Pallosu Pisanu Sandro 3389997176 Narcida si si

Teulada Portu Nou Frau Roberto 3406036978 Lucia Madre si si

Torregrande Atzei Stefano 3462295180 San Giovanni si si

Torregrande Sechi Tonino 3683767229 [email protected] Queen of Sea si si

Villaputzu (P.Corallo) Aprea Andrea 3471207234 [email protected] Andrea I si si

Villaputzu (P.Corallo) Aprea Cristian 3471207234 [email protected] Cristian I si si

Villasimius Porcu Gemiliano 3408515245 [email protected] Sampey Simone si si

Villasimius Porcu Simone 3930794514 [email protected] Sampey Davide si si

Villasimius Portoghese Carlo 3382715803 [email protected] S.Angelo si si

Villasimius Sandolo Silverio 3391507942 Sparviero del Mare no no

PRANZO

A BORDO

PORTO

D’IMBARCOREFERENTE TELEFONO CELLULARE E-MAIL IMBARCAZIONE

SERVIZI

IGIENICI

PRANZO

A BORDOITTIOTURISMO DI RIFERIMENTO IN SARDEGNA

PESCATURISMO COAST TO COAST

Page 98: Il Trenino Verde della Sardegna - In viaggio naturalmente [Prog. grafico GIA®]

ARST S.p.A. rappresenta la maggior Azienda di TPL in Sardegna ed una delle più importanti a livello nazionale. Opera in tutta la Sardegna prevalentemente con servizi extraurbani, nonché con servizi urbani nelle città di Alghero, Carbonia, Iglesias, Macomer, Oristano e Carloforte.

Nel Comuni di Cagliari e Sassari gestisce inoltre due linee di metro-tranvia di grande successo (MetroCagliari e MetroSassari).

Nel settore ferroviario, l’offerta del TPL è presente attraverso cinque linee (Monserrato-Isili, Macomer-Nuoro, Sassari-Alghero, Sassari-Sorso, Sassari-Nulvi), mentre nel ferroviario turistico l’Azienda opera attraverso i collegamenti del “Trenino Verde”.

Articolazione Territoriale ARST S.p.A.

L’ufficio organizzatore dei viaggi con il Trenino Verde è presso il Museo delle Ferrovie a Monserratotel (+39) 070 580246 - 070 57390346 - num. verde 800 460220 - www.treninoverde.com

Page 99: Il Trenino Verde della Sardegna - In viaggio naturalmente [Prog. grafico GIA®]

IL TRENINO VERDE DELLA SARDEGNA

Edito da ARST SpA - Azienda Regionale Sarda Trasporti

TestiAntonello Angioni, Giorgio Ariu, Alessandro Boccone, Giovanni Caria, Luigi Crisponi, Neria De Giovanni,

Maria Armida Forteleoni, Umberto Oppus, Lorelyse Pinna, Luca Pinna, Gianna Saba, Giuseppe Sotgiu, Bruno Puggioni

Contributi fotograficiArchivio Museo della Statuaria di Laconi, Archivio GIA, Archivio Turistico Sa Perda’e ddocca,

Maurizio Artizzu, Bruno Atzori, Paolo Curto, Antonella Fadda, Marco Gerardi, GianPaolo Marcheselli, Emilio Melis, Tonino Morra, Enrico Murru Massa,

Gianni Onnis, Luca Pinna, Sarah Pinson, Enrico Pintus, Bruno Puggioni, Roberto Sai, Gianna Saba, Enrico Spanu, Matteo Sulis, Franco Sotgiu, Sardinia Event,

STL Nord Ovest Sardegna, Silanus Archivio STL Nuoro, Elvira Usai

GIA COMUNICAZIONEVia Sardegna, 132 - 09124 Cagliari

Tel. e Fax 070 [email protected] www.giacomunicazione.it

Direttore ResponsabileGiorgio Ariu

Ideazione, Grafica e ImpaginazioneGIA Comunicazione

Redazione GraficaMaurizio Artizzu

Redazione EditorialeSimone Ariu, Lorelyse Pinna

Page 100: Il Trenino Verde della Sardegna - In viaggio naturalmente [Prog. grafico GIA®]

IL NOSTROSERVIZIO PUBBLICO

PER LACONTINUITÀ

TERRITORIALEINTERNA

Oltre 600 chilometri di ferrovia

Oltre 200 linee automobilistiche extraurbane

Due linee metrotramviarie: Monserrato-Piazza Repubblica (CA) Emiciclo Garibaldi-Santa Maria di Pisa (SS)

Trenino Verde con quattro linee turistiche Mandas-Arbatax Isili-Sorgono Macomer-Bosa Nulvi-Palau

Direzione Generalevia Zagabria, 54 - CagliariTel. 070 40981 - Fax 070 4098220 - Mail [email protected]

Organizzazione viaggi Trenino Verde e visite al Museo delle Ferrovievia Pompeo - MonserratoTel. 070 580246 - Web www.treninoverde.com

www.arst.sardegna.it

giac

omun

icaz

ione

.it