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CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI IL TERRORISMO INTERNAZIONALE NEGLI ORDINAMENTI GIURIDICI DEI PAESI OCCIDENTALI E I RELATIVI STRUMENTI DI COOPERAZIONE GIUDIZIARIA E DI POLIZIA CLAUDIO MARIA POLIDORI Con la collaborazione di: Raffaella Nigra, Paolo Cestra, Edomondo Frumento, Paolo Rota Gelpi e Antonello Formichella 4

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CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI

IL TERRORISMO INTERNAZIONALE NEGLI ORDINAMENTI

GIURIDICI DEI PAESI OCCIDENTALI E I RELATIVI STRUMENTI DI COOPERAZIONE GIUDIZIARIA E DI POLIZIA

CLAUDIO MARIA POLIDORI

Con la collaborazione di:

Raffaella Nigra, Paolo Cestra, Edomondo Frumento, Paolo Rota Gelpi e Antonello Formichella

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INDICE

Prefazione ……………...………………………………………………………………………

Introduzione……………………………………………………………………………………

CAPITOLO I TERRORISMO E NEO-TERRORISMO EVOLUZIONE STORICA DEL FENOMENOE DEI

PRINCIPALI MEZZI DI CONTRASTO

1. Generalità…………………………………………………………………………………….

2. Dall’attentato ad Alessandro II alla Convenzione di Ginevra del 1937……………………..

3. Terrorismo e decolonizzazione……………………………………………………………....

4. Il terrorismo in America Latina………………………………………………………………

5. L’Europa degli “anni di piombo”…………………………………………………………….

6. Il terrorismo transnazionale…………………………………………………………………..

7. Le origini dello jihadismo…………………………………………………………………….

8. Il neo-terrorismo………………………………………………………………………………

9. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1373 (2001)………………………………………

CAPITOLO II

L’ATTIVITÀ DI CONTRASTO DEL TERRORISMO DA PARTE DELLE NAZIONI UNITE

I. LE CONVENZIONI A CARATTERE UNIVERSALE TRADIZIONALMENTE ASSOCIATE AL TERRORISMO INTERNAZIONALE

1. Premessa………………………………………………………………………………………

2. Le Convenzioni internazionali adottate nell’ambito di Istituti specializzati delle Nazioni

Unite…………………………………………………………………………………………..

3. Le Convenzioni internazionali adottate nell’ambito delle Nazioni Unite…………………….

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3.1. La Convenzione contro la cattura di ostaggi e la Convenzione contro la prevenzione

e la repressione dei reati contro le persone internazionalmente protette, inclusi

gli agenti diplomatici: la questione dei movimenti di liberazione nazionale…………….

3.2. La Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici dinamitardi

e la Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo….

4. I tentativi di un progetto di Convenzione generale contro il terrorismo internazionale

nell’ambito delle Nazioni Unite……………………………………………………………….

Segue: Il testo predisposto dall’India e l’art. 18, par. 2……………………………………….

5. Gli obblighi a carico degli Stati previsti nelle Convenzioni a carattere universale…………...

II. IL TERRORISMO INTERNAZIONALE NELLE RISOLUZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE

NAZIONI UNITE

1. Premessa……………………………………………………………………………………….

2. Le misure adottate dal Consiglio di Sicurezza………………………………………………...

2.1 il caso della Libia…………………………………………………………………………..

2.2 il caso del Sudan……………………………………………………………………………

3. Le sanzioni contro Al Qaeda prima dell’11 settembre 2001…………………………………..

4..La reazione del Consiglio di Sicurezza agli attentati dell’11 settembre 2001………………....

5. La risoluzione 1373/2001 e il potere “legislativo” del Consiglio di Sicurezza……………….

6. I rapporti inviati dagli Stati al Comitato contro il terrorismo………………………………….

7. Considerazioni conclusive……………………………………………………………………..

CAPITOLO III

L’ATTIVITÀ DI CONTRASTO DEL TERRORISMO E GLI STRUMENTI DI COOPERAZIONE NELL’UNIONE EUROPEA

I. LA NOZIONE GIURIDICA DI “TERRORISMO INTERNAZIONALE” NELL’ORDINAMENTO DELL’UNIONE EUROPEA 1. La Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea…………………........ II. LO SVILUPPO DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO E COOPERAZIONE NELL’AMBITO DELL’UNIONE EUROPEA 1. Brevi cenni sulla struttura dell’Unione Europea………………………………………………..

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2. Le Componenti dell’ “opera di contrasto”………………………………………………………

3. Lo Sviluppo dell’”opera di contrasto”…………………………………………………………..

3.1. L’Europol ed il “Piano d’Azione” di Cardiff ……………………………………………..

3.2. Il Consiglio di La Gomena e le successive Azioni comuni…………………………………..

3.3. Il Consiglio Europeo di Tampere, Eurojust, l’Accademia Europea di Polizia ………………

e la Police Chiefs Task Force……………………………………………………………………..

3.4. Il Joint Situation Center………………………………………………………………………

3.5. Il Consiglio Europeo di Bruxelles e il “Piano d’Azione 2001”………………………………

3.6. Le Posizioni comuni 2001/930/PESC e 2001/930/PESC……………………………………

3.7. I Regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002…………………………………………….

3.8. La Decisione quadro 2002/584/GAI ed il Mandato d’Arresto Europeo……………………..

3.9. Le Decisioni quadro 2002/465/GAI e 2003/48/GAI. La cooperazione nelle indagini

di polizia giudiziaria………………………………………………………………………….

3.10.L’ European Security Strategy……………………………………………………………….

3.11. Il Consiglio europo di Bruxelles e la “Declaration on Combatting Terrorism”……………

3.12. La Gendarmeria europea e il “Programma dell’Aia”………………………………………

CAPITOLO IV

LA LEGISLAZIONE ANTITERRORISMO NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

I. L’IMPIANTO NORMATIVO ANTERIORE ALL’11 SETTEMBRE 2001.

1. Le leggi federali e gli atti dell’Esecutivo anteriori al 1993………………………………………

2. L’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act………………………………………………..

II. LA LEGISLAZIONE SUCCESSIVA ALL’11 SETTEMBRE 2001

1. Lo US Patriot Act…………………………………………………………………………………

2. Il crimine di terrorismo nello US Penal Criminal Code………………………………………….

3. Il Presidential Executive Military Order on the Detention, Treatment, and Trial of Certain Non-

Citizens in the War Against Terrorism…………………………………………………………….

3.1. Il trattamento dei prigionieri………………………………………………………………….

3.2. Le decisioni della Corte Suprema del 28 giugno 2004……………………………………….

a) Rasul, Al Odah ed altri contro George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti ed altri…….

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b) Hamdi ed altri contro Rumsfeld, Segretario della Difesa ed altri………………………….

c) Rumsfeld, Segretario alla Difesa contro Padilla ed altri…………………………………...

3.3. La sentenza della Corte Suprema del 29 giugno 2006

nel caso Hamdan contro Rumsfeld, Segretario della Difesa e i successivi provedimenti

dell’Amministrazione Bush………………………… ……......................................................

CAPITOLO V LA LEGISLAZIONE ANTITERRORISMO NEL REGNO UNITO

1. Cenni storici……………………………………………………………………………………..

2. Il Civil Authority (Special Powers) Act…………………………………………………………

3. L’Emergency Provision Act del 1973…………………………………………………………..

4. Il Prevention of Terrorism Act del 1974…………………………………………………………

5. Il Prevention of Terrorism Act del 1989…………………………………………………………

6. Il Northern Ireland (Emergency Provision) Act del 1991 e il Criminal Justice and Public Order

Act del 1994………………………………………………………………………………………

7. Il Terrorism Act 2000……………………………………………………………………………

8. L’ Anti-Terrorism Crime and Security Act 2001………………………………………………..

9. Il Prevenction of Terrorism Act 2005……………………………………………………………

10. Il Terrorism Act 2006 ………………………………………………………………………….

CAPITOLO VI LA LEGISLAZIONE ANTITERRORISMO IN ITALIA

1. La legislazione anteriore all’11 settembre 2001………………………………………………….

2. La legislazione antiterrorismo dopo l’11 settembre 2001………………………………………..

3.1. La legge 14 dicembre 2001, n. 431………………………………………………………….

3.2. Le modifiche conseguenti alla ratifica delle convenzioni internazionali ed alle

direttive dell’Unione Europea……………………………………………………………….

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3.3. La legge 31 luglio 2005, n. 155……………………………………………………………..

CAPITOLO VII

CENNI SULLE LEGISLAZIONI ANTITERRORISMO BELGA,FRANCESE, SPAGNOLA, TEDESCA, RUSSA E ISRAELIANA

1. La legislazione antiterrorismo in Belgio………………………………………………………….

2. La legislazione antiterrorismo in Francia…………………………………………………………

3. La legislazione antiterrorismo in Spagna…………………………………………………………

4. La legislazione antiterrorismo in Germania………………………………………………………

5. La legislazione antiterrorismo in Russia………………………………………………………….

6. La legislazione antiterrorismo in Israele………………………………………………………….

Conclusioni ……………………………………………………………………………………… Appendice 1. Risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 1373 (2001)……………………………………….

2. Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea…………………………

3. Regolamento (CE) n. 2580/2001……………………………………………………………….

4. Regolamento (CE) n. 881/2002………………………………………………………………...

5. Legge 22 Aprile 2005 n. 69 ……………………………………………………………………

6. Supreme Court of the United States

Shafiq Rasul et Al. v. George W. Bush, President of the United States, et Al………………...

7. Supreme Court of the United States

Hamdi et Al. v. Rumsfeld, Secretary of Defense, et Al………………………………………..

8. Supreme Court of the United States

Rumsfeld, Secretary of Defense v. Padilla et Al……………………………………………….

9. Supreme Court of the United States

Hamdan v. Rumsfeld, Secretary of Defense, et Al.....................................................................

10. Sentenza-ordinanza GIP Tribunale di Milano in data 24 gennaio 2005……………………….

11. Sentenza Cassazione penale, Sez. I, n. 35427……………………………………………….....

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INTRODUZIONE

Muovendo dal pensiero di Hobbs è possibile affermare che l’uomo non tende al piacere ma

alla sicurezza, in nome della quale, talvolta, si è dimostrato disposto a sacrificare la propria libertà.

L’affermazione della sicurezza può realizzarsi mediante l’acquisizione diretta del potere,

ovvero, come normalmente accade, demandando tale acquisizione allo Stato che, nel diventare

produttore di sicurezza, al contempo, consolida e rafforza il proprio potere.

Gli eventi dell’11 settembre hanno confermato tale assioma, riproponendo, in modo

violento, al mondo l’esigenza di una nuova sicurezza.

Il cambiamento che ne è derivato non poteva non riflettersi in campo giuridico, dove è

comparsa la duplice necessità di definire giuridicamente la nuova minaccia e adottare nuovi

strumenti in grado di contrastarla.

All’interno della Comunità internazionale sono così ricomparse le profonde divergenze

esistenti fra il mondo occidentale e gli altri Paesi in ordine alla nozione giuridica di “terrorismo

internazionale”, divergenze che a tutt’oggi hanno impedito l’adozione di una convenzione ad hoc.

Le Nazioni Unite, attraverso una serie di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, hanno

tracciato le linee guida dell’azione di contrasto del nuovo terrorismo, fenomeno contraddistinto non

solo da connotati anti-americani ma in genere da carattere anti-occidentale di tipo radicale e

jihadista.

La jihad anti-occidentale è, tuttavia, solo in apparenza, un fenomeno nuovo, essendo

riconducibile ai cosiddetti “movimenti del risveglio” nati dopo la spedizione di Napoleone in Egitto

(1798) ed il consolidamento della presenza britannica in Medioriente.

La differenza fra lo jihadismo “classico” ed il neo-jihadismo va ricercata nel carattere

globale della minaccia, oggi finalizzata non solo ad allontanare gli occidentali dal Dar al-Islam,1

ma anche a rovesciare i governi “apostati” presenti nei Paesi musulmani moderati, così da

ricondurre il mondo islamico al modello politico originario: il califfato, dove il califfo (khalifa -

letteralmente “luogotenente”, “vicario” …del Profeta) era al contempo guida politica e spirituale

della comunità di fedeli, la umma, governata secondo la legge religiosa, la shari’a.

1 I territori islamizzati

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L’Occidente si é, quindi, trovato costretti, ad adottare nuove politiche nazionali e nuovi

strumenti giuridici destinati a rafforzare la sicurezza, anche a scapito di alcune libertà fondamentali.

In taluni Paesi di antica tradizione democratica, poco abituati a deroghe e limitazioni di

carattere emergenziale, la nuova normativa è stata considerata “liberticida” e ripetutamente

sottoposta al vaglio di legittimità costituzionale.

Negli ordinamenti giuridici improntati alla rigida osservanza dei principi dello stato di

diritto la possibilità di limitare talune libertà fondamentali non può, infatti, prescindere da una

preventiva autorizzazione contenuta nella carta costituzionale o dal confronto con i dettami di

quest’ultima.

In altri Stati, la nuova legislazione antiterrorismo si è limitata ad incrementare la presenza di

“zone d’ombra” idonee a consentire “uno spazio di manovra” operativo collocato al confine tra

lecito ed illecito, senza alterare, quanto meno formalmente, il delicato rapporto tra legislazione

emergenziale e diritti civili.

I liberali di antica tradizione, d’altra parte, hanno sempre saputo che lo stato di diritto per

sopravvivere, deve convivere con le esigenze della sicurezza nazionale. “Il che significa che si deve

accettare per forza un compromesso, riconoscere che, quando è in gioco la sopravvivenza della

comunità (a cominciare dalla vita dei suoi membri), deve essere ammessa l’esistenza di una “zona

grigia”, a cavallo tra legalità e illegalità, dove gli operatori della sicurezza possano agire per

sventare le minacce più gravi”.2

In altri Paesi ancora, caratterizzati in genere da una presenza costante del fenomeno

terroristico, l’ordinamento giuridico non ha, invece, subito modifiche di carattere sostanziale,

essendo già prevista dalla carta costituzionale, la possibilità di sospendere taluni diritti nei confronti

degli appartenenti ad organizzazioni terroristiche o eversive.

Nel mondo occidentale, i nuovi impianti giuridici hanno dovuto, inoltre, confrontarsi con gli

obblighi internazionali assunti da ciascun Paese, in condizioni di normalità, con la ratifica di taluni

strumenti convenzionali a carattere universale o regionale quali la “Dichiarazione universale dei

diritti dell’uomo” del 10 dicembre 1948, il “Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici”

del 19 dicembre 1966, la “Convenzione contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani

o degradanti, del 10 dicembre 1984 (CEDU) e la “Convenzione europea per la salvaguardia dei

diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali” del 4 novembre 1950.

Strumenti che, pur consentendo agli Stati la possibilità di adottare misure derogatorie, in

caso di guerra o di altro pericolo pubblico, escludono tassativamente ogni limitazione al diritto alla

2 In tal senso Angelo Panebianco , in Corriere della Sera, 13 agosto 2006.

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vita, al divieto di torture e trattamenti disumani e degradanti, al divieto di riduzione in schiavitù, al

principio di tipicità delle fattispecie penali e al divieto di retroattività della legge penale.

Dopo gli attentati dell’11 settembre, tuttavia, solo il Regno Unito si è avvalso della facoltà di

denunciare, ai sensi dell’articolo 15 della CEDU, la deroga relativa ai termini e alle condizioni di

arresto e detenzione degli stranieri sospettati di terrorismo avvenuta a seguito dell’Anti-terrorism,

Crime and Security Act 2001 (comunicazione del 18 dicembre 2001).

Con riferimento alla possibilità di sospendere alcuni diritti in ragione delle esigenze

derivanti dalla lotta al terrorismo, la Corte Europea di Strasburgo ha ritenuto, comunque,

inderogabile la presenza di taluni elementi quali il carattere inevitabile della sospensione data

l’inefficacia degli ordinari rimedi giuridici, la garanzia del diritto di difesa, il controllo

giurisdizionale delle misure adottate, soprattutto con riferimento alle misure restrittive della libertà

personale, l’informativa agli organi previsti dalla Convenzione ed il possibile controllo delle misure

adottate da parte della Corte.

La Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea, in data 13 giugno

2002, sulla lotta contro il terrorismo, ha introdotto, oltre a una definizione “comune” di “reato

terroristico”, alcune regole volte ad omogeneizzare le attività di prevenzione e repressione dei reati

terroristici ai fini di incrementare la cooperazione fra gli Stati membri dell’Unione Europea nel

rispetto dei diritti fondamentali garantiti dalla “CEDU” e dalla “Carta di Nizza”.

Il presente lavoro muove, pertanto, da una breve analisi storico-giuridica del fenomeno noto

come “terrorismo” per, poi, affrontare il problema della definizione giuridica di “terrorismo

internazionale” in seno alle Nazioni Unite.

Nei capitoli successivi è stata, quindi, esaminata l’opera di contrasto posta in essere

dall’Unione Europea ed approfondito l’impianto giuridico offerto dagli Stati Uniti, dal Regno Unito

e dall’Italia. taluni suoi membri quali l’Italia, la Spagna e il Regno Unito.

In ultimo, si provveduto ad esaminare, seppur sinteticamente, la legislazione belga, francese,

tedesca, spagnola, russa e israeliana; legislazioni che, a ben vedere, risultano poco influenzate dagli

eventi dell’11 settembre.

Nel far ciò si è cercato di non eccedere nel tecnicismo giuridico o in logomachie di tipo

meramente accademico, limitando tali manifestazioni all’indispensabile.

L’analisi effettuata non vuole, infatti, dar vita ad un testo giuridico in materia di

antiterrorismo, bensì verificare, ad oggi, lo “stato dell’arte”.

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CAPITOLO I

TERRORISMO E NEO-TERRORISMO EVOLUZIONE STORICA DEL FENOMENO

E DEI PRINCIPALI MEZZI DI CONTRASTO

1. Generalità.

Il termine “terrorismo”, dal latino terrere, far tremare, compare per la prima volta, nel 1795,

nell’Oxford English Dictionary, con riferimento agli abusi del potere rivoluzionario in Francia; tre

anni dopo, fa il suo ingresso nel supplemento al Dictionarie de la Accadémie Francaise del 1798,

riferito a una forma eccessiva di applicazione della legge.

Nel suo discorso del 18 di Piovoso del 1794 Maximilien Robespierre scrive infatti: “Se la

forza di un governo popolare in tempo di pace è la virtù, la forza di un governo popolare in tempo

di rivoluzione è ad un tempo la virtù ed il terrore. La virtù senza la quale il terrore è cosa funesta; il

terrore senza il quale la virtù è impotente. Il terrore non è altro che la giustizia pronta, severa,

inflessibile. Esso è dunque un’emanazione della virtù””..

L’espressione ha, tuttavia, contraddistinto, nel corso del XIX e del XX secolo, fenomeni

differenti, riconducibili sia all’azione di Stati che di gruppi socio-politici organizzati, posti in essere

all’interno di un Paese ovvero in un contesto transnazionale o internazionale.

Il primo di questi, noto come “terrorismo di stato” identifica tanto l’uso del “terrore”, da

parte del Governo al potere nei confronti della propria popolazione o di una parte di essa, allo scopo

di rafforzare il potere acquisito, quanto le azioni destinate a terrorizzare la popolazione di un Paese

avversario in tempo di pace (terrorismo interstatale) o nel corso di un conflitto armato (terrorismo

bellico), così come predicato dalle dottrine strategiche fino al termine del secondo conflitto

mondiale, o meglio fino all’introduzione di uno specifico divieto da parte degli artt. 31-34 della IV

Convenzione di Ginevra del 1949, e della proibizione dei c.d. “attacchi indiscriminati” contenuta

nell’art. 51 del I Protocollo Aggiuntivo del 1977. Il “terrorismo di stato” si presenta, inoltre, un

genus al quale è riconducibile il “terrorismo colonialistico” è cioè l’uso del terrore quale mezzo di

conservazione del dominio coloniale.

Nella sua seconda e più diffusa accezione il termine “terrorismo” individua, invece, l’uso

indiscriminato della violenza da parte di gruppi, più o meno organizzati, a matrice politico-

rivoluzionaria, razziale, religiosa, indipendentista, separatista o secessionista.

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Il Terrorism Research Center statunitense nel recepire la definizione offerta dal FBI

definisce il terrorismo come “l’uso o la minaccia dell’uso della forza allo scopo di portare

cambiamenti politici”. La definizione, ormai datata ma pur sempre valida, pone dunque l’accento

sullo scopo che il fenomeno intende perseguire, considerando il terrorismo al contempo mezzo e

metodo per conseguire una modificazione dello status quo interno o internazionale.

2. Dall’attentato ad Alessandro II alla Convenzione di Ginevra del 1937.

Dalla seconda metà del XIX Secolo fino al termine della Grande Guerra, gli atti du

terrorismo sono stati indirizzati quasi esclusivamente nei confronti della leadership al potere, come

il sovrano ed i suoi familiari o i ministri e i funzionari dello Stato, finendo per identificarsi con gli

atti “tradimento” così da essere ricompresi fra i crimini contro la sovranità dello stato.

Gli esempi in proposito sono numerosi, basti pensare alla sfida lanciata alla Russia zarista da

parte dei movimenti populisti “zemlja i volija” (terra e libertà) e “narodnaja volija” (libertà del

popolo) autore, quest’ultimo, il 1 marzo 1881, dell’attentato allo Zar Alessandro II, all’assassinio

del presidente Francese Sadì Carnot ad opera di un anarchico italiano (24 giugno 1894), a quello

dell’imperatrice Elisabetta d’Asburgo (1898), all’attentato ad Umberto I da parte dell’anarchico

Gaetano Bresci (29 luglio 1900), all’omicidio di re Alessandro Obrenovic di Serbia e della moglie

Draga Masin ad opera di ufficiali affiliati all’organizzazione nazionalista la “mano nera” (10 giugno

1903), nonché all’attentato di Sarajevo, del 28 giugno 1914, contro l’Arciduca Francesco

Ferdinando d’Asburgo e sua moglie, che innescò la miccia del primo conflitto mondiale.

Negli Anni 20 l’Irlanda offre un eccellente esempio della contrapposizione fra terrorismo

rivoluzionario indipendentista e terrorismo di stato. Il 21 novembre del 1920, undici ufficiali dei

servizi segreti inglesi appartenenti ad un gruppo noto come “Cairo Gang” vengono assassinati per

ordine di Michael Collins, l’imprendibile capo militare dell’IRA, ucciso nel 1923 durante la guerra

civile irlandese, da membri della fazione repubblicana di Eamon de Valera. Per rappresaglia, il

pomeriggio dello stesso giorno, i “Black and Tans”, reparti speciali britannici destinati alla

repressione dell’insurrezione, fanno fuoco sugli 8000 spettatori di un incontro di calcio, uccidendo

12 persone e ferendone una sessantina.3

Nazionalismi e fascismi arricchiscono l’Europa degli Anni ’20 e ’30 di omicidi politici ed

azioni terroristiche, negando l’equazione che, nel secolo precedente, aveva ricollegato l’attività

terroristica ad anarchici e socialisti.

In Germania, nel gennaio 1919, le milizie della destra nazionalista, i Freikorps, uccidono

Rosa Luxemburg e Karl Liebnechte e nel giugno 1922 il ministro degli esteri Walter Rathenau.

3 M. Hodges, Ireland from Easter Uprising to Civil War, London, p.11.

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L’avvento al potere del nazionalsocialismo, segna quindi un lunga stagione di “terrore” per

dissidenti, minoranze etniche e cittadini di religione ebraica. Anche in Italia, lo squadrismo fascista

terrorizza con azioni violente gli oppositori politici arrivando ad uccidere, nel giugno 1924, il

deputato socialista Giacomo Matteotti.

Il 29 dicembre 1933 il primo ministro rumeno Ion Duca è assassinato dalla Guardia di Ferro,

gruppo terroristico nazionalista fondato da Cornelia Zelea Codreanu col nome di “Legione

dell’Arcangelo Michele”.

Dopo un primo fallito attentato dell’anno precedente, a Marsiglia, il 9 ottobre 1934,

Alessandro Karadjeordjevic Re di Jugoslavia ed il ministro degli esteri francese Louis Barthou

cadono sotto i colpi di un terrorista dell’ORIM, organizzazione panslavista macedone, affiliata al

movimento croato degli Ustascia di Ante Pavelic.

Nel 1934, il rigetto della domanda di estradizione formulata dalla Francia nei confronti di

due complici dell’autore del fallito attentato del 17 dicembre 1934 da parte della Corte di Appello di

Torino, città ove i due erano stati tratti in arresto, richiamò per la prima volta l’attenzione della

Comunità internazionale sulla mancanza di strumenti giuridici idonei a combattere un fenomeno

criminale divenuto ormai privo di confini.

Nella prima metà dell’800 si era, infatti, consolidata la prassi di non estradare i responsabili

di delitti politici, consuetudine che il Belgio, per primo, nel 1830, aveva recepito nella propria Carta

Costituzionale; principio che, tuttavia, a seguito del fallito attentato a Napoleone III da parte di

Célestin Jules Jacquin, il Belgio era stato costretto a rivedere con la legge del 22 marzo 1856,

escludendo che dal novero dei delitti politici l’attentato contro la vita di un capo di Stato o di un suo

familiare: “Non sarà reputato delitto politico né fatto connesso a un simile delitto l’attentato contro

la persona del capo di un governo straniero o contro quelle dei membri della sua famiglia quando

questo attentato dia luogo a un delitto, sia di assassinio sia di avvelenamento”.

L’attentato di Marsiglia aveva, tuttavia, coinvolto troppi Paesi (Francia, Italia, Jugoslavia e

Ungheria) perché la situazione normativa rimanesse immutata.

Nel 1934, la Società delle Nazioni, investita della questione dalla Jugoslavia, deliberò,

pertanto, di costituire una Commissione destinata a redigere una bozza di Convenzione

internazionale in materia di terrorismo.

Il 16 dicembre del 1937, fu così approvato a Ginevra il testo della prima Convenzione in

materia di terrorismo, che, pur non essendo mai entrata in vigore, ha prodotto la prima definizione

giuridica di “atto terroristico” individuando anche le differenti modalità di realizzazione di tale

crimine.

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La Convenzione del 1937, dopo aver definito all’art. 2 gli atti terroristici come “i fatti

criminali diretti contro uno Stato e i cui fini o la cui natura è atta a provocare il terrore presso

determinate personalità, gruppi di persone o il pubblico”, provvede ad elencare le ipotesi con cui

tale crimine può essere realizzato:

1. i fatti intenzionali diretti contro la vita, l’integrità corporale, la salute o la libertà:

a) dei capi di Stato, delle persone che esercitano le prerogative di capo di Stato, dei loro

successori ereditari o designati;

b) dei congiunti delle persone sopra enumerate;

c) delle persone investite di funzioni o di cariche pubbliche quando il suddetto fatto è stato

commesso in ragione delle funzioni o delle cariche che tali persone esercitano.

2. il fatto intenzionale consistente nel distruggere o danneggiare beni pubblici o destinati ad uso

pubblico che appartengono all’Alta Parte firmataria o ad un’altra Alta Parte firmataria;

3. il fatto intenzionale di natura tale da mettere in pericolo delle vite umane per mezzo della

creazione di un pericolo comune.

4. il tentativo di commettere le infrazioni previste dalle disposizioni precedenti di questo articolo.

5. il fatto di fabbricare, procurarsi, detenere o fornire armi, munizioni, prodotti esplosivi o

sostanze nocive in vista dell’esecuzione, in qualsiasi Paese, di una infrazione prevista dal

presente articolo.

La Convenzione omette, tuttavia, di risolvere l’impasse dell’estradizione limitandosi a

richiamare il generale principio dell’ “aut dedere aut judicare” che impone allo stato che detiene gli

autori del crimine di consegnarli a chi ne richiede l’estradizione, ovvero processarli sulla base delle

leggi nazionali.

3. Terrorismo e decolonizzazione.

Dopo la seconda Guerra Mondiale, il ricorso alla violenza terroristica indiscriminata si

presenta indissolubilmente legato al processo di decolonizzazione ed alla costituzione di nuove

entità nazionali, divenendone elemento costante e caratteristico.

Negli Anni ‘40, in Palestina, la costruzione dello Stato di Israele é caratterizzata dalle azioni

“terroristiche” condotte contro arabi ed inglesi da parte di due gruppi sionisti: l’Irgun Zvai Leumi

(Organizzazione Militare Nazionale), attivo fin dal 1937, e la “Banda Stern”, organizzazione

estremistica fondata dall’ebreo polacco Abraham Stern, responsabile nel 1944 dell’attentato al

Segretario di Stato britannico Lord Moyne. Il 22 luglio 1946, l’Irgun, uccide circa 200 persone nel

corso un attentato esplosivo condotto contro la sede del quartier generale britannico situata nel King

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David Hotel di Gerusalemme. Nel 1948, l’organizzazione Stern, contraria ad ogni soluzione

pacifica del conflitto uccide deliberatamente l’inviato delle Nazioni Unite conte Folke Bernadotte.

Fino a tale momento il terrorismo “rivoluzionario” o “indipendentista” aveva indirizzato la

violenza quasi esclusivamente nei confronti delle istruzioni “nemiche”, coinvolgendo, solo

incidentalmente, la “popolazione civile” e gli “estranei”nelle proprie azioni.

Negli anni ’50, in Algeria, il terrorismo colonialista - è inutile rammentare in proposito

l’impiego diffuso della tortura e di altri metodi finalizzati a diffondere il terrore fra la popolazione

algerina da parte - si confronta con l’azione terroristica del Fronte Nazionale di Liberazione (FLN)

e del suo braccio armato l’Esercito di Liberazione Nazionale (ELN).

Lo scontro algerino, iniziato nel 1956 con 78 morti, subisce in pochi anni un’incredibile

escalation a causa dell’ingresso di un nuovo attore, l’OAS (Organisation Armée Secrète) del Gen.

Raul Salan, che esporterà il terrorismo sul suolo francese, arrivando ad attentare alla vita dello

stesso De Gaulle.

Negli stessi anni l’impiego di metodi terroristici caratterizza inoltre il processo di

decolonizzazione in atto in Indocina e India, i tentativi indipendentisti dell’Irlanda del Nord, e la

crisi cipriota, “nella quale si intrecciano fattori etnici, spirito annessionistico, separatismi e

indipendentismo”.4

4. Il terrorismo in America Latina.

Negli anni 1960-1970, in America Latina si assiste al moltiplicarsi di azioni terroristiche

indirizzate da gruppi rivoluzionari di stampo marxista-leninista, sia nei confronti della leadership

politica sia contro le rappresentanze diplomatiche straniere.

In Venezuela le attività terroristiche del FALN (Fuerzas Armadas de Liberacion National)

di Douglas Bravo hanno inizio il 24 giugno 1960 con il fallito attentato al presidente Romolo

Betancourt, leader del partito progressista “Accion democratica”. Nel dicembre 1963 un altro

gruppo terroristico il MIR (Movimento de la Izquierda Revolucionaria) dopo una serie di rapine e di

sequestri di personalità uccide il Ministro della giustizia venezuelano.

In Brasile, dopo l’omicidio di un consulente militare americano, vengono sequestrati

l’ambasciatore degli Stati Uniti Elbrick (12 ottobre 1968) e quello della Repubblica Federale

Tedesca, von Holleben (11 giugno 1970), entrambi successivamente rilasciati rispettivamente in

cambio della liberazione di 15 e 40 prigionieri politici. Carlos Marighella, fondatore della Açao

Libertadora Nacional, redige una sorta di manuale tascabile del terrorista, il “Piccolo manuale del

guerrigliero urbano”, che illustra oltre ai mezzi e ai metodi da utilizzare, anche l’idea di terrorismo

4 L. Bonanate, Terrorismo internazionale, Firenze 2001, p. 84.

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dell’autore: “il terrorismo è un’azione che, nella maggior parte dei casi, consiste nel piazzare una

bomba o degli esplosivi, alcuni dei quali estremamente potenti e in grado di procurare al nemico

perdite irreparabili” concludendo con l’affermazione che “Il terrorismo è un’arma alla quale il

rivoluzionario non potrà mai rinunciare”.

In Argentina, nel 1970, le FAL (Fuerzas Armadas de Liberacion) rapiscono ed uccidono

l’ex presidente Pedro E. Aramburu e sequestrano il console paraguayano, che verrà,

successivamente, liberato, quanto meno ufficialmente, senza il pagamento di un riscatto. Nel 1971,

l’ERP (Ejercito Revolucionario del Pueblo) rapisce il console onorario inglese Sylvester,

rilasciandolo in cambio di una massiccia distribuzioni di viveri alla città di Rosario. Pochi mesi

dopo fallisce il tentativo di rapire del presidente della repubblica Alejandro Lanusse. Nel 1972

l’ERP riesce a rapinare 800.000 dollari alla banca argentina; il 21 marzo dello stesso anno sequestra

il presidente della FIAT Argentina Oberdan Sallustro, chiedendo alla Società un riscatto di un

milione di dollari e la liberazione di 50 detenuti politici. Il fallimento delle trattative ostacolate dalla

“linea dura” promossa dal governo argentino condurrà all’omicidio dell’ostaggio il cui corpo senza

vita verrà ritrovato il successivo 10 aprile.

Tra il settembre ed il dicembre del 1972 vengono, inoltre, rapiti altri dieci uomini di affari di cui tre

stranieri (un’inglese, uno spagnolo e un olandese). Alla fine del 1973 viene rapito un dirigente della

ESSO, Samuelson, che verrà rialasciato a fronte del pagamento di 14 milioni di dollari, dei quali 4

in beni in favore della popolazioni colpite da una inondazione e 10 in contanti a titolo di indennizzo

conseguente ai “superprofitti che la Esso ha realizzato nel paese grazie allo sfruttamento dei suoi

lavoratori”5

In Guatemala, dopo una serie di attentati contro rappresentanti istituzionali e consulenti

militari americani le FAR (Fuersas Armadas Rebeldes) uccidono l’ambasciatore americano Mein,

quindi sequestrano ed uccidono l’ambasciatore della Repubblica Federale Tedesca Karl von Spreti.

In Uruguai, il 30 luglio 1970, i Tupamaros rapiscono ed uccidono Dan Mutrione,

funzionario statunitense dell’ Agency for International Developement e consulente della polizia

uruguaiana, episodio raccontato dal celebre film di Costa Gravas “l’Amerikano”.

In Perù nascono Sendero Luminoso e Tupac Amaru; In Colombia il FARC (Fuerzas

Arnadas Revolucionarias de Colombia) e l’ELN (Ejercito de Liberacion Nacional) danno vita ad

una nuova forma di terrorismo riconducibile all’alleanza fra movimenti rivoluzionari e crimine

organizzato: il narco-terrorismo; fenomeno riscontrabile negli anni ’90 anche in taluni Paesi

centroasiatici quali l’ Uzbekistan ed il Tagikistan.

5 L. Bonanate, Terrorismo cit., p.116

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In Messico, tecniche terroristiche vengono utilizzate dai guerriglieri dell’ERP (Esercito

Revolucionario Popular), nel Guerriero, e dagli zapatisti del EZLN (Ejercito Zapatistas de

Liberacion Nacional) nel Chiapas.

Al terrorismo in America Latina, reagisce per prima l’organizzazione degli Stati Americani

(OSA) promuovendo la Convenzione di New York, del 2 febbraio 1971, relativa alla prevenzione e

la repressione degli atti di terrorismo che assumono la forma di delitti contro la persona.

L’aumento di azioni terroristiche indirizzate nei confronti delle sedi, del personale

diplomatico e della cooperazione, induce le Nazioni Unite a promuovere la Convenzione di New

York del 14 dicembre 1973, relativa alla prevenzione ed alla repressione dei reati contro le persone

internazionalmente protette, alla quale farà seguito, il 17 dicembre 1979, la Convenzione di New

York relativa alla presa di ostaggi che non godono di speciale protezione internazionale.

5. L’Europa degli “anni di piombo”.

Verso la fine degli anni ’60, anche l’Europa è scossa da una violenta ondata di terrorismo

politico-rivoluzionario ed indipendentista.

In Spagna, muove i primi passi il movimento indipendentista Basco “Euskadi Ta

Askatasuna” (ETA) che il 20 dicembre 1973 uccide in un attentato esplosivo il primo ministro

Carerro Blanco.

Nel 1970, nell’Ulster, l’IRA riprende la propria attività terroristica. Il Regno Unito reagisce

con una legislazione speciale durissima, destinata comprimere in modo significativo i diritti civili

dei soggetti sospettati di essere autori, complici o favoreggiatori di atti terroristi. Ciò nonostante, il

27 agosto 1979, l’Esercito Repubblicano Irlandese uccide Lord Montbatten, colpendo in tal modo

direttamente la Corona britannica.

In Turchia, nasce, nel 1974, il PKK (Partito dei lavoratori curdi), gruppo combattente

marxista-leninista/autonomista che si ripropone la costituzione di uno Stato indipendente curdo

nelle regioni a sud-est del Paese.

In Italia, dopo la fine del terrorismo altoatesino, ha inizio una nuova stagione di terrore

dominata dai gruppi rivoluzionari di stampo marxista-leninista e fascista, che troveranno

corrispondenza in omologhi gruppi tedeschi e francesi.

Sono gli anni delle “Brigate Rosse”, della “Roten Armee Fraktion” (RAF), della “Banda

Baader-Meinhof”, della francese “Action directe” e dei gruppi rivoluzionari di estrema destra come

“Ordine Nuovo” e “Rosa dei Venti”; sono gli anni di Giangiacomo Feltrinelli, di Renato Curcio e

Mara Cagol, da un lato, e di Freda, Ventura e Fioravanti dall’altro. Sono gli anni del sequestro di

Mario Sossi e del Gen. Dozier; degli omicidi di Michele Mincuzzi, di Ettore Amerio, di Fulvio

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Croce e di Aldo Moro; delle stragi di piazza della Loggia, di P.zza Fontana, dell’Italicus e della

stazione di Bologna; stragi sulle quali aleggia il fumus di “deviazioni istituzionali” e dunque di

“terrorismo di stato”.

6. Il terrorismo transnazionale.

Il fenomeno più importante degli anni ’70 è la comparsa del “terrorismo internazionale”, o

forse, più esattamente, del terrorismo “transnazionale” e cioè della cooperazione tra gruppi

terroristici di differenti paesi, accomunati da ideologie o da semplici interessi di natura tattica o

strategica. Compare, così, in modo stabile, nella galassia del terrore, una nuova tipologia di

terrorismo che si propone di richiamare l’attenzione della Comunità internazionale sulle vicende

interne esportando la violenza oltre i propri confini geografici. colpendo, al contempo, i Paesi

ritenuti colpevoli di una politica loro contraria.

E’ questa l’azione di Al-Fatha, del “Fronte Popolare per la liberazione della Palestina”

(FPLP) di George Abbash, del “Fronte Democratico per la liberazione della Palestina” (FDLP),

confluiti in seguito nell’”Organizzazione per la liberazione della Palestina” (OLP) di Yasser Arafat;

organizzazioni “laiche” destinate a partorire numerosi altri gruppi terroristici, primo fra tutti, “Al

Fatah - Consiglio Rivoluzionario”, una sorta di multinazionale del terrore destinata ad identificarsi

per quasi trent’anni con il suo leader, Abu Nidal (Sabri Al Banna), ucciso dalla polizia nell’agosto

2002, in Iraq, dove aveva trovato rifugio, in circostanze rimaste misteriose.

Il terrorismo palestinese trova, in quegli anni, sostegno economico e logistico da parte di

alcuni Stati della Lega Araba, e in particolare, in funzione anti-ebraica, da Libia, Siria, Yemen del

Sud e Iran; Paesi oggi definiti dagli Stati Uniti “rogue states”, “stati canaglia” o più esattamente

“stati fuorilegge”. Pochi anni dopo compariranno sulla scena mediorientale gruppi terroristici a

matrice islamico-radicale, determinati a conquistare in Palestina la leadership politica fino ad

allora dalle organizzazioni “laiche”, nonché a ripristinare il Califfato e combattere i governi non

islamici in Medio Oriente, come la palestinese “Hamas” o il libanese “Hezbollah”, il partito di Dio,

o la “Jihad islamica egiziana”; organizzazioni figlie del movimento dei Fratelli Musulmani, fondato,

nel marzo 1928, dal predicatore salafista6 Hasan al-Banna (1906-1949), sostenuti dall’Iran

komeinista e dall’Iraq di Saddam Hussein.

6 Da salaf “antico”. Modello religioso fondato sulla rielaborazione del pensiero del teologo Ibn Taymiyya (1263-1328), discepolo della scuola hanbalita (V. nota 12)

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Il 22 luglio 1968, tre terroristi del FPLP dirottano un aereo di linea israeliano diretto da

Roma a Tel Aviv, dando così inizio a quella che il direttore dell’Unità di ricerca sul terrorismo della

Rand Corporation ha definito l’era moderna del terrorismo internazionale.7

Il numero di azioni condotte dai terroristi palestinesi contro i voli di linea e gli aeroporti (il 6

settembre 1970 vengono dirottati contemporaneamente 4 voli di linea) inducono l’International

Civil Aviation Organization (ICAO) a promuovere due convenzioni per la repressione degli atti

illeciti contro l’aviazione civile, approvate rispettivamente, all’Aja, il 16 dicembre 1970, ed a

Montreal, il 23 settembre 1971; convenzioni successivamente integrate dal Protocollo addizionale

del 24 febbraio 1988, relativo alla repressione degli atti di violenza negli aeroporti destinati

all’aviazione civile internazionale.

Il 5 settembre 1972, un commando palestinese di Settembre Nero, fazione armata di “al-

Fatah”, già responsabile l’anno precedente dell’assassinio del Primo Ministro giordano Wasfi al

Tall, sequestra ed uccide 11 atleti israeliani durante le Olimpiadi di Monaco.

Il dilagare della minaccia spinge il Comitato dei Ministri della Comunità Europea ad

adottare, la risoluzione (74) 3 del 24 gennaio 1974, relativa all’estradizione dei responsabili di atti

terroristici, mentre il Consiglio d’Europa, da vita, a Strasburgo, alla Convenzione europea per la

repressione del terrorismo del 27 gennaio 1977, alla quale fa seguito l’”Accordo relativo

all’applicazione della Convenzione europea per la repressione del terrorismo tra gli stati membri

delle Comunità Europee”, adottato a Dublino il 4 dicembre 1979.

7. Le origini dello jihadismo.

Il 6 ottobre 1981, la “Jihad islamica”, dopo aver attentato alla vita di Galmal Abd el-Nasser,

uccide il presidente egiziano Anwar el Sadat (1918-1981).

Negli Anni ’70, sulla base del pensiero di Said Qutb,8 erano, infatti, nate, due organizzazioni

armate, figlie dell’ala più radicale dei Fratelli Musulmani: Al-Jihad e la Jama’at al-Islamyyah;

organizzazioni che nel febbraio 1998 hanno sottoscritto unitamente ad Al Qaeda, al “Movimento

Jihad”, e alla “Jamat-ul-Ulema”, la fatwa anti-occidentale di Osama Bin Laden.

Per Abd Salam al-Faraj, fondatore di Al-Jihad, autore di uno scritto intitolato “Al-Faridah

al-Ga’ibah” (Il dovere nascosto), pubblicato sul quotidiano egiziano “Al Ahrar” il 14 dicembre

1981, il jihad, al pari dei “cinque pilastri della fede”,9 è un obbligo che ulama10 e faqih11 hanno

7 A.M.Dershowitz, “Terrorismo”, Roma, 2003, p. 39. 8 Said Qutb ( 1966), scrittore e ideologo dei Fratelli Musulmani, condannato e giustiziato per complicità nell’attentato a Sadat. 9 Shaada, salah, zakah, sawn e haji. 10 Ulema o Ulama: giureconsulti esperti della legge islamica. 11 Faqih: esperto giurista abilitato ad insegnare e a rilasciare pareri giuridici.

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storicamente occultato per loro interesse. Faraj afferma che, tanto il Corano quanto gli Hadith,

quando parlando del jihad alludono alla guerra, al combattimento, allo spargimento di sangue. Il

concetto di jihad deve, pertanto, essere interpretato in modo letterale e non allegoricamente come

hanno fatto i mistici e parte della dottrina. Il jihad, deve essere condotto contro tutti coloro che

deviano dagli obblighi morali e sociali imposti dalla shari’ah, siano questi infedeli o apostati.

Secondo Faraj, i mezzi pacifici e legali, sono inadeguati alla guerra contro gli “empi”. Nel suo

scritto Faraj sottolinea il come impegnarsi in queste azioni costituisca per tutti i veri musulmani un

obbligo ricompensato da Dio con il paradiso.

Abd Salam al-Faraj, ha incassato la propria ricompensa, nel 1982, anno in cui è stata

eseguita la condanna a morte inflittagli per il ruolo avuto nell’assassinio del presidente Sadat.

Quanto alla “Jama’at al-Islami”, il più importante dei gruppi radicali islamici egiziani, è

sufficiente ricordare che suo leader, lo sceicco cieco Omar Abdul Rahaman, già docente di teologia

nella prestigiosa università di Al-Azhar, è attualmente detenuto negli USA per l’attentato alle Twin

Towers che nel 1993 costò la vita a 6 persone, causando un migliaio di feriti. La “Jama’at al-

Islami” è ritenuta responsabile dell’assassino del presidente del parlamento egiziano Rifaat Mahgub

e dello scrittore laico Farag Foda. Il gruppo ha, inoltre, rivendicato i falliti attentati al presidente

egiziano Hosni Mubarak ed al premio Nobel Naghib Mahfuz, come pure la strage di Luxor, del

novembre 1997, che costo la vita a 58 turisti.

L’attentato organizzato contro il presidente egiziano Anwar Sadat, segna ufficialmente

l’inizio del moderno jihadismo, introducendo in modo stabile la dimensione rivoluzionaria nella

lotta dei movimenti islamici radicali contro i “poteri corrotti”.

Negli anni a seguire l’offensiva jihadista è proseguita indirizzando la propria azione

terroristica prevalentemente nei confronti di bersagli occidentali, finendo con il confondersi con Al

Qaeda (“la Base”…della jihad) ossia il network terroristico di Osama Bin Laden, del quale si dirà

brevemente in seguito.

Nel 1983, in Libano, compare per la prima volta il terrorismo suicida., con il quale

“Hezbollah” colpisce, in aprile, l’ambasciata degli Stati Uniti a Beirut e, in ottobre, i contingenti

americano e francese della forza multinazionale di pace. uccidendo 241 marines e 58 soldati

francesi.

Il 7 ottobre 1985, “Settembre Nero” sequestra l’Achille Lauro richiamando l’attenzione

dell’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) sulla sicurezza della navigazione. Il 10 marzo

1988, a Roma è approvata la Convenzione sulla repressione degli atti illeciti contro la sicurezza

della navigazione marittima ed il Protocollo relativo alle istallazioni fisse sulla piattaforma

continentale.

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Il 13 maggio 1981, in Italia o meglio nella Città del Vaticano Ali Agca attenta alla vita di

Giovanni Paolo II.

8. Il neo-terrorismo.

Negli Anni 90 anche in Italia la criminalità organizzata non disdegna il ricorso a metodi

terroristici. Nel 1993 i magistrati Giovanni Falcone e Teresa Morvillo, con gli uomini della loro

scorta, cadono vittime di un attentato esplosivo a Capaci. Poco tempo dopo tocca al Procuratore

della Repubblica Paolo Borsellino; quindi a Firenze due ordigni, di provenienza mafiosa, uccidono

5 persone, distruggono la torre dei Georgheofili e danneggiano il museo degli Uffizi.

Negli stessi anni anche gli Stati Uniti debbono confrontarsi con atti di terrorismo interno

realizzati da organizzazioni razziste e nazionaliste come l’ Arian Nation, la National Alliance e le

milizie dei Patriots diffuse in molti stati del nord, che hanno fatto dei Turner Diaries la propria

Bibbia. Scritti nel 1978 da Andrew Macdonald (al secolo William L. Pierce, leader della setta

filonazista National Alliance), i Turner Diaries erano la lettura preferita di Timoty McVeigh, autore

dell’attentato di Oklaoma City del 19 luglio 1995, che ideò la strage ispirandosi proprio a tali

racconti. Si tratta di un libro di fantapolitica che racconta della Grande Rivoluzione americana del

1991, vista attraverso gli occhi di un trentacinquenne militante dell’Order, organizzazione

“patriottica” dedita ad estirpare dalla nazione il “cancro” rappresentato da negri, ebrei, portoricani,

omossessuali e quantaltro.

Compare, inoltre, sullo scenario internazionale il cyber terrorismo, condotto da gruppi di

hackers, come l’americana Legion of Dom o il tedesco Chaos Computer Club, capaci di introdurre

nei computer “nemici” virus, bombe logiche o hight energy radio frequency (HERF) in grado di

distruggere o danneggiare le banche dati dei mercati finanziari, le reti ed i trasformatori elettrici ed

il controllo del traffico aereo o ferroviario. Il numero dei potenziali bersagli di un “cyberattacco” è

pressoché illimitato. Jhon Deutch, ex direttore della Central Intelligece Agency dichiarò, nel giugno

1996, che esisteva la concreta possibilità di una “Pearl Harbour elettronica” e che gli hacker

avevano offerto i loro servigi a Paesi quali l’ Iran, Iraq e Libia per penetrare nei computer americani

allo scopo di ottenere informazioni o sabotarli.12

Negli stessi anni il terrorismo assume, nuove forme coniugandosi con ecologismo ed

animalismo. Nato dal fondamentalismo ecologista degli Anni 80, l’ecoterrorismo trova il proprio

fondamento ideale nell’affermazione che l’uomo, per migliaia di anni, ha saccheggiato la natura

facendone venir meno l’armonia. La tipologia di azione degli eco-terroristici è sostanzialmente

riconducibile a due libri, pubblicati negli Anni 70, “Ecotage” di Robert Tawsend e “The Mokey

12 W.Laqueur, Il nuovo terrorismo, Varese, 2002, p. 97.

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Wrench Gang” di Edward Abbey. Quest’ultimo, tradotto in Italia con il titolo “I sabotatori”,

racconta le avventure di una piccola banda di ambientalisti che nel sud-ovest degli Stati Uniti si

dedica all’eco-sabotaggio distruggendo miniere e versando zucchero nei serbatoi dei bulldozer.

Istruzioni pratiche su come condurre eco-attacchi sono poi rinvenibili in “Ecodefence: Afeld Guide

to Monkhey Wrenching” di David Foreman, portavoce dell’ala più radicale del movimento

americano ambientalista “Earth First”.13 Le azioni eco-terroristiche sono state condotte fino ad oggi

prevalentemente con la minaccia di clamorosi attentati a persone e cose - come la minaccia di

distruggere Glen Canyon Dam Digue - in verità quasi mai realizzati, ovvero con piccole azioni di

sabotaggio contro macchinari, stazioni idroelettriche e cantieri edili. Tuttavia, nel 1986, a

Reykiavik, in Islanda, due militanti di “Earth First” riuscirono a sabotare ed affondare due baleniere

ed a distruggere un impianto per la lavorazione delle balene. Inoltre, l’intera attività criminosa del

celebre “Unabomber”, al secolo Teodore S. Kaezinski, deve essere ricondotta a questa tipologia di

terroristico.

Il terrorismo animalista trova la sua massima espressione nell’ “Animal Liberation Front”

(ALF), inserito dal Federal Bureau of Investigation (FBI) nell’elenco delle organizzazioni

terroristiche dopo una serie di attacchi condotti contro cacciatori, pellicciai, ristoranti, mattatoi,

veterinari, università e laboratori di ricerca ritenuti colpevoli di praticare la vivisezione. A partire

dalla seconda metà degli Anni 90 il terrorismo animalista si è reso responsabile degli attacchi

incendiari condotti contro le Università statali del Michigan, dell’Oregon e di Washington, la Johns

Hopkins Madical School di Baltimora e la sede del centro di diagnostica di Davis.

Alle nuove forme di terrorismo sopra descritte si aggiunge, quindi, la minaccia proveniente

dalle sette millenariste o apocalittiche, come l’attentato compiuto con il “Sarin”,14 il 20 marzo 1995,

nella metropolitana di Tokio, dai seguaci della setta Aum Shinrikyo (Verità suprema) nel quale

rimasero uccise 12 persone e ferite 5.500.

Nell’ultimo decennio del XX Secolo, emerge, tuttavia per pericolosità e virulenza il

terrorismo islamico-fondamentalista o più esattamente islamico-radicale, menome maturato

nell’area mediorientale con l’idea di combattere la contaminazione occidentale della Ragione.

In Algeria, il terrorismo islamico di stampo salafita15 inizia la propria attività nel 1991, dopo

l’annullamento, da parte del governo delle elezioni vinte dal Fronte Islamico di Salvezza (FIS). In

un primo tempo la violenza è rivolta esclusivamente nei confronti degli stranieri, della leadership

politica e degli intellettuali moderati. Il 29 giugno 1992 l’Armata Islamica di Salvezza (AIS) uccide

il presente Boudiaf, e, il 28 dicembre 1993, il poeta Youssef Sebti, che diviene il diciottesimo

13 W.Laqueur, Il nuovo terrorismo, cit. p. 248-250. 14 Sarin o GB: Gas nervino classificato come arma chimica di distruzione di massa. 15 Vedi nota 7.

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intellettuale assassinato in dieci mesi. Nella campagna terroristica dell AIS viene ucciso anche il

leader moderato del FIS Abdalbaki Saharaoui. In seguito, i “Gruppi Islamici Armati” (GIA), che

controllano una parte del territorio mettono in atto una vera e propria “strategia del terrore” che

troverà il culmine nel massacro compiuto nella Regione di Elisane, il 29 dicembre 1997,allorquando

senza motivo vengono trucidate 412 persone, fra le quali numerose donne e bambini.

In Palestina, l’assassinio del premier Ytzhak Rabin (4 novembre 1995) pone fine al

processo di pace iniziato due anni prima ad Oslo. L’inizio della seconda intifadah (28 settembre

2000) segna l’aumento delle azioni suicida da parte di “Hamas” e della “Jihad islamica

palestinese”, azioni in seguito, condotte in modo sinergico con il “Tanzim” e le “Brigate Al-Aqsa”,

fazioni armate di al-Fatah, scese in campo allo scopo di non perdere, a vantaggio delle

organizzazioni religiose, il consenso acquisito in passato tra la popolazione palestinese. Assume

così un ruolo strategico lo “shahid”, il testimone di fede, disposto al martirio in cambio della

ricompensa eterna.

In Cecenia, la disgregazione dell’impero sovietico determina una miscela di patriottismo,

terrorismo e crimine organizzato, nella quale è possibile rinvenire una serie di azioni terroristiche in

funzione anti-russa. Nel giugno 1995, un commando penetra nell’ospedale di Budjonnovsk e prende

in ostaggio un migliaio persone. Nel gennaio 1996 i ceceni assaltano la città di Kisljar che

abbandonano portando con sé un centinaio di ostaggi. Nell’aprile 2001 terroristi filo-ceceni

prendendo in ostaggio 150 persone nello Swiss Hotel di Istambul.

L’8 agosto 2000, una bomba esplode nella metropolitana di Mosca. Il 24 ottobre 2002 un

commando guidato da Movsar Baraeyv, nipote di Arbi Baraeyv, leader ceceno ucciso dai russi nel

giugno 2001, irrompe nel teatro situato nell’ex stabilimento Moskovskij Podshipnik, prendendo in

ostaggio 700 persone che saranno liberate in seguito ad un’azione dei reparti speciali che costerà la

vita all’intero commando e a 117 ostaggi. Infine, a Beslan, in Ossezia, il 1 settembre 2004 un

commando terroristico appartenente al “Battaglione dei martiri” di Shamil Basaev irrompe in un

asilo prendendo in ostaggio circa 1.500 persone fra adulti e bambini. L’epilogo della vicenda

condurrà al tragico bilancio di 394 morti fra i quali 156 bambini.

8. Segue: lo jihadismo.

Nel 1991, dopo la II Guerra del Golfo, la permanenza di forze armate statunitensi in Arabia

Saudita, da inizio al conflitto tra l’internazionale jihadista di Osama Bin Laden ed il “Grande

Satana” americano.Riconducibile al pensiero giuridico-religioso hanbalita16 e al wahabbismo17 lo

16 Scuola giuridico- religiosa fondata dal giurista-teologo Ibn Hanbal (m.855), caratterizzata da una rigorosa interpretazione del Corano e della shari’a e dall’affermazione della sovranità di Dio anche sul piano temporale.

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jihadismo, si propone di ripristinare, nel Dar al-Islam, e cioè nel mondo islamizzato, il legame fra

religione, società e stato (din-dunya-dawla) che aveva caratterizzato il modello politico originario, il

califfato, dove il califfo (khalifa - letteralmente “luogotenente”, “vicario” …del Profeta) era al

contempo guida politica e spirituale di una comunità di fedeli (umma) governata secondo la legge

religiosa (shari’a). Lo strumento è la guerra santa (jihad) contro l’Occidente, ed in particolare

contro gli Stati Uniti, Israele e i governi dei Paesi musulmani considerati apostati in quanto filo

occidentali.

L’uso di esplosivi in gran parte degli attentati terroristici induce le Nazioni Unite ad

adottare, il 1 marzo 1991, la Convenzione di Montreal sulla marcatura degli esplosivi al plastico ai

fini del rilevamento. A quest’ultima faranno seguito la Convenzione internazionale per la

repressione degli attentati terroristici dinamitardi (New York, 15 dicembre 1997) e la Convenzione

internazionale per la soppressione del finanziamento del terrorismo (New York, 9 dicembre 1999).

Alle nuove minacce l’Unione Europea reagisce con la Convenzione relativa all’estradizione

tra gli stati membri del 27 settembre 1996.

Il 23 febbraio 1993, esplode una bomba al Word Trade Center di Manhattan uccidendo 5

persone e ferendone quasi un migliaio; l’ottobre dello stesso anno a Mogadiscio vengono trucidati

18 marines. Nel 1996 un proclama di Bin Laden noto come “Dichiarazione di guerra contro gli

americani” ufficializza il conflitto con gli Stati Uniti. Il 25 giugno, a Daharan, in Arabia Saudita, un

attentato esplosivo uccide 19 soldati americani.

Alle nuove minacce l’Unione Europea reagisce con la Convenzione relativa all’estradizione tra gli stati membri del 27 settembre 1996.

Il 23 febbraio 1998 a nasce a Kandahar il “Fronte islamico internazionale per la Jihad

contro gli ebrei e i crociati”, ideologicamente fondato sulla fatwa di Bin Laden “contro gli ebrei e i

crociati”, al quale aderiscono gruppi egiziani a matrice salafista quali “Al-Jihad” di Ayman al-

Zawahiri, la “Jama’at al Isalmyya” e l’“Avanguardia della conquista” di Yasser al Sirri, nonché il

pachistano “Harakat al-Ansar” ed il giordano “Esercito di Muhammad”. II l7 ottobre dello stesso

anno l’“Esercito per la liberazione dei luoghi santi”, altra organizzazione affiliata ad “Al-Qaeda”,

compie attentati esplosivi contro le ambasciate americane di Nairobi e Dar es-Salam, nei quali

perdono la vita 210 persone.

Nell’ottobre 2000, nello Yemen, un commando suicida attacca la USS Cole provocando la

morte di 17 marinai americani.

9. La risoluzione del Consiglio di Sicurezza 1373 (2001). 17 Movimento religioso fondato nel 1754, nel Neged, da Mohammed Bin Abdul Wahhab, di scuola hanbalita, sostenitore dell’interpretazione radicale del Corano. Il Wahabbismo è oggi la religione di stato saudita.

26

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Tuttavia, solo dopo l’11 settembre 2001 la Comunità Internazionale percepisce la reale

portata della minaccia dell’organizzazione di Osama Bin Laden.

Il 28 settembre 2001, pochi giorni dopo gli attacchi alle Twin Towers ed al Pentagono, il

Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite adotta la Risoluzione n. 1373/200118, con la quale, ai

sensi del capitolo VII della Carta di San Francisco relativo alle misure implicanti l’uso della forza,

invita gli Stati membri a:

1. prevenire e reprimere i finanziamenti al terrorismo;

2. definire “reato” la raccolta di fondi destinati al finanziamento di attività terroristiche;

3. congelare immediatamente fondi e risorse economiche destinate a tale scopo;

4. astenersi dal fornire qualsiasi tipo di supporto a persone od organizzazioni coinvolte in attività

terroristiche;

5. impedire il reclutamento e la raccolta di armi sul proprio territorio;

6. garantire che i terroristi e i loro complici siano sottoposti ad un corretto procedimento

giudiziario che riconosca la gravità di tali atti e li condanni ad una pena adeguata;

7. attuare un efficiente controllo dei documenti di identità alle frontiere ed a prevenire la

contraffazione e l’uso fraudolento degli stessi;

8. impedire che l’asilo e lo stato di rifugiato possano essere concessi ad individui responsabili di

atti di terrorismo o che partecipino in qualsiasi modo all’organizzazione degli stessi,

ma anche e sopratutto

1. ad attuare un costante scambio di informazioni ed una adeguata cooperazione a livello

amministrativo e giudiziario allo scopo di prevenire la commissione degli illeciti descritti;

2. a garantirsi, durante le indagini ed i processi, reciproca assistenza attraverso lo scambio di

informazioni;

3. ad intensificare e velocizzare lo scambio di informazioni relative:

a) alle attività o agli spostamenti delle organizzazioni terroristiche e dei loro membri;

b) alla falsificazione di documenti;

c) al traffico di armi, esplosivi ed altre sostanze pericolose;

d) alle armi di distruzione di massa di cui dispongono;

e) alle tecniche di comunicazione dei terroristi.

4. a realizzare tale cooperazione mediante la conclusione di accordi bilaterali e multilaterali

nonché mediante l’adesione a trattati già esistenti;

La risoluzione, con la quale viene istituito il Counter terrorism committe, non offre tuttavia

una definizione di “terrorismo” o di “atto terroristico”, ciò nonostante la bozza dello statuto della

18 Il testo della risoluzione è riportato in appendice 1.

27

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Corte Penale Internazionale, approvato a Roma nel luglio 1998, avesse inizialmente incluso fra i

crimini attribuiti alla competenza di tale organo anche quello di “terrorismo internazionale”,

offrendone le seguenti definizioni: intraprendere, organizzare, sponsorizzare, ordinare, agevolare,

finanziare, incoraggiare, o tollerare atti di violenza contro un altro stato, che siano diretti contro

persone o cose e di natura tale da creare terrore, paura o insicurezza nelle menti delle figure

pubbliche, di gruppi di persone, della pubblica opinione o della popolazione, per qualunque tipo di

interesse e obiettivo di carattere politico, filosofico, ideologico, razziale, etnico, religioso o di

qualunque altra natura che possa essere invocato per giustificare tali attacchi; attacchi che rientrino

nell’ambito delle sei convenzioni di cui viene fornito un elenco tra cui rientrano la convenzione

internazionale contro la presa di ostaggi; un attacco che preveda l’impiego di armi da fuoco, altre

armi, esplosivi e sostanze pericolose, nel caso in cui vengano utilizzate come strumenti per

perpetrare violenza indiscriminata che comporti la morte o gravi danni fisici a persone o gruppi di

persone o popolazioni, come pure gravi danni alle loro proprietà.

Tuttavia, come si avrà modo di illustrare nel capitolo che segue la Comunità internazionale

non ha raggiunto ad oggi un accordo in ordine alla “definizione giuridica” di “terrorismo

internazionale”, che ha finito con l’essere oggetto di Convenzioni a carattere regionale,

accentuando in tal modo differenti posizioni assunte in merito dagli Stati occidentali e dagli Stati

appartenenti al “blocco” composto dall’America Latine e dai paesi arabi, africani e asiatici.

28

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CAPITOLO II

L’ATTIVITÀ DI CONTRASTO DEL TERRORISMO DA PARTE DELLE NAZIONI UNITE

I. LE CONVENZIONI A CARATTERE UNIVERSALE TRADIZIONALMENTE ASSOCIATE AL TERRORISMO

INTERNAZIONALE

1. Premessa.

Il principale problema giuridico attiene alla definizione di “terrorismo internazionale”.

Definire tale fenomeno è diventato, infatti, particolarmente importante considerate le misure

eccezionali adottate, dopo l’11 settembre 2001, dagli Stati e dal Consiglio di Sicurezza delle

Nazioni Unite allo scopo di prevenire e reprimere gli attentati terroristici.

Il Consiglio di Sicurezza ha, infatti, adottato, per la prima volta, delle decisioni vincolanti

per tutti gli Stati Membri, senza alcun limite temporale, facendo riferimento ad una fattispecie

astratta.

Quanto agli Stati, è noto come alcuni di questi, allo scopo di rafforzare la sicurezza

nazionale di fronte alla nuova emergenza, abbiano adottato misure restrittive delle libertà personali

anche in deroga agli obblighi assunti in base al diritto internazionale.

Nell’ambito delle Nazioni Unite, il problema della definizione non è stato, tuttavia,

adeguatamente risolto, né attraverso le Convenzioni a carattere universale né attraverso le

risoluzioni dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza.

Le ragioni della difficoltà di rintracciare una definizione giuridica accettata da gran parte

degli Stati della comunità internazionale sono note. Sin dall’inizio sono, infatti, riemerse le

profonde divergenze esistenti in merito a tale definizione.19

In origine, il dibattito si era incentrato su quali atti dovessero essere considerati terroristici

e, più precisamente, sul fatto di comprendere nella nozione i soli atti di privati “sponsorizzati” dagli

Stati, come proposto dai Paesi occidentali, o anche il cosiddetto “terrorismo di stato”, cioè gli atti di

aggressione posti in essere da organi statuali contro i popoli che, sulla base del diritto

19 V. A. Gioia, Terrorismo internazionale, crimini di guerra e crimini contro l’umanità, in Rivista di diritto internazionale, 2004 , pp. 5-69.

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internazionale, lottano, legittimamente, per la propria autodeterminazione, come invece proposto

dagli Stati arabi e afro-asiatici.20

Un ulteriore motivo di contrasto riguardava l’intenzione, manifestata dal gruppo degli Stati

afro-asiatici e arabi, di non confondere gli atti terroristici con le azioni dei c.d. freedom fighters, i

combattenti per la libertà nell’ambito di un processo di autodeterminazione.

Nel settembre 1972, il Sesto Comitato per le questioni legali dell’Assemblea Generale delle

Nazioni Unite incaricò il Segretario Generale di predisporre uno studio relativo al problema del

terrorismo in grado di tener conto delle origini del fenomeno.21

Nel rapporto del Segretario Generale si può leggere: “the ordinary meaning of the word

terrorism has undergone an evolution since it first came into use at the end of eighteenth century,

and has been differently interpreted according to the different types of acts which were uppermost

at the time in the minds of those discussing the subject. While at first it applied mainly to those acts

and policies of Governments which were designed to spread terror among a population for the

purpose of ensuring its submission to and conformity with the will of those Governments, it now

seems to be applied to actions by individuals, or groups of individuals.”22

Nell’aprile 1973, la Siria ebbe a sottolineare la pericolosità del “terrorismo di stato” e

dunque la necessità di tenere debito conto di tale tipologia di terrorismo nell’ambito dello predetto

studio: “c’est ce terrorisme criminel qui se trouve à la base de la tragédie et des souffrances de

millions d’innocent sans défense en Asie, en Afrique et en Amérique latine. La communauté

internazionale civilisée n’oubliera pas le terrorisme pratiqué par l’impérialisme américain et ses

agents, avec une barbarie sans précédent, contre le peuple du Viet-Nam qui aspire à la liberté et à

20 Il diritto dei popoli all’autodeterminazione è oggetto di una norma che ha assunto carattere consuetudinario attraverso una prassi che si è sviluppata particolarmente nell’ambito delle Nazioni Unite. L’art. 1, par. 2, della Carta delle Nazioni Unite prevede, fra gli obiettivi delle Nazioni Unite, di “develop friendly relations among nations based on respect for the principle of equal rights ad self-determination of peoples.” L’art. 55 prevede inoltre che le Nazioni Unite promuovano obiettivi con l’intento di creare condizioni di stabilità necessarie affinché le Nazioni intrattengano relazioni pacifiche ed amichevoli “based on respect for the principle of equal rights and self-determination of peoples.” Importanti Dichiarazioni di Principi adottate dall’Assemblea Generale hanno ribadito il suddetto principio contribuendo alla formazione di una norma consuetudinaria corrispondente (Cfr. in tal senso i pareri della Corte Internazionale di Giustizia del 1971 e del 1975, rispettivamente sulla Namibia (CIJ, Recueil, 1971, parr. 52-53) e sul Sahara occidentale (CIJ, Recueil, 1975, parr. 54-59) e la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia del 1995 nel caso Timor Orientale (CIJ, Recueil, 1995, par. 29). Fra queste, la Dichiarazione 1514 (XV) sull’indipendenza dei popoli coloniali, adottata il 14 dicembre 1960 e la Dichiarazione 2625 (XXV) sui principi di diritto internazionale relativi alle relazioni amichevoli e alla cooperazione fra gli Stati, adottata nel 1970. Tra le Convenzioni sui diritti umani, l’art. 1 comune ai Patti conclusi nell’ambito delle Nazioni Unite nel 1966, il primo sui diritti civili e politici ed il secondo sui diritti sociali, economici e culturali, prevede, al paragrafo 1, che “all peoples have the right to self-determination. By virtue of that right they freely determine their political status and freely pursue their economic, social and cultural development.” V.in dottrina G.Guarino, “Autodeterminazione dei popoli e diritto internazionale!, 1984; M. Iovane, Le Falkland/Malvinas: autodeterminazione o decolonizzazione, in La questione delle Falkland/Malvinas nel diritto internazionale (a cura di RONZITTI N.), 1984, p. 85 ss; H. Quaine, The United Nations and the Evolving Right to Self-Determination, in International and Comparative Law Quarterly, 1998, p. 537 ss. 21 Cfr. A/C.6/414 (27 settembre 1972). 22 Cfr. A/C.6/418, p. 6, (2 novembre 1972).

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l’unité. La communauté internationale doit s’unir afin de mettre fin au terrorisme sioniste pratiqué

par Israël contre le peuple de Palestine et contre les Etats arabes, dont une partie du territoire est

occupé par Israel”.23

Lo stesso anno anche l’Algeria intervenne sulla necessità di includere il terrorismo di Stato

nello studio del Comitato ad hoc. Secondo tale Paese, gli Stati ricorrevano, infatti, alla violenza ed

al terrorismo quando intendevano sottomettere una popolazione alla propria volontà o utilizzare il

territorio e le sue risorse per scopi contrari agli interessi della popolazione stessa; in altri termini

quando praticavano “a policy of expansionism and hegemony”; 24 fattori che contraddistinguevano

varie situazioni quali il dominio coloniale, l’occupazione straniera di un territorio, l’applicazione di

una politica di discriminazione razziale e di apartheid, l’aggressione punitiva (“punitive

aggression”) di uno Stato contro un altro Stato ed in genere l’uso della forza armata in circostanze

diverse da quelle previste dal diritto internazionale.25

Alle predette dichiarazioni replicarono i delegati di alcuni Stati occidentali, secondo cui, il

riferimento al terrorismo di Stato avrebbe, per cosi dire, “offuscato” la vera natura del problema. Il

rappresentante degli Stati Uniti, in particolare, ebbe a sostenere che “such an approach had to be

rejected because it mixed two distinct problems in such a manner as to ensure that no meaningful

action would be taken with regard to either”. 26

Nel successivo dibattito, avvenuto nell’ambito del Comitato ad hoc, il delegato statunitense

affermò, inoltre, che uno dei principali ostacoli all’eliminazione del terrorismo internazionale era

costituito proprio dall’argomento, sostenuto da alcuni Stati, secondo cui non sarebbe stato possibile

perseguire individui terroristi se non fossero state predisposte misure adeguate contro i Governi che

terrorizzano la popolazione mediante politiche repressive.27

In termini pressoché analoghi ebbe ad esprimersi il delegato del Regno Unito: “acts of States

seeking to deprive citizens of their fundamental rights and freedoms were a source of concern and,

consequently, it is essential to include the last sentence, which reflected the fact that for many years

the United Nations had adopted provisions to protect individuals against arbitrary acts of States,

23 A/AC.160/1, p. 34 (10 aprile 1973). 24 Report of the ad Hoc Committee on international terrorism, GAOR, 28th session, Supplement No. 28 (A/9028), 1973, p. 24. 25 Opinioni analoghe a quelle qui riportate sono state espresse dallo Yemen, in A/AC.160/1/Add.1 (12 giugno 1973), p. 27 e dalla Tunisia, in Report of the ad hoc Committee on international terrorism, GAOR, 32th session, Supplement No. 37 (A/32/37), 1977, p. 31. 26 In GAOR A/C.6/SR 1581, (4 dicembre1975), p. 282. 27Aggiunse poi che “there were too many injustices in the world for it to be possible to condition the solution of one of them upon the solution of all of them. Moreover, an established body of rules governing the conduct of States already existed, e.g., the United Nations Charter, the Definition of Aggression and the Universal Declaration of Human Rights. It was necessary now to formulate rules applicable to individual action.” In Report of the ad hoc Committee on international terrorism, GAOR, 32th session, Supplement No. 37, (A/32/37), 1977, p. 24.

31

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whether they took the form which Algeria called State terrorism or whether they took any other

form.” 28

Il quadro giuridico, quanto mai frammentario, risultante dalle varie Convenzioni

internazionali in materia è, pertanto, il frutto delle divergenti posizioni assunte dagli Stati

occidentali e dal “blocco” dei Paesi arabi e afro-asiatici in ordine alla nozione giuridica di

“terrorismo internazionale”; posizioni che hanno condotto all’impossibilità di trovare un accordo

generale e/o universale per la predisposizione di strumenti giuridici che, condannando tale

fenomeno prevedessero adeguate misure in tema di prevenzione e repressione.

Sono state, infatti, stipulate Convenzioni che, pur avendo carattere universale, si sono

limitate a disciplinare i singoli reati tradizionalmente associati al terrorismo, eludendo volutamente

il problema di una sua definizione generale,29 come pure Convenzioni a carattere regionale che, pur

presentando limitata efficacia soggettiva, vincolando solo un numero limitato di Stati, hanno

previsto una definizione in termini generali del fenomeno.30

I più recenti tentativi dell’Assemblea Generale di adottare una Convenzione a carattere

universale in materia di terrorismo si sono arenati di fronte al problema della definizione, ciò

proprio a causa del mancato accordo sulla distinzione tra atti di terrorismo e atti di resistenza posti

in essere nei confronti delle potenze occupanti.31

D’altra parte quasi tutte le Convenzioni a carattere universale in materia sono state oggetto

dichiarazioni o riserve da parte degli Stati arabi e afro-asiatici, allo scopo di evitarne l’applicazione

ai “freedom fighters”; inoltre buona parte delle Convenzioni a carattere regionale, pur condannando

il terrorismo internazionale, lo distinguono dalle lotte di liberazione nazionale.32

28 Ibidem, p. 46. 29 Si pensi alla Convenzione sui reati e taluni altri atti compiuti a bordo di aeromobili, firmata a Tokyo il 14 settembre 1963 ed entrata in vigore il 4 dicembre 1969, la Convenzione per la repressione del sequestro illecito di aeromobili, firmata a L’Aja il 16 dicembre 1970 ed entrata in vigore il 14 ottobre 1971, e la Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima, firmata a Roma il 10 marzo 1988 ed entrata in vigore il 1° marzo 1992. 30 Si tratta in particolare della Convenzione Araba per la repressione del terrorismo internazionale, adottata a Il Cairo il 22 aprile 1998 ed entrata in vigore il 7 maggio 1999, e della Convenzione dell’Organizzazione della Conferenza Islamica per la repressione del terrorismo internazionale, adottata ad Ugadugu il 1° luglio 1999. 31 Tale distinzione è stata adottata in una recente decisione del Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Milano del 24 gennaio 2005 (www.magistraturademocratica.it/md.php/6/646) e ribadita dalla terza Corte d’Assise d’Appello di Milano nella sentenza emessa il 28 novembre 2005 (sentenza n. 64/05, non ancora pubblicata). Il 31 gennaio 2005 il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Brescia si è pronunciato in un caso analogo, ma in termini opposti, nel senso che in realtà non sarebbe possibile distinguere la guerriglia dal terrorismo e che gli attacchi diretti contro obiettivi militari anche in situazioni di conflitto armato ovvero occupazione militare sarebbero da considerarsi senza alcun dubbio atti di terrorismo internazionale. In http://www.magistraturademocratica.it/md.php/20/787. 32 Fra queste, la Convenzione Araba per la repressione del terrorismo internazionale adottata a Il Cairo il 22 aprile 1998, ed entrata in vigore il 7 maggio 1999, prevede come reato di terrorismo, ai sensi dell’art. 1, par. 2, “any act or threat of violence, whatever its motives or purposes, that occurs for the advancement of an individual or collective criminal agenda, causing terror among people, causing fear by harming them, or placing their lives, liberty or security in ranger, or aiming to cause damage to the environment or to public or private installations or property or to occupy or seize them, or aiming to jeopardize a national resource.” Tuttavia l’art. 2 della medesima Convenzione stabilisce che

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2. Le Convenzioni internazionali adottate nell’ambito di Istituti specializzati delle Nazioni Unite.

Come si è visto nel precedente capitolo, dagli anni Sessanta ad oggi sono stati elaborati diversi

accordi, a carattere universale, volti ad istituire una cooperazione fra gli Stati per la prevenzione e la

repressione di precise tipologie di atti riconducibili al fenomeno terroristico.33

Tuttavia, delle dodici Convenzioni concluse, oggi allegate alla risoluzione 1313/2001, solo

due contengono nel testo il termine “terrorismo”,34 mentre solo tre di queste esprimono nel

Preambolo un profonda preoccupazione per gli atti terroristici o dichiarano che gli atti oggetto di

repressione da parte della Convenzione sono considerati atti di “terrorismo internazionale”.35

Ai fini di una trattazione organica dell’argomento occorre, quindi, in primo luogo, distinguere

le Convenzioni concluse nell’ambito delle Nazioni Unite da quelle concluse nell’ambito di Istituti

specializzati quali l’Organizzazione per l’aviazione civile internazionale (ICAO),

dell’Organizzazione marittima mondiale (IMO) e dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica

(IAEA). In nessuno di tali accordi vi è, infatti, un esplicito riferimento al “terrorismo

internazionale”, mentre i più recenti strumenti convenzionali adottati nell’ambito delle Nazioni

Unite menzionano espressamente tale fenomeno. Inoltre, il problema di distinguere gli atti di

terrorismo internazionale dagli atti compiuti dai freedom fighters è stato sollevato con riferimento

solo ad alcune di queste Convenzioni.

Una prima categoria di atti considerata espressione del fenomeno in questione attiene alla

sicurezza dell’aviazione civile. Nell’ambito dell’ICAO sono state, infatti, concluse la Convenzione

“sui reati e taluni altri atti compiuti a bordo di aeromobili”, firmata a Tokyo il 14 settembre 1963,

entrata in vigore il 4 dicembre 1969,36 la Convenzione “per la repressione del sequestro illecito di

aeromobili”, firmata a L’Aja il 16 dicembre 1970, entrata in vigore il 14 ottobre 1971,37 e la

“all cases of struggle by whatever means, including armed struggle, against foreign occupation and aggression for liberation and self-determination, in accordance with the principles of international law, shall not be regarded as an offence.” In International Instruments related to the Prevention and Suppression of International Terrorism, United Nations, New York, 2001, p. 153. Analoga disposizione è prevista nell’art. 2 della Convenzione dell’Organizzazione della Conferenza Islamica per la repressione del terrorismo internazionale, adottata ad Ugadugu il 1° luglio 1999, (ibidem p. 190) e nell’art. 3. par. 1, della Convenzione dell’Organizzazione dell’Unione Africana per la prevenzione e la repressione del terrorismo internazionale, adottata ad Algeri il 14 luglio 1999 (ibidem p. 213). 33 Sulle Convenzioni in materia di terrorismo internazionale, v. J. Trahan, Terrorism Conventions: Existing Gaps and Different Approaches, in New England International and Comparative Annual, 2002, p. 215 ss. 34 Si tratta della Convenzione internazionale per la repressione di atti terroristici dinamitardi (New York, 15 dicembre 1997) e della Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo (New York, 9 dicembre 1999). 35 V. la Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi (New York, 17 dicembre 1979); la Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima (Roma, 10 marzo 1988); la Convenzione sulla marcatura degli esplosivi ai fini del rilevamento (Montreal, 1° marzo 1991). 36 In International Instruments Related to the Prevention and Suppression of International Terrorism, United Nations, New York, 2001, p. 2. Attualmente gli Stati parti sono 182, in http://www.icao.int/eSHOP/conventions_list.htm 37 Ibidem, p. 13. Sulla Convenzione del 1970, i cui Stati contraenti sono 182, cfr. in dottrina, G.Guillaume, La Convention de La Haye du 16 décembre 1970 pour la repression de la capture illecite d’aéronefs, in Annuaire Français

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Convenzione “per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza dell’aviazione civile”, firmata a

Montreal il 23 settembre 1971, entrata in vigore il 26 gennaio 1973.38

Il 1° marzo 1991 è stata, inoltre, adottata, a Montreal, la Convenzione “sulla marcatura degli

esplosivi al plastico ai fini del rilevamento”, entrata in vigore il 21 giugno 1998, della quale sono

oggi parte 129 Stati.

Le Convenzioni relative alla sicurezza degli aeromobili civili in volo e delle persone e dei beni

presenti su questi, puniscono quale autore di un atto penalmente rilevante (“offense against penal

law”) chiunque (“any person”) illecitamente, con violenza o minaccia di violenza, si impadronisca

di un aeromobile o ne assuma il controllo ovvero tenti di commettere tali atti (art. 1 della

Convenzione del 1970), distrugga l’aeromobile o compia atti tali da renderlo inadatto al volo o tali

da comprometterne la sicurezza, compia atti di violenza in danno delle persone che si trovino a

bordo di questi ogni qual volta tali atti possano compromettere la loro sicurezza in volo (art. 1 della

Convenzione del 1963 e art. 1 della Convenzione del 1971) ovvero si renda complice della

realizzazione dei suddetti atti (art. 1, lett. b, della Convenzione del 1970 e art. 1, par. 2, lett. b della

Convenzione del 1971).

Tali Convenzioni escludono dal loro ambito di applicazione gli aeromobili utilizzati per scopi

militari, doganali o di polizia (art. 1, par. 4, della Convenzione del 1963, art. 3, par. 2, della

Convezione del 1970 e art. 4, par. 1, della Convenzione del 1971).

Ai predetti strumenti pattizi ha fatto seguito il Protocollo di Montreal del 24 febbraio 1988,

entrato in vigore il 6 agosto 1989, relativo “alla repressione di atti di violenza negli aeroporti adibiti

all’aviazione civile internazionale”.39

La seconda categoria di atti attiene alla sicurezza della navigazione e trova disciplina nella

Convenzione per la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima,

firmata a Roma il 10 marzo 1988, entrata in vigore il 1° marzo 1992,40 e nell’annesso Protocollo

de Droit International, 1970, p. 35 ss; S.M.Carbone, Repressione della c.d. pirateria aerea nei rapporti internazionali, in Rivista di diritto internazionale privato e processuale, 1971, p. 534 ss; Gl Kojanek, Il dirottamento di aeromobili nella recente disciplina internazionale, in La Comunità Internazionale, 1971, p. 266 ss; S. Glaser, Quelques observations sur le détournement d’aéronef. En marge de la Convention du 16 décembre 1970 sur la répression de la capture illicite d’aéronefs, in Revue Générale de Droit International Public, 1972, p. 12 ss; C. Emanuelli, Etude sur les moyens de prévention et de sanction en matière d’actes d’interférence illicite dans l’aviation civile internationale, ibidem, 1973, p. 577 ss; A.Abramovsky, Multilateral Conventions for the Suppression of Unlawful Seizure and Interference with Aircraft. Part I: The Hague Convention, in Columbia Journal of Transnational Law, 1974, p. 381 ss. 38 Ibidem p. 21. Sulla convenzione del 1971, ratificata da 185 Stati, cfr. in dottrina, R.K. Mankievicz, La Convention de Montréal (1971) pour la repression d’actes illicites dirigés contre la sécurité de l’aviation civile, in Annuaire Français de Droit International, 1971, p. 855; C.S. Thomas, M.J. Kirby, The Convention for the suppression of unlawful acts against the safety of civil aviation, in International and Comparative Law Quarterly, 1973, p. 163 ss; A.Abramovsky, Multilateral Conventions for the Suppression of Unlawful seizure and Interference with Aircraft. Part II: The Montreal Convention, in Columbia Journal of Transnational Law, 1975, p. 268 ss. 39 Ibidem, p. 63. Gli Stati contraenti sono attualmente 160. 40Ibidem, p. 68. Sulla Convenzione di Roma, ratificata da 137 Stati (in http://www.imo.org/Conventions/mainframe.asp?topic_id=247), cfr. in dottrina, A.Alberstam, Terrorism on the high

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relativo alla repressione degli atti illeciti contro la sicurezza delle piattaforme fisse situate nella

piattaforma continentale.41

La Convenzione di Roma considera reato gli atti, da chiunque commessi, diretti, illecitamente

ed intenzionalmente, ad impadronirsi di una nave o a esercitarne il controllo mediante l’uso della

violenza o della minaccia della violenza, gli atti di violenza compiuti nei confronti di una persona

che si trovi a bordo, quando siano di natura tale da pregiudicare la sicurezza della navigazione,

nonché il fatto di distrugge una nave o causare a una nave o al suo carico danni di natura tale da

mettere in pericolo la sicurezza della navigazione. Analogamente a quanto accade per le

Convenzioni promosse dall’ICAO la Convenzione di Roma prevede quale reato la complicità nei

fatti enunciati nell’art. 3, par. 2, lett. b), escludendo espressamente dal proprio ambito di

applicazione le navi da guerra e le navi adibite a servizi doganali o di polizia (art. 2).

Infine, nell’ambito dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica, è stata conclusa la

Convenzione sulla protezione fisica del materiale nucleare, firmata a Vienna il 26 ottobre 1979,

entrata in vigore l’8 febbraio 1987,42 destinata a reprimere la ricettazione, la detenzione e l’uso del

materiale nucleare senza titolo, ogni qual volta tali fatti possano provocare la morte, il ferimento

grave di persone o il danneggiamento di beni.

3. Le Convenzioni internazionali adottate nell’ambito delle Nazioni Unite.

Come si è detto, anche nell’ambito delle Nazioni Unite sono state concluse sia Convenzioni

“di settore”, destinate a reprimere singole fattispecie tradizionalmente associate al terrorismo

internazionale, sia Convenzioni a carattere universale che fanno riferimento al terrorismo

internazionale in termini espliciti e generali.

Alla prima categoria appartengono la Convenzione “sulla prevenzione e la repressione dei

reati contro le persone internazionalmente protette, inclusi gli agenti diplomatici”, firmata a New

York il 14 dicembre 1973, entrata in vigore il 20 febbraio 1977,43 e la Convenzione “contro la

cattura di ostaggi”, conclusa a New York il 17 dicembre 1979, entrata in vigore il 3 giugno 1983.44

seas: the Achille Lauro, Piracy and the IMO Convention on Maritime Safety, in American Journal of Internationl Law, p. 269 ss; F. Francioni, Maritime terrorism and international law: the Rome Convention of 1988, in German Yearbook of International Law, 1988, p. 278 ss; D. Momatz, La Convention pour la repression d’actes illicites contre la sécurité de la navigation maritime, in Annuaire Français de Droit International, 1988, p. 595 ss; A.F. Panzera, Gli accordi di Roma per la repressione di atti illeciti contro la sicurezza della navigazione marittima e delle installazioni fisse collocate sulla piattaforma continentale, in La Comunità internazionale, 1988, p. 421 ss. 41 Ibidem, p. 82. Gli Stati contraenti sono attualmente 127. 42 Ibidem, p. 48. Gli Stati parti sono 121, in http://www.iaea.org/Publications/Documents/Conventions/cppnm.html. 43 Ibidem, p. 30. Sulla Convenzione del 1973, di cui sono parti 163 Stati, cfr. in dottrina, M.C. Wood, The Convention on the Prevention and the Punishment of Crimes against Internationally Protected Persons, Including Diplomatic Agents, in International and Comparative Law Quarterly, 1974, p. 791 ss; NOTE, The Convention on the prevention and the punishment of crimes against diplomatic agents and other internationally protected persons: an analysis, in Vanderbilt Journal of International Law, 1974, p. 705 ss; A.F. Panzera, La Convenzione sulla prevenzione e la

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Alla seconda la Convenzione internazionale “per la repressione degli attentati terroristici

dinamitardi”, conclusa a New York il 15 dicembre 1997, entrata in vigore il 23 maggio 2001,45 e la

Convenzione internazionale “per la repressione del finanziamento del terrorismo”, firmata a New

York il 9 dicembre 1999, entrata in vigore il 10 aprile 2002.46

Le prime due Convenzioni citate presentano particolare interesse per quanto attiene al

ricorrente problema della distinzione tra “terrorismo internazional”e e atti compiuti nel corso di un

conflitto di autodeterminazione.

3.1. La Convenzione contro la cattura di ostaggi e la Convenzione contro la prevenzione e la

repressione dei reati contro le persone internazionalmente protette, inclusi gli agenti diplomatici:

la questione dei movimenti di liberazione nazionale.

Durante i lavori preparatori della Convenzione del 1973, i delegati di 37 Stati proposero di

escludere dall’ambito di applicazione della stessa i movimenti di liberazione nazionale, inserendo

nel testo un articolo in base al quale “no provision of the present articles shall be applicable to

peoples struggling against colonialism, alien domination, foreign occupation, racial discrimination

and apartheid in the exercise of their legitimate rights to self-determination and independence”.47

Come risulta dal testo definitivo, il testo di tale strumento non contiene alcuna norma in

merito. La differente posizione degli Stati in ordine al problema dei rapporti fra terrorismo

internazionale e processi di autodeterminazione è stata infatti mediata per mezzo del paragrafo 4

della Risoluzione 3166 (XXVII) adottata all’unanimità dall’Assemblea Generale delle Nazioni

Unite il 14 dicembre 1973, alla quale la Convenzione è annessa, laddove è previsto che “the

provisions of the annexed Convention could not in any way prejudice the exercise of the legitimate

right to self-determination and independence … [omissis]… by peoples struggling against

colonialism, alien domination, foreign occupation, racial discrimination and apartheid”.

Nel commento al progetto della risoluzione 3166, predisposto dal Sesto Comitato, può

leggersi che il paragrafo 4 “was proposed as a substitute for the 37-Power draft additional

article”.48

E’ precisato, inoltre, che la risoluzione, “whose provisions are related to the annexed

Convention, shall always be published together with it”. repressione dei reati contro persone che godono di protezione internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 1975, p. 80 ss. 44 Ibidem, p. 38. Sulla Convenzione del 1979, ratificata da 155 Stati, cfr. in dottrina, J.L. Lambert, Terrorism and hostages in international law, 1990; A.F. Panzera, Qualche considerazione in merito alla Convenzione internazionale contro la presa di ostaggi, in Rivista di diritto internazionale, 1980, p. 885 ss. 45 Ibidem, p. 99. La Convenzione è stata ratificata da 148 Stati. 46 Ibidem, p. 113. Gli Stati parti sono 155. 47 UN GAOR 28th Session, A/9407, 10 dicembre 1973, p. 50. 48 Ibidem, p. 61.

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Nell’ambito del dibattito svoltosi in seno all’Assemblea Generale a seguito dell’adozione del

testo della Convenzione del 1973, alcuni Stati occidentali hanno sostenuto che la risoluzione citata

non poteva e non doveva, in alcun caso, essere posta a fondamento della legittimità di tali crimini,

nemmeno allorquando questi ultimi vengano commessi da un popolo nell’esercizio del proprio

diritto all’autodeterminazione.49 Altri Stati sostennero, invece, che la Convenzione adottata non

dovesse “impair the struggle of peoples against colonialism, foreign domination and racist

regimes”. 50

Le problematiche relative al rapporto fra terrorismo e lotte di autodeterminazione sono state

riproposte in occasione della preparazione della Convenzione del 1979 contro la presa di ostaggi.

Nel corso della prima sessione di lavoro si presentò, infatti, il problema di distinguere la presa di

ostaggi quale crimine ordinario dalla presa di ostaggi compiuta nel corso delle guerre di liberazione

nazionale. Alcuni Stati sottolinearono che gli atti compiuti dai freedom fighters, in quanto differenti

da quelli compiuti dai terroristi, “by definition”, dovevano essere esclusi dall’ambito di applicazione

della Convenzione. Il delegato siriano, ad esempio, affermò in proposito che “acts perpetrated by

criminals under ordinary law could not be placet on an equal footing with the struggle of the

national liberation movements which, by their very nature and their objectives, were entirely

different”.51 Il delegato della Tanzania, a sua volta, propose l’inserimento di una clausola in base

alla quale “for the purposes of this Convention, the term taking of hostage shall not include any act

or acts carried out in the process of national liberation against colonial rule, racist and foreign

regimes, by liberation movements recognized by the United Nations or regional organizations”. 52

Gli Stati occidentali ritenevano, tuttavia, che la Convezione non dovesse prevedere

eccezioni basate su mere ragioni politiche. Il rappresentante statunitense, in particolare, dichiarò

“the question of whether there were circumstances in which oppressed peoples could resort to force

to obtain their fundamental rights, including their right to self-determination, was not at issue” e

che non era possibile, anche in nome delle cause più nobili, legittimare atti quali la presa di

ostaggi.53

Il compromesso fu raggiunto con l’introduzione dell’art.12, in base al quale sono esclusi

dall’ambito di applicazione della Convenzione i casi di cattura di ostaggi commessi durante i

conflitti armati, così come definiti nelle Convenzioni di Ginevra del 12 agosto 1949 e nei Protocolli

Aggiuntivi dell’8 giugno 1977 fra i quali sono compresi i conflitti armati internazionali, previsti dal 49 Cfr. in particolare le dichiarazioni di Canada e Regno Unito, in UN GAOR, 28th Session 2202nd meeting, 14 dicembre 1973, rispettivamente p. 21 e p. 24. 50 Cfr. in particolare le dichiarazioni di Algeria, Cuba e Bulgaria, ibidem, rispettivamente p. 27, 32 e 33. 51 UN Doc. A/32/39, p. 36. Simili dichiarazioni furono espresse inoltre da Nigeria e Tanzania e anche da Jugoslavia, Unione Sovietica, Polonia e Bielorussia. 52 UN Doc. A/AC.188/L.5 (1977). 53 First Report of the Hostages Committee, pp. 83-84.

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paragrafo 4 dell’articolo 1 del I Protocollo, nei quali “i popoli lottano contro il dominio coloniale,

l’occupazione straniera ed i regimi razzisti, nell’esercizio del diritto dei popoli

all’autodeterminazione”.

È, tuttavia, opportuno notare che l’art. 12 si limita ad escludere dall’ambito di applicazione

della Convenzione le ipotesi di cattura di ostaggi commesse durante i conflitti armati, senza

condannare la cattura di ostaggi durante tali conflitti; fatto, peraltro, espressamente vietato dall’art.

75 del I Protocollo del 1977.

E’, tuttavia, presumibile che le dichiarazioni contenute nel Preambolo della Convenzione e

la stessa formulazione dell’art. 12, abbiano suscitato, in taluni Stati, alcune perplessità circa il

rapporto tra la cattura di ostaggi intesa come atto terroristico e la cattura di ostaggi compiuta nel

corso di un conflitto armato determinato dall’esercizio del diritto all’autodeterminazione.

Significativa in proposito la dichiarazione del delegato iraniano, secondo cui “even the proponents

of safeguards for the rights of national liberation movements had maintained that they were in no

way suggesting that these movements should be granted an open license to take hostages. However,

it had been pointed out that a clear distinction should be drawn in the convention between genuine

activities of national liberation movements and acts of terrorists which had nothing in common with

them”.54

3.2. La Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici dinamitardi e la

Convenzione internazionale per la repressione del finanziamento del terrorismo.

Al contrario delle Convenzioni ora menzionate, la Convenzioni “per la repressione di

attentati terroristici dinamitardi” del 1997 e la Convenzione internazionale “per la repressione del

finanziamento del terrorismo” del 1999 si riferiscono al terrorismo internazionale in termini

generali ed espliciti.

La prima di queste, entrata in vigore il 23 maggio 2001,55 stabilisce all’art. 2:

“1. Commette un reato ai sensi della presente Convenzione chiunque intenzionalmente ed

illecitamente consegni, collochi, scarichi o faccia detonare un esplosivo o altro ordigno letale, in,

dentro o contro un luogo di utilità pubblica, una struttura statale o governativa, un sistema di

trasporto pubblico o un’infrastruttura:

con l’intento di provocare morte o gravi lesioni fisiche; o

con l’intento di provocare l’ampia distruzione di tale luogo, struttura o sistema, laddove tale

distruzione provochi o potrebbe provocare gravi perdite economiche. 54 Cfr. V.D.Verwey, The International Hostages Convention and National Liberation Movements, in American Journal of International Law, 1981, p. 77. 55 Ibidem, p. 99. Sulla Convenzione del 1997, cfr. in dottrina S.M. Witten, The International Convention for the Suppression of Terrorist Bombings, in American Journal of International Law, 1998, p. 774 ss.

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2. Commette altresì reato chiunque tenti di commettere un reato di cui al paragrafo 1.

3. Commette altresì reato chiunque:

a) partecipi come complice ad uno dei reati di cui ai paragrafi 1 o 2; o

b) organizzi o dia ordine ad altri di compiere uno dei reati di cui ai paragrafi 1 o 2; o

c) in qualsiasi altro modo contribuisca a far compiere uno o più reati di cui ai paragrafi 1. o 2. da un

gruppo di persone che agisce per uno scopo comune; tale sarà intenzionale e prestato allo scopo di

favorire le finalità criminose generali del gruppo o essendo a conoscenza dell’intenzione del gruppo

di commettere il reato o i reati in questione”.

Il 2° comma dell’ art. 19 esclude, quindi, dall’ambito di applicazione della Convenzione, sia

le attività delle forze armate durante un conflitto armato, nel senso attribuito a tali termini dal diritto

internazionale umanitario e disciplinate da tale diritto, sia le attività intraprese dalle forze armate di

uno Stato nell’esercizio di incarichi ufficiali, nella misura in cui trovano disciplinate in altre norme

di diritto internazionale.

La seconda Convenzione citata, entrata in vigore il 10 aprile 2002,56 nel sanzionare il

finanziamento del terrorismo con ogni mezzo, diretto ed indiretto, illecito ed intenzionale, all’art. 2,

par. 1, definisce “atto terroristico” qualsiasi atto volto a provocare morte o gravi lesioni fisiche a

civili o a qualsiasi altra persona che non prenda attivamente parte alle ostilità in una situazione di

conflitto armato, posto in essere allo scopo di intimorire una popolazione, o costringere un governo

o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto. E’,

inoltre, considerato reato ai sensi della predetta Convenzione la partecipazione, l’organizzazione o il

favoreggiamento di attività volte alla commissione dei reati di cui all’art. 2 (art. 2, par. 5, lett. a, b,

c).

Infine, l’art. 2 della Convenzione “per la repressione di atti di terrorismo nucleare”, adottata

nell’ambito delle Nazioni Unite il 13 aprile 2005, non ancora in vigore, prevede come reato il fatto

di possedere o utilizzare, in modo illecito e intenzionale, materiale radioattivo al fine di causare

morte o gravi ferimenti o al fine di costringere uno Stato o un’organizzazione internazionale a

compiere o astenersi dal compiere un determinato atto.

4. I tentativi di un progetto di Convenzione generale contro il terrorismo internazionale

nell’ambito delle Nazioni Unite.

Il recente dibattito svoltosi in seno al Comitato ad hoc, istituito dall’Assemblea Generale nel

1996 allo scopo per affrontare e risolvere il problema relativo alla definizione di terrorismo

internazionale, non sembra aver cambiato i termini del problema.

56 Ibidem, p. 113.

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In tale sede, gli Stati, seppure d’accordo in ordine alla necessità di predisporre degli

strumenti giuridici contenenti misure appropriate in materia di prevenzione e repressione degli atti

terroristici, si sono trovati ancora una volta in disaccordo sulla definizione giuridica del fenomeno.

Oggetto del dibattito è il progetto di Convenzione generale contro il terrorismo elaborato dal

Governo indiano e sottoposto al Comitato ad hoc nel 2000. Le difficoltà del Comitato sono ancora

una volta determinate da una profonda divergenza circa gli atti da ricondurre alla nozione giuridica

di “terrorismo internazionale”.

Alcuni Stati ritengono, infatti, necessario ricomprendere in modo esplicito oltre agli atti di

“State-sponsored terrorism”, gli atti attraverso i quali uno Stato contribuisce alla commissione di

atti terroristici compiuti da privati, anche gli atti di “State terrorism”, cioè degli atti commessi

direttamente dallo Stato tramite il proprio personale militare e/o paramilitare.

Altri Stati, invece, benché d’accordo ad applicare la Convenzione agli atti di “State-

sponsored terrorism”, negano che le attività di “State terrorism” possano essere comprese nella

Convenzione, essendo già disciplinate da altre norme in materia di responsabilità degli Stati, quali

l’art. 2, par. 4, del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite.57

In proposito, nel rapporto predisposto dal Comitato ad hoc nel 2000, è possible leggere:

“several delegations stressed the need to elaborate the definition of terrorism and to differentiate

between terrorism and the legitimate right of peoples to resist foreign occupation”.58

Nel rapporto del 2005 è stato, inoltre, precisato che la questione relativa alla definizione di

terrorismo internazionale non è stata ancora risolta proprio a causa del disaccordo degli Stati in

merito alla distinzione tra terrorismo internazionale e legittima resistenza armata contro

un’occupazione militare straniera.59

Segue: Il testo predisposto dall’India e l’art. 18, par. 2.

Il progetto di Convenzione predisposto dal governo indiano definisce, infatti, il terrorismo

internazionale in termini ritenuti da alcuni Stati troppo generici. L’art. 2 prevede come reato la

commissione, intenzionale ed illecita, di atti diretti a provocare la morte o gravi lesioni a qualsiasi

persona ovvero gravi danni a beni pubblici e privati, qualora lo scopo di tali atti sia di intimidire la

popolazione o di costringere un Governo o un’organizzazione internazionale a compiere o ad

astenersi dal compiere un qualsiasi atto.

57 Per una sintesi delle dichiarazioni degli Stati in proposito, cfr. Report of the ad hoc Committee established by General Assembly resolution 51/210 of 17 december 1996, Fifth Session (12-23 febbraio 2001), GAOR, 56th Session, Supplement No. 37 (A/56/37), p. 13. 58 GAOR, 55th Session, Supplement No. 37 (A/55/37), p. 2. 59 A/60/37 (28 Marzo-1 Aprile 2005).

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Gli Stati hanno, tuttavia, manifestato, ancora una volta, profonde divergenze in ordine

all’opportunità di escludere dal testo del predetto articolo gli atti compiuti nel corso delle lotte di

liberazione nazionale; divergenze destinate a riflettersi nelle diverse proposte in ordine alla

formulazione dell’art. 18, relativo all’applicazione di tale Convenzione ai conflitti armati, avanzate

dal Coordinatore del progetto - sostenuta dagli Stati occidentali - e da parte dagli Stati membri

dell’Organizzazione della Conferenza Islamica.

In verità, in entrambe le proposte, il primo paragrafo dell’art.2 presenta identica

formulazione, prevedendo che “nothing in this Convention shall affect other rights, obligations and

responsibilities of States, peoples and individuals under international law, in particular the

purposes and principles of the Charter of the United Nations, and international humanitarian law”.

Le divergenze riguardano, infatti, il secondo ed il terzo paragrafo laddove, nella proposta di

testo elaborata dal Coordinatore, vengono escluse dall’ambito di applicazione della Convenzione sia

le attività delle “armed forces” nel corso di un conflitto armato, così come definito e disciplinato dal

diritto internazionale umanitario, sia le attività delle forze armate di uno Stato nell’esercizio delle

proprie funzioni ufficiali “inasmuch as they are governed by other rules of international law”. 60

La proposta avanzata dagli Stati membri dell’Organizzazione della Conferenza Islamica

(OIC) prevede, invece, l’esclusione sia delle attività delle “parties” nell’ambito di un conflitto

armato, comprese quelle in “situations of foreign occupation”, nel senso attribuito a tali termini dal

diritto internazionale umanitario e da questo disciplinate, sia delle attività intraprese dalle forze

militari di uno Stato nell’esercizio delle proprie funzioni ufficiali “inasmuch as they are in

conformity with international law”.61

In proposito è stato osservato che se il diritto internazionale umanitario si applica a tutte le

parti nel corso di una situazione di occupazione straniera, sarebbe stato logico (“it was logical”)

escludere tali ipotesi dalla Convenzione.62

Sulla proposta le delegazioni di alcuni Stati hanno espresso la propria contrarietà, essendo in

ogni caso applicabili alle forze armate di uno Stato le norme del diritto internazionale che

disciplinano l’uso della forza, il genocidio e la tortura. Ad avviso di questi l’espressione “inasmuch

as they are in conformity with international law” proposta dagli Stati membri dell’OIC

risulterebbe, infatti, eccessivamente restrittiva, rischiando di trasformare ogni violazione del diritto

internazionale in un atto terroristico previsto dalla Convenzione.63

60 Report of the ad hoc Committee established by General Assembly resolution 51/210 of 17 December 1996, Sixth Session (28 Gennaio-1 Febbraio 2002), GAOR, 57th Session, Supplement No. 37 (A/57/37), p. 17. 61 Ibidem. 62 A/C.6/58/L.10, p. 9. 63 In A/C.6/58/L.10, (10 ottobre 2003), p. 9.

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A fronte di quanto sopra l’accordo sull’art. 18 non è stato ancora raggiunto. Nel rapporto

predisposto dal Comitato ad hoc nel 2004, in proposito è possibile leggere: “article 18 continues to

be a key provision on which differences remain”. 64

5. Gli obblighi a carico degli Stati previsti nelle Convenzioni a carattere universale.

Dal punto di vista degli obblighi assunti dagli Stati con riferimento alla prevenzione e alla

repressione dei reati, i trattati a carattere universale presentano un quadro normativo pressoché

uniforme.65

Con riferimento alla prevenzione, le Convenzioni stabiliscono il generale impegno di ogni

Stato di adottare le misure più opportune per prevenire i reati previsti dal trattato; quanto sopra, in

particolare, attraverso lo scambio di informazioni ed il coordinamento dell’adozione dei

provvedimenti amministrativi e delle altre misure (“exchanging information and co.ordinating the

taking of administrative and other measures”).66

Inoltre, gran parte degli accordi prevede l’obbligo, per gli Stati contraenti, di astenersi

dall’organizzare o dal fomentare gli illeciti disciplinati dalle Convenzioni sul territorio di altri Stati,

nonché l’obbligo di non tollerare o incoraggiare sul proprio territorio attività dirette all’esecuzione

di tali atti.

L’art. 4 della Convenzione del 1979 contro la presa di ostaggi, in particolare, prevede

l’obbligo degli Stati di collaborare alla prevenzione dei reati previsti dall’art. 1 “talking all

praticable measures to prevent preparations in their respective territories for the commission of

these offences within or outside their territories, including measures to prohibit in their territories

illegal activities of persons, groups and organizations that encourage, instigate, organize or engage

in the perpetrations of act of taking of hostage”.

Quanto all’obbligo di repressione, le Convenzioni prevedono, in genere, che gli Stati parte

debbano considerare, nei rispettivi ordinamenti, reato le violazioni previste, nonché sanzionarle con

pene appropriate che tengano conto della gravità del fatto.

Inoltre, in osservanza al noto principio aut dedere aut iudicare, lo Stato nel cui territorio

venga a trovarsi il presunto autore di una delle violazioni previste dovrà o estradarlo o sottoporlo a

processo penale.67 A tal fine, i reati previsti dovranno essere considerati dalle Parti come

64 A/59/37 (28 giugno-2 luglio 2004), p. 19. 65 N. Ronzitti, (a cura di) Europa e terrorismo internazionale, Roma, 1990; A.F.Panzera, Attività terroristiche e diritto internazionale, Napoli, 1978. 66 così ad esempio l’art. 9 della Convenzione dell’Aja del 1970, l’art. 10 della Convenzione di Montreal del 1971, l’art. 4 della Convenzione di New York del 1973, e l’art. 4 della Convenzione di New York del 1979 67 In tal senso l’art. 7 Convenzione del Aja del 1970, l’art. 7 Convenzione di Montreal del 1971, l’art. 7 della Convenzione di New York del 1973, l’art. 8 Convenzione di New York del 1979, l’art. 10 della Convenzione di Roma

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“estradabili”, e ciò sia nell’ambito dei trattati di estradizione già conclusi, sia nei trattati da

concludersi nel futuro.

II. IL TERRORISMO INTERNAZIONALE NELLE RISOLUZIONI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELLE

NAZIONI UNITE

1. Premessa.

Come si è detto, le diverse posizioni assunte dagli Stati in merito alla nozione di terrorismo

internazionale hanno determinato l’impossibilità di dare vita ad una Convenzione generale contro il

terrorismo in grado di porre fine al caotico quadro normativo esistente in materia.

Il dibattito avvenuto nell’ambito dell’Assemblea Generale e del Consiglio di Sicurezza delle

Nazioni Unite, si è, per anni, incentrato sulle problematiche illustrate nel precedente capitolo.

L’Assemblea Generale, fino al 1993, ha più volte adottato risoluzioni di condanna del

terrorismo internazionale dal testo pressoché identico: da un lato veniva espressa la ferma condanna

degli atti terroristici e dall’altro ribadito il diritto dei popoli all’autodeterminazione.

Tale richiamo è, tuttavia, scomparso nelle Dichiarazioni successive a tale data. In

particolare, con la risoluzione 49/60 relativa alla Dichiarazione sulle misure per eliminare il

terrorismo internazionale, adottata per consensus, il 9 dicembre 1994, l’Assemblea Generale ha

condannato gli atti terroristici definiti come “criminal act intended or calculated to provoke a state

of terror in the general public, a group of persons or particolar persons for political purposes”,

affermando, inoltre, che tali atti sono ingiustificabili in ogni circostanza a prescindere da eventuali

ragioni di natura politica, ideologica o religiosa.

La dottrina si è divisa su tale definizione, ritenta, da alcuni, accettabile a talune condizioni,68

e, da altri, talmente generica da non poter essere considerata una “definizione”.69

A riprova della genericità lamentata sembra deporre, in primo luogo, il fatto che la

Dichiarazione è stata approvata per consensus; in altri termini, la definizione ha incontrato non

l’approvazione di tutti gli Stati membri delle Nazioni Unite bensì la loro “non-opposizione”.

del 1985, l’art. 8 della Convenzione di New York del 1998 e l’art. 10 della Convenzione contro il finanziamento del terrorismo. 68 Cfr. A.Cassese, International Law, 2001, p. 259. In particolare, secondo l’autore, questa definizione richiede tre elementi precisi: 1) l’atto deve costituire un illecito penale nella gran parte degli ordinamenti giuridici nazionali; 2) l’at-to deve avere lo scopo di diffondere il terrore fra il pubblico o particolari gruppi di persone; 3) l’atto deve avere fini politici. 69 Cfr. in tal senso L. Migliorino, La Dichiarazione delle Nazioni Unite sulle misure per eliminare il terrorismo internazionale, in Rivista di diritto internazionale, 1995, pp. 962-972.

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Inoltre, nel dibattito svolsi fino ad oggi nell’ambito di tale Organizzazione circa le misure da

intraprendere nella lotta contro il terrorismo, le delegazioni di molti Stati hanno, in più occasioni,

sottolineato la necessità di vedere adottata dalla comunità internazionale una posizione comune,

“chiara e precisa” in ordine alla definizione di terrorismo internazionale.

Alcuni, hanno, inoltre, posto l’accento sull’evoluzione semantica del testo delle risoluzioni

adottate dall’Assemblea Generale. È stato, infatti, affermato che, se, inizialmente, la presenza del

riferimento al diritto dei popoli all’autodeterminazione poteva indurre a ritenere giustificato il

ricorso ad atti terroristici nell’ambito di un conflitto di tale tipologia, la sua successiva scomparsa,

congiuntamente all’uso di termini più generici di condanna del terrorismo “wherever and by

whomever committed”, sembrerebbe indicare un mutamento della posizione in precedenza assunta

dall’Assemblea, oggi intenzionata a proibire tutte le forme di terrorismo internazionale, senza

alcuna eccezione riconducibile alla motivazione di tali atti.70

La tesi enunciata può essere condivisa solo per quanto attiene alla constatazione di una

evoluzione della prassi dell’Assemblea Generale. Le risoluzioni in questione non hanno, infatti,

effetto vincolante per gli Stati. Le dichiarazioni di principi dell’Assemblea Generale possono

assumere valore di diritto consuetudinario, se dichiarative della prassi costante e generalizzata o

della prassi degli Stati, ai fini della formazione di norme consuetudinarie conformi.

A fronte di quanto sopra è dunque difficile ritenere che le risoluzioni dell’Assemblea

possano assumere un valore dichiarativo in ordine alla definizione di “terrorismo internazionale”.

In tal senso depone, d’altra parte, il fatto che un numero consistente di Stati membri

dell’Assemblea ha espresso la propria posizione, in termini espliciti, decidendo di concludere

Convenzioni regionali che, nel definire il reato di terrorismo internazionale, hanno espressamente

escluso dalla fattispecie i fatti commessi da un popolo che lotta per l’autodeterminazione.71

2. Le misure adottate dal Consiglio di Sicurezza.

Nell’ambito del Consiglio di Sicurezza, il fenomeno del “terrorismo internazionale” è stato

affrontato secondo due differenti prospettive.

Prima degli attentati dell’11 settembre 2001, il Consiglio si è occupato di terrorismo solo

con riferimento a singole fattispecie criminose, considerate una manifestazione del fenomeno in

questione e tali da costituire una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale. In tale senso, il

Consigli ha, tanto raccomandato, quanto deciso che gli Stati dovessero adottare misure preventive e

repressive in grado di contrastare talune specifiche tipologie di atti. 70 M. Halberstam, The Evolution of the United Nations Position on Terrorism: from exempting National Liberation Movements to Criminalizing Terrorism Wherever and by Whomever Committed, in Columbia Journal of Transnational Law, 2003, p. 573 ss. 71 V. supra, nota 33.

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Al contrario, dopo l’11 settembre 2001, la questione del terrorismo internazionale è stata

affrontata in termini generali e diretti, imponendo agli Stati, senza limiti di tempo, una serie di

obblighi non riferibili ad una fattispecie determinata e definita, proponendosi, in tal modo, come

titolare di un potere che la dottrina prevalente non ha esitato definire “legislativo”, e dunque tale

da porre non pochi problemi di legittimità ai sensi della Carta di San Francisco.

Con riferimento alla posizione assunta dal Consiglio prima dell’11 settembre, si presentano

di particolare interesse le risoluzioni 748/1992 e 1054/1996 relative alle sanzioni economiche

inflitte alla Libia e al Sudan.

2.1. Il caso della Libia.

Con la risoluzione 731 adottata il 21 gennaio 1992, il Consiglio di Sicurezza ha condannato

all’unanimità la distruzione del volo Pan Am 103 nei cieli della cittadina scozzese di Lockerbie ( 21

dicembre 1988) e del volo UTA 772 in Nigeria (19 dicembre 1989), sollecitando il Governo libico a

dare piena ed immediata esecuzione alle richieste di collaborazione alle indagini formulate dagli

Stati Uniti, dal Regno Unito e dalla Francia.

In particolare, Stati Uniti e Regno Unito, il 31 dicembre 1991, con una nota diplomatica

richiedevano al governo libico l’estradizione di due suoi cittadini, appartenenti ai servizi di

informazione, sospettati di essere coinvolti nell’attentato di Lockerbie,72 chiedendo, inoltre, a tale

governo di accettare la responsabilità derivante dagli atti compiuti dai propri agenti.

A seguito dell’inottemperanza della Libia, il Consiglio di Sicurezza adottava la risoluzione

748/92 del 31 marzo 1992, adottando nei confronti di tale Paese, ai sensi del Capitolo VII della

Carta, una serie di misure coercitive non implicanti l’uso della forza, sul presupposto che “the

failure by the Libyan Government to demonstrate by concrete actions its renunciation of terrorism

and in particolar its continued failure to respond fully and effectively to the requests in resolution

731 (1992) constitute a threat to international peace and security”.

Tali misure sono state sospese il 5 aprile 1999 a seguito della consegna dei presunti terroristi

libici alle autorità olandesi, per essere processati in tale Nazione da una Corte scozzese.73

Quest’ultima si è pronunciata il 31 gennaio 2001 con la condanna di uno dei due imputati, del quale

è stata inoltre accertata l’appartenenza ai servizi segreti libici.74

72 Cfr. U.N. Doc. S/23308 del 31 dicembre 1991. 73 Il 27 agosto 1998 il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva adottato la risoluzione 1192, la quale poneva come condizione per la sospensione delle sanzioni, la consegna de presunti terroristi libici. 74 Per un esame della sentenza della Corte scozzese, cfr. A Ciampi, Questioni concernenti l’applicabilità della Convenzione di Montreal nel caso Lockerbie, in Rivista di diritto internazionale, 2003, p. 1050 ss.

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Con una lettera inviata al Consiglio di Sicurezza, la Libia ha ufficialmente accettato la propria

responsabilità per l’attentato di Lockerbie, dichiarando: “pursuant to the Security Council

resolutions, Libya as a sovereign State […] accepts responsibility for the actions of its officials”.75

A seguito a tale dichiarazione, il Consiglio di Sicurezza, con la risoluzione 1506/2003 del 12

settembre 2003, ha formalmente posto fine alle sanzioni adottate contro la Libia.76

E’ interessante notare che, inizialmente, la responsabilità della Libia è stata ricondotta ad una

circostanza specifica: la mancata estradizione dei presunti terroristi e non anche ad un suo

coinvolgimento negli atti compiuti da questi ultimi; ciò nonostante il Consiglio di Sicurezza avesse

invitato la Libia, in termini assolutamente generici, a dimostrare con azioni concrete “la sua

rinuncia al terrorismo (“its renunciation of terrorism”). D‘altra parte, il Consiglio ha subordinato la

sospensione delle sanzioni alla consegna dei presunti responsabili dell’attentato, e sospeso le stesse

a fronte di tale adempimento ancor prima che la Corte scozzese si pronunciasse sul ruolo dei

cittadini libici nella strage di Lockerbie.

2.2. Il caso del Sudan.

La tendenza del Consiglio di Sicurezza ad occuparsi di questioni specifiche ma irrilevanti ai

fini della definizione o dell’individuazione delle caratteristiche del “terrorismo internazionale” è

confermata dal caso del Sudan, relativo al fallito attentato al Presidente egiziano Moubarak,

avvenuto in Etiopia nel 1995, alla vigilia di un vertice dell’Organizzazione dell’Unità Africana.

Secondo il governo etiope, i responsabili del fallito attentato andavano identificati in alcuni

cittadini egiziani che avevano trovato rifugio in Sudan. Tale Paese era, inoltre, accusato,

dall’Etiopia, di aver fornito a questi ultimi assistenza nella fase della pianificazione ed esecuzione

dell’attentato terroristico.77 L’Etiopia aveva richiesto al Sudan l’estradizione dei presunti terroristi,

75 UN Doc. S/2003/818. 76 In dottrina si è discusso sulla natura della responsabilità della Libia, cercando di stabilire in quale delle ipotesi previste dal Progetto della Commissione di diritto internazionale del 2001, tale responsabilità potrebbe rientrare. Tuttavia non sono state trascurate le motivazioni politiche alla base di una simile assunzione di responsabilità, legate evidentemente all’obiettivo di ottenere il ritiro definitivo delle sanzioni da parte delle Nazioni Unite, sanzioni che, in ogni caso erano state sospese in seguito alla consegna dei presunti terroristi. Si è notato in particolare che, nonostante la dichiarazione libica sull’assunzione di responsabilità potrebbe far presupporre un legame organico fra il cittadino libico condannato e la Libia stessa, in realtà tale legame non può ritenersi dimostrato con assoluta certezza neppure nel corso del giudizio. Infatti, la Corte scozzese, benché abbia riconosciuto che l’individuo poi condannato apparteneva ai servizi di sicurezza libici, avrebbe fondato tale conclusione su testimonianze che per altri versi ha ritenuto inattendibili. Neppure si ritiene che la responsabilità della Libia possa farsi rientrare nell’ambito dell’art. 8 del Progetto della Commissione di diritto internazionale, essendo difficile dimostrare un coinvolgimento della Libia secondo i criteri in esso individuati. Piuttosto la soluzione preferibile sarebbe inquadrare la responsabilità libica nell’art. 11 del medesimo Progetto, il quale prevede che un comportamento di privati può essere considerato un atto di Stato se lo Stato riconosce e adotta come proprio il comportamento in questione. In tal senso, è stato affermato che si potrebbe pensare che la Libia abbia fatto proprio un atto che non avrebbe potuto esserle imputabile altrimenti, e che tale assunzione di responsabilità sarebbe dettata da ragioni di convenienza politica e diplomatica. Cfr. S, Dorigo, Quale responsabilità della Libia per il caso Lockerbie?, in Rivista di diritto internazionale, 2003, p. 1102 ss. 77 Per le accuse rivolte dall’Etiopia, cfr. U.N. Doc. S/1996/10 del 9 gennaio 1996.

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estradizione alla quale il Sudan aveva dichiarato di essere impossibilitato a dare corso non essendo

in grado di localizzare tali soggetti sul proprio territorio.

A fronte di quanto sopra, l’Organizzazione dell’Unità Africana (OUA), in un primo

momento, adottò due dichiarazioni con le quali veniva richiesta al Sudan l’estradizione dei presunti

responsabili dell’attentato a Moubarak.

Fallito il tentativo di risolvere la questione a livello regionale, l’Etiopia richiese al

Presidente del Consiglio di Sicurezza che la questione relativa all’estradizione dei presunti terroristi

fosse sottoposta a tale organo.

Il Consiglio di Sicurezza, il 31 gennaio 1996, adottò una prima risoluzione, la 1044/1996,

con la quale il governo sudanese veniva invitato a conformarsi alle richieste dell’OUA,

consegnando i presunti terroristi e impegnandosi a desistere “from engaging in activities of

assisting, supporting and facilitating terrorist activities and from giving shelter and sanctuaries to

terrorist elements”.78

Successivamente, con le risoluzioni 1054/96 del 26 aprile 1996 e 1070/96 del 16 agosto

1996, il Consiglio impose al Sudan alcune sanzioni economiche sulla base del presupposto che il

rifiuto di conformarsi alle richieste contenute nella risoluzione 1044/1996 costituisse una minaccia

alla pace e alla sicurezza internazionale; sanzioni alle quali pose fine il 28 settembre 2001 con la

risoluzione 1372/2001 “welcoming the accession of the Republic of Sudan to the relevant

international Conventions for the elimination of terrorism, its ratification of the 1997 International

Convention for the suppression of terrorist bombing and its signing of the 1999 International

Convention for the suppression of financing of terrorism”.79

Come nel caso precedente il Consiglio di Sicurezza ha disposto l’adozione delle sanzioni

sulla base della mancata estradizione dei presunti autori del fatto, e dunque a seguito di una

situazione specifica considerata come “minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale”.

E’, inoltre evidente che le sanzioni contro il Sudan avevano, ab origine, carattere

provvisorio, essendo condizionate al fatto che il governo sudanese avesse dato prova della sua

intenzione di collaborare.

La prassi del Consiglio di Sicurezza ha, pertanto, lasciato, per così dire, “impregiudicata” la

questione della definizione di “terrorismo internazionale”. Nel periodo precedente gli attentati

dell’11 settembre 2001, il Consiglio non ha, infatti, mai voluto né affrontare il problema della

definizione - evitando in tal modo di incontrare difficoltà in ordine all’adozione delle risoluzioni

78 Cfr. S/RES/1044 (1996) del 31 gennaio 1996. 79 La risoluzione del Consiglio di Sicurezza è stata adottata con la sola astensione degli Stati Uniti, i quali hanno lamentato la mancata diffusione alle autorità competenti, da parte del Sudan, delle informazioni circa i presunti terroristi, i quali, non si trovavano più in territorio sudanese.

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relative a casi specifici - né entrare nel merito dei fatti, accertando se gli attentati fossero o meno

imputabili agli Stati e, ancor più significativamente, se si trattasse di atti terroristici.

3. Le sanzioni contro Al Qaeda prima dell’11 settembre 2001.

Dopo gli attentati alle ambasciate statunitensi di Nairobi e Dar es-Salam dell’agosto 1998,

la minaccia terroristica proveniente da gruppi organizzati, indipendenti rispetto alle entità statuali, si

è delineata con maggiore chiarezza.

Il Coordinatore per l’antiterrorismo del Dipartimento di Stato americano, all’indomani

dell’11 settembre, individuata in Al Qaeda l’organizzazione responsabile degli attentati, ebbe a

dichiarare: “today’s terrorist threat comes primarily from groups and loosely-knit networks with

fewer ties to governments. Bin Laden’s organization operates on its own, without having to depend

on a State sponsor for material support. He posses financial resources and means of raising funds

often through narcotrafficking, legitimate front-companies, and local financial support. Today’s

nonostante terrorists benefit from the globalization of communication, using e-mail and Internet

websites, raise founds, and connect elements scattered around the world… Bin Laden has created a

truly transnational terrorist enterprise”.80 Tale dichiarazione dimostra la consapevolezza della

dimensione globale del terrorismo ed in particolare del fatto che i nuovi gruppi terroristici possono

non dipendere, come avveniva in passato, economicamente o logisticamente dagli Stati.81

La conoscenza da parte degli Stati dell’esistenza dell’esistenza di una rete terroristica

globale deterritorializzata, si riflette nelle risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza a partire

dagli attentati del 1998.

Con la risoluzione 1267/1999, adottata il 15 ottobre 1999, il Consiglio di Sicurezza,

prendendo atto delle accuse rivolte dagli Stati Uniti nei confronti di Osama Bin Laden e Al Qaeda,

con riferimento agli attentati in Kenya e Tanzania, ha richiesto alla fazione afgana dei Taleban di

astenersi dal fornire rifugio a terroristi internazionali, nonché di adottare misure adeguate ed efficaci

per garantire che il territorio da essa controllato non fosse utilizzato per installazioni e campi di

addestramento o per preparare od organizzare atti terroristici contro altri Stati o i loro cittadini.

Con tale risoluzione, veniva, inoltre, richiesta la consegna di Bin Laden alle autorità

competenti ad accertare la sua responsabilità nei predetti attentati.

80 In American Journal of International Law, 2000, p. 367. 81 Nella medesima direzione depongono le conclusioni raggiunte dalla Commissione nazionale statunitense istituita, all’indomani degli attentati dell’11 settembre allo scopo di accertare le responsabilità legate a tali attentati, là dove si afferma che non esiste alcuna prova del coinvolgimento di Stati in tali fatti, né, tanto meno, la prova della dipendenza, anche solo economica, di Al Qaeda da uno Stato.

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Tali richieste sono state sono state successivamente ribadite con la risoluzione 1333/2000,

adottata il 19 dicembre 2000 e, successivamente all’11 settembre, con la risoluzione 1390/2002,

adottata il 16 gennaio 2002.

Il Consiglio di Sicurezza, agendo sulla base del Capitolo VII della Carta delle Nazioni

Unite, ha inoltre, imposto una serie di obblighi agli Stati, fra i quali quello congelare i fondi e le

altre risorse finanziarie derivanti da proprietà possedute o controllate direttamente o indirettamente

dai Talebani o da qualsiasi altra entità da questi controllata.

4..La reazione del Consiglio di Sicurezza agli attentati dell’11 settembre 2001.

Il problema della definizione di “terrorismo internazionale” è stato riproposto nell’ambito

del Consiglio di Sicurezza a seguito dei drammatici fatti dell’11 settembre 2001.

Come è noto, il Consiglio ha espresso, con la risoluzione 1368/2001 del 12 settembre 2001,

una forte condanna di tali attentati, affermando che tali atti debbano essere considerati una minaccia

alla pace ed alla sicurezza internazionale.

Analoga condanna è stata ribadita nel preambolo di tutte le successive risoluzioni, senza

però offrire una definizione giuridica di “atto di terrorismo internazionale”.

Durante le riunioni del Consiglio, i rappresentanti dell’Organizzazione della Conferenza

degli Stati islamici e dell’Unione Africana hanno espresso la volontà di contribuire alla lotta al

terrorismo assumendo l’impegno a dare esecuzione alle predette risoluzioni, precisando, tuttavia, di

non accettare una definizione che non tenga conto della distinzione dagli atti legittimamente

compiuti nell’ambito di lotte per l’autodeterminazione.

Il rappresentante dell’OIC, in particolare, ha dichiarato, da un lato, che: “it is imperative for

all of us as members of the international community to continue our efforts against terrorism” e,

dall’altro che: “we do not want any legitimate struggle to end occupation to be labelled terrorism”. 82 Il delegato dell’Unione Africana ha, inoltre, affermato “for the organization that I represent,

most of whose members achieved independence after a long national liberation struggle, it is

intolerable that populations struggling for their independence against the occupation of their

territories and against the denial of their human rights should be confused with terrorist”.83

In particolare, con riferimento alla risoluzione 1373/2001, nel corso del dibattito, il delegato

siriano ha dichiarato: “since that resolution did not define terrorism, Syria has based its report on

its obligations under the 1998 Arab Convention on the Suppression of Terrorism, which clearly

distinguished between terrorism and legitimate struggle against foreign occupation. That is 82 Cfr. S/PV. 4618 (Resumption 1), 4 ottobre 2002, p. 21. Nella medesima direzione si sono espressi i delegati di Egitto, Pakistan, Tunisia e Yemen, ibidem, rispettivamente p. 17, 12, 8, 3. 83 Cfr. S/PV. 4618 (Resumption 2), 8 ottobre 2002, p. 14. In termini analoghi, cfr. le dichiarazioni dello Zambia e del Libano, rispettivamente a p. 13 e 16.

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consistent with international antiterrorism agreements to which Syria is a party and with Security

Council resolution 1333 (2000)”.84 Inoltre, numerosi altri Stati, pur esprimendo la ferma condanna

degli attentati dell’11 settembre, si sono dichiarati convinti della necessità di distinguere gli atti di

terrorismo da quelli compiuti nel corso di un conflitto per l’autodeterminazione.85

Ulteriori divergenze in ordine alla definizione di “terrorismo internazionale” si sono avute in

occasione dell’adozione, all’unanimità, da parte del Consiglio di Sicurezza, della risoluzione

1566/2004, dell’8 ottobre 2004. Tale risoluzione relativa al rafforzamento delle misure che gli Stati

devono predisporre nella lotta al terrorismo internazionale, offre, infatti, per la prima volta, una

definizione in materia. Il Consiglio di Sicurezza, dopo aver ricordato nel preambolo che “acts of

terrorism seriously impair the enjoyment of human rights and threaten the social and economic

development of all States and undermine global stability and prosperity”, agendo in base al

Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, al paragrafo 3, ricorda che “criminal acts, including

against civilians, committed with the intent to cause death or serious bodily injury, or taking

hostages, with the purpose to provoke a state of terror in the general public or in a group of

persons or particular persons, intimidate a population or compel a government or an international

organization to do or to abstain from doing any act, and all other acts which constitute offences

within the scope of ad as defined in the international conventions and protocols relating to

terrorism, are under no circumstances justifiable”.

Occorre precisare che la risoluzione 1566/2004 è il frutto di consultazioni avvenute

nell’ambito del Consiglio di Sicurezza sulla base di un progetto predisposto da Francia, Germania,

Romania, Federazione Russa, Cina, Spagna, Regno Unito e Stati Uniti. Taluni Stati hanno ritenuto

che la definizione contenuta non causa confusione fra il terrorismo e attività compiute da movimenti

di liberazione nazionale. L’Algeria, ad esempio ha dichiarato: “we welcome the resolution because

it avoids any conflation of acts of terrorism and the legitimate rights of peoples to resist foreign

occupation,” aggiungendo che “that principle is dear to Algeria and has been fully enshrined in

international law and United Nations resolutions”.86 Analogamente, il delegato delle Filippine ha

dichiarato: “this resolution in no way overturns the right to self-determination under the Charter.

Likewise, legitimate acts against foreign occupation and alien domination are not thwarted in the

least by the Council’s adoption resolution”.87 Inoltre, anche il delegato della Turchia, a nome

dell’Organizzazione della Conferenza degli Stati islamici, si è espresso favorevolmente circa

84 Cfr. S/PV. 4453, 18 gennaio 2002, p. 9. 85 Cfr. le dichiarazioni di Qatar e Iran, in S/PV. 4453 (Resumption 1), 18 gennaio 2002, rispettivamente p. 19 e 22; Malesia, in S/PV. 4512, 15 aprile 2002, p. 10; Siria, in S/PV. 4688, 20 gennaio 2003, p. 23; Bahrein, Yemen e Iran, in S/PV. 4710, 20 Febbraio 2003, rispettivamente p. 14, 26 e 32; Bangladesh e El Salvador, in S/PV. 5059, 19 ottobre 2004, rispettivamente p. 3 e 14. 86 Cfr. S/PV. 5053, 8 ottobre 2004, p. 4. 87 Ibidem, p. 8.

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l’adozione di tale risoluzione: “that enjoys much wider support from the international community,”

nonostante “we had serious misgivings with regard to the language used in the text of the previous

draft resolution, which raised a number of important questions, especially insofar as resistance to

foreign occupation and alien domination are concerned”. 88

Taluni Stati hanno precisato che il paragrafo 3 non contiene una definizione di “terrorismo

internazionale” bensì un compromesso di natura politica, atteso che l’Assemblea Generale, e non il

Consiglio di Sicurezza, é l’unico organo deputato ad elaborare tale definizione. In proposito il

delegato del Brasile ha sostenuto che: “resolution 1566 (2004) reflects compromise language that

contains a clear and important political message. Properly speaking, however, it should not be

construed as a conceptual definition of terrorism. Furthermore, as foreseen in the Charter, we

believe that reaching an agreed definition of terrorism falls under the functions and powers of the

General Assembly. We are not convinced that the Security Council should assume such treaty-

making prerogatives”.89 In tal senso l’Algeria ha dichiarato che l’obiettivo principale della

risoluzione 1566 (2004) è riaffermare la mobilitazione della comunità internazionale nella lotta al

terrorismo internazionale e non di prevedere una definizione di terrorismo “which is the sole

prerogative of the General Assembly, the Organization’s legislative and deliberative body”. 90

La questione dei rapporti tra atti di terrorismo internazionale e lotte per

l’autodeterminazione è stata di recente riproposta in occasione della compilazione del testo della

risoluzione 1624/2005 del 14 settembre 2005. In occasione del dibattito, ancora una volta, l’Algeria

ha ribadito la necessità di una distinzione tra atti terroristici e atti compiuti nell’ambito di lotte per

l’autodeterminazione.

5. La risoluzione 1373/2001 e la questione sollevata in dottrina circa il potere “legislativo” del

Consiglio di Sicurezza.

Con la risoluzione 1373/2001, il Consiglio di Sicurezza, per la prima volta dalla sua

istituzione, ha dettato una serie di misure vincolanti per tutti i membri delle Nazioni Unite

riferendosi ad una fattispecie generale anziché ad un caso concreto.

Il Consiglio, infatti, in virtù del potere di adottare misure vincolanti conferitogli dalla Carta

delle Nazioni Unite, aveva, nella prassi, sempre imposto agli Stati obblighi riferibili a situazioni

specifiche ritenute una “minaccia alla pace”, una “violazione della pace” o un “atto di aggressione”

ai sensi dell’art. 39 della Carta. Le misure adottate, inoltre, hanno sempre avuto carattere

temporaneo essendo destinate a finire con il venir meno della situazione che le aveva determinate.

88 Ibidem, p. 2. 89 Cfr. S/PV. 5113, 18 gennaio 2005, p. 13. 90 Ibidem, p. 16.

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La risoluzione, che sembra “legiferare” in materia di “terrorismo internazionale”, ha imposto

ai membri delle Nazioni Unite obblighi senza limiti di tempo e di spazio, suscitando così differenti

problematiche, la più importante delle quali attiene alla competenza legislativa del Consiglio di

Sicurezza.

Se venisse, infatti, attribuito alla risoluzione 1373/2001 il carattere generale che la sua stessa

formulazione sembra indicare, si assisterebbe ad una sorta di espropriazione di parte delle

prerogative degli Stati ad opera del Consiglio di Sicurezza, così trasformato in un legislatore

internazionale pressoché onnipotente.91

Il dibattito dottrinale relativo al contenuto della risoluzione 1373/2001 ha evidenziato

diverse posizioni. Vi sono, infatti, autori che, nel prendere atto del carattere innovativo della

risoluzione, ne hanno evidenziato i problemi di legittimità; altri che pur accogliendo

favorevolmente la funzione “legislativa” esercitata dal Consiglio di Sicurezza hanno manifestato

talune riserve e, altri ancora, che, essendo contrari alla possibilità la risoluzione venga considerata

uno strumento per la creazione di nuove norme internazionali, hanno contestato il potere legislativo

del Consiglio. I primi, in particolare, hanno posto l’accento sul carattere innovativo del contenuto

della risoluzione, nella sostanza, simile a quello di una Convenzione universale che vincola gli Stati

ipso facto, ma tale di evitare di ricorrere a negoziati da svolgersi nell’ambito di una conferenza

diplomatica, a ratifiche e ad adesioni.92

Secondo la dottrina, per così dire, favorevole ad un potere legislativo del Consiglio ci si

troverebbe, invece, in presenza di “new binding rules of international law rather than mere

commands relating to a particular situation”. 93

Le misure vincolanti previste nella risoluzione 1373/2001 non farebbero, dunque, che

riproporre le misure già raccomandate nelle risoluzioni adottate dall’Assemblea Generale. La

legittimità del potere legislativo del Consiglio, sarebbe, pertanto, condizionata dall’interesse della

comunità internazionale, atteso che le misure adottate devono necessariamente riflettere la volontà

di quest’ultima. D’altra parte, se cosi non fosse, le misure previste rischierebbero di restare “lettera

morta” non avendo il Consiglio il potere di imporre il rispetto di norme non volute dagli Stati. In

sintesi, secondo tale dottrina, la risoluzione 1373/2001, avrebbe creato un precedente per ulteriori

attività legislative del Consiglio, attività che, se utilizzate prudentemente, potrebbero rivelarsi

vantaggiose per la comunità internazionale, il cui potere di creare norme internazionali attraverso le

tradizionali procedure non sarebbe adeguato alle esigenze del nuovo millennio.

91 Ibidem, p. 835. 92 Cfr. L.Condorelli, Les attentats du 11 septembre et leurs suites: ou va le droit international ?, in Revue générale de droit international public, 2001, p. 834 ss. 93 Cfr. P.C. Szasz, The Security Council starts legislating, in American Journal of International Law, 2002, p. 901 ss.

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Nella stessa direzione sembrano muoversi gli autori che, nel rilevare il carattere

rivoluzionario del processo di formazione delle norme internazionali inaugurato con la risoluzione

1373/2001, hanno sottolineato la necessità che tale processo debba essere ispirato ad un principio di

legittimità democratica, nel senso di garantire la più ampia partecipazione di Stati. Tale principio

sarebbe stato, ad esempio, rispettato con la risoluzione 1540/2004 adottata dal Consiglio di

Sicurezza il 28 aprile 2004, contenente obblighi a carico degli Stati al fine di prevenire la

proliferazione delle armi di distruzione di massa, soprattutto in ragione del pericolo che di queste

possano impossessarsi gruppi terroristici.94

La risoluzione citata essendo il risultato di cinque mesi di negoziati informali ai quali hanno

partecipato anche Stati non membri del Consiglio di Sicurezza, avrebbe, infatti, rispettato il

principio di legittimità democratica necessario a legittimare il potere legislativo del Consiglio di

Sicurezza.

Al contrario, gli autori critici in ordine all’esercizio di un potere legislativo da parte del

Consiglio di Sicurezza hanno evidenziato i limiti della risoluzione 1373/2001, e, dunque, la

mancanza sia di una definizione precisa di “terrorismo internazionale”, sia di limiti oggettivi e

soggettivi agli obblighi imposti.95

Secondo tale Dottrina, volendo ammettere un potere legislativo in capo al Consiglio, sarebbe

più opportuno assimilare le misure da questo adottate a regolamenti esecutivi che non a veri e propri

atti normativi. Ammissibile sarebbe, invece, il potere del Consiglio di Sicurezza di contribuire

indirettamente alla formazione di norme internazionali ogni qual volta le misure adottate fossero tali

da indicare l’esistenza di una prassi degli Stati o da rappresentare il punto di partenza per la

formazione di norme internazionali.

D’altra parte, la risoluzione 1373/2001 è stata paragonata ad una sorta di laboratorio

normativo dal quale è auspicabile possa derivare un diritto comune agli Stati.96 La risoluzione in

questione enuncerebbe, infatti, misure ed obiettivi sulla cui necessità si sarebbe formato un solido

consenso ovvero una opinio juris testimoniata dal voto maggioritario - se non unanime - con cui i

testi in materia di terrorismo internazionale sono stati adottati, ma ai quali gli Stati, almeno fino ad

ora, non hanno dato seguito, per la mancanza di una reale volontà di combattere tale fenomeno,

vuoi perché non sufficientemente consapevoli della gravità della minaccia, vuoi per la mancanza di

accordo in ordine alla condanna di ogni tipologia di terrorismo.

94 Cfr. L.Lavalle, A novel, if Awkward, Exercise in International Law-Making: Security Council Resolution 1540 (2004), in Netherlands International Law Review, 2004, p. 411 ss. 95 Cfr. C.Oliver, Human Rights Law and the International Fight Against Terrorism: How do Security Council resolutions impact on State’s Obligations under International Human Rights Law? (Revisiting Security Council resolution 1373), in Nordic Journal Of International Law, 2004, p. 399 ss. 96 Cfr. S.Szurek, La lutte internationale contre le terrorisme sous l’empire du chapitre VII: un laboratoire normatif, in Revue Générale de Droit International Public, 2005, p. 5 ss.

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Con riferimento alle risoluzioni adottate in materia, alcuni Stati, pur riconoscendone

l’importanza, hanno affermato che si è trattato di misure prive di una reale base “normativa.” Il

delegato del Nepal, ad esempio, dopo aver espresso soddisfazione per tutte le misure previste per

prevenire e reprimere il “terrorismo internazionale”, ha affermato: “in our view, Security Council

resolutions against terrorism are extremely important, but they are largely stopgap measures with

no legislative foundation”.97 Il delegato del Costa Rica ha dichiarato in proposito:“the Security

Council is not a legislative body. Under the Charter, its mandate is confined to specific situations

or specific disputes that endanger international peace and security. It can adopt binding measures

only insofar as those are designed to resolve specific conflicts or deal with specific situations. The

adoption of norms with general application is the prerogative of the international community as a

whole, and is accomplished by negotiating treaties or through the formation of binding customary

law”. 98

Inoltre, anche alcuni degli Stati che, con il proprio voto favorevole, hanno sostenuto

l’adozione della risoluzione 1373/2001, hanno espresso perplessità in ordine al potere in questione.

Fra questi, ad esempio, la Svizzera secondo la quale, “in principle, legislative obligations, such as

those foreseen in the draft resolution under discussion, should be established through multilateral

treaties, in whose all States can participate” e che “it is acceptable for the Security Council to

assume such a legislative role only in exceptional circumstances and in response to an urgent

need”.99 Il delegato delle Filippine, con riferimento alla risoluzione 1540/2004, ha dichiarato che in

principio essa “deviates from time-tested modes of creating multilateral obligations”, ma che, a suo

avviso, si trattava pur sempre di “an exceptional measures to address a new and urgent potential

threat not covered by existing treaty regimes”.100 In termini più critici si è espresso il delegato

indonesiano secondo cui “any far-reaching assumption of authority by the Security Council to enact

global legislation is not consistent with the provisions of the United Nations Charter”. Infine, il

delegato algerino ha dichiarato che “the Council is acting in an exceptional manner, since the

Charter does not give it a mandate to legislate on behalf of the international community”.101

Le dichiarazioni riportate evidenziano come in capo al Consiglio di Sicurezza sia difficile

ravvisare la titolarità di un potere legislativo; potere che, al contrario, rientra fra le prerogative degli

Stati che lo esercitano attraverso le tradizionali forme dell’accordo e delle norme di natura

consuetudinaria.

97 S/PV. 5059 (Resumption 1), 19 Ottobre 2004, p. 16. 98 Ibidem, p. 20. 99 Cfr. S/PV. 4950, p. 28 100 Nella medesima direzione si è espresso il delegato coreano, ibidem, p. 3. 101 Nei medesimi termini si sono espressi i delegati dell’Egitto, dell’Iran e del Pakistan.

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D’altra parte, anche gli Stati che non si sono opposti alle risoluzioni citate hanno sottolineato

il carattere eccezionale di tali misure, disposte in ragione della necessità di far fronte ad una

situazione emergenziale.

Infine, l’affermazione in ordine al fatto che le risoluzioni del Consiglio di Sicurezza possano

contenere norme giuridiche paragonabili a quelle contenute in una Convenzione universale o alle

norme consuetudinarie istantanee, è, contraddetta tanto dall’impossibilità per gli Stati di

raggiungere il consenso in ordine alla definizione di terrorismo internazionale, tanto dal fatto che

gran parte degli Stati membri delle Nazioni Unite, pur non sollevando obiezioni circa le misure

imposte, hanno voluto precisare il carattere eccezionale delle stesse.

La dottrina prevalente, d’altra parte, ha evidenziato come l’adozione all’unanimità della

risoluzione 1373/2001 sia stata resa possibile proprio dall’assenza di una definizione di “terrorismo

internazionale” vincolante per gli Stati.

D’altra parte, la circostanza che tale risoluzione sia stata adottata all’unanimità e senza

incontrare particolare opposizione, consente di ritenere che gli Stati abbiano giudicato le misure

previste come rivolte essenzialmente nei confronti di Al Qaeda, Osama Bin Laden e delle altre

organizzazioni a questo collegate. Quanto sopra trova conferma in due distinte considerazioni: in

primo luogo, nonostante la risoluzione 1373/2001 esprima una generica condanna nei confronti del

terrorismo internazionale, ritenuto una minaccia alla pace ed alla sicurezza internazionale, il

riferimento ai responsabili degli attentati dell’11 settembre risulta evidente. In tal senso depone sia

l’esplicito richiamo alle risoluzioni in precedenza adottate contro i Talebani ed Al Qaeda sia

l’esame del dibattito avvenuto in occasione dell’adozione della predetta risoluzione, in occasione

del quale è stato fatto chiaro riferimento alla minaccia globale rappresentata da Al Qaeda. Inoltre,

anche nei rapporti predisposti dal Counter Terrorism Committee, istituito con la stessa risoluzione

con il compito di supervisionare l’adempimento delle misure da parte degli Stati, il riferimento

all’organizzazione di Osama Bin Laden è costante.

In secondo luogo, il problema della definizione giuridica di “terrorismo internazionale”, e, in

particolare, la questione dei rapporti tra “terrorismo internazionale” e lotte per

l’autodeterminazione, lungi dall’essere risolta, è ritornata al centro dell’attenzione degli Stati in

occasione della preparazione di altre risoluzioni, tra le quali la 1526/2004, confermando così

l’inesistenza di una definizione giuridica di “terrorismo internazionale” accettata dalla Comunità

internazionale.

6. I rapporti inviati dagli Stati al Comitato contro il terrorismo.

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L’analisi dei rapporti inviati al Counter Terrorism Committee, in esecuzione della

risoluzione 1373/2001, evidenzia come gran parte degli Stati intendano per “terrorismo

internazionale” gli atti di violenza o le minacce di violenza dirette contro la popolazione e le

installazioni pubbliche o private, allo scopo di diffondere il terrore, a condizione che tali atti o

minacce non siano compiuti nell’ambito di lotte per l’autodeterminazione o durante lo stato di

occupazione.

L’Algeria, ad esempio, nel rapporto del 24 dicembre 2001, ha dichiarato: “Algeria is also e

party to the conventions on the prevention and control of terrorism adopted by the League of Arab

States, the Organization of African Unity (OAU) and the Organization of the Islamic Conference”,

precisando inoltre: (terrorism) “not be confused with the struggle of peoples against colonial

domination or foreign occupation”.102

D’altra parte le Convenzioni citate nel prevedere che sia considerato atto terroristico

qualsiasi violenza o minaccia di violenza in grado di diffondere il terrore tra la gente oppure di

provocare danni all’ambiente o alle infrastrutture pubbliche o private, indipendentemente dalle

motivazioni o dagli obiettivi perseguiti, escludono espressamente dal novero degli atti terroristici gli

atti compiuti durante le lotte per l’autodeterminazione.

Nel ribadire tale posizione, l’Algeria ha, successivamente, affermato di aver accolto

favorevolmente l’adozione della risoluzione 1373/2001 nonché, di aver introdotto, ai fini della sua

attuazione nella propria legislazione nuove norme in materia di congelamento dei fondi delle

organizzazioni o dei soggetti sospettati di terrorismo.103

Nel rapporto del Libano del 13 dicembre 2001, é possibile leggere nella premessa: “in the

preparation of the present report Lebanon has based itself on the distinction, as made in the UNGA

resolution 46/51 of 19 January 1991 and in the 1998 Arab Convention for the suppression of

terrorism, between terrorism on the one hand and the legitimate right of peoples to resist foreign

occupation on the other, as well as on the international conventions relating to terrorism to which

Lebanon has acceded and on the provisions of SC resolution 1333 (2000) of 19 December 2000”.104

Il 5 luglio 2002, il Libano ha, quindi, dichiarato di adempiere alla risoluzione 1373/2001,

ritenendo le misure previste da tale risoluzione applicabili agli atti terroristici così come definiti

dall’ art. 314 del proprio codice penale, e dunque agli atti il cui scopo sia di creare “a state of terror

which are committed by means such as esplosive devices…[omissis]… likely to create a public

hazard”. 105

102 S/2004/324, 23 aprile 2004. Il testo integrale dei rapporti inviati dagli Stati al Comitato contro il terrorismo è

consultabile sul sito http://www.un.org/docs/sc/committees/1373/reports/shtlm. 103 In tal senso anche rapporti inviati al Comitato da Bahrein, Egitto, Giordania, Iran, Libano, Yemen ecc... 104 S/2001/1201, 13 dicembre 2001. 105 S/2002/728, 5 luglio 2002.

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7. Considerazioni conclusive.

L’analisi della prassi in materia di terrorismo internazionale permette di constatare come la

mancanza di una definizione precisa di atto terroristico costituisca il principale limite all’azione del

Consiglio di Sicurezza. Quest’ultimo con l’istituzione del Comitato per le sanzioni,106 ha eluso il

problema predisponendo, a partire dal 2004, un elenco di persone ed organizzazioni sospettate di

essere associate ad Al Qaeda, nei confronti delle quali sono state adottate sanzioni economiche.

In dottrina sono state espresse forti perplessità in ordine al metodo della “lista”, soprattutto

in assenza di precise linee guida per gli Stati, che risultano, di conseguenza, dotati di eccessiva

discrezionalità in ordine all’iscrizione dei presunti terroristi.107

Tale procedura ha, inoltre, peraltro sollevato problemi di compatibilità con il rispetto dei

diritti umani, atteso che l’inserimento nelle liste avviene senza la necessità di precisare il legame

esistente tra gli iscritti e Al Qaeda o le organizzazioni ad essa affiliate e senza che sia data la

possibilità agli interessati di ricorrere contro tale iscrizione.

Il carattere eccezionale delle misure adottate per fronteggiare la minaccia terroristica ha

pertanto reso necessaria l’adozione di metodi di controllo destinati ad evitare un’eccessiva

compressione dei diritti umani da parte degli Stati, che, in ragione dell’emergenza, attraverso la

propria legislazione interna, hanno spesso fatto ricorso a norme incompatibili con le convenzioni

internazionali in precedenza ratificate.

Infine, occorre ricordare che i pochi ricorsi individuali presentati al Tribunale di primo

grado delle Comunità europee allo scopo di ottenere l’annullamento del provvedimento di iscrizione

nella lista comunitaria, in attuazione delle risoluzioni adottate dal Consiglio di Sicurezza, sono stati

respinti.108

106 Il Comitato è stato istituito con la risoluzione 1267/1999. 107 Cfr. E.Rosand, The Security Council’s Efforts to Monitor the Implementation of Al Qaeda/Taliban Sanction, in American Journal of International Law, 2004, p. 745 ss. 108 Cfr. da ultimo la sentenza emessa dal Tribunale di primo grado il 12 luglio 2006 nei casi Chafiq Ayadi c. Consiglio dell’Unione Europea e Farj Hassan c. Consiglio dell’Unione Europea e Commissione delle Comunità europee. In dottrina v. B. Conforti, Decisioni del Consiglio di sicurezza e diritti fondamentali in una bizzarra sentenza del Tribunale comunitario di primo grado, in Il diritto dell’Unione Europea, 2006, p.333 ss.

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CAPITOLO III

L’ATTIVITÀ DI CONTRASTO DEL TERRORISMO E GLI STRUMENTI DI COOPERAZIONE

NELL’UNIONE EUROPEA*

.

I. LA NOZIONE GIURIDICA DI “TERRORISMO INTERNAZIONALE” NELL’ORDINAMENTO

DELL’UNIONE EUROPEA

1. La Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea

La generica difficoltà di dare una definizione di “terrorismo internazionale” si riflette negli

atti dell’Unione Europea (UE) che, pur contenendo frequenti riferimenti a tale fenomeno, si sono

sempre astenuti dall’offrirne una definizione giuridica.

Con la Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea, in data 13

giugno 2002, sulla lotta contro il terrorismo sono state109, tuttavia, introdotte nell’Ordinamento

comunitario alcune importati definizioni, prima fra tutte quella di “reati terroristici”.110

Sulla base dell’art. 1 paragrafo 1 della Decisione quadro, gli Stati membri devono, infatti,

adottare le misure necessarie affinché siano considerati “reati terroristici” gli “atti intenzionali”, di

seguito elencati, “definiti reati in base al diritto nazionale, che, per la loro natura o contesto,

possono arrecare grave danno ad un paese o a un’organizzazione internazionale, quando sono

commessi al fine di intimidire gravemente la popolazione o costringere indebitamente i poteri

pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o

destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali,

economiche o sociali di un paese o di un’organizzazione internazionale”.

A tale fine, l’articolo citato prende in esame i seguenti atti, preparati o commessi sul

territorio della UE, indipendentemente dal fatto che siano realizzati in danno di Stati membri, di

Paesi terzi o di organizzazioni internazionali:

- gli attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso;

- gli attentati gravi all’integrità fisica di una persona;

- il sequestro di persona e la cattura di ostaggi;

109 Il testo della Decisione quadro è riportato in appendice 2. * Tratto da: Pisano V., Polidori C.M., “Minaccia terroristica e contromisure nell’Unione Europea”, Ed. CeMiSS, Aggiornamento 2006. 110 La Decisione quadro 2002/475/GAI si ispira alla Posizione comune (2001/931/PESC) del 27 Dicembre 2001, “Relativa all’Applicazione di Misure Specifiche per la Lotta al Terrorismo”.

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- le distruzioni di vasta portata di strutture governative o pubbliche, di sistemi di trasporto, di

infrastrutture, compresi i sistemi informatici, di piattaforme fisse situate sulla piattaforma

continentale ovvero di luoghi pubblici o di proprietà private che possono mettere a repentaglio vite

umane o causare perdite economiche considerevoli;

- il sequestro di aeromobili o di navi o di altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di

trasporto delle merci;

- la fabbricazione, la detenzione, l’acquisto, il trasporto, la fornitura o l’uso di armi da fuoco,

esplosivi, armi atomiche, biologiche e chimiche, nonché, per queste ultime due la ricerca e lo

sviluppo illegali;

- la diffusione di sostanze pericolose, il cagionare incendi, inondazioni o esplosioni il cui effetto

metta in pericolo vite umane;

- la manomissione o l’interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse naturali

fondamentali, il cui effetto metta in pericolo vite umane;

- la minaccia di realizzare uno dei comportamenti predetti.

La Decisione quadro detta, quindi, all’art. 2, la definizione di “organizzazione terroristica”,

ritenendo tale una “associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in

modo concertato allo scopo di commettere dei reati terroristici”; definizione che trova ulteriore

precedente nell’Azione comune 98/733/GAI, del 21 dicembre 1998, relativa alla punibilità della

partecipazione a un’organizzazione criminale negli Stati membri dell’Unione europea, nella quale è

fatto esplicito riferimento anche al terrorismo. Il termine “associazione strutturata” individua

un’associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione di un reato, ma che non

necessariamente deve prevedere una struttura articolata, ruoli formalmente definiti per i suoi

membri e continuità nella sua composizione.

Il medesimo articolo stabilisce l’obbligo per gli Stati membri di

sanzionare adeguatamente tanto la direzione di un’organizzazione terroristica, quanto la

partecipazione alle sue attività; partecipazione che può essere realizzata fornendo informazioni o

mezzi o finanziandola in qualsiasi modo. Quanto sopra, ovviamente, a condizione che sussista

nell’agente la consapevolezza di contribuire alle attività criminose dell’organizzazione terroristica.

L’art. 3 introduce la definizione di “reati connessi alle attività terroristiche”, ritenendo tali: il furto

aggravato, l’estorsione e la formazione di documenti amministrativi falsi, ogni qual volta siano

realizzati allo scopo di perpetrare i reati terroristici sopra descritti.

L’art. 4 sancisce l’obbligo per gli Stati membri di punire l’”istigazione” a commettere i fatti

previsti dall’art. 1 par.1 e dagli artt. 2 e 3, il “concorso” in tali reati, nonché il “tentativo” di

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commettere i fatti di cui all’art.1 par. 1, esclusa l’ipotesi di detenzione di cui alla lettera f) ed il reato

di cui alla lettera i).

In base dell’art. 5 ogni Stato membro é tenuto ad adottare le misure necessarie per garantire

che i reati indicati agli articoli da 1 a 4 siano puniti con sanzioni penali “effettive, proporzionate e

dissuasive” e tali da comportare l’estradizione dei responsabili, adottare le misure necessarie

affinché i reati terroristici previsti dagli artt.1, par.1, e 4, siano puniti con una pena detentiva più

severa rispetto a quella stabilita dalle rispettive legislazioni nazionali per i medesimi fatti realizzati

per finalità differenti da quella terroristica, nonché adottare le misure necessarie affinché i reati

elencati all'art. 2 par. 2, lett. a) siano puniti con una pena detentiva nel massimo non inferiore a 15

anni e non inferiore a 8 anni per i reati di cui all'articolo 2, par. 2, lett. b). Inoltre, nel caso il reato di

cui all'art. 2, par. 2, lett. a), si riferisca solo alla fattispecie di cui all'art.1, par.1, lettera i), la durata

massima della reclusione non potrà essere, in ogni caso, inferiore a 8 anni.

L’art. 6 introduce, quindi, alcune disposizioni di carattere premiale, rivelatesi, in passato,

particolarmente utili nell’attività di contrasto del terrorismo.

Ogni Stato membro dovrà, infatti, adottare le misure necessarie affinché le pene di cui all’art. 5

possano essere ridotte nel caso in cui l’autore del reato:

a) rinunci all’attività terroristica;

b) fornisca alle autorità amministrative o giudiziarie informazioni utili a prevenire o attenuare gli

effetti del reato, individuare o consegnare alla giustizia i complici nel reato, acquisire elementi di

prova e prevenire la commissione di altri reati previsti dagli articoli da 1 a 4.

La Decisione quadro stabilisce, accanto alla responsabilità personale, la responsabilità delle

persone giuridiche.

Sulla base dell’art. 7, ciascuno Stato membro deve adottare le misure necessarie affinché le

persone giuridiche possano essere ritenute responsabili dei reati previsti ogni qual volta siano

commessi a vantaggio di queste ultime da qualsiasi soggetto che agisca a titolo personale o in

qualità di membro di un organo di una persona giuridica che, in quanto tale, detenga una posizione

di preminenza fondata sul potere di rappresentanza, sul potere decisionale o sull’esercizio del potere

di controllo. Dovranno, inoltre, essere adottate le misure necessarie affinché le persone giuridiche

possano essere ritenute responsabili anche nell’ipotesi in cui, la mancata sorveglianza o il mancato

controllo di uno di tali soggetti, abbia reso possibile la commissione dei fatti descritti da parte di

una persona sottoposta alla sua autorità. Ovviamente, la responsabilità delle persone giuridiche non

esclude l’avvio di procedimenti penali contro le persone fisiche che abbiano commesso i reati in

questione o abbiano istigato taluno a commetterli o vi abbiano in qualche modo concorso.

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Gli Stati membri dovranno, inoltre, adottare le misure necessarie affinché alla persona

giuridica ritenuta responsabile di “reati terroristici” siano applicabili sanzioni “effettive,

proporzionate e dissuasive” che comprendano sanzioni pecuniarie, anche penali, nonché sanzioni

quali:

- l’esclusione del godimento di un beneficio o di un aiuto pubblico;

- il divieto temporaneo o permanente di esercitare un'attività commerciale;

- l’assoggettamento a sorveglianza giudiziaria;

- i provvedimenti giudiziari di scioglimento;

- la chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti che sono stati usati per commettere il

reato.

Gli artt. 9 e 10 dettano, infine, disposizioni in merito alla giurisdizione, all’esercizio

dell’azione penale ed alla protezione ed assistenza delle vittime dei reati di terrorismo.

Con tale Decisione il Consiglio ha inteso definire, in modo pragmatico, le basi ed i parametri

comuni della cooperazione in materia di anti-terrorismo, senza incidere sulla definizione del

fenomeno; quanto sopra, come si è detto, in ragione dell’impossibilità di formulare una definizione

di “terrorismo” in grado di essere condivisa da tutti gli Stati membri della UE.111

Ciò nonostante il provvedimento, in questione, è stato oggetto di critiche per aver prodotto

“una definizione troppo ampia”.112 Occorre, tuttavia, rilevare che, la nozione di “reati terroristici”,

così come formulata, consente di inasprire le sanzioni nei confronti di talune fattispecie criminose

già individuate e presenti negli ordinamenti penali degli Stati membri ogni qual volta siano poste in

essere con finalità di terrorismo, evitando, in tal modo, di imbrigliare l’interprete nell’analisi di un

fenomeno talmente complesso da non aver consentito, ad oggi, una definizione univoca da parte

della Comunità Internazionale.113

Al contrario, la definizione di “organizzazione terroristica” offerta dalla Decisione quadro,

si presenta, di fatto, più ristretta rispetto alla casistica offerta dall’universo terroristico. Esistono,

infatti, “organizzazioni terroristiche” a struttura “rigida” e “formazioni terroristiche” strutturate in

modo flessibile in grado di portare a termine gravi attentati terroristici.

Quanto alle finalità perseguite da tali organizzazioni è opportuno rilevare che i terroristi si

propongono quale fine ultimo la distruzione, parziale o totale, delle Istituzioni ovvero il

111 Incisive in proposito le considerazioni di Roberta Barberini in “La Definizione di Terrorismo Internazionale e gli Strumenti Giuridici per Contrastarlo”, in Per Aspera ad Veritatem, Roma, n. 28, gennaio-aprile 2004. 112 Si veda, a titolo esemplificativo, Jonathan Stevenson, “How Europe and America Defend Themselves”, Foreign Affairs, New York, marzo/aprile 2003. 113 Un tentativo di addivenire ad una definizione del fenomeno da Parte della Comunità internatale deve essere ravvisato nella bozza dello Statuto della Corte Penale ove compariva fra i crimini di competenza della Corte anche il crimine di terrorismo internazionale. Tale crimine è stato tuttavia espunto unitamente al crimine di traffico internazionale di sostanze stupefacenti nella versione definitiva.

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sovvertimento di queste ultime. L’espressione “destabilizzare” utilizzata nella Decisione quadro si

presenta dunque poco adatta a riassumere le finalità perseguite dalle aggregazioni terroristiche,

siano queste organizzazioni a struttura rigida o formazioni a struttura flessibile.

II . LO SVILUPPO DEGLI STRUMENTI DI CONTRASTO E COOPERAZIONE NELL’AMBITO DELL’UNIONE

EUROPEA

1. Brevi cenni sulla struttura dell’Unione Europea

Allo scopo di operare una panoramica dell’opera di contrasto del terrorismo svolta dalla UE,

è opportuno soffermarsi, preliminarmente ed in modo sintetico, su taluni aspetti generali attinenti

alla struttura dell’Unione.

In attesa dell’entrata in vigore della Costituzione europea, la UE poggia, ancora, sotto il profilo

ideale e strutturale su tre “pilastri”.114

Il I Pilastro è costituito dall’ordinamento comunitario e, dunque, dai Trattati istitutivi delle

Comunità Europee (Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio - CECA, Comunità Europea

dell’Energia Atomica - EURATOM e Comunità Europea - CE) così come modificati e integrati nel

corso del tempo. Nelle materie di pertinenza comunitaria, essenzialmente economiche, commerciali

e sociali, la UE ha competenza esclusiva. Nel relativo processo decisionale vige il principio

maggioritario. Gli strumenti del I Pilastro comprendono regolamenti, direttive, decisioni,

raccomandazioni e pareri.

Il II Pilastro attiene alla Politica Estera e di Sicurezza Comune (PESC) e trova fondamento

nel Titolo V della versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea, relativo alle

“Disposizioni sulla Politica Estera e di Sicurezza Comune”. Alla PESC si affianca la Politica

Europea di Sicurezza e di Difesa (PESD) che ha sostituito l’ European Security and Defence

Identity (ESDI). Mentre la PESC ha lo scopo di elaborare la politica estera della UE, la PESD si

occupa di individuare ed approntare gli strumenti più idonei a realizzare un sistema di sicurezza e di

difesa comune.115 Gli strumenti del II Pilastro attengono alla definizione di principi e orientamenti

generali, all’impostazione di strategie comuni da parte del Consiglio europeo e all’adozione di

decisioni, azioni e posizioni comuni da parte del Consiglio dell’Unione europea. 114 L’entrata in vigore della Costituzione per l’Europa − sottoscritta il 29 ottobre 2004 dai rappresentanti dei 25 Paesi membri della UE ma non ancora ratificata da tutti i Paesi membri − condurrà alla fusione dei c.d. tre pilastri. Con riferimento ai tempi di ratifica lo stesso Presidente della Commissione Europea, José Manuel Durão Barroso, ha espresso il parere che per i prossimi due o tre anni, “come minimo”, l’UE “non avrà una Costituzione”. Vedi Corriere della Sera (Milano), 22 settembre 2005, p. 17. 115 V. in proposito Carlo Jean, “L’Unione Allargata: La PESC e la PESD”, in Affari Esteri, Roma, N. 145, gennaio 2005.

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Il III Pilastro attiene alla giustizia e agli affari interni (GAI), rifacendosi al Titolo VI della

versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea, relativo alle “Disposizioni sulla

Cooperazione di Polizia e Giudiziaria in Materia Penale”. I suoi strumenti comprendono posizioni

comuni, decisioni quadro, decisioni e Convenzioni adottate o promosse dal Consiglio dell’Unione

europea.116 Nel processo decisionale relativo alle materie previste dal II e dal III Pilastro vige, a

seconda dei casi, il criterio dell’unanimità o della maggioranza qualificata.

Nell’attività di contrasto del terrorismo rivestono importante ruolo politico il Consiglio

dell’Unione europea ed il Consiglio europeo. Il Consiglio dell’Unione europea, di seguito definito

semplicemente Consiglio,117 è composto dai ministri degli Stati membri. Il Consiglio è l’organo

della UE deputato a rappresentare gli Stati membri dell’Unione; esercita, congiuntamente al

Parlamento, le funzioni legislative e finanziarie e adotta decisioni in materia di politica estera e di

sicurezza comune (PESC), di coordinamento delle politiche economiche (approccio

intergovernativo). Gli atti normativi del Consiglio sono direttamente vincolanti per gli Stati

membri. Il Consiglio europeo, composto dai capi di Stato e di Governo dei Paesi membri, ha il

compito di definire gli orientamenti politici generali e particolari, negoziare le modiche dei trattati e

delle istituzioni, stabilire le priorità e comporre le divergenze non superate tra gli Stati membri. Può

formulare, all'unanimità o a maggioranza qualificata, orientamenti, dichiarazioni e risoluzioni

destinate ad esprimere in modo solenne le posizioni dei capi di Stato o di governo con riferimento a

particolari tematiche. Orientamenti e dichiarazioni non hanno, tuttavia, valore giuridico. Per trovare

attuazione devono pertanto seguire la normale procedura prevista per gli atti giuridici comunitari:

proposizione da parte della Commissione europea, voto del Parlamento europeo e del Consiglio

dell'Unione europea e, in taluni casi, attuazione da parte degli ordinamenti degli Stati membri.

Ai fini dell’azione di contrasto è, inoltre, rilevante l’attività di taluni organi tecnici, dei quali

si dirà in seguito, quali l’Europol, l’Eurojust, la Rete Giudiziaria Europea, l’Accademia Europea di

Polizia (CEPOL), le Squadre Investigative Comuni, la Task Force dei Capi di Polizia, il Working

Party on Terrorism (COTER), il Terrorism Working Group (TWG), il Comitato Politico e di

Sicurezza, il Joint Situation Center (SITCEN), il Coordinatore per l’Anti-Terrorismo e l’Agenzia

Europea per le Frontiere.

L’opera di contrasto del terrorismo deve essere formalmente inquadrata nel III Pilastro,

essendo espressamente richiamata dall’art. 29 della versione consolidata del Trattato sull’Unione

Europea; l’attività in questione attiene, tuttavia, in modo significativo, anche alla politica estera e di

sicurezza comune (PESC). A riprova di ciò il fatto che successivamente agli attacchi dell’11

116 Nel periodo 1993-1999 gli strumenti di III Pilastro includevano anche le Azioni Comuni. 117 Secondo la prassi Consiglio dell’Unione Europea compare indicato come “il Consiglio”. Per contro il Consiglio Europeo è sempre indicato per esteso.

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settembre 2001, alcuni interventi comunitari in materia hanno trovato base giuridica negli strumenti

offerti dal I e dal II Pilastro, dando luogo ad un’ azione che può essere definita cross-pillar

(interpilastro).

2. Le Componenti dell’ “opera di contrasto”.

L’opera di contrasto del terrorismo posta in essere dalla UE si sviluppa, sostanzialmente,

attraverso quattro componenti articolate e collegate fra loro.

La prima di queste comporta l’adozione e l’attuazione da parte degli Stati membri delle

misure di contrasto previste dall’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), alla quale viene

riconosciuto un ruolo centrale nella lotta al terrorismo.

Le misure in questione sono rivenibili in alcuni trattati internazionali a carattere universale

ed in talune Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza.118 Gli strumenti pattizi, adottati a partire dal

1963, riguardano la prevenzione e la repressione dei reati contro le persone internazionalmente

protette (alte cariche dello stato e agenti diplomatici), il divieto della cattura di ostaggi, la

repressione della cattura illecita di aeromobili, degli atti illeciti contro l’aviazione civile e degli

attentati contro le istallazioni aeroportuali, la repressione degli atti illeciti contro la sicurezza della

navigazione marittima e delle piattaforme fisse sulla piattaforma continentale, la repressione degli

attentati terroristici commessi con esplosivi, la soppressione dei finanziamenti al terrorismo, la

protezione fisica dei materiali nucleari ed il contrassegno degli esplosivi plastici ai fini del loro

rilevamento. Come si è detto, nessuna di tali Convenzioni offre, tuttavia, una definizione di

“terrorismo internazionale”, di “terrorista” o di “atto terroristico”, limitandosi, da un lato, ad

affermare la necessità di sanzionare gli atti descritti e, dall’altro, a riaffermare il generale principio

giuridico aut dedere aut iudicare.119

L’attuazione, da parte degli Stati membri, di Trattati universali promossi dalle Nazioni Unite

è monitorata in seno alla UE dal Working Party on Terrorism (COTER),120 i cui compiti

comprendono la valutazione delle minacce provenienti dall’esterno dell’Unione. Il COTER si

118 Si tratta di accordi internazionali universali in quanto l’ONU è un’organizzazione internazionale universale, piuttosto che regionale. Infatti, ne fanno parte 191 Stati su 193. Tuttavia l’efficacia delle previsioni contenute in questi accordi è condizionata dalla mancata sottoscrizione, ratifica o applicazione da parte di diversi Stati o dalle riserve da essi formulate e formalizzate. 119 Il principio in questione impone agli Stati o di estradare gli autori di reati terroristici o di giudicarli secondo la propria legislazione nazionale. 120 Si tratta di uno strumento del II Pilastro e, dunque, della PESC, spesso tradotto in italiano semplicemente come Comitato Terrorismo.

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differenzia dal Terrorism Working Group (TWG), strumento del III Pilastro (GAI), che ha lo scopo

di valutare le minacce interne.121

Oltre alle Convenzioni ed ai Protocolli che riguardano in modo diretto o indiretto il

terrorismo, concorrono a delineare il quadro di riferimento alcune Risoluzioni del Consiglio di

Sicurezza che, in diversi casi, pur senza offrire una definizione di terrorismo, hanno comportato

l’applicazione di sanzioni nei confronti di entità statuali e non statuali.122 Particolare importanza

assumono in merito le Risoluzioni del Consiglio di sicurezza 1267/1999, 1333/2000, 1373/2001,

1390/02, 1526/04, 1535/04, 1617/05 e 1624/05.

In particolare, la Ris.1373/2001, della quale si è detto nel precedente capitolo, ha imposto

agli Stati membri delle NU, di contrastare il terrorismo internazionale ovunque e comunque esso si

manifesti, ampliando il campo di intervento dell’azione antiterroristica attraverso l’introduzione,

accanto alle normali sanzioni di carattere economico, di sanzioni di carattere penale adeguate alla

gravità del crimine.123

Sulla base di tale Risoluzione gli Stati membri sono tenuti ad adottare o rafforzare le misure

legislative volte a sanzionare in modo specifico gli atti terroristici, a perseguire i colpevoli, nonché

a congelare i capitali, le attività finanziarie e le risorse economiche di coloro che commettono,

tentano di commettere od agevolano la commissione di atti terroristici. I Paesi della UE sono,

inoltre, tenuti allo scambio di informazioni (information sharing), alla cooperazione giudiziaria e di

polizia, come pure a negare il diritto di asilo o ogni altra forma di sostegno alle persone che

finanziano, organizzano, appoggiano o commettono atti di terrorismo.

La seconda componente è costituita da una stretta collaborazione fra la UE e gli Stati Uniti

d’America, collaborazione che si traduce nella promozione di accordi bilaterali, nello scambio di

informazioni fra servizi di intelligence, nella cooperazione in materia giudiziaria e nei collegamenti

operativi fra le forze di polizia; attività questa destinata mettere in evidenza il ruolo di Europol, di

cui si dirà in seguito.

Con la Dichiarazione ministeriale congiunta del 20 settembre 2001, successiva agli attentati

che colpirono New York e Washington, la UE egli USA si sono impegnati a condurre “uno sforzo

121 Il COTER è composto, in prevalenza, da rappresentanti dei ministeri degli affari esteri degli Stati membri, mentre il TWG e composto da rappresentanti dei ministeri dell’interno e delle forze di polizia o, in alcuni casi, dei servizi di sicurezza degli Stati membri. 122 Si ricordano in proposito le sanzioni adottate contro la Libia, nel 1992-1993, a seguito del coinvolgimento di tale Stato negli attentati contro i voli Pan Am 103 (Scozia, 1988) e UTA 772 (Niger, 1989); contro il Sudan, nel 1996, allo scopo di ottenere l’estradizione di tre cittadini egiziani accusati di aver partecipato l’anno precedente al fallito attentato ai danni del Presidente Hosni Mubarak durante la sua visita in Etiopia; e contro il regime afghano dei Talebani, nel 1999-2000, in ragione dell’appoggio fornito al terrorismo internazionale e del rifiuto di estradare Osama bin Laden dopo l’incriminazione di questi per gli attentati del 1998 alle ambasciate americane di Nairobi e Dar es Salaam. 123 Al contrario delle Risoluzioni 1267/1999, 1333/2000 e 1390/2002 e 1453/2002, la Ris. 1373/2001 non contiene alcun riferimento ad organizzazioni specifiche o ad aree geografiche; non è dunque diretta a contrastare unicamente i Talebani afghani, al-Qaida, Osama bin Laden e le aggregazioni a lui collegate.

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collettivo, sistematico e costante per eliminare il terrorismo internazionale, i suoi capi, i gregari e le

reti”. Particolare importanza rivestono, in proposito, talune attività quali la redazione di un elenco

comune delle aggregazioni terroristiche da sottoporre a sanzione, il congelamento dei beni e delle

risorse finanziarie di soggetti (persone fisiche e giuridiche) implicati in attività terroristiche,

l’adozione di procedure semplificate di estradizione e di assistenza giudiziaria, di linee guida

comuni in materia di rilascio di documenti di viaggio, di misure volte a contrastare la proliferazione

delle armi di distruzione di massa nonché lo sviluppo di procedure finalizzate ad acquisire una

maggiore sicurezza sia in ambito marittimo, con particolare riferimento al traffico delle merci e dei

containers,124 sia nel campo dell’aviazione civile, con riferimento alla sicurezza del trasporto

passeggeri.

La terza componente attiene alle misure antiterrorismo attuabili all’interno della UE, così

come previste dal Piano d’azione per la lotta al terrorismo del 2001 e dal Piano d’azione rinnovato

del 2004, quali l’adozione di una nozione comune di “reato terroristico”, la predisposizione di

elenchi di aggregazioni e persone responsabili di atti il terrorismo comuni agli Stati membri, il

congelamento dei fondi ed il contrasto di ogni forma di finanziamento, l’adozione del mandato di

cattura europeo, la nomina di un coordinatore antiterrorismo, nonché l’elaborazione di una strategia

europea in materia di sicurezza destinata a comprendere ogni opportuna attività di contrasto del

fenomeno terroristico.

La quarta componente, infine, consiste nell’ adozione di misure la cui portata si estende oltre

i confini territoriali della UE, come il controllo delle frontiere extracomunitarie, il coordinamento

dei visti, l’impiego del sistema EURODAC per la verifica delle impronte digitali, l’analisi delle

minacce terroristiche provenienti da aree extracomunitarie, quali l’America Latina, l’Asia

Meridionale e l’Asia Sud-Orientale, nonché l’inclusione di clausole antiterrorismo negli accordi

commerciali e di cooperazione con Paesi estranei all’Unione.

3. Lo sviluppo dell’ “opera di contrasto”.

Per meglio inquadrare lo sviluppo dell’attività in questione è opportuno ripercorrere, quanto

meno a grandi linee, l’evoluzione della politica di sicurezza europea e dei relativi strumenti.

Nell’interesse di una trattazione quanto più coerente ed organica, si voluto utilizzare un metodo

espositivo sostanzialmente - ma non rigidamente- cronologico, ciò in considerazione del carattere

rapsodico e frammentario delle misure adottate dalla UE con riferimento anche ad un medesimo

strumento.

124 Un esempio di tali iniziati è offerto dalla Container Security Initiative (CSI).

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Deve, inoltre, essere premesso che taluni provvedimenti, sebbene attinenti all’attività di

contrasto del terrorismo, non sono stati determinati da tale esigenza che, pertanto, talvolta, esula

dalla ratio degli stessi.

Occorre, infine, sottolineare come, nello sviluppo dell’opera di contrasto del terrorismo si

possano delineare due fasi principali: quella precedente i devastanti attentati dell’11 settembre

2001, caratterizzata da un lento progresso nell’adozione delle misure necessarie, e quella successiva

ai predetti attentati, caratterizzata da misure di carattere innovativo adottate a ritmo serrato a fronte

di un’esigenza ritenuta prioritaria. Gijs de Vries, coordinatore antiterrorismo della UE ha, in

proposito, affermato: “in materia di sicurezza interna, la lotta contro il terrorismo è necessariamente

diventata, dopo l’11 settembre 2001, una delle priorità più alte dell’Unione Europea, sia sul piano

interno che su quello delle relazioni esterne, con gli Stati Uniti come con altri paesi e regioni”.125

La politica europea di contrasto diretto ed indiretto del terrorismo ha inizio, alla fine degli

anni ’70, con la Convenzione europea di Strasburgo, del Consiglio d’Europa126del 27 gennaio 1977,

relativa alla repressione del terrorismo. A tale Convenzione ha fatto seguito l’Accordo di Dublino

del 4 dicembre 1979, relativo all’applicazione della predetta Convenzione tra gli Stati Membri delle

Comunità europee.127

L’Unione Europea ha, quindi, elaborato la Convenzione 10 marzo 1995, relativa alla

procedura semplificata di estradizione tra gli Stati membri della UE, e la Convenzione di Bruxelles,

del 27 settembre 1996, anch’essa in materia di estradizione tra gli Stati Membri, destinata a

semplificare ulteriormente l’applicazione della Convenzione Europea di Strasburgo del 1977.

Disposizioni relative al contrasto del terrorismo ed in genere della criminalità sono

contenute sia nell’articolo K 1 del Trattato sull’Unione Europea, del 7 febbraio 1992, più noto come

Trattato di Maastricht, relativo alla cooperazione di polizia ai fini della prevenzione e della lotta al

terrorismo, sia nell’art. 29 del Trattato di Amsterdam del 2 ottobre 1997, con cui le Parti si sono

impegnate a conservare e sviluppare all’interno della UE uno spazio di libertà, sicurezza e

giustizia.128 125 Gijs de Vries, “Insieme, Contro il Terrorismo”, Dossier Europa (Roma), n. 36, giugno 2005. 126 Il Consiglio d’Europa è un’organizzazione internazionale regionale diversa dall’UE che, all’epoca di tale convenzione, non esisteva. 127 La Convenzione Europea per la Repressione del Terrorismo, testualmente motivata dalla “crescente inquietudine causata dall’aumento di atti terroristici”, è entrata in vigore il 1 giugno 1986. La convenzione esclude dalla nozione di reato politico una serie di comportamenti intrinsecamente illeciti e lesivi, pur consentendo agli Stati firmatari il diritto di sollevare riserve e rifiutare l’estradizione per qualsiasi reato ritenuto politico. Ha fatto seguito il Protocollo di Emendamento, concluso a Strasburgo il 13 febbraio 2003, il quale attraverso l’inserimento di nuovi articoli ne forma una nuova versione consolidata. Il Protocollo stabilisce, inter alia, l’estensione dei criteri e delle modalità riguardanti l’estradizione a tutti i reati previsti dai dodici trattati promossi dall’ONU, che direttamente o indirettamente disciplinano l’attività di contrasto del terrorismo. 128 L’art. 29, in particolare, recita: “l’obiettivo che l’Unione si prefigge è fornire ai cittadini un livello elevato di sicurezza in uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia, sviluppando tra gli Stati membri un’azione in comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale e prevenendo e reprimendo il razzismo e la xenofobia”.

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3.1. L’Europol ed il “Piano d’Azione” di Cardiff.

Conformemente a quanto stabilito dal Trattato di Maastricht, nel 1994, è stato istituito,

all’Aia, un Ufficio Europeo di Polizia (Edu-Europol) competente in materia di traffico di

stupefacenti, sostanze nucleari ed immigrazione clandestina. Con la c.d. Convenzione basata

sull’art. K3 del trattato sull’Unione Europea firmata a Bruxelles il 26 luglio 1995 (la c.d.

Convenzione Europol), le competenze di tipo informativo del vecchio Edu-Europol sono state

trasferite ad Europol ed ampliate sino a comprendere i reati contro la vita, l’integrità fisica e la

libertà.129 Il Trattato di Amsterdam, nel prevedere, ai fini della cooperazione fra le forze di polizia,

lo scambio di informazioni e l’adozione di iniziative comuni in settori quali la formazione e la

ricerca criminologica, ha, infatti, attribuito un ruolo centrale a Europol affidando al Consiglio il

compito di garantire a tale struttura gli strumenti necessari allo scopo. In vista dell’ entrata in vigore

del trattato di Amsterdam, il 3 dicembre 1998, il Consiglio e la Commissione, sulla base del

mandato ricevuto in occasione del Consiglio europeo di Cardiff del 15 e 16 giugno 1998, hanno

elaborato un “Piano d’azione” finalizzato ad attuare, nel miglior modo, le disposizioni concernenti

lo spazio di libertà, sicurezza e giustizia.130 Il “Piano d’azione” è arricchito da una previsione

esplicita della lotta alla criminalità ed al terrorismo, definito come “una delle forme di reati gravi da

prevenire e combattere mediante la stretta collaborazione tra le forze di polizia e giudiziarie e il

riavvicinamento, ove necessario, delle legislazioni degli Stati membri”.

Con specifico riferimento al terrorismo è stato previsto il rafforzamento della rete giudiziaria

europea e della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale anche attraverso la

semplificazione delle procedure e l’adozione di misure relative alle sanzioni e agli elementi

costitutivi dei reati connessi con il terrorismo.

Il Consiglio, con Decisione in data 3 dicembre 1998, ha, quindi, incaricato Europol di

“occuparsi dei reati commessi o che possono essere commessi nell’ambito di attività terroristiche

che si configurano in reati contro la vita, l’incolumità fisica, la libertà delle persone e i beni”, in

applicazione del par. 2 dell’art. 2 della Convenzione di Bruxelles del 26 luglio 1995. L’attività

principale di Europol, divenuto operativo il 1 luglio 1999, consiste nello scambio di informazioni

tra le varie forze di polizia europee e nella gestione di un archivio computerizzato dei dati

129 Europol si è formalmente costituito il 1 ottobre 1998; sostanzialmente sostituisce il predecessore TREVI, acronimo francese per Terrorisme, Radicalisme, Extrémisme et Violence Internationale. 130 Fra i 36 dipartimenti della Commissione della UE, uno è denominato Direzione Generale per la Giustizia, Libertà e Sicurezza (Directorate General for Justice, Fredom and Security) ed è composto da quattro Direzioni: A - Affari Generali; B – Immigrazione, Asilo e Frontiere; C – Giustizia Civile, Diritti e Cittadinanza; e D – Sicurezza Interna e Giustizia Criminale. Quest’ultima si occupa in particolare del terrorismo. Il Trattato di Amsterdam ha altresì trasferito parte dei settori del III° Pilastro al I° Pilastro.

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acquisiti.131 Il sistema Europol prevede un’unità centrale, con sede all’Aia, collegata a tante unità

periferiche quanti sono gli Stati membri dell’Unione.

Sulla base di quanto stabilito dal Consiglio Europeo di Bruxelles, in data 21 settembre 2001,

all’interno di Europol, è stata costituita una squadra specializzata in anti-terrorismo, la Counter-

Terrorism Task Force, operativa dal novembre dello stesso anno. Disciolta nel dicembre 2002,

dopo circa un anno di attività, la Counter-Terrorism Task Force è stata ricostituita nell’ottobre 2004

allo scopo di dare impulso a quattro settori di particolare importanza: l’analisi strategica ed

operativa, il modus operandi, il finanziamento delle organizzazioni terroristiche ed il reclutamento

dei terroristi. In particolare, con riferimento al finanziamento, sono stati approvati progetti

finalizzati ad individuare i metodi, i corrieri e le fonti, avendo specifico riguardo per gli enti

caritatevoli ed assistenziali e per i proventi derivanti dalla vendita di merce contraffatta. E’ stato

inoltre concluso un accordo tra Europol e USA relativo allo scambio di dati e all’accesso agli

archivi.

3.2. Il Consiglio di La Gomena e le successive Azioni comuni.

Il 14 ottobre 1995, nel corso di una riunione informale a La Gomena, il Consiglio ha emesso

una Dichiarazione in cui viene condannato il terrorismo in quanto “minaccia alla democrazia, al

libero esercizio dei diritti dell’uomo e allo sviluppo economico e sociale”. Tale Dichiarazione è

stata seguita da tre azioni comuni132 rilevanti ai fini dell’opera di contrasto condotta dalla UE:

- l’Azione comune (96/610/GAI), in data 15 ottobre 1996, relativa all’istituzione e

all’aggiornamento costante di un Repertorio delle Competenze, Capacità e Conoscenze

Specialistiche nel Settore dell’Antiterrorismo (Directory of Specialized Counterterrorism Skills)

destinato a facilitare la cooperazione nella lotta al terrorismo fra i Paesi Stati membri;

- l’Azione comune 98/428/GAI, in data 29 giugno 1998, relativa all’istituzione di una Rete

giudiziaria europea (European Judicial Network − EJN), organo di contatto per lo scambio di

informazioni, composto da autorità centrali responsabili della cooperazione giudiziaria

internazionale, con “punti di contatto” presso tutti gli Stati membri, avente competenza anche in

materia di criminalità organizzata, corruzione, traffico di stupefacenti e terrorismo;

- l’Azione comune 98/733/GAI, del 21 dicembre 1998, relativa alla punibilità, negli Stati membri,

della partecipazione ad organizzazioni criminali. Tale Azione comune, nel sancire l’impegno dei 131 Europol provvede alla gestione ed alla condivisione di una banca dati analitica (Analysis Work File) contenente informazioni relative ai fenomeni di criminalità di sua competenza. 132 Strumento giuridico del vecchio Titolo VI del tratto sull’Unione europea, l’azione comune è stata utilizzata in ambito GAI dal 1993 al 1999. Con questo termine si designava un’azione condotta in modo coordinato dagli Stati membri, in nome o nel contesto dell’Unione. Le azioni comuni definiscono gli obiettivi, la portata e i mezzi di cui l’UE deve disporre, le condizioni di attuazione e, se necessario, la durata. Le Azioni Comuni vincolavano gli Stati membri. L’azione comune è stata soppressa dal trattato di Amsterdam e sostituita dalle "decisioni" e "decisioni quadro".

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Paesi membri di assicurare che le sanzioni nei confronti dei criminali siano “effettive, proporzionate

e dissuasive”, all’art. 2 par. 2 stabilisce il dovere di assistenza degli Stati membri in ordine alla

repressione dei reati terroristici.

In proposito, è, inoltre, rilevante, seppure indirettamente, l’attività del Consiglio Europeo di

Colonia del 3 e 4 giugno 1999, in occasione del quale è stata adottata la Dichiarazione sul

rafforzamento della politica comune sulla sicurezza e difesa (Allegato III alle conclusioni della

Presidenza). Fra le finalità perseguite compare, infatti, l’integrazione ed il rafforzamento delle

capacità della UE di prevenire i conflitti internazionali e di gestire le crisi attraverso lo sviluppo di

strumenti civili e militari; fra i primi compare il Comitato per gli Aspetti Civili della Gestione delle

Crisi (Committee for Civilian Aspects of Crisis Management − CIVCOM), organo consultivo

composto da funzionari provenienti da vari ministeri degli Stati membri.

Muovendo da tale iniziativa, attraverso i vertici di Nizza del dicembre 2000 e di Laeken del

dicembre 2001, sono stati istituiti nell’ambito del Segretariato del Consiglio nuovi organi, quali il

Comitato Politico e di Sicurezza (Political and Security Committee − PSC),133 il Comitato Militare

dell’Unione Europea (European Union Military Committe - EUMC)134 e lo Stato Maggiore Militare

dell’Unione Europea (European Union Military Staff − EUMS),135 nella quale è inclusa la branca di

intelligence dell’Unione (Intelligence Division).

3.3. Il Consiglio Europeo di Tampere, Eurojust, l’Accademia Europea di Polizia e la Police

Chiefs Task Force.

Allo scopo di “rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità organizzata”,

conformemente agli artt. 31 e 34, par. 2, lett. c, della versione consolidata del Trattato sull’Unione

Europea, relativi alla collaborazione tra i ministeri competenti e le autorità giudiziarie dei Paesi

membri, nel corso del Consiglio Europeo di Tampere, del 15 e 16 ottobre 1999,136 è stato deciso di

istituire un’unità europea per la collaborazione giudiziaria denominata Eurojust, composta da

pubblici ministeri, giudici e/o funzionari di polizia distaccati dagli Stati membri, con il compito di

“agevolare il buon coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell’azione penale, di

133 Il PSC, come previsto dalla Decisione del Consiglio del 22 gennaio 2001 (2001/78/PESC), è responsabile della pianificazione delle reazioni della UE alle crisi rilevanti per la PESC. Nell’esercitare il controllo politico e la direzione strategica delle operazioni di gestione delle crisi, il PSC coordina vari gruppi di lavoro nelle aree PESC e PESD. 134 L’ EUMC, composto dai Capi di Stato Maggiore della Difesa dei Paesi Membri rappresentati dai loro delegati militari (MILREP) e sottoposto al PSC, fornisce consulenza ed assistenza nelle questioni militari, inclusa la gestione delle crisi, in sostegno della PESC. Assume inoltre la direzione delle attività militari di competenza della UE. 135 Fra le funzioni dello EUMS, come previsto dalla Decisione del Consiglio del 22 gennaio 2001 (2001/80/PESC), risaltano quelle di early warning, situation assessment e strategic planning. L’EUMS è dunque la principale fonte di competenza militare nell’UE. 136 In occasione del Consiglio europeo informale di Portschach, si decise di dedicare il Consiglio europeo di Tampere al Terzo Pilastro dell’Unione europea, nel quadro delle innovazioni apportate in questo campo dal trattato di Amsterdam.

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prestare assistenza nelle indagini riguardanti i casi di criminalità organizzata, in particolare sulla

base delle analisi effettuate da Europol, nonché di cooperare strettamente con la Rete Giudiziaria

Europea”.137 Su tali presupposti poggia, dunque, la Decisione del Consiglio, 2002/187/GAI del 28

Febbraio 2002, con la quale, allo scopo di rafforzare la lotta contro le forme gravi di criminalità,

viene istituito Eurojust. Eurojust, operativo dal 6 marzo 2002,138 ha competenza per gli stessi reati

per i quali è competente Europol, inclusi fra questi quelli di terrorismo. La sua struttura si avvale di

Membri nazionali (soggetti all’ordinamento interno dello Stato di origine, la durata del loro

mandato è stabilita da Paese di appartenenza), di un Collegio (composto da tutti i Membri Nazionali

e responsabile del funzionamento di Eurojust) e di Corrispondenti Nazionali (ciascuno Stato

membro può prevedere uno o più Corrispondenti Nazionali i quali, operando nel Paese che ne ha

disposto l’attivazione, agevolano lo scambio di informazioni tra le autorità nazionali e il Membro

Nazionale distaccato presso l’Eurojust). Il Corrispondente Nazionale può costituire un “punto di

contatto” della Rete Giudiziaria Europea. Ai sensi dell’art. 11 della Decisione citata,

conformemente all’art. 36 par. 2 della versione consolidata del Trattato sull’Unione Europea, la

Commissione risulta pienamente associata ai lavori di Eurojust. Tuttavia, a causa della mancanza di

una definizione comune di reato terroristico, il ruolo di Eurojust ed Europol in tale settore è rimasto

per lungo tempo limitato, atteso che solo sei fra gli Stati membri prevedevano nelle rispettive

legislazioni il “crimine di terrorismo”.

A Tampere, il Consiglio europeo ha stabilito, inoltre, l’istituzione di “una accademia

europea di polizia per la formazione degli alti funzionari incaricati dell’applicazione della legge”.

Con la Decisione del Consiglio 2000/820/GAI, in data 22 dicembre 2000, è stata, pertanto,

istituita l’Accademia Europea di Polizia (CEPOL), le cui materie di studio comprendono le attività

anti-terrorismo. In occasione di tale Consiglio è stata, quindi, costituita una Task Force dei Capi

delle Polizie europee, la Police Chiefs Task Force, con lo scopo di incrementare, in collaborazione

con Europol, lo scambio di esperienze, metodiche ed informazioni in ordine alle tendenze della

criminalità organizzata transnazionale e predisporre adeguate misure operative di contrasto. La

prima riunione della Task Force è avvenuta nell’aprile 2000; a questa hanno fatto seguito

periodiche riunioni semestrali.139 Nel marzo 2004, nel corso della riunione di Dublino è stato deciso

di preporre la Police Chiefs Task Force al coordinamento operativo e preventivo delle misure

antiterrorismo in funzione di una attività di intelligence proattiva.

Il Consiglio europeo di Tampere ha, infine, posto le basi di una politica comune in materia

di asilo e di immigrazione, predisposto l’armonizzazione delle procedure di controllo alle frontiere,

137 Punto 46 delle Conclusioni del Consiglio Europeo. 138 Esisteva in precedenza un organismo provvisorio denominato Pro-Eurojust costituito nel marzo 2001 139 Una riunione per ogni presidenza della UE.

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migliorato la cooperazione fra le forze di polizia, imprimendo ulteriore imput ai lavori preparatori

finalizzati a realizzare una più ampia cooperazione giudiziaria fondata sul reciproco riconoscimento

delle decisioni giudiziarie e delle sentenze.140

Nel 1999, dopo l’entrata in vigore del Trattato di Amsterdam,141 è stata adottata dal

Consiglio la Raccomandazione del 9 dicembre 1999, relativa alla cooperazione nella lotta contro il

finanziamento dei gruppi terroristici. Nell’ambito della politica estera e di sicurezza comune

(PESC), in attuazione delle misure indicate nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle NU

1267/1999 in data 15 ottobre 1999, relativa all’interdizione dei voli effettuati da vettori di proprietà

dei Talebani afgani ovvero noleggiati o utilizzati da o per conto di questi ultimi, nonché al

congelamento dei fondi e delle altre risorse finanziarie posseduti o controllati direttamente o

indirettamente da tali soggetti, è stata adottata la Posizione comune 1999/727/PESC. Tale

documento è stato successivamente modificato dalla Posizione comune 2001/154/PESC, che ha

recepito le disposizioni contenute nella Ris.1333/2000 del Consiglio di Sicurezza delle NU,

relativa, da un lato, all’interdizione dei voli, all’embargo degli armamenti ed al ritiro dei consulenti

presenti nel territorio del sedicente Emirato Islamico dell’Afghanistan, e, dall’altro, al

congelamento immediato di fondi ed altri beni finanziari di proprietà di Osama Bin Laden o

controllati direttamente o indirettamente da questi o dalle entità ad esso collegate, compresa Al

Qaeda. Alcune modifiche marginali alle due Posizioni comuni sono state successivamente

introdotte dalla Posizione comune 2001/771/PESC.

3.4. Il Joint Situation Center.

Nei giorni 7-9 dicembre 2000, a Nizza, il Consiglio europeo ha disposto l’integrazione delle

capacità operative dell’Unione Europea Occidentale (Western European Union – WEU) nella UE.

A seguito di tale decisione, è stato istituito, presso il Segretariato Generale della UE, il Joint

Situation Center (SITCEN). Il SITCEN, costituisce un’importante strumento di raccordo tra

l’intelligence civile e militare della UE. Composto da rappresentanti degli Stati membri, il Centro

conduce il monitoraggio e l’analisi di potenziali situazioni di crisi in oltre 20 aree geopolitiche,142

fornendo rapporti di analisi strategica ai tre Pilastri della UE. Nel corso di una crisi il SITCEN

opera 24 ore su 24. Nell’aprile 2004, a seguito degli attentati di Madrid dell’11 marzo, é stata

140 In tal senso il c.d. Programma dell’Aia in Allegato I alle Conclusioni del Consiglio Europeo di Bruxelles del 4/5 novembre 2004. 141 Il trattato di Amsterdam è entrato in vigore il 1 maggio 1999. 142 V. Markus Ederer, “New and Emerging Challenges for Intelligence Analysis” in Global Futures Partnership of the Sherman Kent School for Intelligence Analysis, Link Campus University of Malta e Gino Germani Center for Comparative Studies of Modernization and Development (a cura di), in New Frontiers of Intelligence Analysis, Roma, 2005.

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prevista l’istituzione, all’interno del SITCEN, di una cellula di intelligence non operativa con lo

specifico compito di analizzare le minacce terroristiche.

La percezione della minaccia è, infatti, radicalmente mutata nei Paesi occidentali dopo gli

attacchi terroristici dell'11 settembre 2001.

La Dichiarazione congiunta dei Capi di Stato e di Governo dell’Unione europea, del

Presidente del Parlamento europeo, del Presidente della Commissione europea e dell’alto

Rappresentante per la Politica estera e di Sicurezza comune del 14 settembre 2001, recita infatti: “I

tragici eventi ci obbligano a prendere decisioni urgenti sui modi in cui l’Unione europea risponderà

alle seguenti sfide: essa deve impegnarsi con ogni mezzo a difendere la giustizia e la democrazia

mondiali, a promuovere un modello internazionale di sicurezza e prosperità per tutti i paesi e a

contribuire all'emergere di un'azione globale, ferma e prolungata contro il terrorismo. Continueremo

a sviluppare la politica estera e di sicurezza comune affinché l'Unione possa veramente parlare in

modo chiaro e univoco [...] L’Unione europea accelererà l'attuazione di una vera e propria area di

giustizia europea, la quale implicherà tra l'altro l'istituzione di un mandato di arresto ed estradizione

europeo, in conformità con le conclusioni del Consiglio di Tampere e il reciproco riconoscimento di

decisioni e verdetti giudiziari.”143

3.5. Il Consiglio Europeo di Bruxelles e il “Piano d’Azione 2001”.

Nell’ottica descritta, il Consiglio europeo, riunitosi a Bruxelles, nella sessione straordinaria

del 21 settembre 2001, per “analizzare la situazione internazionale in seguito agli attacchi

terroristici sferrati contro gli Stati Uniti e imprimere l'impulso necessario all’azione della UE, ha

dichiarato che “il terrorismo rappresenta una vera sfida per il mondo e per l’Europa” e che la lotta al

terrorismo costituirà “un obiettivo prioritario per l’Unione Europea”.Il Consiglio europeo ha quindi

formulato un Piano d’azione nel quale sono previste:

l’istituzione di una procedura di arresto semplificata destinata a sostituire il sistema di estradizione

vigente;

l’identificazione delle organizzazioni terroristiche e la predisposizione di un elenco comune delle

stesse, anche attraverso uno scambio sistematico di dati con Europol, all’interno del quale è stata

prevista l’istituzione di una squadra di specialisti nella lotta al terrorismo che dovrà collaborare con

i colleghi statunitensi;

la cooperazione tra servizi specializzati nella lotta al terrorismo;

l’adozione delle misure necessarie a contrastare il finanziamento delle attività terroristiche;

143 Si veda in proposito "11 settembre - La risposta dell'Europa", in Dossier Europa, numero speciale dicembre 2001, p. 41

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l’ adozione di misure idonee a rafforzare la sicurezza dei trasporti aerei attraverso la classificazione

delle armi, la formazione tecnica degli equipaggi, il controllo dei bagagli, la protezione

dell’accessibilità alla cabina di pilotaggio e la verifica delle misure di sicurezza applicate dagli Stati

membri.

Il “Piano d’azione” del 2001 costituisce la base degli gli strumenti successivamente adottati

dalla UE allo scopo di contrastare la minaccia terroristica.

Come afferma Gijs de Vries, il “Piano d’azione” abbraccia “[…] tutte le dimensioni della lotta

contro il terrorismo, comprese quelle della sicurezza esterna dell’Unione attraverso la politica estera

e di sicurezza comune (PESC) e quelle riconducibili al I Pilastro”.144

Al “Piano d’azione”, hanno fatto seguito delle roadmaps, aggiornate mensilmente, nelle

quali sono riportati i progressi attuativi effettuati.

In occasione del Consiglio europeo di Bruxelles è stata, inoltre, prevista la redazione di un rapporto

annuale, relativo allo stato della minaccia terroristica all’interno della UE da trasmettersi al

Parlamento Europeo, rapporto denominato Terrorism Situation and Trends (TE-SAT).

L’8 ottobre 2001, il Consiglio ha ribadito l’intenzione della UE e degli Stati membri di assumere

pienamente ed in modo coordinato il proprio ruolo nella coalizione contro il terrorismo guidata

dalle NU, nonché la propria determinazione a colpire le fonti di finanziamento del terrorismo in

stretta concertazione con gli USA.

Il successivo 16 ottobre, a Lussemburgo, a norma dell’art. 34 del Trattato sull’Unione

Europea, il Consiglio ha adottato un Protocollo aggiuntivo alla Convenzione relativa all’assistenza

giudiziaria in materia penale tra gli Stati membri della UE in materia di indagini bancarie (richiesta

di informazioni relative a conti bancari, ad operazioni bancarie e controllo di queste ultime)

applicabile anche ai reati commessi per finalità terroristiche. Il Protocollo non è, però, entrato in

vigore a causa della mancata ratifica da parte degli Stati membri.

Il 19 ottobre, il Consiglio europeo, riunitosi a Ghent, ha ribadito la propria volontà di

combattere il terrorismo, ovunque e in tutte le sue forme, di reiterare gli sforzi volti a rafforzare la

coalizione per la lotta al terrorismo costituita in seno alla Comunità Internazionale, nonché la

cooperazione tra servizi operativi, inclusi Europol ed Eurojust, tra servizi d’intelligence, tra servizi

di polizia e tra questi ultimi e le autorità giudiziarie degli Stati membri.

In tale sede è stato anche deciso di formulare un programma per contrastare la minaccia del

terrorismo biologico e chimico,145 prevedendo a tal fine l’istituzione di un centro di monitoraggio

del terrorismo biologico e chimico e la designazione di un coordinatore per la protezione civile.

144 Gijs de Vries, “Insieme, Contro il Terrorismo”, in Dossier Europa, Roma, n. 36, giugno 2005, p. 29. 145 Tale riunione del Consiglio europeo ha coinciso con i bio-attentati che si stavano verificando in Florida, Washington e New York.

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Il 14 e 15 dicembre del 2001, a Laeken, il Consiglio Europeo ha, quindi, gettato le basi per

la creazione dell’Agenzia Europea per la Protezione Civile. In occasione del Consiglio di Laeken é

stata enfatizzata l’adozione di misure atte a rafforzare la solidarietà e la cooperazione con gli USA,

la politica di contrasto del terrorismo da parte della UE (collaborazione di polizia e giudiziaria,

blocco dei finanziamenti al terrorismo e maggiore sicurezza aerea ed aeroportuale) nonché il ruolo

anti-terroristico della UE a livello internazionale (azione politica e diplomatica, convenzioni

internazionali e assistenza in aree extra-comunitarie).

3.6. Le Posizioni comuni 2001/930/PESC e 2001/930/PESC.

Il 27 dicembre 2001, il Consiglio, in ossequio a quanto prescritto dalla Ris. 1373/2001 del

Consiglio di Sicurezza delle NU, ha adottato, la Posizione comune 2001/930/PESC, relativa alla

lotta al terrorismo, in base alla quale gli Stati membri devono perseguire “la messa a disposizione o

la raccolta intenzionali, con qualsiasi mezzo, direttamente o indirettamente, di capitali da parte di

cittadini o nel territorio di ciascuno degli Stati membri dell’Unione Europea con il proposito o la

consapevolezza, di un loro utilizzo per compiere atti terroristici” (art. 1).

Nella stessa data, in linea con la Risoluzione 1373/2001, è stata adottata dal Consiglio la

Posizione comune 2001/931/PESC, relativa all’applicazione di misure specifiche per la lotta al

terrorismo. Il documento in questione, oltre che dettare una definizione “europea” di “atto

terroristico”146 e “gruppo terroristico”147 (definizione dalla quale trarrà spunto la Posizione quadro

2002/475/GAI), ordina agli Stati membri di provvedere al congelamento dei capitali e delle altre

risorse finanziarie o economiche di persone, gruppi ed entità coinvolti in atti terroristici ed

individuati in un elenco allegato alla Posizione stessa. L’elenco, che comprende persone fisiche, 146 Tali sono considerati gli atti intenzionali di seguito indicati, che, per la loro natura o contesto possono recare grave danno a un paese o un'organizzazione internazionale, definito reato in base al diritto nazionale, quando è commesso al fine di intimidire seriamente la popolazione costringere indebitamente i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche, costituzionali, economiche o sociali fondamentali di un paese o un'organizzazione internazionale: (a) attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso;(b)attentati gravi all'integrità fisica di una persona; (c)sequestro di persona e cattura di ostaggi; (d) distruzioni massicce di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale ovvero di luoghi pubblici o di proprietà private, che possono mettere a repentaglio vite umane o causare perdite economiche considerevoli; (e) sequestro di aeromobili o navi o di altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di trasporto di merci; (f) fabbricazione, detenzione, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi da fuoco, esplosivi, armi atomiche, biologiche o chimiche, nonché, per le armi biologiche e chimiche, ricerca e sviluppo; (g) diffusione di sostanze pericolose, cagionamento di incendi, inondazioni o esplosioni il cui effetto metta in pericolo vite umane; (h) manomissione o interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse naturali fondamentali il cui effetto metta in pericolo vite umane; (i) minaccia di mettere in atto uno dei comportamenti elencati alle lettere da a) a h); (j) direzione di un gruppo terroristico; (k) partecipazione alle attività di un gruppo terroristico, anche fornendo informazioni o mezzi materiali o finanziandone in qualsiasi forma le attività, nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose del gruppo. 147 Per "gruppo terroristico" s'intende l'associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere atti terroristici. Il termine "associazione strutturata" designa un'associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata.

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persone giuridiche ed organizzazioni, è compilato dal Consiglio dell’Unione in modo autonomo,

sulla base delle risultanze investigative svolte dalle competenti autorità giudiziarie o di polizia degli

Stati membri, senza operare alcun rinvio alle liste compilate dal Comitato per le Sanzioni del

Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

Nell’ elenco sono comprese organizzazioni europee e non, quali l'ETA, il Real IRA, il

GRAPO, la Jihad islamica palestinese, Hamas-Izz al-Din al-Qassem, l’ala terroristica di Hamas, ed

altre organizzazioni meno note, oltre ai nomi delle persone che ne fanno parte. L’inserimento

nell’elenco avviene a seguito della proposta di uno Stato membro, dopo una sua autonoma

valutazione. La proposta deve essere approvata all’unanimità e l’elenco non può essere modificato

senza il consenso di tutti gli Stati membri.

Al fine di evitare paralisi decisionali è stato istituito presso il Comitato dei rappresentanti

permanenti (COREPER) un organismo ad hoc, la Clearing House, con il compito di assumere, a

tale livello, decisioni in merito all’inserimento negli elenchi. Le decisioni della Clearing House

riguardano, tuttavia, il solo terrorismo internazionale, allo scopo di non interferire nelle decisioni

assunte dagli Stati membri in materia di terrorismo endogeno. Dall’inizio del 2004 la Clearing

House ha aperto le sue porte agli “acceding countries”, in un primo tempo in qualità di osservatori

ed in seguito, dal 1° maggio, quali membri effettivi.148

L’art. 1, par. 6, della Posizione comune 2001/931/PESC, prevede che il Consiglio elabori,

riesamini e modifichi l'elenco delle persone gruppi od entità terroristiche a questa allegato. L’elenco

è stato, pertanto, aggiornato dalle Posizioni comuni 2002/340/PESC, 2002/462/PESC,

2002/847/PESC, 2002/976/PESC, 2003/402/PESC, 2003/482/PESC, 2003/651/PESC,

2003/906/PESC, 2003/309/PESC, 2004/500/PESC, 2005/220/PESC, 2005/427/PESC,

2005/725/PESC, 2005/847/PESC, 2005/936/PESC, 2006/231/PESC ed in ultimo dalla Posizione

comune 2006/380/PESC in data 29 maggio 2006.

La Posizione comune 2001/931/PESC utilizza quale base giuridica, oltre all’art.15 del

Trattato sull’Unione Europea, l’art. 34, relativo agli strumenti del Terzo Pilastro, confermando del

carattere cross-pillar dell’opera di contrasto del terrorismo.

3.7. I Regolamenti (CE) n. 2580/2001 e n. 881/2002.

Sempre in data 27 dicembre 2001, sulla base degli artt. 60, 301 e 308 del Trattato che

istituisce la Comunità Europea, il Consiglio ha emanato il Regolamento (CE) 2580/2001, relativo a

misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il

148 Giuseppe Maresca, Le misure di prevenzione patrimoniale, in Terrorismo internazionale: modifiche al sistema penale e nuovi strumenti di prevenzione, a cura di Elisabetta Rosi e Silvia Scopelliti Supplemento a Diritto e Giustizia, fascicolo 16/2006.

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terrorismo,149 volto a dare attuazione, in ambito UE, alla Ris. 1373/2001, disponendo il

congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie o economiche di persone, gruppi ed entità

coinvolti in atti terroristici individuati, in forza dell’art. 2, par. 3, sulla base dell’art. 1, paragrafi 4,

5 e 6, della Posizione comune 2001/931/PESC. L’elenco di cui all’art. 2, par. 3, del Regolamento è

stato, aggiornato con le Decisioni 2001/927/CE del Consiglio, 2002/334/CE, 2002/460/CE,

2002/848/CE, 2002/974/CE, 2003/480/CE, 2003/646/CE, 2003/902/CE, 2004/306/CE,

2005/221/PESC, 2005/428/PESC, 2005/722/CE, 848/2005/CE, 2005/930/CE e, in ultimo, con la

Decisione 2006/379/CE del consiglio, in data 29 maggio 2006. Al Regolamento (CE) 2580/2001

del Consiglio è, inoltre, allegato l’elenco delle autorità dei Paesi membri competenti in materia;

elenco modificato ed aggiornato con il Regolamento (CE) n. 745/2003 della Commissione, in data

28 aprile 2003, con il Regolamento (CE)1207/2005 della Commissione, in data 27 luglio 2005 ed in

ultimo con il Regolamento (CE)1957/2005 della Commissione, in data 29 novembre 2005.

Dall’elenco previsto dall’art. 2, par. 3, del Regolamento sono escluse persone, gruppi ed entità

collegate a Osama Bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani. Tali soggetti compaiono, infatti,

nell’elenco allegato al Regolamento del Consiglio (CE) 881/2002, del 27 Maggio 2002, che impone

specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama Bin

Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talebani.

Il Regolamento (CE) 881/2002, emanato sulla base della Posizione comune

2002/402/PESC,150 allo scopo di dare attuazione alla Ris. 1390/2002, ingloba, abrogandolo, il

Regolamento (CE) 467/2001, destinato a dare esecuzione alle Risoluzioni 1267/1999 e 1333/2000

del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, relative al divieto di esportazione di talune merci e

servizi in Afghanistan, all’inasprimento dei divieti di volo dei vettori di proprietà o a disposizione

dei Talebani, nonché al congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie di questi ultimi. Al

contrario del Regolamento (CE) 2580/2001, il Regolamento (CE) 881/2002 rinvia alla lista dei

terroristi e delle organizzazioni terroristiche compilata dal Comitato Sanzioni del Consiglio di

Sicurezza delle NU, lista che può, tuttavia, essere emendata o integrata ad opera della Commissione

UE. Il regolamento ha subito ad oggi 69 modifiche l’ultima ad opera del Regolamento n. 1228/2006

della Commissione del 14 agosto 2006. Al contrario di quanto accade per l’elenco previsto dal

regolamento (CE) 2580/2001, ogni aggiornamento si aggiunge al precedente senza riportarne il

contenuto.

La base giuridica del Regolamento è costituita dagli artt. 60, 301 e 308 del Trattato che

istituisce la Comunità Europea.

149 I Regolamenti, strumento riconducibile al I Pilastro, hanno portata generale e sono obbligatori e direttamente applicabili in ciascuno degli Stati membri. 150 Che per ultima ha modificato abrogandola la posizione comune 96/746/PESC.

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Dal punto di vista strettamente giuridico occorre notare che l’utilizzo del Regolamento,

quale fonte normativa di applicazione diretta all’interno degli Stati membri, ha permesso di superare

le carenze insite nella posizione comune; strumento che non può prescindere, per il raggiungimento

dello scopo previsto, dall’attività degli Stati membri.

Attraverso il meccanismo offerto dagli artt. 60, 301 e 308 del Trattato sulla Comunità

Europea, la UE ha, infatti, potuto legiferare in un settore collocato al confine fra il II e il III Pilastro,

per i quali sono previsti unicamente strumenti di concertazione governativa e politica e non anche

atti normativi. In particolare, nel caso del Regolamento (CE) 2580/2001, poiché la posizione

comune 2001/931/PESC, non prevedeva l’interruzione delle relazioni economiche con un Paese

terzo, bensì l’adozione di misure restrittive contro determinate persone o entità, è stato necessario

ricorrere al combinato disposto degli artt. 308 (TCE), relativo ai poteri impliciti della Comunità,

301 (TCE)151, relativo all’interruzione o riduzione parziale o totale delle relazioni economiche con

uno o più Paesi terzi e 60 (TCE), relativo all’adozione, nei confronti di Paesi terzi, delle misure

necessarie per un’azione ai sensi dell’art. 301 (TCE), in questo caso, in tema di circolazione dei

capitali.152

La Corte di Cassazione italiana ha, tuttavia, ritenuto gli elenchi stilati dalla UE irrilevanti ai

fini della sussistenza del reato di cui all’art. 270-bis (Associazioni con finalità di terrorismo e di

eversione dell’ordine democratico), ritenendo che il giudizio in ordine alle caratteristiche e finalità

dell’organizzazione non possa essere affidato ad elenchi elaborati da governi di singoli stati o da

organismi internazionali ai fini delle misure di prevenzione.153

Con riferimento agli strumenti normativi utilizzati dalla Comunità europea per il

congelamento dei patrimoni di soggetti affiliati ad organizzazioni terroristiche si è espresso il

Parlamento europeo con la “Risoluzione comune sulla valutazione e le prospettive della strategia

dell'Unione europea in materia di terrorismo a un anno dall'11 settembre 2001”, in occasione della

sessione plenaria del 23 e 24 ottobre 2002. Recita il documento: “I parlamentari dubitano che sia

possibile un coordinamento efficace della politica europea antiterrorismo nell’ambito dell'attuale

struttura dell'Unione: “le nuove dimensioni di lotta al terrorismo richiedono importanti modifiche

dei trattati. A tal fine, i deputati esortano la Convenzione europea ad esaminare la possibilità per

evitare l’attuale divisione in tre pilastri della UE e a creare la base giuridica per consentire alla UE

151 L’art. 301 recita: “Quando una Posizione comune o un’azione comune adottata in virtù delle disposizioni del trattato sull'Unione europea relative alla politica estera e di sicurezza comune prevedano un’azione della Comunità per interrompere o ridurre parzialmente o totalmente le relazioni economiche con uno o più Paesi terzi, il Consiglio, deliberando a maggioranza qualificata su proposta della Commissione, adotta le misure urgenti necessarie”. 152 V. in proposito Sara Balice: “Lotta al terrorismo nell’Unione Europea”, www.studiperlapace.it. 153 Cass. pen., Sez. I, 19.09.2006, n. 30824

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di congelare i patrimoni ed eliminare i finanziamenti di persone, gruppi e organismi coinvolti in atti

terroristici”.

I mezzi descritti, hanno, inoltre, sollevato fondati dubbi in ordine al rispetto diritti delle

tutele previste dalla Carta dei diritti fondamentali adottata a Nizza nel dicembre 2000.

Per quanto attiene alle misure di carattere penale previste dalla Ris.1373/2001, queste sono state

recepite dalla UE mediante talune posizioni comuni e decisioni quadro.

In particolare, il Consiglio, in data 13 giugno 2002, a Lussemburgo, ha adottato, in

proposito, tre importanti decisioni quadro.

La prima, la Decisione quadro 2002/475/GAI, sulla lotta al terrorismo, della quale si è detto

nel Capitolo II, prevede che i reati terroristici, i reati riconducibili a un’organizzazione terroristica

ed i reati connessi ad attività terroristiche, l’istigazione, il concorso ed il tentativo, siano puniti da

ciascuno Stato membro con sanzioni penali “effettive, proporzionate e dissuasive”. La decisione

dispone, inoltre, che, ai fini dell’estradizione degli autori, i reati terroristici non possano essere

considerati reati politici, reati riconducibili ad un reato politico o reati ispirati da motivazioni

politiche.

3.8. La Decisione quadro 2002/584/GAI ed il Mandato d’Arresto Europeo.

La seconda, la Decisione quadro 2002/584/GAI, relativa al mandato d’arresto europeo e alle

procedure di consegna tra Stati membri, prevede, in luogo dell’estradizione, l’adozione di una

procedura di “consegna semplificata” delle persone colpite da provvedimenti restrittivi della libertà

emessi dalle Autorità Giudiziarie dei Paesi membri.

Al punto 35 delle conclusioni del Consiglio di Tampere, era stato, infatti, stabilito che il

riconoscimento reciproco delle decisioni delle autorità giudiziarie dovesse diventare il fondamento

della cooperazione giudiziaria tanto in materia civile quanto in materia penale. In tale occasione era

stato ritenuto opportuno abolire, tra gli Stati membri, la procedura formale di estradizione con

riferimento alle persone che si sottraggono ad una condanna definitiva, nonché di accelerare tali

procedure nei confronti delle persone indagate.

La nuova disciplina prevede un “meccanismo di consegna semplificato” che coinvolge

esclusivamente le autorità giudiziarie degli Stati membri. Il Mandato di Arresto Europeo (MAE)

viene, infatti, emesso dall’autorità giudiziaria di uno Stato membro con riferimento a fatti puniti con

“una pena privativa della libertà o con una misura di sicurezza privativa della libertà” di durata

massima non inferiore a 12 mesi, ovvero a fronte di condanne a pene o misure di sicurezza

privative della libertà di durata non inferiore a quattro mesi.

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Danno luogo al MAE trentadue ipotesi di reato, compresa fra queste quella di “terrorismo”

punite dallo Stato emittente con una pena o con una misura di sicurezza privativa della libertà, di

durata massima uguale o superiore a tre anni:

- partecipazione a un’organizzazione criminale;

- terrorismo;

- tratta di esseri umani;

- sfruttamento sessuale di bambini e pornografia infantile;

- traffico illecito di stupefacenti e sostanze psicotrope;

- traffico illecito di armi, munizioni ed esplosivi;

- corruzione;

- frode, compresa la fronde che lede gli interessi finanziari delle Comunità europee ai sensi della

Convenzione del 26 luglio 1995 relativa alla tutela degli interessi finanziari delle comunità europee.

- riciclaggio di proventi di reato;

- falsificazione di monete, compresa la contraffazione dell’euro;

- criminalità informatica;

- criminalità ambientale, compreso il traffico illecito di specie animali protette e il traffico illecito di

- essenze vegetali protette;

- favoreggiamento dell’ingresso e del soggiorno illegali;

- omicidio volontario e lesioni personali gravi;

- traffico illecito di organi e tessuti umani;

- rapimento, sequestro e presa di ostaggi;

- razzismo e xenofobia;

- furti organizzati o con uso di armi;

- traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d’arte;

- truffa;

- racket ed estorsioni;

- contraffazione e pirateria in materia di prodotti;

- falsificazione di atti amministrativi e traffico di documenti falsi; falsificazione di mezzi di

pagamento;

- traffico illecito di sostanze ormonali e altri fattori di crescita;

- traffico illecito di materie nucleari e radioattive;

- traffico di veicoli rubati;

- stupro;

- incendio volontario;

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- reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte Penale Internazionale.

- dirottamento di aeromobile o nave;

- sabotaggio.

Il Mandato di Arresto Europeo avrebbe dovuto essere adottato dai 25 Paesi membri entro il

1 gennaio 2004.

In Germania l’applicazione del MAE è stata demandata alla legge 21 aprile 2004. Il

provvedimento legislativo in questione non ha, tuttavia, superato il vaglio della Corte Costituzionale

che, nel procedimento a carico di Mamoun Darkazanli, con sentenza in data 18 luglio 1995, lo ha

dichiarato incostituzionale, in quanto incapace di offrire adeguata protezioni ai cittadini tedeschi da

eventuali arbitrii contenuti nella richiesta formulata da parte di altri Paesi dell’Unione.154

In Italia il MAE ha trovato attuazione nel primo semestre del 2005, in forza della legge 12

aprile 2005, n. 69.155

3.9. Le Decisioni quadro 2002/465/GAI e 2003/48/GAI: la cooperazione nelle indagini di polizia

giudiziaria.

La terza, Decisione quadro, la 2002/465/GAI, relativa alle squadre investigative comuni

(Joint Investigation Teams), prevede che le autorità competenti di due o più Stati membri possano

costituire, mediante uno specifico accordo, per uno scopo determinato e con durata limitata nel

tempo (prorogabile con l’accordo delle Parti), una squadra investigativa comune per svolgere

talune indagini nei rispettivi Stati. La composizione della squadra è indicata nell’accordo. I Paesi

che hanno istituito la squadra possono consentire la partecipazione alle indagini di rappresentati di

Stati terzi, quali ad es. gli USA, peraltro, espressamente citati nella Decisione quadro. La squadra

investigativa è composta da un direttore, che rappresenta le Autorità dello Stato membro nel cui

territorio la squadra interviene, da personale degli organi investigativi dello Stato in cui si

sviluppano le attività e da membri distaccati che provengono dai Paesi che hanno aderito alla

costituzione della squadra differenti da quello che esercita la sovranità sul territorio di intervento.

La prima squadra investigativa comune è stata formata da Francia e Spagna il 9 settembre 2004, a

seguito degli attentati di Madrid.

154 Mamoun Darkazanli, cittadino tedesco di origini siriane, era stato colpito da un Mandato di arresto europeo emesso dal giudice Baltasar Garzon. Secondo il magistrato spagnolo, Darkazanli sarebbe l’ufficiale di collegamento di Osama bin Laden in Germania. Arrestato nell’ottobre 2004 ad Amburgo, Darkazanli ha negato le accuse di terrorismo, ammettendo però di aver conosciuto di vista tre dei piloti suicidi dell’11 settembre, l’egiziano Mohammed Atta, il cittadino degli Emirati arabi uniti Marwan Al-Shehhi ed il libanese Ziad Jarrah, tutti componenti della cellula integralista islamica in passato attiva ad Amburgo. Dopo l’interrogatorio, il Tribunale di Amburgo (nord) e le autorità tedesche avevano autorizzato l’estradizione di Darkazanli in Spagna, ma, nel novembre 2004, a seguito del ricorso presentato da Darkazanli, la Corte costituzionale aveva sospeso la procedura di estradizione in attesa della decisione. 155 Il testo della legge 12 aprile 2005, n. 69 è riportato in apendice 5.

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Alle Decisioni citate ha fatto seguito la Decisione 2003/48/GAI del Consiglio, del 19

Dicembre 2002, relativa all’applicazione di misure specifiche di cooperazione di polizia e

giudiziaria per la lotta al terrorismo a norma dell’art. 4 della Posizione comune 2001/931/PESC.156

Sulla base di tale Decisione, ciascun Paese membro deve designare tra le proprie forze di

polizia un servizio specializzato che, nel rispetto della legislazione nazionale, abbia accesso e

riunisca tutte le informazioni relative alle indagini penali condotte dalle autorità di polizia nei

confronti di reati terroristici in cui risultano implicati persone, gruppi o entità compresi nell’elenco

di cui alla citata Posizione comune. Gli Stati membri devono adottare le misure necessarie ad

assicurare che le informazioni raccolte dal servizio specializzato - in particolare: i dati necessari

all’identificazione di una persona, di un gruppo o di una entità terroristica; gli atti di indagine e le

circostanze specifiche, i collegamenti con altri reati terroristici; le tecnologie di comunicazione

usate e la minaccia rappresentata dall’eventuale possesso di armi di distruzione di massa - siano

comunicate ad Europol tramite l’unità nazionale, per essere da questo elaborate a norma dell’art.10,

par. 6, della c.d. Convenzione Europol. Gli Stati devono, inoltre, designare un corrispondente

nazionale dell’Eurojust per le questioni relative al terrorismo, ovvero una o più autorità competente

ad assicurare che, nel rispetto della legislazione nazionale, tale persona od organismo abbia accesso

a tutte le informazioni relative a procedimenti penali avviati dall’ autorità giudiziaria per reati di

terrorismo nei quali siano coinvolti persone, gruppi o entità presenti nell'elenco. I Paesi membri

devono, infine, assicurare che Europol e Eurojust possano interfacciarsi nello scambio dei dati

ricevuti, adottare le misure necessarie per garantire che le richieste di assistenza giudiziaria e di

riconoscimento ed esecuzione delle decisioni giudiziarie presentate da uno Stato membro, con

riferimento ai reati in questione, siano trattate con urgenza e in modo prioritario, nonché garantire

che qualsiasi informazione, contenuta in documenti, fascicoli, dati, oggetti o altri mezzi di prova,

sequestrati o confiscati durante indagini o procedimenti penali collegati a reati terroristici, sia

accessibile e posta tempestivamente a disposizione delle autorità degli altri membri nei quali si

svolgono o potrebbero essere svolte ulteriori indagini.

3.10. L’ European Security Strategy.

Il 12 dicembre 2003, a Bruxelles, il Consiglio europeo ha formalizzato la Strategia Europea

in Materia di Sicurezza (European Security Strategy). Dopo un preambolo in cui si afferma che

156 Art. 4. “Gli Stati membri si prestano, nell'ambito della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale prevista dal titolo VI del trattato sull'Unione europea, la massima assistenza possibile ai fini della prevenzione e della lotta contro gli atti terroristici. A questo scopo, per quanto riguarda le indagini e le azioni penali condotte dalle loro autorità nei confronti di persone, gruppi ed entità di cui all'allegato, essi si avvalgono appieno, su richiesta, dei poteri di cui dispongono in virtù di atti dell'Unione europea e di altri accordi, intese e convenzioni internazionali vincolanti per gli Stati membri”.

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l’Europa è oggetto di minacce e sfide in materia di sicurezza e che nessun Paese è in grado di

affrontare da solo tali complessi problemi del nostro tempo, il Consiglio europeo ha ritenuto che la

UE debba essere pronta ad assumere parte della responsabilità relativa alla tutela della sicurezza

globale. Il documento identifica ed elenca, quindi, cinque tipologie di minaccia:

- il terrorismo;

- la proliferazione delle armi di distruzione di massa (con particolare riferimento al “più spaventoso

degli scenari” cioè l’ipotesi che aggregazioni terroristiche acquisiscano tali armi);

- i conflitti regionali (considerando anche la possibilità che essi conducano al terrorismo);

- i “failed states” (anche con riferimento alla minaccia terroristica collegata) e

- la criminalità organizzata.

Il contenuto di tale atto, che coincide sostanzialmente con l’impostazione degli USA in

materia, ha sensibilmente facilitato la collaborazione tra le due sponde dell’Oceano Atlantico.

Nel dicembre 2003 è stato, inoltre, raggiunto un accordo sulla costituzione di una cellula di

pianificazione e comando della UE presso lo SHAPE (Supreme Headquarters Allied Powers

Europe), il quartier generale europeo della NATO, e di una cellula autonoma permanente presso lo

Stato Maggiore della UE (EUMS) per le operazioni che non coinvolgono la NATO. E’ stato, quindi,

previsto l’impiego di un ufficiale di collegamento della NATO presso la UE.

Il Consiglio europeo, nella riunione di Bruxelles del 17 e 18 giugno 2004, ha stabilito che la

costituzione della cellula autonoma permanente debba avvenire entro il 1 gennaio 2006.

Sempre nel mese di dicembre, in conclusione del semestre di presidenza italiano, si è tenuta

a Roma la prima riunione dei presidenti dei Comitati Parlamentari di Controllo dei Servizi di

informazione e di sicurezza dei Paesi membri.

3.11. Il Consiglio europo di Bruxelles e la “Declaration on Combatting Terrorism”.

Dopo gli attentati di Madrid, il Consiglio europeo di Bruxelles, nei giorni 25 e 26 marzo

2004, ha adottato una Dichiarazione sulla lotta al terrorismo (Declaration on Combatting

Terrorism), finalizzata a sollecitare l’attuazione di una serie di misure, in parte già predisposte ed

in parte da predisporsi, quali:

- l’immediata adozione della “clausola di solidarietà”. Tale clausola comporta la protezione di uno

Stato appartenente alla UE da parte degli altri Stati membri con l’impiego di tutti gli strumenti

disponibili, incluso quello militare, anche in caso di attentato terroristico;157

157 L’adozione anticipata della Clausola di Solidarietà è rafforzata dalla Dichiarazione di Solidarietà contro il Terrorismo emessa in pari data. Detta Clausola è recepita dall’Art. 42 della Costituzione per l’Europa non ancora entrata in vigore.

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- l’adozione di strumenti conformi alla Strategia Europea in Materia di Sicurezza del 12 dicembre

2003;

- l’assistenza alle vittime dei reati di terrorismo;

- lo sviluppo della cooperazione esistente mediante l’introduzione di un registro europeo dei

passaporti rubati, la costituzione di una banca dati europea delle condanne e delle interdizioni

collegate al terrorismo, di un archivio europeo del materiale giudiziario nonché di standard comuni

per la conservazione dei dati relativi alle telecomunicazioni e alle comunicazioni via internet;

- il rafforzamento dei controlli alle frontiere e delle misure di sicurezza in materia di rilascio dei

documenti, incluse la previsione della costituzione di un’Agenzia Europea per il Controllo delle

Frontiere Esterne158 e l’adozione del rilevamento di dati biometrici, quali la scansione del volto e le

impronte digitali, ai fini del rilascio dei visti e dei permessi di soggiorno, da adottarsi, in seguito,

anche con riferimento al rilascio dei passaporti ai cittadini comunitari;

- le linee guida comuni in materia di lotta contro il terrorismo;

- la condivisione dell’intelligence (mandato all’Alto Rappresentante per la Politica Estera e di

Difesa di integrare nel Segretariato del Consiglio una capacità di intelligence riguardo a tutti gli

aspetti della minaccia terroristica, ossia l’istituzione di un’Unità di Analisi in cui confluiscano le

informazioni provenienti dalle forze di polizia e dai servizi di intelligence degli Stati membri);

- il contrasto al finanziamento del terrorismo (perfezionamento del meccanismo di congelamento

dei beni dei terroristi e individuazione dei veri beneficiari dei conti bancari);

- le misure a difesa dei trasporti pubblici e della popolazione;

- la cooperazione internazionale;

- la cooperazione con gli USA ed eventuali altri partners;

- l’istituzione della figura di Coordinatore Antiterrorismo (Counter-Terrorism

Coordinator),159nell’ambito del Segretariato del Consiglio con il compito di monitorare la corretta

applicazione, da parte dei Paesi membri, delle misure adottate dal Consiglio.160

La Dichiarazione è accompagnata da un allegato intitolato “Obiettivi strategici dell’Unione

europea per la lotta contro il terrorismo”, che costituisce, come si può evincere dal sottotitolo, un

nuovo “Piano d’azione” destinato ad aggiornare il “Piano d’azione 2001”, di cui in precedenza si è

detto. Gli obiettivi che il Consiglio intende perseguire mediante tale strumento sono

sostanzialmente sette:

158 Istituita con Regolamento del Consiglio n. 2007 del 26 ottobre 2004. 159 Il 25 marzo 2004 è stato nominato quale coordinatore antiterrorismo Gijs de Vries, già Vice Ministro dell’Interno dei Paesi Bassi. 160 A seguito della “Dichiarazione sulla Lotta al Terrorismo”, il Consiglio di Amministrazione (Management Board) dell’EUROPOL ha presentato un aggiornamento in materia di implementazione delle misure già adottate, destinato a rafforzare il proprio ruolo in tale settore.

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- aumentare il consenso internazionale e potenziare gli sforzi internazionali per combattere il

terrorismo;

- limitare l’accesso dei terroristi alle risorse finanziarie e alle altre risorse economiche;

- ottimizzare la capacità degli organi della UE e degli Stati membri nella prevenzione degli attentati

terroristici e nell’individuazione, indagine e perseguimento dei terroristi;

proteggere la sicurezza dei trasporti internazionali ed assicurare efficaci sistemi di controllo delle

frontiere;

- potenziare le capacità, della UE e degli Stati membri, di affrontare le conseguenze di un attentato

terroristico;

- contrastare i fattori che favoriscono il sostegno al terrorismo ed il reclutamento di terroristi;

individuare, nel quadro delle relazioni esterne della UE, le azioni deporre in essere nei confronti dei

Paesi ai quali occorre, in modo prioritario, rafforzare le proprie capacità antiterrorismo o l’impegno

a combattere il terrorismo.

Nella Dichiarazione citata il Consiglio europeo invita il Consiglio a portare a termine

l’adozione del “Piano d’azione rinnovato”, approvato dal Consiglio europeo di Bruxelles del 17 e

18 giugno 2004. Dal dicembre 2004, la necessità di implementare gli obiettivi strategici deve

essere valutata almeno due volte all’anno.

3.12. La Gendarmeria europea e il “Programma dell’Aia”.

Allo scopo di contribuire allo sviluppo della PESD e dello spazio di libertà, sicurezza e

giustizia, il 17 settembre 2004 è stata annunciata a Bruxelles la decisione di istituire una Forza di

Gendarmeria Europea (EUROGENFOR – EGF) avente le finalità di fornire all’Europa la piena

capacità di svolgere tutte le funzioni di polizia nelle operazioni di gestione delle crisi, di offrire una

struttura operativa multinazionale agli Stati che intendono partecipare alle operazioni della UE

nonché di partecipare alle iniziative delle organizzazioni internazionali nella gestione delle crisi.

Alle operazioni della EGF possono partecipare Paesi terzi muniti di adeguate capacità di polizia. Il

17 giugno 2005 la EGF, che ha il proprio quartier generale in Italia, a Vicenza, ed a cui partecipano

Francia, Italia, Olanda. Portogallo e Spagna, ha compiuto in Francia la sua prima esercitazione di

tre giorni, alla quale ha fatto seguito dal 20 al 30 giugno, un’ulteriore esercitazione per

l’addestramento di uno stato maggiore di polizia proiettabile.

Il occasione del Consiglio europeo di Bruxelles, del 4 e 5 novembre 2004, è stato adottato il

c.d. “Programma dell’Aia” relativo al rafforzamento della libertà, della sicurezza e della giustizia

nell’Unione europea. Secondo tale Programma, la prevenzione e la repressione del terrorismo

assumeranno nel futuro un ruolo centrale. Le attività degli Stati membri non dovranno pertanto

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limitarsi al mantenimento della sicurezza interna ma concentrarsi sulla sicurezza della UE nel suo

complesso.

Il Programma prevede che gli Stati parte della UE si avvalgano delle competenze dei servizi

di intelligence nazionale anche per proteggere la sicurezza interna degli altri membri, che portino

immediatamente all’attenzione delle autorità degli altri Paesi della UE le informazioni di cui

dispongono con riferimento ad eventuali minacce alla loro sicurezza e, infine, che la sorveglianza

esercitata dai servizi di sicurezza nei confronti di persone o merci coinvolti in possibili azioni

terroristiche non subisca interruzioni per effetto dell’attraversamento delle frontiere. Il documento

in questione sottolinea, inoltre, taluni aspetti del terrorismo ritenuti degni di particolare attenzione,

quali il reclutamento, il finanziamento, la prevenzione, l’analisi dei rischi, la protezione delle

infrastrutture vulnerabili e la gestione dei danni derivanti dai atti terroristici (consequence

management).161

Il Consiglio europeo di Bruxelles del 16 e 17 dicembre 2004 ha confermato, l’impegno

della UE nella lotta al terrorismo attraverso la realizzazione di una politica globale ed integrata in

materia giudiziaria, di polizia, di intelligence e di protezione civile.

A tal fine, con la Decisione 2005/211/GAI del Consiglio, in data 24 febbraio 2005, relativa

all’introduzione di alcune nuove funzioni del sistema d’informazione Schengen (SIS), anche nel

quadro della lotta contro il terrorismo, è stato autorizzato l’accesso di Europol e di Eurojust al SIS,

un data base relativo alle persone segnalate, agli oggetti ricercati (inclusi i veicoli), ai visti e agli

altri aspetti attinenti al controllo delle frontiere.

Nella riunione dell’8 marzo 2005, la Commissione europea ha sollecitato gli Stati membri a

migliorare la protezione delle infrastrutture ed a creare un’unità di crisi da istituirsi presso la

Commissione stessa.

Il 18 marzo dello stesso anno, durante una riunione informale, i Ministri della Difesa dei

Paesi membri della UE hanno stabilito che la PESD dovrà svolgere un ruolo di supporto alla lotta

contro il terrorismo. In tale occasione è stata anche prevista l’istituzione di una cellula di

pianificazione delle operazioni civili e militari.162

Il Consiglio europeo di Bruxelles del 16 e 17 giugno 2005 ha, quindi, delineato gli aspetti

dell’attività di contrasto del terrorismo a cui dare precedenza nel secondo semestre dell’anno.

Fra questi compaiono: il rafforzamento delle cooperazione giudiziaria e di polizia, il miglioramento

dello scambio d’informazioni strategiche e operative, la costante applicazione di strategie

finalizzate a contrastare il finanziamento del terrorismo, il rafforzamento della protezione civile ed

161 Il “Programma”, nel suo insieme, riguarda il periodo 2005-2010. 162 La “cellula” ha lo scopo di assicurare la complementarità dei mezzi civili e militari nella gestione delle crisi e delle relative operazioni.

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il perfezionamento del programma finalizzato ad assistere i Paesi terzi nel rafforzamento dei

meccanismi anti-terrorismo.

Il Consiglio europeo ha, inoltre, individuato gli ulteriori sforzi da compiere per lo sviluppo di una

cellula di pianificazione civile/militare presso lo EUMS.163

Sulla base della proposta di creare un organismo di gestione delle frontiere per migliorare la

cooperazione fra Paesi membri e fra gli Stati membri ed i Paesi terzi, formulata in occasione del

Consiglio Europeo di Bruxelles del 16 e 17 ottobre 2003, nel giugno 2005 è stata formalmente

inaugurata l’Agenzia Europea per il Controllo delle Frontiere Esterne (External Border Agency).

Il 7 giugno 2005 il Parlamento europeo è intervenuto con due raccomandazioni dirette al

Consiglio ed al Consiglio europeo, relative alla prevenzione, preparazione e risposta agli attentati

terroristici (2005/2043- INI) ed alla lotta contro il finanziamento del terrorismo (2005/2065 -INI).

A seguito degli attentati di Londra del 7 luglio 2005, il Consiglio, il 13 luglio, ha adottato

una Dichiarazione volta a condannare gli attentati e a riaffermare l’impegno della UE nella lotta al

terrorismo. La Dichiarazione sottolinea l’importanza di impedire il proselitismo ed il reclutamento,

la necessità di ridurre la vulnerabilità agli attacchi mediante la protezione dei cittadini e delle

infrastrutture, nonché l’esigenza di migliorare le capacità di gestione degli eventi terroristici

riducendo al minimo le conseguenze degli attentati.

Un’analisi concreta dell’attuale minaccia terroristica nella UE è offerta dalla Comunicazione

della Commissione indirizzata al Parlamento Europeo ed al Consiglio, datata 21 settembre 2005,

che, forte dell’esperienza maturata a seguito degli attentati di Madrid e di Londra, ha esaminato il

fenomeno tanto sotto il profilo delle dinamiche, quanto dal punto di vista delle matrici politiche e

politico-confessionali. Il documento in questione si sofferma, in particolare, sul radicalismo

violento, evidenziando alcuni settori di intervento ritenuti rilevanti soprattutto ai fini della

prevenzione del reclutamento terroristico, quali i media, il web, l’istruzione, l’integrazione ed il

dialogo interculturale e interreligioso.164

164 Commission of the European Communities, Communication from the Commission to the European Parliament and the Council concerning Terrorist Recruitment: Addressing the Factors Contributing to Violent Radicalization, Bruxelles, 21-9-2005, COM (2005) 313 final.

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CAPITOLO IV

LA LEGISLAZIONE ANTITERRORISMO NEGLI STATI UNITI D’AMERICA

Premessa.

L’attività di contrasto del terrorismo, negli Stati Uniti, i sviluppa attraverso le disposizioni

dettate dallo US Penal Criminal Code, dalle Leggi Federali, dagli atti dell’Esecutivo e dal Common

Law, fra i quali emergono per importanza quelli successivi agli attentati terroristi dell’11 settembre.

Questi ultimi, in particolare, volti ad istituire un diritto sostanziale ed una giurisdizione

speciale nei confronti dei soggetti sospettati di appartenere o essere complici di Al Qaeda, sono stati

portati più volte all’attenzione della Suprema Corte che con una sentenza del 2006, ha finito col

dichiararne l’incostituzionalità.

Ai fini di una sistematica trattazione della materia occorre, dunque, distinguere la normativa

oggetto del presente capitolo in due gruppi principali, prendendo quale riferimento la predetta, ciò

in ragione dei radicali cambiamenti apportati dalla situazione emergenziale venuta a crearsi nel

Paese a causa della grave offesa arrecata alla sua integrità territoriale.

I. L’IMPIANTO NORMATIVO ANTERIORE ALL’11 SETTEMBRE 2001.

1. Le leggi federali e gli atti dell’Esecutivo anteriori al 1993.

A partire dagli Anni ’70, la normativa statunitense ha subito, ad opera del Congresso e della

Presidenza, una serie di modifiche volte ad implementare i metodi di contrasto del fenomeno

terroristico.

Nel 1978, viene promulgato il Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA), una sorta di

guida “giuridica” destinata a disciplinare le attività di intelligence e le indagini condotte nei

confronti di persone straniere sospettate di atti di spionaggio o di attività terroristiche, sulla base del

quale è stato consentito agli investigatori, sia l’accesso alle banche dati relative ad attività

commerciali e finanziarie, sia l’acquisizione delle “tracce” degli spostamenti dei “sospetti”.

Nell’aprile 1982, l’Amministrazione Reagan emana la National Security Decision Directive

(NSSD) “Managing Terrorist Incidents”, con la quale viene stabilita la competenza del

Dipartimento di Stato in merito al “terrorismo internazionale”, del Federal Bureau of Investigations

(FBI) per il “terrorismo interno” e della Federal Aviation Administration (FAA), con riferimento

agli atti terroristici compiuti contro aeromobili e/o strutture aeroportuali. Con il medesimo

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provvedimento viene, inoltre, istituito il Terrorist Incident Working Group, al quale é attribuito

l’incarico di coordinare l’intera azione antiterrorismo federale. Lo stesso anno con

l’Interdipartimental Group on Terrorism viene individuato il responsabile della politica

antiterrorismo dell’Esecutivo.

Nel 1984, l’Act to Combat International Terrorism (Public Law 98-533), detta una serie di

disposizioni finalizzate allo sviluppo della cooperazione internazionale in materia di antiterrorismo,

prevedendo inoltre degli incentivi per coloro che forniscono informazioni utili a combattere il

fenomeno terroristico a livello internazionale.

Nel 1985, le National Security Decision Directives (NSSD) n.179 e n.180 determinano i

programmi antiterrorismo della Antiterrorism Task Force e della Federal Civil Aviation; direttive

seguite, nel 1986, dalle NSSDs n.205 e n.207 con le quali, da un lato viene stabilito un nuovo e più

articolato Programma Nazionale di contrasto, e dall’altro individuate una serie di azioni da porre in

essere nei confronti dei Paesi sospettati di fiancheggiare e sovvenzionare il terrorismo

internazionale.

Lo stesso anno, con l’ International Security and Development Cooperation Act (Public Law

99-83) viene emendato il Federal Aviation Act del 1958, consentendo al Segretario per i trasporti,

su richiesta delle competenti autorità di Paesi interessati, di rendere effettive ed eventualmente

implementare le misure di sicurezza previste negli aeroporti stranieri, consentendogli inoltre di

fornire, a questi ultimi, l’armamento necessario al miglioramento della lotta contro il terrorismo

internazionale.

Nel 1986, con l’ Omnibus Diplomatic Security and Antiterrorism Act (Public Law 99-399),

viene istituito, all’interno del Dipartimento di Stato, il Beureau of Diplomatic Security, nonché

conferito al Segretario di Stato il mandato di adottare tutte le azioni dallo stesso ritenute necessarie

per rendere più sicuri gli Stati Uniti d’America e le loro Rappresentanze diplomatiche.

Nel 1989, con l’Anti Terrorism and Arms Export Amendaments Act (Public Law 101-222),

viene emendato l’Arms Export and Control Act, con l’introduzione del divieto di operare

transazioni commerciali in materia di armamenti con i Paesi stranieri che fiancheggiano, agevolano

o finanziano il terrorismo. Le legge introduce, inoltre significative modifiche al Foreign Assistance

Act del 1961, vietando qualsiasi tipo di assistenza, anche indiretta, a tali Paesi.

Nel medesimo anno il Biological Weapons Antiterrorism Act (Public Law 101-298)

autorizza le Autorità Federali a perseguire tutti coloro che siano trovati in possesso di agenti

biologici o tossine, da utilizzarsi come armi per compiere attentati terroristici contro gli Stati Uniti,

come pure chiunque avesse in qualsiasi modo aiutato, fiancheggiato o protetto tali soggetti.

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Nel 1990, l’Aviation Security Improvement Act (Public Law 10-604), conferisce ai Direttori

delle Agenzie Federali di Intelligence e di Security il mandato di sviluppare, di concerto con il

Segretario per i Trasporti, ogni possibile piano di sicurezza in materia di antiterrorismo, chiedendo,

al contempo, alla Federal Aviation Agency di sviluppare una propria strategia di contrasto del

terrorismo nell’ambito dell’aviazione civile.

Nel gennaio 1995, con l’ Executive Presidential Order 12947, viene proibita ogni

transazione economica con organizzazioni o Paesi sospettati di fiancheggiare le organizzazioni

terroristiche responsabili di attentare al processo di pace per il Medio Oriente. Nello stesso anno

viene, inoltre, emanata la Presential Decision Directive nr. 39, con la quale vengono rideterminate

le competenze delle Agenzie Federali nell’attività di contrasto del terrorismo.

Sulla base di tale impianto allo U.S. General Attorney viene assegnato il compito di

contrastare le attività terroristiche dirette contro obiettivi federali o altre strutture “sensibili” situate

all’interno del Paese. Il Federal Bureau of Investigation assume contemporaneamente l’incarico di

ridurre la vulnerabilità degli obiettivi mediante il controllo e l’implementazione dei piani e delle

procedure antiterrorismo. Al Department of Defense viene affidato il compito di garantire la

sicurezza del personale militare degli Stati Uniti, ad esclusione di quello in servizio presso le

Rappresentanze Diplomatiche, e delle installazioni militari, mentre al Department of Transports è

assegnata la gestione della sicurezza negli aeroporti civili all’interno del Paese, delle istallazioni

portuali nonché delle navi e degli aeromobili di bandiera e dei relativi equipaggi.

In particolare, lo U.S. Secretary of State e lo U.S. General Attorney vengono incaricati, di

porre in essere, nell’ambito delle proprie competenze, ogni azione idonea ad impedire il soggiorno

negli Stati Uniti di persone di nazionalità straniera accusate in altri paesi di atti di terrorismo o

sospettate di tali crimini, nonché di provvedere alla loro espulsione dagli Stati Uniti.

La Central Intelligence Agency assume il compito di porre in essere ogni azione

informativa e/o investigativa, finalizzata a ridurre la vulnerabilità degli USA dinanzi alla minaccia

terroristica, interna ed internazionale, mediante l’adozione di un programma di cooperazione tra le

varie agenzie di intelligence, anche straniere. L’ “Agenzia” viene inoltre autorizzata a svolgere di

attività informative, di analisi, di counter-intelligence ed azioni “sotto copertura”, nel rispetto delle

disposizioni impartite dal National Security Act del 1947 e dell’Executive Presidential Order nr.

12333.

2. L’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act.

A seguito degli attentati al World Trade Center di New York del 1993 e al Federal Building

di Oklahoma City del 1995, l’Amministrazione Clinton, emana l’Antiterrorism and Effective Death

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Penalty Act (AEDPA), entrato il vigore il 24 aprile 1996. L’AEDPTA è costituito da una raccolta

di leggi in materia di antiterrorismo, per alcuni versi innovative rispetto alla legislazione fino ad

allora in vigore. Obiettivo di tale provvedimento è “combattere il terrorismo, dare giustizia alle

vittime ed effettività alla previsione della pena capitale per i colpevoli di atti terroristici”.

All’epoca della sua entrata in vigore il provvedimento fu considerato dall’opinione pubblica

un vero e proprio attentato al diritto di espressione, di assemblea e di petizione previsto dal I

Emendamento della Costituzione Federale, a causa dello sviluppo esponenziale del concetto di

“colpevolezza per associazione o per adesione”, la cosiddetta “guilty by association”, peraltro,

molto spesso utilizzata nelle norme federali e dall’FBI allo scopo di legittimare le attività

investigative. La normativa definita, inoltre, “un duro colpo” per il diritto di “Habeas Corpus”,

limita il potere delle Corti Federali di “porre rimedio” ad eventuali errori, riconducibili a decisioni

viziate da illogicità e/o falsa applicazione delle norme, avvenuti nel corso dei giudizi davanti alle

Corti Statali, prevede restrizioni in ordine alla possibilità di presentare nuove prove e richiedere la

riapertura dei processi celebrati avanti le Corti d’Appello Federali, divenute competenti in materia

di “riesame”, limitando le ipotesi consentite alle sole sentenze di condanna alla pena capitale ed a

pochi altri specifici casi, quanto sopra a scapito della giurisdizione della Corte Suprema in

precedenza competente in materia.

L’Antiterrorism and Effective Death Penalty Act ha, inoltre, rimosso le barriere che il I

Emendamento della Costituzione poneva allo FBI e alle altre Agenzie Federali investigative e di

intelligence, in materia di prevenzione, eliminando, al contempo, il limiti applicativi del Foreign

Intelligence Surveillance Act del 1978. Sulla base di tale normativa, le Corti Federali hanno, infatti,

la possibilità di dare diretta attuazione alle richieste del Dipartimento di Giustizia circa

l’applicazione di misure di “sorveglianza” nei confronti delle persone sospettate di terrorismo o di

appartenere ad associazioni implicate in attività terroristiche o complici di queste, autorizzando,

intercettazioni telefoniche ed ambientali, nonché l’acquisizione dei c.d. “pen registers”, i registri

cartacei contenenti dati personali quali ad esempi i tabulati del traffico telefonico.

L’AEDPA, ha, inoltre, concesso all’Ufficio Immigrazione e Naturalizzazione degli Stati

Uniti, il potere di rimpatriare i cittadini stranieri per non aver rispettato le norme in materia di

immigrazione, per aver presentato visti di ingresso e permanenza falsi o scaduti ovvero per il fatto

di essere sospettati di appartenere ad organizzazioni terroristiche.165 Tali rimpatri sono stati,

165 Le principali organizzazioni terroristiche indicate nel Documento sono: Al Qaida/Islamic Army , Abu Sayyaf Group ,Armed Islamic Group (GIA) ,Harakat ul-Mujahidin (HUM) ,Al-Jihad (Egyptian Islamic Jihad) ,Islamic Movement of Uzbekistan (IMU) , Asbat al-Ansar , Salafist Group for Call and Combat (GSPC) ,Libyan Islamic Fighting Group , Al-Itihaad al-Islamiya (AIAI) , Islamic Army of Aden, Wafa Humanitarian Organization , Al Rashid Trust , Mamoun Darkazanli Import-Export Company .I principali terroristi indicati nel Documento sono: Usama bin Laden , Muhammad

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tuttavia, spesso disposti sulla base di prove meramente indiziarie, rimaste in gran parte segretate,

poichè che la normativa, per motivi di sicurezza nazionale, consente di non renderle note.

Il 20 agosto 1998, l’Executive Order nr. 13099, ha integrato l’Executive Order n. 12947,

inserendovi l’elenco dei terroristi affiliati all’organizzazioni facenti capo ad Osama Bin Laden, a

suo tempo, peraltro, già escluso dalla lista dei soggetti che potevano ottenere lecitamente

finanziamenti da parte degli Stati Uniti, essendo considerato responsabile degli attentati terroristici

condotti contro le rappresentanze diplomatiche statunitensi in Kenia e in Tanzania nel 1998, nonché

capo dell’organizzazione terroristica internazionale nota come Al Qaeda.

II. LA LEGISLAZIONE SUCCESSIVA ALL’11 SETTEMBRE 2001

1. Lo US Patriot Act.

Il 14 settembre 2001, il Presidente degli Stati Uniti, ha sottoscritto il National Emergency

Act dichiarando retroattivamente lo stato di emergenza nazionale.

Il 12 ottobre 2001, dopo il provvedimento presidenziale con il quale veniva istituito l’ Office

of Homeland Security,166 trasformato nel 2002 nello US Department of Homeland Security, il

Congresso degli Stati Uniti ha promulgato lo USA Act, acronimo di Uniting and Strengthening

America Act of 2001, destinato ad ampliare il contenuto del Foreign Intelligence Surveillance Act

(FISA) del 1978, autorizzando le agenzie federali investigative e di sicurezza, ed in particolare la

CIA, l’NSA e l’FBI, ad operare, tanto all’estero quanto sul territorio degli Stati Uniti, nei confronti

degli autori di atti terroristici o sospetti tali, anche nel caso in cui questi non siano agenti di un di

una Potenza straniera. A tal fine il provvedimento definisce “atti terroristici” tutti gli “atti che

appaiono tesi ad influenzare la politica di un governo con l'intimidazione o la coercizione”.

Il successivo 17 ottobre, il Financial Antiterrorism Act ha ampliato i poteri di azione del

Governo contro coloro che sostengono economicamente e finanziariamente il terrorismo e le

organizzazioni terroristiche.

Il contenuto di entrambi provvedimenti è confluito nello United and Strengthening America

by Providing Appropriate Tools Requeired to Intercept and Obstruct Terrorism Act (Public Law

Atif (aka, Subhi Abu Sitta, Abu Hafs Al Masri) , Sayf al-Adl , Shaykh Sai'id (aka, Mustafa Muhammad Ahmad) , Abu Hafs the Mauritanian (aka, Mahfouz Ould al-Walid, Khalid Al- Shanqiti) , Ibn Al-Shaykh al-Libi , Abu Zubaydah (aka, Zayn al-Abidin Muhammad Husayn, Tariq) , Abd al-Hadi al-Iraqi (aka, Abu Abdallah) , Ayman al-Zawahiri , Thirwat Salah Shihata, Tariq Anwar al-Sayyid Ahmad (aka, Fathi, Amr al-Fatih) , Muhammad Salah (aka, Nasr Fahmi Nasr Hasanayn), Makhtab Al-Khidamat/Al Kifah.

166 Presidetial Executive Order 8 ottobre 2001.

92

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107-56), del 26 ottobre 2001, meglio conosciuto come USA Patriot Act 2001 (USAPA), destinato a

espandere le competenze delle Agenzie investigative e di sicurezza in materia di controllo

preventivo, rendendo al contempo l’attività di queste meno soggetta al controllo dell’autorità

giudiziaria.

Il Patriot Act 2001, ha, inoltre, modificato la definizione di “terrorismo interno” contenuta al

paragrafo 2331 del Capitolo 113B del Titolo 18, Parte I dello US Criminal Penal Code,

riconducendo a tale tipologia tutti gli atti dannosi per la vita umana commessi in violazione della

legge penale degli Stati Uniti d’America, o di un singolo Stato, posti in essere, sul territorio degli

Stati Uniti, con l’obiettivo di costringere, intimidire ovvero obbligare la popolazione civile a fare o

tollerare qualcosa, o allo scopo di influenzare la politica di un Governo con l’intimidazione e la

coercizione, o a determinare la condotta di un Governo attraverso distruzioni di massa, assassini,

omicidi, o rapimenti.167

Tecnicamente, la nuova legge si compone di 10 Titoli, suddivisi in più sezioni:

- il Titolo 1, relativo all’ “implementazione della sicurezza interna contro il terrorismo”;

- il Titolo 2, relativo all’ “implementazione delle procedure di sorveglianza”;

- il Titolo 3, relativo al “riciclaggio e al lavaggio internazionale del denaro sporco”;

- il Titolo 4, relativo alla “protezione dei confini degli Stati Uniti d’America”;

- il Titolo 5, relativo alla “rimozione degli ostacoli nell’azione investigativa di contrasto del

terrorismo”;

- il Titolo 6, “relativo a specifiche previsioni di aiuto alle vittime del terrorismo, agli agenti delle

Forze di Polizia e alle loro famiglie”;

- il Titolo 7, relativo allo sviluppo dello scambio di informazioni (information sharing) per la

protezione di infrastrutture e degli obiettivi “sensibili”;

- il Titolo 8, relativo al rafforzamento della Legge Federale Penale Criminale contro il terrorismo;

- il Titolo 9, relativo al rafforzamento dell’“intelligence” e, infine,

- il Titolo 10, relativo alle “ulteriori varie questioni” (mischellaneous).

A grandi linee, la nuova legge ha:

- introdotto nella legislazione federale una definizione di terrorismo nazionale168 alla quale

ricondurre tutti gli atti pericolosi per la vita umana commessi in violazione della legge penale

degli Stati Uniti d’America o di qualunque Stato, posti in essere, sul territorio degli Stati Uniti, al

fine di intimidire o costringere la popolazione civile a fare o tollerare qualcosa, influire sulla

politica del Governo mediante l’intimidazione o la coercizione, o a incidere sull’attività di

167 Patriot Act 2001, Titolo VIII, Sez. 802. 168 US Penal Criminal Code, Titolo 18, Parte, I, Capitolo 113B, par. 2332b.

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quest’ultimo attraverso distruzioni di massa, omicidi, o sequestri di persona.169 Quanto sopra allo

scopo di consentire ai giudici distrettuali di emettere mandati validi in tutto il territorio nazionale;

- introdotto nuove misure finanziarie di controllo destinate alla lotta contro il riciclaggio del denaro

sporco e il finanziamento del terrorismo;

- previsto l’assegnazione di fondi riservati al Dipartimento della Giustizia e all’FBI allo scopo di

pagare informatori o sostenere le spese di detenzione all’estero di persone sospettate di

terrorismo;

- previsto lo stanziamento di fondi per l’assistenza alle vittime del terrorismo;

- previsto l’istituzione nei servizi segreti di una unità operativa specializzata in terrorismo

informatico con il compito di prevenire gli attacchi alle “infrastrutture digitali critiche” ed

individuarne gli autori;

- ampliato i poteri di intercettazione delle comunicazioni e di flussi elettronici e digitali senza la

preventiva autorizzazione di un Giudice;

- esteso la possibilità di emanare ordini di esibizione relativi ai dati elettronici memorizzati (e-

mails, elenchi di sottoscrittori, transazioni) ai dati a questi connessi (numeri di carte di credito,

numeri di conti correnti bancari, indiritti IP e IP remoti);

- esteso la possibilità di effettuare perquisizioni e sequestri con avvisi “ritardati” in deroga allo

“knock annunce” (la regola del preavviso) o a seguito di “mandati ritardati o segreti” (sneak and

peek);

- introdotto l’obbligo per gli istituti universitari e di informazione, per le biblioteche di rilasciare

informazioni confidenziali a seguito di richiesta in tal senso da parte delle forze di polizia o dei

servizi di sicurezza;

- introdotto la possibilità di acquisire, senza preventiva autorizzazione di un Goiudice, dati sensibili

e materiale biologico dei soggetti posti “sotto osservazione”;

- introdotto la possibilità per i servizi di sicurezza e intelligence di condividere, senza preventiva

autorizzazione, qualsiasi informazione, comprese le registrazioni delle intercettazioni telefoniche;

- eliminato l’obbligo di dichiarare la posizione “sotto controllo” di un sospetto, nell’ambito delle

indagini relative alla sicurezza nazionale.

In particolare, il Titolo II, relativo alle “Enhanced Surveillance Procedures”, derogando al

IV Emendamento, consente che le intercettazioni ambientali e telefoniche possano essere effettuate

senza autorizzazione ogni qual volta un agente investigativo abbia il fondato motivo di ritenere di

trovarsi in un situazione di emergenza determinata da un pericolo immediato di morte o di grave

lesione fisica o da un’attività che minacci la sicurezza nazionale o da “cospirazioni” poste in essere

169 Patriot Act 2001, Titolo VIII, Sez. 802.

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dalla criminalità organizzata, in ragione delle quali si sarebbe comunque potuto ottenere

l’autorizzazione di un Giudice. Le intercettazioni effettuate in situazioni di emergenza possono

dovranno essere autorizzate170 a posteriori entro 48 ore. A tal fine è sufficiente indicare il soggetto

sottoposto ad intercettazione senza l’obbligo di dover specificare le postazioni o gli strumenti di

comunicazione intercettati. Le predette intercettazioni possono essere effettuate “a tutto campo” su

tutti i mezzi di comunicazioni disponibili (roving wiretaps), sulla base della semplice indicazione,

da parte dell’agente operante, che il soggetto “osservato” “ha manifestato la propria intenzione di

eludere l’intercettazione cambiando strumenti di trasmissione”.

L’intercettazione dei dati registrati, come messaggi vocali ed e-mails, necessità, invece, di

autorizzazione; questa può tuttavia essere oggetto di differimento.171

Per quanto concerne le perquisizioni ed i sequestri, la sez. 203, autorizza il differimento

dello “knock annunce” (regola del preavviso) ogni qual volta il giudice individui “elementi

ragionevoli” per ritenere che questo possa comportare:

- dei pericoli per le persone interessate;

- l’intimidazione dei testimoni;

- la fuga del sospettato;

- l’occultamento o la distruzione delle prove;

- l’intralcio delle indagini o

- un pregiudizio per le attività investigative in corso.

Il differimento è in genere di novanta giorni, ma può essere prolungato oltre tale termine. I

mandati di perquisizione e sequestro possono essere emessi direttamente dalle Foreign Intelligence

Surveillance Courts, istituite, nel 1978, con il FISA, al posto delle Corti Distrettuali Federali o delle

Corti Statali di regola competenti in materia. Gli atti emessi dalle predette Corti, non essendo

soggetti alle ordinarie regole di pubblicità, possono non essere esibiti anche se richiesti dal

destinatario. Al contrario, i “mandati differiti”, devono essere esibiti quando sia cessata la

situazione che ne aveva determinato il differimento.

Il Patriot Act ha, pertanto, derogato all’art. 41 (a) delle Norme Federali di Procedura Penale,

che limitavano l’efficacia del mandato all’ambito del Distretto, disponendone la validità in tutto il

territorio degli Stati Uniti. I provvedimento ha, inoltre, ampliato l’uso degli “sneak and peek” ( i

mandati segreti o ritardati), così da rendere abituale il loro uso nelle perquisizioni e nei sequestri.

La nuova normativa consente, altresì, di non dare avviso al proprietario dello stabile o dei

luoghi sottoposti a perquisizione dell’attività di polizia che si compie sulla sua proprietà ogni qual 170 Si tratta sostanzialmente di un procedimento di convalida destinato a rendere ammissibile la prova acquisita. 171 John A.E. Vervaele, “La legislazione antiterrorismo negli Stati Uniti: inter arma silent leges”, in Rivista italiana di diritto e procedura penale, 2005, p. 751e ss.

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volta la perquisizione avvenga nell’ambito di una operazione antiterrorismo. Il Direttore del FBI

può acquisire tabulati e dati di traffico telefonico senza darne avviso all’interessato o all’intestatario

dell’utenza telefonica oggetto di “attenzione”.

In forza del Patriot Act gli ordini “pen/trap”, sono divenuti direttamente applicabili alle reti

elettroniche allo scopo di acquisire non solo dati quali gli indirizzi e-mail, indirizzi IP e IP remoti, e

i providers, ma anche dati sensibili come informazioni di carattere strettamente personale.172

Dal 2001, le deroghe sopra descritte sono state utilizzate dalle Agenzie Federali per ben 155

volte, anche se ancora oggi appare oggi poco chiaro il concetto di “serio rischio” a cui la normativa

fa esplicito riferimento.

La Sezione 215 si occupa dell’attività di “intelligence” e di “counter-intelligence” posta in

essere nei confronti degli agenti delle potenze straniere ed in genere di coloro che, sulla base di

“reasonable causes”, vengono sospettati di essere terroristi, ovvero di fiancheggiare organizzazioni

terroristiche.

Nell’ambito delle indagini antiterrorismo è consentito al personale delle Agenzie nazionali

investigative e di sicurezza di accedere agli archivi delle biblioteche pubbliche e private al fine di

conoscere le letture dei soggetti “sotto attenzione” ed in particolare degli studenti stranieri. A tal

fine l’ FBI, dal 2005, utilizza il sistema delle “National Security Letters”, delle richieste di

informazioni direttamente indirizzate ai gestori di biblioteche ed archivi. Le statistiche parlano ad

oggi di oltre 30.000 National Security Letters spedite dal FBI.

Gli investigatori federali hanno, inoltre, la possibilità di ottenere l’acquisizione di dati

sensibili biometrici o biologici di privati, sulla base del solo fatto che gli stessi “possano essere

rilevanti” per le indagini in materia di terrorismo o relative ad attività di spionaggio.

In ragione del carattere loro emergenziale gran parte delle disposizioni contenute nel Titolo

II sono state sottoposte alla cosiddetta “sunset clause” che avrebbe dovuto porre termine alla loro

efficacia il 31 dicembre 2005 (Sez. 224).

Il Titolo III, relativo alle misure finanziarie di contrasto del terrorismo, recepisce le

disposizioni contenute nell’Antiterrorism an Financial Act del 2001, ponendo in essere significanti

modifiche al “Money Laundering Control Act” del 1986 (MLCA) ed al “Bank Secrecy Act” del

1970 (BSA).

Il titolo in questione contiene un nutrito elenco di misure finalizzate ad ampliare l’ambito di

applicazione della normativa anti-riciclaggio negli Stati Uniti ed a combattere il finanziamento del

terrorismo.173

172 Ibidem. 173 Ibidem.

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In primo luogo, con il Patriot Act, gli Stati Uniti hanno esteso la propria giurisdizione diretta

nei confronti delle confronti delle “Financial Institutions” 174 che divengono, pertanto, le principali

destinatarie dei nuovi strumenti di controllo. Il fatto di possedere un conto corrente bancario negli

Stati Uniti è, infatti, di per sé sufficiente a determinare la giurisdizione rispetto ad una attività di

riciclaggio anche se tale attività è stata compiuta all’estero. La giurisdizione americana sussiste,

inoltre, anche se il reato è commesso solo in parte nel territorio nazionale, o se su questo si trovano

anche solamente parte dei beni ottenuti in modo illecito.175

La Sezione 311, relativa alle “Special measures for jurisdictions, financial institutions or

international transactions of primary money laundering concern”, modifica in modo significativo il

Titolo 31, capitolo 53, del codice statunitense, inserendo, dopo la Sezione 5318, la Sezione 5318

(A) nella quale viene attribuita al “Secretary of the Treasury” la facoltà di imporre alle “istituzioni

finanziarie” le seguenti “misure speciali” per combattere il “lavaggio di denaro sporco”:

- l’obbligo di conservare la tracciabilità delle transazioni finanziarie (recordkeeping and reporting

of certain financial transactions);

- l’obbligo di fornire informazioni relative ai beneficiari delle transazioni (information relating to

beneficial ownership);

- l’obbligo di fornire informazioni relative alle transazioni relative a conti correnti intestati al

medesimo proprietario e accessibili a terzi (information relating to certain payable-through

accounts e information relating to certain correspondent accounts).

Alle “istituzioni finanziarie” ed ai loro agenti negli Stati Uniti può, inoltre, essere imposto

di sottoporsi ad una “speciale supervisione finanziaria” della durata massima di quattro mesi, nelle

ipotesi in cui una transazione effettuata con l’estero o la stessa istituzione finanziaria siano giudicate

tali da rivestire “un ruolo di primaria importanza nell’attività antiriciclaggio”. 176

La sezione 312 disciplina quindi la cosiddetta “Special Due Diligence for Correspondent

Accounts and Private Banking Accounts”, nell’ambito della quale vengono stabiliti nuovi standards

che ciascuna “Financial Institution” è tenuta ad osservare allo scopo di operare un attento

monitoraggio su fenomeni di “money laundering”. Tali prescrizioni comportano, tra l’altro,

l’obbligo in capo alle “Financial Institutions” che intrattengono “Private Banking Accounts” di

conoscere la provenienza dei fondi depositati, di accertare l’identità dell’effettivo beneficiario del

conto o della transazione nonché l’obbligo di segnalare le transazioni giudicate sospette.

174 Tali debbono essere considerati i seguenti organismi: U S Depository Institutions, Commercial Banks, U S Branches

of Foreign Banks, Investment Banks and Bankers, Insurance companies e Loan and Finance companies 175 A. Battelli, “Gli effetti del Patriot Act sul sistema bancario italiano” in Magistra Banca e Finanza, www.magistra.it, marzo 2003. 176 Jhon A.E. Vervaele, La legislazione cit., p. 757.

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La sezione 313 prevede, quindi, il divieto assoluto per le “Financial Institutions” di

intrattenere rapporti di conto con le cosiddette “shell banks”, cioè gli enti finanziari privi di una

presenza stabile ed effettiva in un determinato paese. Viene, inoltre, richiesta a tali istituzioni la

sottoscrizione delle certificazioni relative all’identità del titolare di un conto da parte dei

“correspondent accounts”.

Le banche estere con conti sospesi negli stati uniti sono, inoltre, obbligate a nominare un

rappresentante legale che diviene destinatario di ogni eventuale provvedimento.

Nel caso di non cooperazione nella procedura, i conti bancari devono essere

immediatamente chiusi, pena una multa di 10.000 dollari per ogni giorno di ritardo. Può, inoltre,

essere emanato un provvedimento inibitorio nei confronti di banche e conti stranieri nonché essere

designato un amministratore da parte del Ministero del Tesoro.177

La sezione 317 sottopone i “foreign money launderers” alla competenza delle Corti

distrettuali ogni qual volta il crimine sia riferibile ad una transazione finanziaria verificatasi, anche

solo in parte, negli Stati Uniti.

La sezione 319, titolata “forfeiture of funds in united states interbank accounts”, prevede la

facoltà dell’Amministrazione di operare sequestri su “Interbank Accounts”, intrattenuti da banche

estere con le “Istituzioni finanziarie”, nel caso in cui i fondi siano ritenuti di dubbia provenienza o

illegale destinazione. In proposito, il paragrafo (2) prevede l’assoluta irrilevanza, ai fini della

titolarità all’azione da parte del Governo americano, della ricostruzione della diretta derivazione dei

fondi confiscati con i fondi depositati presso la banca estera; quanto sopra in forza della

presunzione che i fondi depositati su un conto estero di un corrispondente che intrattiene anche un

“Interbank Account” con una “Financial Institution” statunitense si presumono depositati presso l’

“Interbank Account” il quale diverrà automaticamente il destinatario dell’ordine di sequestro.

Il punto (3) del paragrafo (b) della sezione 319 conferisce al “Secretary of Treasury” o in

alternativa all’ “Attorney General” la facoltà di perseguire ciascuna banca estera che intrattenga

“Correspondent Accounts” negli Stati Uniti nonché di richiedere alla stessa documentazione ed

informazioni concernenti tali conti, comprese fra queste le informazioni e la documentazione

conservata al di fuori del territorio statunitense. Una eventuale omissione da parte della banca estera

di ottemperare a quanto richiesto dall’Amministrazione USA, o la sua mancata costituzione in un

eventuale giudizio, comporta in capo all’ “Istituzione Finanziaria” interessata, l’obbligo di

interrompere ogni rapporto entro il termine di 10 giorni lavorativi, a far data dalla ricezione di una

comunicazione in tal senso da parte del “Secretary of Treasury”.

177 Ibidem

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In considerazione di tali interventi la critica corrente ritiene che il Patriot Act 2001, abbia

fortemente compresso i diritti civili tradizionalmente garantiti, violando la privacy dei cittadini e

limitando la libertà di associazione ed espressione.

Taluni Stati, quali l’Alaska, la California, il Colorado, le Hawaii, l’Idaho, il Maine, il

Montana e il Vermont unitamente a alle Municipalità di New York City, Los Angeles, Dallas,

Chicago, Cambridge e Philadelphia, si sono pronunciati contro alcune norme contenute nel Patriot

Act ritenendole liberticide.

Secondo il 47% per cento della popolazione statunitense la contrazione dei diritti civili per

sconfiggere il terrorismo è un “male” tollerabile, mentre il 52% si è dichiarato preoccupato per le

libertà civili178

Il 23 gennaio 2004 un Giudice Federale Distrettuale ha ritenuto che l’espressione “fornire un

parere o mettere la propria esperienza al servizio di organizzazioni terroristiche” contenuta nel

Patriot Act 2001, risultasse troppo generica per indicare una condotta considerata alla stregua di un

effettivo atto di sostegno del terrorismo, e che, pertanto, tale disposizione violasse il I e il V

Emendamento.

Il 29 settembre 2004 un altro Giudice Federale ha ritenuto che la possibilità del Governo di

inviare “National Security Letters” allo scopo di ottenere informazioni e dati sensibili sui clienti

internet provider, senza alcun mandato”, contenuta nel Titolo 5, violasse il I e il IV Emendamento e

fosse dunque costituzionalmente illegittima in quanto in contrasto con il diritto alla libera

espressione.

Di parere opposto, invece, la Sentenza pronunciata il 9 aprile 2004, nella causa American

Civil Liberty Union (ACLU) contro Ashcroft, laddove si è ritenuto che le National Security Letters

siano utilizzabili anche al di fuori della lotta al terrorismo, purché finalizzate a combattere il

crimine.

Il 17.12.2004, con l’Intelligence Reform and Terrorism Prevenction Act (IRTPA) è stata

istituita la figura del National Intelligece Director (NID), con compiti di coordinamento operativo e

finanziario. Con tale provvedimento sono stati inoltre istituiti presso l’Ufficio del NID il National

Counterterrorism Center (NCTC) e il Board on Safeguarding Privacy and Civil Lieberties.

Il documento in questione contiene, inoltre, una definizione di “national intelligence”

destinata a comprendere tutti i tipi di informazione, indipendentemente dalla fonte dalla quale

derivano e dal fatto che siano raccolte all’interno o all’esterno degli Stati Uniti, incluse quelle

relative alle minacce alla sicurezza nazionale o locale.179

178 dati CBS 2006. 179 John A.E. Vervaele, La legislazione cit., p. 742.

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L’IRTPA ha, inoltre, introdotto numerosi emendamenti al National Security Act del 1947,

estendendo le previsioni del FISA anche ai cd “cani sciolti” e cioè ai soggetti che non possono

essere ricondotti ad organizzazioni terroristiche o potenze straniere.

Nell’ Aprile del 2005, è stata avanzata una proposta di legge relativa alla creazione di un

enorme data base, denominato “Homeland Security Operations Center Database”, finalizzato ad

agevolare la attività di prevenzione e di repressione nella lotta alle attività terroristiche.

Lo stesso anno a fronte delle decisioni della Corte Suprema che avevano stabilito

l’incostituzionalità delle norme relative alla limiti imposto ai giudizi di “revisione” anche in

presenza di nuove prove o testimonianze, perché in contrasto con l’Articolo 1, Sezione 9, Clausola

2 della Costituzione Federale (la c.d. “suspension clause”),180 il Congresso ha iniziato i lavori per la

modifica di tali disposizioni.

Il 15 giugno 2005, è stato, quindi, proposto un emendamento per impedire che la privacy dei

lettori nelle biblioteche possa essere ulteriormente violata.

Il 29 luglio del 2005, il Congresso ha approvato il prolungamento del Patriot Act.

Come si è detto parte delle disposizioni contenute nel Titolo 2 del Patriot Act, relativo

all’“implementazione delle procedure di sorveglianza”, erano destinate ad evere termine al 31

dicembre 2005 per effetto della cosiddetta “sunset clause”. Tuttavia, il 22 dicembre 2005, la

vigenza della normativa in questione è stato prolunga sino al 3 febbraio 2006 e quindi sino al

successivo10 marzo.

Pochi giorni prima di tale ultima scadenza il Congresso degli Stati Uniti ha rinnovato il

Patriot Act consentendo in tal modo al Presidente Gorge W. Bush di firmare la sua “re

autorizzazione” il 9 marzo 2006.

Gran parte delle disposizioni del Titolo II Sono così divenute “pressoché permanenti”, prime

tra queste quelle relative agli “Sneak and Peeks”, alle intercettazioni telefoniche ed ambientali,

all’accesso a dati personali, al prelevamento delle impronte digitali e dei campioni biologici,

all’acquisizione dei “pen register”, e all’istituzione di una giurisdizione federale monocratica

competente al rilascio di mandati nelle indagini per antiterorismo.

Occorre, infine, ricordare come annualmente, entro il 30 aprile, il Segretario di Stato abbia

l’obbligo di trasmette allo “Speaker” della Camera dei Rappresentanti e al Comitato per le

Relazioni Esterne del Senato Federale un dettagliato Annual Country Report on Terrorism, nel

quale deve essere data indicazione dell’evoluzione del fenomeno e di ogni iniziativa adottata

dall’Esecutivo.

180 In tal senso la sentenza della Corte Suprema nel caso Felker v.Turpin, del 1997.

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2. Il crimine di terrorismo nello US Criminal Code.

Lo US Criminal Code dedica al “terrorismo” il Capitolo 113B del Titolo 18, Parte I,

prendendo in esame talune fattispecie criminose già disciplinate dai precedenti capitoli ogni qual

volta siano commesse con finalità di terrorismo, in danno di cittadini degli Stati Uniti o di questi

ultimi, all’interno e all’esterno dei confini nazionali.

Il Paragrafo 2331 offre una serie di definizioni che costituiscono il presupposto

dell’applicazione dell’intera normativa.

Sulla base di tale paragrafo per “terrorismo internazionale” devono intendersi gli atti

violenti o pericolosi per la vita umana che costituiscono una violazione della criminal law degli

Stati Uniti o di ogni altro Stato o che possono essere considerati un crimine se commessi all’interno

della giurisdizione degli Stati Uniti o di ogni altro Stato, ogni qual volta gli stessi siano finalizzati

a:

- intimidire o costringere la popolazione civile;

- influenzare l’operato del governo attraverso l’intimidazione o la coercizione;

- tentare di influenzare la condotta del governo con stragi, assassini o rapimenti.

Per “terrorismo interno” (domestic terrorism), devono intendersi gli atti pericolosi per la

vita umana che costituiscono una violazione della criminal law degli Stati Uniti o di uno Stato,

aventi le caratteristiche sopra enunciate, commessi, principalmente all’interno del territorio

sottoposto alla giurisdizione degli Stati Uniti.

A tali definizioni fanno seguito quelle di “national of the United States, di “person” e di “act of

war”, definizione quest’ultima destinata a comprendere oltre alla guerra dichiarata, un conflitto

armato tra due o più nazioni, indipendentemente dal fatto che la guerra sia stata o meno dichiarata,

o un conflitto armato tra forze militari o militarmente organizzate di qualsiasi provenienza. A tale

ultima definizione sembra aver fatto ricorso il Governo americano dopo gli attentati dell’11

settembre 2001. Per quanto attiene alla definizione di “cittadino degli Stati Uniti” (national of the

United States) e di “organizzazione terroristica”, il codice rimanda esplicitamente, alle definizioni

offerte dall’Immigration and Nationality Act.

Le Agenzie Federali e da taluni Dipartimenti del Governo hanno adottato, in materia,

ulteriori definizioni. Lo State Departement e la Central Intelligence Agency (CIA) definiscono

“terrorismo” “ogni violenza premeditata, posta in essere con motivi politici e perpetrata contro

obiettivi non combattenti da parte di gruppi o organizzazioni sub-nazionali o da agenti clandestini,

con lo scopo di influenzare la popolazione e la pubblica opinione”; l’espressione “terrorismo

internazionale” è riferita ad “una azione terroristica che interessi i cittadini o il territorio di più di

un Paese”, mentre per “gruppo terroristico internazionale” deve intendersi “qualsiasi gruppo di

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persone che pratichi, ovvero che abbia al suo interno gruppi che pratichino, azioni di terrorismo

internazionale”.

Il Federal Bureau of Investigation FBI, nel 1999 ha introdotto nell’Annual U.S. Security Report,

le seguenti definizioni:

- Terrorismo interno (domestic terrorism) - L’uso illegale o il tentativo di uso illegale della forza

contro persone e/o cose, la violenza da parte di un gruppo di persone o di un singolo, che operi

unicamente all’interno del territorio degli USA ovvero nei territori sottoposti alla sovranità

statunitense, senza alcun tipo di influenza straniera o direzione da parte di una potenza o di persone

straniere, con la finalità, attraverso tali azioni di violenza, di intimidire oppure costringere il

Governo, la popolazione civile o un loro segmento, a fare o omettere di fare qualcosa, in previsione

di obiettivi e/o vantaggi di carattere politico e/o sociale.

- Terrorismo internazionale - L’insieme di azioni violente o atti pericolosi per la vita umana che

costituiscono una violazione delle leggi degli USA o di altri Stati o che possono comunque

costituire violazione di leggi se commessi all’interno degli USA o di altri Stati, realizzate allo scopo

di intimidire o costringere la popolazione civile o di influenzare la politica del Governo attraverso

l’intimidazione e la coercizione oppure il fatto di colpire e/o influenzare determinare la condotta del

Governo attraverso omicidi o rapimenti.

Il Department of Defense definisce il terrorismo “l’uso calcolato di una violenza non

legittima, né legittimata, per provocare paura, timore e minaccia nei confronti dei Governi o della

popolazione, al fine di ottenere risultati che saranno generalmente a carattere politico, religioso

ovvero ideologico”. Talune specifiche forme di “terrorismo” sono invece individuate dalla

legislazione statunitense con le seguenti definizioni:

- Agroterrorismo - tipologia di “bioterrorismo” consistente nell’uso di agenti biologici contro le

industrie agricole o contro le attività produttive di alimenti.

- Cyberterrorismo - attacco terroristico finalizzato a danneggiare o distruggere i collegamenti

infrastrutturali, anche elettronici, e di telecomunicazioni attraverso “virus informatici” e “bombe

logiche”.

- Narcoterrorismo - collegamento tra terrorismo e narcotraffico allo scopo di utilizzare a fini

eversivi i proventi del traffico di droga.

- WMD Terrorism - attacco terroristico condotto con Weapons of Mass Destruction, cioè le armi di

distruzione di massa chimiche, biologiche, radiogene e nucleari.

Infine, un’ ulteriore definizione di terrorismo è contenuta nel Presidential Executive Order nr.

13224, relativo al finanziamento del terrorismo, laddove il terrorismo è individuato come “ogni atto

violento contro la vita umana e le cose, finalizzato a:

102

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1. intimidire e costringere a fare o non fare alcunché la popolazione civile, o

2. influenzare la politica e le decisioni del Governo con intimidazione e costrizione, o

3. colpire la legittima condotta di un governo con stragi, omicidi, assassini, rapimenti o cattura di

ostaggi.”

Il paragrafo 2332, relativo alle Criminal penalties punisce taluni crimini, compiuti a scopo

terroristico, in danno di cittadini degli Stati Uniti, con pene commisurate alla gravità del fatto. Fra

questi compaiono: l’omicidio volontario premeditato (murder), l’omicidio volontario non

premeditato (voluntary manslaughter), l’omicidio preterintenzionale commesso all’interno o al di

fuori del territorio degli Stati Uniti, gli atti di violenza commessi all’estero con l’intento di causare

ad un cittadino americano serious bodily injury, ovvero tali da avergli causato le predette lesioni, il

tentativo di commettere un omicidio premeditato nonché l’accordo criminoso di due o più persone

(conspiracy) diretto a commettere tali fatti.

Il paragrafo 2332a, disciplina alla i reati terroristici commessi mediante l’impiego di armi di

distruzione di massa, punendone l’utilizzo illegale, la minaccia, l’attentato o l’accordo volto ad

utilizzare le stesse contro un cittadino americano che si trovi al di fuori del territorio nazionale

ovvero contro persone o proprietà all’interno degli Stati Uniti, nonché i medesimi atti commessi da

un cittadino americano all’estero.

Il paragrafo 2332b, punisce gli atti di terrorismo internazionale consistenti nell’omicidio, nel

sequestro di persona, nelle lesioni gravissime (maims), nell’aggressione dalla quale derivino

“serious bodily injuri”, nell’aggressione commessa con armi pericolose per ogni persona all’interno

degli Stati Uniti, o in un “a sustantial risk of serious bodily injuri” per qualsiasi altra persona,

realizzato mediante la distruzione o il danneggiamento di strutture, di mezzi di trasporto o di altre

proprietà pubbliche o private all’interno degli Stati Uniti ovvero mediante il tentativo o l’accordo

criminoso di commettere i predetti fatti.

La giurisdizione in ordine a tali crimini è federale. Ai sensi del Paragrafo 2338 nel caso di

Crime of Terrorism, le Corti Distrettuali Federali degli Stati Uniti d’America hanno infatti

“exclusive federal jurisdiction”. L’azione penale è soggetta alla giurisdizione federale, a seguito di

richiesta del Procuratore Generale.

I reati finanziari commessi con finalità di terrorismo o a questo collegati sono puniti, dal

comma 2d del Paragrafo 2332, con la reclusione non inferiore nel minimo ad anni 10.

Il comma 2339a, punisce, inoltre, “chiunque fornisca supporto e assistenza materiale,

fornisca mezzi e strutture per effettuare l’addestramento dei terroristi, ovvero li addestri

consapevolmente, oppure conceda consapevolmente consulenza o consiglio.181

181 US Penal Criminal Code, Par. 2339 b

103

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Il successivo comma 2339b punisce, invece, coloro che, anche al di fuori degli Stati Uniti,

forniscono supporto materiale o ausilio a terroristi stranieri. Se l’atto terroristico, compiuto anche

al di fuori del territorio degli Stati Uniti in danno di cittadini USA, vede coinvolti gli interessi della

sicurezza nazionale, gli autori saranno puniti con una più grave pena detentiva.

I commi 9c e 9d del Paragrafo citato prevedono un ulteriore divieto di finanziamento del

terrorismo nonché il divieto per i cittadini americani e stranieri di ricevere una qualsiasi tipologia di

addestramento finalizzato a compiere o a preparare un atto terroristico, anche al di fuori degli USA,

sempre che l’atto sia diretto contro obiettivi o cittadini americani. In questi casi la giurisdizione è

“federale extraterritoriale”.

3. Il Presidential Executive Military Order on the Detention, Treatment, and Trial of Certain

Non-Citizens in the War Against Terrorism.

Gli attentati dell’11 settembre 2001 hanno transitato gli Stati Uniti d’America in una nuova

dimensione, persuadendo il Governo a ritenere che la Nazione fosse, non solo sotto attacco

terroristico, ma coinvolta in una vera e propria “guerra contro il terrorismo”; una guerra fortemente

asimmetrica nella quale il nemico, non si identifica, come in passato, in uno o più Stati sovrani

dotati di una struttura politica e militare, bensì in una entità non statuale priva di riferimenti

territoriali, costituita da un insieme di persone e strutture che agiscono, congiuntamente o

disgiuntamente, allo scopo di modificare lo status quo internazionale attraverso l’uso della violenza

e del terrore.

La guerra al terrorismo ha così aperto, contemporaneamente, due differenti fronti: un fronte

esterno combattuto in modo convenzionale mediante l’uso della forza militare e un fronte interno

caratterizzato dall’adozione di strumenti politici e giuridici di carattere emergenziale destinati a

rafforzare i poteri dell’Esecutivo.

Sulla base di tale assioma, il 18 settembre 2001, sono stati conferiti al Presidente George W.

Bush, nella sua qualità di comandante in Capo delle forze armate degli Stati Uniti, i “war powers”.

Il successivo 13 novembre, il Presidente ha, quindi, sottoscritto il Presidential Executive Military

Order on the Detention, Treatment, and Trial of Certain Non-Citizens in the War Against Terrorism

destinato ad introdurre negli USA un nuovo “diritto penale” applicabile alla “war on terrorism”, il

cui carattere emergenziale risulta evidente nell’affermazione, contenuta nello stesso documento, che

non saranno validi “the principles of law and the rules of evidence generally recognized in the trial

of criminal cases in the United States district courts”. 182

182 S. Riondato, Profili del diritto penale statunitense contro il terrorismo (dopo il Nine-Eleve), Centro italiano Studi per la pace, paper, 2003. www.studiperlapace.it.

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Con il Presidential Executive Military Order l’Amministrazione Bush ha in tal modo scelto

di percorrere una nuova strada, riesumando una giurisdizione di natura speciale, quella delle

“military commissions”, in passato utilizzata per perseguire atti di rivolta e crimini di guerra.183

L’istituzione di tale giudice speciale da parte della Presidenza contrasta, tuttavia, in primo luogo,

con l’art. 1 della Costituzione Federale che attribuisce solo al Congresso il potere di costituire

Tribunali di grado inferiore alla Corte Suprema.

Una parte della dottrina e della giurisprudenza americana si è dimostrata, quanto meno

inizialmente, propensa a ritenere che il potere di istituire tali commissioni rientrasse a pieno titolo

nei “poteri di guerra” legittimamente esercitati dal Presidente esercita sulla base del mandato

conferitogli dal Congresso; mandato che lo vede autorizzato ad usare “all necessary and

appropriate force” al fine di contrastare tutte le nazioni, le organizzazioni o le persone che lo stesso

ritenga responsabili di aver pianificato, autorizzato o favorito gli attacchi terroristici dell’11

settembre 2001, anche derogando all’ordinario apparato di garanzie giurisdizionali tradizionalmente

offerto dalla legislazione statunitense.

Il Presidential Militay Order distingue, in primo luogo, tra cittadini degli Stati Uniti e

aliens, disponendo, in via di principio, che solo questi ultimi siano giudicati dalle “military

commissions”; ciò sulla base di un decisione insindacabile assunta, caso per caso, del Presidente

degli Stati Uniti al quale è conferito il potere di stabilire se il “sospetto terrorista” debba essere

processato da tale giurisdizione speciale o dall’autorità giudiziaria ordinaria.

Il meccanismo descritto trova il proprio fondamento nella riformulazione del reato di

“terrorismo internazionale”, che, nel provvedimento presidenziale, si configura non solo attraverso

un collegamento tra il soggetto e l’organizzazione terroristica di Osama Bin Laden, ma anche

mediante la realizzazione di qualsiasi fatto ritenuto dal Presidente lesivo degli interessi degli Stati

Uniti.

Nel sistema che ne deriva, la determinazione della giurisdizione diviene, dunque, “striato

jure”, anche determinazione del diritto penale sostanziale applicabile, atteso che l’Esecutivo ha, in

tal modo, avocato a sé tanto le funzioni legislative quanto quelle giurisdizionali.

Tecnicamente, il giudizio avanti le “military commissions” trova disciplina nel Military

Commission Order No 1 del Segretario alla Difesa, del 21 marzo 2002, nel quale è stabilito che in

tale procedimento non si applica il diritto penale militare “ordinario” in vigore per le Corti Marziali,

contenuto nello Uniform Code of Military Justice.

183 Come accadde ad es. per l’insurrezione di Baltimora nel 1861 (Caso Merryman) o in occasione del tentativo di assassinare il governatore dello Stato dell’ Indiana nel 1864 (Caso Milligan).

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La procedura così stabilita offre, tuttavia, garanzie giurisdizionali inconsistenti e in palese

violazione del “due process of law”,184 che prevede il diritto degli indagati di essere informati

dell’accusa, di essere assistiti da un difensore di propria fiducia nonché di essere giudicarti in tempi

ragionevoli da un giudice imparziale.

I soggetti considerati terroristi sono, infatti, in pratica, costretti ad avvalersi del difensore

d’ufficio nominato dal Dipartimento della Difesa nella persona di uno o più Ufficiali appartenenti al

Judge Advocate General (JAG) poiché un avvocato “civile” può essere escluso dall’udienza ogni

qual volta gli argomenti trattati abbiano per oggetto informazioni classificate come “secret of

defense”.

Al detenuto è, inoltre, negato l’accesso al sistema giudiziario ed in particolare il “writ of

Habeas Corpus”, con il quale può richiedere al Giudice distrettuale competente un ordine di

esibizione degli elementi di fatto e di diritto su cui si fondano le misure restrittive della libertà

personale a lui applicate; quanto sopra in palese violazione dell’art. 1, sez. 9, della Costituzione

Federale.

Il sistema di ammissione delle prove richiede, inoltre, quale unico requisito che le stesse si

presentino sufficientemente “convincenti per una persona ragionevole”, omettendo di fissare

specifici criteri a garanzia dell’imputato.

Inoltre, il condannato non ha il diritto di impugnare la sentenza, soggetta solamente ad un

controllo di natura amministrativa che ha termine con la “final decision” del Presidente; ciò a

differenza di quanto accade per le decisioni assunte dalle Corti Marziali, per le quali è invece

prevista la possibilità di ricorrere alla Corte degli Appelli Criminali (composta anche da giudici

ordinari), alla Corte d’Appello per le Forze Armate (composta esclusivamente da giudici non

militari) e alla Corte Suprema.

In tale giudizio sono, inoltre, escluse le garanzie di cui all’art. 2 della Costituzione Federale,

che assicura il controllo di legittimità del giudice ordinario in ordine ad ogni forma di detenzione,

nonché le garanzie offerte dal IV e dal VI Emendamento destinate, rispettivamente, a proteggere

l’individuo da perquisizioni e sequestri immotivati (serches and seizures) e ad assicurare

all’imputato un giudizio celere e pubblico, come pure di essere immediatamente informato dei

diritti costituzionalmente garantiti;185 garanzie al contrario applicabili ai cittadini americani

processati innanzi alle Corti Federali e detenuti per la medesima causa sul territorio degli Stati

Uniti, e come tali soggetti al controllo del Beureau of Prisons.

184 Il “giusto processo”. 185 C. Bassu, “La legislazione antiterrorismo e la limitazione della libertà personale in Canada e negli Stati Uniti”, in www.associazionedeicostituzionalisti.it; T. Groppi (a cura di) “Democrazia e terrorismo. Diritti fondamentali e sicurezza dopo l’11 settembre 2001”, Editoriale Scientifica, Napoli, 2006.

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I sospetti terroristi ai quali non si applica la predetta “disciplina speciale”, per decisione del

Presidente o perché muniti di cittadinanza americana, sono, infatti, sottoposti, in linea di principio,

alla giurisdizione delle Corti Distrettuali Federali avanti le quali si applica il diritto penale comune

così come individuato dai paragrafi 2331 e ss. Capitolo 113B del Titolo 18, Parte I, dello US Penal

Criminal Code, cosi come modificato dallo USA Patriot Act 2001, come accaduto nel caso di John

Walker Lindh, il “talebano” americano condannato a 20 anni di carcere dalla Corte Distrettuale

Federale di Alexandria, in Virginia, a seguito di “patteggiamento”.

Emerge così la particolare figura dei “aliens enemy combattant” o più esattamente degli

“aliens unlawful enemy combattant” che, sulla base di criteri di evidente natura politica possono

essere arrestati, detenuti e processati in deroga a tutte le garanzie previste dalla Costituzione, come

accaduto per i detenuti di Guantànamo, che sulla base dello stesso Military Order avrebbero dovuto

ricevere un trattamento “human and not discriminatori”.

La condizione di tali detenuti presenta, d’altra parte, profili di illegittimità anche dal punto

di vista del diritto internazionale umanitario. I detenuti di Guantànamo appaiono, infatti, di

provenienza eterogenea. Taluni, al momento della cattura facevano parte dell'esercito regolare

afgano, altri militavano nella cosiddetta “Legione Araba” di Osama Bin Laden, altri ancora sono

stati catturati sulla base del sospetto appartenere ad Al Qaeda o ad altre organizzazioni terroristiche

a questa affiliate.

Il Governo degli Stati Uniti ha, tuttavia, omesso di operare inizialmente qualsiasi

distinzione, definendo tali soggetti, a priori, “unlawful commbattants” e cioè combattenti illegittimi,

rifiutando loro di conseguenza lo status di prigioniero di guerra e, dunque, l’applicazione delle le

garanzie previste dalla III Convenzione di Ginevra del 12 agosto 1949; Convenzione puntualmente

ratificata dagli Stati Uniti, divenuta, inoltre, diritto consuetudinario.

Risulta, tuttavia, evidente che, ai sensi degli artt. 4 e 5 della Convenzione citata, i soggetti

che anno preso parte alle ostilità in Afghanistan quali membri delle forze armate o di corpi volontari

o gruppi di resistenza avrebbero dovuto usufruire del trattamento previsto per i prigionieri di guerra

ovvero ad un trattamento, quanto meno, equivalente.

Sulla base dell’art. 4 lo status di “prigioniero di guerra” deve, infatti, essere riconosciuto ai:

membri delle Forze Armate di una Parte in conflitto, ai membri delle altre milizie e degli altri corpi

di volontari che fanno parte di queste forze armate, ai membri delle altre milizie e degli altri corpi di

volontari, compresi quelli dei movimenti di resistenza organizzati appartenenti ad una parte in

conflitto a condizione che abbiano alla loro testa una persona responsabile dei propri subordinati,

portino un segno distintivo fisso riconoscibile a distanza, portino apertamente le armi, si uniformino

nelle loro operazioni alle leggi e agli usi di guerra.

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Inoltre, ai sensi del comma 2 dell’art. 5 “in caso di dubbio circa l’appartenenza ad una delle

categorie indicate nell’art. 4 delle persone che abbiano compiuto un atto di belligeranza e che siano

cadute in potere del nemico” queste dovranno comunque fruire delle protezione accordata dalla

Convenzione nell’attesa che il loro status venga determinato da un tribunale competente; tribunale,

nel caso in specie, identificabile nel Tribunale Militare “ordinario” sulla base della Army

Regulation, emanata l’1.10.1997 dal Dipartimento alla Difesa.

A quanto sopra si aggiunga che anche ai “combattenti illegittimi” devono essere

riconosciute talune garanzie fondamentali in tema di “giusto processo”, quale il diritto di essere

informati della natura dell’accusa e quello di ricorrere contro i provvedimenti restrittivi della libertà

personale. Quanto sopra non tanto in base dei dettami del I Protocollo Aggiuntivo del 1977, che gli

USA non hanno ratificato, quanto in ossequio all’ International Convenant and Political Rights del

1966, ratificato dagli Stati Uniti nel 1992,186 alle “Norme sullo Standard Minimo per il Trattamento

dei Prigionieri” adottato dalla Prima Conferenza delle Nazioni Unite sulla “Prevenzione del

Crimine ed il Trattamento dei Colpevoli” nel 1955,187 alla Convenzioni di Ginevra del 1949,

nonché alla Convenzione “contro la tortura e le altre pene e trattamenti inumani o degradanti” del

984.

plicazione delle Convenzioni di Ginevra

anche le garanzie contemplate dalla Costituzione Federale, arrivando al punto di derogare, in nome

1

Il Governo americano non ha, tuttavia, ritenuto applicabili a tali soggetti le Convenzioni del

1949. Il Capo dell’Ufficio Legale del Dipartimento di Giustizia, in un memorandum del 22 gennaio

2002, ha dichiarato che gli Stati Uniti non si ritengono vincolati dalle leggi internazionali nei

confronti dell’Afghanistan, ciò sino al momento dell’approvazione della nuova Costituzione di quel

Paese, in quanto il sedicente Emirato afgano deve essere considerato un “failed State”, e dunque,

come tale, escluso dalla comunità degli Stati sovrani soggetti alla legislazione internazionale;

condizione questa che da sola autorizzerebbe la mancata ap

al personale militare in servizio nel periodo di “failure”.188

Appare, dunque, evidente come la “war on terrorism” abbia intrapreso negli Stati Uniti la

strada del confronto strenuo, senza regole certe, nel corso della quale l’Esecutivo si è dimostrato

disponibile a sacrificare, oltre ai principi cristallizzati dal diritto internazionale consuetudinario

186 L’art. 75 del I Protocollo Aggiuntivo alle Convenzioni di Ginevra del 1949, adottato a Ginevra l’8 giugno 1977 stabilisce che gli individui che possono godere del più favorevole trattamento riservato ai prigionieri di guerra debbano comunque "essere trattati umanamente in ogni circostanza", e dunque essere ammessi a beneficiare di alcune fondamentali garanzie processuali, tra cui il diritto di avvalersi di un difensore di fiducia, di essere informati dell'accusa, di godere della presunzione di innocenza, di essere presenti al processo, di poter chiamare a deporre eventuali testi a discarico e di esaminare in modo diretto quelli a carico. 187 L’art. 95 aggiunto stabilisce che qualunque individuo arrestato e imprigionato senza che sia stata elevata alcuna accusa a suo carico dovrebbe beneficiare delle maggior parte delle garanzie previste dallo Standard Minimo per il Trattamento dei Prigionieri 188 V. in tal senso S. Riondato, “Profili del diritto penale…” cit.

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della sicurezza, anche a sé stesso ed alle disposizioni discriminatorie inizialmente impartite con

riferimento ai cittadini americani.189

Significativi in proposito i casi di Yaser Hamdi, catturato durante il conflitto in Afghanistan,

e Josè Padilla, sospettato di appartenere ad al Qaeda. I due, infatti, pur essendo cittadini degli Stati

Uniti sono stati sottoposti alla giurisdizione speciale delle “military commissions”.

In proposito, é interessante osservare come il venir meno della iniziale discriminazione fra

citizen e aliens, non sia stata determinata da un atto ufficiale, in deroga alla disciplina introdotta con

il provvedimento presidenziale del 13 novembre 2001, bensì dall’esercizio dei powers of war del

Presidente degli Stati Uniti, che essendo stato autorizzato dal Congresso a disporre “all necessary

and appropriate force”, ha potuto modificare a propria discrezione l’impianto normativo iniziale.

3.1. Il trattamento dei prigionieri

Il trattamento previsto per gli “unlawful enemy combattants” detenuti a Guantànamo e negli

altri “luoghi di detenzione speciale” in forza del Presidential Executive Military Order, è divenuto

pubblico, in occasione della vicenda di Abu Graib, per effetto della “declassificazione” delle

disposizioni in materia.190

Fra gli atti declassificati, presenta particolare interesse il “Memorandum of Secretary of

Defense” del 16.4.2003, là dove contiene l’elenco e la descrizione dei metodi di coercizione

approvati dall’Esecutivo. Le tecniche di seguito descritte sono state autorizzate dal Governo;

l’elenco non è tuttavia, tassativo essendo possibile sperimentarne altre “procedure” previa specifica

autorizzazione del Segretario alla difesa:

- asking straightforward questions: domande dirette;

- incentive - removal of incentive: offrire migliori condizioni a chi collabora;

- emotional love: giocare sull’affezione che il detenuto nutre per un individuo od un gruppo;

- emotional hate: giocare sull'odio che il detenuto nutre per un individuo od un gruppo;

- fear up harsh: aumentare significativamente il livello di paura di un detenuto;

- fear up mild: aumentare moderatamente il livello di paura di un detenuto;

- reduced fear: ridurre il livello di paura di un detenuto;

- pride and ego up: incrementare l'ego di un detenuto;

- pride and ego down: attaccare ed insultare l’ego di un detenuto, non oltre i limiti che si

applicherebbero ad un POW; Avvertimento: l’art. 17 della III Conv. Ginevra stabilisce che i

prigionieri di guerra che rifiutano di rispondere non possono essere minacciati, insultati od esposti a

189 Ibidem. 190 Tratto da S. Riondato, “La tortura nel diritto penale americano di guerra”, Paper Università degli Studi di Udine, Pubblicazioni Centro italiano Studi per la pace, www.studiperlapace.it.

109

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qualsivoglia trattamento svantaggioso o sgradevole. Le altre nazioni che ritengono che i detenuti

siano titolati (a ricevere) le protezioni (spettanti ai) POWs potrebbero considerare queste tecniche

irrispettose delle previsioni di Ginevra. Sebbene le previsioni di Ginevra non siano applicabili

all’interrogatorio dei “combattenti illegittimi”, questi punti di vista dovrebbero essere presi in

considerazione prima di applicare la tecnica.

- futility: fare leva sul senso di inutilità del detenuto;

- we know all: convincere il detenuto che gli interroganti sanno già le risposte;

- establish your identity: convincere il detenuto che l’interrogante lo ha scambiato per un’altra

persona;

- repetition approach: ripetere continuamente la stessa domanda;

- file and dossier: far credere al detenuto che l'interrogante è già in possesso di informazioni

che lo “incastrano”;

- Mutt and Jeff: l’interrogatorio é condotto da un team composto da un interrogante amichevole ed

uno ostile. L’interrogante ostile potrebbe impiegare la tecnica “pride and ego down”. Avvertimento:

altre nazioni che credono che le “POW protections” si applichino ai detenuti potrebbero ritenere

questa tecnica in contrasto con l’art. 13 della III Conv. di Ginevra, che dispone che i POWs

debbono essere protetti dagli atti di intimidazione. Sebbene le previsioni di Ginevra non siano

applicabili all’interrogatorio di combattenti illegittimi, questi punti di vista dovrebbero essere presi

in considerazione prima di applicare la tecnica;

- rapid fire: fare domande in rapida successione senza permettere al detenuto di rispondere;

- silence;

- change of scenery up: rimuovere il detenuto dalla posizione standard di interrogatorio per

metterlo in una posizione più comoda;

- change of scenery down: mettere il detenuto in una posizione più scomoda rispetto a quella in

precedenza assunta;

- dietary manipulation: cambiare la dieta al detenuto, senza privarlo del cibo e senza cagionare

effetti dannosi di ordine medico o culturale;

- enviromental manipulation: alterare le condizioni ambientali per creare moderato disagio (ad

esempio, variare la temperatura od introdurre esalazioni sgradevoli. Le condizioni non devono

essere tali da nuocere al detenuto. Avvertimento: in base a casi giudiziari di altri Paesi, alcune

nazioni potrebbero ritenere che l'applicazione di questa tecnica in talune circostanze sia inumana. Si

consideri questo punto di vista prima di applicarla;

- sleep adjustment: regolare i tempi di sonno del detenuto (ad esempio, scambiare il giorno con la

notte). Questa tecnica non coincide con la privazione del sonno;

110

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- false flag: convincere il detenuto che individui di un altro Paese, oltre agli Stati Uniti, lo stanno

interrogando;

- isolation: isolare il detenuto dagli altri detenuti, rispettando gli standard-base di trattamento.

Avvertimento: per non più di 30 giorni. Alcuni Stati potrebbero ritenere che questa tecnica sia

contraria agli artt. 13 (che prevede che il POW sia protetto dagli atti di intimidazione), 14 (che

prevede che il POW sia rispettato nella propria persona), 34 (che vieta la coercizione), 126 (che si

assicura standard-base di trattamento). Sebbene la Convenzione di Ginevra non sia applicabile

all’interrogatorio dei combattenti illegittimi, si dovrebbe considerare questi punti di vista prima di

applicare la tecnica. 191

Ai metodi indicati nel memorandum deve, inoltre, essere aggiunto il c.d. waterboarding,

una tecnica di interrogatorio destinata a far credere al detenuto di essere in procinto di annegare,

ammessa da Dick Cheney nel corso di un’intervista.192

Le argomentazioni su cui si fonda la linea “dura” tenuta nei confronti dei detenuti di

Guantànamo trova fondamento in una serie di considerazioni dell’ Amministrazione Bush. 193

In primo luogo le Convenzioni di Ginevra del 1949 si applicano fra gli Stati e non tra uno

Stato e un organizzazione terroristica. Inoltre, i detenuti, in quanto combattenti illegittimi, non

possono usufruire delle garanzie offerte dalla III Convenzione di Ginevra del 1949 ai prigionieri di

guerra. Infine, poiché Guantànamo Bay non è soggetta alla sovranità degli Stati Uniti i soggetti che

vi sono detenuti non possono nemmeno beneficiare delle garanzie offerte dalla Costituzione

federale194.

Contro tale ultimo assunto, ha preso posizione la Corte Suprema che, il 28 giugno 2004, in

tre distinte pronunzie, nell’estendere le garanzie costituzionali agli aliens unlawful combattant, ne

ha riconosciuto il diritto di contestare in giudizio, avanti alle competenti Corti Federali, la

legittimità della detenzione alla quale sono sottoposti.

Quanto alla determinazione dello status (“prigionieri di guerra” o “combattenti illegittimi”)

il clamore suscitato dalle torture di Abu Graib e la posizione assunta dalla Corte Suprema, hanno

costretto l’Amministrazione a tornare sui propri passi. Il 7 luglio 2004, il Vice-Segretario alla

Difesa Paul Wolfowitz, in un memorandum per il Segretario alla Marina, ha ordinato l’istituzione di

un tribunale ad hoc destinato a decidere in materia: il Combatant Status Review Tribunal, formato

da tre ufficiali designati da una convening authority nominata dal Segretario alla Marina.

Il medesimo provvedimento stabilisce, inoltre, che entro 10 gg. (cioè entro il 17 luglio)

ciascun detenuto deve essere informato delle facoltà di: 191 Ibidem 192 In proposito “USA la “gaffe” di Cheney sulla tortura”, La Repubblica.it/Esteri, www.repubblica.it 193 S. Riondato, “La tortura ..” cit. 194 Ibidem

111

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- chiedere che il Tribunale accerti il suo status (POW o unlawful combatant);

- avvalersi di un personal representative, mediante il quale accedere alla documentazione

rilevante al fine della determinazione del suo status in possesso dell’Amministrazione;

- proporre una petition for writ of Habeas Corpus al giudice federale in conformità alle

pronunzie della Corte Suprema.

Il memorandum for distribution del Segretario alla Marina, datato 29.7.2004, dopo aver

precisato che nei gg. 12-14 luglio sono state effettuate le prescritte notifiche, stabilisce le regole

processuali alle quali deve essere informato il giudizio avanti al predetto tribunale. 195

A tale documento ha fatto seguito il “Detainee Treatment Act of 2005”, destinato ad

impartite disposizioni volte a regolare le procedure di interrogatorio, anche al fine di limitarne gli

abusi, e ad attribuire alla “Us Court of Appeals for the Distric of Columbia Cicuit” giurisdizione

esclusiva in ordine alle impugnazioni delle decisioni assunte dal “Combattant Status Rewiew

Tribunal” e dalle “military commissions”.

3.2.Le decisioni della Corte Suprema del 28 giugno 2004.

Come già si è detto le eccezioni sollevate dai familiari di alcuni “enemy combattants”

detenuti presso la US Naval Base di Guantànamo Bay, circa la violazione da parte del Governo

dell’art. 1 comma 9 della Costituzione Federale, sono state inizialmente rigettate dalle Corti

Distrettuali, che hanno escluso, in linea di massima, l’applicabilità di tale norma costituzionale al di

fuori del territorio sottoposto alla sovranità degli Stati Uniti, risultando inutile l’obiezione che tale

base risulta soggetta alla piena sovranità degli Stati Uniti in forza dell’atto di concessione perpetua

contenuto nel Cuban-American Treaty del 23 febbraio 1903, al quale ha fatto seguito l’ accordo di

ratifica del 1934.

Tra il novembre 2003 ed il febbraio 2004, la Corte Suprema, ha tuttavia dichiarato

ammissibili i ricorsi presentati contro le decisioni di talune Corti Distrettuali che avevano negato la

propria competenza a decidere sulla legittimità dello stato di detenzione dei ricorrenti e il diritto di

questi al writ Habeas Corpus di fronte agli organi giurisdizionali, determinando un “cambio di

rotta” da parte dell’Esecutivo.

Al fine di comprendere le motivazioni che hanno indotto il Governo degli Stati Uniti ha

modificare l’iniziale posizione assunta nei confronti degli “enemy unlawful combattant”, occorre

esaminare seppur brevemente le decisioni assunte dalla Corte Suprema nei casi:

Shafiq Rasul et Al. v. George W. Bush, President of the United States, et Al.;196

195.Ibidem. 196 No. 03-334, Rasul v. Bush, 542 U.S. (2004). Il testo della sentenza è riportato in appendice 5.

112

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Fawzi Khalid Abdullah Fahad Al Odah et Al. v. United States et Al.. 197 (deciso

congiuntamente alla sentenza precedente);

Hamdi et Al. v. Rumsfeld, Secretary of Defense, et Al.,;198

Rumsfeld, Secretary of Defense v. Padilla et Al..199

Tali pronunzie costituiscono, infatti, un precedente alla pronuncia dalla Corte Suprema nel

caso Hamdan contro Rumsfeld, con la quale è stato posto fine, seppure per un breve periodo di

tempo, alla giurisdizione speciale delle “military commissions”.

a) Rasul, Al Odah ed altri contro George W. Bush, Presidente degli Stati Uniti ed altri.

Agli inizi del 2002, 16 individui fra i quali i ricorrenti Rasul e Al Odah, furono catturati

dalle forze armate degli Stati Uniti in Afghanistan ed imprigionati nella base militare di

Guantánamo. I prigionieri, dopo circa 2 anni, hanno presentato una petizione per ottenere un writ of

certiorari allo scopo di avvalersi del right of Habeas Corpus in conformità alle disposizioni del

General Federal Habeas Corpus Statute, 28 USC, laddove, al paragrafo 2241, autorizza le Corti

Distrettuali a ricevere, “nell’ambito della giurisdizione di propria competenza”, dette istanze da

persone che sostengono di essere “detenute in violazione delle […] leggi degli Stati Uniti”.

Sulla base di un precedente costituito dalla sentenza della Corte Suprema nel caso Johnson

contro Eisentrager,200 il Governo ha sostenuto che le Corti statunitensi non hanno giurisdizione nei

confronti degli stranieri (“aliens”) catturati all’estero e detenuti a Guantánamo.

Nel caso Eisentrager la Corte Suprema aveva, infatti, stabilito che le Corti Federali non

erano competenti in ordine al writ Habeas Corpus presentato da 21 soldati tedeschi catturati in Cina

e giudicati da una military commission, a Nanchino, per aver proseguito le ostilità a fianco dei

giapponesi nonostante la resa della Germania, detenuti nel carcere di Landsberg am Lech,

affermando che “nelle leggi (“statutes”) degli Stati Uniti nulla riconosce agli stranieri catturati

all’estero la potestà di richiedere la verifica del diritto di Habeas Corpus.

In tale occasione la Corte Suprema ebbe a precisare che la Costituzione non riconosce ad un

prigioniero la potestà di chiedere la verifica del proprio diritto di Habeas Corpus nel caso sia uno

straniero nemico (“enemy alien”) che:

- non abbia mai fatto ingresso o non abbia mai risieduto negli Stati Uniti;

- che sia stato catturato al di fuori del territorio degli Stati Uniti e tenuto sotto custodia militare

come prigioniero di guerra; 197 No. 03-343, Al Odah v. United States, 542 U.S. (2004). 198 No. 03-6696, Hamdi v. Rumfseld, 542 U.S. (2004). Il testo della sentenza è riportato in appendice 6. 199 No. 03-1207, Rumsfeld v. Padilla, 542 U.S. (2004). Il testo della sentenza è riportato in appendice 7. 200 Johnson versus Eisentrager, 339 U.S. 763 (1950)

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- che sia stato processato e condannato da una military commission al di fuori del territorio degli

Stati Uniti per violazioni delle leggi di guerra commesse al di fuori di questo; e

- che sia stato, per tutto il tempo, recluso al di fuori del territorio degli Stati Uniti.

Nel corso del giudizio, il Governo ha, inoltre, citato quale precedente la pronuncia della

Corte Suprema, nel caso Ahrens contro Clark,201 nella quale è stata affermato il difetto di

giurisdizione della District Court di Columbia in ordine alle istanze di Habeas Corpus presentate da

cittadini stranieri detenuti ad Ellis Island (New York), sulla base del fatto che il General Federal

Habeas Corpus Statute, 28 USC, paragrafi 2241-2243, utilizzando la frase “all’interno della

giurisdizione di propria competenza”, intende alludere alla presenza fisica dei ricorrenti all’interno

del territorio sul quale la Corte esercita la propria giurisdizione.

L’Esecutivo ha, inoltre, messo in dubbio la possibilità di una applicazione extraterritoriale

delle leggi federali, e dunque la possibilità di configurare la titolarità del diritto di Habeas Corpus

in capo ai prigionieri stranieri di Guantánamo, ammettendo, tuttalpiù, la giurisdizione delle Corti

Federali nei confronti delle istanze presentate dai cittadini degli Stati Uniti detenuti a Guantanamo

Bay.

La Corte Suprema ha tuttavia precisato che il paragrafo 2241 del General Federal Habeas

Corpus Statute non opera alcuna distinzione tra cittadini statunitensi e stranieri detenuti dalle

autorità federali, così da ritenere improbabile l’eventualità che il Congresso, attraverso la

disposizione citata, avesse inteso far dipendere le garanzie previste dalla legge federale in materia di

Habeas Corpus dalla cittadinanza del detenuto. La Corte Suprema ha, quindi, osservato che,

indipendentemente dalle generali presunzioni di non applicabilità del diritto statunitense in ambiti

extraterritoriali, non è possibile escludere l’applicazione della legislazione in questione nei

confronti di soggetti detenuti “entro la completa giurisdizione ed il pieno controllo degli Stati

Uniti”, espressione questa utilizzata negli accordi tra gli Stati Uniti e Cuba del 1903.

Se gli Stati Uniti esercitano “completa giurisdizione e pieno controllo” su Guantànamo, tale

luogo di detenzione non può che essere soggetto alla giurisdizione federale; ciò indipendentemente

dall’esercizio della piena sovranità da parte degli Stati Uniti, su tale porzione dell’Isola.

I Giudici della Suprema Corte, nella decisione, hanno recepito il contenuto della sentenza

relativa al caso Braden contro 30th Judicial District Court of Kentucky,202 nella quale si afferma

che la presenza di un prigioniero all’interno del territorio sul quale si esercita la giurisdizione della

Corte Distrettuale non rappresenta, di per sé, requisito necessario per riconoscere all’interessato il

wright of Habeas Corpus. Ai fini dell’affermazione di tale diritto è, infatti, sufficiente che il

201 Ahrens v. Clark, 335 U.S. 188 (1948) 202 Braden v. 30th Judicial District Court of Kentucky, 410 U.S. 484 (1973).

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soggetto che ha in custodia il ricorrente sia sottoposto a tale normativa, legittimando in tal modo

una Corte degli Stati Uniti a giudicare la sua condotta nel caso specifico.

La Corte Suprema ha, pertanto, concluso affermando il diritto dei ricorrenti a richiedere alla

giurisdizione degli Stati Uniti di verificare la conformità della loro detenzione alle leggi federali,

atteso che le autorità militari della base di Guantánamo ne sono soggette.

b) Hamdi ed altri contro Rumsfeld, Segretario della Difesa ed altri.

Yaser Edam Hamdi, è stato catturato in Afghanistan alla fine del 2001. Nato in Luisiana da

una famiglia saudita, Hamdi risultava in possesso della doppia cittadinanza saudita e americana.

Dopo un iniziale internamento a Guantánamo, Hamdi veniva trasferito, in un primo tempo,

presso la base navale di Norfolk, in Virginia, e quindi presso la struttura militare di Charleston, in

South Carolina, ove in virtù del suo status di “unlawfull enemy combattant”, il Governo degli Stati

Uniti ha ritenuto di poterlo detenere a tempo indeterminato senza formulare a suo carico alcuna

accusa.

Il padre di Hamdi ha presentato a favore del figlio istanza di Habeas Corpus allo scopo di

ottenere, in sede giurisdizionale, l’accertamento della legalità della sua detenzione.

Il 21 Agosto 2002, la Corte Federale di Norfolk, investita della questione, ha stabilito che

Yaser Hamdi, indipendentemente dal suo status di “unlawfull enemy combatant”, ha diritto alla

difesa e a tutte le garanzie stabilite dal V e VI Emendamento.

Il 18 gennaio 2003, la Corte d’Appello di Richmond (4th Circuit), basandosi sui precedenti

del caso Turrito e dal caso Haupt (caso Quentin), ha accolto il ricorso presentato

dall’Amministrazione contro la sentenza di primo grado, affermando che i combattenti nemici

possono essere legalmente detenuti senza bisogno di elevare ufficialmente accuse a loro carico,

poiché “quando il Paese è attaccato, la separazione dei poteri assume un significato particolare,

giacché che la responsabilità della guerra ricade sul potere esecutivo”.

Contro tale sentenza Hamdi ha presentato ricorso alla Corte Suprema investendola di due

distinte questioni: possono gli Stati Uniti mantenere detenere un proprio cittadino ritenuto

“combattente illegittimo” sulla base di una direttiva politica generale, senza accusarlo di alcun

crimine? E, nel caso, affermativo, per quanto tempo? Può avvalersi del diritto di Habeas Corpus, il

detenuto che contesta il proprio status di combattente illegittimo? E, in caso, affermativo, in quale

forma?

La Corte Suprema, in tale giudizio pur ammettendo la legittimità del potere del Governo di

detenere i cittadini statunitensi ritenuti combattenti nemici illegittimi in quanto catturati nel corso

delle ostilità condotte contro le forze armate degli Stati Uniti, ha, tuttavia, annullato con rinvio la

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sentenza della Corte d’Appello, stigmatizzando le scarse garanzie accordate a Yasser Hamdi nel

corso del giudizio.

La decisione trova fondamento nel precedente Youngstown Sheet & Tube Co. contro

Sawyer,203 nel quale, il Giudice Jackson nella sua “opinione concorrente”, ebbe a precisare che gli

atti che investono la potestà di agire dell’Esecutivo, possono essere, sostanzialmente, ricondotti a tre

categorie: quelli implicitamente o esplicitamente autorizzati dal Congresso; quelli nei confronti dei

quali il Congresso non si è espresso; e, infine, quelli nei confronti dei quali il Congresso ha

esplicitamente o implicitamente posto in essere atti incompatibili.

Nel corso del giudizio, l’Esecutivo ha, rivendicato il proprio diritto di detenere a tempo

indeterminato sia a fronte della necessità di sottoporli ad interrogatori sia per impedirne il ritorno

sul “campo di battaglia”, sottolineando, inoltre, il fatto che la Corte Suprema non avesse alcuna

necessità di verificare la legittimità della detenzione, dal momento che lo stesso Congresso aveva

legittimato i provvedimenti presidenziali mediante l’Authorization on the Use of the Military Force,

con la quale il Presidente è stato autorizzato ad usare tutta “la forza appropriata e necessaria” per

prevenire che gli organizzatori degli attacchi dell’11 settembre potessero ripetere tali atti in futuro.

I provvedimenti presidenziali rientrerebbero, dunque, secondo l’esecutivo, nella prima

categoria di atti in quanto i poteri del Presidente risultano esercitati di concerto con il Congresso. Il

Governo ha, quindi, osservato che, anche nell’ipotesi in cui si dovessero ritenere riconducibili alla

seconda o alla terza categoria, il Presidente disporrebbe, comunque, in quanto tale, del potere di

mantenere in detenzione cittadini statunitensi.

Sul punto, il ricorrente ha replicato affermando che una forma di detenzione di tale genere

sarebbe stata esclusa, da oltre cinquant’anni, dal Non-Detention Act, 18 USC, paragrafo 4001 (a) nel

quale è stabilito che “nessun cittadino può essere imprigionato o detenuto in altro modo se non in

esecuzione di una legge del Congresso”.

La maggioranza dei Giudici ha ritenuto che l’Authorization on the Use of the Military

Force soddisfi i requisiti richiesti dal paragrafo 4001 (a) del Non-Detention Act, dal momento che la

detenzione degli enemy combattant risulta riconducibile al predetto uso della forza. Altri Giudici,

hanno, invece, ritenuto in una “opinione parzialmente concorrente” che la garanzia offerta dal par.

4001 (a) possa essere esclusa solo in presenza di una più intesa autorizzazione del Congresso,

citando, in proposito, le parole del Giudice Jackson, là dove, nel caso Youngstown, ebbe ad

affermare che: “il Presidente non è il Comandante in Capo del Paese, ma solo delle Forze Armate”.

Questi ultimi, hanno, infine, affermando che, anche volendo ammettere, in linea generale, che

203 Youngstown Sheet & Tube Co. v. Sawyer, 343 U.S. 579 (1952),

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l’Esecutivo sia autorizzato ad agire in presenza di un pericolo imminente, tale situazione non è

riscontrabile nella vicenda in esame, dal momento che Hamdi è detenuto da oltre due anni.

Il Giudice Scalia, si è tuttavia opposto con forza all’opinione maggioritaria. Pur

concordando con i Giudici Souter e Ginsburg in ordine al fatto che l’Authorization on the Use of the

Military Force risulti sufficiente per giustificare la preventiva carcerazione, ha rilevato che nessun

conferimento di poteri al Presidente può essere ritenuto equivalente ad un provvedimento di

sospensione del writ Habeas Corpus da parte del Congresso e, dunque, tale da giustificare l’operato

presidenziale. Dal momento che tale sospensione non vi è stata, di fronte alla petizione di tale

garanzia, non vi sarebbe altra soluzione possibile che accusare Hamdi di un crimine o rilasciarlo.

In ordine alla durata della detenzione il Giudice O’Connor ha rilevato che “una detenzione a

tempo indeterminato finalizzata all’interrogatorio dei prigionieri non è autorizzata”, mentre rimane

legittima nel caso in cui abbia lo scopo di impedire al soggetto di tornare a combattere.

Aderendo al predetto assunto, la maggioranza dei Giudici ha ritenuto che l’unica

giustificazione a tale tipo di detenzione può essere ravvisata nell’intenzione di impedire al

combattente nemico di ritornare a combattere, e ciò solamente fino a che siano in corso le ostilità.

La Corte Suprema ha, pertanto, ritenuto legittima la privazione di Hamdi del diritto di essere

preventivamente informato delle accuse a suo carico ma non anche dell’esercizio del diritto di writ

Habeas Corpus, e cioè del diritto di richiedere ad un tribunale competente di ordinare

all’Amministrazione di esibire gli elementi di fatto e di diritto posti ha fondamento delle misure

restrittive della libertà personale. La Corte ha inoltre confermato la legittimità della detenzione a

tempo indeterminato nella misura in cui la stessa impedisce al ricorrente di tornare a combattere.

In ordine alla seconda questione proposta, ovvero se esistano o meno degli strumenti legali

di cui Hamdi possa avvalersi per far accertare la legalità della qualifica di combattente nemico

illegittimo attribuitagli sulla base di una decisione politica e di uno standard prefissato

dall’Amministrazione, la Corte Suprema si è pronunciata affermando che gli standards probatori in

questione possono essere ritenuti ammissibili solo nel caso in cui sia prevista la possibilità di

confutarli in sede giudiziale. L’impossibilità di accedere a tale procedimento priva, pertanto,

l’accusato della possibilità di contestare quelle che, allo stato degli atti, devono essere considerate

semplici affermazioni delle autorità governative; ciò in considerazione del fatto che una simile

procedura presenta l’elevato rischio di privare illegalmente un individuo della propria libertà.

La Corte Suprema, inoltre, pur riconoscendo l’interesse del Governo ad un efficiente

funzionamento delle strutture militari - funzionalità che potrebbe essere messa a rischio nel caso

queste fossero tenute a seguire le tradizionali procedure di indagine e interrogatorio finalizzate ad

accertare lo status di combattente nemico di ciascun prigioniero catturato durante i combattimenti -

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non ha rinvenuto nella documentazione fornita dalle autorità militari prove sufficienti ad attribuire

ad Hamdi lo status di unlawful enemy combattant. In particolare, i Giudici non hanno ritenuto

sufficienti a tale scopo gli interrogatori ai quali Hamdi è stato sottoposto nel corso della detenzione,

giudicando invece idonei quelli resi davanti ai Tribunali militari.

Infine, come già accaduto nel caso Rasul, Al Odah ed altri, l’Esecutivo, ha sostenuto che i

poteri del Presidente quale Comandante in Capo delle forze armate risultano talmente ampi da non

rendere necessaria una specifica autorizzazione del Congresso ad emanare provvedimenti restrittivi

della libertà personale. In proposito la Corte Suprema, essendosi già pronunciata in ordine alla

capacità dell’Authorization on the Use of the Military Force di derogare al Non-Detention Act,

senza entrare nel merito, si è limitata ad affermare che “uno stato di guerra non rappresenta un

assegno in bianco (“a blank check”) in favore del Presidente, quando sono in gioco i diritti dei

cittadini degli Stati Uniti”.

c) Rumsfeld, Segretario alla Difesa contro Padilla ed altri.

Il pregiudicato Jose Padilla, cittadino americano convertitosi all’Islam con il nome di

Abdullah Al Muhajir, è stato arrestato all’aeroporto di Chicago l’8 maggio 2002, al momento del

suo rientro dal Pakistan, su richiesta delle autorità di polizia del Distretto Meridionale di New York

in quanto sospettato di appartenere ad Al-Qaida e di essere in procinto di fabbricare una “dirty

bomb”. Il 9 giugno 2002, dopo un mese di detenzione a New York, Padilla è stato trasferito nel

carcere militare di Charleston, in South Carolina, in esecuzione di una disposizione emanata dal

Presidente Bush e dal Segretario della Difesa Rumsfeld che lo identifica come “unlawfu lenemy

combattant”, dove è stato affidato alla custodia del Comandante Melanine Marr.

dove è stato affidato in custodia al Comandante Melanie Marr.

Due giorni dopo, l’11 giugno 2002, il difensore d’ufficio, all’oscuro del trasferimento del

proprio cliente, ha presentato un ricorso per writ Habeas Corpus alla Corte distrettuale di New

York, al fine di accertare la legalità della detenzione di Padilla.

La Corte Distrettuale si è, in primo luogo, pronunciata in merito all’ individuazione della

“controparte” ritenendola correttamente individuata nel “Segretario alla Difesa” Donald Rumsfeld,

la cui assenza fisica dal Distretto Meridionale è stata giudicata irrilevante ai fini del giudizio. Il

Giudice di primo grado al termine del procedimento ha ritenuto legittima la detenzione di Padilla e

di altri “combattenti nemici” catturati in territorio statunitense durante il tempo di guerra deliberato

dal Presidente degli Stati Uniti nella sua veste di Comandante in Capo delle Forze Armate; ciò

indipendentemente dall’esistenza di atti del Congresso che ne approvino l’operato.

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La Corte d’Appello (2th Circuit) ha ribaltato il verdetto di primo grado, giudicando

illegittimo lo stato di detenzione stabilito dal Presidente, ritenendolo sprovvisto, anche in tempo di

guerra, del potere di detenere, cittadini statunitensi sul territorio degli Stati Uniti, in mancanza di

un espresso provvedimento del Congresso in tal senso.

La Corte Suprema, investita del giudizio a seguito del ricorso dell’Esecutivo, non ha

espresso, nel caso in esame, alcuna valutazione in merito alla portata dei poteri presidenziali,

pronunciandosi, in primo luogo sulla competenza della Corte Distrettuale di New York e quindi

circa la possibilità di mantenere Padilla sotto custodia militare a tempo indeterminato senza elevare

alcuna accusa a carico dello stesso.

Per quanto attiene al primo punto, la Corte Suprema ha individuato nel Comandante Marr la

“corretta controparte” del ricorso. L’opinione di maggioranza, ha, infatti, richiamato

l’interpretazione della legge federale sull’Habeas Corpus secondo cui la “corretta controparte” deve

essere individuata nella “persona che ha in custodia il ricorrente”. A fronte di quanto sopra, il

Segretario alla Difesa Donald Rumsfeld non può essere considerato la “corretta controparte” non

avendo esercitato alcun tipo di controllo fisico sul prigioniero al momento della presentazione del

ricorso; controllo al contrario esercitato dal Comandante Marr.

A fronte di quanto sopra, la Corte ha escluso la competenza del Distretto Meridionale di

New York, e trasmesso gli atti alla Corte Distrettuale del South Carolina, atteso che il Comandante

Marr, nella veste di “custode del ricorrente”, può essere parte nei soli procedimenti giurisdizionali

celebrati in tale distretto.

Secondo l’opinione dissenziente del Giudice Stevens, alla quale si sono uniti i Giudici

Souter, Ginsburg e Breyer la controparte del ricorso doveva, al contrario, essere individuata nel

Segretario della Difesa, tenuto conto sia della sua “familiarità con le circostanze relative alla

detenzione di Padilla, sia del suo personale coinvolgimento nella gestione del caso; quanto sopra

anche sulla base del precedente della Corte Suprema Ex Parte Endo, 323 U.S. 283 (1944) - citato

dalla Amministrazione in favore di tale tesi - nel quale viene stabilito che la competenza della sede

giurisdizionale dove é stata presentata un’istanza di Habeas Corpus permane anche quando il

ricorrente sia stato, in seguito, trasferito in altra località.

L’opinione di maggioranza ha, tuttavia, escluso che il precedente possa avere qualsiasi

rilevanza nel caso in esame, dal momento che il Distretto di New York non ha mai acquisito

un’effettiva competenza sul ricorso di Padilla, atteso che già due giorni prima della presentazione

del ricorso questi si trovava detenuto presso la base della U.S. Navy di Charleston.

Il Giudice Stevens ha, inoltre, precisato la peculiarità dello stato di detenzione del ricorrente,

evidenziando come l’Amministrazione non avesse preventivamente informato il difensore di Padilla

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dell’intenzione di trasferire il suo cliente in South Carolina. Questa infrazione della “onorevole e

consolidata prassi di fornire informazione in modo leale alla controparte” da parte dell’Esecutivo

rappresenterebbe la causa della confusione sorta nel caso in oggetto, dal momento che è lecito

presumere che se il difensore fosse stato informato per tempo del trasferimento sotto custodia

militare del proprio cliente, con tutta probabilità avrebbe presentato l’istanza di Habeas Corpus due

giorni prima, quando la presenza fisica di Padilla a New York rendeva il Distretto Meridionale

competente a decidere sulla questione.

Il Giudice Stevens ha quindi richiamato la pronuncia della Corte Suprema nel caso Braden

contro 30th Judicial District Court of Kentucky là dove afferma che “fino a quando è possibile

sottoporre a provvedimenti giurisdizionali il soggetto che detiene il ricorrente, la Corte può emanare

un “writ” all’interno della propria giurisdizione (“within its jurisdiction”) chiedendo che il

prigioniero sia condotto alla sua presenza per ascoltarlo in merito al ricorso, anche se il prigioniero

è detenuto al di fuori del territorio sul quale si esercita la competenza della Corte”.

3.3. La sentenza della Corte Suprema del 29 giugno 2006 nel caso Hamdan contro Rumsfeld,

Segretario della Difesa ed altri e i successivi provvedimenti dell’Amministrazione Bush.

In data 8 novembre 2004, la Corte del Distretto di Columbia, a parziale accoglimento della

petition for writ of Habeas Corpus presentata dallo yemenita Salim Ahmed Amdam, guardia del

corpo ed autista di Osama Bin Laden, catturato nel novembre 2001 in Afghanistan, disponeva la

sospensione del processo in attesa dell’accertamento preliminare dello status del ricorrente.204

Il Giudice di primo grado aveva, infatti, affermato che, pur essendo illegittima la detenzione

di Hamdan a Guantànamo, non era possibile disporre né la liberazione, né il trasferimento in altro

luogo di detenzione, giacché il suo status, di “prigioniero di guerra” o di “combattente illegittimo”,

non era ancora stato accertato dal Combatant Status Review Tribunal.

Nella sua pronuncia il Giudice distrettuale aveva, inoltre, dichiarato che, anche nell’ipotesi

in cui al ricorrente fosse stato negato lo status di prigioniero di guerra, questi non avrebbe potuto

essere processato da una commissione militare fino a che le regole che ne informano la cognizione

non fossero state modificate in senso conforme all’art. 102 della III Convenzione di Ginevra del

1949205 e all’art. 18 dello Uniform Code of Military Justice, laddove è stabilito che i prigionieri di

guerra accusati di crimini di guerra devono essere processati da una Corte Marziale.

204 Hamdan v. Rumsfeld et al., 334 F. Supp. 2d 152 (DC 2004) 205 III Cov. Gi. 49, art. 102: “Una sentenza può essere pronunciata validamente contro un prigioniero di guerra soltanto dagli stessi tribunali e secondo la stessa procedura stabilita per le persone appartenenti alle forze armate della Potenza detentrice e, inoltre, soltanto se saranno osservate l disposizioni del presente capitolo”

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Tale decisione veniva, tuttavia, ribaltata (reversed) dalla Corte di Appello del Distretto di

Columbia a seguito del ricorso dell’Amministrazione. Il Giudice di secondo grado ha, infatti,

dischiarato, da un lato la legittimità costituzionale delle military commissions e dall’altro la non

applicabilità delle Convenzioni di Ginevra al caso in questione (the Geneva Conventions are are not

judicially enforceable), essendo le stesse destinate a disciplinare, sulla base dell’art. 2 “comune”, i

conflitti armati fra Stati e non anche la situazione di guerra fra gli Stati Uniti e al Qaeda.

Il 29 giugno 2006, la Corte Suprema si è pronunciata in ordine al ricorso interposto da

Hamdan nei confronti della sentenza della Corte di Appello, affrontando preliminarmente, fra le

varie eccezioni, la questione sollevata dal Governo in ordine al difetto di giurisdizione della

Suprema Corte, data l’applicabilità, ai ricorsi pendenti alla della sua entrata invigore delle

disposzioni del “Detainee Treatment Act of 2005”, che, come si è detto, hanno attribuito alla

“Court of Appeals for the District of Columbia Cicuit” giurisdizione esclusiva in merito

all’impugnazione delle decisioni delle military commissions. 206

I Giudici di maggioranza hanno, tuttavia, negato la retrottaività del Detainee Treatment Act

of 2005 confermando la giurisdizione della Corte Suprema in ordine ai predetti ricorsi, rilevando,

altresì, come una delle imputazioni mosse ad Hamdan, quella di “conspiracy”, da sempre utilizzata

per semplificare gli oneri probatori dell’accusa, fosse estranea alle “violations of law of war” e

dunque anche alla competenza delle military commissions.207

La Corte Suprema, entrando nel merito, ha ritenuto che tali commissioni rislutano istituite in

violazione degli artt. 21 e 36 dello Uniform Code of Military Justice (UCMJ) e dell’art. 3 “comune”

alle Convenzioni di Ginevra del 1949.

La giurisdizione delle military commissions, non risulta, infatti, prevista dalla Costituzione

né da qualsiasi legge. Tale giudice, che trae origine dalla “military necessity” è stato, infatti,

utilizzato in tre differenti situazioni: “in sostituzione delle corti “civili” dopo la dichiarazione di

applicabilità della legge marziale; per processare civili nei territori occupati o consegnati dal

nemico, quando è collassato il sistema delle corti ordinarie ed, ancora, per processare, in tempo di

guerra, quei nemici che, nel tentativo di opporsi o impedire le azioni belliche statunitensi, abbiano

violato la “law of war”.208

“Secondo l’art. 21 dello Uniform Code of Military Justice, norma di riferimento in materia,

le military commissions debbono essere istituite o per esplicita autorizzazione del Congresso, cosa

non accaduta in questa circostanza, o, comunque, quando se ne rinvenga la necessità, nel rispetto

della “law of war””. L’opinione di maggioranza “non giunge a risolvere la questione relativa al fatto 206 No. 05-184, Hamdan v. Rumfseld (2006) 207 M. Miraglia, Lotta al terrorismo internazionale negli USA: morte e resurrezione delle military commisisons, in Diritto penale e processo, n. 12/2006, p.1569. 208 Ibidem, p.1570.

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che il Presidente abbia esercitato un potere legittimo istituendo le military commissions, perché le

stesse sono da considerarsi, comunque, in violazione dell’ “American common law of war”, del

disposto dell’UMCJ e delle “rules and precepts of the law of nation”, fra le quali rientrano, secondo

i giudici, le quattro Convenzioni di Ginevra del 1949”.209

“Dopo aver rigettato l’eccezione del Governo in base alla quale la Corte avrebbe dovuto

astenersi da qualunque giudizio in merito alle regole processuali applicate dalla Military

Commissions investita del processo a carico di Hamdan, fino alla conclusione dello stesso” e dopo

aver individuato le maggiori criticità del “Military Commission Order No. 1”, così come modificato

il 31 Agosto 2005, la Corte ha rilevato come, storicamente, la differenza fra le commissioni militari

e le corti marziali risieda nella giurisdizione e non anche alla procedura, essendo queste ultmime

tenute a conformarsi alle disposizioni dello UMCJ.210

Secondo l’opinione di maggioranza, infatti, le military commissions fondano il proprio

giudizio su prove che la difesa non può esaminare violando il diritto dell’accusato di conoscere gli

elementi a suo carico e di contestarne l’attendibilità.

Nella sentenza i giudici hanno, inoltre, confermato il valore ed il ruolo del diritto

internazionale, precisando che le Convenzioni di Ginevra del 1949 devono trovare, comunque,

applicazione nel caso in questione, essendo applicabili ai conflitti “not of an internazionale caracter

le garanzie minimali previste dall’art. 3 “comune” alla quattro Convenzioni di Ginevra del 1949.

La Corte ha, quindi, affermato che la giurisdizione delle commissioni viola, oltre alle norme

di diritto interno, anche l’art. 3 “comune”, là dove dispone che le persone catturate siano processate

da un giudice imparziale e regolarmente costituito con tutte le garanzie giudiziarie riconosciute

dalle nazioni civili; caratteristiche queste che mal si conciliano con la costituizione e le procedure

seguite avanti le military commissions.

Pochi mesi dopo tale sentenza e precisamente il 17 ottobre 2006, il Presidente Gorge W.

Bush ha sottoscritto il “Military Commission Act of 2006”, con il quale il Congresso ha attribuito

alle military commissions giurisdizione esclusiva in merito agli atti contro la sicurezza nazionale

commessi da “any alien unlawful combatant”.211

Il Congresso, infatti, pur riconoscendo, in parte, la fondatezza dei rilievi della Corte

Suprema, ha sottolineato come l’obbiettivo del legislatore, in questo particolare stato di emergenza

costituzionale, debba essere quello di individuare i terroristi e di processarli secondo le leggi di

guerra.212 Secondo il Congresso il “judicial review” del Military Commissions Act,

209 Ibidem 210 Ibidem 211 L. Patruno, “Il Congresso americano vara il “Military Commissions Act of 2006”: l’estremismo dello “stato di eccezione” e l’incostituzionalità delle sue regole speciali”, www.costituzionalismo.it . 212 Military Commission Act of 2006, Section 2.5, Findings.

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rappresenterebbe un unicum nella storia dei conflitti armati degli Stati Uniti, essendo

specificamente modellato sulla lotta al terrorismo. Con tale atto non sarebbe, dunque, possibile

ledere i diritti fondamentali o le garanzie offerte dalle Convenzioni di Ginevra, trattandosi di

obblighi assunti tra Nazioni e non tra una Nazione e dei terroristi.213

A fronte di tale ratio non è difficile comprende perché le procedure previste dalla nuova

normativa si presentino in gran parte estranee al Bill of rights e di conseguenza allo Stato di diritto.

Significativo in proposito il paragrafo 949.a del Military Commission Act of 2006 relativo

alla disciplina delle prove presentate dall’accusa. Le prove “a carico” saranno, infatti, ammissibili

se, a parere del Giudice militare, potranno assumere un qualche valore probatorio secondo il metro

di una persona ragionevole (reasonable person). Inoltre non potranno essere escluse solo perché

raccolte senza mandato o altra autorizzazione. Infine le dichiarazioni dell’accusato o la confessione

di questi non saranno escluse per il solo fatto di essere state rese sotto “coercizione”, sempre che si

presentino conformi a quanto stabilito nel paragrafo 648.r. Il paragrafo 648.r, tuttavia, dopo aver

genericamente escluso l’utilizzabilità delle dichiarazioni rese sotto “tortura”, dispone che le

dichiarazioni contestate per il grado di coercizione esercitato possano essere utilizzate ogni qual

volta il giudice militare ritenga che il complesso delle circostanze le renda affidabili e dotate di

sufficiente valore probatorio e sia reso all’interesse della giustizia un “miglior servizio” con la loro

ammissione.

Sulla scorta di tale provvedimento è stato definitivamente sancito che gli “enemy

combatants” nel corso dei processi dinanzi alle commissioni militari non potranno avere assistenza

legale esterna, che le prove a loro carico rimarranno segrete e che, dopo la Sentenza, non sarà

possibile ricorre alle Corti di Appello Federali.

Martin Sheinin, relatore delle Nazioni Unite sui diritti umani e le libertà fondamentali

nell’ambito della lotta contro il terrorismo, ha commentato la legge affermando che può costituire

un pericoloso esempio per altri Paesi, poiché che le disposizioni contenute risultano in palese

contrasto con le leggi internazionali ed in particolare con il diritto internazionale umanitario.214

Il presidente del Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR), Jakob Kellenberger ha

affermato che la nuova legge “viola le Convenzioni di Ginevra”, precisando che l’autorizzazione

dell’uso da parte dei militari americani di metodi di interrogatorio aggressivi, la detenzione dei

sospetti terroristi in prigioni segrete e i processi interamente gestiti da militari si presenta in aperto

contrasto con le norme di diritto internazionale.

“Ad una prima lettura questa legge solleva inquietudine e molti quesiti”, ha detto il

presidente del CICR, ciò in ragione sia “dell’ampia definizione che è stata data della figura del 213 L. Patruno, “Il Congresso...” cit. 214 Esperto ONU: legge USA antiterrorismo, www.articolo11.com..

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“combattente nemico illegittimo”, sia “del fatto che non è esplicitamente vietata l’ammissione di

prove ottenute con metodi coercitivi”.

Kellenberger ha, quindi, sottolineato come la nuova legge ignori le disposizioni dell’art. 3

“comune” alle quattro Convenzioni di Ginevra del 1949, che vieta il trattamento umiliante e

degradante e il rifiuto di un giusto processo. “Con il tempo, la protezione offerta dall’art. 3

“comune” è diventata così essenziale durante i conflitti che le sue disposizioni sono considerate

oggi degli elementi fondamentali di umanità che devono essere rispettati in tutti i tipi di conflitti

armati”, ha aggiunto il presidente CICR. “Si tratta di uno standard “minimo” che tutti i paesi

devono applicare in maniera integrale”. Kellenberger ha, quindi, ricordato che la sentenza della

Corte Suprema del 29 giugno 2006 ha riconosciuto l’art. 3 “comune” come il “quadro giuridico

minimo applicabile alle persone arrestate nell’ambito della lotta al terrorismo”.215

Fra le vittime della guerra al terrorismo compare, quindi, anche la Costituzione degli Stati

Uniti, colpita, in particolar modo, nel funzionamento dei tradizionali metodi di “controllo” e

“bilanciamento” (checks and balances) che ne hanno permeato l’architettura costituzionale.

Le recenti decisioni della Corte Suprema hanno, tuttavia, dimostrato la grande capacità degli

Stati Uniti di generare continui anticorpi alle infezioni provocate da ogni eventuale eccesso di

potere dell’Esecutivo. Non resta, dunque, che attendere le prossime pronuncie relative alla

compatibilità tra il predetto impianto normativo ed i diritti civili garantiti dalla Costituzione.

215 Croce Rossa: legge antiterrorismo USA viola il diritto internazionale, Croce Rossa Italiana, Comitato della Provincia Autonoma di Bolzano, www.cri-bz.it.

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CAPITOLO V

LA LEGISLAZIONE ANTITERRORISMO NEL REGNO UNITO

1. Cenni storici.

L’analisi della legislazione antiterrorismo del Regno Unito non può prescindere da alcuni

cenni circa l’evoluzione del crimine di “terrorismo” così come elaborato nel tempo dal sistema

giuridico britannico.

In Gran Bretagna, il reato di “terrorismo” é stato a lungo compreso nella categoria dei

crimini “contro lo Stato”, dando origine ad una visione visione del fenomeno terroristico simile a

quella rinvenibile nella legislazione Italiana degli anni 1970-80, sebbene nella storia giuridica

anglosassone i “reati contro lo Stato” fossero già ben delineati nel 1300.

Il Treason Act del 1351, prevedeva, infatti, che fossero considerati “tradimento”, e quindi

reati contro la “sovranità dello Stato”, gli atti di complotto volti a procurare la morte del re, della

regina e dell’erede al trono, gli atti di guerra mossi contro il re all’interno del regno come pure ogni

altra attività volta a favorire o sostenere i nemici del sovrano presenti all’interno del Paese,

compreso il fatto di fornire loro aiuto in qualsiasi territorio diverso da quello della corona.

Fino dal IV Secolo la normativa britannica ha dunque criminalizzato le violazioni del dovere

di fedeltà nei confronti del “sistema Stato”, sistema all’epoca direttamente riconducibile alla

persona del Sovrano, identificando il “terrorista” con la figura del “traditore regicida”, figura

destinata a caratterizzare il fenomeno terroristico della seconda metà del 1800 sino agli Anni 40.

Nel XVII e nel XVIII secolo, il dettato normativo del Treason Act del 1351 fu riformulato

coerentemente all’elaborazione giurisprudenziale dei tempi. Comparvero così i cosiddetti “atti di

tradimento presunti” individuati sulla base delle legal rule del diritto giurisprudenziale.

Il Treason Act del 1795, stabilì, quindi, che gli “atti di tradimento presunti” dovessero essere

considerati atti di tradimento ad ogni effetto, dando in tal modo origine ad una figura delittuosa

antesignana rispetto al moderno delitto di “attentato”, laddove il tentativo stesso diviene elemento

costitutivo della fattispecie.

Nel 1848, il Treason Felony Act ricondusse le figure criminose previste dal Treason Act ad

una categoria di gravi delitti: le “treason felonies”.

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Agli inizi del XX Secolo, la situazione venutasi a creare durante la guerra di indipendenza

irlandese (1919-1921), rese indefettibile la necessità di procedere ad una completa rivisitazione

della normativa, ciò in ragione del ricorso sistematico ad atti di “terrorismo” da parte dell’Irish

Republican Army (IRA), il braccio armato del Sinn Fein, il partito repubblicano irlandese, all’epoca

guidato da Eamon De Valera e Michael Collins.

Da tale momento storico in avanti, l’atto terroristico, travalicando l’originario obiettivo

rappresentato dalla sovrano e dalla sua famiglia, aderendo a fenomeni ideologici indipendentisti e

repubblicani che in quegli anni si erano manifestati in numerosi Stati dell’ Europa occidentale,

assunse i connotati di uno scontro sistematico con il Governo al potere allo scopo di ottenere, in

molti casi, un risultato di carattere politico: l’indipendenza.

Andava così maturando il definitivo passaggio al concetto di “terrorismo moderno”, inteso

come tentativo di colpire le Istituzioni attraverso l’utilizzo bimodale e strategico del “terrore”,

finalizzato ad abbattere non solamente il sistema politico ma anche e soprattutto il senso della

sicurezza nella popolazione.

Dopo il Trattato anglo-irlandese del 1929, per effetto del quale l’Isola venne divisa in due

parti, l’attività terroristica nelle sei province del Nord assunse il carattere di lotta per

l’autodeterminazione.

2. Il Civil Authority (Special Powers) Act.

Pochi anni prima,nel 1922, in occasione della guerra civile irlandese (1922-1923), era

entrato in vigore nel Paese il Civil Authority (Special Powers) Act, un provvedimento che prevedeva

forme di arresto e di detenzione preventiva da effettuarsi anche al di fuori delle procedure giudiziali,

senza vincoli e, in taluni casi, senza termini perentori.

Le forme di privazione della libertà personale previste per coloro che venivano sospettati di

appartenere ad organizzazioni terroristiche o di essere in procinto di compiere attentati terroristici

andavano dall’ arresto a scopo di interrogatorio (Regulation 10) al fermo che poteva essere operato

indistintamente da appartenenti alle Forze di Polizia, dai membri delle Forze armate, o addirittura,

in particolari circostanze e in specifici casi, da “personale dell’Amministrazione” delegato dal

Ministro degli Interni.

Il presupposto per l’applicazione di tali misure era costituito dal fatto che “il sospettato

agisse, avesse intenzione di agire o avesse agito in modo tale da pregiudicare il mantenimento della

pace o dell’ordine pubblico” (Regulation 11). L’arresto poteva avere una durata massima di 48 ore,

mentre il fermo di polizia poteva durare sino a 72 ore, decorse le quali l’indiziato doveva

obbligatoriamente essere posto in libertà.

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I provvedimenti di carattere eccezionale previsti dal Civil Authority Act autorizzavano,

inoltre, la “detenzione in custodia per ordine delle Autorità di Pubblica Sicurezza” (Regulation 11),

un provvedimento restrittivo della libertà personale che poteva avere una durata massima di 28

giorni, nonché una forma di “internamento di sicurezza” disposta dal Ministero dell’Interno sulla

base delle indicazioni ricevute dall’Autorità di polizia, per il quale non era previsto l’obbligo di dare

avviso all’Autorità Giudiziaria (Regulation 12). Tale misura restrittiva non era, inoltre, soggetta ad

alcun termine, sicché era possibile e giuridicamente lecito che un “sospetto terrorista”, a fronte di

una segnalazione della Polizia, in virtù di un provvedimento amministrativo prorogabile sine die,

fosse privato per anni della libertà senza l’intervento dell’autorità giudiziaria.

3. L’Emergency Provision Act del 1973.

Il 27 giugno 1970, l’IRA riprese le ostilità iniziando ad operare una attenta selezione degli

obiettivi, rivolgendo la propria azione nei confronti delle forze armate del Regno Unito, delle

istituzioni britanniche presenti nell’Ulster e dei protestanti irlandesi “orangisti”.

In un’ottica di destabilizzazione “bifasica”, il terrorismo intendeva, infatti, “minare” con

azioni terroristiche la sicurezza delle istituzioni inglesi sul territorio, indebolendo, al contempo, la

fiducia nell’Unione della popolazione civile della restante porzione di Regno.

Nello stesso anno l’Irish Repubblican Army si divise in una linea “official” allineata su

posizioni marxiste e, dunque, estranea ad ogni forma di lotta violenta differente da quella di massa,

ed una linea “provisional” ispirata al modello sud-irlandese di mezzo secolo prima.216

Nel 1972, dopo la soppressione del Parlamento di Stoumont e il “bloody Sunday” di

Londonderry (30 gennaio 1972), il governo britannico decise di assumere direttamente il controllo

dell’ordine pubblico nell’Irlanda del Nord (Direct Rule).

Nel 1973, dopo il venerdì di sangue del 31 luglio 1972, in sostituzione del Civil Authority

(Special Powers) Act del 1922, fino ad allora in vigore, venne emanato, in Irlanda del Nord,

l’Emergency Provision Act (EPA), con il quale furono istituite le Diplock Courts, dei tribunali

speciali competenti in materia di terrorismo, prive di giuria popolare, costituite da un giudice

monocratico davanti ai quali le testimonianze potevano essere assunte anche senza una cross

examination217 e confronto. L’EPA ampliava, inoltre, i poteri di arresto e di perquisizione attribuiti

alla Polizia e alle Forze Armate, prolungava il termine del fermo di polizia, fino a 72 ore, senza

l’obbligo di darne notizia all’Autorità Giudiziaria, introducendo inoltre una sorta di presunzione di

colpevolezza nel caso di possesso illegale di armi ed esplosivi.

216 L. Bonanate, Terrorismo internazionale, Firenze, 2001, p. 96 e ss.. 217 L’ “interrogatorio incorciato”.

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Lo stesso anno il terrorismo irlandese, reagendo a tali provvedimenti, colpì

indiscriminatamente il suolo britannico con attentati esplosivi rivolti nei confronti di alcuni grandi

magazzini, di una delle principali vie di Londra e del Palazzo della Borsa.

4. Il Prevention of Terrorism Act del 1974

All’EPA, fece seguito, nel 1974, il Prevention of Terrorism Act (PTA), applicato in tutto il

Regno Unito. Il provvedimento di legge, oltre la messa al bando di alcune formazioni di tipo

paramilitare, prevedeva la possibilità di limitare, con un provvedimento del Ministro degli interni o

del Segretario di Stato per il Nord Irlanda, il diritto di spostarsi liberamente all’interno del Paese, il

prolungamento del fermo di polizia oltre le 48 ore, prolungabile con il consenso del Ministro degli

Interni sino a sette giorni, senza l’obbligo durante tale periodo di formulare accuse e senza la

possiblità per il fermato di avalersi di un difensore. Il PTA aboliva inolte il diritto di Habeas

Corpus, e il diritto di non rispondere alle domande formulate in sede di interrogatorio.

5. Il Prevention of Terrorism Act del 1989.

Nel 1989, esaurito ogni tentativo di trovare una soluzione costituzionale alla “questione

irlandese”, il Governo britannico promulgò un nuovo Prevention of Terrorism Act con il quale

furono previste nuove figure criminose e nuove disposizioni in materia di arresto, detenzione

preventiva e modalità e termini di interrogatorio, allo scopo di ampliare i poteri della polizia delle

forze armate in materia di contrasto del terrorismo.

Per la prima volta nella storia della legislazione britannica, in un testo normativo si

rinvengono espressioni quali “organizzazioni proscritte” o “chiunque appartenga o dichiari di

appartenere ad una organizzazione proscritta”, espressioni che, come si dirà in seguito saranno

riprese dall’Antiterrorism Crime and security Act 2001, nel quale all’appartenenza a tali

associazioni consegue ope legis la qualifica di terrorista; ciò indipendentemente dal fatto che il

soggetto abbia posto in essere o meno un atto terroristico.

A norma delle sezioni 3, 9, 10 e 18, del Prevention Terrorism Act del 1989 il “reato di

terrorismo” può essere commesso:

a) istigando, sollecitando o ricevendo finanziamenti in denaro o in altri beni destinati ad atti di

terrorismo connessi con la situazione dell’Irlanda del Nord o del Regno Unito o in una parte di

questo diversa dall’Irlanda del Nord;

b) istigando o sollecitando contribuzioni in denaro o in altri beni ad organizzazioni proscritte, o

disponendo o ricevendo qualsiasi contributo alle sue risorse;

c) rifiutando senza giustificato motivo di rivelare informazioni, sapendo o supponendo che esse

possano essere d’aiuto per prevenire un atto di terrorismo legato alla situazione dell'Irlanda

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del Nord, o tale da permettere l’arresto, il processo o la condanna di una persona per un reato

che comporti un atto di terrorismo.218

E’ interessante rilevare come la normativa introduca, per la prima volta, una fattispecie

criminosa relativa al finanziamento del terrorismo.

6. Il Northern Ireland (Emergency Provision) Act del 1991 e il Criminal Justice and Public

Order Act del 1994.

Nel 1991, il Northern Ireland (Emergency Provision) Act, oltre a dettare disposizioni

relative alla perquisizione, all’arresto e all’ interrogatorio delle persone indiziate di terrorismo,

definisce “terrorista” “colui che è o è stato coinvolto nel compimento o nel tentativo di compimento

di un atto di terrorismo o nella direzione, organizzazione o addestramento di persone a scopi

terroristici”.

Nel 1994, il Criminal Justice and Public Order Act, nell’ applicare le disposizioni previste

dalla legislazione del 1991, finisce con il modificare in modo sostanziale la normativa del 1989,

arrivando al punto da definire reato “terroristico” anche il “semplice possesso di un solo oggetto

per il quale sia ragionevole sospettare uno scopo connesso ad un atto terroristico”.

Al riguardo, la Sezione 16A recita testualmente: “un individuo è considerato colpevole di un

reato se dispone di qualsiasi oggetto in circostanze che facciano sorgere il legittimo sospetto che

quell’oggetto sia nella sua disponibilità per un scopo connesso al compimento, alla preparazione o

all'istigazione degli atti terroristici cui si applica questa sezione”.219 Segue una dettagliata

descrizione degli atti di terrorismo, riferibili alla situazione in Irlanda del Nord e nel Regno Unito,

nonché al terrorismo internazionale, per finire con lo stabilire che deve essere considerato reato

terroristico anche il solo fatto di raccogliere informazioni, o essere in possesso di informazioni, che

potrebbero essere utili ai terroristi per compiere o pianificare le proprie operazioni.

L’elencazione di tali fattispecie, solo apparentemente esaustiva, offre definizioni talmente

ampie da non consentire alcuna “tipizzazione” .

7. Il Terrorism Act 2000.

Il 20 luglio 2000 il Governo britannico ha emanato un nuovo Terrorism Act 2000 destinato a

sostituire il Prevenction of Terrorism Act del 1989 e il Northern Ireland Emergency Provision Act.

La nuova normativa, entrata in vigore il 19 febbraio 2001, detta nel preambolo

(introductory) una definizione di “terrorismo”. Tale è considerata: “l’azione violenta (violent use) o

la minaccia (threat) dirette a influenzare il Governo, a intimidire la collettività o una parte di essa, o 218 United Kingdom Prevenction Terrorism Act 1989, artt. 3, 9, 10 e 18. 219 UK Criminal Justice and Public Order Act 1994, Section 16 para A.

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ad affermare finalità politiche, religiose o ideologiche”. Il provvedimento definisce, inoltre, “atti di

terrorismo” l’azione o la minaccia consistente in un grave violenza contro la persona o la proprietà

privata, l’azione che mette in pericolo la vita della persona o crea un grave pericolo all’incolumità

pubblica o alla sicurezza collettiva o parte di essa, nonché l’azione programmata per interferire in

modo grave nei confronti di un sistema elettronico.

Secondo il Terrorism Act 2000 l’azione deve essere considerata terroristica, ogni qual volta

tali atti, determinati da motivazioni politiche, religiose o ideologiche, pur non essendo intenzionati

ad influenzare il Governo o intimidire la collettività, siano compiuti con l’uso di armi o esplosivi.

Il provvedimento precisa, quindi, che la nozione di “atto terroristico” penalmente rilevante

comprende tanto il fatto commesso nel Regno Unito, quanto quello posto in essere al di fuori di

questo, indipendentemente dal fatto che sia realizzato nei confronti del Governo della Gran

Bretagna, del Governo di una parte del Paese o di un altro Stato.

La legge precisa, inoltre, che per “collettività” deve intendersi anche la “collettività” di uno

Stato diverso dal Regno Unito, che per “proprietà” deve intendersi qualsiasi tipologia di possesso,

indipendentemente dall’ubicazione del bene e dal soggetto che ne ha titolarità, che il concetto di

“popolazione” comprende non solo la popolazione del Regno Unito ma anche quella di qualunque

altro Paese sovrano ovunque essa sia stanziata e che per “governo” deve intendersi ogni coverno

legittimo riconosciuto dalla Comunità internazionale.

Il Terrorism Act elenca, infine, una serie di organizzazioni, considerate terroristiche,

precisando che tanto l’appartenenza alle stesse, quanto il loro sostegno, legittimano le Forze di

Polizia e di Sicurezza all’immediata applicazione di misure cautelari, anche restrittive della libertà

personale, nonché ad emettere provvedimenti di interdizione economico-finanziaria nei confronti

dei soggetti coinvolti o sospettati di esserlo.220

Il nuovo impianto normativo considera, inoltre, criminosi, oltre agli atti di

“fiancheggiamento”, taluni altri comportamenti, ritenuti tali sulla base del mero apprezzamento

dell’Autorità inquirente, quali l'incitamento al terrorismo, l'addestramento all'uso delle armi da

220 Le Organizzazioni ritenute “terroristiche” sulla base di tale provvedimento sono: Al Gama’at al – Islamica, Al Qaida, Abu Nidal Organization, Armed Islamic Group GIA, Babbar Khalsa, Basque Homeland and Liberty (Euskadi ta Askatasuna) ETA, Continuity Army Council, Cumann na mBan , Egyptian Islamic Jihad, Fianna na hEireann, Hamas Izz al-Din al-Qassem Brigades, Harakat Mujahideen, Hizballah External Security Organization, International Sikh Youth Federation, Irish National Liberation Army, Irish People’s Liberation Organization, Irish Republican Army IRA, Islamic Army of Aden,17 November Revolutionary Organization, Jaish e Mohammed, Kurdistan Worker’s Party PKK, Lashkar e Tayyaba, Liberation Tigers of Tamil Eelam, Loyalist Volunteer Force, Mujaheddin e Khalq, Orange Volunteers, Palestinian Islamic Jahad, Red Hand Commando, Red Hand Defenders, Revolutionary Peoples’ Liberation Party Front, Salafist Group for Call and Conbact, Saor Eire, Ulster Defence Association, Ulster Freedom Fighters, Ulster Volunteer Force.

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fuoco, compresa la fabbricazione di ordigni convenzionali e non, nonché l'insegnamento o

l'apprendimento di tecniche terroristiche, all'estero o in patria.221

Il Terrorism Act 2000, amplia infine i poteri di Polizia aumentando i termini del fermo di

persone sospette fino ad un massimo di 48 ore (raddoppiando il precedente limite delle 24 ore),

prevedendo la possibilità di applicare, in caso di necessità, anche l’istituto della “custodia di

sicurezza”, a seguito di provvedimento “ordinario” dell’autorità giudiziaria, per un massimo di sette

giorni, periodo nel quale, all’individuo sospettato di attività terroristica non è garantito il diritto di

essere assistito da un difensore.

Il Terrorism Act 2000 è stato, ovviamente, oggetto di numerose critiche da parte delle

organizzazioni per la tutela dei diritti civili. In particolare Amnesty International ha rilevato come le

disposizioni contenute risultassero talvolta in aperto contrasto con le Convenzioni internazionali in

materia di tutela dei diritti umani ratificate dal Regno Unito.

In particolare, l’organizzazione citata ha contestato l’eccessiva ampiezza della definizione di

terrorismo adottata dal provvedimento, l’eccessivo potere di arresto, i termini e le modalità di

applicazione della “custodia di sicurezza”, la sottrazione delle misure restrittive della libertà

personale al vaglio dell’autorità giudiziaria e la privazione del diritto alla difesa nelle prime 48 ore

di arresto.

8. L’ Anti-Terrorism Crime and Security Act 2001.

Il 12 novembre 2001, dopo i tragici attacchi terroristici contro gli Stati Uniti, è stato

approvato dal Parlamento britannico l’ Anti-Terrorism Crime and Security Act (ATCSA 2001),

normativa a carattere eccezionale e temporaneo orginariamente destinata a rimanere in vigore fino

al 10 novembre 2006.

Come enunciato nel preambolo, l’ATCSA 2001 si proponeva di emendare l’Anti-Terrorism

Act 2000 dettando nuove norme in materia di terrorismo e sicurezza, congelamento dei beni,

immigrazione e asilo, prevenzione dei crimini, controllo di agenti patogeni e tossine, conservazione

dei dati e delle informazioni relative alle comunicazioni nonché di dare attuazione al Titolo VI del

Trattato sull’Unione Europea.

Il provvedimento, nella Sezione IV, agli artt. 21 e seguenti, attribuiva all’Esecutivo il potere

di disporre immediate misure restrittive della libertà personale nei confronti di cittadini stranieri

(rectius: “non britannici”) sospettati di attività terroristiche, autorizzandone la detenzione “sine

221 M. Tondini, “Misure di sicurezza antiterrorismo. Leggi speciali e prevenzione del terrore nel Regno Unito”, pubblicazioni Centro italiano Studi per la pace, Paper, 2005, www.studiperlapace.it

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die”, ciò senza prevedere alcun controllo di legittimità, preventivo o successivo, da parte

dell’Autorità giudiziaria ordinaria.

In base ha tale normativa lo straniero sospettato di terrorismo poteva, pertanto, essere

privato della libertà a tempo indeterminato, sulla scorta di una “nota informativa” effettuata dalle

strutture di intelligence e/o di polizia, senza che vi fosse la necessità di compiere ulteriori riscontri

in ordine alla veridicità del loro contenuto.

La procedura restrittiva della libertà muoveva da un provvedimento del Ministro dell’interno

(Secretary of State for the Home Department) destinato ad individuare, sulla base delle predette

indicazioni, le persone ritenute pericolose per la sicurezza nazionale, alle quali veniva

preliminarmente consentito di lasciare il Paese e recarsi in uno Stato estero disponibile a riceverli.

Il provvedimento in questione poteva, inoltre, essere sottoposto ad un giudizio di revisione

da parte della Special Immigration Appeals Commission (SIAC), prevista dallo Special Immigration

Appeals Commission Act del 1997, istituita per contrastare l’immigrazione clandestina, composta da

un Presidente, un giudice dell'High Court e un Circuit Judge in possesso di una lunga esperienza in

casi di immigrazione e rispetto dei diritti umani.222 La decisione della SIAC poteva essere

impugnata dall’interessato e dal Ministero dell’ interno avanti la Corte d’Appello.

L’ATCSA è stato, tuttavia, da subito oggetto di dure critiche in considerazione del carattere

speciale e straordinario delle norme contenute.

A seguito dei rilievi tecnico-giuridici già sollevati in sede parlamentare, il provvedimento è

stato sottoposto a giudizio di legittimità, in un primo tempo avanti la Camera dei Lords e, in

seguito, da parte di un magistrato appositamente investito della questione sulla base di un

meccanismo di controllo previsto dallo stesso provvedimento.

Le censure avanzate avanti la House of Lords hanno riguardato principalmente la violazione

degli artt. 5 e 14 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle

Libertà Fondamentali (CEDU) e la violazione degli artt. 9 e 26 del Patto sui Diritti Civili e Politici

del 1966, in ragione della mancata previsione di un controllo di legittimità da parte dell’Autorità

Giudiziaria nei confronti dei provvedimenti restrittivi della libertà; provvedimenti applicati, inoltre,

nei confronti dei soli cittadini stranieri in palese violazione del principio di “non discriminazione”.

Il giudizio in questione si è sostanzialmente sviluppato sulla base di tre tematiche principali:

1. l’esistenza di uno stato d’urgenza in grado di legittimare il carattere di specialità e

straordinarietà delle disposizioni;

2. il rispetto del principio di proporzionalità tra misure intraprese e contrasto del fenomeno

criminale; 222 Misure di sicurezza antiterrorismo. Leggi speciali e prevenzione del terrore nel Regno Unito. Paper Pubblicazioni Centro Italiano Studi per la pace, 2005, www. studiperlapace.it.

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3. la violazione del principio di non discriminazione.

Per quanto attiene al primo aspetto, l’Alta Corte, dopo aver rilevato come la stessa CEDU

contenga, all’art. 15, una deroga ai principi di riserva di legge e di tassatività, tale da consentire

talune restrizioni del diritto alla libertà individuale in presenza di uno “stato d'urgenza”, ogni qual

volta la deroga stessa non si ponga in contrasto con altri obblighi internazionali assunti del Paese,

ha dichiarato l’incompatibilità fra le misure detentive extragiudiziarie previste nell’ATCSA e le

disposizioni contenute nella Convenzione, affermando che lo “stato di emergenza” addotto dal

Governo aveva assunto connotati meramente politici e non anche giuridici, poiché tali misure erano

state adottate senza che fossero stati compiuti specifici atti ostili nei confronti del Regno Unito.223

Con riferimento al secondo aspetto, la Camera dei Lords ha rilevato come l’aver affidato il

problema della sicurezza interna del Paese a misure di sicurezza adottate per il contrasto

dell’immigrazione clandestina abbia, da un lato, reso impossibile l’applicazione del provvedimento

a taluni cittadini britannici non meno pericolosi per la sicurezza del Paese, e dall’altro, favorito

l’uscita dal Regno Unito di soggetti sospettati di terrorismo, contribuendo in tal modo ad “esportare

terrorismo”. L’Alta Corte non ha ravvisato, inoltre, alcuna possibilità di derogare al principio che

attribuisce all’autorità giudiziaria ordinaria la funzione di garante di legittimità in materia di

provvedimenti restrittivi della libertà personale.

Per quanto attiene, infine, al terzo aspetto i Lords of Law hanno confermato il carattere

discriminatorio delle misure previste dall’ATCSA nei confronti degli stranieri, in quanto incentrate

sulla mera cittadinanza del soggetto e non sulla condotta criminale posta in essere.

D’altra parte lo Human Rights Act 1998 (Designated Derogation) Order 2001, aveva

ufficialmente dichiarato che le deroghe dell'ATCSA alla CEDU, riguardavano il solo art. 5 (diritto

alla libertà ed alla sicurezza) e non anche l'art. 14, relativo al divieto di discriminazione; divieto che

rimaneva, pertanto, in vigore obbligando il legislatore britannico al suo rispetto.

Il fatto che dal dicembre 2001 al dicembre 2004 vi siano stati solamente nove casi di

individui sottoposti alle misure contemplate dalla parte IV dell’ATCSA depone a favore di coloro

che vedono in tali provvedimenti emergenziali una risposta meramente muscolare e poco efficace a

contrastare eventi, quali gli attentati dell'11 settembre, tanto inattesi quanto sconvolgenti.

L’estrema parsimonia con cui le Autorità britanniche hanno fatto ricorso alle norme in

parola indicherebbe, inoltre, la scarsa fiducia riposta delle stesse in tali strumenti, suscettibili di

assolvere solo latu senso alle finalità di prevenzione per le quali sono stati originariamente

predisposti.

223 UK House of Lords Sentence 16th of december 2004.

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9.Il Prevenction of Terrorism Act 2005.

A seguito di tale Giudizio il Governo del Regno Unito ha emanato il Prevenction of

Terrorism Act 2005 (PTA 2005), con il quale è stata sostituita l’intera Parte IV dell’ATCSA 2001.

Il PTA 2005 introduce nell’Ordinamento britannico una nuova categoria di provvedimenti

amministrativi di natura cautelare i “control orders”, che comprendono diverse tipologie di misure

di sicurezza, la cui determinazione è rimessa alle Autorità competenti. Tali provvedimenti vengono,

infatti, emessi dal Ministro dell’interno quando non comportano misure detentive o misure a queste

assimilabili, ai sensi dell’art. 5 della CEDU, o dall’autorità giudiziaria, su richiesta del Ministro

dell’interno, nel caso opposto. I “control orders” sono soggetti a controllo di legittimità da parte

della High Court. Il giudizio è articolato in due fasi la prima delle quali deve avere inizio entro

sette giorni dall’emissione del provvedimento; la Corte può infatti annullare l’ordine o imporre

all’Amministrazione delle modifiche.

10. Il Terrorism Act 2006

Dopo gli attentati di Londra del 7 luglio 2005, la legislazione antiterrorismo del Regno

Unito ha subito un’ ulteriore riforma. Il 21 ottobre di tale anno è stato, infatti, emanato il Terrorism

Act 2006, entrato in vigore il 30 marzo 2006. Il provvedimento in questione, ha introdotto nuove

figure criminose connesse al fenomeno terroristico.

In particolare, la Sezione 1 prevede l’ipotesi criminosa di “incoraggiamento al terrorismo”

che punisce la pubblicazione di qualsiasi scritto il cui contenuto possa “incoraggiare” o “favorire” il

terrorismo ovvero, comunque, indurre a commettere, preparare o istigare atti terroristici. E’ inoltre

prevista la fattispecie di “incoraggiamento indiretto”, realizzata attraverso la c.d. “esaltazione” della

commissione o della preparazione di atti terroristici.

La Sezione 2 punisce la divulgazione di pubblicazioni terroristiche, ovvero di scritti o

comunicazioni che inneggino al compimento di atti di terrorismo o che, comunque, possano essere

interpretate dall’opinione pubblica opinione come un’istigazione a preparare o compiere i predetti

atti.

La Sezione 5 punisce la “preparazione” di atti terroristici, perseguendo qualsiasi condotta

tale da essere considerata preparatoria di un atto che possa essere considerato “atto di terrorismo”.

La Sezione 6 punisce l’“addestramento di terroristi”, mentre la successiva Sezione 8 coloro

che frequentano luoghi dove si addestrano i terroristi o che, conoscendo l’ubicazione di tali siti,

non ne hanno dato tempestiva comunicazione all’autorità.

La competenza per tali crimini è espressamente attribuita alle Corti del Regno Unito anche

nelle ipotesi in cui questi siano stati commessi all’estero.

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Le Sezioni 9, 10 e 11 puniscono la fabbricazione e la detenzione di dispositivi radioattivi (le

c.d. “bombe sporche”) o di esplosivi, l’utilizzo di dispositivi o di materiale radioattivo in attacchi

terroristici, il sabotaggio di centrali e siti nucleari in grado di provocare, fughe di materiale

radiogeno, nonché ogni eventuale ulteriore e possibile fatto realizzato con l’uso o la minaccia

dell’uso di materiali radioattivi.

La Sezione 12, punisce coloro che si introducono abusivamente in siti nucleari presenti sul

territorio britannico.224

Sono, inoltre, puniti l’accordo per finalità terroristiche, e il “tentativo” di danneggiare o

distruggere siti e/o centrali nucleari.

Nella seconda parte del provvedimento sono state riviste ed inasprite talune procedure

relative alle restrizione della libertà delle persone sospettate, suscitando contestazioni da parte

dell’opinione pubblica britannica, preoccupata sia per una eccessiva limitazione dei diritti civili, sia

per il timore di vedere i membri della comunità islamica indotti, per contro, ad azioni di violenza.

Il Governo di Sua Maestà ha, tuttavia, considerato il provvedimento come l’unica risposta

possibile e necessaria alle azioni terroristiche a matrice internazionale.

Il Terrorism Act 2006, autorizza inoltre i Responsabili della Polizia al livello locale

di privare della libertà personale, a scopo preventivo, i sospetti terroristi per un tempo superiore alle

48 ore previste dalla normativa vigente, prevedendo la possibilità di inserire automaticamente

nell’elenco delle organizzazioni terroristiche le organizzazioni che abbiano provveduto, per scopi

elusivi, a cambiare o modificare la propria denominazione.

Infine, ulteriori disposizioni garantiscono alla Polizia la possibilità di operare perquisizioni

nei confronti di tutti i domicili “sotto il controllo, diretto o indiretto del sospetto terrorista”, in caso

di “sospetta detenzione di materiale terroristico”, ampliano i poteri investigativi dei servizi di

intelligence britannici (MI5 e MI6) e le ipotesi di intercettazione, anche telefonica, senza preventiva

autorizzazione da parte dell’Autorità Giudiziaria.

Nella sua originaria formulazione il Terrorism Act 2006 prevedeva in 90 giorni il termine di

durata massima delle misure detentive “extragiudiziarie” da applicarsi nei confronti dei soggetti

sospettati di atti terroristici. La durata massima di tali misure cautelari è stata tuttavia

ridimensionata in 28 giorni225 in conseguenza dell’impatto sfavorevole che la disposizione ha avuto

sull’opinione pubblica e sulla dottrina, che, per la prima volta, hanno visto seriamente minacciati i

principi garantiti dalla Magna Carta in materia di libertà personale.

224 già punito dal Serious Organised Crime and Police Act del 2005. 225 come peraltro già previsto dal Civil Authority (Special Powers) Act del 1922.

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CAPITOLO VI

LA LEGISLAZIONE ANTITERRORISMO IN ITALIA

1. La legislazione anteriore all’11 settembre 2001.

A partire dalla seconda metà degli Anni 50, l’Italia è stata costretta confrontarsi in modo più

o meno costante con il fenomeno terroristico che, dopo aver assunto, inizialmente, la veste

dell’indipendentismo altoatesino si è per lungo tempo manifestato in forma eversiva e

rivoluzionaria.

Negli Anni 70-80, al considerevole aumento dei delitti contro la persona realizzati con

metodi terroristici per finalità eversive, il legislatore italiano reagì introducendo nel codice penale,

per mezzo dell’art. 2 della legge 6 febbraio 1980 n. 15,226 il delitto di “attentato per finalità

terroristiche o di eversione” (art. 280 c.p.), diretto a punire più duramente i delitti contro la vita o

l’incolumità della persona posti in essere con i predetti scopi.227

Con l’art. 3 della stessa legge, accanto al reato di “associazione sovversiva” (art. 270 c.p.),

destinato a punire il fatto di promuovere, costituire, organizzare, dirigere o partecipare ad

associazioni dirette a stabilire in modo violento la dittatura o a sopprimere violentemente una classe

sociale o a sovvertire violentemente l’ordinamento economico o sociale dello Stato, veniva

collocato il reato di “associazione con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico”

(art. 270-bis c.p.), destinato a perseguire le condotte sopra descritte ogni qual volta fossero riferibili

ad associazioni intenzionate a compiere di atti di violenza per scopi di eversione dell’ordine

democratico.

Pochi giorni dopo il “sequestro Moro” (16 marzo 1978), con il decreto legge 21.03.1978, n.

59, convertito nella legge 18 maggio 1978, n. 191,228 venne introdotto nel codice penale il delitto di

“sequestro di persona a scopo di terrorismo o di eversione” (art. 289-bis c.p.).

226 Art. 2 legge 6 febbraio 1980 n. 15, “Misure urgenti per la tutela dell’ordine democratico e la sicurezza pubblica”. 227 In tal senso P.Giovagnoli, Il “trattamento di reati di terrorismo nel sistema giudico italiano”, in “Conflittualità politico sociale intorno al mediterraneo”, a cura di Antonio Panaino. Atti del secondo Seminario di studi e formazione organizzato dalla Questura di Ravenna e dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (Sezione Emilia Romagna), Ravenna 18-20 Maggio 2006, Mimesis, IsIAO, Emilia-Romagna, p. 75 e ss.. 228 L.18 maggio 1978 n. 191, recante norme penali e processuali per la prevenzione e la repressione di gravi delitti.

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L’azione di contrasto del terrorismo, in quegli anni, si era, inoltre, incentrata sulla creazione

di una legislazione “premiale” volta a favorire la dissociazione e la collaborazione dei soggetti

indagati o condannati per tali crimini.

L’art. 4 della legge 15/1980, aveva, d’altra parte, già previsto un considerevole “sconto” di

pena nei confronti del concorrente in un reato terroristico che, dissociandosi dagli altri, si fosse

adoperato per evitare che l’attività delittuosa fosse portata a conseguenze ulteriori, oppure avesse

“concretamente aiutato l’autorità di polizia e la polizia giudiziaria nella raccolta di prove decisive

per l’individuazione o la cattura dei concorrenti”.

A tale disposizione avevano fatto seguito gli artt. 1, 2 e 3 della legge 29 maggio 1982, n.

304, destinati ad introdurre talune ipotesi di non punibilità ed alcune circostanze attenuanti

applicabili a terroristi “dissociati” e “collaboranti”; disposizioni a loro volta seguite dalla normativa

di carattere speciale e temporaneo prevista dalla legge 18 febbraio 1987, n. 34 (Misure a favore di

chi si dissocia dal terrorismo), con la quale veniva offerta una dettagliata nozione di “condotta di

dissociazione”.

L’art. 1 considerava, infatti “dissociato” chi, essendo imputato o condannato per reati

commessi con finalità di terrorismo o di eversione, avendo definitivamente abbandonato

l’organizzazione o il movimento al quale apparteneva, avesse ammesso le attività effettivamente

svolte, posto in essere comportamenti oggettivamente ed univocamente incompatibili la

permanenza del vincolo associativo, nonché ripudiato il ricorso alla violenza come metodo di lotta.

Il terrorismo “internazionale” non era, tuttavia, ancora disciplinato dalla legislazione

italiana, che sino a tale momento si era trovata ad affrontare episodi di terrorismo di carattere

interno o, al più, transnazionale, in genere legati alla “Questione palestinese”.229

Tale tipologia di terrorismo aveva, infatti, interessato il Paese, in modo violento, solo

inizialmente, manifestandosi nel prosieguo con una serie di attività di supporto logistico e

finanziario, quali la falsificazione di documenti, l’ immigrazione clandestina, il traffico di armi ed

esplosivi ed il traffico di stupefacenti, destinate a sostenere le azioni terroristiche compiute in altri

Stati.

La Corte di Cassazione aveva, peraltro, più volte escluso l’applicabilità dell’art. 270-bis c.p.,

nella sua formulazione originaria, alle organizzazioni che si riproponevano il compimento di

attentati terroristici all’estero.230

2. La legislazione antiterrorismo dopo l’11 settembre 2001.

229 In tal senso P.Giovagnoli, Il “trattamento …”, cit. 230 In tal senso Cass. pen., Sez. VI, 30.01.96, n. 561; Cass. pen., Sez. VI, 01.03.1996, n. 973.

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Dopo la ratifica delle principali Convenzioni internazionali promosse dalle Nazioni Unite e

dall’ Unione Europea,231 a seguito degli attentati dell’11 settembre 2001, il Governo italiano, ha

varato, in via d’urgenza, il decreto legge 28 settembre 2001, n. 353, convertito con modificazioni

nella legge 27 novembre 2001, n. 415, recante “disposizioni sanzionatorie per le violazioni delle

misure adottate nei confronti della fazione afghana dei Talebani”, destinato a perseguire

penalmente e a rendere nulli gli atti compiuti in violazione degli artt. 2, 4, 5 e 8 del Regolamento

(CE) n. 467/2001 del Consiglio, in data del 6 marzo 2001, con il quale veniva data esecuzione alle

Risoluzioni 1267/1999 e 1333/2000 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite relative al

divieto di esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, all’inasprimento dei divieti di volo

dei vettori di proprietà o a disposizione dei Talebani, nonché al congelamento dei capitali e delle

altre risorse finanziarie di questi ultimi.

La normativa in questione è stata seguita dal decreto Legge 18 ottobre 2001, n. 374, recante

“disposizioni urgenti per contrastare il terrorismo internazionale”, convertito con modificazioni

nella legge 15 dicembre 2001, n. 438, che ha modificato la rubrica dell’art. 270-bis del codice

penale, aggiungendo al termine “terrorismo” l’espressione “anche internazionale”.

La portata sanzionatoria della norma è stata, così, estesa anche agli atti rivolti contro uno

Stato estero, un’ istituzione o un organismo internazionale.

Nella sua nuova formulazione l’art. 270-bis recita infatti:

“Chiunque promuove, costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni che si

propongono il compimento di atti di violenza con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine

democratico è punito con la reclusione da sette a quindici anni.

Chiunque partecipa a tali associazioni è punito con la reclusione da cinque a dieci anni.

Ai fini della legge penale, la finalità di terrorismo ricorre anche quando gli atti di violenza

sono rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione e un organismo internazionale (...)”.

231 L’Italia ha ratificato ad oggi le seguenti Convenzioni: Conv. di New York del 14.12.1973, per la prevenzione e la repressione dei reati contro le persone internazionalmente protette, compresi gli agenti diplomatici. Conv. di New York del 18.12.1979, contro la cattura di ostaggi; Conv. europea di Strasburgo del 27.1.1977, sul terrorismo; Conv. di Vienna del 3.3.1980, sulla protezione fisica dei materiali nucleari; Conv. di Roma del 10.3.1988, per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza marittima e relativo Procollo per la repressione dei reati diretti contro la sicurezza delle installazioni fisse sulla piattaforma continentale; Conv. basata sull’art. K3 del Trattato sull’Unione Europea relativa all’istituzione di Ufficio europeo di Polizia (Europol) sottoscritta a Bruxelles il 26.07.1995 Protocollo di Bruxelles del 24.7.1996, concernente l’interpretazione, in via pregiudiziale, della Conv. Europol da parte della Corte di Giustizia delle Comunità Europee; Conv. di Montreal del 1.3.1991, sul contrassegno degli esplosivi plastici e in foglie ai fini del rilevamento; Conv. di New York del 15.12.1997, per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo; Conv. di New York del 9.12.1999, per la repressione del finanziamento del terrorismo. Protocollo di Bruxelles del 30.11.2000, relativo alle modifiche dell’art. 2 della Conv. Europol e del relativo Allegato; Protocollo di Bruxelles del 28.11.2002 relativo alle modifiche della Conv. Europol.

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La norma si limita, tuttavia, a precisare che tali associazioni si propongono il compimento di

“atti violenti con finalità di terrorismo”, senza offrire alcuna indicazione in ordine al significato di

tale espressione.

Quanto sopra ha dato origine a non poche difficoltà interpretative ogni qual volta è divenuto

necessario ricondurre talune condotte poste in essere nei confronti di Stati esteri alla nuova

fattispecie criminosa, come testimoniano le differenti posizioni assunte dai GIP dei Tribunale di

Milano, Bergamo e Brescia, in ordine alle vicende delle “cellule” islamico-fondamentaliste operanti

nell’ambito delle moschee di Milano e Cremona.

D’altra parte, la possibilità di ricondurre all’ art. 270-bis c.p. attività meramente logistiche

quali, ad esempio, il sostegno di strutture di addestramento paramilitare site in zone mediorientali,

ed il reclutamento di volontari destinati a combattere in Iraq ha dato luogo a differenti correnti di

pensiero anche all’interno dello stesso Tribunale di Milano.

Secondo alcuni, la condotta in questione risultava, infatti, sufficiente ad integrare il reato di

cui all’art. 270-bis c.p., poiché il reclutamento e l’invio di combattenti privi della cittadinanza

irachena e, dunque, estranei all’obbligo di difesa della patria, non poteva che essere ricondotta alla

“strategia politico-terroristica ispirata da Al Qaeda e dai gruppi regionali ad essa affiliati” e come

tale caratterizzata dalle finalità terroristiche richieste dalla norma.

Secondo la giurisprudenza le finalità di terrorismo possono, infatti, contraddistinguere anche

le organizzazioni che si rivolgono nei confronti di soggetti diversi dallo Stato italiano, siano questi

collocati sul territorio nazionale o all’estero, mentre le finalità di eversione dell’ordine democratico

possono caratterizzare esclusivamente le associazioni che si rivolgono contro l’ordinamento

democratico del nostro Paese, atteso che il giudice italiano non può essere chiamato a pronunciarsi

in ordine alla democraticità dell’assesto istituzionale di uno Stato estero.232

Secondo altri, le predette attività potevano integrare gli estremi del reato in questione solo

nel caso in cui gli atti di ostilità posti in essere, all’estero, dai “combattenti” fossero stati

caratterizzati dall’uso della violenza nei confronti della popolazione civile o di altri soggetti protetti,

così da poter essere considerati di natura “terroristica” sotto il profilo del diritto internazionale.233

Un altro Giudice ancora, muovendo dall’assunto che “le attività violente o di guerriglia

poste in essere nell’ambito di contesti bellici, anche se poste in essere da forze armate diverse da

quelle istituzionali, non possono essere perseguite neppure sul piano del diritto internazionale a

meno che […)] non venga violato il diritto internazionale umanitario”, ha ritenuto che le attività di

tipo terroristico rilevanti e dunque perseguibili sul piano del diritto internazionale siano unicamente 232 V. Ordinanza di custodia cautelare in carcere pronunciata dal Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Milano nel procedimento penale r.g. n.r. n. 5236/02. 233 V. Sentenza pronunciata in data 19 aprile 2003 dal Tribunale di Milano, Sez. XI Penale, nel proc.pen. r.g. n.r. n. 5236/02.

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quelle “dirette a seminare terrore indiscriminato nei confronti della popolazione civile in nome di un

credo ideologico o religioso, ponendosi, dunque, come delitti contro l’umanità”.

Sulla base di tali considerazioni il Giudice in questione, riproponendo la distinzione fra atti

terroristici e atti di guerriglia, ha, pertanto, ritenuto di non poter ricondurre l’arruolamento ed il

supporto logistico all’art. 570-bis, in assenza della prova “che tali strutture paramilitari

prevedessero la concreta programmazione di obiettivi trascendenti attività di guerriglia da innescare

in detti o in altri prevedibili contesti bellici e dunque incasellabili nell’ambito delle attività di tipo

terroristico” poiché “l’estendere tale tutela penale anche agli atti di guerriglia, per quanto violenti,

posti in essere nell’ambito di conflitti bellici in atto in altri Stati ed a prescindere dall’obiettivo

preso di mira, porterebbe inevitabilmente ad un’ingiustificata presa di posizione per una delle forze

in campo”.234

Alle divergenze descritte ha, inizialmente, sopperito la Corte di Cassazione indicando quale

riferimento ermeneutico i principi di diritto interno, il diritto internazionale nonché il diritto

dell’Unione Europea ed in particolare la Decisione quadro 2002/475/GAI del Consiglio in data 13

giugno 2002 sulla lotta contro il Terrorismo, nella quale, come già si è detto, è stata offerta una

nozione “comune” di reato con finalità di terrorismo.

La Corte ha, infatti, specificato che la definizione di “finalità di terrorismo” e l’elenco delle

condotte che, se compiute, con tale finalità, possono essere considerati atti terroristici, contenute

nelle decisione quadro citata, possono essere utilizzate dall’interprete ai fini della configurazione

del delitto di cui all'art. 270-bis c.p., essendo idonee a definire in margini di tale fattispecie

criminosa. 235

La legge 438/2001, ha, quindi, inserito nel codice penale l’art. 270-ter (Assistenza agli

associati), destinato a punire chiunque, al di fuori delle ipotesi di concorso o favoreggiamento, dia

rifugio o fornisca vitto, ospitalità, mezzi di trasporto o strumenti di comunicazione a coloro

partecipano alle associazioni sovversive o con finalità di terrorismo internazionale o di eversione

dell’ordinamento democratico. Sulla base di tale disposizione non risulta, tuttavia, perseguibile chi

abbia agito in favore di un prossimo congiunto.

Dal punto di vista processuale, la legge in questione ha modificato i termini di cui all’art.

407 c.p.p., concernenti la durata massima delle indagini preliminari, elevandoli per i reati di

terrorismo da 18 a 24 mesi.

Il provvedimento ha, inoltre, esteso ai delitti di cui all’art. 270-bis le disposizioni relative

alle intercettazioni e alle perquisizioni previste dagli artt. 13 e 25-bis del decreto legge 13 maggio

234 Il testo della sentenza pronunciata in data 24.01.2005 dal GIP di Milano nel proc.pen. r.g.n.r. n. 28491/04 è riportata in appendice 10. 235 Cass. pen., Sez. I, 21.06.2005, n. 35427. Il testo della sentenza in appendice 11.

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1991, n. 152, convertito con modificazioni dalla legge 12 luglio 1991, n. 203 (Provvedimenti

urgenti in tema di lotta alla criminalità organizzata), nonché la possibilità di effettuare attività sotto

copertura alle indagini finalizzate al contrasto del terrorismo.

Il testo dell’art. 226 delle norme di attuazione al codice di procedura penale, in materia di

intercettazioni preventive, è stato, quindi, riformulato come segue:

“Il Ministro dell'interno o, su sua delega, i responsabili dei servizi centrali di cui all’articolo 12 del

decreto legge 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n.

203, nonché il questore o il comandante provinciale dei Carabinieri e della Guardia di finanza,

richiedono al procuratore della Repubblica presso il tribunale del capoluogo del distretto in cui si

trova il soggetto da sottoporre a controllo ovvero, nel caso non sia determinabile, del distretto in cui

sono emerse le esigenze di prevenzione, l’autorizzazione all’intercettazione di comunicazioni o

conversazioni, anche per via telematica, nonché all'intercettazione di comunicazioni o

conversazioni tra presenti anche se queste avvengono nei luoghi indicati dall’articolo 614 del codice

penale) , quando sia necessario per l'acquisizione di notizie concernenti la prevenzione di delitti

con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale per i quali la legge stabilisce la

reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci, nonché ai delitti di

partecipazione ad associazioni di tipo sovversivo (art. 270, co. 3 c.p.) o banda armata (art. 306, co.

2 c.p.), di cui all’articolo 407 comma 2 lettera a) n. 4 e 51 comma 3-bis del codice. Il Ministro

dell'interno può altresì delegare il Direttore della Direzione investigativa antimafia limitatamente ai

delitti di cui all'articolo 51 comma 3-bis del codice.

Il Procuratore della Repubblica, qualora vi siano elementi investigativi che giustifichino

l’attività di prevenzione e lo ritenga necessario, autorizza l'intercettazione per la durata massima di

giorni quaranta, prorogabile per periodi successivi di giorni venti ove permangano i presupposti di

legge. L’autorizzazione alla prosecuzione delle operazioni è data dal pubblico ministero con decreto

motivato, nel quale deve essere dato chiaramente atto dei motivi che rendono necessaria la

prosecuzione delle operazioni.

Delle operazioni svolte e dei contenuti intercettati è redatto verbale sintetico che, unitamente

ai supporti utilizzati, è depositato presso il procuratore che ha autorizzato le attività entro cinque

giorni dal termine delle stesse. Il Procuratore, verificata la conformità delle attività compiute

all'autorizzazione, dispone l'immediata distruzione dei supporti e dei verbali.

Con le modalità e nei casi di cui ai commi 1 e 3, può essere autorizzato il tracciamento delle

comunicazioni telefoniche e telematiche, nonché l'acquisizione dei dati esterni relativi alle

comunicazioni telefoniche e telematiche intercorse e l'acquisizione di ogni altra informazione utile

in possesso degli operatori di telecomunicazioni.

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In ogni caso gli elementi acquisiti attraverso le attività preventive non possono essere

utilizzati nel procedimento penale, fatti salvi i fini investigativi. In ogni caso le attività di

intercettazione preventiva di cui ai commi precedenti, e le notizie acquisite a seguito delle attività

medesime, non possono essere menzionate in atti di indagine né costituire oggetto di deposizione né

essere altrimenti divulgate”.

La legge 438/2001 ha, quindi, abrogato ogni altra disposizione concernente le

“intercettazioni preventive”, disponendo che le intercettazioni di comunicazioni telefoniche e

telematiche di cui all’articolo 226 citato, così come sostituito dal comma 1, siano eseguite con

impianti installati presso la Procura della Repubblica o presso altre strutture idonee, individuate dal

Procuratore della Repubblica concedente l’autorizzazione.

Il provvedimento tutela, inoltre, la segretezza delle indagini, punendo chiunque divulghi a

persone non autorizzate o pubblichi, anche solo parzialmente, il contenuto delle intercettazioni,

come pure chi, nel corso di operazioni sotto copertura, riveli indebitamente o divulghi i nomi degli

ufficiali o degli agenti di polizia giudiziaria impegnati nelle stesse; sempre che il fatto non

costituisca un più grave reato.

La nuova formulazione ha, tuttavia, suscitato ampie critiche in dottrina per la sua eccessiva

ampiezza e per la scarsa possibilità di controllo da parte della magistratura.236

La legge ha, infine, modificato l’art. 18, comma 1, n. 1, della legge 152/1975, in materia di

ordine pubblico, estendendo ai reati di terrorismo le disposizioni relative alle misure di prevenzione

previste dalla legge 31 maggio 1965, n. 575, con riferimento ai reati di mafia.

A fronte di quanto sopra la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e l’obbligo di

soggiorno, nonché il sequestro e la confisca di eventuali beni, trovano applicazione anche nei

confronti di coloro che, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori,

obiettivamente rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato mediante la realizzazione di

uno dei reati previsti dal capo I, titolo VI, libro II del codice penale (Delitti di comune pericolo

mediante violenza) o dagli artt. 284 c.p. (Insurrezione armata contro i poteri dello Stato), 285 c.p.

(Devastazione, saccheggio e strage), 286 c.p. (Guerra civile), 306 c.p. (Banda armata: formazione e

partecipazione), 438 c.p. (Epidemia), 439 c.p. (Avvelenamento di acque o sostanze alimentari), 605

c.p. (Sequestro di persona) e 630 c.p. (Sequestro di persona a scopo di estorsione), nonché ai reati

commessi con finalità di terrorismo anche internazionale. Le misure di sicurezza possono, inoltre,

essere applicate agli istigatori, ai mandanti ed ai finanziatori di organizzazioni o attività

terroristiche.

236 G. Pierro, “Molte ombre nella riforma delle intercettazioni preventive”, in Rivista Diritto Penale e Processo, 5/2002.

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2.1. La legge 14 dicembre 2001, n. 431.

Con il Decreto Legge 12 ottobre 2001, n. 369, convertito con modificazioni nella legge 14

dicembre 2001, n. 431, recante misure urgenti per reprimere e contrastare il finanziamento del

terrorismo internazionale, è stato istituito presso il Ministero dell’Economia e delle Finanze, il

Comitato di Sicurezza Finanziaria (CSF).

Il Comitato è presieduto dal Direttore Generale del Tesoro e si compone di 11 membri

nominati dal Ministro dell’Economia e delle Finanze sulla base delle designazioni operate dai

Ministri dell’interno, della Giustizia, degli Affari Esteri, dalla Banca d’Italia, dalla Commissione

Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) e dall’Ufficio Italiano Cambi (UIC). Del Comitato

fanno parte un dirigente del Ministero dell’Economia e Finanze, un Ufficiale della Guardia di

Finanza, un ufficiale/funzionario della Direzione Investigativa Antimafia (DIA), un Ufficiale

dell’Arma dei Carabinieri ed un rappresentante della Direzionale Nazionale Antimafia.

Al CSF compete, sia l’attuazione delle misure di congelamento, adottate dall’Unione

Europea nei confronti delle disponibilità economiche e finanziarie delle organizzazioni terroristiche,

sia l’applicazione delle sanzioni previste nei confronti degli intermediari.

In particolare, il Comitato di Sicurezza Finanziaria svolge funzioni di monitoraggio del

sistema nazionale di prevenzione e contrasto del finanziamento del terrorismo, promuove la

formazione e l’integrazione delle liste dei soggetti da includere nell’elenco allegato al Regolamento

(CE) 2580/2001, di cui si è detto nel Capitolo III.

Il CSF può, inoltre, trasmettere dati e notizie al CESIS ed ai Servizi di informazione e

sicurezza (SISMi e SISDe) per le attività di loro competenza; può richiedere informazioni alle

amministrazioni; può demandare specifici accertamenti all’Ufficio Italiano Cambi (UIC), alla

Commissione Nazionale per le Società e la Borsa (CONSOB) ed al Nucleo Speciale di Polizia

Valutaria della Guardia di Finanza, come pure richiedere direttamente a quest’ultima lo sviluppo

di attività informative.237

Il Comitato stabilisce, inoltre, i necessari collegamenti con gli organismi che svolgono

analoghe funzioni negli altri Paesi allo scopo di contribuire al coordinamento internazionale, anche

alla luce delle decisioni assunte dal Gruppo di Azione Finanziaria Internazionale (GAFI).

L’art. 2 della legge 431/2001 stabilisce, infine, la nullità degli atti compiuti in violazione

delle disposizioni relative al divieto di esportazione di beni e servizi o al congelamento di capitali

ed altre risorse finanziarie, contenute in regolamenti adottati dal Consiglio dell’Unione Europea,

anche in attuazione di risoluzioni del Consiglio di Sicurezza delle nazioni Unite. 237 E. Frumento, Tesi Master, VIII Corso Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze, CASD, anno accademico 2005-2006.

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I soggetti indicati in tali regolamenti sono obbligati a comunicare al Ministero

dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del tesoro, l’entità dei capitali e delle altre risorse

finanziarie oggetto di congelamento, entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore di questi

ultimi, o, se successiva, dalla data di formazione dei capitali o delle risorse finanziarie.

2.2. Le modifiche conseguenti alla ratifica delle Convenzioni internazionali ed alle direttive

dell’Unione Europea.

Alla normativa citata hanno fatto seguito la legge 14 gennaio 2003, n.7, relativa alla ratifica

e all’esecuzione della Convenzione di New York del 9 dicembre 1999, per la repressione del

finanziamento del terrorismo, portante norme di adeguamento dell’ordinamento interno.

E’ stato, così, inserito nel testo del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e successive

modificazioni,238 l’art. 25-quater destinato a sanzionare la responsabilità degli enti per gli illeciti

amministrativi conseguenti alla commissione di delitti con finalità di terrorismo o di eversione

ovvero per delitti diversi posti in essere in violazione di quanto previsto dall’art. 2 della

Convenzione di New York. Il decreto legislativo detta, inoltre, alcune disposizioni relative alla

gestione del fondo per le vittime del terrorismo di cui alla legge 20 ottobre 1990, n. 302, e

successive modificazioni.

Al provvedimento citato ha fa fatto seguito il decreto legge 4 febbraio 2003, n.13, convertito

con modificazioni nella legge 4 febbraio 2003, n. 56 (Disposizioni urgenti in favore delle vittime

del terrorismo e della criminalità organizzata), contenente ulteriori modifiche della legge n.302/90.

Con la legge 14 febbraio 2003, n. 34, l’Italia ha, quindi, ratificato e dato esecuzione alla

“Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di

esplosivo” adottata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, a New York ,il 15 dicembre 1997.

E’ stato, così, modificato il testo dell’art. 280 c.p. (Attentato per finalità terroristiche o di

eversione) destinato a perseguire chiunque, per finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine

democratico, attenti alla vita o all’incolumità di una persona, disponendo, all’ultimo comma, la

prevalenza delle aggravanti di aver causato lesioni personali gravi e gravissime ovvero la morte di

una persona, di cui ai commi 2239 e 4,240 rispetto ad ogni altra circostanza attenuante, esclusa la

minore età e la minima partecipazione nel reato.

238 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società e delle associazioni anche prive di personalità giuridica, a norma dell’articolo 11 della legge 29 settembre 2000, n. 300. 239 Se dall’attentato all’incolumità di una persona deriva una lesione gravissima si applica al pena della reclusione non inferiore ad anni diciotto; se ne deriva una lesione grave, si applica la pena della reclusione non inferiore a 12 anni. 240 Se dai fatti di cui ai commi precedenti deriva la morte della persona si applicano, nel caso di attentato all’incolumità, la reclusione di anni trenta.

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La legge ha, inoltre, introdotto nel codice penale la fattispecie di cui all’art. 280-bis (Atto di

terrorismo con ordigni micidiali o esplosivi), destinata a perseguire chiunque, con finalità di

terrorismo, compia qualsiasi atto diretto a danneggiare cose mobili o immobili altrui, mediante l’uso

di dispositivi esplosivi o comunque micidiali. Per dispositivi esplosivi o comunque micidiali devono

intendersi le armi e le materie ad esse assimilate indicate nell’articolo 585 c.p. e idonee a causare

importanti danni materiali. 241

Se l’attentato è diretto contro la sede della Presidenza della Repubblica, delle Assemblee

legislative, della Corte costituzionale, di organi del Governo o comunque di organi previsti dalla

Costituzione o da leggi costituzionali, la pena per il reato in questione è aumentata fino alla metà.

La pena è, inoltre, aumentata se dal fatto deriva pericolo per l’incolumità pubblica ovvero un grave

danno per l'economia nazionale.

Con il decreto legislativo 20 febbraio 2004, n. 56, è stata data attuazione della Direttiva

2001/97/CE in materia di prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei

proventi da attività illecite.

Il provvedimento contiene, in primo luogo, un’elencazione degli intermediari abilitati ad

effettuare operazioni di trasferimento di denaro contante o titoli al portatore di importo superiore a

12.500 euro242 differente a rispetto a quella in precedenza fornita dall’art. 4 della legge n.197/91 (al

cosidetta legge antiriciclaggio).

Il decreto legislativo ha, quindi, ampliato il numero dei soggetti tenuti agli obblighi di

identificazione e di conservazione delle informazioni relative ai predetti trasferimenti, indicando

come tali:

- le banche;

- le Poste Italiane S.p.a.;

- gli istituti di moneta elettronica;

- le società di intermediazione mobiliare (SIM);

- le società di gestione del risparmio (SGR); 241 Art. 585 co. 2°: Agli effetti della legge penale per armi si intendono: 1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona; 2) tutti gli strumenti atti ad offendere dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto ovvero senza giustificato motivo (art. 42 T.U. di P.S.) Sono assimilate alle armi le materie esplodenti e i gas asfissianti.

242 Tali soggetti sono le banche, le Poste Italiane S.p.a., gli istituti di moneta elettronica, le società di intermediazione mobiliare (SIM), le società di gestione del risparmio (SGR), le società di investimento a capitale variabile (SICAV), le imprese di assicurazione, agli agenti di cambio, le società fiduciarie, le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi. Le condizioni per l’abilitazione degli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale o speciale previsti dagli artt. 106 e 107 del testo unico bancario e ai soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell'elenco generale previste dagli articoli 113 e 155, commi 4 e 5, del testo unico bancario e delle relative succursali italiane, sono state successivamente determinate con Decreto del Ministro dell’economia e delle finanze in data 3 febbraio 2006 n. 143.

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- alle società di investimento a capitale variabile (SICAV);

- le imprese di assicurazione;

- agli agenti di cambio;

- le società fiduciarie;

- le società che svolgono il servizio di riscossione dei tributi;

- gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco speciale previsto dall'articolo 107 del testo unico

bancario;

- gli intermediari finanziari iscritti nell'elenco generale previsto dall'articolo 106 del testo unico

bancario;

- i soggetti operanti nel settore finanziario iscritti nelle sezioni dell'elenco generale previste dagli

articoli 113 e 155, commi 4 e 5, del testo unico bancario;

- le società di revisione iscritte nell'albo speciale previsto dall'articolo 161 del testo unico

dell'intermediazione finanziaria;

- i soggetti che esercitano le attività indicate dall’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 25

settembre 1999, n. 374;243

- le succursali italiane dei soggetti indicati alle lettere precedenti aventi sede legale in uno Stato

estero, nonché le succursali italiane delle società di gestione del risparmio armonizzate;

- i soggetti iscritti nell'albo dei ragionieri e dei periti commerciali, nel registro dei revisori

contabili, nell'albo dei dottori commercialisti e nell'albo dei consulenti del lavoro;

243 Si tratta delle seguenti attività: - recupero di crediti per conto terzi, alla licenza di cui all'articolo 115 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, di seguito indicato come: "T.U.L.P.S."; - custodia e trasporto di denaro contante e di titoli o valori a mezzo di guardie particolari giurate, alla licenza di cui all'articolo 134 del T.U.L.P.S.; - trasporto di denaro contante, titoli o valori senza l'impiego di guardie particolari giurate, all'iscrizione nell'albo delle persone fisiche e giuridiche che esercitano l'autotrasporto di cose per conto di terzi, di cui alla legge 6 giugno 1974, n. 298; - agenzia di affari in mediazione immobiliare, all'iscrizione nell'apposita sezione del ruolo istituito presso la camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura, ai sensi della legge 3 febbraio 1989, n. 39; - commercio di cose antiche, alla dichiarazione preventiva di cui all'articolo 126 del T.U.L.P.S.; - esercizio di case d'asta o gallerie d'arte, alla licenza di cui all'articolo 115 del T.U.L.P.S.; - commercio, comprese l'esportazione e l'importazione, di oro per finalità industriali o di investimento, alle autorizzazioni di cui all'articolo 15 del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1988, n. 148; - fabbricazione, mediazione e commercio, comprese l'esportazione e l'importazione di oggetti preziosi, alla licenza di cui all'articolo 127 del T.U.L.P.S.; - gestione di case da gioco, alle autorizzazioni concesse dalle leggi in vigore, nonche' al requisito di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto-legge 30 dicembre 1997, n. 457, convertito, con modificazioni, dalla legge 27 febbraio 1998, n. 30; - fabbricazione di oggetti preziosi da parte di imprese artigiane, all'iscrizione nel registro degli assegnatari dei marchi di identificazione tenuto dalle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura; - mediazione creditizia, all'iscrizione all'albo dei mediatori creditizi di cui all'articolo 16 della legge 7 marzo 1996, n. 108; - agenzia in attività finanziaria prevista dall'articolo 106 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385, recante il testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, di seguito indicato come: "testo unico bancario", all'iscrizione all'elenco previsto dall'articolo 3.

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- i notai e agli avvocati quando, in nome o per conto di propri clienti, compiono qualsiasi

operazione di natura finanziaria o immobiliare e quando assistono i propri clienti nella

progettazione o nella realizzazione di operazioni riguardanti:

1) il trasferimento a qualsiasi titolo di beni immobili o attività economiche;

2) la gestione di denaro, strumenti finanziari o altri beni;

3) l’apertura o la gestione di conti bancari, libretti di deposito e conti di titoli;

4) l’organizzazione degli apporti necessari alla costituzione, alla gestione o

all’amministrazione di società;

5) la costituzione, la gestione o l'amministrazione di società, enti, trust o strutture analoghe.

Gli obblighi di segnalazione delle operazioni sospette e le disposizioni contenute negli

articoli 3, 3-bis e 10 della “legge antiriciclaggio” previsti nei confronti dei soggetti sopra elencati244

vengono, inoltre, estesi:

- alle società di gestione accentrata di strumenti finanziari;

- alle società di gestione dei mercati regolamentati di strumenti finanziari e ai soggetti che

gestiscono strutture per la negoziazione di strumenti finanziari e di fondi interbancari;

- alle società di gestione dei servizi di liquidazione delle operazioni su strumenti finanziari;

- alle società di gestione dei sistemi di compensazione e garanzia delle operazioni in strumenti

finanziari;

- agli uffici della pubblica amministrazione.

L’art. 5 ha, inoltre, dettato alcune disposizioni in tema di collaborazione tra le autorità

disponendo, in deroga all’obbligo del segreto d'ufficio, che le autorità di vigilanza di settore siano

tenute allo scambio di informazioni con l'Ufficio Italiano Cambi (UIC).

Le amministrazioni interessate e gli organismi locali delle professioni interessate saranno

tenute a fornire allo UIC le informazioni e le altre forme di collaborazione richieste.

Le autorità di vigilanza di settore, le amministrazioni interessate e gli organismi locali delle

professioni interessate, in deroga al segreto d’ufficio, dovranno informare lo UIC delle ipotesi di

omissione delle segnalazioni di operazioni previste dall’art. 3 della “legge antiriciclaggio”,245

244 L’art. 2 del decreto n. 56/2004 ha escluso dagli obblighi in questione gli iscritti nell’albo dei ragionieri e dei periti commerciali, nel registro dei revisori contabili, nell’albo dei dottori commercialisti e nell’albo dei consulenti del lavoro, nonché i notai e agli avvocati con riferimento alle informazioni “che essi ricevono da un loro cliente o ottengono riguardo allo stesso, nel corso dell’esame della posizione giuridica del loro cliente o dell’espletamento dei compiti di difesa o di rappresentanza del medesimo in un procedimento giudiziario o in relazione a tale procedimento, compresa la consulenza sull'eventualità di intentare o evitare un procedimento, ove tali informazioni siano ricevute o ottenute prima, durante o dopo il procedimento stesso”. 245 Operazioni che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta in ragione delle funzioni esercitate, tenuto conto anche della capacità economica e dell'attività svolta dal soggetto cui è riferita, induca a ritenere, in base agli elementi a disposizione, che il danaro, i beni o le utilità oggetto delle operazioni medesime possano provenire dai delitti previsti dagli articoli 648-bis e 648-ter del codice penale. Tra le caratteristiche di cui al periodo precedente è compresa, in particolare, l'effettuazione di una pluralità di operazioni non giustificata dall'attività svolta da

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rilevate nei confronti dei soggetti obbligati all’identificazione e alla conservazione delle

informazioni.

L’Ufficio Italiano Cambi è stato, infine, autorizzato allo scambio di informazioni ed alla

collaborazione con analoghe autorità di altri Stati, anche sulla base della formazione di eventuali

protocolli d’intesa.

Al decreto legislativo n. 56/2004 ha fatto seguito il decreto del Ministero dell’economia e

delle finanze 3 febbraio 2006, n. 143, contenente il Regolamento in materia di obblighi di

identificazione, conservazione delle informazioni a fini antiriciclaggio e segnalazione delle

operazioni sospette previsto dagli articoli 3, co. 2, e 8, co. 4, del decreto legislativo 20 febbraio

2004, n. 56.

2.3. La legge 31 luglio 2005, n. 155.

Dopo gli attentati di Londra del 7 luglio 2005 il Governo con il decreto legge 27 luglio

2005, n. 144, convertito con modificazioni nella legge 31 luglio 2005, n. 155, ha dettato una serie di

nuove disposizioni di carattere emergenziale destinate a completare l’azione di contrasto posta in

essere dal nostro Paese.

In particolare, la nuova normativa ha introdotto nel codice penale gli artt. 270-quater e 270-

quinquies, relativi alle ipotesi di arruolamento e addestramento ad attività con finalità di terrorismo

anche internazionale, ponendo in tal modo fine od ogni dubbio o contrasto giurisprudenziale.246

L’art. 270-quater c.p. punisce, infatti, chiunque, al di fuori delle ipotesi dell’art. 270 bis,

arruoli una o più persone per il compimento di atti di violenza o di sabotaggio dei servizi pubblici

essenziali, determinati da finalità di terrorismo, anche se rivolti contro uno stato estero,

un’istituzione o un organismo internazionale.

L’espressione “arruolamento” è stata, tuttavia, utilizzata impropriamente dal legislatore

avendo una portata più ristretta rispetto al termine “reclutamento” utilizzato dall’art. 4 della

L.210/1995, in materia di mercenariato, e dunque più adatto ad essere riferito alle organizzazioni di

tipo terroristico. La Corte di Cassazione ha, infatti negato l’identità di contenuto delle due

espressioni sottolineando come l’“arruolamento” individui una dimensione prettamente militare,

differente da quella espressa dal termine “reclutamento” (…) “che, dall’originario significato

militare, si è esteso figurativamente sino a comprendere ogni attività di assunzione di persone

destinate ad un determinato lavoro o incarico”.247 La norma intende tuttavia rifersi a qualsiasi

parte della medesima persona, ovvero, ove se ne abbia conoscenza, da parte di persone appartenenti allo stesso nucleo familiare o dipendenti o collaboratori di una stessa impresa o comunque da parte di interposta persona. 246 Art. 15 legge 31 luglio 2005, n. 155. 247 Cass. pen., Sez. VI, 1 luglio 2003, n. 36776.

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attività di “ingaggio” di persone destinate ad essere utilizzate nelle attività terroristiche sopra

descritte.248

L’art. 270-quinquies c.p. punisce, invece, chiunque, al di fuori delle ipotesi previste dall’art.

270-bis c.p., addestri o comunque fornisca istruzioni in ordine alla preparazione e all’uso di

materiali esplosivi, di armi da fuoco o di altre armi, di sostanze chimiche o batteriologice nocive o

pericolose, nonché di ogni altra tecnica o metodo utilizzabile per il compimento di atti di violenza o

di sabotaggio dei servizi pubblici essenziali rivolti contro uno Stato estero, un’istituzione o un

organismo internazionale, con finalità di terrorismo. La previsione punitiva è estesa al soggetto

addestrato.

E’ stato, inoltre, introdotto l’art. 270-sexies contenente una definizione di “condotte con

finalità di terrorismo” conforme alla definizione di “reato terroristico” offerta dalla Decisione

quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea.

Tali sono considerati gli atti che per loro natura o contesto possono arrecare grave danno ad

un Paese o a un’organizzazione internazionale, compiuti allo scopo di intimidire la popolazione o

costringere i poteri pubblici o un’ organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal

compiere un qualsiasi atto o allo scopo di destabilizzare o distruggere le strutture politiche

fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione

internazionale, come pure ogni altra condotta definita terroristica o commessa con finalità di

terrorismo da convenzioni o da altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia.

Dal punto di vista procedurale, la legge n. 155/2005 ha, in primo luogo, ampliato, le ipotesi

di arresto obbligatorio in flagranza, estendendo le previsioni dell’art. 380 c.p.p. ai delitti non

colposi, consumati o tentati, per i quali la legge stabilisce la pena dell’ergastolo ovvero la reclusione

non inferiore nel minimo a quattro anni o nel massimo a dieci.249

La legge è, quindi, intervenuta sull’art. 384 c.p.p. autorizzando il Pubblico Ministero ad

disporre, anche fuori dai casi di flagranza, il fermo degli indiziati di un “delitto commesso con

finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico”.

L’art. 15 ha, poi, modificato il reato di “istigazione a delinquere” (art. 414 c.p.) disponendo

l’amento della pena edittale ogni qual volta l’istigazione o l’apologia riguardino delitti di terrorismo

o crimini contro l’umanità.

Il provvedimento di legge in esame, noto anche come “Pacchetto Pisanu”, detta, quindi, una

nuova serie di disposizioni relative agli strumenti investigativi, alle misure di prevenzione,

248 In tal senso v. E. Rosi, “Le modifiche al diritto penale sostanziale”, in “Terrorismo internazionale: modifiche al sistema penale e nuovi strumenti di prevenzione”, a cura di E. Rosi e S, Scopellitti, Supplemento a Diritto e Giustizia, fascicolo 16/2006. 249 Art. 13 legge 31 luglio 2005, n. 155.

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all’identificazione personale, al potenziamento dell’attività informativa, all’impiego della polizia

giudiziaria e della forza pubblica ed al contrasto del finanziamento del terrorismo.

In particolare, l’art. 1 ha esteso alle indagini in materia di terrorismo la disciplina relativa ai

“colloqui a fini investigativi”, prevista per il contrasto della criminalità organizzata dalla legge n.

354/1975 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sull’esecuzione delle misure privative e

limitative della libertà), aggiungendo, all’art. 18-bis, il comma 1-bis con il quale viene consentito, al

personale di determinati uffici od organismi, impegnato in attività antiterrorismo, di visitare gli

istituti penitenziari e di essere autorizzato ad avere colloqui personali con i detenuti.250

I “colloqui investigativi” devono essere annotati su uno speciale registro tenuto dalle

autorità che li ha autorizzati (il magistrato o il direttore dell’istituto di pena). Le dichiarazioni

raccolte in tale sede sono, ovviamente, prive di valenza probatoria, mancando le garanzie e le

condizioni previste dal codice di procedura penale in ordine all’assunzione della prova.

L’art. 2 ha, inoltre, garantito la permanenza nel territorio dello Stato dello straniero che

abbia collaborato con l’autorità giudiziaria o gli organi di polizia impegnati in indagini

antiterrorismo, introducendo uno speciale “permesso di soggiorno a fini investigativi” della durata

di un anno.

La informazioni offerte dal “collaborante” devono rispondere ai requisiti previsti dall’art. 9,

co.3, del decreto legge n. 8/1991, e, dunque, possedere “intrinseca attendibilità”, “novità”, “comple-

tezza”, nonché “particolare importanza per lo sviluppo delle indagini o per il giudizio”.

Il rilascio di tali documenti è di competenza del Questore, che può agire autonomamente o a

seguito di richiesta del Procuratore delle Repubblica, dei responsabili di livello almeno provinciale delle

Forze di polizia o dei Direttori dei Servizi di informazione e sicurezza.

Il permesso è rinnovabile annualmente per esigenze processuali o di “sicurezza pubblica” e

può essere revocato nel caso in cui il beneficiario tenga una condotta incompatibile con le finalità per

cui gli è stato concesso.

Il “permesso di soggiorno a fini investigativi”, alla scadenza, può essere convertito dal suo

titolare in un permesso di soggiorno per motivi di lavoro.

Ai sensi dell’art. 2, co. 5, nelle ipotesi in cui la collaborazione abbia assunto particolare impor-

tanza, ossia quando la stessa “ha avuto straordinaria rilevanza per prevenire attentati terroristici alla

vita o all'incolumità delle persone o per la concreta riduzione delle conseguenze dannose o pericolose

degli attentati stessi ovvero per identificare i responsabili di atti di terrorismo” , potrà essere rilasciata

al “collaborante” una “carta di soggiorno a fini investigativi”. 250 Possono essere autorizzati i responsabili delle strutture nazionali, interprovinciali e provinciali della Polizia di Stato e dell’Arma dei Carabinieri chiamate a svolgere investigazioni antiterrorismo e gli Ufficiali di polizia giudiziaria da questi designati. Limitatamente agli aspetti connessi al finanziamento del terrorismo sono inoltre autorizzati a tali colloqui gli ufficiali della Guardia di Finanza designati dai responsabili di livello centrale.

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Tale istituto evidenzia il carattere in parte premiale di tale tipologia di permessi che, non

paiono trovare riscontro nelle altre legislazioni europee, orientate a circoscrivere la durata del

permesso al tempo strettamente necessario alle indagini.251

Per quanto attiene all’attività di prevenzione, l’art. 3 ha previsto una nuova tipologia di

espulsione, da attuarsi nei confronti dello straniero, che si affianca ai provvedimenti di

allontanamento previsti dagli artt. 9, co.5, e 13, co.1, del decreto legislativo n. 286/1998 (Testo

Unico sull’immigrazione).

Il Ministro, o il Prefetto su delega, può disporre l’espulsione dello straniero che appartenga

ad una delle categorie indicate dall’art.18 della legge 22 maggio 1975, n. 152, o nei cui confronti vi

siano “fondati motivi di ritenere che la sua presenza nel territorio dello Stato possa in qualche

modo agevolare organizzazioni o attività terroristiche, anche internazionali”.

L’art. 18 richiamato dalla disposizione contiene l’indicazione delle categorie di persone ritenute

pericolose per l’ordine pubblico. Fra queste compaiono:

- i soggetti che, operando in gruppo o isolatamente, pongono in essere atti preparatori, obiettivamente

rilevanti, diretti a sovvertire l’ordinamento dello Stato;

- i soggetti che abbiano fatto parte di associazioni politiche disciolte ai sensi della legge 20 giugno

1952 n. 645 e nei confronti dei quali debba ritenersi, per il comportamento successivo, che

continuino a svolgere una attività analoga a quella precedente;

- i soggetti che compiono atti preparatori, obiettivamente rilevanti, diretti alla ricostituzione del

partito fascista, in particolare con l’esaltazione o la pratica della violenza;

- i soggetti che sono stati condannati per delitti concernenti le armi quando debba ritenersi, per il loro

comportamento successivo, che siano inclini a commettere un reato della stessa specie. 252

Ben più generico si presenta, invece, il riferimento al fatto di agevolare organizzazioni o

attività terroristiche, definito criticamente “una ipotesi dai contorni in verità evanescenti e sfuggenti,

tali ad esempio da comprendere persino la mera inerzia del soggetto, purché di lui si possa pensare

che costituisca o diventi un punto di riferimento, anche solo ideologico per altri:ipotesi, comunque

suscettibile di innescare ampie discrezionalità e discriminazioni”.253

Tale indeterminatezza espone, ovviamente, la norma alle medesime obiezioni di legittimità

costituzionale avanzate, in passato, nei confronti dell’art. 13, co. 1, del Testo Unico citato. Un

provvedimento di espulsione fondato su presupposti di carattere così generico viene, infatti, a porsi

251 R. Miele, “Disciplina dell’immigrazione e lotta al terrorismo”, in “Terrorismo internazionale: modifiche al sistema penale e nuovi strumenti di prevenzione”, a cura di E. Rosi e S. Scopelliti, Supplemento a Diritto e Giustizia, fascicolo 16/2006, p. 13. 252 S. Scopelliti, “Disciplina dell’immigrazione e lotta al terrorismo”, in “Terrorismo internazionale: modifiche al sistema penale e nuovi strumenti di prevenzione”, a cura di E. Rosi e S. Scopelliti, Supplemento a Diritto e Giustizia, fascicolo 16/2006,p. 24. 253 G.Frigo, “Straniero cacciato senza garanzie”, in Guida al Diritto, n. 33, 2005, p. 76.

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inevitabilmente in contrasto con quello che la giurisprudenza costituzionale ha definito il principio

dell’ Habeas Corpus. 254

Ai sensi dell’art. 3, co.2, l’espulsione dello straniero è eseguita immediatamente, salvo che si

tratti di persona detenuta; ciò in deroga alle disposizioni contenute al ai commi 3 e 5 dell’art.13 del

decreto legislativo n. 286/1998, relativi, rispettivamente all’espulsione dello straniero sottoposto a

procedimento penale e all’espulsione dello straniero trattenutosi nel territorio dello Stato con il

permesso di soggiorno scaduto da oltre 60 giorni senza aver fatto presentato richiesta di rinnovo.

I decreti di espulsione previsti dall’art. 3 sono ricorribili avanti il Tribunale Amministrativo

Regionale (TAR). Tuttavia, il ricorso giurisdizionale, in deroga ai principi che regolano il processo

amministrativo, non può sospendere l’esecuzione del provvedimento (art. 3, commi 4 e 4-bis).

Il giudizio amministrativo e, invece, obbligatoriamente sospeso ogni qual volta la decisione del

ricorso dipenda dalla cognizione di atti per i quali sussiste o il segreto di indagine o il segreto di Stato,

fino a quando l’atto secretato o i suoi contenuti essenziali non siano comunicati al TAR. Nel caso in cui

la sospensione si protragga oltre il termine di due anni, il TAR potrà sollecitare l’Amministrazione,

fissando un termine entro il quale la stessa dovrà produrre nuovi elementi oppure revocare il

provvedimento impugnato. Nel silenzio di questa il Tribunale Amministrativo potrà decidere allo stato

degli atti.

Il sesto comma dell’art. 3 stabilisce che le disposizioni previste dai commi 2 e 5 trovino

applicazione sino al 31 dicembre 2007.

L’art. 11 della legge in esame ha, quindi, sostituito il testo dell’art. 5, co.8, del Testo Unico

sull’immigrazione disponendo che il permesso e la carta di soggiorno siano rilasciati mediante

l’utilizzo di mezzi a tecnologia avanzata con caratteristiche anticontraffazione, conformi ai modelli da

approvare con decreto del Ministro dell’interno, di concerto con il Ministro per l’innovazione e le

tecnologie, in attuazione del Regolamento (CE) n. 1030/2002 del 13 giugno 2002, relativo all’adozione

negli Stati membri di un modello uniforme di permesso di soggiorno da rilasciarsi ai cittadini dei Paesi

terzi. Tali documenti devono includere, oltre ai dati personali previsti per i documenti di identità

elettronici rilasciati ai cittadini, le impronte digitali ed altri dati biometrici in formato digitale, tali da

fornire notizie dettagliate sul titolare e limitare le contraffazioni.

Con l’art. 4 è stato, quindi, disposto il potenziamento dell’attività dei Servizi informativi e di

sicurezza attribuendo al Presidente del Consiglio dei Ministri il potere di delegare i direttori del

SISMi e del SISDe a richiedere alla Magistratura l’autorizzazione per svolgere intercettazioni e

controlli “preventivi” sulle comunicazioni, ogni qual volta questi siano ritenuti indispensabili per la

prevenzione di attività terroristiche o di eversione dell’ordinamento costituzionale. L’autorizzazione

254 S. Scopelliti, “Disciplina…cit., p. 25.

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deve essere richiesta al Procuratore Generale presso la Corte di Appello del distretto in cui si trova

il soggetto da sottoporre a controllo, ovvero quando tale luogo non risulta determinabile, del

distretto dove si sono manifestate le predette esigenze.

Le “intercettazioni preventive”, di cui all’art. 4, si discostano dalla tipologia di

intercettazione prevista dall’art. 226 delle norme di coordinamento del codice di procedura penale,

sia per la diversa Autorità Giudiziaria competente al rilascio dell’autorizzazione, sia per la più

ampia tipologia delle notizie acquisibili, al punto che le disposizioni di cui ai commi 2, 3, 4, e 5 del

citato articolo trovano applicazione solo in quanto compatibili.

Ai fini di rafforzare le capacità antiterrorismo, l’art. 5 attribuisce al Ministro dell’interno il

compito di costituire delle Unità investigative interforze formate ufficiali e agenti di polizia

giudiziaria individuati sulla base di una specifica competenza tecnico-professionale, delle quali

l’ufficio del Pubblico Ministero potrà avvalersi nelle indagini per terrorismo.

La legge 155/2005 è, quindi, intervenuta sulla normativa in materia di traffico telefonico e

telematico.

L’art. 6 ha, in primo luogo, sospeso, fino al 31 dicembre 2007, le disposizioni di legge, di

regolamento o dell’autorità amministrativa che prescrivono o consentono la cancellazione dei dati

del traffico telefonico o telematico anche non soggetto a fatturazione.

In sostanza, i dati essenziali relativi al tracciamento delle comunicazioni telefoniche e

telematiche devono essere conservati dai gestori fino alla predetta data ed utilizzati esclusivamente

per le finalità previste, sempre che il periodo di conservazione non debba essere superiore per

effetto di altre disposizioni di legge.

La norma in questione ha introdotto l’obbligo, per le imprese di telefonia, di identificare gli

acquirenti del traffico mobile prepagato “prima dell’attivazione del servizio, al momento della

consegna o messa a disposizione della scheda elettronica (SIM)”, modificando in tal senso l’art. 55

co. 7 del decreto legislativo 1 Agosto 2003 n. 259.

Tali imprese devono, inoltre, adottare tutte le misure affinché venga garantita l’acquisizione

dei dati anagrafici riportati sul documento di identità esibito dall’acquirente, del tipo e del numero

di quest’ultimo, nonché la sua riproduzione fotostatica, assicurare il corretto trattamento dei dati

acquisiti e rendere gli stessi disponibili, anche per via telematica, al centro di elaborazione dati del

Ministero dell’interno.

La legge ha, poi, modificato l’art. 132 del decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196,

disponendo che i dati relativi al traffico telefonico, “inclusi quelli concernenti le chiamate senza

risposta”, ed al traffico telematico, esclusi i contenuti delle comunicazioni, siano conservati dal

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fornitore, rispettivamente, per 24 mesi e 6 mesi, ai fini dell’accertamento o della repressione dei

reati.

Trascorso detto termine i dati dovranno essere conservati dal gestore per ulteriori 24 e 6

mesi, esclusivamente ai fini dell’accertamento e della repressione dei delitti elencati all’art. 407, co.

2 , lettera a) c.p.p., nonché dei delitti commessi in danno di sistemi informatici o telematici.

L’acquisizione dei tabulati relativi al traffico telefonico o telematico viene effettuata con

decreto motivato del Pubblico Ministero, anche su istanza del difensore dell’imputato,

dell’indagato, della persona offesa e delle altre parti private.

Dopo la scadenza del termine di 24 e 6 mesi indicato dall’art. 132, co.1, d.l.vo 196/2003,

l’acquisizione dei dati è disposta dal giudice delle indagini preliminari, dell’udienza preliminare o

del dibattimento, a seconda della fase del procedimento.

Nei casi di urgenza, “quando vi sia fondato motivo di ritenere che dal ritardo possa derivare

grave pregiudizio alle indagini”, il Pubblico Ministero può disporre, con decreto motivato,

l’acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico. Il decreto in questione deve essere comunicato,

immediatamente e comunque entro le 24 ore, al Giudice competente per il rilascio

dell’autorizzazione. Quest’ultimo, entro 48 ore dal provvedimento, decide in ordine alla convalida

del decreto; la mancata convalida nei termini previsti comporta l’inutilizzabilità processuale dei dati

acquisiti.

Allo scopo di garantire la rintracciabilità dell’utente del traffico telefonico o telematico, con

l’art. 7, è stata ingrata la disciplina amministrativa relativa agli esercizi pubblici e ai circoli privati,

disponendo che tali esercizi siano sottoposti a licenza del Questore ogni qual volta, all’interno dei

locali, siano posti a disposizione del pubblico, dei clienti o dei soci, apparecchi terminali utilizzabili

per le comunicazioni, anche telematiche. La licenza non è necessaria per gli esercizi nei quali siano

istallati solamente telefoni pubblici a pagamento abilitati alla sola telefonia vocale.

Con l’art. 7 il legislatore ha inteso disciplinare le attività di “internet point”, settore che

prima dell’intervento appariva essere estraneo ad ogni controllo.255

Ai titolari delle attività già in corso è stato assegnato il termine di 60 giorni, dall’entrata in

vigore del provvedimento, per richiedere la predetta licenza, che deve intendersi rilasciata trascorsi

60 giorni dall’inoltro della domanda.256

255 G. Aliquò, “Metodologie di prevenzione” in “Terrorismo internazionale: modifiche al sistema penale e nuovi strumenti di prevenzione”, a cura di E. Rosi e S. Scopelliti, Supplemento a Diritto e Giustizia, fascicolo 16/2006, p. 52. 256 N. Gallo, S. Magnanti, “I provvedimenti normativi del 2001 e 2005”, in Conflittualità politico sociale intorno al mediterraneo, a cura di Antonio Panaino, Atti del secondo Seminario di studi e formazione organizzato dalla Questura di Ravenna e dall’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente (Sezione Emilia Romagna) Ravenna 18-20 Maggio 2006, Mimesis, IsIAO, Emilia-Romagna, p. 63.

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L’attuazione delle disposizioni contenute nella norma è stata rinviata ad un regolamento del

Ministero dell’interno, che ha trovato espressione nel D.M. 16 agosto 2005.

Sempre ai fini della prevenzione la legge 155/2005 ha integrato, con nuove disposizioni, le

discipline amministrative relative all’uso degli esplosivi e alle attività di volo.

Per quanto attiene all’uso degli esplosivi l’art. 8 attribuisce al Ministro dell’interno, il potere

di disporre, con proprio decreto, per specifiche esigenze di pubblica sicurezza o per la prevenzione

di gravi reati, speciali limiti o condizioni all’importazione, alla commercializzazione, al trasporto e

all’impiego di detonatori ad accensione elettrica a bassa e media intensità e degli altri esplosivi di II

e III categoria. Il terzo comma di tale articolo ha, quindi, modificato l’art. 163, co. 2, lettera e) del

decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, subordinando al nulla osta del Questore il rilascio della

licenza comunale per l’attività di “fochino”.257 La revoca del nulla osta deve essere comunicata, Ai

sensi del comma 4, al Comune che ha rilasciato la licenza e comporta l’immediato ritiro di

quest’ultima. Le disposizioni in questione hanno trovato attuazione con il decreto del Ministro

dell’interno in datta 15 agosto 2005.

Infine, nel testo della legge 2 ottobre 1967, n. 865 è stato inserito l’art. 2-bis destinato a

perseguire, salvo che il fatto non costituisca un più grave reato, chiunque, al di fuori delle ipotesi

consentite dalla legge, addestri taluno o fornisca istruzioni, in qualsiasi forma, anche anonima o per

via telematica, sulla preparazione o sull’uso di materiali esplosivi, di armi da guerra, di aggressivi

chimici o di sostanze batteriologiche nocive o pericolose e di altri congegni micidiali.

Quanto alla disciplina amministrativa dell’attività di volo, memore degli attentati dell’11

settembre, l’art. 9 ha attribuito al Ministro dell’interno il potere di disporre, con proprio decreto,

che, per ragioni di sicurezza, il rilascio dei titoli abilitativi civili e l’ammissione alle attività di

addestramento pratico siano subordinati, per un periodo determinato non inferiore a sei mesi e non

superiore a due anni, al nulla osta preventivo del Questore, allo scopo di verificare l’insussistenza,

nei confronti degli interessati di indicazione contrarie (“controindicazioni” nel testo) alla tutela

dell’ordine pubblico, della sicurezza pubblica e della sicurezza dello Stato. Il Ministro dell’interno

per gravi motivi di ordine e sicurezza pubblica, può, inoltre, disporre che l’attività di volo che ha

luogo, origine o destinazione nel territorio dello Stato, esercitata anche da parte di chi é in possesso

di titoli di abilitazione rilasciati all’estero, sia subordinata al nulla osta del Questore del luogo in cui

l’attività è prevalentemente svolta, ovvero ha origine o destinazione. Il rifiuto del nulla osta, il suo

ritiro o il suo mancato rinnovo, dovuti al venir meno dei requisiti che ne hanno determinato il

rilascio, comporta il ritiro degli attestati, delle licenze, delle abilitazioni, delle autorizzazioni e di

257 Il “fochino” é colui che nelle cave, nelle miniere e nei cantieri si occupa del posizionamento e del brillamento delle cariche esplosive.

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ogni altro titolo previsto dall’Ordinamento per l’esercizio dell’attività in questione, nonché

l’inefficacia nel territorio dello Stato di analoghi titoli rilasciati all’estero.

L’art. 9-bis ha, in ultimo, potenziato la sicurezza aeroportuale autorizzando l’Ente Nazionale

per l’Aviazione Civile (ENAC) ad utilizzare, ai fini della prevenzione antiterroristica negli

aeroporti, un importo pari a 2.500.000 euro per gli anni 2005 e 2006.

Per quanto attiene alle disposizioni in tema di identificazione personale, l’art. 10 della legge

155/2005 ha, in primo luogo, modificato il testo dell’art. 495, co. III, n. 2, c.p. (Falsa attestazione o

dichiarazione a pubblico ufficiale sull’identità personale o sulla qualità personale propria o di altri),

aggiungendo l’ipotesi di falsa attestazione, della propria identità, del proprio stato o delle proprie

qualità personali, da parte di una persona sottoposta ad indagini all’autorità giudiziaria o alla polizia

giudiziaria delegata a tali indagini.

Il comma 4 di tale articolo ha, quindi, introdotto nel codice penale l’art. 497-bis (Possesso e

fabbricazione di documenti di identificazione falsi), destinato a punire chiunque sia trovato in

possesso di un documento falso valido per l’espatrio, prevedendo un aumento di pena (da un terzo

alla metà) per chi abbia fabbricato o comunque formato il documento ovvero lo detenga per motivi

diversi dall’uso personale. Per tale ipotesi delittuosa è stato, inoltre, previsto l’arresto facoltativo in

flagranza, modificando, in tal senso, dell’art. 381 c.p.p..

L’art. 13 ha, quindi, sostituito parte del testo del terzo comma dell’art. 384 c.p.p.

autorizzando la polizia giudiziaria a procedere al fermo “ad iniziativa” ogni qual volta siano

sopravvenuti “elementi specifici, quali il possesso di documenti falsi, che rendano fondato il

pericolo che l’indiziato stia per darsi alla fuga”.

Il provvedimento ha modificato il testo dell’art. 349 c.p.p. (Identificazione della persona nei

cui confronti vengono svolte le indagini e di altre persone), consentendo alla polizia giudiziaria di

procedere, previo autorizzazione del pubblico ministero (scritta od orale successivamente

confermata per iscritto), nel rispetto della dignità personale dell’indagato, al prelievo coattivo di

capelli e saliva (co. 2-bis), nonchè prolungato la durata del fermo di identificazione da 12 a 24 ore

nel caso in cui l’identificazione si presenti particolarmente complessa oppure occorra l’assistenza

dell’autorità consolare o di un interprete (art. 349, co. 4 c.p.p.).

Per effetto della modifica dell’art. 354, co.3, c.p.p., le disposizioni relative ai prelievi

biologici coattivi sono state, inoltre, estese ai soggetti diversi dall’indagato nonché a coloro che, ai

sensi dell’art. 11 legge 191/78, siano stati accompagnati, ai fini dell’identificazione, presso i locali

della polizia giudiziaria, per avere fornito ad ufficiali o agenti di P.G. false generalità oppure per

essersi rifiutati di fornirle.

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Le previsioni suddette presentano, tuttavia, fondati dubbi di legittimità costituzionale. Con

riferimento al prelievo coattivo di campioni biologici occorre, infatti, ricordare la pronuncia della

Corte costituzionale relativa all’illegittimità dell’art. 224 c.p.p., nella parte in cui consentiva al

Giudice, di disporre, nell’ambito di operazioni peritali, misure tali da incidere sulla libertà personale

dell’indagato, dell’imputato o di terzi, quali il prelievo di un campione biologico contro la volontà

del soggetto.258

Il comma 4-bis dell’art. 10 ha raddoppiato le pene previste dall’ art. 5, della legge 152/75,

nei confronti di chi faccia uso in luogo pubblico o aperto al pubblico, senza giustificato motivo, di

caschi protettivi o di qualunque altro mezzo idoneo a rendere difficoltoso il riconoscimento della

persona.

Con riferimento alle misure di prevenzione, l’art. 14 ha abrogato l’art. 12 della legge 27

dicembre 1956, n. 1423 (Misure di prevenzione nei confronti delle persone pericolose per la

sicurezza e per la pubblica moralità) e modificato il testo dell’art. 9, co.2, aumentando le pene

previste per l’inosservanza degli obblighi e delle prescrizioni inerenti alla sorveglianza speciale con

obbligo o divieto di soggiorno, autorizzando, con riferimento a tali reati, l’arresto anche fuori dai

casi di flagranza.

E’ stato, quindi, inserito nel testo dell’art. 2 della legge 31 maggio 1965, n. 575, il comma 1-

bis, in base al quale il Questore può imporre alla persona definitivamente condannata per un delitto

non colposo, anche se non é stata in precedenza avvisata, il divieto di possedere o utilizzare, in tutto

o in parte, qualsiasi apparato di comunicazione radiotrasmittente, radar e visori notturni, indumenti

e accessori per la protezione balistica individuale, mezzi di trasporto blindati o modificati al fine di

aumentarne la potenza o la capacità offensiva o comunque predisposti al fine di sottrarsi ai controlli

di polizia, nonché programmi informatici ed altri strumenti di cifratura o crittazione di

conversazioni o messaggi.

La norma ha poi modificato il testo dell’art. 5 aumentando il minimo edittale di pena

previsto per l’allontanamento abusivo dal luogo in cui è disposto l’obbligo del soggiorno. Il comma

2 dell’art. 7 è stato inoltre sostituito dal seguente: “In ogni caso si procede d’ufficio e quando i

delitti di cui al primo comma, per i quali è consentito l’arresto in flagranza, sono commessi da

persone sottoposte alla misura di prevenzione, la polizia giudiziaria può procedere all’arresto anche

fuori dai casi di flagranza”.

Per quanto attiene alle misure di prevenzione di carattere patrimoniale, la legge 155/2005 è,

intervenuta sulla legge 14 dicembre 2001, n. 431, e successive modificazioni, inserendo l’art. 1-bis,

relativo al “congelamento dei beni”. Il Presidente del Comitato di Sicurezza Finanziaria dovrà

258 Corte Costituzionale, Sentenza n. 238 del 9 luglio 1996.

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pertanto segnalare al Procuratore della Repubblica competente il rischio che i fondi o le altre risorse

economiche, nei confronti dei quali sussistono sufficienti elementi per formulare proposte di

“congelamento” al Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o a un altro organismo

internazionale competente, possano essere nel frattempo dispersi, occultati o utilizzati per il

finanziamento di attività terroristiche.

L’art. 14 ha, quindi, aggiunto all’art. 18 della legge 152/75 un ultimocomma destinato a

rendere applicabili agli appartenenti a gruppi terroristici o eversivi le disposizioni in materia di

“sorveglianza speciale di pubblica sicurezza” e “obbligo di soggiorno” previste dalla legge 575/65

per agli appartenenti ad associazioni di tipo mafioso, come pure la “sospensione provvisoria

dall’amministrazione dei beni personali” di cui all’art. 22 della legge n. 152/1975.

Allo scopo di restituire la polizia giudiziaria alle sue originarie funzioni, limitando i casi in

cui è chiamata a svolgere compiti accessori quale la notifica di atti, l’art. 17 ha, in primo luogo,

abrogato il comma 2-ter dell’art. 148 c.p.p., con il quale veniva autorizzato il giudice del riesame a

disporre della PG per la notificazione degli atti agli imputati detenuti; al contempo è stato sostituito

il testo del comma 2 di detto articolo, così demandare alla polizia penitenziaria del luogo in cui i

destinatari sono detenuti, il compito di effettuare, in caso di urgenza, le notifiche relative ai

procedimenti di riesame.

E’ stato, inoltre, sostituito il testo del comma 1 dell’art. 151 c.p.p., che attribuiva alla PG o

all’Ufficiale giudiziario il compito di effettuare la notificazione degli atti del Pubblico Ministero nel

corso delle indagini preliminari, limitando tali notificazioni “ai soli atti indagine o provvedimenti

che la stessa PG è delegata a compiere o tenuta ad eseguire”.

Le modifiche in questione non si applicano, tuttavia, ai procedimenti previsti dall’art. 407,

co.2, lettera a) numeri 1, 3, e 4, c.p.p. e, dunque, ai procedimenti relativi:

- ai delitti di devastazione, saccheggio e strage (art. 285 c.p.), guerra civile (art. 286 c.p.),

associazione di tipo mafioso (art. 416 bis) e strage (art. 442 c.p.), nonché di contrabbando di

tabacchi esteri aggravato e associazione a delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi esteri

(artt. 291 ter e quater Dpr 23 gennaio 1973 n. 43 (Testo Unico delle disposizioni legislative in

materia diganale);

- ai delitti commessi avvalendosi della forza di intimidazione del vincolo associativo mafioso e

della condizione di assoggettamento e della delle condizioni di omertà che ne deriva o allo scopo di

agevolare le attività delle associazioni di tipo mafioso.;

- ai delitti con finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine costituzionale per i quali la legge

stabilisce la reclusione non inferiore nel minimo a cinque anni o nel massimo a dieci, nonché ai

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delitti di partecipazione ad associazioni di tipo sovversivo (art. 270, co. 3 c.p.) o a banda armata

(art. 306, co. 2 c.p.).

L’art. 17 ha, inoltre, limitato il rapporto di subordinazione della PG alla Magistratura di cui

all’art. 59, co. 3, c.p.p., ai soli compiti “inerenti alle funzioni previste dall’art. 55 c.p.p.” e, dunque,

a: “prendere notizia, anche di iniziativa, dei reati, impedire che vengano portati a conseguenze

ulteriori, ricercarne gli autori, compiere gli atti necessari ad assicurane le fonti di prova e

raccogliere quant’altro possa servire per l’applicazione della legge penale”.

L’art. 17 ha, infine, modificato gli artt. 20, 49 e 50 del decreto legislativo 28 agosto 2000, n.

274 e l’art. 72, co. 1, del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, sottraendo la PG allo svolgimento

delle attribuzioni proprie del pubblico ministero nei procedimenti penali innanzi al Giudice di Pace

e al Tribunale in composizione monocratica.

Nell’ottica in precedenza descritta l’art. 18 ha autorizzato l’impiego di guardie giurate nei

servizi di vigilanza “che non richiedono l’esercizio di pubbliche potestà o l’impiego di appartenenti

alle Forze di polizia”, consentendo in tal modo agli istituti privati ed in genere alle guardie giurate

di garantire servizi di sicurezza sussidiaria nell’ambito dei trasporti marittimi, ferroviari e

metropolitani, quali la vigilanza ai mezzi di trasporto, ai depositi, alle stazioni, alle stazioni

marittime e agli aeroporti. La possibilità di avvalersi del predetto personale non incide, ovviamente,

sulle attribuzioni e sui compiti dell’autorità di pubblica sicurezza e delle altre autorità

eventualmente competenti in merito.259

Infine, l’art. 18-bis della legge in esame ha modificato l’art. 19, co. 1, della legge 26 marzo

2001, n. 128 (Interventi legislativi in materia di tutela della sicurezza dei cittadini), estendendo agli

appartenenti alle forze armate, le disposizioni previste dall’art. 4 della legge n.152/1975, in modo da

consentire a questi ultimi, durante i servizi di vigilanza e controllo di obiettivi fissi sensibili, la

possibilità di procedere, all’identificazione e all’immediata perquisizione di persone o veicoli, il cui

atteggiamento o la cui presenza, in relazione a specifiche o concrete circostanze di tempo e di luogo

non appaiono giustificabili; quanto sopra allo scopo di accertare l’eventuale possesso di armi,

esplosivi o strumenti di effrazione.260

259 N. Gallo, S. Magnanti, “I provvedimenti …”, p. 73. 260 Ibidem, p. 74.

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CAPITOLO VII

CENNI SULLE LEGISLAZIONI ANTITERRORISMO

BELGA,FRANCESE, SPAGNOLA, TEDESCA, RUSSA E ISRAELIANA

Al termine del presente lavoro occorre esaminare, seppur sinteticamente, le legislazioni di

Belgio, Francia, Germania, Spagna, Russia ed Israele.

Taluni Stati quali il Belgio, la Francia e la Germania e la Soagna hanno, infatti, modificarto il

proprio impianto normativo, non tanto in ragione della nuova minaccia terroristica, quanto allo

scopo di conformarsi agli obblighi derivanti dalle disposizioni dettate dalle Nazioni Unite e

dall’Unione Europea. La legislazione spagnola, in particolare, a “metabolizzato” il fenomeno

terroristico al punto da prevedere nella propria Costituzione la deroga di taluni diritti fondamentali

nei confronti dei soggetti accusati di terrorismo. Al contrario di quanto accaduto negli Stati Uniti e,

successivamente, in Gran Brentagna, gli attentati terrorsitici compituti a Madrid l’11 marzo 2004

non hanno originato una legislazione di carattere emergenziale finalizzata all’adozione di misure

preventive di carattere straordinario.

Anche la Federazione Russa, impegnata a fronteggiare il terrorismo ceceno sin dal 1994, si è

astenuta da qualsiasi intervento sulla propria legislazione, mantenendo intatta la normativa

antiterrorismo del 1998, nella quale sono presenti una serie di definizioni prima fra tutte quella di

terrorismo internazionale.

Analoghe considerazioni possono essere svolte con riferimento allo Stato di Israele, costretto

fin dalla nascita a fronteggiare fenomeni terrorsitcii di diversa matrice e provenienza.

1. La legislazione antiterrorismo belga. In Belgio, la legge 19 dicembre 2003 ha modificato l’art. 137 del codice penale, dando una

definizione di reato terroristico conforme alla definizione comune adottata dalla Decisione quadro

2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea.

Il paragrafo 1 considera “reati terroristici” taluni reati, in grado per natura e contesto, di

arrecare un danno ad un paese ed ad un’organizzazione internazionale, commessi intenzionalmente con lo

scopo di intimidire gravemente una popolazione o costringere indebitamente un governo, i poteri pubblici

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o un’organizzazione internazionale a tenere o ad astenersi dal tenere una determinata condotta, o

destabilizzare gravemente o distruggere le strutture fondamentali politiche, costituzionali, economiche o

sociali di un paese o di un’organizzazione internazionale.261

I paragrafi 2 e 3, prendono, quindi, in esame una serie di atti che, se compiuti alle

condizioni e nei termini di cui al comma 1, costituiscono reato terroristico.

Tali sono:

- l’omicidio volontario e le lesioni personali volontarie;

- il sequestro;

- il rapimento;

- la distruzione di cose o il danneggiamento di proporzioni considerevoli;

- la cattura di aeromobile;

- la cattura di una nave con inganno, violenza o minaccia;

- la fabbricazione e l’uso di sostanze esplosive;

- l’uso di armi;

- la provocazione di un inondazione di una infrastruttura, di un sistema di trasporto, di una

proprietà pubblica o privata, con l'effetto di mettere in pericolo vite umane o di produrre

perdite economiche considerevoli;

- la fabbricazione, il possesso, l’acquisizione, il trasporto, o la fornitura di sostanze chimiche

o nucleari;

- l’uso di armi nucleari biologiche e chimiche;

- la liberazione di sostanze pericolose con l'effetto di mettere a repentaglio vite umane;

- la turbativa o l’interruzione dell’approvvigionamento di acqua, elettricità e “tutte le altre

risorse fondamentali”; nonché

- la minaccia di compiere uno degli atti sopra elencati.

La normativa belga si presenta, dunque, sostanzialmente in linea con la Decisione

quadro 2002/475/GAI del Consiglio dell’Unione Europea del 13 giugno 2002.

La disposizione individua, infatt, tanto il destinatario ultimo dell’azione (uno Stato o

un’organizzazione internazionale) quanto le finalità perseguite dalla stessa (intimidire la

popolazione o influenzare indebitamente la politica di un governo o distruggerne le strutture

fondamentali). Il riferimento alla natura ed al contesto della condotta si presenta, d’altra parte,

indispensabile ai fini della qualificazione dell’atto - di per sé gia costituente reato - come atto

terroristico.262

261 V. in proposito L. Bauccio, L’accertamento cit. , p. 195. 262 Ibidem, p.196.

161

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2. La legislazione antiterrorismo francese

In Francia la legge 2001-1062 del 15 novembre 2001, e la legge 2004-204 del 9 marzo 2004

hanno modificato il codice penale ampliando la tutela offerta dagli artt. 421-1 e 421-2 contro gli atti

di terrorismo, includendo fra gli atti che costituiscono “reato di terrorismo” il riciclaggio di denaro e

l’insider trading.

Secondo l’art. 421-1 del codice penale, costituiscono “reato di terrorismo” i seguenti

crimini posti in essere, con un’azione individuale o collettiva, allo scopo di turbare gravemente

l’ordine pubblico mediante l’ intimidazione o il panico (terreur):

1. gli attacchi volontari alla vita e all’integrità della persona, il sequestro di persona ed il

sequestro di un aereo, di una imbarcazione o di ogni altro mezzo di trasporto;

2. i furti, le estorsioni, le distruzioni, il danneggiamento nonché i reati informatici previsti dal

libro III del codice penale;

3. i crimini relativi ai gruppi eversivi e ai movimenti non organizzati definiti dagli articoli da

431-13 a 431-17, 434-6, e da 441-2 a 441-5 del codice penale

4. la fabbricazione, il possesso e la detenzione di meccanismi, dispositivi micidiali definiti all’art. 2

della legge 19 giugno 1871 che ha deroga al decreto del 4 settembre 1870 sulla fabbricazione

delle armi da guerra;

e dunque:

- la produzione, la vendita, l'importazione o l'esportazione di sostanze esplosive definite

all’art. 6 della legge n. 70-575 del 3 luglio 1870, che ha riformato la legislazione delle polveri

e sostanze esplosive;

- l’acquisizione, la detenzione, il trasporto o il porto illegittimo di sostanze esplosive o di

ordigni fabbricati mediante dette sostanze, definite dall’art. 38 del decreto legge del 18

aprile 1939,che ha fissato il regime dei materiali da guerra armi e munizioni;

- la detenzione, il porto il trasporto di armi e munizioni di prima e quarta categoria, ai sensi

degli articoli 24, 28, 31 e 32 del decreto legge suddetto;

- le infrazioni definite agli articoli 1 e 4 della legge 72-46 del 9 giugno 1972 che vieta la

messa a punto, la fabbricazione, la detenzione, lo stoccaggio, l’acquisizione e la vendita

di armi biologiche o composte da tossine;

- le infrazioni previste dagli articoli 58 e 63 della legge 98-467 del giugno 1998 relativa

all’applicazione della convenzione del 13 gennaio 1993 sul divieto di messa a punto,

fabbricazione, di stoccaggio e di impiego di armi chimiche e sulla loro distruzione;

5. la dissimulazione del risultato di una delle infrazioni previste ai n. 1 e 4 supra;

162

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6. i crimini in materia di riciclaggio previsti dai capitoli IV del titolo II del libro III del codice

penale;

7. i delitti previsti all’art. L 465 del codice monetario francese.

Secondo l’art. 421-2, così come modificato dalla legge 2004-204, costituisce inoltre “reato

di terrorismo” il fatto di introdurre nell’atmosfera, sul suolo, nel sottosuolo, negli alimenti o nei composti

alimentari, nelle acque, comprese quelle del mare territoriale, sostanze che possano mettere in pericolo la

salute di uomini o animali o dell'ambiente naturale, posto in essere con un’azione individuale o

collettiva al fine di turbare gravemente l’ordine pubblico con intimidazione o il terrore.

L’articolo 421-2-2 del codice penale punisce, infine, il reato finanziamento di associazioni

terroristiche. Le nuove misure, adottate al fine di “disporre di mezzi assolutamente necessari alla

lotta contro il terrorismo, alimentato dal traffico di stupefacenti e di armi, sostenuto anche dalle

nuove tecnologie dell'informazione e della comunicazione”, hanno la particolarità di essere

applicabili solo sino al termine del 2003.

Il governo si è impegnato a presentare un rapporto valutativo sull'applicazione di tale testo

normativo prima della fine dell’anno 2002, che verifichi l'efficacia e l'opportunità di una sua

reiterazione.

La legislazione antiterrorismo spagnola.

Al contrario di quanto accaduto in altri Paesi, in Spagna, gli eventi dell’11 settembre non

hanno transitato l’impianto legislativo verso una nuova disciplina antiterrorismo volta ad affermare

misure di prevenzione di carattere eccezionale modellate ad hoc sul nuovo fenomeno terroristico.

L’attività di contrasto del terrorismo, si è infatti, talmente radicata nel substrato socio-

politico spagnolo da diventare un costante oggetto di attenzione da parte del legislatore .

Il terrorismo separatista basco dell’ Euskadi ta Askatasuna (ETA) non è stato, infatti,

l’unico conosciuto dal Paese, che già in “epoca franchista” si è trovato impegnato a contrastare

fenomeni eversivi provenienti da organizzazioni di estrema sinistra qual il Grupo de Resistencia

Antifascista Primero de Octubre (GRAPO) o il Fronte Rivolucionario Antifascista y Patriottico,

(FRAP) movimenti eversivi di estrema sinistra che si riproponevano, a grandi linee, di ottenere

l’espulsione degli “imperialisti americani” dal Paese, la nazionalizzazione dei beni stranieri, la

confisca del latifondo, la fine del colonialismo e la formazione di un esercito popolare.

Le azioni dell’ETA sono state, inoltre, spesso connotate da carattere internazionale o,

quanto, meno transnazionale in ragione della stessa natura del movimento, intenzionato a dar vita

alla nazione basca (Euskal Herria), mediante l’unione di quattro province spagnole (Bizkaia,

Gipuzkoa, Araba e Navarra) e tre francesi (Lapurdi, Behe-Nafarroa e Zuberoa).

163

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Nell’agosto del 1975, poco prima della morte del caudillo (20 novembre 1975), viene

emanato il Decreto-Legge “contro il terrorismo” “Arias Navarro”, destinato ad autorizzare le forze

di polizia a trattenere in stato di fermo le persone sospettate di terrorismo fino ad un massimo di 10

giorni, senz’assistenza di un difensore, nonché ad effettuare perquisizioni domiciliari senza un

preventivo mandato dell’Autorità giudiziaria.

A tale provvedimento, ha fatto seguito il Real Decreto-Legge del 4 gennaio 1977, con cui

viene attribuita al Juzgados Centrales de Instrucción e alla Audiencia Nacional, la competenza

esclusiva in materia reati di “banda armata” e “terrorismo”, a sua volta seguito dalla legge legge n.

56 del 4 dicembre 1978, con la quale vengono confermate, con riferimento ai delitti in questione:

- la possibilità per l’autorità di polizia di disporre l’isolamento dell’indiziato durante la detenzione

preventiva;

- la proroga dello stato di fermo oltre le ordinarie 72 ore;

- l’istituzione di una giurisdizione speciale.

La presenza contemporanea di queste tre caratteristiche della legislazione antiterrorismo ha

determinato, secondo la critica costante, la creazione di “spazi di polizia autonomi”, zone franche e

di affermazione del potere di polizia al di fuori del controllo della magistratura, situazione che

secondo alcuni ha permesso l’istituzionalizzazione della tortura, l’impunità per coloro che la

praticano nonché la difficoltà di darne prova nel corso di un procedimento penale.

La Legge n. 82 del 28 dicembre 1978 ha, quindi, moficato le disposizioni in materia di

terrorismo contenute nel codice penale spagnolo del 1973.

Negli stessi anni, il ritorno della monarchia ed in particolare l’impegno di Juan Carlos I di

Borbone nella transizione democratica del Paese, ha consentito, ai partiti politici, nel frattempo

legalizzati, l’eleborazione di una Carta costituzionale destinata a realizzare uno “stato di diritto”.

La Costituzione Spagnola promulgata 26 dicembre 1978, pubblicata il successivo 29

dicembre, pur prevedendo importanti garanzie in materia di libertà e sicurezza, dispone, al

contempo, espresse deroghe nei confronti dei soggetti sospettati di terrorismo.

L’art. 17 della Carta costituzionale recita infatti:

“Ogni persona ha diritto alla libertà e alla sicurezza. Nessuno può essere privato della

libertà, salvo quanto disposto da questo articolo e nei casi e forme previsti dalla legge;

La detenzione preventiva non potrà durare più del tempo strettamente necessario per gli

accertamenti intesi a chiarire i fatti e, in ogni caso, entro il termine massimo di 72 ore la persona

arrestata dovrà essere messa in libertà o a disposizione dell’autorità giudiziaria.

Ogni persona detenuta deve essere informata immediatamente e in modo comprensibile dei

suoi diritti e dei motivi della detenzione, e non può essere costretta a fare dichiarazioni. Nel corso

164

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delle indagini di polizia e giudiziarie al detenuto viene garantita l’assistenza di un avvocato, nei

termini di legge.

La legge disporrà una procedura di “Habeas Corpus” affinché qualunque persona detenuta

illegalmente sia messa immediatamente a disposizione dell’autorità giudiziaria. La legge stabilirà,

inoltre, la durata massima della carcerazione provvisoria”.

L’art. 55, prevede, tuttavia, che le garanzie offerte dal 2° comma possano essere sospese nei

confronti di determinate persone in relazione a indagini relative ai reati di banda armata o di

terrorismo, rinviando la disciplina dei casi e le modalità di attuazione ad una successiva legge

organica.

La disposizione citata ha trovato attuazione nella Legge Organica n. 11, del 1 dicembre

1980, con la quale vengono, in primo luogo, identificate le garanzie che potranno essere sospese ai

sensi della norma costituzionale. Tali sono:

- il diritto di essere rimesso in libertà o posto a disposizione dell’autorità giudiziaria entro le 72 ore

dal fermo;

- il diritto all’inviolabilità del domicilio in assenza di un provvedimento della magistratura;

- il diritto all’inviolabilità e al segreto delle comunicazioni postali, telegrafiche e telefoniche.

La legge individua, inoltre, i destinatari della deroga e la tipologia dei delitti:

“A los efectos previstos en el artículo cincuenta y cinco, dos, de la

Constitución, se entenderá que las personas cuyos derechos fundamentales pueden

ser suspendidos, en los supuestos y con el alcance que se determinan en la

presente ley, son aquellas que, presuntamente integradas o relacionadas bien con

elementos terroristas, bien con bandas armadas que incidan gravemente en la

seguridad ciudadana, planeen, organicen, ejecuten, cooperen o inciten de modo

directo, a la realización de las acciones que se especifican en el siguiente

apartado, así como a quienes, una vez proyectadas, intentadas o cometidas las

mismas, hicieren su apología publica o encubriesen a los implicados en ellas.

Dos. El ámbito de aplicación de la presente ley comprenderá las acciones

siguientes:

a) Delitos contra la vida y la integridad física.

b) Detenciones ilegales bajo rescate, o bajo cualquiera otra condición, y

detenciones ilegales con simulación de funciones públicas.

c) Tenencia o depósitos de armas, municiones o explosivos, así como su

adquisición, fabricación, transporte o su ministro.

d) Coacciones, amenazas o extorsiones.

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e) Incendios y otros estragos.

f) Delitos contra la seguridad exterior del Estado.

g) Los delitos directamente conexos con los anteriores y, en general, los que

el Código Penal califique como terroristas.”

La Legge Organica 2/1981 del 4 maggio 1981, nota come “Ley de defensa de la

democracia” ha quindi introdotto nel previgente codice penale spagnolo l’art. 174-bis destinato a

perseguire l’appartenenenza ai gruppi o alle bande armate indicate nella Legge Organica 11/80,

come pure ogni forma di fiancheggiamento o supporto logistico o fionanziario a questi ultimi.

Dopo la vittoria del PSOE (Partito Socialista Operaio Spagnolo) alle elezioni politiche del

1982, il governo di Felipe Gonzàles, ha dettato nuove disposizioni relative ai reati di banda armata e

terrorismo, prevedendo, con la Legge Organica n. 9, del 26 dicembre 1984, la dichiarazione di

illiceità lo scioglimento di associazioni o organizzazioni i cui dirigenti o responsabili siano stati

condannati per suddetti reati (art. 5); provvedimento indubbiamente antesignano rispetto alla Legge

Organica 6/2002 con la quale è stato messo al bando il partito basco “Herri Batasuna”, della quale

si dirà in seguito.

Tale normativa é stata seguita dalla Legge Organica n. 6, del 1 luglio 1985, relativa al Poder

Judicial, che, nello stabilire taluni diritti fondamentali nell’ambito del procedimento penale, ha

sancito in modo definitivo la perseguibilità dei reati di terrorismo commessi fuori dal territorio

nazionale.

L’art. 23, del Titolo I, relativo all’ estensione e ai limiti della giurisdizione spagnola,

stabilisce, infatti, che tale giurisdizione sarà applicata nei confronti dei delitti commessi a bordo di

aeromobili spagnoli, senza alcun pregiudizio e in conformità ai trattati internazionali di cui la

Spagna è Parte. La giurisdizione spagnola verrà, inoltre, applicata alle fattispecie di reato previste

dal codice penale spagnolo, commesse al di fuori del territorio nazionale, da un cittadino spagnolo o

straniero, sempre che dopo la commissione del reato quest’ultim abbia acquisito la cittadinanza

spagnola, a condizione che:

- la fattispecie delittuosa sia considerata reato anche nel luogo ove è stata commessa, salvo nei casi

in cui, in virtù di un trattato internazionale, o di un atto normativo di una organizzazione

internazionale di cui la Spagna è parte, non risulti necessaria questa condizione;

- la vittima o il Ministero delle finanze sporgano denuncia davanti ai Tribunali spagnoli;

- il reo non sia stato assolto, abbia usufruito dell’amnistia, o sia stato perseguito all’estero, e in

quest’ultimo caso non abbia interamente scontato la pena inflittagli. Nel caso il soggetto abbia

scontato solo parte della pena all’estero verrà computata ai fni della pena residua.

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La giurisdizione si estenderà anche ai reati commessi da cittadini spagnoli o stranieri al di

fuori dal territorio nazionale che, ai sensi della legge nazionale, siano qualificati come:

- reati di tradimento o contro la pace o l’indipendenza dello Stato;

- reati commessi contro il titolare della corona, la di lui consorte, il successore o il reggente;

- reati i ribellione e sedizione;

- reati di falsificazione della firma del sovrano o dei marchi reali a firma del sovrano, dei marchi

dello stato, della firma dei ministri e dei marchi di pubblici ufficiali;

- reati di falsificazione e spendita della moneta spagnola o qualsiasi altra falsificazione che

pregiudichi direttamente l’interesse dello Stato;

- reati di attentato contro le autorità o i funzionari pubblici spagnoli;

- delitti commessi da funzionari pubblici residenti all’estero nell’esercizio delle proprie funzioni o

contro la pubblica amministrazione;

- delitti relativi al cambio della valuta.

Infine, la giursidizione spagnola verrà applicata anche nei confronti dei cittadini spagnoli o

stranieri commessi al di fuori del territorio nazionale che, in conformità della legge spagnola,

possano essere qualificati come:

- genocidio;

- terrorismo;

- pirateria o sequestro illecito di aeromobile;

- falsificazione di valuta estera;

- prostituzione e corruzione di minori;

- traffico illegale di sostanze psicotrope, tossiche e stupefacienti; e

- qualsiasi altro reato che secondo i trattati o le convenzioni internazionali debba essere

perseguito in Spagna.

Nel 1986, l’ingresso della Spagna nella Comunità Economica Europea ha indotto il Governo

ad adeguare l’eccessiva rigidità della legislazione antiterrorismo nazionale ai parametri europei.

Il Governo ha così limitato il periodo di fermo ad un massimo di cinque giorni e stabilendo

inoltre che l’isolamento del detenuto disposto dall'autorità di polizia dovrà essere ratificato dal

Giudice Istruttore centrale entro le 24 ore.

Inoltre, permane in vigore la norma che impone l'avvocato d’ufficio al detenuto in

isolamento, norma che è stata dichiarata anch’essa costituzionale.

Con la Legge Organica n. 10 del 23 novembre 1995, è stato quindi promulgato il codice

penale attualmente in vigore.

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L’art. 571 del codice penale punisce coloro che appartenendo, agendo al servizio o

collaborando con bande armate, organizzazioni o gruppi la cui finalità sia di sovvertire l’ordine

costituzionale o alterare gravemente la pace pubblica, commettono i delitti di strage e di incendio

indicati agli articoli 346 e 351.

Il successivo art. 572, punisce gli atti terroristici consistenti nell’omicidio, nelle lesioni

personali, nel sequestro, nella minaccia o nella coercizione di una persona, prevedendo un’espressa

agravante nel caso in cui tali atti siano posti in essere nei confronti delle forze armate, delle forze di

sicurezza dello Stato, delle forze di polizia delle comunità autonome o degli enti locali.

Gli artt. 573 e 574 del codice penale prevedono quindi un aggravio di pena per chi

appartenendo, agendo al servizio o collaborando con le bande armate, le organizzazioni o i gruppi

sopra descritti “detenga armi, munizioni o la detenzione di sostanze od ordigni esplosivi,

infiammabili, sostanze asfissianti o di loro componenti, così come la fabbricazione, il traffico, il

trasporto o la mera collocazione dei sopra citati artifizi, ovvero commettano qualsiasi altro reato

con una delle finalità descritte dall’art. 571.

L’art.575 punisce più severe rispetto a quelle previste per i medesimi reati la realizzazione di

reati contro il patrimonio “al fine di procurare fondi a bande armate, organizzazioni o gruppi

sopracitati, o comunque con il proposito di di favorire le loro finalità”

L’art.576 punisce gli atti di collaborazione con le predette organizzazio (colui che

commette, faciliti qualsiasi atto di collaborazione con le attività o finalità di una banda armata,

organizzazioneo gruppo terroristico), definendo “atti di collaborazione” la raccolta o la vigilanza di

una persona, beni od installazioni, la costruzione, l’adattamento, la cessione o l’utilizzazione di

alloggi o depositi; l’occultamento od il trasporto di persone vincolate alle organizzazioni di cui

sopra; l’organizzazione di pratiche di addestramento o qualsiasi altra forma di assistenza ad esse e

in generale qualsiasi altra forma che equivalga al favoreggiamento (aiuto,collegamento economico

o di altro genere con le citate bande armate o gruppi terroristici)

Il reato è aggravato dal fatto di mettere in pericolo la vita, l’integrità fisica, la libertà od il

patrimonio delle persone predette.

Ai sensi dell’art. 576 coloro che, senza appartenere ad una banda armata,organizzazione o

gruppo terrorista, e con la finalità di sovvertire l’ordine costituzionale o di alterare gravemente la

pace pubblica, o con quella di contribuire a questi fini terrorizzando i componenti di una

popolazione o i membri di un collettivo sociale politico o professionale,commettono omicidio,

lesioni tipizzate negli articoli da 147 a 150, detenzioni illegali, sequestro minacce o coercizioni

contro le persone, o compiono qualsiasi delitto di incendio,strage o danni di cui gli articoli da 263 a

266, 323 o 560, o possesso, fabbricazione, eposito, traffico, trasporto o somministrazione

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(distribuzione) di armi,munizioni o sostanze o apparati esplosivi,infiammabili,incendiari o

asfissianti o di loro componenti,saranno puniti con la pena che corrisponde al fatto commesso, nella

sua metà superiore.

L’art. 578 punisce, l’istigazione dei delitti compresi negli artt. da 571 a 577 del codice

penale o la giustificazione, attraverso qualsiasi mezzo di pubblica espressione, dei delitti in

questione o di coloro che vi abbiano preso parte, la realizzazione di atti che comportino discredito,

vilipendio o umiliazione delle vittime dei delitti di terrorismo o dei loro familiari.

L’art. 579, infine, punisce la provocazione, l’accordo o la proposta di commettere i delitti

previsti negli articoli da 571 a 578.

La Ley Organica n. 7 del 22 dicembre 2000 ha quindi modificato gli artt. 40, 266, 346, 351,

504, 505, 551, 577, 578 y 579 e la Ley Organica n. 5 del 12 gennaio 2000, con riferimento alla

responsabilità dei minorenni per i delitti di terrorismo.

Ulteriori disposizioni in materia di antiterrorismo sono, contenute nella legge sui diritti degli

stranieri (Ley organica 8/2000) e nella legge sui partiti politici (Ley organica 6/2002), in forza della

quale nell’estate del 2002 è stato messo al bando il partito basco Harri Batasuna.

La Legge n. 2 del 12 de marzo 2003 ha moficato la Ley 32/1999, de 8 de octubre 1999, “de

solidaridad con las víctimas del terrorismo”.

Con la Legge n. 12 del 21 de maggio 2003, sono state quindi adottate una serie di

disposizioni relative al contrasto del finanziamento del terrorismo sostanzialmente condormi alla

disposizioni dettate dall’Uniuone Europea.

La Legge Organica n. 20, del 23 dicembre 2003, ha, modificato la Ley Orgánica del Poder

Judicial del 1985, introducendo nel codice penale, oltre gli art. 506-bis e 521-bis, l’art. 576-bis che

punisce: “la autoridad o funcionario que allegara fondos, bienes, subvenciones o ayudas públicas a

asociaciones o partidos disueltos o suspendidos por su relación con delitos de la sección segunda

del capítulo V del título XXII del Código Penal”; articoli questi in seguito abrogati dalla Legge

Organica n. 2 del 22 giugno 2005 “de modificación de la Ley Orgánica del Poder Judicial y del

Código Penal”.

Dopo l’attentato di Madrid dell’ 11 marzo 2004, anche a seguito del cambiamento politico

conseguente alle elezioni del successivo 14 marzo, sono state varate nuove disposizioni destinate a

rafforzare l’organico dei servizi informativi della Guardia Civil e del Corpo Polizia Nazionale, il

coordinamento delle indagini mediante l’istuzione di un “Centro Nacional de Coordinación

Antiterrorista”, nonché le misure di solidarietà nei confronti delle vittime.263

263 Real Decreto 419/2004, de 11 de marzo, por el que se declara luto oficial con motivo de los atentados terroristas perpetrados en Madrid el día 11 de marzo de 2004. LEY 1/2004, de 24 de mayo, de ayuda a las víctimas del terrorismo della Comunidad Autonoma Valenciana. Real Decreto 6/2006.

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Tale legislazione non presenta carattere emergenziale. I provvedimenti in questione non

hanno infati inciso in modo sostanziale sull’assetto dell’ordinamento giuridico spagnolo, essendo in

prevalenza destinati da dare attuazione alle disposizioni contenute nella Ris. 1373/2001 delle

Nazioni Unite ed alle prescrizioni dell’Unione Europea.

3. La legislazione antiterrorismo tedesesca

La Costituzione federale tedesca, al contrario della carta costituzionale spagnola non

contiene specifiche disposizioni destinate a consentire deroghe in caso di “emergenza terroristica”.

La Corte costituzionale può, tuttavia, dichiarare la decadenza da taluni diritti

costituzionalmente garantiti di chi abusa del diritto di espressione, di insegnamento, di riunione, di

associazione, del segreto della corrispondenza, del diritto di proprietà e del diritto di asilo, allo

scopo di opporsi all’ordine liberaldemocratico.

Il codice penale federale punisce con l’art. 129a chiunque crei un’organizzazione che abbia

lo scopo di commettere reati quali:

- omicidio, omicidio premeditato, o genocidio;

- sequestro di persona e sequestro con finalità di estorsione;

- distruzione e danneggiamento di mezzi di lavoro ;

- incendio;

- procurata esplosione e procurata esplosione nucleare;

- utilizzo improprio di raggi ionizzanti;

- provocata inondazione;

- avvelenamento della popolazione;

- interferenza pericolosa del traffico ferroviario, marittimo e aereo, interferenza nei servizi

pubblici, attacco del traffico aereo e marittimo.

La stessa norma punisce, inoltre, la partecipazione a tali organizzazioni ed il sostegno dato

alle stesse.

Alla legislazione precedente l’11 settembre, destinata a contrastare il fenomeno del

terrorismo interno,264 ha fatto seguito la legge sulla lotta al terrorismo internazionale

(Terrorismusbekaempfungsgesetz) del 9 gennaio 2002.

In particolare, il “pacchetto” antiterrorismo ha rafforzato ed ampliato le competenze

dell’Ufficio Federale per la tutela della Costituzione, tra i cui compiti é compresa l’acquisizione e la

264 Legge 18 agosto 1976, legge 30 settembre 1977 e legge 19 dicembre 1986.

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valutazione delle informazioni relative a qualsiasi attività diretta contro la pacifica coesistenza dei

popoli.

All’Ufficio in questione è stato riconosciuto, nel quadro dei compiti di prevenzione, il diritto

di chiedere informazioni agli istituti di credito e servizi finanziari, alle società finanziarie, alle

compagnie aeree, nonché a società di telecomunicazioni. L’Ufficio è, inoltre, autorizzato ad

utilizzare, in particolari circostanze disciplinate dalla legge, mezzi tecnici per localizzazione di

telefoni cellulari, nell’eventualità in cui un analogo risultato non sia perseguibile con le normali

misure di sorveglianza.

La legge ha, quindi, ampliato le competenze del Servizio di controspionaggio militare e del

Servizio di intelligence federale, autorizzandolo il primo a richiedere alle società che forniscono

servizi di telecomunicazioni informazioni sui dati relativi all’ utilizzo di tali servizi, ed il secondo,

in presenza di specifiche circostanze, ad acquisire informazioni sulle transazioni monetarie e sugli

investimenti ad istituti di credito, istituti di servizi finanziari e società finanziarie, anche con

riferimento ai conti e ai titolari di questi.

Nel contesto di un potenziamento delle misure di sicurezza relative ai trasporti sono state

ampliate le competenze della Polizia di frontiera con particolare riferimento alla sicurezza delle

istallazioni aeroportuali ad ai trasporti aerei.

Per quanto attiene alla normativa in materia di immigrazione, gli emendamenti apportati dal

provvedimento consentono di negare il visto e il permesso di soggiorno a chiunque partecipi o

contribuisca ad atti di terrorismo o di violenza. Nei confronti dei soggetti ai quali, sulla base di tali

norme, è stato vietato l’ingresso nel territorio nazionale, possono, ovviamente, essere adottati

provvedimenti di espulsione. Analoghi misure possono essere assunte nei confronti di chi fornisca

informazioni false alle autorità estere nel corso della procedura per il rilascio del “visto di ingresso

o soggiorno”. E’ stato, inoltre, introdotto il registro centrale degli stranieri destinato ad agevolare i

controlli di sicurezza sulle persone immigrate in Germania.

A tal fine é stata disposta una più intensa cooperazione tra le rappresentanze diplomatiche

all’estero e gli organismi di sicurezza. Alle rappresentanze diplomatiche sono stati attribuiti

maggiori poteri in materia di identificazione personale e specifiche procedure da attuarsi nei

confronti dei soggetti che richiedo il visto.

Il “pacchetto antiterrorismo” ha quindi consentito alle autorità di raccogliere dati personali

anche all’insaputa dell’interessato, derogando al segreto della corrispondenza e al segreto bancario.

Per l’accesso ai tali dati è, tuttavia, necessaria una specifica autorizzazione ministeriale.

E’ stato, inoltre, previsto l’uso di documenti di identità elettronici dotatati in grado di

contenere i dati biometrici del titolare.

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Infine, sono state introdotte disposizioni destinate ad attribuire agli organismi di sicurezza

degli strumenti idonei ad esercitare un o controllopiù incisiv nei confronti di gruppi religiosi, primi

fra tutti quelli a matrice islamico-radicale.

La durata delle disposizioni principali della legge è fissata in cinque anni salva la facoltà di

proroga che il legislatore si è riservato.

Il 26 luglio 2002 è stato modificato l’art. 96 della Costituzione l’aggiunta di un quinto

comma destinato a demandare, mediante una legge federale, alle Corti dei Laender, i processi

relativi agli atti contro la sicurezza dello stato e agli altri atti suscettibili di turbare la coesistenza

pacifica dei popoli, oltre che i processi per genocidio, crimini contro l’umanità e crimini di guerra.

Con legge federale del 22 agosto 2002 è stata, quindi, introdotta la fattispecie criminosa di

associazione terroristica all’estero, di cui all’art. 129b del codice penale, destinata ad estendere le

disposizioni di cui all’art. 129a alle associazioni terroristiche all’estero.

La fattispecie riguarda le associazioni al di fuori degli Stati dell’Unione Europea nel caso il

fatto sia previsto come reato dall’ordinamento tedesco e quando la vittima o l’autore del fatto sia

cittadino tedesco o si trovi nel territorio nazionale.

L’art. 129b prevede, inoltre, che la procedibilità dell’azione penale sia subordinata

all’autorizzazione del Ministro della giustizia che, a tal fine, deve valutare “se le attività

dell’associazione minacciano i valori fondamentali di un ordine statale fondato sul rispetto della

dignità dell’uomo ovvero sono dirette contro la convivenza pacifica dei popoli ed appaiono in

considerazione di tutte le circostanze riprovevoli”.

Lo sforzo del legislatore tedesco è dunque “chiaramente orientato ad evitare, automatismi

classificatori che non tengano conto del contesto specifico in cui l’azione si svolge e, parimenti, che

l’azione repressiva dello Stato non venga esercitata con riferimento a condotte dirette contro paesi

dittatoriali o antidemocratici, ossia paesi che non si reggono sul riconoscimento dei diritti

fondamentali dell'uomo o che si tratti di azioni inidonee a nuocere alla convivenza pacifica dei

popoli”.265

4. La legislazione antiterrorismo russa.

La normativa russa in materia di antiterrorismo è contenuta negli artt. 205, 206, 207, 208,

277 e 360 del codice penale e nella legge federale n. 130-FZ, del 25 luglio 1998.

L’art. 205 del codice penale detta una definizione di “terrorismo” considerando tale la

realizzazione o la minaccia di esplosioni, incendi e altre azioni che mettano, in modo

significativo, a repentaglio la vita e le proprietà della popolazione, o altre azioni con conseguenze

265 L. Bauccio, “L’accertamento…cit.”, p. 199.

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pericolose, ogni qual volta siano compiute con lo scopo di danneggiare la pubblica sicurezza,

spargere il panico tra la popolazione o ricattare la pubblica autorità e i suoi organi decisionali.

Il crimine in questione è aggravato dal fatto di essere compiuto da un gruppo di persone

sulla base di un preventivo accordo, ripetutamente o con l’utilizzo di armi da fuoco nonché dal più

grave fatto di essere compiuto da un gruppo organizzato ed aver comportato o una grossa perdita di

vite umane o altre pesanti conseguenze, o l’essere il gruppo equipaggiato con materiale nucleare o

radioattivo.

Ai sensi dell’ultimo comma non sono puniti coloro che pur avendo partecipato alla

preparazione di atti di terrorismo abbiano avvisato tempestivamente la pubblica autorità, al fine di

prevenire la realizzazione dell’atto.

L’art. 3 della legge federale n. 130-FZ del 25 luglio 1998, sulla lotta la terrorismo detta una serie

di definizioni in materia di “terrorismo internazionale”.

Per “terrorismo internazionale” deve intendersi la violenza o la minaccia della violenza

contro individui od organizzazioni o la distruzione di beni mobili o immobili tale da mettere a

repentaglio la vita e le proprietà della popolazione o la sua minaccia, o altre azioni con conseguenze

pericolose compiute allo scopo di compromettere la pubblica sicurezza, intimidire la popolazione o

influenzare l’adozione di decisioni che possano avvantaggiare le organizzazioni terroristiche stesse;

l’attentato alla vita di uomini di stato o personalità pubbliche compiuto allo scopo di far cessare la

loro attività politica o per vendicarsi delle scelte da questi compiute; attacchi alle rappresentanze di

altri stati odi organizzazioni internazionali che godono di protezione internazionale, se tali azioni sono

commesse al fine di rendere difficili le relazioni internazionali della Federazione Russa ovvero

provocare lo stato di guerra;

L’ “attività di terrorismo” comprende:

1. l’organizzazione, la pianificazione, la preparazione e la realizzazione di un’azione terroristica;

2. l’istigazione alla commissione di atti terroristici, alla violenza contro organizzazioni o individui, o

la distruzione di oggetti materiali per scopi terroristici;

3. l’organizzazione di una formazione illegale, o di una associazione od organizzazione criminale o

di un gruppo organizzato al fine di commettere azioni terroristiche;

4. il reclutamento, il rifornimento d’armi, l’addestramento e l’utilizzo di terroristi;

5. il finanziamento o ogni altro tipo di assistenza ai gruppi terroristici;

Le “attività di terrorismo internazionale” sono condotte mediante:

1. terroristi o organizzazioni terroristiche che operano in più stati o che si oppongono agli interessi di

più stati;

173

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2. l’istigazione alla commissione di atti terroristici, alla violenza contro organizzazioni o individui, o

la distruzione di oggetti materiali per scopi terroristici;

3. l’organizzazione di una formazione illegale, associazione o organizzazione criminale, o un

gruppo organizzato al fine di commettere azioni terroristiche.

Per “azione terroristica” deve intendersi:

1. la commissione diretta di un reato di terrorismo, che comporti esplosioni e incendi o la sola

minaccia dell’impiego di esplosivo anche nuclaeare o radioattivo, chimico, biologico,

tossico, o comunque nocivo;

2. la distruzione, il danneggiamento o il sequestro di veicoli o altri mezzi; l’attentato alla vita

di un ufficiale dello stato o di una figura pubblica o rappresentativa di gruppi nazionali,

etnici, religiosi, o altri presenti nella popolazione; il sequestro di ostaggi ed il rapimento;

3. la messa in pericolo o la minaccia alla vita, alla salute o alla proprietà di una parte non

specificata di persone tale da creare le condizioni per incidenti o disastri;

4. la diffusione di minacce di qualsiasi tipo e con ogni mezzo;

5. ogni altra azione che metta a repentaglio la vita, che possa apportare seri danni a beni e proprietà

o altre conseguenze dannose.

Per “reati di terrorismo” devo intendersi i reati indicati dagli articoli 205-208,277 e 360 del Codice

penale della Federazione russa. Altri crimini possono essere considerati tali se commessi con finalità di

terrorismo.

Per “terrorista” deve intendersi una persona che, in qualsiasi forma, partecipa alla

realizzazione di un’attività terroristica.

Per “gruppo terroristico” deve intendersi un gruppo di persone che si sono associate con lo

scopo di realizzare attività terroristiche.

Per “organizzazione terroristica” deve intendersi un’organizzazione creata con lo scopo di realizzare

attività terroristiche o tale da ritenere possibili l’utilizzo di attività terroristiche. Un’organizzazione è

ritenuta terroristica anche se solo una delle sue componente strutturali porta avanti attività di matrice

terroristica, con la consapevolezza di anche uno solo dei suoi organi direttivi.

Per “lotta contro il terrorismo” si deve intendere l’attività di prevenzione, investigazione,

rimozione e riduzione delle conseguenze delle attività di terrorismo;

Per “operazione di antiterrorismo” si intendono le speciali misure dirette a fermare un’azione

terroristica, assicurando la sicurezza degli individui, neutralizzando terroristi, e riducendo le

conseguenze di un’azione di terrorismo.

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Per “zona di operazione antiterrorismo” deve intendersi l’area specifica (terra, acqua, edifici,

infrastrutture, veicoli, installazioni domicili e il territorio annesso) dove viene svolta l’operazione

suddetta;

L’art. 3 definisce infine come “ostaggio” l’ individuo sequestrato e/o trattenuto con il proposito di

costringere lo stato, un’organizzazione o degli individui a porre in essere o astenersi dal porre in essere

un determinato comportamento quale condizione per il rilascio del soggetto trattenuto.

5. La legislazione antiterrorismo israeliana.

L’ordinamento giuridico israeliano si presenta privo di una costituzione nel senso

“moderno” del termine, cioè di un documento scritto collocato al vertice delle fonti del diritto,

modificabile attraverso procedure diverse rispetto all’ordinario procedimento legislativo, detinato a

disciplinare tanto la “garanzia dei diritti” quanto la “separazione dei poteri”.

Tale peculiarità può essere collegata solo in parte all’influenza del modello britannico,

conseguente al mandato esercitato dalla Gran Bretagna sulla Palestina a partire dal 1918 nell’ambito

della Società delle Nazioni.

La dichiarazione di indipendenza (1948) aveva, infatti, previsto la redazione entro breve

tempo di una carta costituzionale. Tuttavia l’allora primo ministro David Ben Gurion, sollecitato

anche dalle forti tensioni interne, preferì non dotare il Paese di una costituzione, attendendo il

termine della “diaspora”, ufficialmente per non vincolare i molti che sarebbero tornati alla volontà

dei pochi.

Il rifiuto di intraprendere un processo di higher lawmaking, venne sancito in modo espresso

il 13 giugno 1950 in occasione della prima Knesset con la cd “risoluzione Larari” (dal nome del

deputato che l’aveva proposta), In tale occasione venne deciso di abbandonare, quanto meno per il

momento, l’idea di adottare una costituzione scritta, stabilendo al contempo che il processo

costituente sarebbe stato posto in essere, in modo graduale, attraverso l’approvazione di una serie di

leggi denominate, secondo il modello tedesco, “Leggi Fondamentali” (Basic Laws), destinate ad

essere, in seguito, raccolte in un unico documento, così da definire la Costituzione israeliana una

“Costituzione a tappe”.

Benché assimilabile ad un capitolo della Costituzione, la legge fondamentale si presenta più

flessibile sotto il profilo formale (è scritta in forma elastica così da consentire un interpretazione

evolutiva), sotto il profilo gerarchico (la legge ordinaria può derogare a talune disposizioni

specifiche della legge fondamentale) e sotto il profilo genetico (la legge fondamentale può essere

approvata a maggioranza semplice).

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Tale anomalia strutturale si riflettere nella produzione normativa, ordinaria e speciale,

nonché nell’applicazione e nell’interpretazione delle norme, dando origine ad un ordinamento a

cavallo fra la common law e la civil law.

La legislazione israeliana antiterrorismo trova disciplina nell’Ordinanza sulla prevenzione

del terrorismo 33, 5540 del 1948, successivamente modificata dalle Ordinanze 5740/1948,

5746/1986 e 5753/93.

Ai sensi di tale normativa, per “organizzazione terroristica” deve intendersi “un gruppo di

persone impegnate in “attività di violenza finalizzata a causare la morte o il ferimento di una

persona o a minacciare tali atti di violenza”.

Per “membro di una organizzazione terroristica” deve invece intendersi “una persona

appartenente ad essa”. L’espressione include coloro che partecipano alle attività di tale

organizzazione anche propagandando quest’ultima o l’ attività svolta o i suoi scopi, ovvero

raccogliendo denaro od altri beni a sostegno dell’organizzazione o delle sue attività.

L’Ordinanza definisce “attività di sostegno” all’organizzazione terroristica il fatto di chi:

- pubblicamente, per iscritto o verbalmente, usa parole di elogio, solidarietà (simpathy) o

incoraggiamento nei confronti di atti violenti che comportano morte o lesioni fra la

popolazione ovvero la minaccia di tali atti;

- pubblicamente, per iscritto o verbalmente, usa parole di elogio, solidarietà o propone un

appello per dare aiuto a un’ organizzazione terroristica;

- possiede materiale di propaganda di un’organizzazione terroristica;

- mette a disposizione di un’organizzazione terroristica o di alcuni suoi membri un luogo di

ritrovo che possa servire quale luogo di attività, di propaganda o di deposito.

La nozione di “attività di sostegno” si presenta dunque, quanto, mai ampia essendo

riconducibile tanto agli atti di violenza posti in essere nei confronti della popolazione civile quanto

a mere manifestazioni di pensiero, peraltro non meglio specificate.

Lo status di “organizzazione terroristica” consegue alla pubblicazione sulla Gazzetta

Ufficiale di una notifica in tal senso da parte del governo. Tale notifica viene considerata nei

procedimenti giudiziari una prova del carattere terroristico dell’organizzazione, salvo venga offerta

prova contraria da parte da parte degli interessati.

Il “terrorismo internazionale” trova disciplina nella Penal Law del 1977 che dispone da un

lato il divieto di partecipare alle unlawful association, e cioè alle associazioni che incitano a

commettere atti di violenza nei confronti dello Stato di Israele ed altri governi, e dall’altro la

messa al bando di tali associazioni.

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La Penal Law punisce, inoltre, i tentativi di distruggere l’ordine politico di uno Stato estero,

l’istigazione a commettere atti ostili contro uno Stato amico (friendly State), nonché la

pianificazione di atti violenti rivolti fuori dai confini dello Stato di Israele.

Manca tuttavia un criterio oggettivo su cui fondare la definizione di friendly State Stato

amico. Viene così attribuita all’esecutivo un’ampia discrezionalità in merito ai reati di istigazione

da perseguire.266

Lo Stato di Israele, come noto vive, sin dalla sua costituzione, in un perenne “stato di

emergenza”. La formale dichiarazione dello “stato di emergenza”, ancora oggi in vigore, consente

all’esecutivo di emanare regolamenti aventi forza di legge in grado allo scopo di disciplinare

particolari situazioni senza dover ricorrere al procedimento parlamentare.

I principali regolamenti in materia sono:

- il regolamento di difesa (stato di emergenza), del 1945, e. dunque, nato nel periodo in cui la Palestina si

trovava ancora sotto mandato britannico;

- l’art. 9 dell’ Ordinanza sul potere e il diritto, 5709-1948, che disciplina l’emanazione dei regolamenti

di emergenza fin dal momento della costituzione dello Stato; e

- la legge sui poteri in stato di emergenza, 5739-1979, che disciplina l’arresto e la detenzione, per motivi

di sicurezza dello Stato o di sicurezza pubblica, al di fuori di un procedimento penale ordinario.

In particolare i regolamenti citati disciplinano la detenzione amministrativa, i decreti restrittivi, le

uccisioni preventive mirate, le residenze assegnate, nonché i sistemi di interrogatorio delle persone sospettate di

atti di terrorismo.

La “Detenzione amministrativa”.

In forza dell’art. 2 della legge sui poteri in stato di emergenza (detenzione) 5739-1979, il Ministro

della difesa è autorizzato a detenere una persona per un periodo di sei mesi, nonché a prolungare tale

detenzione per sei mesi, ulteriormente prorogabili.

La detenzione amministrativa ha lo scopo di evitare che gli atti di chi é sospettato di appartenere

ad una organizzazione terroristica possano in futuro mettere a repentaglio la sicurezza dello Stato o la

sicurezza pubblica. La sua applicazione non è, dunque, condizionata all’esecuzione di un atto terrostico

o al sospetto della preparazione di questo.

Una persona può essere soggetta a detenzione amministrativa solo se non vi é un mezzo

differente per evitare la minaccia dalla stessa rappresentata.

266 Ibidem, p.189.

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La misura della detenzione amministrativa deve essere sottoposta al vaglio della Corte

distrettuale entro 48 ore dal fermo; contro la decisione di questa è possibile appellarsi alla Corte

Suprema.

La detenzione amministrativa è stata in genere utilizzata nei confronti degli attivisti di

organizzazioni palestinesi presenti nei territori della Giudea e della Samaria. L’uso di tale mezzo

eccezionale non è, tuttavia, frequente.

L’Alta Corte di Giustizia ha, infatti, sottolineato il fatto che il potere di ricorrere alla

detenzione amministrativa deve essere considerato una “extrema ratio”: “II potere concesso al

Ministro della difesa è un potere vasto ed eccezionale, perché può privare una persona della libertà non

attraverso un procedimento giurisdizionale ordinario, e per ciò bisogna far uso di questo potere con

grande cautela, e solo in casi nei quali la sicurezza dello Stato e la sicurezza pubblica siano

effettivamente in pericolo, e quando non vi sia altra via per impedire tale pericolo”.

I “Decreti restrittivi”.

Gli articoli da 108 a 110 del Regolamento di difesa (stato di emergenza) del 1945, autorizzano

un comandante militare ad emettere decreti di “restrizione, custodia o limitazione della libertà”. I decreti

in questione possono vietare ad una persona di recarsi in una determinata regione o in un determinato

luogo, possono imporre il luogo di domicilio ed il divieto di abbandonarlo senza autorizzazione della

polizia, l’obbligo di presentarsi all’autorità di polizia un certo numero di volte per un determinato spazio

di tempo, limitare i rapporti con altre persone e vietare di allontanarsi dall’abitazione dopo il tramonto.

La decisione del comandante militare si basa su informazioni e materiale riservato e non è

soggetta a controllo giurisdizionale. Anche l'uso di decreti restrittivi non è frequente.

La “Residenza assegnata”.

Si tratta di una misura di prevenzione consistente nel trasferire d’autorità la residenza dei

membri della famiglia di un terrorista (in genere uno shahid ) dalla West Bank alla Striscia di Gaza.

La misura in questione soddisfa al contempo le esigenze di deterrenza e prevenzione che

hanno caratterizzato la situazione israeliana dopo la seconda Intifhada (ottobre 2000); attraverso tale

provvedimento vengono, infatti, ridotti tanto i benifici economici elargiti alle famiglie degli

shahuda267 dalle organizzazioni terroristiche, quanto i rischi di atti di emulazione posti in essere dai

famigliari.

L’Alta Corte di Giustizia ha, tuttavia, a precisato che il quadro di legittimità di tali atti

deve necessariamente riferirsi alle norme di diritto internazionale umanitario ed in particolari alle

267 pl. di shahid.

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convenzioni relative all’occupazione bellica, che nei territori sotto il controllo di Zahal devono

ritenersi applicabili.268

Le “Uccisioni preventive mirate”.

E’ il nome dato ad una attività svolta da tempo dalle forze di sicurezza israeliane nei confronti

della leadership terroristica responsabile di attacchi contro Israele.

È importante sottolineare che, in tempo di pace, una legge israeliana permette di condannare alla

pena capitale solo coloro che siano stati condannati per aver commesso o collaborato al genocidio.

Dall’esecuzione di Adolf Eichmann nessun altro è stato condannato a morte in Israele. I

terroristi catturati, condannati dalla Corte per omicidio, scontano la pena dell’ergastolo.

La legalità di questa politica è stata contestata davanti alla Corte Suprema nel quadro di un

procedimento intentato nei confronti dell’Esecutivo allo scopo di ottenere la cessazione una “politica di

esecuzioni senza processo”.269

La sentenza della Corte recita: “La scelta, da parte dei convenuti, dei mezzi con cui condurre

una guerra per prevenire atti terroristici criminali, non è il tipo di questione di cui la Corte ritiene di

doversi di occupare”.

I metodi di interrogatorio.

Infine, è opportuno ricordare che, nel 1999, la Corte Suprema ha dichiarato illegittimo l’uso,

in sede di interrogatorio, da parte degli appartenenti al General Security Service (GSS)270 di mezzi

di coercizione fisica quali il ripetuto “scuotimento” del torso così da indurre il collo e la testa ad

oscillare velocemente, il mantenimento, per lungo tempo, in una posizione dolorosa, l’eccessivo

stringimento delle manette, e la privazione del sonno in aggiunta alle tecniche suddette.

I giudici hanno infatti affermato l’inesistenza, Israele, di una legge che attribuisca ai membri

dello Shabak poteri differenti rispetto da quella delle altre forze di polizia alle quali è vietato l’uso

della violenza nei confronti degli indagati.271

268Ajuri v. The Commander of IDF Forces in the West Bank, Alta Corte di Giustizia HCJ 7015/02. 269 Barakeh v. The Minister of Difence, Alta Corte di Giustizia HCJ 3451/02. 270 Comunemente definito Shabak. 271 Issa Ali Batat et al. v. The General Security Service et al. HCJ 1043/99

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CONCLUSIONI

L’analisi svolta, nelle pagine che precedono consente di confermare quanto già evidenziato

da un illustre costituzionalista in ordine ai nuovi impianti giuridici antiterrorismo:

“Nell’equilibrio fra sicurezza e libertà la prima ha assunto, almeno in una parte degli

ordinamenti ivi compresi alcuni della Unione europea, un ruolo dominante e comunque assai più

incisivo di quanto non fosse prima degli eventi del settembre 2001.

Ma la tendenza a proteggere in modo rigoroso la sicurezza non nasce improvvisamente. Essa

già si era affermata negli anni precedenti sulla scia del peggioramento della situazione

internazionale e in alcuni casi, come in Gran Bretagna e Spagna, il terrorismo di matrice

internazionale si veniva a inserire in una situazione ambientale già seriamente pregiudicata dal

terrorismo locale irlandese e basco.

Dato comune della più recente normativa antiterrorismo è offerto da misure di

aggiornamento e aggravamento delle fattispecie di reato e delle pene, dall’incremento dei poteri

investigativi di polizia, dalla limitazione più o meno estesa dei diritti degli indagati ivi compresa la

loro libertà personale fino a giungere a detenzioni a tempo indeterminato senza processo, dalla

vistosa riduzione delle garanzie giurisdizionali.

Altro dato comune è il tendenziale ricorso a fonti ordinarie senza il clamore di

proclamazioni formali di stati emergenziali.

Infine dovunque la situazione di pericolo agevola l’adozione di normative restrittive

equivocamente di circostanza ma destinate probabilmente a durare. E questo sia ove si utilizzi lo

strumento della legge, come quando si modifichi la disciplina codicistica introducendo nuove figure

di reato, sia quando si introducano come spesso si è fatto misure legislative a tempo dichiarate

prorogabili dopo vaglio parlamentare. L’impressione complessiva è che fino a che permanga la

situazione internazionale di conflitto o di grave tensione con evidenti rischi di una sua ripercussione

interna la legislazione limitativa dei diritti è destinata a cronicizzarsi e che di conseguenza la

garanzia dei principi dello stato di diritto finirà per concentrarsi sulla consistenza ed efficacia dei

controlli affidati alle giurisdizioni come pure sui controlli che, su altro piano, potranno esercitare le

rappresentanze politiche parlamentari”.272

272 de Vergottini, G.. “La difficile convivenza fra libertà e sicurezza: la risposta delle democrazie al terrorismo. Gli ordinamenti nazionali”. Associazione Italiana Costituzionalisti: Relazione al Convegno annuale – 2003, www.associazionedeicostituzionalisti.it

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Appendice 1.

Nations Unies S/RES/1373 (2001)

Conseil de sécurité

Distr. générale

28 septembre 2001

Résolution 1373 (2001)

Adoptée par le Conseil de sécurité à sa 4385e séance, le 28 septembre 2001

Le Conseil de sécurité, Réaffirmant ses résolutions 1269 (1999) du 19 octobre 1999 et 1368 (2001)du 12 septembre 2001, Réaffirmant également sa condamnation sans équivoque des attaques terroristes commises le 11 septembre 2001 à New York, à Washington et en Pennsylvanie, et exprimant sa détermination à prévenir tous actes de ce type, Réaffirmant en outre que de tels actes, comme tout acte de terrorisme international, constituent une menace à la paix et à la sécurité internationales, Réaffirmant le droit naturel de légitime défense, individuelle ou collective, que consacre la Charte des Nations Unies et qui est réaffirmé dans la résolution 1368 (2001), Réaffirmant la nécessité de lutter par tous les moyens, conformément à la Charte des Nations Unies, contre les menaces à la paix et à la sécurité internationales que font peser les actes de terrorisme, Profondément préoccupé par la multiplication, dans diverses régions du monde, des actes de terrorisme motivés par l’intolérance ou l’extrémisme, Demandant aux États de collaborer d’urgence pour prévenir et réprimer les actes de terrorisme, notamment par une coopération accrue et l’application intégrale des conventions internationales relatives au terrorisme, Considérant que les États se doivent de compléter la coopération internationale en prenant des mesures supplémentaires pour prévenir et réprimer sur leur territoire, par tous les moyens licites, le financement et la préparation de tout acte de terrorisme, Réaffirmant le principe que l’Assemblée générale a établi dans sa déclaration d’octobre 1970 (2625 XXV) et que le Conseil de sécurité a réaffirmé dans sa résolution 1189 (1998), à savoir que chaque État a le devoir de s’abstenir d’organiser et d’encourager des actes de terrorisme sur le territoire d’un autre État, d’y aider ou d’y participer, ou de tolérer sur son territoire des activités organisées en vue de per-pétrer de tels actes, Agissant en vertu du Chapitre VII de la Charte des Nations Unies, 1. Décide que tous les États : (a) Préviennent et répriment le financement des actes de terrorisme; (b) Érigent en crime la fourniture ou la collecte délibérée par leurs nationaux ou sur leur territoire, par quelque moyen que ce soit, directement ou indirectement, de fonds que l’on prévoit d’utiliser ou dont on sait qu’ils seront utilisés pour perpétrer des actes de terrorisme;

(c) Gèlent sans attendre les fonds et autres avoirs financiers ou ressources économiques des personnes qui commettent, ou tentent de commettre, des actes de terrorisme, les facilitent ou

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y participent, des entités appartenant à ces personnes ou contrôlées, directement ou indirectement, par elles, et des personnes et entités agissant au nom, ou sur instruction, de ces personnes et entités, y compris les fonds provenant de biens appartenant à ces personnes, et aux personnes et entités qui leur sont associées, ou contrôlés, directement ou indirectement, par elles;

(d) Interdisent à leurs nationaux ou à toute personne ou entité se trouvant sur leur territoire de mettre des fonds, avoirs financiers ou ressources économiques ou services financiers ou autres services connexes à la disposition, directement ou indirectement, de personnes qui commettent ou tentent de commettre des actes de terrorisme, les facilitent ou y participent, d’entités appartenant à ces personnes ou contrôlées, directement ou indirectement, par elles et de personnes et entités agissant au nom ou sur instruction de ces personnes; 2. Décide également que tous les États :

(a) S’abstiennent d’apporter quelque forme d’appui que ce soit, actif ou passif, aux entités ou personnes impliquées dans des actes de terrorisme, notamment en réprimant le recrutement de membres de groupes terroristes et en mettant fin à l’approvisionnement en armes des terroristes;

(b) Prennent les mesures voulues pour empêcher que des actes de terrorisme ne soient commis, notamment en assurant l’alerte rapide d’autres États par l’échange de renseignements;

(c) Refusent de donner asile à ceux qui financent, organisent, appuient ou commettent des actes de terrorisme ou en recèlent les auteurs;

(d) Empêchent que ceux qui financent, organisent, facilitent ou commettent des actes de terrorisme n’utilisent leurs territoires respectifs pour commettre de tels actes contre d’autres États ou contre les citoyens de ces États;

(e) Veillent à ce que toutes personnes qui participent au financement, à l’organisation, à la préparation ou à la perpétration d’actes de terrorisme ou qui y apportent un appui soient traduites en justice, à ce que, outre les mesures qui pourraient être prises contre ces personnes, ces actes de terrorisme soient érigés en crimes graves dans la législation et la réglementation nationales et à ce que la peine infligée soit à la mesure de la gravité de ces actes;

(f) Se prêtent mutuellement la plus grande assistance lors des enquêtes criminelles et autres procédures portant sur le financement d’actes de terrorisme ou l’appui dont ces actes ont bénéficié, y compris l’assistance en vue de l’obtention des éléments de preuve qui seraient en leur possession et qui seraient nécessaires à la procédure;

(g) Empêchent les mouvements de terroristes ou de groupes de terroristes en instituant des contrôles efficaces aux frontières, ainsi que des contrôles lors de la délivrance de documents d’identité et de documents de voyage et en prenant des mesures pour empêcher la contrefaçon, la falsification ou l’usage frauduleux de papiers d’identité et de documents de voyage; 3. Demande à tous les États :

(a) De trouver les moyens d’intensifier et d’accélérer l’échange d’informations opérationnelles, concernant en particulier les actions ou les mouvements de terroristes ou de réseaux de terroristes, les documents de voyage contrefaits ou falsifiés, le trafic d’armes, d’explosifs ou de matières sensibles, l’utilisation des technologies de communication par des groupes

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terroristes, et la menace que constituent les armes de destruction massive en possession de groupes terroristes;

(b) D’échanger des renseignements conformément au droit international et national et de coopérer sur les plans administratif et judiciaire afin de prévenir les actes de terrorisme;

(c) De coopérer, en particulier dans le cadre d’accords et d’arrangements bilatéraux et multilatéraux, afin de prévenir et de réprimer les actes de terrorisme et de prendre des mesures contre les auteurs de tels actes;

(d) De devenir dès que possible parties aux conventions et protocoles internationaux relatifs au terrorisme, y compris la Convention internationale pour la répression du financement du terrorisme en date du 9 décembre 1999;

(e) De coopérer davantage et d’appliquer intégralement les conventions et protocoles internationaux relatifs au terrorisme ainsi que les résolutions 1269 (1999) et 1368 (2001) du Conseil de sécurité;

(f) De prendre les mesures appropriées, conformément aux dispositions pertinentes de leur législation nationale et du droit international, y compris les normes internationales relatives aux droits de l’homme, afin de s’assurer, avant d’octroyer le statut de réfugié, que les demandeurs d’asile n’ont pas organisé ou facilité la perpétration d’actes de terrorisme et n’y ont pas participé;

(g) De veiller, conformément au droit international, à ce que les auteurs ou les organisateurs d’actes de terrorisme ou ceux qui facilitent de tels actes ne détournent pas à leur profit le statut de réfugié, et à ce que la revendication de motivations politiques ne soit pas considérée comme pouvant justifier le rejet de demandes d’extradition de terroristes présumés; 4. Note avec préoccupation les liens étroits existant entre le terrorisme international et la criminalité transnationale organisée, la drogue illicite, le blanchiment d’argent, le trafic d’armes et le transfert illégal de matières nucléaires, chimiques, biologiques et autres présentant un danger mortel et, à cet égard, souligne qu’il convient de renforcer la coordination des efforts accomplis aux échelons national, sous-régional, régional et international afin de renforcer une action mondiale face à ce grave problème et à la lourde menace qu’il fait peser sur la sécurité internationale; 5. Déclare que les actes, méthodes et pratiques du terrorisme sont contraires aux buts et aux principes de l’Organisation des Nations Unies et que le financement et l’organisation d’actes de terrorisme ou l’incitation à de tels actes en connaissance de cause sont également contraires aux buts et principes de l’Organisation des Nations Unies; 6. Décide de créer, en application de l’article 28 de son Règlement intérieur provisoire, un comité du Conseil de sécurité composé de tous les membres du Conseil et chargé de suivre l’application de la présente résolution avec l’aide des experts voulus, et demande à tous les États de faire rapport au Comité, 90 jours au plus tard après la date de l’adoption de la présente résolution puis selon le calendrier qui sera proposé par le Comité, sur les mesures qu’ils auront prises pour donner suite à la présente résolution; 7. Donne pour instructions au Comité de définir ses tâches, de présenter un programme de travail 30 jours au plus tard après l’adoption de la présente résolution et de réfléchir à l’appui dont il aura besoin, en consultation avec le Secrétaire général; 8. Se déclare résolu à prendre toutes les mesures nécessaires pour assurer la pleine application de la présente résolution, conformément aux responsabilités qui lui incombent en vertu de la Charte; 9. Décide de demeurer saisi de la question.

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Appendice 2

Decisione quadro del Consiglio (2002/475/GAI) del 13 giugno 2002

sulla lotta contro il terrorismo

IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

visto il trattato sull'Unione europea, in particolare l'articolo 29, l'articolo 31, lettera e) e l'articolo 34, paragrafo 2, lettera b),

vista la proposta della Commissione(1),

visto il parere del Parlamento europeo(2),

considerando quanto segue:

(1) L'Unione europea si fonda su valori universali di dignità umana, libertà, uguaglianza e solidarietà, rispetto dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali. Essa si basa sul principio della democrazia e sul principio dello stato di diritto, principi che sono patrimonio comune degli Stati membri.

(2) Il terrorismo costituisce una delle più gravi violazioni di detti principi. La dichiarazione di La Gomera, adottata nel corso della riunione informale del Consiglio del 14 ottobre 1995, condanna il terrorismo in quanto costituisce una minaccia alla democrazia, al libero esercizio dei diritti dell'uomo e allo sviluppo economico e sociale.

(3) Tutti gli Stati membri o alcuni di essi sono parti di una serie di convenzioni relative al terrorismo. La convenzione del Consiglio d'Europa, del 27 gennaio 1977, per la repressione del terrorismo stabilisce che i reati terroristici non possono essere considerati reati politici, reati riconducibili ad un reato politico o reati ispirati a motivazioni politiche. Le Nazioni Unite hanno adottato la convenzione per l'eliminazione degli attentati terroristici mediante l'uso di esplosivi del 15 dicembre 1997 e la convenzione per la repressione del finanziamento del terrorismo del 9 dicembre 1999. In seno alle Nazioni Unite si sta attualmente negoziando un progetto di convenzione globale contro il terrorismo.

(4) A livello di Unione europea, il 3 dicembre 1998, il Consiglio ha adottato il piano d'azione del Consiglio e della Commissione sul modo migliore per attuare le disposizioni del trattato di Amsterdam concernenti uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia(3). È altresì necessario tener conto delle conclusioni del Consiglio del 20 settembre 2001 e del piano d'azione in materia di terrorismo del Consiglio europeo straordinario del 21 settembre 2001. Il problema del terrorismo è stato ricordato nelle conclusioni del Consiglio europeo di Tampere del 15 e 16 ottobre 1999 e del Consiglio europeo di Santa Maria da Feira del 19 e 20 giugno 2000. È inoltre menzionato nella comunicazione della Commissione al Consiglio e al Parlamento europeo sull'aggiornamento semestrale del quadro di controllo per l'esame dei progressi compiuti nella creazione di uno spazio di "libertà, sicurezza e giustizia" nell'Unione europea (secondo semestre del 2000). Il 5 settembre 2001 il Parlamento europeo ha inoltre adottato una raccomandazione sulla lotta al terrorismo. È inoltre importante ricordare che il 30 luglio 1996, alla riunione dei paesi più industrializzati (G7) e della Russia svoltasi a Parigi, sono state predisposte 25 misure per combattere il terrorismo.

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(5) L'Unione europea ha adottato numerose misure specifiche per lottare contro il terrorismo e la criminalità organizzata: la decisione del Consiglio, del 3 dicembre 1998, che incarica l'Europol di occuparsi dei reati commessi o che possono essere commessi nell'ambito di attività terroristiche che si configurano in reati contro la vita, l'incolumità fisica, la libertà delle persone e i beni(4); l'azione comune 96/610/GAI del Consiglio, del 15 ottobre 1996, sull'istituzione e l'aggiornamento costante di un repertorio delle competenze, capacità e conoscenze specialistiche nel settore dell'antiterrorismo, per facilitare la cooperazione fra gli Stati membri dell'Unione europea nella lotta al terrorismo(5); l'azione comune 98/428/GAI del Consiglio, del 29 giugno 1998, sull'istituzione di una Rete giudiziaria europea(6) con competenze per i reati terroristici (segnatamente l'articolo 2); l'azione comune 98/733/GAI del Consiglio, del 21 dicembre 1998, relativa alla punibilità della partecipazione a un'organizzazione criminale negli Stati membri dell'Unione europea(7); la raccomandazione del Consiglio, del 9 dicembre 1999, sulla cooperazione nella lotta contro il finanziamento dei gruppi terroristici(8).

(6) La definizione dei reati terroristici dovrebbe essere ravvicinata in tutti gli Stati membri, compresa quella dei reati riconducibili a organizzazioni terroristiche. Inoltre, dovrebbero essere previste pene e sanzioni commisurate alla gravità dei reati per le persone fisiche o giuridiche che hanno commesso tali reati o ne sono responsabili.

(7) Dovrebbero essere stabilite regole di giurisdizione per garantire che il reato terroristico possa essere perseguito in modo efficace.

(8) Le vittime di reati terroristici sono vulnerabili e sono pertanto necessarie misure specifiche che le riguardino.

(9) Poiché gli scopi dell'azione proposta non possono essere sufficientemente realizzati in modo unilaterale dagli Stati membri, e possono dunque, considerata l'esigenza di reciprocità, essere realizzati meglio a livello di Unione, questa, conformemente al principio di sussidiarietà può adottare delle misure. Conformemente al principio di proporzionalità la presente decisione quadro non va al di là di quanto strettamente necessario per raggiungere tali obiettivi.

(10) La presente decisione quadro rispetta i diritti fondamentali quali sono garantiti dalla convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali e quali risultano dalle tradizioni costituzionali comuni degli Stati membri, in quanto principi del diritto comunitario. L'Unione rispetta i principi riconosciuti dall'articolo 6, paragrafo 2, del trattato sull'Unione europea e rispecchiati nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ed in particolare nel suo capo VI. Nella presente decisione quadro nulla può essere interpretato come una misura intesa a limitare od ostacolare diritti o libertà fondamentali quali il diritto di sciopero, le libertà di riunione, di associazione o di espressione, compreso il diritto di fondare un sindacato insieme con altre persone ovvero di affiliarsi ad un sindacato per difendere i propri interessi, e il conseguente diritto a manifestare.

(11) La presente decisione quadro non disciplina le attività delle forze armate in tempo di conflitto armato, secondo le definizioni date a questi termini dal diritto internazionale umanitario, attività disciplinate da questo stesso diritto, né le attività svolte dalle forze armate di uno Stato nell'esercizio delle loro funzioni ufficiali, che sono disciplinate da altre norme del diritto internazionale,

HA ADOTTATO LA PRESENTE DECISIONE QUADRO:

Articolo 1

Reati terroristici e diritti e principi giuridici fondamentali

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1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano considerati reati terroristici gli atti intenzionali di cui alle lettere da a) a i) definiti reati in base al diritto nazionale che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno a un paese o a un'organizzazione internazionale, quando sono commessi al fine di:

- intimidire gravemente la popolazione, o

- costringere indebitamente i poteri pubblici o un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto, o

- destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche o sociali di un paese o un'organizzazione internazionale:

a) attentati alla vita di una persona che possono causarne il decesso;

b) attentati gravi all'integrità fisica di una persona;

c) sequestro di persona e cattura di ostaggi;

d) distruzioni di vasta portata di strutture governative o pubbliche, sistemi di trasporto, infrastrutture, compresi i sistemi informatici, piattaforme fisse situate sulla piattaforma continentale ovvero di luoghi pubblici o di proprietà private che possono mettere a repentaglio vite umane o causare perdite economiche considerevoli;

e) sequestro di aeromobili o navi o di altri mezzi di trasporto collettivo di passeggeri o di trasporto di merci;

f) fabbricazione, detenzione, acquisto, trasporto, fornitura o uso di armi da fuoco, esplosivi, armi atomiche, biologiche e chimiche, nonché, per le armi biologiche e chimiche, ricerca e sviluppo;

g) diffusione di sostanze pericolose, il cagionare incendi, inondazioni o esplosioni i cui effetti mettano in pericolo vite umane;

h) manomissione o interruzione della fornitura di acqua, energia o altre risorse naturali fondamentali il cui effetto metta in pericolo vite umane;

i) minaccia di realizzare uno dei comportamenti elencati alle lettere da a) a h).

2. L'obbligo di rispettare i diritti fondamentali e i principi giuridici fondamentali quali sono sanciti dall'articolo 6 del trattato sull'Unione europea non può essere modificato per effetto della presente decisione quadro.

Articolo 2

Reati riconducibili a un'organizzazione terroristica

1. Ai fini della presente decisione quadro, per "organizzazione terroristica" s'intende l'associazione strutturata di più di due persone, stabilita nel tempo, che agisce in modo concertato allo scopo di commettere dei reati terroristici. Il termine "associazione strutturata" designa un'associazione che non si è costituita fortuitamente per la commissione estemporanea di un reato e che non deve necessariamente prevedere ruoli formalmente definiti per i suoi membri, continuità nella composizione o una struttura articolata.

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2. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano punibili i seguenti atti intenzionali:

a) direzione di un'organizzazione terroristica;

b) partecipazione alle attività di un'organizzazione terroristica, anche fornendole informazioni o mezzi materiali, ovvero tramite qualsiasi forma di finanziamento delle sue attività nella consapevolezza che tale partecipazione contribuirà alle attività criminose dell'organizzazione terroristica.

Articolo 3

Reati connessi alle attività terroristiche

Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano considerati reati connessi alle attività terroristiche i seguenti comportamenti:

a) furto aggravato commesso per realizzare uno dei comportamenti elencati all'articolo 1, paragrafo 1;

b) estorsione per attuare uno dei comportamenti elencati all'articolo 1, paragrafo 1;

c) formazione di documenti amministrativi falsi al fine di porre in essere uno dei comportamenti elencati nell'articolo 1, paragrafo 1, lettere da a) a h), e nell'articolo 2, paragrafo 2, lettera b).

Articolo 4

Istigazione, concorso, tentativo

1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché siano resi punibili l'istigazione a commettere uno dei reati di cui all'articolo 1, paragrafo 1, e agli articoli 2 o 3 o il concorso in uno di tali reati.

2. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché sia reso punibile il tentativo di commettere uno dei reati di cui all'articolo 1, paragrafo 1, e all'articolo 3, esclusi la detenzione di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera f), e il reato di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera i).

Articolo 5

Sanzioni

1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per garantire che i reati indicati agli articoli da 1 a 4 siano punibili con sanzioni penali effettive, proporzionate e dissuasive che possono comportare l'estradizione.

2. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché i reati terroristici di cui all'articolo 1, paragrafo 1, e quelli elencati all'articolo 4, per quanto riconducibili a reati terroristici, siano punibili con una reclusione più severa di quella prevista per tali reati dal diritto nazionale in assenza della finalità specifica richiesta a norma dell'articolo 1, paragrafo 1, salvo qualora le pene previste siano già le pene massime contemplate dal diritto nazionale.

3. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché i reati elencati all'articolo 2 siano punibili con una reclusione di durata massima non inferiore a 15 anni per i reati di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), e non inferiore a 8 anni per i reati di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera b).

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Qualora il reato di cui all'articolo 2, paragrafo 2, lettera a), si riferisce solo alla fattispecie di cui all'articolo 1, paragrafo 1, lettera i), la durata massima della reclusione non è inferiore a 8 anni.

Articolo 6

Circostanze particolari

Ogni Stato membro può adottare le misure necessarie affinché le pene di cui all'articolo 5 possano essere ridotte nel caso in cui l'autore del reato:

a) rinunci all'attività terroristica;

b) fornisca alle autorità amministrative o giudiziarie informazioni che esse non avrebbero potuto ottenere con altri mezzi e che sono loro utili per:

i) prevenire o attenuare gli effetti del reato;

ii) individuare o consegnare alla giustizia i complici nel reato;

iii) acquisire elementi di prova; o

iv) prevenire la commissione di altri reati di cui agli articoli da 1 a 4.

Articolo 7

Responsabilità delle persone giuridiche

1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili di uno dei reati di cui agli articoli da 1 a 4, commessi a loro vantaggio da qualsiasi soggetto, che agisca a titolo individuale o in quanto membro di un organo della persona giuridica, che detenga una posizione preminente in seno alla persona giuridica, basata:

a) sul potere di rappresentanza di detta persona giuridica;

b) sul potere di prendere decisioni per conto della persona giuridica;

c) sull'esercizio del controllo in seno a tale persona giuridica.

2. Oltre ai casi previsti al paragrafo 1, ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili qualora la mancata sorveglianza o il mancato controllo da parte di un soggetto tra quelli descritti al paragrafo 1 abbia reso possibile la commissione, a vantaggio della persona giuridica, di uno dei reati di cui agli articoli da 1 a 4 da parte di una persona sottoposta all'autorità di tale soggetto.

3. La responsabilità delle persone giuridiche ai sensi dei paragrafi 1 e 2 non esclude l'avvio di procedimenti penali contro le persone fisiche che abbiano commesso uno dei reati di cui agli articoli da 1 a 4 abbiano istigato qualcuno a commetterli o vi abbiano concorso.

Articolo 8

Sanzioni applicabili alle persone giuridiche

Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie affinché alla persona giuridica ritenuta responsabile ai sensi dell'articolo 7 siano applicabili sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive,

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che comprendano ammende penali o non penali e che possano comprendere anche altre sanzioni quali:

a) misure di esclusione dal godimento di un beneficio o aiuto pubblico;

b) misure di divieto temporaneo o permanente di esercitare un'attività commerciale;

c) assoggettamento a sorveglianza giudiziaria;

d) provvedimenti giudiziari di scioglimento;

e) chiusura temporanea o permanente degli stabilimenti che sono stati usati per commettere il reato.

Articolo 9

Giurisdizione ed esercizio dell'azione penale

1. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie a stabilire la propria giurisdizione per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 quando:

a) il reato è commesso, anche solo parzialmente, nel suo territorio; ciascuno Stato membro può estendere la sua competenza quando il reato è stato commesso nel territorio di uno Stato membro;

b) il reato è commesso a bordo di una nave battente bandiera del suo paese o di un aeromobile ivi registrato;

c) l'autore del reato è uno dei suoi cittadini o vi è residente;

d) il reato è commesso a vantaggio di una persona giuridica stabilita nel suo territorio;

e) il reato è commesso contro le sue istituzioni o la sua popolazione o contro un'istituzione dell'Unione europea o di un organismo creato conformemente al trattato che istituisce la Comunità europea o al trattato sull'Unione europea, e che ha sede nello Stato membro in questione.

2. Se il reato rientra nella giurisdizione di più Stati membri, ciascuno dei quali è legittimato ad esercitare l'azione penale in relazione ai medesimi fatti, gli Stati membri in questione collaborano per stabilire quale di essi perseguirà gli autori del reato al fine di accentrare, se possibile, l'azione penale in un unico Stato membro. A tale scopo gli Stati membri possono avvalersi di qualsiasi organo o struttura istituiti in seno all'Unione europea per agevolare la cooperazione tra le rispettive autorità giudiziarie, nonché coordinare le loro azioni. Si tiene conto, per gradi successivi, dei seguenti elementi di collegamento:

- si tratta dello Stato membro nel cui territorio sono stati commessi i fatti,

- l'autore ha la nazionalità di tale Stato membro o vi è residente,

- si tratta dello Stato membro di origine delle vittime,

- si tratta dello Stato membro nel cui territorio è stato trovato l'autore dei reati.

3. Ciascuno Stato membro adotta le misure necessarie per stabilire la propria giurisdizione anche per i reati di cui agli articoli da 1 a 4 se rifiuta di consegnare o di estradare verso un altro Stato membro o un paese terzo una persona sospettata di uno di tali reati o per esso condannata.

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4. Ciascuno Stato membro si adopera affinché sia stabilita la sua giurisdizione nei casi riguardanti un reato di cui agli articoli 2 e 4 commesso anche solo parzialmente nel suo territorio, a prescindere dal luogo in cui l'organizzazione terroristica è basata o svolge le sue attività criminali.

5. Il presente articolo non esclude l'esercizio della giurisdizione penale secondo quanto previsto da uno Stato membro conformemente al diritto nazionale.

Articolo 10

Protezione e assistenza delle vittime

1. Gli Stati membri dispongono che le indagini o l'azione penale relative ai reati contemplati dalla presente decisione quadro non dipendano da una denuncia o accusa formulata da una vittima del reato in questione, almeno nei casi in cui i reati siano stati compiuti sul territorio dello Stato membro.

2. Oltre alle misure previste dalla decisione quadro 2001/220/GAI del Consiglio, del 15 marzo 2001, relativa alla posizione della vittima nel procedimento penale(9), ciascuno Stato membro adotta, se necessario, ogni possibile misura in suo potere per garantire un'appropriata assistenza alla famiglia della vittima.

Articolo 11

Attuazione e relazioni

1. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per conformarsi alla presente decisione quadro entro il 31 dicembre 2002.

2. Gli Stati membri trasmettono al segretariato generale del Consiglio e alla Commissione, entro il 31 dicembre 2002, il testo delle disposizioni che adottano per recepire nella legislazione nazionale gli obblighi imposti dalla presente decisione quadro. Sulla base di una relazione redatta a partire da tali informazioni e di una relazione della Commissione, il Consiglio esamina, entro il 31 dicembre 2003, se gli Stati membri abbiano adottato le misure necessarie per conformarsi alla presente decisione quadro.

3. Nella relazione della Commissione sono precisate in particolare le modalità del recepimento dell'obbligo contemplato dall'articolo 5, paragrafo 2.

Articolo 12

Campo d'applicazione territoriale

La presente decisione quadro si applica a Gibilterra.

Articolo 13

Entrata in vigore

La presente decisione quadro entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale.

Fatto a Lussemburgo, addì 13 giugno 2002.

Per il Consiglio

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Il Presidente

M. Rajoy Brey

(1) GU C 332 E del 27.11.2001, pag. 300.

(2) Parere espresso il 6 febbraio 2002 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(3) GU C 19 del 23.1.1999, pag. 1.

(4) GU C 26 del 30.1.1999, pag. 22.

(5) GU L 273 del 25.10.1996, pag. 1.

(6) GU L 191 del 7.7.1998, pag. 4.

(7) GU L 351 del 29.12.1998, pag. 1.

(8) GU C 373 del 23.12.1999, pag. 1.

(9) GU L 82 del 22.3.2001, pag. 1.

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Appendice 3

Regolamento (CE) n. 2580/2001 del Consiglio del 27 dicembre 2001 relativo a misure restrittive specifiche, contro determinate persone e entità, destinate a combattere il terrorismo.

IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare gli articoli 60, 301 e 308,

vista la posizione comune 2001/931/PESC relativa all'applicazione di misure specifiche per la lotta al terrorismo(1), adottata dal Consiglio il 27 dicembre 2001,

vista la proposta della Commissione,

visto il parere del Parlamento europeo(2),

considerando quanto segue:

(1) Durante la riunione straordinaria del 21 settembre 2001, il Consiglio europeo ha dichiarato che il terrorismo rappresenta una vera sfida per il mondo e per l'Europa e che la lotta al terrorismo costituirà un obiettivo prioritario per l'Unione europea.

(2) Il Consiglio europeo ha dichiarato che la lotta al finanziamento del terrorismo costituisce un aspetto decisivo della lotta al terrorismo e ha chiesto al Consiglio di adottare le misure necessarie a combattere qualsiasi forma di finanziamento delle attività terroristiche.

(3) Con la risoluzione 1373(2001) del 28 settembre 2001, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha imposto a tutti gli Stati di congelare i capitali e le altre attività finanziarie o le risorse economiche delle persone che commettono o cercano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano.

(4) Il Consiglio di sicurezza ha inoltre deciso che occorrerebbe adottare misure per vietare che i capitali e le altre attività finanziarie o risorse economiche siano messi a disposizione delle persone suddette, e che siano resi loro servizi finanziari o servizi connessi.

(5) È necessaria l'azione della Comunità per attuare gli aspetti PESC della posizione comune 2001/931/PESC.

(6) Il presente regolamento è una misura necessaria a livello comunitario e complementare alle procedure amministrative e giudiziarie applicate alle organizzazioni terroristiche nell'Unione europea e nei paesi terzi.

(7) Ai fini del presente regolamento, il territorio della Comunità comprende tutti i territori degli Stati membri ai quali si applica il trattato alle condizioni stabilite nel medesimo.

(8) Per tutelare gli interessi della Comunità si possono accordare determinate deroghe.

(9) Quanto alla procedura per redigere e modificare l'elenco di cui all'articolo 2, paragrafo 3, del presente regolamento, il Consiglio dovrebbe esso stesso esercitare i corrispondenti poteri di attuazione riguardo ai mezzi specifici disponibili a tale scopo per i suoi membri.

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(10) Per prevenire l'elusione del presente regolamento, occorrerebbe istituire un adeguato sistema d'informazione e le eventuali misure correttive del caso, compresa l'adozione di atti legislativi comunitari supplementari.

(11) Le autorità competenti degli Stati membri dovrebbero essere abilitate, all'occorrenza, a garantire l'osservanza delle disposizioni del presente regolamento.

(12) Gli Stati membri dovrebbero determinare le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento e garantirne l'applicazione. Tali sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive.

(13) È necessario che la Commissione e gli Stati membri si informino reciprocamente delle misure adottate in base al presente regolamento e si comunichino tutte le altre informazioni in loro possesso in relazione al presente regolamento.

(14) L'elenco di cui all'articolo 2, paragrafo 3 del presente regolamento può includere persone ed entità legate o facenti capo a paesi terzi oppure su cui si incentrano per altri motivi gli aspetti PESC della posizione comune 2001/931/PESC. I soli poteri d'azione previsti dal trattato ai fini dell'adozione del presente regolamento sono quelli di cui all'articolo 308.

(15) La Comunità europea ha già attuato le risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 1267(1999) e 1333(2000) adottando il regolamento (CE) n. 467/2001(3) congelando le attività di determinate persone e gruppi e pertanto tali persone e gruppi non sono contemplate dal presente regolamento,

HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:

Articolo 1

Ai fini del presente regolamento si intende per:

1) "Capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche": attività di qualsiasi natura, materiali o immateriali, mobili o immobili, indipendentemente dal modo in cui sono stati acquisite, e documenti o strumenti giuridici in qualsiasi forma, anche elettronica o digitale, da cui risulti un diritto o un interesse riguardante tali attività, tra cui crediti bancari, assegni turistici, assegni bancari, ordini di pagamento, azioni, titoli, obbligazioni, tratte e lettere di credito.

2) "Congelamento di capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche": divieto di spostare, trasferire, alterare, utilizzare o trattare i capitali in modo da modificarne il volume, l'importo, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura e la destinazione o da introdurre altri cambiamenti tali da consentire l'uso dei capitali in questione, compresa la gestione di portafoglio.

3) "Servizio finanziario": qualsiasi servizio di natura finanziaria, compresi tutti i servizi assicurativi e connessi, nonché tutti i servizi bancari e altri servizi finanziari (esclusa l'assicurazione) quali:

Servizi assicurativi e connessi

i) assicurazione diretta (compresa la coassicurazione):

A) ramo vita;

B) ramo danni;

ii) riassicurazione e retrocessione;

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iii) intermediazione assicurativa (ad esempio attività di broker e agenzie);

iv) servizi accessori, quali consulenza, calcolo attuariale, valutazione del rischio e liquidazione sinistri.

Servizi bancari e altri servizi finanziari (esclusa l'assicurazione)

v) accettazione dal pubblico di depositi e altri fondi rimborsabili;

vi) prestiti di qualsiasi tipo, compresi crediti al consumo, crediti ipotecari, factoring e finanziamenti di operazioni commerciali;

vii) leasing finanziario;

viii) tutti i servizi di pagamento e trasferimento di denaro, compresi carte di credito e di addebito, assegni turistici e bonifici bancari;

ix) garanzie e impegni;

x) compravendita e scambi per conto proprio o di clienti, sul mercato dei cambi, sul mercato ristretto o altrimenti, di:

A) strumenti del mercato monetario (compresi assegni, cambiali, certificati di deposito);

B) valuta estera;

C) prodotti derivati, ivi compresi, a titolo puramente esemplificativo e non limitativo, contratti a termine e a premio;

D) strumenti relativi a tassi di cambio e d'interesse, inclusi "swaps" (riporti in cambi) e tassi di cambio a termine;

E) titoli trasferibili;

F) altri strumenti negoziabili e beni finanziari, compresi i lingotti.

xi) partecipazione all'emissione di qualsiasi genere di titoli, compresi sottoscrizione e collocamento in qualità di agente (in forma pubblica o privata) e fornitura di servizi collegati;

xii) intermediazione nel mercato monetario;

xiii) gestione delle attività e passività, ad esempio gestione di cassa o di portafoglio, tutte le forme di gestione di investimenti collettivi, di fondi pensione, servizi di custodia, di deposito e amministrazione fiduciaria;

xiv) servizi di liquidazione e compensazione relativi a beni finanziari, ivi compresi titoli, prodotti derivati e altri strumenti negoziabili;

xv) disponibilità e trasferimento di informazioni finanziarie, elaborazione di dati finanziari e relativo software da parte di fornitori di altri servizi finanziari;

xvi) servizi finanziari di consulenza, intermediazione e altro, relativamente a tutte le attività elencate nei commi da v) a xv), compresi referenze bancarie e informazioni commerciali, ricerche

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e consulenze in merito a investimenti e portafoglio, consulenze su acquisizioni e su ristrutturazioni e strategie aziendali.

4) "Atto terroristico" ai fini del presente regolamento, la definizione è quella di cui all'articolo 1, paragrafo 3 della posizione comune 2001/931/PESC.

5) "Possesso di una persona giuridica, gruppo o entità": possedere almeno il 50 % dei diritti di proprietà di una persona giuridica, di un gruppo o un'entità o detenere una partecipazione maggioritaria.

6) "Controllo di una persona giuridica, gruppo o entità":

a) avere il diritto di nominare o destituire la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, di gestione o di controllo di una persona giuridica, gruppo o entità;

b) aver nominato, solo esercitando i propri diritti di voto, la maggioranza dei membri del consiglio di amministrazione, di gestione o di controllo di una persona giuridica, gruppo o entità rimasti in carica durante l'esercizio finanziario in corso e quello precedente;

c) avere il controllo totale, previo accordo con gli altri azionisti o soci di una persona giuridica, gruppo o entità, della maggioranza dei diritti di voto degli azionisti o dei soci in seno a detta persona giuridica, gruppo o entità;

d) avere il diritto di esercitare un'influenza dominante su una persona giuridica, gruppo o entità, sulla base di un accordo concluso con detta persona giuridica, gruppo o entità o in virtù di una disposizione in tal senso inserita nel suo statuto, qualora la legge che disciplina detta persona giuridica, gruppo o entità consenta di assoggettarla a un accordo o a una disposizione di tal genere;

e) potersi avvalere del diritto di esercitare un'influenza dominante, ai sensi della lettera d), pur non essendo il titolare di detto diritto;

f) avere il diritto di utilizzare, integralmente o in parte, le attività di una persona giuridica, gruppo o entità;

g) gestire una persona giuridica, gruppo o entità su base unificata, pubblicando nel contempo rendiconti consolidati;

h) condividere, in modo congiunto e solidale, o garantire le passività finanziarie di una persona giuridica, gruppo o entità.

Articolo 2

1. Fatte salve le disposizioni degli articoli 5 e 6:

a) tutti i capitali, le altre attività finanziarie e le risorse economiche di cui una persona fisica o giuridica, gruppo o entità ricompresi nell'elenco di cui al paragrafo 3 detenga la proprietà o il possesso sono congelati;

b) è vietato mettere, direttamente o indirettamente, a disposizione delle persone fisiche o giuridiche, gruppo o entità ricompresi nell'elenco di cui al paragrafo 3, capitali, altre attività finanziarie e risorse economiche.

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2. Fatti salvi gli articoli 5 e 6, è vietata la prestazione di servizi finanziari destinati alle persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità ricompresi nell'elenco di cui al paragrafo 3.

3. Il Consiglio, deliberando all'unanimità, elabora, riesamina e modifica l'elenco di persone, gruppi o entità ai quali si applica il presente regolamento in conformità delle disposizioni di cui all'articolo I, paragrafi 4, 5 e 6 della posizione comune 2001/931/PESC. Tale elenco include:

i) persone che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

ii) persone giuridiche, gruppi o entità che commettono o tentano di commettere atti terroristici, che partecipano alla loro esecuzione o che la facilitano;

iii) persone giuridiche, gruppi o entità di proprietà o sotto il controllo di una o più delle persone fisiche o giuridiche, dei gruppi e delle entità di cui ai punti i) e ii);

iv) persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità che agiscano per conto o su incarico di una o più persone fisiche o giuridiche, gruppi o entità di cui ai punti i) e ii).

Articolo 3

1. È vietata la partecipazione, consapevole e intenzionale, ad attività che abbiano per oggetto o per effetto, direttamente o indirettamente, di eludere l'articolo 2.

2. Qualsiasi informazione relativa all'elusione, già avvenuta o ancora in corso, delle disposizioni del presente regolamento viene comunicata alle autorità competenti degli Stati membri elencate nell'allegato e alla Commissione.

Articolo 4

1. Fatte salve le regole applicabili in materia di rendicontazione, riservatezza e segreto professionale, e in applicazione dell'articolo 284 del trattato, le banche, le altre istituzioni finanziarie, le società di assicurazioni, gli altri organismi e le altre persone:

- forniscono immediatamente tutte le informazioni atte ad agevolare l'osservanza del presente regolamento, quali i conti e gli importi congelati in conformità dell'articolo 2 e le operazioni eseguite a norma degli articoli 5 e 6:

- alle autorità competenti dello Stato membro in cui risiedono o sono situati, elencate nell'allegato e

- alla Commissione tramite dette autorità competenti,

- collaborano con le autorità competenti elencate nell'allegato per verificare le informazioni fornite.

2. Tutte le informazioni fornite o ricevute ai sensi del presente articolo sono usate unicamente ai fini per i quali sono state fornite o ricevute.

3. Tutte le informazioni ricevute direttamente dalla Commissione sono messe a disposizione delle autorità competenti dello Stato membro interessato e del Consiglio.

Articolo 5

1. L'articolo 2, paragrafo 1, lettera b) non si applica agli interessi versati sui conti congelati. Tali interessi sono anch'essi congelati.

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2. Le autorità competenti degli Stati membri elencate nell'allegato II possono rilasciare autorizzazioni specifiche, alle condizioni che ritengano appropriate per impedire il finanziamento di atti di terrorismo, per quanto riguarda:

1) l'uso dei capitali congelati per soddisfare, all'interno della Comunità, un fabbisogno umano fondamentale di una persona fisica compresa nell'elenco di cui all'articolo 2, paragrafo 3 o di un suo familiare, compresi i pagamenti per alimentazione, medicinali, affitto o ipoteca per la dimora familiare, contributi e spese per le cure mediche dei suddetti familiari;

2) l'uso dei conti congelati per effettuare pagamenti ai seguenti fini:

a) tasse, premi di assicurazioni obbligatorie e canoni per servizi di pubblica utilità come gas, acqua, elettricità e telecomunicazioni da pagare all'interno della Comunità e

b) spese bancarie dovute nella Comunità per la tenuta dei conti;

3) i pagamenti a una persona, un'entità o un organismo compreso nell'elenco di cui all'articolo 2, paragrafo 3 connessi a contratti, accordi o obblighi conclusi o insorti prima dell'entrata in vigore del presente regolamento, purché detti pagamenti vengano effettuati su un conto congelato all'interno della Comunità.

3. Le richieste di autorizzazione vanno rivolte all'autorità competente dello Stato membro sul cui territorio sono stati congelati i capitali e le altre attività finanziarie o risorse economiche.

Articolo 6

1. Fatto salvo il disposto dell'articolo 2 e allo scopo di tutelare gli interessi della Comunità, che comprendono gli interessi dei suoi cittadini e residenti, le autorità competenti di uno Stato membro possono concedere autorizzazioni specifiche al fine di:

- scongelare i capitali o le altre attività finanziarie o risorse economiche,

- rendere disponibili i capitali o le altre attività finanziarie o risorse economiche a una persona, un'entità o un organismo compreso nell'elenco di cui all'articolo 2, paragrafo 3 o

- prestare servizi finanziari a tale persona, entità o organismo

previa consultazione degli altri Stati membri, del Consiglio e della Commissione conformemente al paragrafo 2.

2. Un'autorità competente che riceva una richiesta di autorizzazione di cui al paragrafo 1 notifica alle autorità competenti degli Stati membri, del Consiglio e della Commissione elencate nell'allegato e alla Commissione i motivi per i quali intende respingere la richiesta o concedere un'autorizzazione specifica, informandole dei requisiti che considera necessari per impedire il finanziamento di atti terroristici.

L'autorità competente che intende concedere un'autorizzazione specifica tiene debitamente conto delle osservazioni formulate dagli Stati membri, dal Consiglio e dalla Commissione entro due settimane.

Articolo 7

La Commissione è abilitata a modificare l'allegato in base alle informazioni fornite dagli Stati membri.

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Articolo 8

Gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione si informano reciprocamente delle misure adottate ai sensi del presente regolamento e si comunicano le informazioni in loro possesso connesse al presente regolamento, in particolare quelle ricevute ai sensi degli articoli 3 e 4, e quelle riguardanti le violazioni e i problemi di applicazione o le sentenze pronunciate dai tribunali nazionali.

Articolo 9

Ciascuno Stato membro determina le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento. Le sanzioni devono essere efficaci, proporzionate e dissuasive.

Articolo 10

Il presente regolamento si applica:

1) nel territorio della Comunità, compreso il suo spazio aereo;

2) a bordo di tutti gli aeromobili e di tutti i natanti sotto la giurisdizione di uno Stato membro;

3) a tutti i cittadini di uno Stato membro che si trovano altrove;

4) a tutte le persone giuridiche, gruppi o entità registrati o costituiti secondo la legislazione di uno Stato membro;

5) a tutte le persone giuridiche, gruppi o entità che svolgono attività commerciali nella Comunità.

Articolo 11

1. Il presente regolamento entra in vigore il giorno della pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

2. Entro un anno dall'entrata in vigore del presente regolamento, la Commissione presenta una relazione sul suo impatto e propone le modifiche eventualmente necessarie.

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

Fatto a Bruxelles, addì 27 dicembre 2001.

Per il Consiglio

Il Presidente

L. Michel

(1) Vedi pagina 93 della presente Gazzetta ufficiale.

(2) Parere espresso il 13 dicembre 2001 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(3) GU L 67 del 9.3.2001, pag. 1.

ALLEGATO

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ELENCO DELLE AUTORITÀ COMPETENTI DI CUI AGLI ARTICOLI 3, 4 E 5

BELGIO

Ministère des finances Trésorerie avenue des Arts 30 B - 1040 Bruxelles Fax (32-2) 233 75 18

DANIMARCA

Erhvervsfremmestyrelsen Dahlerups Pakhus

Langelinie Alle 17

DK - 2100 København Ø Tel. (45) 35 46 60 00 Fax (45) 35 46 60 01

GERMANIA

- concerning freeze of funds: Deutsche Bundesbank Wilhelm Eppsteinstr. 14 D - 60431 Frankfurt/Main Tel. (00-49-69)- 95 66

- concerning insurances: Bundesaufsichtsamt für das Versicherungswesen (BAV) Graurheindorfer Str. 108 D - 53117 Bonn Tel. (00-49-228)- 42 28

GRECIA

Ministry of National Economy General Directorate of Economic Policy 5 Nikis str. GR - 105 63 Athens Tel. (00-30-1) 333 27 81-2 Fax (00-30-1) 333 27 93

Yπουργείο Εθνικήs Οικονομίαs Γενική Διεύθυνση Οικονομικήs Πολιτικήs Νίκηs 5, 10562 ΑΘΗΝΑ Τηλ.: (00-30-1) 333 27 81-2 Φαξ: (00-30-1) 333 27 93

SPAGNA

Dirección General de Comercio e Inversiones

Subdirección General de Inversiones Exteriores

Ministerio de Economía Paseo de la Castellana, 162 E - 28046 Madrid Tel. (00-34) 91 349 39 83 Fax (00-34) 91 349 35 62

Dirección General del Tesoro y Política Financiera

Subdirección General de Inspección y Control de Movimientos de Capitales

Ministerio de Economía Paseo del Prado, 6 E - 28014 Madrid Tel. (00-34) 91 209 95 11 Fax (00-34) 91 209 96 56

FRANCIA

Ministère de l'économie, des finances et de l'industrie Direction du Trésor

Service des affaires européennes et internationales

Sous-direction E

199

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139, rue du Bercy F - 75572 Paris Cedex 12 Tel. (33-1) 44 87 17 17 Fax (33-1) 53 18 36 15

IRLANDA

Central Bank of Ireland Financial Markets Department P.O. Box 559 Dame Street Dublin 2 Tel. (353-1) 671 66 66

Department of Foreign Affairs

Bilateral Economic Relations Division

76-78 Harcourt Street Dublin 2 Tel. (353-1) 408 24 92

ITALIA

Ministero dell'Economia e delle Finanze ...

LUSSEMBURGO

Ministère des affaires étrangères, du commerce extérieur, de la coopération, de l'action humanitaire et de la défense Direction des relations économiques internationales BP 1602 L - 1016 Luxembourg Tel. (352) 478-1 ou 478-2350 Fax (352) 22 20 48

Ministère des Finances 3 rue de la Congrégation L - 1352 Luxembourg Tel. (352) 478-2712 Fax (352) 47 52 41

PAESI BASSI

Ministerie van Financiën Directie Wetgeving, Juridische en Bestuurlijke Zaken Postbus 20201 2500 EE Den Haag Nederland Tel. (31-70) 342 82 27 Fax (31-70) 342 79 05

AUSTRIA

- Articolo 3 Bundesministerium für Inneres - Bundeskriminalamt A - 1090 Wien Josef-Holaubek-Platz 1 Tel. (+ 431) 313 45-0 Fax ( 431) 313 45-85 290

- Articolo 4 Oestereichische Nationalbank A - 1090 Wien Otto-Wagner-Platz 3 Tel. + 431) 404 20-0 Fax ( 431) 404 20-73 99 Bundesministerium für Inneres - Bundeskriminalamt A - 1090 Wien Josef-Holaubek-Platz 1 Tel. (+ 431) 313 45-0 Fax ( 431) 313 45-85 290

- Articolo 5 Oestereichische Nationalbank A - 1090 Wien Otto-Wagner-Platz 3 Tel. + 431) 404 20-0 Fax ( 431) 404 20-73 99

PORTOGALLO

Ministério das Finanças Direcção Geral dos Assuntos Europeus e Relações Internacionais Avenida Infante D. Henrique, n.o 1, C 2.o P - 1100 Lisboa Tel.: (351-1) 882 32 40/47 Fax: (351-1) 882 32 49

Ministério dos Negócios Estrangeiros Direcção Geral dos Assuntos Multilaterias/Direcção dos Serviços das Organizações Políticas Internacionais Largo do Rilvas P - 1350-179 Lisboa Tel.: (351 21) 394 60 72 Fax: (351 21) 394 60 73

FINLANDIA

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Ulkoasiainministeriö/Utrikesministeriet PL 176 SF - 00161 Helsinki Tel. (358-9) 13 41 51 Fax. (358-9) 13 41 57 07 and (358-9) 62 98 40

SVEZIA

- Articolo 3 Rikspolisstyrelsen (RPS) Box 12256 102 26 Stockholm tfn 08-401 90 00 fax 08-401 99 00

- Articolo 4 e 6 Finanzinspektionen Box 7831 103 98 Stockholm tfn 08-787 80 00 fax 08-24 13 35

- Articolo 5 Riksförsäkringsverket (RFV) 103 51 Stockholm tfn 08-786 90 00 fax 08-411 27 89

REGNO UNITO

HM Treasury International Financial Services Team 19 Allington Towers London SW1E 5EB United Kingdom Tel: (44-207) 270 55 50 Fax: (44-207) 270 43 65

Bank of England Financial Sanctions Unit Threadneedle Street London EC2R 8AH United Kingdom Tel. (44-207) 601 46 07 Fax (44-207) 601 43 09

COMUNITÀ EUROPEA

Commission des Communautés européennes Direction générale pour les relations extérieures

Direction PESC

Unit A.2/Mr A. de Vries

Rue de la Loi/Wetstraat 200 B - 1049 Bruxelles/Brussel Tel.: (32-2) 295 68 80 Fax: (32-2) 296 75 63 E-mail: [email protected]

201

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Appendice 4

Regolamento (CE) n. 881/2002 del Consiglio del 27 maggio 2002

che impone specifiche misure restrittive nei confronti di determinate persone ed entità associate a Osama bin Laden, alla rete Al-Qaeda e ai Talibani e abroga il regolamento (CE) n. 467/2001 che vieta l'esportazione di talune merci e servizi in Afghanistan, inasprisce il divieto dei voli e estende il congelamento dei capitali e delle altre risorse finanziarie nei confronti dei Talibani dell'Afghanistan

IL CONSIGLIO DELL'UNIONE EUROPEA,

visto il trattato che istituisce la Comunità europea, in particolare gli articoli 60, 301 e 308,

vista la posizione comune 2002/402/PESC relativa a misure restrittive nei confronti di Osama bin Laden, i membri dell'organizzazione Al-Qaeda, i Talibani e altri individui, gruppi, imprese ed entità ad essi associati e che abroga le posizioni comuni 96/746/PESC, 1999/727/PESC, 2001/154/PESC e 2001/771/PESC(1),

vista la proposta della Commissione(2),

visto il parere del Parlamento europeo(3),

considerando quanto segue:

(1) Il 16 gennaio 2002 il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha adottato la risoluzione n. 1390(2002), in cui stabilisce che i Talibani non hanno dato risposta alle sue richieste contenute in tutta una serie di risoluzioni precedenti e li condanna per aver permesso che l'Afghanistan fosse utilizzato come base per l'addestramento e le attività di terroristi e inoltre condanna la rete Al-Qaeda ed altri gruppi terroristici associati per i loro atti terroristici e la distruzione di proprietà.

(2) Il Consiglio di sicurezza ha deciso, tra l'altro, che vanno abrogati il divieto di volo e talune restrizioni alle esportazioni imposti nei confronti dell'Afghanistan a seguito delle sue risoluzioni n. 1267(1999) e 1333(2000) e che si deve adeguare la portata del congelamento dei fondi e del divieto di mettere a disposizione finanziamenti imposti a seguito di queste risoluzioni. Il Consiglio di sicurezza ha deciso inoltre che si deve applicare un divieto di prestare determinati servizi connessi alle attività militari ai Talibani e all'organizzazione Al-Qaeda. A norma del paragrafo 3 della risoluzione n. 1390(2002), le suddette misure sono sottoposte a revisione da parte del Consiglio di sicurezza dopo un periodo di dodici mesi dall'adozione della risoluzione, al termine del quale il Consiglio di sicurezza autorizzerà il mantenimento delle misure o ne deciderà il perfezionamento.

(3) A questo proposito, il Consiglio di sicurezza ha ricordato l'obbligo di dare piena attuazione alla sua risoluzione n. 1373(2001) non solo nei confronti di tutti i membri dei Talibani e dell'organizzazione Al-Qaeda, ma anche rispetto a quanti sono associati con loro ed hanno contribuito a finanziare, pianificare, favorire o perpetrare atti terroristici.

(4) Poiché tali misure ricadono nell'ambito del trattato, l'applicazione delle pertinenti decisioni del Consiglio di sicurezza richiede una normativa comunitaria, nella misura in cui dette misure riguardano il territorio della Comunità, in particolare per evitare distorsioni della concorrenza. Ai fini del presente regolamento, per territorio della Comunità si intendono i territori degli Stati membri cui si applica il trattato, alle condizioni ivi precisate.

202

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(5) Per assicurare la massima certezza del diritto all'interno della Comunità, si dovrebbero rendere pubblici i nomi e gli altri dati pertinenti relativi alle persone fisiche o giuridiche, ai gruppi o alle entità i cui fondi dovrebbero essere congelati a seguito di una designazione fatta dalle autorità ONU e si dovrebbe istituire una procedura a livello comunitario per modificare tali elenchi.

(6) Le autorità competenti degli Stati membri dovrebbero essere abilitate, all'occorrenza, a far rispettare le disposizioni del presente regolamento.

(7) La risoluzione n. 1267(1999) del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite prevede che il competente Comitato per le sanzioni dell'ONU possa concedere esenzioni dal congelamento dei fondi per ragioni umanitarie. Si devono pertanto adottare misure per rendere tali esenzioni applicabili in tutta la Comunità.

(8) Per motivi di tempo, la Commissione dovrebbe essere autorizzata a modificare gli allegati del presente regolamento in base alle pertinenti notifiche o informazioni fornite, a seconda dei casi, dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, dal Comitato per le sanzioni competente o dagli Stati membri.

(9) La Commissione e gli Stati membri dovrebbero informarsi reciprocamente delle misure adottate in base al presente regolamento e comunicarsi tutte le altre informazioni pertinenti in loro possesso riguardanti il regolamento stesso, come pure collaborare con il competente Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite, in particolare fornendogli informazioni.

(10) Gli Stati membri dovrebbero fissare norme sulle sanzioni applicabili alle violazioni delle disposizioni del presente regolamento e assicurarsi che vengano rispettate. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

(11) Dato che il congelamento dei fondi dev'essere adeguato, occorre che le sanzioni per le violazioni del presente regolamento possano essere imposte a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente regolamento.

(12) Tenuto conto delle misure imposte a norma della risoluzione n. 1390(2002), è necessario adeguare le misure istituite nella Comunità abrogando il regolamento (CE) n. 467/2001 del Consiglio(4) e adottando un nuovo regolamento,

HA ADOTTATO IL PRESENTE REGOLAMENTO:

Articolo 1

Ai fini del presente regolamento valgono le seguenti definizioni:

1) Per "fondi" si intendono le disponibilità finanziarie e i proventi economici di qualsiasi tipo, compresi tra l'altro il denaro contante, gli assegni, i crediti monetari, le tratte, i bonifici e altri strumenti di pagamento, i depositi presso istituti finanziari, altri enti, i saldi di conti, i debiti e le assunzioni di debiti; la negoziazione pubblica o privata di titoli e titoli di credito, compresi le partecipazioni e le azioni, i certificati di titoli, le obbligazioni, i pagherò, i mandati di pagamento, i contratti derivativi; gli interessi, i dividendi o altri redditi da capitale o ratei attivi; i crediti, i diritti di compensazione, le garanzie, le fideiussioni o altri impegni finanziari; le lettere di credito, le polizze di carico, gli atti di cessione; i documenti comprovanti interessi su fondi o risorse finanziarie nonché qualsiasi altro strumento di finanziamento all'esportazione.

2) Per "risorse economiche" si intendono le disponibilità di qualsiasi tipo, tangibili o intangibili, mobili o immobili, che non siano fondi ma che possano essere utilizzate per ottenere fondi, bensì o servizi.

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3) Per "congelamento dei fondi" si intende il blocco preventivo di qualsiasi trasferimento, bonifico, alterazione, utilizzo o operazione relativi ai fondi, che possa portare in qualsiasi modo a modificarne il volume, l'ammontare, la collocazione, la proprietà, il possesso, la natura, la destinazione o qualsiasi altro cambiamento che permetta l'utilizzo dei fondi, compresa la gestione di portafoglio.

4) Per "congelamento di risorse economiche" si intende il blocco preventivo della loro utilizzazione ai fini di ottenere fondi, beni o servizi in qualsiasi modo, compresi tra l'altro la vendita, l'affitto e le ipoteche

Articolo 2

1. Tutti i fondi e le risorse economiche appartenenti a, o in possesso di, una persona fisica o giuridica, gruppo o entità designato dal comitato per le sanzioni ed elencato nell'allegato I sono congelati.

2. È vietato mettere direttamente o indirettamente fondi a disposizione di una persona fisica o giuridica, di un gruppo o di un'entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I, o stanziarli a loro vantaggio.

3. È vietato mettere direttamente o indirettamente risorse economiche a disposizione di una persona fisica o giuridica, ad un gruppo o ad un'entità designati dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I o destinarle a loro vantaggio, per impedire così facendo che la persona, il gruppo o l'entità in questione possa ottenere fondi, beni o servizi.

Articolo 3

Fatte salve le competenze degli Stati membri nell'esercizio della rispettiva pubblica autorità, è vietato concedere, vendere, fornire o trasferire, direttamente o indirettamente, consulenze tecniche, assistenza o formazione connesse ad attività militari, comprese in particolare la formazione e l'assistenza connesse alla produzione, alla manutenzione e all'impiego di armi e materiale connesso di qualsiasi tipo, a qualsiasi persona fisica o giuridica, gruppo o entità indicato dal comitato per le sanzioni ed elencati nell'allegato I.

Articolo 4

1. È vietato partecipare, consapevolmente e deliberatamente, ad attività aventi l'obiettivo o il risultato, diretto o indiretto, di aggirare l'articolo 2 o di promuovere le operazioni di cui all'articolo 3.

2. Qualsiasi informazione in base alla quale le disposizioni del presente regolamento sono o sono state aggirate dev'essere comunicata alle autorità competenti degli Stati membri e, direttamente o attraverso dette autorità, alla Commissione.

Articolo 5

1. Fatte salve le norme applicabili in materia di relazioni, riservatezza e segreto professionale e le disposizioni dell'articolo 284 del trattato, le persone fisiche e giuridiche, le entità e gli organismi sono tenuti a:

a) fornire immediatamente alle autorità competenti degli Stati membri, elencate nell'allegato II, in cui risiedono o sono situati, e alla Commissione, direttamente o attraverso dette autorità, qualsiasi informazione possa facilitare il rispetto del presente regolamento, quali i dati relativi ai conti e agli importi congelati a norma dell'articolo 2.

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In particolare, si devono fornire le informazioni disponibili su fondi, beni finanziari o risorse economiche posseduti o controllati dalle persone indicate dal comitato per le sanzioni ed elencate nell'allegato I nei sei mesi precedenti l'entrata in vigore del presente regolamento.

b) Collaborare con le autorità competenti elencate nell'allegato II per qualsiasi verifica di tali informazioni.

2. Tutte le informazioni fornite o ricevute a norma del presente articolo sono usate unicamente per i fini per i quali sono state fornite o ricevute.

3. Tutte le informazioni supplementari ricevute direttamente dalla Commissione sono messe a disposizione delle autorità competenti degli Stati membri interessati.

Articolo 6

Il congelamento dei fondi, delle altre disponibilità finanziarie e risorse economiche, o l'omissione o il rifiuto della prestazione di servizi finanziari, ritenuti in buona fede conformi al presente regolamento, non comportano alcun genere di responsabilità per la persona fisica o giuridica, il gruppo o l'entità che lo applica, né per i suoi direttori o dipendenti, a meno che si dimostri che il congelamento è stato determinato da negligenza.

Articolo 7

1. La Commissione è autorizzata:

- a emendare o integrare l'allegato I sulla base delle conclusioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite o del comitato per le sanzioni,

- a emendare l'allegato II sulla base delle informazioni fornite dagli Stati membri.

2. Fatti salvi i diritti e gli obblighi degli Stati membri sanciti dalla Carta delle Nazioni Unite, la Commissione mantiene tutti i contatti necessari con il comitato per le sanzioni ai fini dell'effettiva applicazione del presente regolamento.

Articolo 8

La Commissione e gli Stati membri si informano reciprocamente e immediatamente delle misure adottate ai sensi del presente regolamento e si comunicano le informazioni pertinenti in loro possesso riguardanti il presente regolamento, in particolare quelle ricevute a norma dell'articolo 5 e relative a problemi di violazione e di applicazione delle norme o alle sentenze pronunciate dai tribunali nazionali.

Articolo 9

Il presente regolamento si applica a prescindere dagli eventuali diritti o obblighi riconosciuti o imposti da qualsiasi accordo internazionale, da qualsiasi contratto stipulato o da qualsiasi licenza o permesso concessi prima dell'entrata in vigore del presente regolamento.

Articolo 10

1. Ciascuno Stato membro determina le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento. Tali sanzioni devono essere effettive, proporzionate e dissuasive.

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2. In attesa che sia adottata la legislazione eventualmente necessaria a tal fine, le sanzioni da imporre in caso di violazione delle disposizioni del presente regolamento sono quelle stabilite dagli Stati membri a norma dell'articolo 13 del regolamento (CE) n. 467/2001.

3. Ciascuno Stato membro è responsabile dell'avviamento di procedimenti nei confronti di qualsiasi persona fisica o giuridica, gruppo o entità sotto la sua giurisdizione, in caso di violazione di qualunque divieto stabilito dal presente regolamento da parte di tali persone, gruppi o entità.

Articolo 11

Il presente regolamento si applica:

- nel territorio della Comunità, compreso il suo spazio aereo,

- a bordo di tutti gli aeromobili e di tutti i natanti sotto la giurisdizione di uno Stato membro,

- a tutti i cittadini di uno Stato membro che si trovano altrove,

- a tutte le persone giuridiche, a tutti i gruppi o entità registrati o costituiti conformemente alla legislazione di uno Stato membro, e

- a tutte le persone giuridiche, a tutti i gruppi o entità operanti all'interno della Comunità.

Articolo 12

Il regolamento (CE) n. 467/2001 è abrogato.

Articolo 13

Il presente regolamento entra in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nella Gazzetta ufficiale delle Comunità europee.

Il presente regolamento è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri.

Fatto a Bruxelles, addì 27 maggio 2002.

Per il Consiglio

Il Presidente

M. Arias Cañete

(1) Vedi pagina 4 della presente Gazzetta ufficiale.

(2) Proposta del 6 marzo 2002 (non ancora pubblicata nella Gazzetta ufficiale).

(3) Parere espresso l'11 aprile 2002 (non ancora pubblicato nella Gazzetta ufficiale).

(4) GU L 67 del 9.3.2001, pag. 1.

ALLEGATO I

Elenco delle persone, dei gruppi e delle entità di cui all'articolo 2

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Persone giuridiche, gruppi ed entità

Aaran Money Wire Service, Inc., 1806, Riverside Avenue, secondo piano, Minneapolis, Minnesota (USA).

Gruppo Abu Sayyaf (alias Al Harakat Al Islamiyya)

Afghan Support Committee (ASC), alias Lajnat Ul Masa Eidatul Afghania, Jamiat Ayat-Ur-Rhas Al Islamia, Jamiat Ihya Ul Turath Al Islamia e Ahya Ul Turas; indirizzo degli uffici: Sede centrale - G. T. Road (probabilmente Grand Trunk Road), vicino a Pushtoon Garhi Pabbi, Peshawar (Pakistan); Cheprahar Hadda, Mia Omar Sabaqah School, Jalabad (Afghanistan).

Al Baraka Exchange L.L.C., P.O. Box 3313, Deira, Dubai (EAU); P.O. Box 20066, Dubai (EAU).

Al Qaeda/esercito islamico (alias "La Base", Al Qaida, Fondazione islamica per la salvezza, Gruppo per la tutela dei luoghi sacri, Esercito islamico per la liberazione dei luoghi sacri, Fronte islamico mondiale per la Jihad contro Ebrei e Crociati, la Rete di Osama bin Laden, l'Organizzazione di Osama bin Laden)

Al Rashid Trust (alias Al-Rasheed Trust):

- Kitas Ghar, Nazimabad 4, Dahgel-Iftah, Karachi (Pakistan),

- Jamia Maajid, Sulalman Park, Melgium Pura, Lahore (Pakistan),

- Office Dha'rbi M'unin, di fronte alla Khyber Bank, Abbottabad Road, Mansehra (Pakistan),

- Office Dhar'bi M'unin ZR Brothers, Katcherry Road, Chowk Yadgaar, Peshawar (Pakistan),

- Office Dha'rbi-M'unin, stanza n. 3 Moti Plaza, vicino a Liaquat Bagh, Muree Road, Rawalpindi (Pakistan),

- Office Dha'rbi-M'unin, ultimo piano, studio dentistico Dott. Dawa Khan, Main Baxae, Mingora, Swat (Pakistan),

- Operazioni in Afghanistan: Herat, Jalalabad, Kabul, Kandahar, Mazar Sherif,

- Attivo anche in Koso0vo e in Cecenia.

Al Taqwa Trade, Property and Industry Company Limited (già Al Taqwa Trade, Property and Industry), (già Al Taqwa Trade, Property and Industry Establishment), (già Himmat Establishment), c/o Asat Trust Reg., Altenbach 8, FL-9490 Vaduz (Liechtenstein)

Al-Barakaat Bank, Mogadiscio (Somalia)

Al-Barakaat Wiring Service, 2940, Pillsbury Avenue, Suite 4, Minneapolis, Minnesota 55408 (USA)

Al-Barakaat, Mogadiscio (Somalia); Dubai (EAU)

Al-Barakat Bank of Somalia (BSS) (alias Barakat Bank of Somalia), Mogadiscio (Somalia) Bossasso (Somalia)

Al-Barakat Finance Group, Dubai (EAU); Mogadiscio (Somalia)

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Al-Barakat Financial Holding Co., Dubai (EAU); Mogadiscio (Somalia)

Al-Barakat Global Telecommunications (alias Barakaat Globetelcompany), P.O. Box 3313, Dubai (EAU); Mogadiscio (Somalia); Hargeysa (Somalia)

Al-Barakat Group of Companies Somalia Limited (alias Al-Barakat Financial Company), P.O. Box 3313, Dubai (EAU); Mogadiscio (Somalia)

Al-Barakat International (alias Baraco Co.), P.O. Box 2923, Dubai (EAU)

Al-Barakat Investments, P.O. Box 3313, Deira, Dubai (EAU)

Al-Hamati Sweets Bakeries, Al-Mukallah, Hadhramawt Governorate (Yemen)

Al-Itihaad Al-Islamiya (AIAI)

Al-Jihad/Egyptian Islamic Jihad (alias Al-Jihad egiziana, Jihad Islamica egiziana, Gruppo Jihad, Nuova Jihad)

Al-Nur Honey Press Shops (alias Al-Nur Honey Center), Sanaa (Yemen)

Al-Shifa Honey Press For Industry And Commerce, P.O. Box 8089, Al-Hasabah, Sanaa (Yemen); Presso il tempio accanto alla stazione di servizio, Jamal Street, Taiz (Yemen); Al-Arudh Square, Khur Maksar, Aden (Yemen); Al-Nasr Street, Doha (Qatar)

Gruppo Islamico Armato (GIA) (alias Al Jamm'ah Al Islamiah Al-Musallah, GIA, Groupement Islamique Armé)

Asat Trust Reg., Altenbach 8, FL-9490 Vaduz (Liechtenstein)

Asbat al-Ansar

Bank Al Taqwa Limited (alias Al Taqwa Bank), (alias Bank Al Taqwa), P.O. Box N-4877, Nassau (Bahamas); c/o Arthur D. Hanna & Company, 10, Deveaux Street, Nassau (Bahamas)

Baraka Trading Company, P.O. Box 3313, Dubai (EAU)

Barakaat Boston, 266, Neponset Avenue, Apt. 43, Dorchester, Massachussets 02122-3224 (USA)

Barakaat Construction Company, P.O. Box 3313, Dubai (EAU)

Barakaat Group of Companies, P.O. Box 3313, Dubai (EAU); Mogadiscio (Somalia)

Barakaat International Foundation, Box 4036, Spanga, Stoccolma (Svezia); Rinkebytorget 1, 04, Spanga (Svezia)

Barakaat International, Hallbybacken 15, 70 Spanga (Svezia)

Barakaat International, Inc., 1929, South 5th Street, Suite 205, Minneapolis, Minnesota (USA)

Barakaat North America, Inc., 925, Washington Street, Dorchester, Massachussets (USA); 2019, Bank Street, Ottawa, Ontario (Canada)

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Barakaat Red Sea Telecommunications, Bossaso (Somalia); Nakhiil (Somalia); Huruuse (Somalia); Raxmo (Somalia); Ticis (Somalia); Kowthar (Somalia); Noobir (Somalia); Bubaarag (Somalia); Gufure (Somalia); Xuuxuule (Somalia); Ala Aamin (Somalia); Guureeye (Somalia); Najax (Somalia); Carafaat (Somalia)

Barakaat Telecommunications Co. Somalia, Ltd, P.O. Box 3313, Dubai (EAU)

Barakaat Wire Transfer Company, 4419, South Brandon Street, Seattle, Washington (USA)

Barakat Banks and Remittances, Mogadiscio (Somalia); Dubai (EAU)

Barakat Computer Consulting (BCC), Mogadiscio (Somalia)

Barakat Consulting Group (BCG), Mogadiscio (Somalia)

Barakat Enterprise, 1762, Huy Road, Columbus, Ohio (USA)

Barakat Global Telephone Company, Mogadiscio (Somalia); Dubai (EAU)

Barakat International Companies (BICO), Mogadiscio (Somalia); Dubai (EAU)

Barakat Post Express (BPE), Mogadiscio (Somalia)

Barakat Refreshment Company, Mogadiscio (Somalia); Dubai (EAU)

Barakat Telecommunications Company Limited (alias BTELCO), Bakara Market, Dar Salaam Buildings, Mogadiscio (Somalia); Kievitlaan 16, 't Veld, Noord-Holland (Paesi Bassi)

Barako Trading Company, L.L.C., P.O. Box 3313, Dubai (EAU)

De Afghanistan Momtaz Bank

Global Service International, 1929, 5th Street, Suite 204, Minneapolis, Minnesota (USA)

Harakat Ul-Mujahidin/HUM (alias Al-Faran, Al-Hadid, Al-Hadith, Harakat Ul-Ansar, HUA, Harakat Ul-Mujahideen)

Heyatul Ulya, Mogadiscio (Somalia)

Islamic Army of Aden/Esercito islamico di Aden

Islamic Movement of Uzbekistan (IMU)/Movimento islamico dell'Uzbekistan (alias IMU)

Jaish-I-Momhammed (alias ESERCITO DI MAOMETTO), Pakistan

Jamyah Taawun Al-Islamia (alias SOCIETÀ COOPERATIVA ISLAMICA; alias JAMIYAT AL TAAWUN AL ISLAMIYYA; alias JIT), Kandahar (Afghanistan)

Gruppo combattente islamico libico/Libyan Islamic Fighting Group

Mamoun Darkazanli Import-Export Company (alias Darkazanli Company, Darkazanli Export-Import Sonderposten). Uhlenhorsterweg 34 11, Amburgo (Germania)

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Nada Management Organisation S.A. (già Al Taqwa Management Organisation S.A.), Viale Stefano Franscini 22, CH-6900 Lugano (TI, Svizzera)

Parka Trading Company, P.O. Box 3313, Deira, Dubai (EAU)

RABITA TRUST, Room 9A, Secondo piano, Wahdat Road, Education Town, Lahore (Pakistan); Wares Colony, Lahore (Pakistan)

Red Sea Barakat Company Limited, Mogadiscio (Somalia); Dubai (EAU)

Revival of Islamic Heritage Society (RIHS), alias Jamiat Ihia Al-Turath Al-Islamiya, Revival of Islamic Society Heritage On The African Continent, Jamia Ihya Ul Turath; sedi degli uffici: Pakistan e Afghanistan. NB: si designano solo le sedi di questa entità in Pakistan e in Afghanistan

Gruppo salafista per la predicazione e il combattimento (GSPC) (alias Groupe Salafiste pour la Prédiction et le Combat)

Somali International Relief Organization, 1806, Riverside Avenue, secondo piano, Minneapolis, Minnesota (USA)

Somali Internet Company, Mogadiscio (Somalia)

Somali Network AB, Hallybybacken 15, 70 Spanga (Svezia)

Wafa Humanitarian Organisation (alias Al Wafa, Al Wafa Organisation, Wafa Al-Igatha Al-Islamia) Jordan House n. 125, Street 54, Phase II. Hayatabad, Peshawar (Pakistan). Sedi in Arabia Saudita, Kuwait ed Emirati Arabi Uniti

Youssef M. Nada & Co. Gesellschaft m.b.H., Kaertner Ring 2/2/5/22, A-1010 Vienna (Austria)

Youssef M. Nada, Via Riasc 4, CH-6911 Campione d'Italia I (Svizzera)

Persone fisiche

(le funzioni indicate tra parentesi si riferiscono all'ex regime talibano in Afghanistan)

Aazem, Abdul Haiy, Maulavi (Primo segretario del "Consolato generale" dei Talibani, Quetta)

Abd al-Hadi al-Iraqi (alias Abu Abdallah, Abdal Al-Hadi Al-Iraqi)

Abdul Rahman Yasin (alias TAHA, Abdul Rahman S.; alias TAHER, Abdul Rahman S.; alias YASIN, Abdul Rahman Said; alias YASIN, Aboud); nato il 10.4.1960 a Bloomington, Indiana (USA); numero di sicurezza sociale (social security number, SSN) 156-92-9858 (USA); passaporto (statunitense) n. 27082171, rilasciato il 21.6.1992 ad Amman (Giordania) o passaporto (iracheno) n. M0887925; cittadino statunitense

Abdullah Ahmed Abdullah (alias ABU MARIAM; alias AL- MASRI, Abu Mohamed; alias SALEH), Afghanistan; nato nel 1963 in Egitto; cittadinanza egiziana

Abdullkadir, Hussein Mahamud, Firenze (Italia)

Abu Hafs il Mauritano (alias Mahfouz Ould al-Walid, Khalid Al-Shanqiti, Mafouz Walad Al-Walid, Mahamedou Ouid Slahi). Nato l'1.1.1975

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Abu Zubaydah (alias Abu Zubaida, Abd Al-Hadi Al Wahab, Zain Al-Abidin Muhahhad Husain, Zayn Al-Abidin Muhammad Husain, Tariq). Nato il 12.3.1971 a Riyadh (Arabia Saudita)

Aden, Adirisak, Skaftingebacken 8, 16367 Spanga (Svezia), nato l'1 giugno 1968

Agha, Abdul Rahman (Presidente del tribunale militare)

Agha, Haji Abdul Manan (alias Saiyid; Abd Al-Manam), Pakistan

Agha, Saed M. Azim, Maulavi (Servizio visti e passaporti)

Agha, Sayyed Ghiassouddine, Maulavi (Ministro dell'Haj e delle questioni religiose)

Ahmadi, Haji M., Mullah (Presidente della Da Afghanistan Bank)

Ahmadulla, Qari [Ministro della sicurezza (Intelligence)]

Ahmed Khalfan Ghailani (alias AHMED IL TANZANIANO; alias FOOPIE; alias FUPI; alias AHMAD, Abu Bakr; alias AHMED, A; alias AHMED, Abubakar; alias AHMED, Abubakar K.; alias AHMED, Abubakar Khalfan; alias AHMED, Abubakary K.; alias AHMED, Ahmed Khalfan; alias AL TANZANI, Ahmad; alias ALI, Ahmed Khalfan; alias BAKR, Abu; alias GHAILANI, Abubakary Khalfan Ahmed; alias GHAILANI, Ahmed; alias GHILANI, Ahmad Khalafan; alias HUSSEIN, Mahafudh Abubakar Ahmed Abdallah; alias KHABAR, Abu; alias KHALFAN, Ahmed; alias MOHAMMED, Shariff Omar); nato il 14.3.1974 o il 13.4.1974 o il 14.4.1974 o l'1.8.1970 a Zanzibar (Tanzania); cittadinanza tanzaniana

Ahmed Mohammed Hamed Ali (alias ABDUREHMAN, Ahmed Mohammed; alias ABU FATIMA; alias ABU ISLAM; alias ABU KHADIIJAH; alias AHMED HAMED; alias Ahmed l'Egiziano; alias AHMED, Ahmed; alias AL MASRI, Ahmad; alias AL- SURIR, Abu Islam; alias ALI, Ahmed Mohammed; alias ALI, Hamed; alias HEMED, Ahmed; alias SHIEB, Ahmed; alias SHUAIB), Afghanistan; nato nel 1965 in Egitto; cittadinanza egiziana

Akhund, Ahmed Jan, Mullah (Ministro delle risorse idriche ed elettriche)

Akhund, Alhaj Mohammad Essa, Mullah (Ministro delle miniere e dell'industria)

Akhund, Attiqullah, Maulavi (Vice ministro dell'agricoltura)

Akhund, Dadullah, Maulavi (Ministro dell'edilizia)

Akhund, Hadji Ubaidullah, Mullah (Ministro della difesa)

Akhund, Mohammad Abbas, Mullah (Ministro della sanità)

Akhundzada, Mohammad Sediq (Vice ministro dei martiri e del rimpatrio)

Al-Hamati, Muhammad (alias AL-AHDAL, Mohammad Hamdi Sadiq; alias AL-MAKKI, Abu Asim), Yemen

Al-Haq, Amin (alias AMIN, Muhammad; alias AH HAQ, Dott. Amin; alias UL HAQ, Dott. Amin); nato nel 1960 nella Provincia di Nangahar (Afghanistan)

Ali, Abbas Abdi, Mogadiscio (Somalia)

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Ali, Abdi Adbulaziz, Drabantvagen 21, 17750 Spanga (Svezia), nato l'1 gennaio 1955

Ali, Yusaf Ahmed, Hallbybybacken 15, 70 Spanga (Svezia), nato il 20 novembre 1974

Al-Jadawi, Saqar. Nato nel 1965 circa. Presunta cittadinanza yemenita e saudita. Aiutante di Osama bin Laden

Al-Jaziri, Abu Bakr; cittadinanza algerina; indirizzo: Peshawar (Pakistan) - membro dell'Afghan Support Committee

Al-Kadr, Ahmad Said (alias Abu Abd Al-Rahman, Al-Kanadi). Nato l'1.3.1948 al Cairo (Egitto). Presunta cittadinanza egiziana e canadese

Allamuddin, Syed (Secondo segretario del "Consolato generale" talibano di Peshawar)

Al-Libi Abd Al Mushin, alias Ibrahim Ali Muhammad Abu Bakr - membro dell'Afghan Support Committee e della Revival of Islamic Heritage Society

Al-Qadi, Yasin (alias KADI, Shaykh Yassin Abdullah; alias KAHDI, Yasin), Gedda (Arabia Saudita)

Al-Sharif, Sa'd. Nato nel 1969 circa in Arabia Saudita. Cognato di Osama bin Laden e suo stretto collaboratore. Presunto capo dell'organizzazione finanziaria di Osama bin Laden

Amin, Aminullah, Maulavi (Governatore della provincia di Saripul)

Aminzai, Shams-us-Safa (Centro stampa, Ministero degli esteri)

Anafi, Nazirullah, Maulavi, (Addetto commerciale dell'"Ambasciata" talibana di Islamabad)

Anas al-Liby (alias AL-LIBI, Anas; alias AL RAGHIE, Nazih; alias ALRAGHIE, Nazih Abdul Hamed; alias AL- SABAI, Anas), Afghanistan; nato il 30.3.1964 o il 14.5.1964 a Tripoli (Libia); cittadinanza libica

Anwari, Mohammad Tahre, Mullah (Affari amministrativi)

Aref, Arefullah, Mullah (Vice ministro delle finanze)

Asem, Esmatullah, Maulavi, Segretario generale della società della Mezzaluna rossa afghana (Afghan Red Crescent Society -ARCS)

Asem, Sayed Esmatullah, Maulavi (Vice ministro per la prevenzione del vizio e la diffusione della virtù)

Atiqullah, Hadji Molla (Vice ministro dei lavori pubblici)

Aweys, Dahir Ubeidullahi, Via Cipriano Facchinetti 84, Roma (Italia)

Aweys, Hassan Dahir (alias Ali, Sheikh Hassan Dahir Aweys), (alias Awes, Shaykh Hassan Dahir), nato nel 1935, cittadinanza somala

Ayman Al-Zawahari (alias Ahmed Fuad Salim, Aiman Muhammad Rabi Al-Zawahiri). Dirigente operativo e militare del gruppo della Jihad. Nato il 19.6.1951 a Giza (Egitto); passaporto (egiziano) n. 1084010; o in alternativa n. 19820215

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Azizirahman, signor (Terzo segretario dell'Ambasciata talibana di Abu Dhabi)

Baqi, Abdul, Maulavi (Ministro degli Affari esteri, servizi consolari)

Baqi, Abdul, Mullah (Vice ministro dell'informazione e della cultura)

Baradar, Mullah (Vice ministro della difesa)

Bari, Abdul, Maulavi (Governatore della Provincia di Helmand)

Bin Marwan, Bilal; nato nel 1947

Bin Muhammad, Ayadi Chafiq (alias AYADI SHAFIQ, Ben Muhammad; alias AYADI CHAFIK, Ben Muhammad; alias AIADI, Ben Muhammad; alias AIADY, Ben Muhammad), Helene Meyer Ring 10-1415-80809, Monaco (Germania); 129 Park Road, Londra NW8 (Regno Unito); 28 Chaussee De Lille, Mouscron (Belgio); Darvingasse 1/2/58-60, Vienna (Austria); Tunisia; nato il 21.1.1963 a Safais (Sfax - Tunisia)

Darkazanli, Mamoun, Uhlenhorster Weg 34, 22085 (Germania); nato il 4.8.1958 ad Aleppo (Siria); passaporto (tedesco) n. 1310636262

Daud, Mohammad (Addetto amministrativo dell'"Ambasciata" talibana di Islamabad)

Delawar, Shahabuddin, Maulavi (Vice Presidente della Corte Suprema)

Ehsanullah, Maulavi [Vice ministro della sicurezza (Intelligence)]

Elmi, Mohammad Azam, Maulavi (Vice ministro delle miniere e dell'industria)

Eshaq M. (Governatore della Provincia di Laghman)

Ezatullah, Maulavi (Vice ministro della pianificazione)

Fahid Mohammed Ally Msalam (alias AL-KINI, Osama; alias ALLY, Fahid Mohammed; alias MSALAM, Fahad Ally; alias MSALAM, Fahid Mohammed Ali; alias MSALAM, Mohammed Ally; alias MUSALAAM, Fahid Mohammed Ali; alias SALEM, Fahid Muhamad Ali); nato il 19.2.1976 a Mombasa (Kenya); cittadinanza kenyota

Faiz, Maulavi (Ministero degli Affari esteri, servizi informazione)

Faizan, Faiz Mohammad, Maulavi (Vice ministro del commercio)

Fauzi, Habibullah (Primo segretario/Vice capo missione dell'"Ambasciata" talibana di Islamabad)

Fazul Abdullah Mohammed (alias ABDALLA, Fazul; alias ADBALLAH, Fazul; alias AISHA, Abu; alias AL SUDANI, Abu Seif; alias ALI, Fadel Abdallah Mohammed; alias FAZUL, Abdalla; alias FAZUL, Abdallah; alias FAZUL, Abdallah Mohammed; alias FAZUL, Haroon; alias FAZUL, Harun; alias HAROON; alias HAROUN, Fadhil; alias HARUN; alias LUQMAN, Abu; alias MOHAMMED, Fazul; alias MOHAMMED, Fazul Abdilahi; alias MOHAMMED, Fouad; alias MUHAMAD, Fadil Abdallah); nato il 25.8.1972 o il 25.12.1974 o il 25.2.1974 a Moroni (Isole Comore); cittadinanza delle Isole Comore o del Kenya

Ghafoor, Abdul, Maulavi (Vice ministro dell'agricoltura)

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Hakimi, Gul Ahmad, Maulavi (Addetto commerciale del "Consolato generale" talibano di Karachi)

Hamdullah, Maulavi (Addetto ai rimpatri, "Consolato generale" talibano di Quetta)

Hamidi, Zabihullah (Vice ministro dell'istruzione superiore)

Hamidullah, Mullah, Capo dell'Ariana Afghan Airlines

Hamsudin, Maulavi [Governatore della Provincia di Wardak (Maidan)]

Hanafi, Mohammad Nasim, Mullah (Vice ministro della pubblica istruzione)

Hanif, Qari Din Mohammad (Ministro delle pianificazione)

Haqani, Djallalouddine, Maulavi (Ministro degli affari frontalieri)

Haqani, Sayeedur Rahman, Maulavi (Vice ministro delle miniere e dell'industria)

Haqqan, Sayyed, Maulavi (Ministro degli affari amministrativi)

Haqqani, Mohammad Salim, Maulavi (Vice ministro per la prevenzione del vizio e la diffusione della virtù)

Haqqani, Moslim, Maulavi (Vice ministro dell'Haj e delle questioni religiose)

Haqqani, Najibullah, Maulavi (Vice ministro dei lavori pubblici)

Hassan, Hadji Mohammad, Mullah (Primo vice presidente del Consiglio dei ministri, Governatore di Kandahar)

HIJAZI, Riad (alias HIJAZI, Raed M.; alias AL HAWEN, Abu-Ahmad; alias ALMAGHRIBI, Rashid ("il Marocchino"); alias AL-AMRIKI, Abu-Ahmad ("l'Americano"); alias AL-SHAHID, Abu-Ahmad), Giordania; nato nel 1968 in California (USA); SSN 548-91-5411

Himmat, Ali Ghaleb, Via Posero 2, CH-6911 Campione d'Italia (Svizzera); nato il 16 giugno 1938 a Damasco (Siria); cittadinanza svizzera e tunisina

Homayoon, Mohammad, Ing. (Vice ministro delle risorse idriche ed elettriche)

Hottak, Abdul Rahman Ahmad, Maulavi [Vice ministro dell'informazione e della cultura (sezione culturale)]

Hottak, M. Musa, Maulavi (Vice ministro della pianificazione)

Huber, Albert Friedrich Armand (alias Huber, Ahmed), Mettmenstetten (Svizzera), nato nel 1927

Hussein, Liban, 925, Washington Street, Dorchester, Massachussets (USA); 2019, Bank Street, Ottawa, Ontario (Canada)

Ibn Al-Shaykh Al-Libi

Islam, Muhammad (Governatore della Provincia di Bamiyan)

Jabbar, Abdul, Maulavi (Governatore della Provincia di Baghlan)

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Jalal, Noor, Maulavi [Vice ministro degli interni (questioni amministrative)]

Jalil, Abdul, Mullah (Vice ministro degli esteri)

Jama, Garad (alias Nor, Garad K.), (alias Wasrsame, Fartune Ahmed), 2100, Bloomington Avenue, Minneapolis, Minnesota (USA); 1806, Riverside Avenue, secondo piano, Minneapolis, Minnesota; nato il 26 giugno 1974

Jamal, Qudratullah, Maulavi (Ministro dell'informazione)

Jan, Ahmad, Maulavi (Governatore della Provincia di Zabol)

Janan, Mullah (Governatore di Fariab)

Jim'ale, Ahmed Nur Ali (alias Jimale, Ahmed Ali), (alias Jim'ale, Ahmad Nur Ali) (alias Jumale, Ahmed Nur), (alias Jumali, Ahmed Ali), P.O. Box 3312, Dubai (EAU); Mogadiscio (Somalia)

Kabir, A., Maulavi (Governatore della Provincia di Nangarhar)

Kabir, Abdul, Maulavi (Secondo vice presidente del Consiglio dei ministri, Governatore della Provincia di Nangahar, Capo del settore orientale)

Kahie, Abdullahi Hussein, Bakara Market, Dar Salaam Buildings, Mogadiscio (Somalia)

Kakazada, Rahamatullah, Maulavi (Console generale, "Consolato generale" talibano di Karachi)

Khairkhwah, Khair Mohammad, Maulavi (Governatore della Provincia di Herat)

Khaksar, Abdul Samad, Mullah [Vice ministro degli interni (Sicurezza)]

Kmalzada Shamsalah, signor (Secondo segretario, Ambasciata talibana di Abu Dhabi)

LADEHYANOY, Mufti Rashid Ahmad (alias LUDHIANVI, Mufti Rashid Ahmad; alias AHMAD, Mufti Rasheed; alias WADEHYANOY, Mufti Rashid Ahmad); Karachi (Pakistan)

Madani, Jan Mohammad, signor (Addetto commerciale, Ambasciata talibana di Abu Dhabi)

Madani, Zia-ur-Rahman, Maulavi (Governatore della Provincia di Logar)

Mahmood, Sultan Bashir-Ud-Din (alias Mahmood, Sultan Bashiruddin; alias Mehmood, Dott. Bashir Uddin; alias Mekmud, Sultan Baishiruddin), Street 13, Wazir Akbar Khan, Kabul, Afghanistan (data di nascita alternativa 1937; data di nascita alternativa 1938; data di nascita alternativa 1939; data di nascita alternativa 1940; data di nascita alternativa 1941; data di nascita alternativa 1942; data di nascita alternativa 1943; data di nascita alternativa 1944; data di nascita alternativa 1945); cittadinanza pakistana

Majeed, Abdul (alias Majeed Chaudhry Abdul; alias Majid, Abdul); data di nascita 15 aprile 1939; data di nascita alternativa 1938; cittadinanza pakistana

Makhtab Al-Khidamat/Al Kifah

Manan, Mawlawi Abdul, signor (Addetto commerciale, Ambasciata talibana di Abu Dhabi)

Mansour, Akhtar Mohammad (Ministro dei trasporti e dell'aviazione civile)

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Mansour, Mohamed (alias Al-Mansour, dott. Mohamed), Ob. Heslibachstrasse 20, Kusnacht (Svizzera); Zurigo (Svizzera); nato nel 1928 in Egitto o negli EAU

Mansour-Fattouh, Zeinab, Zurigo (Svizzera)

Mansur, Abdul Latif, Maulavi (Ministro dell'agricoltura)

Mati, Mohammadullah, Maulavi (Ministro dei lavori pubblici)

Matiullah, Mullah, Dogane di Kabul

Mazloom, Fazel M, Mullah (Vice capo di Stato maggiore dell'esercito)

Mohammad, Akhtar, Maulavi (Addetto culturale, "Consolato generale" talibano di Peshawar)

Mohammad, Dost, Mullah (Governatore della Provincia di Ghazni)

Mohammad, Nazar, Maulavi (Governatore della Provincia di Kunduz)

Mohammad, Nik, Maulavi (Vice ministro del commercio)

Mohammad, Qari Din (Ministro dell'istruzione superiore)

Mohammadi, Shafiqullah, Maulavi (Governatore della Provincia di Khost)

Momand, Qalamudin, Maulavi (Vice ministro dell'Haj)

Monib, Abdul Hakim, Maulavi (Vice ministro degli affari frontalieri)

Motaqi, Amir Khan, Mullah (Ministro della pubblica istruzione)

Motasem, Abdul Wasay Aghajan, Mullah (Ministro delle finanze)

Motmaen, Abdulhai (Servizi informazione e cultura, Kandahar)

Muazen, Samiullah, Maulavi (Vice presidente della Corte Suprema)

Muhammad Atif (alias Subhi Abu Sitta, Abu Hafs Al Masri, Sheik Taysir Abdullah, Mohamed Atef, Abu Hafs Al Masri el Khabir, Taysir). Nato nel 1956 ad Alessandria d'Egitto; data di nascita alternativa 1951

Muhammad 'Atif (alias Abu Hafs). Nato (probabilmente) nel 1944 in Egitto. Presunta cittadinanza egiziana. Primo luogotenente di Osama bin Laden

Muhammad Salah (alias Nasr Fahmi Nasr Hasanayn)

Muhsin Musa Matwalli Atwah (alias ABDEL RAHMAN; alias ABDUL RAHMAN; alias AL- MUHAJIR, Abdul Rahman; alias AL-NAMER, Mohammed K.A.), Afghanistan; nato il 19.6.1964 in Egitto; cittadinanza egiziana

Mujahid, Abdul Hakim, inviato talibano alle Nazioni Unite

Murad, Abdullah, Maulavi (Console generale, "Consolato generale" talibano di Quetta)

216

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Mustafa Mohamed Fadhil (alias AL MASRI, Abd Al Wakil; alias AL- NUBI, Abu; alias ALI, Hassan; alias ANIS, Abu; alias ELBISHY, Moustafa Ali; alias FADIL, Mustafa Muhamad; alias FAZUL, Mustafa; alias HUSSEIN; alias JIHAD, Abu; alias KHALID; alias MAN, Nu; alias MOHAMMED, Mustafa; alias YUSSRR, Abu); nato il 23.6.1976 al Cairo (Egitto); cittadinanza egiziana o kenyota; Documento d'identità kenyota n. 12773667; n. di serie 201735161

Mustasaed, Mullah (Presidente dell'Accademia delle scienze)

Mutawakil, Abdul Wakil (Ministro degli esteri)

Muttaqi, Amir Khan (rappresentante talibano ai colloqui condotti dalle Nazioni Unite)

Nada, Youssef (alias Nada, Youssef M.), (alias Nada, Youssef Mustafa), Via Arogno 32, 6911 Campione d'Italia (Svizzera); Via per Arogno 32, CH-6911 Campione d'Italia (Svizzera); Via Riasc 4, CH-6911 Campione d'Italia I (Svizzera); nato il 17 maggio 1931 o il 17 maggio 1937 ad Alessandria d'Egitto; cittadinanza tunisina.

Naim, Mohammad, Mullah (Vice ministro dell'aviazione civile)

Najibullah, Maulavi (Console generale, "Consolato generale" talibano di Peshawar)

Nomani, Hamidullah, Maulavi (Alto funzionario del ministero dell'istruzione superiore)

Noorani, Mufti Mohammad Aleem (Primo segretario del "Consolato generale" talibano di Karachi),

Nuri, Maulavi Nurullah (Governatore della Provincia di Balkh, Capo del settore settentrionale)

Nuristani, Rostam, Maulavi (Vice ministro dei lavori pubblici)

Nyazi, Manan, Mullah (Governatore della Provincia di Kabul)

Omar, Mohammed, Mullah, Guida dei fedeli ("Amir ul-Mumineen"), Afghanistan,

Omari, Alhaj M. Ibrahim (Vice ministro degli affari frontalieri)

Paktis, Abdul Satar, Dott. (Ministero degli esteri, servizio protocollo)

Qadeer, Abdul, Generale (Addetto militare dell'"Ambasciata" talibana di Islamabad)

Qalamuddin, Maulavi (Responsabile del comitato olimpico)

Qurishi, Abdul Ghafar, Maulavi (Addetto al rimpatrio dell'"Ambasciata" talibana di Islamabad)

Rabbani, Mohammad, Mullah (Presidente del consiglio dirigente, Presidente del consiglio dei ministri)

Rahimi, Yar Mohammad Mullah (Ministro della comunicazione)

Rahmani, Arsalan, Maulavi (Vice ministro dell'istruzione superiore)

Rahmani, M. Hasan, Mullah (Governatore della Provincia di Kandahar)

Rasul, M, Mullah (Governatore della Provincia di Nimroz)

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Rauf, Abdul, Mullah (Comandante del blocco centrale)

Razaq, Abdul, Maulavi (Ministro del commercio)

Razaq, Abdul, Mullah (Ministro degli interni)

Reshad, Habibullah, Mullah (Capo dei servizi investigativi)

Saddiq, Alhaj Mohammad, Maulavi (Rappresentante commerciale, "Consolato generale" talibano di Peshawar)

Sadruddin, Alhaj, Mullah (Sindaco di Kabul)

Safi, Rahmatullah, Generale (Rappresentante talibano in Europa)

Salek, Abdulhai, Maulavi (Governatore della Provincia di Urouzgan)

Sanani, Maulavi, Capo di Dar-ul-Efta,

Saqib, Noor Mohammad (Presidente della Corte suprema)

Sayed, Alhaj Mullah Sadudin (Sindaco di Kabul)

Sayf al-Adl (alias Saif Al-'Adil). Nato nel 1963 circa, in Egitto. Presunta cittadinanza egiziana. Responsabile della sicurezza di Osama bin Laden

Sayyed, Saiduddine, Maulavi (Vice ministro del lavoro e degli affari sociali)

Shafiq, A. Wahed, Maulavi (Vice governatore della Provincia di Kabul)

Shafiq, M, Mullah (Governatore della Provincia di Samangan)

Shaheen, Mohammad Sohail (Secondo segretario dell'"Ambasciata" talibana di Islamabad)

Shahidkhel, S. Ahmed, Maulavi (Vice ministro della pubblica istruzione)

Shams-ur-Rahman, Mullah (Vice ministro dell'agricoltura)

Sharif, Mohammad (Vice ministro degli interni)

Shaykh Sai'id (alias Mustafa Muhammad Ahmad). Nato in Egitto

Sheikh Ahmed Salim Swedan (alias "Ahmed il Lungo"; alias ALLY, Ahmed; alias BAHAMAD; alias BAHAMAD, Sheik; alias BAHAMADI, Sheikh; alias SUWEIDAN, Sheikh Ahmad Salem; alias SWEDAN, Sheikh; alias SWEDAN, Sheikh Ahmad Salem); nato il 9.4.1969 o il 9.4.1960 a Mombasa (Kenya); cittadinanza kenyota

Shenwary, Haji Abdul Ghafar (Terzo segretario del'"Consolato generale" talibano di Karachi)

Shinwari, Jalaluddine, Maulavi (Vice ministro della giustizia)

Siddiqmal, Mohammad Sarwar (Terzo segretario della "Ambasciata" talibana di Islamabad)

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Stanekzai, Sher Abbas (Vice ministro della sanità)

Tahis, Hadji (Vice ministro dell'aviazione civile)

Takhari, Abdul Raqib, Maulavi (Ministro del rimpatrio)

Tariq Anwar Al-Sayyid Ahmad (alias Hamdi Ahmad Farag, Amr al-Fatih Fathi). Nato il 15.3.1963 ad Alessandria d'Egitto

Tawana, Maulavi (Governatore della Provincia di Paktia)

Tayeb, Haji Alla Dad, Mullah (Vice ministro delle comunicazioni)

Thirwat Salah Shihata (alias Tarwat Salah Abdallah, Salah Shihata Thirwat, Shahata Thirwat). Nato il 29.6.1960 in Egitto

Tufail, Mohammed (alias Tufail, S.M.; alias Tufail, Sheik Mohammed); cittadinanza pakistana

Turab, Hidayatullah Abu (Vice ministro dell'aviazione civile)

Turabi, Nooruddin, Mullah (Ministro della giustizia)

Ummah Tameer E-Nau (Utn), Street 13, Wazir Akbar Khan, Kabul (Afghanistan); Pakistan

Osama Bin Laden (alias Usama Bin Muhammad Bin Awad, alias Usama Bin Laden, alias Abu Abdallah Abd Al-Hakim). Nato il 30.7.1957 a Gedda (Arabia Saudita). Privato della cittadinanza saudita, è ora ufficialmente cittadino afghano

Uthman, Omar Mahmoud (alias AL-FILISTINI, Abu Qatada; alias TAKFIRI, Abu Umr; alias ABU UMAR, Abu Omar; alias UTHMAN, Al-Samman; alias UMAR, Abu Umar; alias UTHMAN, Umar; alias ABU ISMAIL), Londra (Regno Unito); nato il 30.12.1960 o il 13.12.1960

Wahab, Malawi Abdul Taliban (Addetto commerciale a Riyadh)

Wahidyar, Ramatullah (Vice ministro per i martiri e per il rimpatrio)

Wali, Mohammad, Maulavi (Ministro del servizio per la prevenzione dei vizi e la diffusione della virtù)

Wali, Qari Abdul (Primo segretario del "Consolato generale" talibano di Peshawar)

Walijan, Maulavi (Governatore della Provincia di Jawzjan)

Wasseq, Abdul-Haq-, Maulavi [Vice ministro della sicurezza (Intelligence)]

Waziri, M. Jawaz (Ministero degli esteri, servizio ONU)

Yaqoub, Mohammad, Maulavi (Capo del BIA)

Yuldashev, Tohir (alias Yuldashev, Takhir), Uzbekistan

Zaeef, Abdul Salam, Mullah (Ambasciatore straordinario e plenipotenziario della "Ambasciata" talibana di Islamabad)

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Zaeef, Abdul Salam (Ambasciatore talibano in Pakistan)

Zahed, Abdul Rahman (Vice ministro degli esteri)

Zahid, Mohammad, Mullah (Terzo segretario della "Ambasciata" talibana di Islamabad)

Zaief, Abdul Salam, Mullah (Vice ministro delle miniere e dell'industria)

Zia, Mohammad (alias Zia, Ahmad); c/o Ahmed Shah s/o Painda Mohammad al-Karim Set, Peshawar (Pakistan); c/o Alam General Store Shop 17, Awami Market, Peshawar (Pakistan); c/o Zahir Shah s/o Murad Khan Ander Sher, Peshawar (Pakistan)

Zurmati, Maulavi Rahimullah [Vice ministro dell'informazione e della cultura (Pubblicazioni)]

ALLEGATO II

Elenco delle autorità di cui all'articolo 5

BELGIO

Ministère des finances Trésorerie Avenue des Arts 30 B - 1040 Bruxelles Fax (32-2) 233 75 18 Ministère des affaires économiques Administration des relations économiques

Service Licences

60, rue Général Léman B - 1040 Bruxelles Fax (32-2) 230 83 22 Tél. (32-2) 206 58 11

DANIMARCA

Erhvervs- og Boligstyrelsen Dahlerups Pakhus

Langelinie Alle 17

DK - 2100 København Ø Tel. (45) 35 46 60 00 Fax (45) 35 46 60 01

GERMANIA

Deutsche Bundesbank Postfach 100602 D - 60006 Frankfurt/Main Tel. (49-69) 95 66-01 Fax (49-69) 560 10 71

GRECIA

Ministry of National Economy General Directorate of Economic Policy 5-7 Nikis Street GR - 101 80 Athens Tel. (30-10) 333 27 81-2 Fax (30-10) 333 28 10, 333 27 93 Υπουργείο Εθνικής Οικονομίας Γενική Διεύθυνση Οικονομικής Πολιτικής Νίκης 5-7 GR - 101 80 Αθήνα Tηλ. (30-10) 333 27 81-2 Φάξ.: (00-30-10) 333 28 10/333 27 93

SPAGNA

Dirección General de Comercio Inversiones

Subdirección General de Inversiones Exteriores

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Ministerio de Economía Paseo de la Castellana, 162 E - 28046 Madrid Tel. (34) 913 49 39 83 Fax (34) 913 49 35 62 Dirección General del Tesoro y Política Financiera

Subdirección General de Inspección y Control de Movimientos de Capitales

Ministerio de Economía Paseo del Prado, 6 E - 28014 Madrid Tel. (34) 912 09 95 11 Fax (34) 912 09 96 56

FRANCIA

Ministère de l'économie, des finances et de l'industrie

Direction du Trésor

Service des affaires européennes et internationales

Sous-direction E

139, rue du Bercy F - 75572 Paris Cedex 12 Tél. (33-1) 44 87 17 17 Fax (33-1) 53 18 36 15

IRLANDA

Central Bank of Ireland Financial Markets Department PO Box 559 Dame Street Dublin 2 Ireland Tel. (353-1) 671 66 66 Department of Foreign Affairs Bilateral Economic Relations Division 76-78 Harcourt Street Dublin 2 Ireland Tel. (353-1) 408 24 92

ITALIA

Ministero dell'Economia e delle Finanze Comitato di sicurezza finanziaria Via XX Settembre 97 I - 00187 Roma Email: [email protected] Tel. (39 06) 4 761 39 21 Fax (39 06) 4 761 39 32

LUSSEMBURGO

Ministère des affaires étrangères, du commerce extérieur, de la coopération, de l'action humanitaire et de la défense Direction des relations économiques internationales BP 1602 L - 1016 Luxembourg Tél. (352) 478-1 ou 478-2350 Fax (352) 22 20 48 Ministère des finances 3, rue de la Congrégation L - 1352 Luxembourg Tél. (352) 478-2712 Fax (352) 47 52 41

PAESI BASSI

Ministerie van Financiën Directie Wetgeving, Juridische en Bestuurlijke Zaken Postbus 20201 2500 EE Den Haag Nederland Tel. (31-70) 342 82 27 Fax (31-70) 342 79 05

AUSTRIA

Oesterreichische Nationalbank Otto-Wagner-Platz 3 A - 1090 Wien Tel. (43-1) 404 20-0 Fax (43-1) 404 20-73 99 Bundesministerium für Inneres - Bundeskriminalamt Josef Holaubek Platz 1 A - 1090 Wien Tel. (43-1) 313 45-0 Fax (43-1) 313 45-85 290

PORTOGALLO

Ministério das Finanças Direcção Geral dos Assuntos Europeus Relações Internacionais Avenida Infante D. Henrique, n.o 1, C 2.o P - 1100 Lisboa Tel. (351-1) 882 32 40/47 Fax (351-1) 882 32 49 Ministério dos Negócios Estrangeiros Direcção Geral dos Assuntos Multilaterias/Direcção dos

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Serviços das Organizações Políticas Internacionais Largo do Rilvas P - 1350-179 Lisboa Tel. (351-21) 394 60 72 Fax (351-21) 394 60 73

FINLANDIA

Ulkoasiainministeriö/Utrikesministeriet PL 176 FIN - 00161 Helsinki Tel. (358-9) 16 05 59 00 Fax (358-9) 16 05 57 07

SVEZIA

In relazione all'articolo 4:

Rikspolisstyrelsen (RPS) Box 12256 SE - 102 26 Stockholm Tel. (46-8) 401 90 00 Fax (46-8) 401 99 00

In relazione all'articolo 5:

Finansinspektionen Box 7831 SE - 103 98 Stockholm Tel. (46-8) 787 80 00 Fax (46-8) 24 13 35

REGNO UNITO

HM Treasury International Financial Services Team 19 Allington Towers London SW1E 5EB United Kingdom Tel. (44-207) 270 55 50 Fax (44-207) 270 43 65 Export Control and Non-Proliferation Directorate Department of Trade and Industry 3-4 Abbey Orchard Street London SW1P 2JJ United Kingdom Tel. (44-207) 215 05 10 Fax (44-207) 215 05 11 Bank of England Financial Sanctions Unit Threadneedle Street London EC2R 8AH United Kingdom Tel. (44-207) 601 46 07 Fax (44-207) 601 43 09

COMUNITÀ EUROPEA

Commission of the European Communities

Directorate-general for External Relations

Directorate CFSP

Unit A.2/Mr A. de Vries

Rue de la Loi/Wetstraat 200 B - 1049 Bruxelles/Brussel Tel. (32-2) 295 68 80 Fax (32-2) 296 75 63 E-mail: [email protected]

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Appendice 5

Legge 22 aprile 2005, n. 69

"Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto

europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri"

pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 98 del 29 aprile 2005

TITOLO I

DISPOSIZIONI DI PRINCIPIO

ART. 1. (Disposizioni di principio e definizioni).

1. La presente legge attua, nell'ordinamento interno, le disposizioni della decisione quadro 2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, di seguito denominata "decisione quadro", relativa al mandato d'arresto europeo e alle procedure di consegna tra Stati membri dell'Unione europea nei limiti in cui tali disposizioni non sono incompatibili con i princípi supremi dell'ordinamento costituzionale in tema di diritti fondamentali, nonché in tema di diritti di libertà e del giusto processo.

2. Il mandato d'arresto europeo è una decisione giudiziaria emessa da uno Stato membro dell'Unione europea, di seguito denominato "Stato membro di emissione", in vista dell'arresto e della consegna da parte di un altro Stato membro, di seguito denominato "Stato membro di esecuzione", di una persona, al fine dell'esercizio di azioni giudiziarie in materia penale o dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale.

3. L'Italia darà esecuzione al mandato d'arresto europeo alle condizioni e con le modalità stabilite dalla presente legge, sempre che il provvedimento cautelare in base al quale il mandato è stato emesso sia stato sottoscritto da un giudice, sia motivato, ovvero che la sentenza da eseguire sia irrevocabile.

4. Le disposizioni della presente legge costituiscono un'attuazione dell'azione comune in materia di cooperazione giudiziaria penale, ai sensi degli articoli 31, paragrafo 1, lettere a) e b), e 34, paragrafo 2, lettera b), del Trattato sull'Unione europea, e successive modificazioni.

ART. 2. (Garanzie costituzionali).

1. In conformità a quanto stabilito dall'articolo 6, paragrafi 1 e 2, del Trattato sull'Unione europea e dal punto (12) dei consideranda del preambolo della decisione quadro, l'Italia darà esecuzione al mandato d'arresto europeo nel rispetto dei seguenti diritti e princípi stabiliti dai trattati internazionali e dalla Costituzione:

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a) i diritti fondamentali garantiti dalla Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, in particolare dall'articolo 5 (diritto alla libertà e alla sicurezza) e dall'articolo 6 (diritto ad un processo equo), nonché dai Protocolli addizionali alla Convenzione stessa; b) i princípi e le regole contenuti nella Costituzione della Repubblica, attinenti al giusto processo, ivi compresi quelli relativi alla tutela della libertà personale, anche in relazione al diritto di difesa e al principio di eguaglianza, nonché quelli relativi alla responsabilità penale e alla qualità delle sanzioni penali.

2. Per le finalità di cui al comma 1, possono essere richieste idonee garanzie allo Stato membro di emissione.

3. L'Italia rifiuterà la consegna dell'imputato o del condannato in caso di grave e persistente violazione, da parte dello Stato richiedente, dei princípi di cui al comma 1, lettera a), constatata dal Consiglio dell'Unione europea ai sensi del punto (10) dei consideranda del preambolo della decisione quadro.

ART. 3. (Applicazione della riserva parlamentare).

1. Le modifiche dell'articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro sono sottoposte dal Governo a riserva parlamentare.

2. Il Presidente del Consiglio dei ministri trasmette alle Camere i relativi progetti di modifica, unitamente ad una relazione con la quale illustra lo stato dei negoziati e l'impatto delle disposizioni sull'ordinamento italiano, chiedendo di esprimersi al riguardo.

3. La pronuncia non favorevole della Camera dei deputati o del Senato della Repubblica è vincolante e non consente l'adesione dello Stato italiano alle modifiche proposte.

ART. 4. (Autorità centrale).

1. In relazione alle disposizioni dell'articolo 7 della decisione quadro l'Italia designa come autorità centrale per assistere le autorità giudiziarie competenti il Ministro della giustizia.

2. Spettano al Ministro della giustizia la trasmissione e la ricezione amministrativa dei mandati d'arresto europei e della corrispondenza ufficiale ad essi relativa.

3. Il Ministro della giustizia, se riceve un mandato d'arresto europeo da uno Stato membro di emissione, lo trasmette senza indugio all'autorità giudiziaria territorialmente competente. Se riceve un mandato d'arresto europeo dall'autorità giudiziaria italiana, lo trasmette senza indugio allo Stato membro di esecuzione.

4. Nei limiti e con le modalità previsti da accordi internazionali può essere consentita in condizioni di reciprocità la corrispondenza diretta tra autorità giudiziarie. In tal caso l'autorità giudiziaria competente informa immediatamente il Ministro della giustizia della ricezione o dell'emissione di un mandato d'arresto europeo. Resta comunque ferma la competenza del Ministro della giustizia ai fini di cui al comma 1 dell'articolo 23.

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TITOLO II NORME DI RECEPIMENTO INTERNO

CAPO I PROCEDURA PASSIVA DI CONSEGNA

ART. 5. (Garanzia giurisdizionale).

1. La consegna di un imputato o di un condannato all'estero non può essere concessa senza la decisione favorevole della corte di appello.

2. La competenza a dare esecuzione a un mandato d'arresto europeo appartiene, nell'ordine, alla corte di appello nel cui distretto l'imputato o il condannato ha la residenza, la dimora o il domicilio nel momento in cui il provvedimento è ricevuto dall'autorità giudiziaria.

3. Se la competenza non può essere determinata ai sensi del comma 2, è competente la corte di appello di Roma.

4. Quando uno stesso fatto è oggetto di mandati di arresto emessi contestualmente dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro dell'Unione europea a carico di più persone e non è possibile determinare la competenza ai sensi del comma 2, è competente la corte di appello del distretto in cui hanno la residenza, la dimora o il domicilio il maggior numero delle persone ovvero, se anche in tale modo non è possibile determinare la competenza, la corte di appello di Roma.

5. Nel caso in cui la persona sia stata arrestata dalla polizia giudiziaria ai sensi dell'articolo 11, la competenza a decidere sulla consegna appartiene alla corte di appello del distretto in cui è avvenuto l'arresto.

ART. 6. (Contenuto del mandato d'arresto europeo nella procedura passiva di consegna).

1. Il mandato d'arresto europeo deve contenere le seguenti informazioni:

a) identità e cittadinanza del ricercato; b) nome, indirizzo, numero di telefono e di fax, indirizzo di posta elettronica dell'autorità giudiziaria emittente; c) indicazione dell'esistenza di una sentenza esecutiva, di un provvedimento cautelare o di qualsiasi altra decisione giudiziaria esecutiva che abbia la stessa forza e che rientri nel campo di applicazione degli articoli 7 e 8 della presente legge; d) natura e qualificazione giuridica del reato; e) descrizione delle circostanze della commissione del reato, compresi il momento, il luogo e il grado di partecipazione del ricercato; f) pena inflitta, se vi è una sentenza definitiva, ovvero, negli altri casi, pena minima e massima stabilita dalla legge dello Stato di emissione; g) per quanto possibile, le altre conseguenze del reato.

2. Se il mandato d'arresto europeo non contiene le informazioni di cui alle lettere a), c), d), e) ed f) del comma 1, l'autorità giudiziaria provvede ai sensi dell'articolo 16. Analogamente provvede quando ritiene necessario acquisire ulteriori elementi al fine di verificare se ricorra uno dei casi previsti dagli articoli 18 e 19.

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3. La consegna è consentita, se ne ricorrono i presupposti, soltanto sulla base di una richiesta alla quale sia allegata copia del provvedimento restrittivo della libertà personale o della sentenza di condanna a pena detentiva che ha dato luogo alla richiesta stessa.

4. Al mandato d'arresto devono essere allegati:

a) una relazione sui fatti addebitati alla persona della quale è domandata la consegna, con l'indicazione delle fonti di prova, del tempo e del luogo di commissione dei fatti stessi e della loro qualificazione giuridica; b) il testo delle disposizioni di legge applicabili, con l'indicazione del tipo e della durata della pena; c) i dati segnaletici ed ogni altra possibile informazione atta a determinare l'identità e la nazionalità della persona della quale è domandata la consegna.

5. Se lo Stato membro di emissione non provvede, il presidente della corte di appello o il magistrato da questi delegato richiede al Ministro della giustizia l'acquisizione del provvedimento dell'autorità giudiziaria in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso, nonché la documentazione di cui al comma 4, informandolo della data della udienza camerale fissata. Il Ministro della giustizia informa l'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione che la ricezione del provvedimento e della documentazione costituisce condizione necessaria per l'esame della richiesta di esecuzione da parte della corte di appello. Immediatamente dopo averli ricevuti, il Ministro della giustizia trasmette al presidente della corte di appello il provvedimento e la documentazione unitamente ad una loro traduzione in lingua italiana.

6. Se l'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione non dà corso alla richiesta del Ministro della giustizia, di cui al comma 5, la corte di appello respinge la richiesta.

7. Il mandato d'arresto europeo dovrà pervenire tradotto in lingua italiana.

ART. 7. (Casi di doppia punibilità).

1. L'Italia darà esecuzione al mandato d'arresto europeo solo nel caso in cui il fatto sia previsto come reato anche dalla legge nazionale.

2. Il comma 1 non si applica nei casi in cui, in materia di tasse e imposte, di dogana e di cambio, la legge italiana non impone lo stesso tipo di tasse o di imposte ovvero non contiene lo stesso tipo di disciplina in materia di tasse, di imposte, di dogana e di cambio della legge dello Stato membro di emissione. Tuttavia, deve trattarsi di tasse e imposte che siano assimilabili, per analogia, a tasse o imposte per le quali la legge italiana prevede, in caso di violazione, la sanzione della reclusione della durata massima, escluse le eventuali aggravanti, pari o superiore a tre anni.

3. Il fatto dovrà essere punito dalla legge dello Stato membro di emissione con una pena o con una misura di sicurezza privativa della libertà personale della durata massima non inferiore a dodici mesi.

Ai fini del calcolo della pena o della misura di sicurezza non si tiene conto delle circostanze aggravanti. 4. In caso di esecuzione di una sentenza di condanna, la pena o la misura di sicurezza dovranno avere una durata non inferiore a quattro mesi.

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ART. 8. (Consegna obbligatoria).

1. Si fa luogo alla consegna in base al mandato d'arresto europeo, indipendentemente dalla doppia incriminazione, per i fatti seguenti, sempre che, escluse le eventuali aggravanti, il massimo della pena o della misura di sicurezza privativa della libertà personale sia pari o superiore a tre anni:

a) partecipare ad una associazione di tre o più persone finalizzata alla commissione di più delitti; b) compiere atti di minaccia contro la pubblica incolumità ovvero di violenza su persone o cose a danno di uno Stato, di una istituzione od organismo internazionale, al fine di sovvertire l'ordine costituzionale di uno Stato ovvero distruggere o indebolire le strutture politiche, economiche o sociali nazionali o sovranazionali; c) costringere o indurre una o più persone, mediante violenza, minaccia, inganno o abuso di autorità, a fare ingresso o a soggiornare o a uscire dal territorio di uno Stato, o a trasferirsi all'interno dello stesso, al fine di sottoporla a schiavitù o al lavoro forzato o all'accattonaggio o allo sfruttamento di prestazioni sessuali; d) indurre alla prostituzione ovvero compiere atti diretti al favoreggiamento o allo sfruttamento sessuale di un bambino; compiere atti diretti allo sfruttamento di una persona di età infantile al fine di produrre, con qualsiasi mezzo, materiale pornografico; fare commercio, distribuire, divulgare o pubblicizzare materiale pornografico in cui è riprodotto un minore; e) vendere, offrire, cedere, distribuire, commerciare, acquistare, trasportare, esportare, importare o procurare ad altri sostanze che, secondo le legislazioni vigenti nei Paesi europei, sono considerate stupefacenti o psicotrope; f) commerciare, acquistare, trasportare, esportare o importare armi, munizioni ed esplosivi in violazione della legislazione vigente; g) ricevere, accettare la promessa, dare o promettere denaro o altra utilità in relazione al compimento o al mancato compimento di un atto inerente ad un pubblico ufficio; h) compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa all'utilizzo o alla presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi, inesatti o incompleti cui consegua il percepimento o la ritenzione illecita di fondi ovvero la diminuzione illegittima di risorse iscritte nel bilancio di uno Stato o nel bilancio generale delle Comunità europee o nei bilanci gestiti dalle Comunità europee o per conto di esse; compiere qualsiasi azione od omissione intenzionale relativa alla distrazione di tali fondi per fini diversi da quelli per cui essi sono stati inizialmente concessi; compiere le medesime azioni od omissioni a danno di un privato, di una persona giuridica o di un ente pubblico; i) sostituire o trasferire denaro, beni o altre utilità provenienti da reato, ovvero compiere in relazione ad essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza illecita; l) contraffare monete nazionali o straniere, aventi corso legale nello Stato o fuori di esso o alterarle in qualsiasi modo dando l'apparenza di un valore superiore; m) commettere, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto o di arrecare ad altri un danno, un fatto diretto a introdursi o a mantenersi abusivamente in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero danneggiare o distruggere sistemi informatici o telematici, dati, informazioni o programmi in essi contenuti o a essi pertinenti; n) mettere in pericolo l'ambiente mediante lo scarico non autorizzato di idrocarburi, oli usati o fanghi derivanti dalla depurazione delle acque, l'emissione di sostanze pericolose nell'atmosfera, sul suolo o in acqua, il trattamento, il trasporto, il deposito, l'eliminazione di rifiuti pericolosi, lo scarico di rifiuti nel suolo o nelle acque e la gestione abusiva di una discarica; possedere, catturare e commerciare specie animali e vegetali protette; o) compiere, al fine di trarne profitto, atti diretti a procurare l'ingresso illegale nel territorio di uno Stato di una persona che non è cittadina o non ha titolo di residenza permanente; p) cagionare volontariamente la morte di un uomo o lesioni personali della medesima gravità di quelle previste dall'articolo 583 del codice penale;

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q) procurare illecitamente e per scopo di lucro un organo o un tessuto umano ovvero farne comunque commercio; r) privare una persona della libertà personale o tenerla in proprio potere minacciando di ucciderla, di ferirla o di continuare a tenerla sequestrata al fine di costringere un terzo, sia questi uno Stato, una organizzazione internazionale tra più governi, una persona fisica o giuridica o una collettività di persone fisiche, a compiere un qualsiasi atto o ad astenersene, subordinando la liberazione della persona sequestrata a tale azione od omissione; s) incitare pubblicamente alla violenza, come manifestazione di odio razziale nei confronti di un gruppo di persone, o di un membro di un tale gruppo, a causa del colore della pelle, della razza, della religione professata, ovvero dell'origine nazionale o etnica; esaltare, per razzismo o xenofobia, i crimini contro l'umanità; t) impossessarsi della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene, al fine di trarne profitto per sé o per altri, facendo uso delle armi o a seguito dell'attività di un gruppo organizzato; u) operare traffico illecito di beni culturali, compresi gli oggetti di antiquariato e le opere d'arte; v) indurre taluno in errore, con artifizi o raggiri, procurando a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno; z) richiedere con minacce, uso della forza o qualsiasi altra forma di intimidazione, beni o promesse o la firma di qualsiasi documento che contenga o determini un obbligo, un'alienazione o una quietanza; aa) imitare o duplicare abusivamente prodotti commerciali, al fine di trarne profitto; bb) falsificare atti amministrativi e operare traffico di documenti falsi; cc) falsificare mezzi di pagamento; dd) operare traffico illecito di sostanze ormonali e di altri fattori della crescita; ee) operare traffico illecito di materie nucleari e radioattive; ff) acquistare, ricevere od occultare veicoli rubati, o comunque collaborare nel farli acquistare, ricevere od occultare, al fine di procurare a sé o ad altri un profitto; gg) costringere taluno a compiere o subire atti sessuali con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità; hh) cagionare un incendio dal quale deriva pericolo per l'incolumità pubblica; ii) commettere reati che rientrano nella competenza giurisdizionale della Corte penale internazionale; ll) impossessarsi di una nave o di un aereo; mm) provocare illegalmente e intenzionalmente danni ingenti a strutture statali, altre strutture pubbliche, sistemi di trasporto pubblico o altre infrastrutture, che comportano o possono comportare una notevole perdita economica.

2. L'autorità giudiziaria italiana accerta quale sia la definizione dei reati per i quali è richiesta la consegna, secondo la legge dello Stato membro di emissione, e se la stessa corrisponda alle fattispecie di cui al comma 1.

3. Se il fatto non è previsto come reato dalla legge italiana, non si dà luogo alla consegna del cittadino italiano se risulta che lo stesso non era a conoscenza, senza propria colpa, della norma penale dello Stato membro di emissione in base alla quale è stato emesso il mandato d'arresto europeo.

ART. 9. (Ricezione del mandato d'arresto.

Misure cautelari).

1. Salvo i casi previsti dall'articolo 11, il Ministro della giustizia, ricevuto il mandato d'arresto europeo emesso dall'autorità competente di uno Stato membro, lo trasmette senza ritardo al

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presidente della corte di appello, competente ai sensi dell'articolo 5. Il presidente della corte di appello dà immediata comunicazione al procuratore generale del mandato d'arresto europeo, procedendo direttamente, o tramite delega ad altro magistrato della corte, agli adempimenti di sua competenza. Il presidente della corte di appello procede con le stesse modalità nelle ipotesi in cui il mandato d'arresto e la relativa documentazione di cui all'articolo 6 sono stati trasmessi direttamente dall'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione.

2. Il presidente, nel caso in cui insorgano difficoltà relative alla ricezione o alla autenticità dei documenti trasmessi dall'autorità giudiziaria straniera, prende contatti diretti con questa al fine di risolverle.

3. Il presidente, nel caso in cui sia manifestamente competente altra corte di appello ai sensi dell'articolo 5, commi 3, 4 e 5, provvede senza indugio alla trasmissione del mandato d'arresto ricevuto.

4. Il presidente, compiuti gli adempimenti urgenti, riunisce la corte di appello che, sentito il procuratore generale, procede, con ordinanza motivata, a pena di nullità, all'applicazione della misura coercitiva, se ritenuta necessaria, tenendo conto in particolare dell'esigenza di garantire che la persona della quale è richiesta la consegna non si sottragga alla stessa.

5. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni del titolo I del libro IV del codice di procedura penale, in materia di misure cautelari personali, fatta eccezione per gli articoli 273, commi 1 e 1-bis, 274, comma 1, lettere a) e c), e 280.

6. Le misure coercitive non possono essere disposte se vi sono ragioni per ritenere che sussistono cause ostative alla consegna.

7. Si applicano le disposizioni dell'articolo 719 del codice di procedura penale.

ART. 10. (Inizio del procedimento).

1. Entro cinque giorni dall'esecuzione delle misure di cui all'articolo 9, e alla presenza di un difensore di ufficio nominato a norma dell'articolo 97 del codice di procedura penale, in mancanza di difensore di fiducia, il presidente della corte di appello, o il magistrato delegato, procede a sentire la persona sottoposta alla misura cautelare, informandola, in una lingua alla stessa conosciuta, del contenuto del mandato d'arresto europeo e della procedura di esecuzione, nonché della facoltà di acconsentire alla propria consegna all'autorità giudiziaria richiedente e di rinunciare al beneficio di non essere sottoposta ad altro procedimento penale, di non essere condannata o altrimenti privata della libertà personale per reati anteriori alla consegna diversi da quello per il quale questa è stata disposta.

2. Della data fissata per il compimento delle attività di cui al comma 1 è dato avviso al difensore almeno ventiquattro ore prima.

3. Della ordinanza di cui all'articolo 9 è data comunicazione, a richiesta della persona arrestata, ai familiari ovvero, se si tratta di straniero, alla competente autorità consolare.

4. Il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, fissa con decreto l'udienza in camera di consiglio per la decisione entro il termine di venti giorni dall'esecuzione della misura coercitiva e dispone contestualmente il deposito del mandato d'arresto europeo e della

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documentazione di cui all'articolo 6. Il decreto è comunicato al procuratore generale e notificato alla persona richiesta in consegna e al suo difensore, almeno otto giorni prima dell'udienza. Si applicano le disposizioni dell'articolo 702 del codice di procedura penale.

ART. 11. (Arresto ad iniziativa della polizia giudiziaria).

1. Nel caso in cui l'autorità competente dello Stato membro ha effettuato segnalazione nel Sistema di informazione Schengen (SIS) nelle forme richieste, la polizia giudiziaria procede all'arresto della persona ricercata, ponendola immediatamente, e, comunque, non oltre ventiquattro ore, a disposizione del presidente della corte di appello nel cui distretto il provvedimento è stato eseguito, mediante trasmissione del relativo verbale, e dando immediata informazione al Ministro della giustizia.

2. Il Ministro della giustizia comunica immediatamente allo Stato membro richiedente l'avvenuto arresto ai fini della trasmissione del mandato d'arresto e della documentazione di cui ai commi 3 e 4 dell'articolo 6.

ART. 12. (Adempimenti conseguenti all'arresto ad iniziativa della polizia giudiziaria).

1. L'ufficiale di polizia giudiziaria che ha proceduto all'arresto ai sensi dell'articolo 11 informa la persona, in una lingua alla stessa comprensibile, del mandato emesso e del suo contenuto, della possibilità di acconsentire alla propria consegna all'autorità giudiziaria emittente e la avverte della facoltà di nominare un difensore di fiducia e del diritto di essere assistita da un interprete. Nel caso in cui l'arrestato non provveda a nominare un difensore, la polizia giudiziaria procede immediatamente a individuare un difensore di ufficio ai sensi dell'articolo 97 del codice di procedura penale.

2. La polizia giudiziaria provvede a dare tempestivo avviso dell'arresto al difensore.

3. Il verbale di arresto dà atto, a pena di nullità, degli adempimenti indicati ai commi 1 e 2, nonché degli accertamenti effettuati sulla identificazione dell'arrestato.

4. All'attuazione del presente articolo si provvede mediante l'utilizzo degli ordinari stanziamenti del Ministero della giustizia.

ART. 13. (Convalida).

1. Entro quarantotto ore dalla ricezione del verbale di arresto, il presidente della corte di appello o un magistrato della corte da lui delegato, informato il procuratore generale, provvede, in una lingua alla stessa conosciuta e, se necessario, alla presenza di un interprete, a sentire la persona arrestata con la presenza di un difensore di ufficio nominato in mancanza di difensore di fiducia. Nel caso in cui la persona arrestata risulti ristretta in località diversa da quella in cui l'arresto è stato eseguito, il presidente della corte di appello può delegare per gli adempimenti di cui all'articolo 10 il presidente del tribunale territorialmente competente, ferma restando la sua competenza in ordine ai provvedimenti di cui al comma 2.

2. Se risulta evidente che l'arresto è stato eseguito per errore di persona o fuori dai casi previsti dalla legge, il presidente della corte di appello, o il magistrato della corte da lui delegato, dispone con

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decreto motivato che il fermato sia posto immediatamente in libertà. Fuori da tale caso, si procede alla convalida dell'arresto provvedendo con ordinanza ai sensi degli articoli 9 e 10.

3. Il provvedimento emesso dal presidente della corte di appello ai sensi del comma 2 perde efficacia se nel termine di dieci giorni non perviene il mandato d'arresto europeo o la segnalazione della persona nel SIS effettuata dall'autorità competente. La segnalazione equivale al mandato d'arresto purché contenga le indicazioni di cui all'articolo 6.

ART. 14. (Consenso alla consegna).

1. Quando procede a sentire la persona della quale è stata richiesta la consegna, ai sensi degli articoli 10, comma 1, e 13, comma 1, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, raccoglie l'eventuale consenso alla consegna, alla presenza del difensore e, se necessario, dell'interprete. Del consenso e delle modalità con cui è stato prestato si dà atto in apposito verbale.

2. Il consenso può essere espresso anche successivamente mediante dichiarazione indirizzata al direttore della casa di reclusione e dallo stesso immediatamente trasmessa al presidente della corte di appello, anche a mezzo telefax, ovvero con dichiarazione resa nel corso dell'udienza davanti alla corte e fino alla conclusione della discussione.

3. Il consenso è irrevocabile. La persona arrestata è preventivamente informata della irrevocabilità del consenso e della rinuncia.

4. Nel caso che il consenso sia stato validamente espresso, la corte di appello provvede con ordinanza emessa senza ritardo e, comunque, non oltre dieci giorni, alla decisione sulla richiesta di esecuzione, dopo avere sentito il procuratore generale, il difensore e, se comparsa, la persona richiesta in consegna.

5. L'ordinanza emessa dal presidente della corte di appello ai sensi del comma 4 è depositata tempestivamente in cancelleria e del deposito è dato avviso al difensore e alla persona richiesta in consegna nonché al procuratore generale. Le parti hanno diritto di ottenerne copia.

ART. 15. (Provvedimenti provvisori in attesa della decisione).

1. Se il mandato d'arresto europeo è stato emesso nel corso di un procedimento penale, il presidente della corte di appello, su richiesta dell'autorità giudiziaria emittente e al fine di consentire le indagini urgenti dalla stessa ritenute necessarie, autorizza l'interrogatorio della persona richiesta in consegna, ovvero ne dispone il trasferimento temporaneo nello Stato membro di emissione.

2. Quando concede l'autorizzazione all'interrogatorio della persona richiesta in consegna, il presidente della corte di appello informa il Ministro della giustizia per la tempestiva comunicazione all'autorità giudiziaria richiedente e per ogni necessaria intesa anche in ordine alla data di assunzione dell'atto. L'interrogatorio è effettuato da un magistrato della corte di appello designato dal presidente, con l'assistenza della persona eventualmente designata dall'autorità richiedente in conformità alla legge dello Stato membro di emissione e dell'interprete eventualmente necessario. Sono osservate le forme e le garanzie previste per l'interrogatorio dagli articoli 64, 65, 66 e 294, comma 4, del codice di procedura penale. Dell'interrogatorio è redatto verbale.

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3. Quando dispone il trasferimento temporaneo della persona richiesta in consegna, il presidente della corte di appello informa il Ministro della giustizia per la tempestiva comunicazione all'autorità giudiziaria richiedente anche ai fini delle necessarie intese in ordine alle condizioni e alla durata del trasferimento. Si tiene in ogni caso conto della necessità che la persona sia fatta rientrare in modo da potere partecipare alle udienze relative alla procedura di esecuzione del mandato d'arresto.

ART. 16. (Informazioni e accertamenti integrativi).

1. Qualora la corte di appello non ritenga sufficienti ai fini della decisione la documentazione e le informazioni trasmesse dallo Stato membro di emissione, può richiedere allo stesso, direttamente o per il tramite del Ministro della giustizia, le informazioni integrative occorrenti. In ogni caso stabilisce un termine per la ricezione di quanto richiesto, non superiore a trenta giorni. Se l'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione non dà corso alla richiesta, si applica il comma 6 dell'articolo 6.

2. La corte di appello, d'ufficio o su richiesta delle parti, può disporre altresí ogni ulteriore accertamento che ritiene necessario al fine della decisione.

ART. 17. (Decisione sulla richiesta di esecuzione).

1. Salvo quanto previsto dall'articolo 14, la corte di appello decide con sentenza in camera di consiglio sull'esistenza delle condizioni per l'accoglimento della richiesta di consegna, sentiti il procuratore generale, il difensore, e, se compare, la persona richiesta in consegna, nonché, se presente, il rappresentante dello Stato richiedente.

2. La decisione deve essere emessa entro il termine di sessanta giorni dall'esecuzione della misura cautelare di cui agli articoli 9 e 13. Ove, per cause di forza maggiore, sia ravvisata l'impossibilità di rispettare tali termini il presidente della corte di appello informa dei motivi il Ministro della giustizia, che ne dà comunicazione allo Stato richiedente, anche tramite l'Eurojust. In questo caso i termini possono essere prorogati di trenta giorni.

3. Nel caso in cui la persona ricercata benefici di una immunità riconosciuta dall'ordinamento italiano, il termine per la decisione comincia a decorrere solo se e a partire dal giorno in cui la corte di appello è stata informata del fatto che l'immunità non opera più. Se la decisione sulla esclusione dell'immunità compete a un organo dello Stato italiano, la corte provvede a inoltrare la richiesta.

4. In assenza di cause ostative la corte di appello pronuncia sentenza con cui dispone la consegna della persona ricercata se sussistono gravi indizi di colpevolezza ovvero se esiste una sentenza irrevocabile di condanna.

5. Quando la decisione è contraria alla consegna, la corte di appello con la sentenza revoca immediatamente le misure cautelari applicate.

6. Della sentenza è data, al termine della camera di consiglio, immediata lettura. La lettura equivale a notificazione alle parti, anche se non presenti, che hanno diritto ad ottenere copia del provvedimento.

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7. La sentenza è immediatamente comunicata, anche a mezzo telefax, al Ministro della giustizia, che provvede ad informare le competenti autorità dello Stato membro di emissione ed altresí, quando la decisione è di accoglimento, il Servizio per la cooperazione internazionale di polizia.

ART. 18. (Rifiuto della consegna).

1. La corte di appello rifiuta la consegna nei seguenti casi:

a) se vi sono motivi oggettivi per ritenere che il mandato d'arresto europeo è stato emesso al fine di perseguire penalmente o di punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, della sua religione, della sua origine etnica, della sua nazionalità, della sua lingua, delle sue opinioni politiche o delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi; b) se il diritto è stato leso con il consenso di chi, secondo la legge italiana, può validamente disporne; c) se per la legge italiana il fatto costituisce esercizio di un diritto, adempimento di un dovere ovvero è stato determinato da caso fortuito o forza maggiore; d) se il fatto è manifestazione della libertà di associazione, della libertà di stampa o di altri mezzi di comunicazione; e) se la legislazione dello Stato membro di emissione non prevede i limiti massimi della carcerazione preventiva; f) se il mandato d'arresto europeo ha per oggetto un reato politico, fatte salve le esclusioni previste dall'articolo 11 della Convenzione internazionale per la repressione degli attentati terroristici mediante utilizzo di esplosivo, adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York il 15 dicembre 1997, resa esecutiva dalla legge 14 febbraio 2003, n. 34; dall'articolo 1 della Convenzione europea per la repressione del terrorismo, fatta a Strasburgo il 27 gennaio 1977, resa esecutiva dalla legge 26 novembre 1985, n. 719; dall'articolo unico della legge costituzionale 21 giugno 1967, n. 1; g) se dagli atti risulta che la sentenza irrevocabile, oggetto del mandato d'arresto europeo, non sia la conseguenza di un processo equo condotto nel rispetto dei diritti minimi dell'accusato previsti dall'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950, resa esecutiva dalla legge 4 agosto 1955, n. 848, e dall'articolo 2 del Protocollo n. 7 a detta Convenzione, adottato a Strasburgo il 22 novembre 1984, reso esecutivo dalla legge 9 aprile 1990, n. 98, statuente il diritto ad un doppio grado di giurisdizione in materia penale; h) se sussiste un serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti; i) se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo era minore di anni 14 al momento della commissione del reato, ovvero se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo era minore di anni 18 quando il reato per cui si procede è punito con una pena inferiore nel massimo a nove anni, o quando la restrizione della libertà personale risulta incompatibile con i processi educativi in atto, o quando l'ordinamento dello Stato membro di emissione non prevede differenze di trattamento carcerario tra il minore di anni 18 e il soggetto maggiorenne o quando, effettuati i necessari accertamenti, il soggetto risulti comunque non imputabile o, infine, quando nell'ordinamento dello Stato membro di emissione non è previsto l'accertamento della effettiva capacità di intendere e di volere; l) se il reato contestato nel mandato d'arresto europeo è estinto per amnistia ai sensi della legge italiana, ove vi sia la giurisdizione dello Stato italiano sul fatto; m) se risulta che la persona ricercata è stata giudicata con sentenza irrevocabile per gli stessi fatti da uno degli Stati membri dell'Unione europea purché, in caso di condanna, la pena sia stata già

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eseguita ovvero sia in corso di esecuzione, ovvero non possa più essere eseguita in forza delle leggi dello Stato membro che ha emesso la condanna; n) se i fatti per i quali il mandato d'arresto europeo è stato emesso potevano essere giudicati in Italia e si sia già verificata la prescrizione del reato o della pena; o) se, per lo stesso fatto che è alla base del mandato d'arresto europeo, nei confronti della persona ricercata, è in corso un procedimento penale in Italia, esclusa l'ipotesi in cui il mandato d'arresto europeo concerne l'esecuzione di una sentenza definitiva di condanna emessa in uno Stato membro dell'Unione europea; p) se il mandato d'arresto europeo riguarda reati che dalla legge italiana sono considerati reati commessi in tutto o in parte nel suo territorio, o in luogo assimilato al suo territorio; ovvero reati che sono stati commessi al di fuori del territorio dello Stato membro di emissione, se la legge italiana non consente l'azione penale per gli stessi reati commessi al di fuori del suo territorio; q) se è stata pronunciata, in Italia, sentenza di non luogo a procedere, salvo che sussistano i presupposti di cui all'articolo 434 del codice di procedura penale per la revoca della sentenza; r) se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini della esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale, qualora la persona ricercata sia cittadino italiano, sempre che la corte di appello disponga che tale pena o misura di sicurezza sia eseguita in Italia conformemente al suo diritto interno; s) se la persona richiesta in consegna è una donna incinta o madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente, salvo che, trattandosi di mandato d'arresto europeo emesso nel corso di un procedimento, le esigenze cautelari poste a base del provvedimento restrittivo dell'autorità giudiziaria emittente risultino di eccezionale gravità; t) se il provvedimento cautelare in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso risulta mancante di motivazione; u) se la persona richiesta in consegna beneficia per la legge italiana di immunità che limitano l'esercizio o il proseguimento dell'azione penale; v) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata la consegna contiene disposizioni contrarie ai princípi fondamentali dell'ordinamento giuridico italiano.

ART. 19. (Garanzie richieste allo Stato membro di emissione).

1. L'esecuzione del mandato d'arresto europeo da parte dell'autorità giudiziaria italiana, nei casi sotto elencati, è subordinata alle seguenti condizioni:

a) se il mandato d'arresto europeo è stato emesso ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza comminate mediante decisione pronunciata in absentia, e se l'interessato non è stato citato personalmente né altrimenti informato della data e del luogo dell'udienza che ha portato alla decisione pronunciata in absentia, la consegna è subordinata alla condizione che l'autorità giudiziaria emittente fornisca assicurazioni considerate sufficienti a garantire alle persone oggetto del mandato d'arresto europeo la possibilità di richiedere un nuovo processo nello Stato membro di emissione e di essere presenti al giudizio; b) se il reato in base al quale il mandato d'arresto europeo è stato emesso è punibile con una pena o una misura di sicurezza privative della libertà personale a vita, l'esecuzione di tale mandato è subordinata alla condizione che lo Stato membro di emissione preveda nel suo ordinamento giuridico una revisione della pena comminata, su richiesta o entro venti anni, oppure l'applicazione di misure di clemenza alle quali la persona ha diritto in virtù della legge o della prassi dello Stato membro di emissione, affinché la pena o la misura in questione non siano eseguite; c) se la persona oggetto del mandato d'arresto europeo ai fini di un'azione penale è cittadino o residente dello Stato italiano, la consegna è subordinata alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata nello Stato membro di esecuzione per scontarvi la pena o la misura di

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sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.

ART. 20. (Concorso di richieste di consegna).

1. Quando due o più Stati membri hanno emesso un mandato d'arresto europeo nei confronti della stessa persona, la corte di appello decide quale dei mandati d'arresto deve essere eseguito, tenuto conto di ogni rilevante elemento di valutazione e, in particolare, della gravità dei reati per i quali i mandati sono stati emessi, del luogo in cui i reati sono stati commessi e delle date di emissione dei mandati d'arresto e considerando, in questo contesto, se i mandati sono stati emessi nel corso di un procedimento penale ovvero per l'esecuzione di una pena o misura di sicurezza privative della libertà personale.

2. Ai fini della decisione di cui al comma 1 la corte di appello può disporre ogni necessario accertamento nonché richiedere una consulenza all'Eurojust.

3. Quando, nei confronti della stessa persona, sono stati emessi un mandato d'arresto europeo e una richiesta di estradizione da parte di uno Stato terzo, la corte di appello competente per il mandato d'arresto, sentito il Ministro della giustizia, decide se va data precedenza al mandato d'arresto ovvero alla richiesta di estradizione tenendo conto della gravità dei fatti, dell'ordine di presentazione delle richieste e di ogni altro elemento utile alla decisione.

ART. 21. (Termini per la decisione).

1. Se non interviene la decisione nei termini di cui agli articoli 14 e 17 la persona ricercata è posta immediatamente in libertà.

ART. 22. (Ricorso per cassazione).

1. Contro i provvedimenti che decidono sulla consegna la persona interessata, il suo difensore e il procuratore generale presso la corte di appello possono proporre ricorso per cassazione, anche per il merito, entro dieci giorni dalla conoscenza legale dei provvedimenti stessi ai sensi degli articoli 14, comma 5, e 17, comma 6.

2. Il ricorso sospende l'esecuzione della sentenza.

3. La Corte di cassazione decide con sentenza entro quindici giorni dalla ricezione degli atti nelle forme di cui all'articolo 127 del codice di procedura penale. L'avviso alle parti deve essere notificato o comunicato almeno cinque giorni prima dell'udienza.

4. La decisione è depositata a conclusione dell'udienza con la contestuale motivazione. Qualora la redazione della motivazione non risulti possibile, la Corte di cassazione, data comunque lettura del dispositivo, provvede al deposito della motivazione non oltre il quinto giorno dalla pronuncia.

5. Copia del provvedimento è immediatamente trasmessa, anche a mezzo telefax, al Ministro della giustizia.

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6. Quando la Corte di cassazione annulla con rinvio, gli atti vengono trasmessi al giudice di rinvio, il quale decide entro venti giorni dalla ricezione.

ART. 23. (Consegna della persona.

Sospensione della consegna).

1. La persona richiesta in consegna deve essere consegnata allo Stato membro di emissione entro dieci giorni dalla sentenza irrevocabile con cui è data esecuzione al mandato d'arresto europeo ovvero dall'ordinanza di cui all'articolo 14, comma 4, nei modi e secondo le intese nel frattempo intercorse tramite il Ministro della giustizia.

2. Quando ricorrono cause di forza maggiore che impediscono la consegna entro il termine previsto nel comma 1, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, sospesa l'esecuzione del provvedimento, ne dà immediata comunicazione al Ministro della giustizia, che informa l'autorità dello Stato membro di emissione.

3. Quando sussistono motivi umanitari o gravi ragioni per ritenere che la consegna metterebbe in pericolo la vita o la salute della persona, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, può con decreto motivato sospendere l'esecuzione del provvedimento di consegna, dando immediata comunicazione al Ministro della giustizia.

4. Nei casi di cui ai commi 2 e 3, venuta meno la ragione della sospensione, il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, dà tempestiva comunicazione al Ministro della giustizia che concorda con l'autorità dello Stato membro di emissione una nuova data di consegna. In tale caso il termine di cui al comma 1 decorre dalla nuova data concordata.

5. Scaduto il termine di dieci giorni di cui ai commi 1 e 4, la custodia cautelare perde efficacia e il presidente della corte di appello, o il magistrato da lui delegato, dispone la liberazione dell'arrestato, sempre che l'ineseguibilità della consegna non sia imputabile a quest'ultimo. In tale caso, i termini sono sospesi sino alla cessazione dell'impedimento.

6. All'atto della consegna, la corte di appello trasmette all'autorità giudiziaria emittente le informazioni occorrenti a consentire la deduzione del periodo di custodia preventivamente sofferto in esecuzione del mandato d'arresto europeo dalla durata complessiva della detenzione conseguente alla eventuale sentenza di condanna ovvero per la determinazione della durata massima della custodia cautelare.

ART. 24. (Rinvio della consegna o consegna temporanea).

1. Con la decisione che dispone l'esecuzione del mandato d'arresto europeo la corte di appello può disporre che la consegna della persona venga rinviata per consentire che la stessa possa essere sottoposta a procedimento penale in Italia ovvero possa scontarvi la pena alla quale sia stata condannata per reato diverso da quello oggetto del mandato d'arresto.

2. Nel caso di cui al comma 1, su richiesta dell'autorità giudiziaria emittente, la corte di appello, sentita l'autorità giudiziaria competente per il procedimento penale in corso o per l'esecuzione della sentenza di condanna, può disporre il trasferimento temporaneo della persona richiesta in consegna alle condizioni concordate.

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ART. 25. (Divieto di consegna o di estradizione successiva).

1. La consegna della persona è subordinata alla condizione che la stessa non venga consegnata ad altro Stato membro in esecuzione di un mandato d'arresto europeo emesso per un reato anteriore alla consegna medesima senza l'assenso della corte di appello che ha disposto l'esecuzione del mandato d'arresto né estradata verso uno Stato terzo senza l'assenso all'estradizione successiva accordato a norma delle convenzioni internazionali in vigore per lo Stato e dell'articolo 711 del codice di procedura penale.

2. Ove richiesta dall'autorità giudiziaria competente dello Stato membro di emissione, la corte di appello accorda il proprio assenso alla consegna della persona ad altro Stato membro quando il reato per cui l'assenso è richiesto dà luogo a consegna a norma della presente legge. Sulla richiesta di assenso, completa degli elementi di cui all'articolo 6, la corte di appello decide, sentito il procuratore generale, entro trenta giorni dal ricevimento.

3. La condizione di cui al comma 1 relativa alla consegna ad un altro Stato membro non è applicabile:

a) quando la persona, pur avendo avuto la possibilità di farlo, non ha lasciato il territorio dello Stato al quale è stata consegnata entro quarantacinque giorni successivi alla sua scarcerazione definitiva ovvero, dopo averlo lasciato, vi ha fatto ritorno; b) quando la persona ha consentito, con dichiarazione resa davanti all'autorità giudiziaria competente dello Stato membro di emissione, e raccolta a verbale, alla consegna ad altro Stato membro; c) quando la persona richiesta in consegna non beneficia del principio di specialità ai sensi dell'articolo 26, comma 2, lettere a), e) ed f), e comma 3.

ART. 26. (Principio di specialità).

1. La consegna è sempre subordinata alla condizione che, per un fatto anteriore alla stessa e diverso da quello per il quale è stata concessa, la persona non venga sottoposta a un procedimento penale, né privata della libertà personale in esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza, né altrimenti assoggettata ad altra misura privativa della libertà personale.

2. La disposizione di cui al comma 1 non si applica quando:

a) il soggetto consegnato, avendone avuta la possibilità, non ha lasciato il territorio dello Stato al quale è stato consegnato decorsi quarantacinque giorni dalla sua definitiva liberazione ovvero, avendolo lasciato, vi ha fatto volontariamente ritorno; b) il reato non è punibile con una pena o con una misura di sicurezza privative della libertà personale; c) il procedimento penale non consente l'applicazione di una misura restrittiva della libertà personale; d) la persona è soggetta a una pena o a una misura che non implica la privazione della libertà, ivi inclusa una misura pecuniaria, anche se può limitare la sua libertà personale; e) il ricercato ha acconsentito alla propria consegna, oltre a rinunciare al principio di specialità con le forme di cui all'articolo 14; f) dopo essere stata consegnata, la persona ha espressamente rinunciato a beneficiare del principio di specialità rispetto a particolari reati anteriori alla sua consegna. Tale rinuncia è raccolta a verbale

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dall'autorità giudiziaria dello Stato membro di emissione, con forme equivalenti a quelle indicate all'articolo 14.

3. Successivamente alla consegna, ove lo Stato membro di emissione richieda di sottoporre la persona a un procedimento penale ovvero di assoggettare la stessa a un provvedimento coercitivo della libertà, provvede la corte di appello che ha dato esecuzione al mandato d'arresto. A tale fine, la corte verifica che la richiesta dello Stato estero contenga le informazioni indicate dall'articolo 8, paragrafo 1, della decisione quadro munite di traduzione e decide entro trenta giorni dalla ricezione della richiesta. L'assenso è rilasciato quando il reato per il quale è richiesto consente la consegna di una persona ai sensi della decisione quadro. La corte rifiuta l'assenso quando ricorre uno dei casi di cui all'articolo 18.

ART. 27. (Transito).

1. Le richieste di transito sul territorio dello Stato di una persona che deve essere consegnata sono ricevute dal Ministro della giustizia.

2. Il Ministro della giustizia può rifiutare la richiesta quando:

a) non ha ricevuto informazioni circa l'identità e la cittadinanza della persona oggetto del mandato d'arresto europeo, l'esistenza di un mandato d'arresto europeo, la natura e la qualificazione giuridica del reato e la descrizione delle circostanze del reato, compresi la data e il luogo di commissione; b) il ricercato è cittadino italiano o residente in Italia e il transito è richiesto ai fini dell'esecuzione di una pena o di una misura di sicurezza privative della libertà personale.

3. Nel caso in cui la richiesta di transito riguardi un cittadino italiano o una persona residente in Italia, il Ministro della giustizia può subordinare il transito alla condizione che la persona, dopo essere stata ascoltata, sia rinviata in Italia per scontarvi la pena o la misura di sicurezza privative della libertà personale eventualmente pronunciate nei suoi confronti nello Stato membro di emissione.

CAPO II PROCEDURA ATTIVA DI CONSEGNA

ART. 28. (Competenza).

1. Il mandato d'arresto europeo è emesso:

a) dal giudice che ha applicato la misura cautelare della custodia in carcere o degli arresti domiciliari; b) dal pubblico ministero presso il giudice indicato all'articolo 665 del codice di procedura penale che ha emesso l'ordine di esecuzione della pena detentiva di cui all'articolo 656 del medesimo codice, sempre che si tratti di pena di durata non inferiore a un anno e che non operi la sospensione dell'esecuzione; c) dal pubblico ministero individuato ai sensi dell'articolo 658 del codice di procedura penale, per quanto attiene alla esecuzione di misure di sicurezza personali detentive.

2. Il mandato d'arresto europeo è trasmesso al Ministro della giustizia che provvede alla traduzione del testo nella lingua dello Stato membro di esecuzione e alla sua trasmissione all'autorità

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competente. Della emissione del mandato è data immediata comunicazione al Servizio per la cooperazione internazionale di polizia.

ART. 29. (Emissione del mandato d'arresto europeo).

1. L'autorità giudiziaria competente ai sensi dell'articolo 28 emette il mandato d'arresto europeo quando risulta che l'imputato o il condannato è residente, domiciliato o dimorante nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea.

2. Quando il luogo della residenza, del domicilio o della dimora non è conosciuto e risulta possibile che la persona si trovi nel territorio di uno Stato membro dell'Unione europea, l'autorità giudiziaria dispone l'inserimento di una specifica segnalazione nel SIS, conformemente alle disposizioni dell'articolo 95 della convenzione del 19 giugno 1990, di applicazione dell'accordo di Schengen del 14 giugno 1985 relativo all'eliminazione graduale dei controlli alle frontiere comuni, resa esecutiva dalla legge 30 settembre 1993, n. 388. Una segnalazione nel SIS equivale a un mandato d'arresto europeo corredato delle informazioni di cui all'articolo 30.

3. Nel caso in cui la persona ricercata benefíci di una immunità o di un privilegio riconosciuti da uno Stato diverso da quello di esecuzione ovvero da un organismo internazionale, l'autorità giudiziaria provvede a inoltrare la richiesta di revoca del privilegio o di esclusione dell'immunità.

ART. 30. (Contenuto del mandato d'arresto europeo nella procedura attiva di consegna).

1. Il mandato d'arresto europeo contiene le informazioni seguenti, nella presentazione stabilita nel modello di cui all'allegato annesso alla decisione quadro:

a) identità e cittadinanza del ricercato; b) nome, indirizzo, numero di telefono e di fax, indirizzo di posta elettronica dell'autorità giudiziaria emittente; c) indicazione dell'esistenza dei provvedimenti indicati dall'articolo 28; d) natura e qualificazione giuridica del reato, tenuto anche conto dell'articolo 2, paragrafo 2, della decisione quadro; e) descrizione del fatto contestato, compresi l'epoca e il luogo di commissione, nonché, in caso di concorso di persone, il grado di partecipazione del ricercato; f) pena inflitta, se vi è sentenza irrevocabile, ovvero, negli altri casi, pena minima e massima stabilita dalla legge; g) per quanto possibile, le altre conseguenze del reato.

ART. 31. (Perdita di efficacia del mandato d'arresto europeo).

1. Il mandato d'arresto europeo perde efficacia quando il provvedimento restrittivo sulla base del quale è stato emesso è stato revocato o annullato ovvero è divenuto inefficace. Il procuratore generale presso la corte di appello ne dà immediata comunicazione al Ministro della giustizia ai fini della conseguente comunicazione allo Stato membro di esecuzione.

ART. 32. (Principio di specialità).

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1. La consegna della persona ricercata è soggetta ai limiti del principio di specialità, con le eccezioni previste, relativamente alla procedura passiva di consegna, dall'articolo 26.

ART. 33. (Computabilità della custodia cautelare all'estero).

1. Il periodo di custodia cautelare sofferto all'estero in esecuzione del mandato d'arresto europeo è computato ai sensi e per gli effetti degli articoli 303, comma 4, 304 e 657 del codice di procedura penale.

CAPO III MISURE REALI

ART. 34. (Richiesta in caso di sequestro o di confisca di beni).

1. Con il mandato d'arresto europeo emesso ai sensi dell'articolo 28 il procuratore generale presso la corte di appello richiede all'autorità giudiziaria dello Stato membro di esecuzione la consegna dei beni oggetto del provvedimento di sequestro o di confisca eventualmente emesso dal giudice competente, trasmettendo, nel contempo, copia dei provvedimenti di sequestro.

ART. 35. (Sequestro e consegna di beni).

1. Su richiesta dell'autorità giudiziaria che ha emesso il mandato d'arresto europeo, o d'ufficio, la corte di appello può disporre il sequestro dei beni necessari ai fini della prova ovvero suscettibili di confisca in quanto costituenti il prodotto, il profitto o il prezzo del reato nella disponibilità del ricercato e nei limiti di cui ai commi seguenti.

2. La richiesta di cui al comma 1 contiene la precisazione se la consegna necessita ai soli fini della prova ovvero ai fini della confisca. Ove tale precisazione non risulti contenuta nella richiesta, il presidente della corte di appello invita l'autorità giudiziaria richiedente a trasmetterla.

3. La corte di appello provvede con decreto motivato, sentito il procuratore generale. Si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli 253, 254, 255, 256, 258, 259 e 260, commi 1 e 2, del codice di procedura penale.

4. La consegna delle cose sequestrate all'autorità giudiziaria richiedente ha luogo secondo le modalità e le intese con la stessa intervenute tramite il Ministro della giustizia.

5. Quando la consegna è richiesta ai fini della prova, la corte di appello dispone che la consegna resta subordinata alla condizione che i beni siano restituiti una volta soddisfatte le esigenze processuali.

6. Quando la consegna è richiesta ai fini della confisca, la corte di appello dispone il sequestro salvaguardando i diritti previsti dal comma 9 e le esigenze dell'autorità giudiziaria italiana di cui all'articolo 36. In ogni caso, concedendo il sequestro, la corte dispone che la consegna resti subordinata alla condizione che successivamente non risultino diritti acquisiti ai sensi del comma 9.

7. I beni sequestrati sono consegnati anche nel caso in cui il mandato d'arresto europeo non può essere eseguito a motivo del decesso o della fuga del ricercato.

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8. Si applicano le disposizioni dell'articolo 719 del codice di procedura penale.

9. Sono sempre fatti salvi gli eventuali diritti acquisiti sui beni di cui al comma 1 dallo Stato italiano o da terzi.

ART. 36. (Concorso di sequestri).

1. Nel caso in cui i beni richiesti di sequestro dall'autorità giudiziaria dello Stato membro costituiscano già oggetto di sequestro disposto dall'autorità giudiziaria italiana nell'ambito di un procedimento penale in corso e di essi sia prevista dalla legge italiana la confisca, la consegna può essere disposta ai soli fini delle esigenze probatorie e previo nulla osta dell'autorità giudiziaria italiana procedente con il limite di cui all'articolo 35, comma 9.

2. Alle stesse condizioni di cui al comma 1 è subordinata la consegna quando si tratta di beni già oggetto di sequestro disposto nell'ambito di un procedimento civile a norma degli articoli 670 e 671 del codice di procedura civile.

CAPO IV SPESE

ART. 37. (Spese).

1. Sono a carico dello Stato italiano le spese sostenute nel territorio nazionale per l'esecuzione di un mandato d'arresto europeo o delle misure reali adottate. Tutte le altre spese sono a carico dello Stato membro la cui autorità giudiziaria ha emesso il mandato d'arresto o richiesto la misura reale.

2. Dall'attuazione del presente articolo non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico del bilancio dello Stato.

TITOLO III DISPOSIZIONI FINALI E TRANSITORIE

ART. 38. (Obblighi internazionali).

1. La presente legge non pregiudica gli obblighi internazionali dello Stato italiano qualora la persona ricercata sia stata estradata da uno Stato terzo e sia tutelata dalle norme relative al principio di specialità contenute nell'accordo in base al quale ha avuto luogo l'estradizione. In tale caso il Ministro della giustizia richiede tempestivamente l'assenso allo Stato dal quale la persona ricercata è stata estradata ai fini della consegna allo Stato membro.

2. Nel caso previsto dal comma 1, secondo periodo, i termini di cui al capo I del titolo II decorrono dal giorno in cui il principio di specialità cessa di operare.

ART. 39. (Norme applicabili).

1. Per quanto non previsto dalla presente legge si applicano le disposizioni del codice di procedura penale e delle leggi complementari, in quanto compatibili.

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2. Non si applicano le disposizioni previste dalla legge 7 ottobre 1969, n. 742, e successive modificazioni, relativa alla sospensione dei termini processuali nel periodo feriale.

ART. 40. (Disposizioni transitorie).

1. Le disposizioni della presente legge si applicano alle richieste di esecuzione di mandati d'arresto europei emessi e ricevuti dopo la data della sua entrata in vigore.

2. Alle richieste di esecuzione relative a reati commessi prima del 7 agosto 2002, salvo per quanto previsto dal comma 3, restano applicabili le disposizioni vigenti anteriormente alla data di entrata in vigore della presente legge in materia di estradizione.

3. Le disposizioni di cui all'articolo 8 si applicano unicamente ai fatti commessi dopo la data di entrata in vigore della presente legge.

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Appendice 6

Syllabus

NOTE: Where it is feasible, a syllabus (headnote) will be released, as is being done in connection with this case, at the time the opinion is issued. The syllabus constitutes no part of the opinion of the Court but has been prepared by the Reporter of Decisions for the convenience of the reader. See United States v. Detroit Timber & Lumber Co., 200 U.S. 321, 337.

SUPREME COURT OF THE UNITED STATES

RASUL et al. v. BUSH, PRESIDENT OF THE UNITED STATES, et al.

CERTIORARI TO THE UNITED STATES COURT OF APPEALS FOR THE DISTRICT OF COLUMIBA CIRCUIT

No. 03—334. Argued April 20, 2004–Decided June 28, 2004

Pursuant to Congress’ joint resolution authorizing the use of necessary and appropriate force against nations, organizations, or persons that planned, authorized, committed, or aided in the September 11, 2001, al Qaeda terrorist attacks, the President sent Armed Forces into Afghanistan to wage a military campaign against al Qaeda and the Taliban regime that had supported it. Petitioners, 2 Australians and 12 Kuwaitis captured abroad during the hostilities, are being held in military custody at the Guantanamo Bay, Cuba, Naval Base, which the United States occupies under a lease and treaty recognizing Cuba’s ultimate sovereignty, but giving this country complete jurisdiction and control for so long as it does not abandon the leased areas. Petitioners filed suits under federal law challenging the legality of their detention, alleging that they had never been combatants against the United States or engaged in terrorist acts, and that they have never been charged with wrongdoing, permitted to consult counsel, or provided access to courts or other tribunals. The District Court construed the suits as habeas petitions and dismissed them for want of jurisdiction, holding that, under Johnson v. Eisentrager, 339 U.S. 763, aliens detained outside United States sovereign territory may not invoke habeas relief. The Court of Appeals affirmed.

Held: United States courts have jurisdiction to consider challenges to the legality of the detention of foreign nationals captured abroad in connection with hostilities and incarcerated at Guantanamo Bay. Pp. 4—17.

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(a) The District Court has jurisdiction to hear petitioners’ habeas challenges under 28 U.S. C. §2241, which authorizes district courts, “within their respective jurisdictions,” to entertain habeas applications by persons claiming to be held “in custody in violation of the … laws … of the United States,” §§2241(a), (c)(3). Such jurisdiction extends to aliens held in a territory over which the United States exercises plenary and exclusive jurisdiction, but not “ultimate sovereignty.” Pp. 4—16.

(1) The Court rejects respondents’ primary submission that these cases are controlled by Eisentrager’s holding that a District Court lacked authority to grant habeas relief to German citizens captured by U.S. forces in China, tried and convicted of war crimes by an American military commission headquartered in Nanking, and incarcerated in occupied Germany. Reversing a Court of Appeals judgment finding jurisdiction, the Eisentrager Court found six critical facts: The German prisoners were (a) enemy aliens who (b) had never been or resided in the United States, (c) were captured outside U.S. territory and there held in military custody, (d) were there tried and convicted by the military (e) for offenses committed there, and (f) were imprisoned there at all times. 339 U.S., at 777. Petitioners here differ from the Eisentrager detainees in important respects: They are not nationals of countries at war with the United States, and they deny that they have engaged in or plotted acts of aggression against this country; they have never been afforded access to any tribunal, much less charged with and convicted of wrongdoing; and for more than two years they have been imprisoned in territory over which the United States exercises exclusive jurisdiction and control. The Eisentrager Court also made clear that all six of the noted critical facts were relevant only to the question of the prisoners’ constitutional entitlement to habeas review. Ibid. The Court’s only statement on their statutory entitlement was a passing reference to its absence. Id., at 768. This cursory treatment is explained by the Court’s then-recent decision in Ahrens v. Clark, 335 U.S. 188, in which it held that the District Court for the District of Columbia lacked jurisdiction to entertain the habeas claims of aliens detained at Ellis Island because the habeas statute’s phrase “within their respective jurisdictions” required the petitioners’ presence within the court’s territorial jurisdiction, id., at 192. However, the Court later held, in Braden v. 30th Judicial Circuit Court of Ky., 410 U.S. 484, 494—495, that such presence is not “an invariable prerequisite” to the exercise of §2241 jurisdiction because habeas acts upon the person holding the prisoner, not the prisoner himself, so that the court acts “within [its] respective jurisdiction” if the custodian can be reached by service of process. Because Braden overruled the statutory predicate to Eisentrager’s holding, Eisentrager does not preclude the exercise of §2241 jurisdiction over petitioners’ claims. Pp. 6—11.

(2) Also rejected is respondents’ contention that §2241 is limited by the principle that legislation is presumed not to have extraterritorial application unless Congress clearly manifests such an intent, EEOC v. Arabian American Oil Co., 499 U.S. 244, 248. That presumption has no application to the operation of the habeas statute with respect to persons detained within “the [United States’] territorial jurisdiction.” Foley Bros., Inc. v. Filardo, 336 U.S. 281, 285. By the express terms of its agreements with Cuba, the United States exercises complete jurisdiction and control over the Guantanamo Base, and may

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continue to do so permanently if it chooses. Respondents concede that the habeas statute would create federal-court jurisdiction over the claims of an American citizen held at the base. Considering that §2241 draws no distinction between Americans and aliens held in federal custody, there is little reason to think that Congress intended the statute’s geographical coverage to vary depending on the detainee’s citizenship. Aliens held at the base, like American citizens, are entitled to invoke the federal courts’ §2241 authority. Pp. 12—15.

(3) Petiti oners contend that they are being held in federal custody in violation of United States laws, and the District Court’s jurisdiction over petitioners’ custodians is unquestioned, cf. Braden, 410 U.S., at 495. Section 2241 requires nothing more and therefore confers jurisdiction on the District Court. Pp. 15—16.

(b) The District Court also has jurisdiction to hear the Al Odah petitioners’ complaint invoking 28 U.S. C. §1331, the federal question statute, and §1350, the Alien Tort Statute. The Court of Appeals, again relying on Eisentrager, held that the District Court correctly dismissed these claims for want of jurisdiction because the petitioners lacked the privilege of litigation in U.S. courts. Nothing in Eisentrager or any other of the Court’s cases categorically excludes aliens detained in military custody outside the United States from that privilege. United States courts have traditionally been open to nonresident aliens. Cf. Disconto Gesellschaft v. Umbreit, 208 U.S. 570, 578. And indeed, §1350 explicitly confers the privilege of suing for an actionable “tort … committed in violation of the law of nations or a treaty of the United States” on aliens alone. The fact that petitioners are being held in military custody is immaterial. Pp. 16—17.

(c) Whether and what further proceedings may become necessary after respondents respond to the merits of petitioners’ claims are not here addressed. P. 17.

321 F.3d 1134, reversed and remanded.

Stevens, J., delivered the opinion of the Court, in which O’Connor, Souter, Ginsburg, and Breyer, JJ., joined. Kennedy, J., filed an opinion concurring in the judgment. Scalia, J., filed a dissenting opinion, in which Rehnquist, C. J., and Thomas, J., joined.

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Appendice 7

Syllabus

NOTE: Where it is feasible, a syllabus (headnote) will be released, as is being done in connection with this case, at the time the opinion is issued. The syllabus constitutes no part of the opinion of the Court but has been prepared by the Reporter of Decisions for the convenience of the reader. See United States v. Detroit Timber & Lumber Co., 200 U.S. 321, 337.

SUPREME COURT OF THE UNITED STATES

HAMDI et al. v. RUMSFELD, SECRETARY OF DEFENSE, et al.

CERTIORARI TO THE UNITED STATES COURT OF APPEALS FOR THE FOURTH CIRCUIT

No. 03—6696. Argued April 28, 2004–Decided June 28, 2004

After Congress passed a resolution–the Authorization for Use of Military Force (AUMF)–empowering the President to “use all necessary and appropriate force” against “nations, organizations, or persons” that he determines “planned, authorized, committed, or aided” in the September 11, 2001, al Qaeda terrorist attacks, the President ordered the Armed Forces to Afghanistan to subdue al Qaeda and quell the supporting Taliban regime. Petitioner Hamdi, an American citizen whom the Government has classified as an “enemy combatant” for allegedly taking up arms with the Taliban during the conflict, was captured in Afghanistan and presently is detained at a naval brig in Charleston, S. C. Hamdi’s father filed this habeas petition on his behalf under 28 U.S.C. § 2241 alleging, among other things, that the Government holds his son in violation of the Fifth and Fourteenth Amendments. Although the petition did not elaborate on the factual circumstances of Hamdi’s capture and detention, his father has asserted in other documents in the record that Hamdi went to Afghanistan to do “relief work” less than two months before September 11 and could not have received military training. The Government attached to its response to the petition a declaration from Michael Mobbs (Mobbs Declaration), a Defense Department official. The Mobbs Declaration alleges various details regarding Hamdi’s trip to Afghanistan, his affiliation there with a Taliban unit during a time when the Taliban was battling U. S allies, and his subsequent surrender of an assault rifle. The District Court found that the Mobbs Declaration, standing alone, did not support Hamdi’s detention and ordered the Government to turn over numerous materials for in camera review. The Fourth Circuit reversed, stressing that, because it was undisputed that Hamdi was captured in an active combat zone,

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no factual inquiry or evidentiary hearing allowing Hamdi to be heard or to rebut the Government’s assertions was necessary or proper. Concluding that the factual averments in the Mobbs Declaration, if accurate, provided a sufficient basis upon which to conclude that the President had constitutionally detained Hamdi, the court ordered the habeas petition dismissed. The appeals court held that, assuming that express congressional authorization of the detention was required by 18 U.S.C. § 4001(a)–which provides that “[n]o citizen shall be imprisoned or otherwise detained by the United States except pursuant to an Act of Congress”– the AUMF’s “necessary and appropriate force” language provided the authorization for Hamdi’s detention. It also concluded that Hamdi is entitled only to a limited judicial inquiry into his detention’s legality under the war powers of the political branches, and not to a searching review of the factual determinations underlying his seizure.

Held: The judgment is vacated, and the case is remanded.

Justice O’Connor, joined by The Chief Justice, Justice Kennedy, and Justice Breyer, concluded that although Congress authorized the detention of combatants in the narrow circumstances alleged in this case, due process demands that a citizen held in the United States as an enemy combatant be given a meaningful opportunity to contest the factual basis for that detention before a neutral decisionmaker. Pp. 14—15.

Justice Souter, joined by Justice Ginsburg, concluded that Hamdi’s detention is unauthorized, but joined with the plurality to conclude that on remand Hamdi should have a meaningful opportunity to offer evidence that he is not an enemy combatant. Pp. 2—3, 15.

O’Connor, J., announced the judgment of the Court and delivered an opinion, in which Rehnquist, C. J., and Kennedy and Breyer, JJ., joined. Souter, J., filed an opinion concurring in part, dissenting in part, and concurring in the judgment, in which Ginsburg, J., joined. Scalia, J., filed a dissenting opinion, in which Stevens, J., joined. Thomas, J., filed a dissenting opinion.

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Appendice 8

Syllabus

NOTE: Where it is feasible, a syllabus (headnote) will be released, as is being done in connection with this case, at the time the opinion is issued. The syllabus constitutes no part of the opinion of the Court but has been prepared by the Reporter of Decisions for the convenience of the reader. See United States v. Detroit Timber & Lumber Co., 200 U.S. 321, 337.

SUPREME COURT OF THE UNITED STATES

RUMSFELD, SECRETARY OF DEFENSE v. PADILLA et al.

CERTIORARI TO THE UNITED STATES COURT OF APPEALS FOR THE SECOND CIRCUIT

No. 03—1027. Argued April 28, 2004–Decided June 28, 2004

Respondent Padilla, a United States citizen, was brought to New York for detention in federal criminal custody after federal agents apprehended him while executing a material witness warrant issued by the District Court for the Southern District of New York (Southern District) in connection with its grand jury investigation into the September 11, 2001, al Qaeda terrorist attacks. While his motion to vacate the warrant was pending, the President issued an order to Secretary of Defense Rumsfeld designating Padilla an “enemy combatant” and directing that he be detained in military custody. Padilla was later moved to a Navy brig in Charleston, S. C., where he has been held ever since. His counsel then filed in the Southern District a habeas petition under 28 U.S.C. § 2241 which, as amended, alleged that Padilla’s military detention violates the Constitution, and named as respondents the President, the Secretary, and Melanie Marr, the brig’s commander. The Government moved to dismiss, arguing, inter alia, that Commander Marr, as Padilla’s immediate custodian, was the only proper respondent, and that the District Court lacked jurisdiction over her because she is located outside the Southern District. That court held that the Secretary’s personal involvement in Padilla’s military custody rendered him a proper respondent, and that it could assert jurisdiction over the Secretary under New York’s long-arm statute, notwithstanding his absence from the District. On the merits, the court accepted the Government’s contention that the President has authority as Commander in Chief to detain as enemy combatants citizens captured on American soil during a time of war. The Second Circuit agreed that the Secretary was a proper respondent and that the Southern District had jurisdiction over the Secretary under New York’s long-arm statute. The appeals

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court reversed on the merits, however, holding that the President lacks authority to detain Padilla militarily.

Held:

1. Because this Court answers the jurisdictional question in the negative, it does not reach the question whether the President has authority to detain Padilla militarily. P. 1.

2. The Southern District lacks jurisdiction over Padilla’s habeas petition. Pp. 5—23.

(a) Comman der Marr is the only proper respondent to Padilla’s petition because she, not Secretary Rumsfeld, is Padilla’s custodian. The federal habeas statute straightforwardly provides that the proper respondent is “the person” having custody over the petitioner. §§2242, §2243. Its consistent use of the definite article indicates that there is generally only one proper respondent, and the custodian is “the person” with the ability to produce the prisoner’s body before the habeas court, see Wales v. Whitney, 114 U.S. 564, 574. In accord with the statutory language and Wales’ immediate custodian rule, longstanding federal-court practice confirms that, in “core” habeas challenges to present physical confinement, the default rule is that the proper respondent is the warden of the facility where the prisoner is being held, not the Attorney General or some other remote supervisory official. No exceptions to this rule, either recognized or proposed, apply here. Padilla does not deny the immediate custodian rule’s general applicability, but argues that the rule is flexible and should not apply on the unique facts of this case. The Court disagrees. That the Court’s understanding of custody has broadened over the years to include restraints short of physical confinement does nothing to undermine the rationale or statutory foundation of the Wales rule where, in core proceedings such as the present, physical custody is at issue. Indeed, that rule has consistently been applied in this core context. The Second Circuit erred in taking the view that this Court has relaxed the immediate custodian rule with respect to prisoners detained for other than federal criminal violations, and in holding that the proper respondent is the person exercising the “legal reality of control” over the petitioner. The statute itself makes no such distinction, nor does the Court’s case law support a deviation from the immediate custodian rule here. Rather, the cases Padilla cites stand for the simple proposition that the immediate physical custodian rule, by its terms, does not apply when a habeas petitioner challenges something other than his present physical confinement. See, e.g., Braden v. 30th Judicial Circuit Court of Ky., 410 U.S. 484; Strait v. Laird, 406 U.S. 341. That is not the case here: Marr exercises day-to-day control over Padilla’s physical custody. The petitioner cannot name someone else just because Padilla’s physical confinement stems from a military order by the President. Identification of the party exercising legal control over the detainee only comes into play when there is no immediate physical custodian. Ex parte Endo, 323 U.S. 283, 304—305, distinguished. Although Padilla’s detention is unique in many respects, it is at bottom a simple challenge to physical custody imposed by the Executive. His detention is thus not unique in any way that would provide arguable basis for a departure from the immediate custodian rule. Pp. 5—13.

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(b) The Southern District does not have jurisdiction over Commander Marr. Section §2241(a)’s language limiting district courts to granting habeas relief “within their respective jurisdictions” requires “that the court issuing the writ have jurisdiction over the custodian,” Braden, supra, at 495. Because Congress added the “respective jurisdictions” clause to prevent judges anywhere from issuing the Great Writ on behalf of applicants far distantly removed, Carbo v. United States, 364 U.S. 611, 617, the traditional rule has always been that habeas relief is issuable only in the district of confinement, id., at 618. This commonsense reading is supported by other portions of the habeas statute, e.g., §2242, and by Federal Rule of Appellate Procedure 22(a). Congress has also legislated against the background of the “district of confinement” rule by fashioning explicit exceptions: E.g., when a petitioner is serving a state criminal sentence in a State containing more than one federal district, “the district . . . wherein [he] is in custody” and “the district . . . within which the State court was held which convicted and sentenced him” have “concurrent jurisdiction,” §2241(d). Such exceptions would have been unnecessary if, as the Second Circuit believed, §2241 permits a prisoner to file outside the district of confinement. Despite this ample statutory and historical pedigree, Padilla urges that, under Braden and Strait, jurisdiction lies in any district in which the respondent is amenable to service of process. The Court disagrees, distinguishing those two cases. Padilla seeks to challenge his present physical custody in South Carolina. Because the immediate-custodian rule applies, the proper respondent is Commander Marr, who is present in South Carolina. There is thus no occasion to designate a “nominal” custodian and determine whether he or she is “present” in the same district as petitioner. The habeas statute’s “respective jurisdictions” proviso forms an important corollary to the immediate custodian rule in challenges to present physical custody under §2241. Together they compose a simple rule that has been consistently applied in the lower courts, including in the context of military detentions: Whenever a §2241 habeas petitioner seeks to challenge his present physical custody within the United States, he should name his warden as respondent and file the petition in the district of confinement. This rule serves the important purpose of preventing forum shopping by habeas petitioners. The District of South Carolina, not the Southern District of New York, was where Padilla should have brought his habeas petition. Pp. 13—19.

(c) The Court rejects additional arguments made by the dissent in support of the mistaken view that exceptions exist to the immediate custodian and district of confinement rules whenever exceptional, special, or unusual cases arise. Pp. 19—23.

352 F.3d 695, reversed and remanded.

Rehnquist, C. J., delivered the opinion of the Court, in which O’Connor, Scalia, Kennedy, and Thomas, JJ., joined. Kennedy, J., filed a concurring opinion, in which O’Connor, J., joined. Stevens, J., filed a dissenting opinion, in which Souter, Ginsburg, and Breyer, JJ., joined.

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Appendice 9

Syllabus

Where it is feasible, a syllabus (headnote) will NOTE: be released, as is being done in connection with this case, at the time the opinion is issued.The syllabus constitutes no part of the opinion of the Court but has been prepared by the Reporter of Decisions for the convenience of the reader.See United States v. Detroit Timber & Lumber Co., 200 U. S. 321 .

SUPREME COURT OF THE UNITED STATES

HAMDAN v. RUMSFELD, SECRETARY OF DEFENSE, et al.

CERTIORARI TO THE UNITED STATES COURT OF APPEALS FOR THE DISTRICT OF COLUMBIA CIRCUIT

Argued March 28, 2006—Decided June 29, No. 05–184. 2006

Pursuant to Congress’ Joint Resolution authorizing the President to “use all necessary and appropriate force against those nations, organizations, or persons he determines planned, authorized, committed or aided” the September 11, 2001, al Qaeda terrorist attacks (AUMF), U. S. Armed Forces invaded Afghanistan. During the hostilities, in 2001, militia forces captured petitioner Hamdan, a Yemeni national, and turned him over to the U. S. military, which, in 2002, transported him to prison in Guantanamo Bay, Cuba. Over a year later, the President deemed Hamdan eligible for trial by military commission for then-unspecified crimes. After another year, he was charged with conspiracy “to commit … offenses triable by military commission.” In habeas and mandamus petitions, Hamdan asserted that the military commission lacks authority to try him because (1) neither congressional Act nor the common law of war supports trial by this commission for conspiracy, an offense that, Hamdan says, is not a violation of the law of war; and (2) the procedures adopted to try him violate basic tenets of military and international law, including the principle that a defendant must be permitted to see and hear the evidence against him.

The District Court granted habeas relief and stayed the commission’s proceedings, concluding that the President’s authority to establish military commissions extends only to offenders or offenses triable by such a commission under the law of war; that such law includes the Third Geneva Convention; that Hamdan is entitled to that Convention’s full protections until adjudged, under it, not to be a prisoner of war; and that, whether or not Hamdan is properly classified a prisoner of war, the commission convened to try him was established in violation of both the Uniform Code of Military Justice (UCMJ), 10 U. S. C. §801

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et seq., and Common Article 3 of the Third Geneva Convention because it had the power to convict based on evidence the accused would never see or hear. The D. C. Circuit reversed. Although it declined the Government’s invitation to abstain from considering Hamdan’s challenge, cf. Schlesinger v. Councilman, 420 U. S. 738 , the appeals court ruled, on the merits, that Hamdan was not entitled to relief because the Geneva Conventions are not judicially enforceable. The court also concluded that Ex parte Quirin, 317 U. S. 1 , foreclosed any separation-of-powers objection to the military commission’s jurisdiction, and that Hamdan’s trial before the commission would violate neither the UCMJ nor Armed Forces regulations implementing the Geneva Conventions.

Held: The judgment is reversed, and the case is remanded.

415 F. 3d 33, reversed and remanded.

JUSTICE STEVENS delivered the opinion of the Court, except as to Parts V and VI–D–iv, concluding:

1. The Government’s motion to dismiss, based on the Detainee Treatment Act of 2005 (DTA), is denied. DTA §1005(e)(1) provides that “no court … shall have jurisdiction to hear or consider … an application for … habeas corpus filed by … an alien detained … at Guantanamo Bay.” Section 1005(h)(2) provides that §§1005(e)(2) and (3)—which give the D. C. Circuit “exclusive” jurisdiction to review the final decisions of, respectively, combatant status review tribunals and military commissions—“shall apply with respect to any claim whose review is … pending on” the DTA’s effective date, as was Hamdan’s case. The Government’s argument that §§1005(e)(1) and (h) repeal this Court’s jurisdiction to review the decision below is rebutted by ordinary principles of statutory construction. A negative inference may be drawn from Congress’ failure to include §1005(e)(1) within the scope of §1005(h)(2). Cf., e.g., Lindh v. Murphy, 521 U. S. 320 . “If … Congress was reasonably concerned to ensure that [§§1005(e)(2) and (3)] be applied to pending cases, it should have been just as concerned about [§1005(e)(1)], unless it had the different intent that the latter [section] not be applied to the general run of pending cases.” Id., at 329. If anything, the evidence of deliberate omission is stronger here than it was in Lindh. The legislative history shows that Congress not only considered the respective temporal reaches of §§1005(e)(1), (2), and (3) together at every stage, but omitted paragraph (1) from its directive only after having rejected earlier proposed versions of the statute that would have included what is now paragraph (1) within that directive’s scope. Congress’ rejection of the very language that would have achieved the result the Government urges weighs heavily against the Government’s interpretation. See Doe v. Chao, 540 U. S. 614 . Pp. 7–20.

2. The Government argues unpersuasively that abstention is appropriate under Councilman, which concluded that, as a matter of comity, federal courts should normally abstain from intervening in pending courts-martial against service members, see 420 U. S., at 740. Neither of the comity considerations Councilman identified weighs in favor of abstention here. First, the assertion that military discipline and, therefore, the Armed Forces’ efficient operation, are best served if the military justice system acts without regular interference from civilian courts, see id., at 752, is inapt because Hamdan is not a service member.

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Second, the view that federal courts should respect the balance Congress struck when it created “an integrated system of military courts and review procedures” is inapposite, since the tribunal convened to try Hamdan is not part of that integrated system. Rather than Councilman, the most relevant precedent is Ex parte Quirin, where the Court, far from abstaining pending the conclusion of ongoing military proceedings, expedited its review because of (1) the public importance of the questions raised, (2) the Court’s duty, in both peace and war, to preserve the constitutional safeguards of civil liberty, and (3) the public interest in a decision on those questions without delay, 317 U. S, at 19. The Government has identified no countervailing interest that would permit federal courts to depart from their general duty to exercise the jurisdiction Congress has conferred on them. Pp. 20–25.

3. The military commission at issue is not expressly authorized by any congressional Act. Quirin held that Congress had, through Article of War 15, sanctioned the use of military commissions to try offenders or offenses against the law of war. 317 U. S., at 28. UCMJ Art. 21, which is substantially identical to the old Art. 15, reads: “The jurisdiction [of] courts-martial shall not be construed as depriving military commissions … of concurrent jurisdiction in respect of offenders or offenses that by statute or by the law of war may be tried by such … commissions.” 10 U. S. C. §821. Contrary to the Government’s assertion, even Quirin did not view that authorization as a sweeping mandate for the President to invoke military commissions whenever he deems them necessary. Rather, Quirin recognized that Congress had simply preserved what power, under the Constitution and the common law of war, the President already had to convene military commissions—with the express condition that he and those under his command comply with the law of war. See 317 U. S., at 28–29. Neither the AUMF nor the DTA can be read to provide specific, overriding authorization for the commission convened to try Hamdan. Assuming the AUMF activated the President’s war powers, see Hamdi v. Rumsfeld, 542 U. S. 507 , and that those powers include authority to convene military commissions in appropriate circumstances, see, e.g., id., at 518, there is nothing in the AUMF’s text or legislative history even hinting that Congress intended to expand or alter the authorization set forth in UCMJ Art. 21. Cf. Ex parte Yerger, 8 Wall. 85, 105. Likewise, the DTA cannot be read to authorize this commission. Although the DTA, unlike either Art. 21 or the AUMF, was enacted after the President convened Hamdan’s commission, it contains no language authorizing that tribunal or any other at Guantanamo Bay. Together, the UCMJ, the AUMF, and the DTA at most acknowledge a general Presidential authority to convene military commissions in circumstances where justified under the Constitution and laws, including the law of war. Absent a more specific congressional authorization, this Court’s task is, as it was in Quirin, to decide whether Hamdan’s military commission is so justified. Pp. 25–30.

4. The military commission at issue lacks the power to proceed because its structure and procedures violate both the UCMJ and the four Geneva Conventions signed in 1949. Pp. 49–72.

(a) The commission’s procedures, set forth in Commission Order No. 1, provide, among other things, that an accused and his civilian counsel may be excluded from, and precluded from ever learning what evidence was presented

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during, any part of the proceeding the official who appointed the commission or the presiding officer decides to “close.” Grounds for closure include the protection of classified information, the physical safety of participants and witnesses, the protection of intelligence and law enforcement sources, methods, or activities, and “other national security interests.” Appointed military defense counsel must be privy to these closed sessions, but may, at the presiding officer’s discretion, be forbidden to reveal to the client what took place therein. Another striking feature is that the rules governing Hamdan’s commission permit the admission of any evidence that, in the presiding officer’s opinion, would have probative value to a reasonable person. Moreover, the accused and his civilian counsel may be denied access to classified and other “protected information,” so long as the presiding officer concludes that the evidence is “probative” and that its admission without the accused’s knowledge would not result in the denial of a full and fair trial. Pp. 49–52.

(b) The Government objects to this Court’s consideration of a procedural challenge at this stage on the grounds, inter alia, that Hamdan will be able to raise such a challenge following a final decision under the DTA, and that there is no basis to presume, before the trial has even commenced, that it will not be conducted in good faith and according to law. These contentions are unsound. First, because Hamdan apparently is not subject to the death penalty (at least as matters now stand) and may receive a prison sentence shorter than 10 years, he has no automatic right to federal-court review of the commission’s “final decision” under DTA §1005(e)(3). Second, there is a basis to presume that the procedures employed during Hamdan’s trial will violate the law: He will be, and indeed already has been, excluded from his own trial. Thus, review of the procedures in advance of a “final decision” is appropriate. Pp. 52–53.

(c) Because UCMJ Article 36 has not been complied with here, the rules specified for Hamdan’s commission trial are illegal. The procedures governing such trials historically have been the same as those governing courts-martial. Although this uniformity principle is not inflexible and does not preclude all departures from courts-martial procedures, any such departure must be tailored to the exigency that necessitates it. That understanding is reflected in Art. 36(b), which provides that the procedural rules the President promulgates for courts-martial and military commissions alike must be “uniform insofar as practicable,” 10 U. S. C. §836(b). The “practicability” determination the President has made is insufficient to justify variances from the procedures governing courts-martial. The President here has determined, pursuant to the requirement of Art. 36(a), that it is impracticable to apply the rules and principles of law that govern “the trial of criminal cases in the United States district courts” to Hamdan’s commission. The President has not, however, made a similar official determination that it is impracticable to apply the rules for courts-martial. And even if subsection (b)’s requirements could be satisfied without an official practicability determination, that subsection’s requirements are not satisfied here. Nothing in the record demonstrates that it would be impracticable to apply court-martial rules here. There is no suggestion, e.g., of any logistical difficulty in securing properly sworn and authenticated evidence or in applying the usual principles of relevance and admissibility. It is not evident why the danger posed by international terrorism, considerable though it is, should require, in the case of Hamdan’s trial, any variance from the courts-

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martial rules. The absence of any showing of impracticability is particularly disturbing when considered in light of the clear and admitted failure to apply one of the most fundamental protections afforded not just by the Manual for Courts-Martial but also by the UCMJ itself: The right to be present. See 10 U. S. C. A. §839(c). Because the jettisoning of so basic a right cannot lightly be excused as “practicable,” the courts-martial rules must apply. Since it is undisputed that Commission Order No. 1 deviates in many significant respects from those rules, it necessarily violates Art. 36(b). Pp. 53–62.

(d) The procedures adopted to try Hamdan also violate the Geneva Conventions. The D. C. Circuit dismissed Hamdan’s challenge in this regard on the grounds, inter alia, that the Conventions are not judicially enforceable and that, in any event, Hamdan is not entitled to their protections. Neither of these grounds is persuasive. Pp. 62–68.

(i) The appeals court relied on a statement in Johnson v. Eisentrager, 339 U. S. 763 , n. 14, suggesting that this Court lacked power even to consider the merits of a Convention argument because the political and military authorities had sole responsibility for observing and enforcing prisoners’ rights under the Convention. However, Eisentrager does not control here because, regardless of the nature of the rights conferred on Hamdan, cf. United States v. Rauscher, 119 U. S. 407 , they are indisputably part of the law of war, see Hamdi, 542 U. S., at 520–521, compliance with which is the condition upon which UCMJ Art. 21 authority is granted. Pp. 63–65.

(ii) Alternatively, the appeals court agreed with the Government that the Conventions do not apply because Hamdan was captured during the war with al Qaeda, which is not a Convention signatory, and that conflict is distinct from the war with signatory Afghanistan. The Court need not decide the merits of this argument because there is at least one provision of the Geneva Conventions that applies here even if the relevant conflict is not between signatories. Common Article 3, which appears in all four Conventions, provides that, in a “conflict not of an international character occurring in the territory of one of the High Contracting Parties [i.e., signatories], each Party to the conflict shall be bound to apply, as a minimum,” certain provisions protecting “[p]ersons … placed hors de combat by … detention,” including a prohibition on “the passing of sentences … without previous judgment … by a regularly constituted court affording all the judicial guarantees … recognized as indispensable by civilized peoples.” The D. C. Circuit ruled Common Article 3 inapplicable to Hamdan because the conflict with al Qaeda is international in scope and thus not a “conflict not of an international character. ” That reasoning is erroneous. That the quoted phrase bears its literal meaning and is used here in contradistinction to a conflict between nations is demonstrated by Common Article 2, which limits its own application to any armed conflict between signatories and provides that signatories must abide by all terms of the Conventions even if another party to the conflict is a nonsignatory, so long as the nonsignatory “accepts and applies” those terms. Common Article 3, by contrast, affords some minimal protection, falling short of full protection under the Conventions, to individuals associated with neither a signatory nor even a nonsignatory who are involved in a conflict “in the territory of” a signatory. The latter kind of conflict does not involve a clash between nations (whether signatories or not). Pp. 65–68.

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(iii) While Common Article 3 does not define its “regularly constituted court” phrase, other sources define the words to mean an “ordinary military cour[t]” that is “established and organized in accordance with the laws and procedures already in force in a country.” The regular military courts in our system are the courts-martial established by congressional statute. At a minimum, a military commission can be “regularly constituted” only if some practical need explains deviations from court-martial practice. No such need has been demonstrated here. Pp. 69–70.

(iv) Common Article 3’s requirements are general, crafted to accommodate a wide variety of legal systems, but they are requirements nonetheless. The commission convened to try Hamdan does not meet those requirements. P. 72.

(d) Even assuming that Hamden is a dangerous individual who would cause great harm or death to innocent civilians given the opportunity, the Executive nevertheless must comply with the prevailing rule of law in undertaking to try him and subject him to criminal punishment. P. 72.

JUSTICE STEVENS, joined by JUSTICE SOUTER, JUSTICE GINSBURG, and JUSTICE BREYER, concluded in Parts V and VI–D–iv:

1. The Government has not charged Hamdan with an “offense … that by the law of war may be tried by military commission,” 10 U. S. C. §821. Of the three sorts of military commissions used historically, the law-of-war type used in Quirin and other cases is the only model available to try Hamdan. Among the preconditions, incorporated in Article of War 15 and, later, UCMJ Art. 21, for such a tribunal’s exercise of jurisdiction are, inter alia, that it must be limited to trying offenses committed within the convening commander’s field of command, i.e., within the theater of war, and that the offense charged must have been committed during, not before or after, the war. Here, Hamdan is not alleged to have committed any overt act in a theater of war or on any specified date after September 11, 2001. More importantly, the offense alleged is not triable by law-of-war military commission. Although the common law of war may render triable by military commission certain offenses not defined by statute, Quirin, 317 U. S., at 30, the precedent for doing so with respect to a particular offense must be plain and unambiguous, cf., e.g., Loving v. United States, 517 U. S. 748 . That burden is far from satisfied here. The crime of “conspiracy” has rarely if ever been tried as such in this country by any law-of-war military commission not exercising some other form of jurisdiction, and does not appear in either the Geneva Conventions or the Hague Conventions—the major treaties on the law of war. Moreover, that conspiracy is not a recognized violation of the law of war is confirmed by other international sources, including, e.g., the International Military Tribunal at Nuremberg, which pointedly refused to recognize conspiracy to commit war crimes as such a violation. Because the conspiracy charge does not support the commission’s jurisdiction, the commission lacks authority to try Hamdan. Pp. 30–49.

2. The phrase “all the guarantees … recognized as indispensable by civilized peoples” in Common Article 3 of the Geneva Conventions is not defined, but it must be understood to incorporate at least the barest of the trial protections

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recognized by customary international law. The procedures adopted to try Hamdan deviate from those governing courts-martial in ways not justified by practical need, and thus fail to afford the requisite guarantees. Moreover, various provisions of Commission Order No. 1 dispense with the principles, which are indisputably part of customary international law, that an accused must, absent disruptive conduct or consent, be present for his trial and must be privy to the evidence against him. Pp. 70–72.

JUSTICE KENNEDY, agreeing that Hamdan’s military commission is unauthorized under the Uniform Code of Military Justice, 10 U. S. C. §§836 and 821, and the Geneva Conventions, concluded that there is therefore no need to decide whether Common Article 3 of the Conventions requires that the accused have the right to be present at all stages of a criminal trial or to address the validity of the conspiracy charge against Hamdan. Pp. 17–19.

STEVENS, J., announced the judgment of the Court and delivered the opinion of the Court with respect to Parts I through IV, VI through VI–D–iii, VI–D–v, and VII, in which KENNEDY, SOUTER, GINSBURG, and BREYER, JJ., joined, and an opinion with respect to Parts V and VI–D–iv, in which SOUTER, GINSBURG, and BREYER, JJ., joined. BREYER, J., filed a concurring opinion, in which KENNEDY, SOUTER, and GINSBURG, JJ., joined. KENNEDY, J., filed an opinion concurring in part, in which SOUTER, GINSBURG, and BREYER, JJ., joined as to Parts I and II. SCALIA, J., filed a dissenting opinion, in which THOMAS and ALITO, JJ., joined. THOMAS, J., filed a dissenting opinion, in which SCALIA, J., joined, and in which ALITO, J., joined as to all but Parts I, II–C–1, and III–B–2. ALITO, J., filed a dissenting opinion, in which SCALIA and THOMAS, JJ., joined as to Parts I through III. ROBERTS, C. J., took no part in the consideration or decision of the case.

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Appendice 10

N. 28491/04 R.G. N.R. N. 5774/04 R.G. G.I.P

Tribunale di Milano

Ufficio del Giudice per le Indagini Preliminari

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Giudice dr. Clementina Forleo, all'esito del giudizio abbreviato

celebrato nel procedimento penale a margine indicato, nei confronti di:

D.N., nato in Marocco il xx presente all'udienza detenuto presso la Casa

Circondariale "San Vittore" di Milano difeso di fiducia dall'Avv. xx

H.K.B.M., nato a Beja (Tunisia) il xx presente all'udienza detenuto

presso la Casa Circondariale "San Vittore" di Milano difeso di fiducia

dall'Avv. xx

IMPUTATI

l) del delitto p. e p. dall'art. 270 bis c.p., in quanto si associavano

tra loro e con altre persone, tra cui MTH (già oggetto di sentenza

definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), TM (imputato

in separato procedimento pendente davanti all'A.G. di Brescia), EAR, CMC,

MAM, AM, MM alias MF, HJ alias JAM (per i quali si procede separatamente

davanti alla Corte d'Assise di Milano) DM, TABS e BMBA (per i quali si

procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna

con il rito abbreviato) allo scopo di compiere atti di violenza con

finalità di terrorismo internazionale, in Italia ed all'estero,

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all'interno di un'organizzazione sovra-nazionale, localmente denominata

con varie sigle (tra cui "Ansar Al Islam"), comunque operante sulla base

di un complessivo programma criminoso, condiviso con similari

organizzazioni attive in Europa, Nord Africa, Asia e Medio Oriente,

contemplante:

° preparazione ed esecuzione di azioni terroristiche da attuarsi contro

governi, forze militari, istituzioni, organizzazioni internazionali,

cittadini civili ed altri obiettivi - ovunque collocati riconducibili

agli Stati, occidentali e non, ritenuti "infedeli" e nemici; il tutto nel

quadro di un progetto di "Jihad", intesa, secondo l'interpretazione della

religione musulmana propria dell'associazione, nel senso di strategia

violenta per l'affermazione dei principi "puri" di tale religione;

° il favoreggiamento della immigrazione illegale in Italia e verso altri

Stati dei militanti;

° il procacciamento di documenti falsi di identità per i componenti

dell'organizzazione;

° il reclutamento di una pluralità di persone da inserire

nell'associazione ed eventualmente inviare in campi di addestramento

ubicati principalmente in Iraq;

° l'invio dei militanti nelle "zone di guerra" a sostegno delle attività

terroristiche ivi progettate ed eseguite contro il "nemico infedele";

° la raccolta dei finanziamenti necessari per il raggiungimento degli

scopi della organizzazione;

° il proselitismo effettuato (anche nei luoghi di culto e di riunione

siti in Milano, come la moschea di Via Quaranta ed un appartamento di Via

Cilea n. 40) attraverso videocassette, audio-cassette, documenti

propagandistici e sermoni incitanti al terrorismo ed al sacrificio

personale in azioni suicide destinate a colpire il nemico "infedele";

° la predisposizione, comunque, di tutti mezzi necessari per l'attuazione

del programma criminoso dell'associazione e per il sostegno ai "fratelli"

259

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ovunque operanti secondo il descritto programma. In particolare, operando

nella associazione:

- HKBM e DN, con funzioni organizzative (art. 270 bis, c. I c.p.)

consistite nel coordinare l'attività dell'associazione in varie località

del Nord Italia (tra cui, oltre Milano, anche Cremona e Parma) anche allo

scopo di eludere le indagini delle competenti autorità concentratesi

principalmente sull'attività svolta nella città di Milano, sede

principale della cellula italiana;

- MAM, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c.II c.p.), con condotta

consistita nell'assicurare il necessario supporto per l'invio definitivo,

in vista dei fini sopra indicati, di persone, documenti e denaro nel

Kurdistan iracheno (in alcuni casi attraverso la Siria);

- DM, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), con condotta

consistita nel dare ospitalità e nell'assicurare approvvigionamento di

documenti falsi a membri dell'associazione (tra cui lo stesso CMC);

- BMBA, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.pp), fungendo da

raccordo in territorio turco (segnatamente nella città di Instanbul) tra

i capi dell'organizzazione transnazionale e l'attività dei membri della

cellula italiana;

- HJ, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), svolgendo la

propria attività, secondo le direttive impartitegli da EAR, sia in

territorio italiano che in territorio estero (recandosi, ad es., in

Turchia presso il gruppo di BMBA per recapitare loro materiale vario su

ordine di EAR);

- TA, quale semplice partecipe (art. 270 bis, c. II c.p.), provvedendo

principalmente al reperimento di documenti falsi e di altro materiale

logistico (computer, telefoni, etc.) necessari allo svolgimento

dell'attività associativa.

Associazione avente il suo principale centro operativo italiano in

Milano, tuttora operante anche in altre località nel territorio italiano

(oltre che all'estero) a partire almeno dal luglio 2001; (condotta degli

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imputati colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all'atto della

esecuzione del medesimo, se intervenuta).

2) del delitto p. e p. dagli artt. 110, 81 cpv. c.p. e 12 commi 1 ° e 3°

D.L.vo 286/1998 (ora modificato dalla L. 189/2002), in quanto, in

concorso tra loro e con altre persone, tra cui MTH (già oggetto di

sentenza definitiva di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p.), TM

(imputato in separato procedimento davanti all'A.G. di Brescia), EAR,

MAM, AM, MM alias MF, HJ alias JAM (per i quali si procede separatamente

davanti alla Corte d'Assise di Milano) TABS e BMBA (per i quali si

procede separatamente essendo gli stessi già giudicati in data odierna

con il rito abbreviato), compivano, in violazione delle disposizioni di

legge regolanti la materia, con più azioni esecutive del medesimo disegno

criminoso, atti diretti a procurare l'ingresso illegale di una pluralità

di persone nel territorio dello Stato, ovvero atti diretti a procurare

l'ingresso illegale in altri Stati del quale le suddette persone non

erano cittadine o non avevano titolo di residenza permanente, con le

condotte già descritte nei capi precedenti. In particolare, provvedevano

anche a procurare documenti falsi a persone che arrivavano in Italia

anche allo scopo di transitare, successivamente, in altri Stati

(prevalentemente presso campi di addestramento in Iraq). Fatto aggravato

dall'essere stato commesso da più di tre persone in concorso tra loro.

Con l'ulteriore aggravante di cui all'art. 1 L . 6.2.80 n. 15, avendo

commesso i reati per finalità di terrorismo.

Reati accertati o commessi in Milano ed in altre località nel territorio

italiano dal luglio 2001 al novembre 2003 (condotta degli imputati

colpiti da provvedimento restrittivo esaurita all'atto della esecuzione

del medesimo, se intervenuta).

*********

conclusioni delle parti:

261

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Il P.M. ha chiesto rigettarsi l'eccezione di incompetenza territoriale

sollevata dalla difesa. Nel merito ha chiesto la condanna degli imputati

alla pena di anni nove e mesi quattro di reclusione e di euro 16.000,00

di multa, previa derubricazione del ruolo rivestito dai predetti nel

reato di cui al capo a) in quello di partecipe.

La difesa ha preliminarmente eccepito l'incompetenza territoriale di

questa A.G. essendosi il fatto commesso in Cremona, con conseguente

competenza dell'A.G. di Brescia ex art.51/3 bis c.p. Nel merito, la

difesa di D ha chiesto sentenza di assoluzione perchè il fatto non

costituisce reato o perchè l'imputato non lo ha commesso; in subordine ha

chiesto la concessione delle circostanze attenuanti generiche; la difesa

dell'H ha chiesto sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste o

perchè l'imputato non lo ha commesso.

*********

ha pronunciato la seguente

SENTENZA art.22/3 c.p.p.

ORDINANZA art.299/3 u.p. c.p.p.

MOTIVI della DECISIONE

In data 29.3.2004, a seguito di richiesta di rinvio a giudizio formulata

nei confronti di di TM in ordine ai medesimi reati di cui all'attuale

imputazione, questo giudice emetteva sentenza di incompetenza per

262

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territorio in favore dell'A.G. di Brescia, ritenendo la stessa competente

per l'intera "cellula" di cui all'imputazione all'epoca formulata.

Di seguito, in data 3.8.2004, perveniva richiesta di rinvio a giudizio

concernente le posizioni degli altri imputati di cui all'attuale

incriminazione (fatta eccezione per MTH per il quale era nel frattempo

intervenuta sentenza ex art.444 c.p.p.), alcuni dei quali chiedevano

procedersi con le forme del giudizio abbreviato.

Tra quest'ultimi, gli imputati DN e HKBM, risultati nel corso delle

indagini in stretto contatto con il T.

I difensori dei due eccepivano preliminarmente l'incompetenza

territoriale di questa A.G. in favore di quella bresciana, e questo

giudice si riservava la decisione all'esito della discussione.

Alla luce della riformulazione dell'imputazione rispetto a quella

elevata in ordine alla posizione del T, nonchè soprattutto in base alle

indagini successivamente compiute - ed in particolare agli interrogatori

resi da taluni coimputati ed imputati in procedimenti connessi nonchè

agli atti acquisiti nel giudizio abbreviato ex art.441/5 c.p.p. - va

confermata la competenza di detta A.G. in ordine al c.d. gruppo

cremonese, e dunque anche in ordine alle posizioni dei due attuali

imputati D e H, ma va invece affermata la competenza di questa A.G. in

ordine al c.d. gruppo milanese, ossia alle posizioni degli altri

imputati.

Come infatti già evidenziato nel decreto di rinvio a giudizio emesso in

data 29.9.2004 nei confronti degli imputati che non hanno optato per il

rito speciale, dall'insieme degli atti processuali - peraltro di seguito

integrati ex art.441/5 c.p.p. - emerge all'evidenza la pluralità di più

"cellule" di matrice islamico-fondamentalista gravitanti in aree eversive

operanti nel territorio nazionale e la sostanziale autonomia, anche nelle

loro precipue finalità, delle stesse, e ciò pur in presenza di evidenti e

necessari collegamenti tra le medesime ed altre, collaterali, stanziate

all'estero. Sempre da detti atti emerge pure l'incentrarsi della

"cellula" della quale facevano parte tutti gli altri imputati nel

263

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territorio milanese, in cui la stessa trovava appunto il suo epicentro

logistico.

Tale valutazione prescinde evidentemente dallo stanziamento dei singoli

membri nel territorio dello Stato e si impernia necessariamente sulla

base operativa dei gruppi in questione. Tanto si afferma in quanto sia i

due curdi abitanti a Parma - MTH e MAM - pur nei loro appurati contatti

con il gruppo cremonese ed in particolare con il T, sia DM, domiciliato a

Reggio Emilia, risulta operassero in stretto contatto con i membri

dell'organizzazione stanziati in Milano, ed in particolare con l'EA, con

il NO, oltre che con il MF (nel periodo in cui quest'ultimo era stanziato

in Italia), loro referenti primari.

All'esito del giudizio abbreviato deve pertanto affermarsi la competenza

dell'A.G. bresciana con riguardo alle posizioni degli imputati D e H, i

quali peraltro risultano dagli stessi atti indagati presso tale A.G. in

parallelo procedimento avente ad oggetto i medesimi titoli di reato,

assorbenti le attuali incriminazioni.

********************************************

Va nondimeno evidenziato come all'esito del giudizio abbreviato,

conclusosi per gli altri imputati con sentenza assolutoria dal reato di

cui all'art.270 bis c.p., sulla base degli elementi di prova allo stato

ed in questa sede utilizzabili, non possano al riguardo ritenersi

persistenti i gravi indizi in ordine a tale reato neppure per il c.d.

gruppo cremonese, per la parte evidentemente concernente il presente

procedimento come finora sviluppatosi. Ciò si precisa ai soli effetti del

regime cautelare in atto nei confronti dei due imputati in questione, non

detenuti nell'ambito del parallelo procedimento bresciano.

Sul punto va innanzitutto rilevato come gli atti di causa debbano essere

sfrondati dagli atti affetti da inutilizzabilità patologica, ed

innanzitutto dalle c.d. fonti d'intelligence, ossia dai numerosi dati

provenienti da "acquisizioni informative" o "investigative" non meglio

precisate, o da acquisizioni assunte in "contesti di collaborazione

internazionale" o asseritamente provenienti da "segnalazioni da parte di

organismi americani" o da "dati forniti dal BKA tedesco", anch'esse prive

264

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di qualsivoglia supporto genetico degno di rilievo processuale e non

puntalmente riscontrate da atti processualmente rilevanti.

Lo stesso è a dirsi per gli atti compiuti all'estero e non assistiti

dalle garanzie difensive che l'ordinamento interno pone ad

imprescindibile fondamento dell'utilizzabilità di tali atti, ed in

particolare alle audizioni di soggetti assunti come testimoni anzichè

come indagati in procedimenti all'evidenza connessi e dunque senza le

dovute garanzie difensive. Ci si riferisce soprattutto alle audizioni di

ex combattenti ristretti in Iraq, assunte dall'autorità norvegese ed

acquisite dai nostri inquirenti in sede di rogatoria.

Analoghi rilievi di inutilizzabilità processuale riguardano con

altrettanta evidenza i dati provenienti dalle c.d. fonti aperte, ossia da

informazioni giornalistiche o assunte per via telematica.

Tanto premesso, può dirsi con margini di ragionevole certezza ed al di là

delle reticenti dichiarazioni di taluni imputati, che entrambe le

"cellule" in questione avevano come precipuo scopo il finanziamento, e

più in generale il sostegno, di strutture di addestramento paramilitare

site in zone mediorientali, presumibilmente stanziate nel nord dell'Iraq.

A tal scopo, infatti, erano organizzati sia la raccolta e l'invio -

attraverso canali ritenuti "sicuri" - di somme di denaro, sia

l'arruolamento di volontari - tutti stranieri e tutti di matrice

islamico-fondamentalista - da far giungere in dette zone evitando ogni

possibile intoppo nelle loro trasferte, e dunque attraverso percorsi

anch'essi ritenuti "sicuri" e con documenti spesso contraffatti.

L'attività delle "cellule" in questione, per quanto sempre risulta da

detti atti, si colloca storicamente in concomitanza dell'attacco

statunitense all'Iraq, avvenuto com'è noto nel marzo del 2003 ma

notoriamente previsto come altamente probabile all'indomani del conflitto

in Afghanistan, nel quale pure tali gruppi risultano essere stati attivi.

Numerose conversazioni intercettate fanno peraltro riferimento a tale

accadimento ed alla necessità di arginare il più possibile i prevedibili

nefasti effetti, aiutando "i fratelli" presenti nelle zone del conflitto,

265

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sia economicamente sia, appunto, rinforzando i contingenti armati

attraverso l'invio di combattenti.

Non risulta invece provato, nonostante gli encomiabili sforzi

investigativi compiuti, che tali strutture paramilitari prevedessero la

concreta programmazione di obiettivi trascendenti attività di guerriglia

da innescare in detti o in altri prevedibili contesti bellici e dunque

incasellabili nell'ambito delle attività di tipo terroristico di cui

all'art.270 bis c.p. come novellato all'indomani dei noti e tragici fatti

dell'11.9.2001.

La nozione di terrorismo, com'è noto, diverge da quella di eversione e

come questa non è definita in via normativa, dovendosi dunque ricavare in

via ermeneutica, sia sulla base del contenuto delle convenzioni

internazionali sul punto, sia, soprattutto, riflettendo sulla "ratio" e

sulla genesi della norma penale in questione.

Emblematico sotto il primo profilo appare il tenore della Convenzione

Globale dell'O.N.U. sul Terrorismo, progettata nel 1999, che all'art.18/2

prevede un'esimente in ordine alle sanzioni in essa previste, in forza

della quale le stesse non riguardano le forze armate ed i gruppi armati o

movimenti diversi dalla forze armate di uno Stato nella misura in cui si

attengano alle norme del diritto internazionale umanitario.

Proprio da tale normativa, ed in particolare da detta esimente, si

ricava che le attività violente o di guerriglia poste in essere

nell'ambito di contesti bellici, anche se poste in essere da parte di

forze armate diverse da quelle istituzionali, non possono essere

perseguite neppure sul piano del diritto internazionale, a meno che - ed

ecco che in tal caso l'esimente in questione non opera - non venga

violato il diritto internazionale umanitario.

Da tale ultimo limite può ricavarsi dunque che le attività di tipo

terroristico rilevanti e dunque perseguibili sul piano del diritto

internazionale siano quelle dirette a seminare terrore indiscriminato

verso la popolazione civile in nome di un credo ideologico e/o religioso,

ponendosi dunque come delitti contro l'umanità.

266

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A confortare tale impostazione interviene la "ratio" della norma di cui

all'art.270 bis c.p., com'è noto novellata a seguito dei noti e tragici

fatti dell'11.9.2001.

La modifica, che ha appunto esteso il rilievo penale dei fatti in tale

norma già previsti anche ai casi in cui gli stessi fossero posti ai danni

di uno Stato estero, voluta d'emergenza all'indomani di tali fatti

parallalemente ad analoghi interventi legislativi posti in essere in

altri paesi, ha evidentemente perseguito la finalità di creare una sorta

di diritto penale sovranazionale con il quale tutelare i singoli Stati da

attentati terroristici di ampio spettro, speculari di strategie politiche

autonome e risolutive.

L'estendere tale tutela penale anche agli atti di guerriglia, per quanto

violenti, posti in essere nell'ambito di conflitti bellici in atto in

altri Stati ed a prescindere dall'obiettivo preso di mira, porterebbe

inevitabilmente ad un'ingiustificata presa di posizione per una delle

forze in campo, essendo peraltro notorio che nel conflitto bellico in

questione, come in tutti i conflitti dell'era contemporanea, strumenti di

altissima potenzialità offensiva sono stati innescati da tutte le forze

in campo.

Tanto premesso, va rilevato come in punto di fatto non può ritenersi

provato, neppure in termini di gravità indiziaria, che le due "cellule"

in questione, pur gravitando in aree notoriamente contrassegnate da

propensioni al terrorismo, avessero obiettivi trascendenti quelli di

guerriglia come sopra delineati.

Al riguardo non può dirsi sufficiente a fondare l'ipotizzata

responsabilità penale, la comune appartenenza a realtà eversive ed a

strutture, quale quella denominata "Ansar Al Islam" - peraltro bombardata

e distrutta nel corso di tale conflitto - dalla composizione tutt'altro

che omogenea ed anzi alquanto articolata e complessa.

Sotto tale ultimo profilo va evidenziato come la variegata gamma di

posizioni, tutte di matrice islamico-fondamentalista, confluenti nella

menzionata struttura "Ansar Al Islam" sia stata delineata dal coimputato

"collaboratore" MTH, il quale, pur nella evidente prospettiva di un

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trattamento sanzionatorio alquanto mite poi ottenuto ex art.444 c.p.p.,

ha infatti spiegato che tale formazione era alquanto eterogenea, facendo

ad essa capo vari modi di intendere l'opposizione ai regimi "nemici", pur

nella comune e dunque omogenea matrice islamico-fondamentalista dei vari

sostenitori e simpatizzanti.

Le ultime dichiarazioni del predetto parlano al riguardo chiaro. Il MT ha

infatti riferito genericamente di "aver sentito dire" che "Ansar Al

Islam" era "in contatto con Al Qaeda" e che aveva in progetto anche di

utilizzare "kamikaze" per azioni di guerriglia all'interno dei confini

iracheni, senza fornire alcun elemento di diretta cognizione al riguardo,

e anzi significativamente aggiungendo che la svolta verso dette forme di

violenza era oggetto di discussione tra i componenti dell'organizzazione,

affermando altresì di essere un islamista moderato e di non condividere

la deriva violenta di detta formazione. Ha inoltre aggiunto che alcuni

dei suoi coimputati, quali l'EAR, "si stavano avvicinando a detta

organizzazione", così confermando dunque che gli stessi non vi erano

organicamente inseriti.

Sempre in ordine all'organizzazione "Ansar Al Islam", va poi evidenziato

il tenore della documentazione sequestrata al suo vertice MK, arrestato

in Olanda e poi scarcerato ed espluso in Norvegia.

In uno di tali atti, concernente l'ideologia del gruppo e la sua matrice

islamico-fondamentalista, si parla infatti di addestramenti militari al

fine di affrontare "combattimenti sul fronte", nonchè di "tunnel e cave"

costruti per difendersi dai "raid aerei soprattutto dopo gli ultimi

bombardamenti sopra Tora Bora nel caso ci fossero degli attacchi dell'

alleanza americana britannica". Il documento in questione si conclude con

una chiosa per così dire "profetica". Si legge infatti: "Scrivo queste

righe prima dell'attacco americano in Iraq e probabilmente anche noi

verremo colpiti anche se stiamo prendendo delle misure protettive per le

nostre trecento famiglie, alcuni si nascondono in Iran, ma anche lì hanno

la vita dura e difficile... perchè si presume che gli americani

attaccheranno le città di Halja e Siruane che sono strategiche, e se

queste città verranno liberate potremmo iniziare l'era dell'Emirato

Islamico che opererebbe in associazione con l'organizzazione delle

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Nazioni Unite. E infine chiedo a Dio di darci la forza e la vittoria. Il

vostro fratello ASKFK.

Sia da tali elementi, sia dalle riportate dichiarazioni di MT può dunque

ricavarsi che "Ansar Al Islam" era strutturata come una vera e propria

organizzazione combattente islamica, munita di una propria milizia

addestrata appunto alla guerriglia e finanziata anche da gruppi stanziati

in Europa ed evidentemente gravitanti nell'area del fondamentalismo

islamico, senza perciò avere obiettivi di natura terroristica,

probabilmente e verosimilmente propri solo di alcuni di suoi membri.

E' da evidenziarsi peraltro come dal riportato manoscritto a firma del MK

era stata dallo stesso prevista la possibilità di un'

istituzionalizzazione, addirittura nell'ambito delle Nazioni Unite,

dell'organizzazione in questione.

Sempre sulle appurate finalità delle due "cellule" in questione vanno

anche menzionate le dichiarazioni rese dall'imputato EAR in data

29.7.2004, laddove lo stesso ammette di aver inviato combattenti in

medioriente nel 2003 "per ragioni di Jahad", ossia "per opporsi agli

invasori", in concomitanza appunto con l'attacco americano e per

combattere con tro lo stesso, e ciò attraverso il canale siriano gestito

dal coimputato MF.

In questo senso, a parere della scrivente, devono peraltro essere intese

le più significative conversazioni intercettate. E' il caso del

riferimento alla "grande bomba" che "sta arrivando" di cui alla

conversazione telefonica intervenuta in data 11.3.2003 ore 11.40 tra

l'attuale imputato D e TM, evidentemente i due interlocutori riferendosi

all'imminente attacco americano all'Iraq, com'è noto scoppiato proprio in

quei giorni. Si pensi ancora alla "maledizione" di cui alla conversazione

intervenuta in data 1.4.2003 tra l'EAR e CM all'interno della camera di

sicurezza della locale Questura, e il chiaro riferimento alla ormai

intervenuta guerra all'Iraq ed alla posizione al riguardo assunta dal

governo italiano, con commenti all'evidenza tutt'altro che

inequivocabilmente riferibili ad attività di tipo terroristico in

concreto programmate. Altra conversazione emblematica in tal senso quella

intervenuta in data 30.3.2003 ore 20.41, ossia ad attacco americano già

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avvenuto, tra il citato EAR e l'attuale imputato H, nel corso della quale

quest'ultimo comunica che il T, sentiti altri personaggi di spicco del

gruppo, avrebbe deciso che "non hanno bisogno di uomini lì, hanno bisogno

di uomini qui", precisando lo stesso che "metà degli uomini cercano

finanziamenti, metà restano qui", all'evidenza riferendosi, quanto agli

uomini che restano "qui", ai finanziatori di quei combattimenti. Lo

stesso è a dirsi per la conversazione intervenuta tra il MF e l'EAR

sempre in data 30.3.2003, nel corso della quale il primo richiede l'invio

di combattenti adeguatamente addestrati, di "gente che colpisca il

ferro", sollecitando l'interlocutore a cercare anche "quelli che stavano

in jaban", alludendo secondo la prospettazione accusatoria (ma il

riferimento appare in verità alquanto ambiguo) all'invio di uomini

disposti, comunque sempre in quel contesto, al diretto sacrificio umano.

Non risulta inoltre da alcun atto degno di rilievo processuale che le due

"cellule" in questione fossero legate all'organizzazione "Al Tawid" della

quale sarebbe vertice il noto terrorista Al Zarqawi.

Sotto tale profilo va evidenziato come l'utenza telefonica asseritamente

in uso a quest'ultimo personaggio fosse tutt'altro che corrispondente (ed

anzi differente per ben cinque cifre) a quella che nella conversazione

del 9.3.2003 intercorsa tra l'EAR e i due curdi residenti a Parma, viene

indicata come in uso al MF.

Neppure risultano legami penalmente rilevanti di tali gruppi con quelli,

pur della stessa matrice ideologica, responsabili di attacchi di pacifica

natura terroristica, non potendo al riguardo farsi leva sulla presunta

analogia della "potenziale progettualità operativa degli spostamenti di

uomini e di risorse" nè tanto meno sulla asserita "circolarità di

rapporti" tra soggetti gravitanti nei medesimi ambienti eversivi, e

dunque su loro rapporti di conoscenza o di pregressa frequentazione.

Ad incidere sulle esposte considerazioni non può neppure invocarsi la

circostanza in base alla quale gli imputati non erano di nazionalità

irachena e dunque non avrebbero potuto legittimamente battersi in guerra

contro il "nemico" americano.

270

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E' evidente infatti come la scriminante prevista dalla citata convenzione

riguardi le forze belligeranti facenti parte delle opposte fazioni in

lotta, a prescindere dalla nazionalità dei singoli individui combattenti

qualora accomunati da un'unica matrice strategico-ideologica.

*********************************************

Rimarranno perciò da appurare, nel futuro corso del procedimento

bresciano, sia i legami penalmente rilevanti tra i due attuali imputati e

gli altri imputati di quel procedimento, sia d'altro canto le eventuali

attività terroristiche da tale "cellula" in concreto programmate.

A tal ultimo riguardo non può non rilevarsi come gli atti del

procedimento bresciano acquisiti ex art.441/5 c.p.p. e concernenti

l'audizione in incidente probatorio del "collaboratore" ZC, finiscano in

ultima analisi per avallare tale valutazione. Le dichiarazioni del

predetto relative a presunti attentati da commettere sul territorio

italiano, appaiono infatti fondate su deduzioni dallo stesso ricavate da

discorsi in linguaggio criptico asseritamente tenuti in sua presenza da

soggetti assolutamente estranei al presente procedimento. D'altra parte,

come affermato dal P.M. in udienza, va evidenziato come le dichiarazioni

che tale "collaboratore" avrebbe reso nell'ambito di altro procedimento

milanese e di cui vi è traccia in detto atto, non riguarderebbero le due

"cellule" in questione.

Quanto sopra, si ripete, lungi dall'anticipare valutazioni di merito non

certo spettanti alla scrivente in ordine alla posizione dei due predetti,

vale solo ai fini della revoca della misura cautelare in atto nei

confronti degli stessi nell'ambito del presente procedimento in ordine al

reato associativo loro contestato.

Per tali motivi, il reato di cui all'art.12 d.lvo 286/1998 andrà liberato

dalla circostanza aggravante di cui all'art.1 l.15/1980.

P.Q.M.

271

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visto l'art. 22/3 c.p.p.

DICHIARA

la propria incompetenza per territorio ed

ORDINA

l'immediata trasmissione degli atti al P.M. presso il Tribunale di

Brescia, anche per gli adempimenti connessi alla rinnovazione della

misura cautelare in atto come di seguito limitata;

visto l'art.299/3 u.p. c.p.p.

REVOCA

la misura cautelare in atto nei confronti dei due imputati per

sopravvenuta carenza di gravi indizi in ordine al reato di cui al capo

1), ed escludendo dal reato di cui al capo 2), l'aggravante di cui

all'art.1 l.15/1980, sempre per sopravvenuta carenza di gravi indizi al

riguardo.

ORDINA

la formale scarcerazione degli stessi limitatamente a tali ipotesi.

272

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Milano, 24.1.2005

Il Cancelliere

Il Giudice dr. Clementina Forleo

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Appendice 11 Cass. pen., Sez. I, 21.06.2005, n. 35427.

REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TERESI Alfredo - Presidente

Dott. FAZZIOLI Edoardo - Consigliere

Dott. SIOTTO Maria Cristina - Consigliere

Dott. PEPINO Livio - Consigliere

Dott. CORRADINI Grazia - Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

XXX IL 30/04/1964;

avverso ORDINANZA del 23/02/2005 TRIB. LIBERTA' di BRESCIA;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dr. FAZZIOLI EDOARDO;

sentite le conclusioni del P.G. Dr. Giuseppe Febbraio che ha chiesto il rigetto del ricorso;

sentiti il difensore avv. XXX del foro di Roma, di ufficio, che ha chiesto l'accoglimento del

ricorso;

Svolgimento del processo e motivi della decisione

1. Con ordinanza del 23 febbraio 2005 il tribunale di Brescia rigettava - salvo che per il

reato di favoreggiamento dell'ingresso illegale in altro Stato (capo B2 di imputazione), che

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veniva dichiarato assorbito nel reato contestato al capo A. 2 (vedi pag. 28 ordinanza) - la

richiesta di riesame presentata da Drissi Nourredine contro l'ordinanza del 31 gennaio

2005 con la quale il gip dello stesso tribunale aveva disposto la misura della custodia

cautelare in carcere nei suoi confronti per il reato di cui all'art. 270-bis, comma 1 e 3, c.p. e

per quello di cui agli artt. 110 c.p., 12, comma 3, d.l.vo 25 luglio 1998, n. 286. 2. Contro il

provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione.

Il Drissi Nourredine, denunziando:

a) la mancanza di motivazione in ordine alla esistenza dei gravi indizi di colpevolezza.

Sostiene il ricorrente che la motivazione dell'ordinanza è meramente apparente in quanto:

1) gli indizi sarebbero costituiti da "fonti di prova da un lato non utilizzabili, in quanto

patologicamente viziate e dunque non suscettibili di impiego alcuno nemmeno nei giudizi

incidentali cautelari ... dall'altro in indizi parzialmente consistenti in dichiarazioni rese ex

art. 192, comma 3 e 4, c.p.p. non corroborate dai c.d. riscontri estrinseci". Sarebbero stati,

infatti, considerati come "individualizzanti", "meri riscontri oggettivi", "quali ad esempio gli

esiti di alcune intercettazioni telefoniche .. l'effettuazione di due viaggi in Medio Oriente ...

il sequestro di materiale propagandistico"; 2) non risulterebbe provata "l'adesione del

ricorrente ad uno specifico programma di violenza, adeguatamente individuato, condizione

necessariamente imposta per la configurazione del delitto di cui all'art. 270-bis c.p."; 3)

sarebbe stato recepito per "relationem" quanto "genericamente esposto nel provvedimento

cautelare del gip ... omettendo di indagare ... anche sulla presenza di quelle circostanze

favorevoli all'imputato espressamente richiamate dall'art. 292, comma 2, lett. c) e c-bis),

c.p.p.". Rileva a tal riguardo il ricorrente che il tribunale avrebbe errato nell'affermare che

le dichiarazioni da lui rese in sede di interrogatorio di garanzia non dovevano essere

esaminate sul presupposto che tale atto non rientrerebbe tra gli "elementi di cui all'art. 358

e 327-bis c.p.p."che ai sensi dell'art. 292, comma 2- ter, c.p.p. il giudice deve prendere

obbligatoriamente in esame.

Di conseguenza avrebbe dovuto dichiarare la nullità dell'ordinanza del gip sia per la

violazione dell'art. 292, comma 2-ter, c.p.p. sia per la violazione del comma 2, lett. c) e c-

bis) dello stesso articolo, non avendo esposto le ragioni per le quali non aveva ritenuto

rilevanti gli elementi a lui favorevoli offerti dal ricorrente, sia per non avere indicato le

ragioni per le quali, malgrado il tempo trascorso dalla commissione del reato, aveva invece

ritenuto rilevanti gli indizi a suo carico;

b) la mancanza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari in quanto il tribunale: 1)

non avrebbe tenuto conto "del tempo trascorso tra la realizzazione dell'illecito e l'adozione

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della misura cautelare", risalendo la pendenza del procedimento al 2002; 2) non avrebbe

motivato il diniego della sostituzione della misura in atto con quella degli arresti domiciliari

tanto più necessaria proprio in considerazione del tempo trascorso dalla presunta

commissione del reato; 3) avrebbe violato l'art. 275, comma 4, c.p.p. in quanto la misura,

in mancanza di esigenze cautelari di eccezionale rilevanza, non avrebbe potuto essere

disposta dovendo il ricorrente provvedere alla cura dei figli di età inferiore ai tre anni

poichè la madre si trovava nella impossibilità di accudirli essendo affetta da una malattia

che, anche se non permanente, le impediva di assistere la prole per un tempo di durata

"apprezzabile". 3. I motivi di ricorso sono infondati.

Va preliminarmente esaminato il motivo relativo alla denunziata nullità dell'ordinanza del

gip, perchè, essendo stata tempestivamente eccepita, se fondata, travolgerebbe, per

effetto dell'art. 185 c.p.p., anche l'ordinanza impugnata.

Il tribunale ha in proposito osservato che tra gli elementi a carico e a favore dell'imputato di

cui all'art. 358 c.p.p. - richiamato dall'art. 292, comma 2-ter c.p.p.- non rientra

l'interrogatorio dell'imputato e che, in ogni caso, il gip ha valutato e respinto la versione

liberatoria resa dall'indagato recependo di fatto il capitolo della richiesta del p.m. dedicato

"alla evanescenza della linea difensiva quale accreditata da Drissi ... nel corso degli

interrogatori avanti all'A.G. milanese". La motivazione è corretta.

"Gli elementi a carico o a favore dell'imputato" di cui all'art. 358 c.p.p. (e 327-bis c.p.p.,

come recita il comma così novellato dall'art. 6 della legge 7 dicembre 2000, n. 397) sono

quelli che risultano dalle "indagini necessarie per le determinazioni inerenti all'azione

penale" che il p.m. deve obbligatoriamente svolgere nell'interesse pubblico del

perseguimento dei colpevoli. Deve escludersi, pertanto, che possa essere annoverato tra

tali atti di indagine l'interrogatorio di garanzia che è un atto proveniente dall'indagato,

assunto, peraltro, dal giudice e non dal p.m..

L'omesso esame delle dichiarazioni rese dall'indagato nell'interrogatorio potrebbe

configurare, come denunziato, la diversa nullità di cui all'art. 292, comma 2, lett. c-bis,

c.p.p. risolvendosi nella mancata esposizione dei motivi per i quali sono stati ritenuti "non

rilevanti gli elementi forniti dalla difesa", quali, appunto, come nel caso in esame, le

giustificazioni fornite dall'indagato alle contestazioni contenute nell'ordinanza impositiva

della misura cautelare (il Drissi, infatti, si è difeso nell'interrogatorio di garanzia davanti al

gip di Milano - che poi si è dichiarato incompetente per cui la misura cautelare è stata

nuovamente disposta dal gip di Brescia - sostenendo di avere effettuato viaggi in Medio

Oriente per motivi di salute e che il denaro di cui si faceva menzione nelle intercettazioni

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gli apparteneva trattandosi del ricavato dalla vendita dei mobili della sua abitazione). Deve

escludersi, tuttavia, la fondatezza del rilievo.

Lo misura cautelare, ed in speciale modo, quella della custodia in carcere, deve essere

messa soltanto in presenza "di gravi indizi di colpevolezza", la cui esistenza può essere

valutata soltanto all'esito dell'esame di tutto il materiale probatorio acquisito dal p.m. e

fornito dalla difesa. Da qui il dovere del giudice di esaminare, a pena di nullità, non

soltanto gli elementi forniti dal p.m., ma anche quelle forniti dalla difesa e di indicare le

ragioni per le quali tali ultimi non sono ritenuti rilevanti, nonchè, in una diversa fase,

l'obbligo di trasmettere al tribunale del riesame, a pena di inefficacia della misura, "gli

elementi su cui la richiesta si fonda, nonchè tutti gli elementi a favore dell'imputato e le

eventuali deduzioni e memorie difensive già depositate" (art. 291, comma 1, c.p.p.).

Non è dubbio, che tra gli "elementi forniti dalla difesa" debba ricomprendersi anche

l'interrogatorio di garanzia, quando con tale atto l'indagato fornisce una giustificazione, non

manifestamente insostenibile, rispetto ad una determinata contestazione.

Ciò posto va, tuttavia, rilevato che l'adempimento di tale dovere da parte del giudice non

deve essere necessariamente essere espresso in modo formale, ma è sufficiente che dal

contenuto del provvedimento risulti che tali elementi sano stati presi in esame e siano stati

considerati non rilevanti. Tanto ad avviso del tribunale si è verificato nel caso di specie - e

il punto non è stato contestato con il ricorso- in cui il gip ha recepito il capitolo della

requisitoria del p.m. dedicato alla svalutazione delle dichiarazioni del Drissi. Il motivo sub

a) punto 1 non è specifico.

L'ordinanza impugnata ha dedicato un apposito paragrafo (2. a) alla indicazione degli

elementi probatori ritenuti inutilizzabili, indicando tra questi le "ed fonti di intelligence" e "le

notizie giornalistiche", mentre ha precisato che avrebbe utilizzato le "acquisizioni

informative" della DIGOS di Brescia, sezione antiterrorismo" - ritenendo di poterle

qualificare "latu sensu" come assistenza giudiziaria (si allude, segnatamente, alle notizie

sulla "caratura terroristica di taluni personaggi laddove assistite da concreti elementi di

riferimento"), nonchè gli elenchi "degli organismi o dei soggetti listati" provenienti da

organizzazioni internazionali come il Comitato per le sanzioni delle Nazioni Unite o la

Commissione UE, precisando che a tale elenchi "non può essere attribuito il valore di

prova legale di appartenenza al terrorismo".

Ciò posto va rilevato che il ricorrente si è limitato a denunziare genericamente che sono

stati utilizzati ai fini della decisione atti non utilizzabili senza indicare a quali atti intendesse

riferirsi, il loro contenuto e la loro rilevanza ai fini della decisione, precisazione quest'ultima

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senz'altro necessaria in considerazione che alla inutilizzabilità di un atto non consegue la

nullità del provvedimento, ma soltanto il vizio di mancanza o di manifesta illogicità di

motivazione, sempre che tale vizio sussista a seguito dello espletamento della c.d. "prova

di resistenza" della motivazione (vedi tra le altre, cass. 2 dicembre 1998, n. 1495, RV.

212274).

Nè sulla base di quanto esposto nell'ordinanza impugnata possono ritenersi inutilizzabili,

nei limiti in questa indicati, le informative della Digos di Brescia, sezione antiterrorismo, e

le "liste" del Consiglio d'Europa. Nel primo caso, infatti, si tratta di informative di polizia

giudiziaria necessarie ai fini dell'esercizio dell'azione penale, contenendo le medesime

indicazioni, desunte da altri procedimenti penali, sulla "caratura terroristica di taluni

personaggi" in rapporti diretti od indiretti con il ricorrente; nel secondo caso di un

documento redatto dal Consiglio d'Europa in base all'art. 15 del trattato sull'Unione

Europea e, di conseguenza, di un atto che anche se non costituisce prova della natura

terroristica della organizzazione "Ansar Al Isiam", non rappresentando "fatti, persone o

cose", può, tuttavia, essere acquisito come base di indagine circa i fini perseguiti

dall'organizzazione, in quanto è prova del fatto storico che un organismo internazionale, la

Comunità Europea, ha adottato misure restrittive nei confronti di Osama Bin Laden e degli

organismi a questo associati nell'ambito dei provvedimenti diretti a combattere il terrorismo

"in tutte le sue forme e ovunque nel mondo" (vedi Posizione Comune del Consiglio

d'Europa del 27 maggio 2002, pubblicata sulla G.U. della Comunità Europea n. L 139 del

29 maggio 2005).

A parte la considerazione che, nella specie, le finalità dell'organismo sarebbero

confermate dalle "dichiarazioni di tale mullah Krekar (vedi pag. 9 ordinanza).

In relazione alle eccezioni di merito deve preliminarmente osservarsi che l'art. 270-bis c.p.,

nella sua originaria versione, non era ritenuto estensibile agli atti di terrorismo (o di

eversione dell'ordine democratico) compiuti contro uno Stato straniero, in quanto, anche

per la collocazione formale della disposizione (tra i delitti contro la personalità

internazionale previsti dal libro 2^, titolo 1^, capo 1^ del codice penale anzichè tra i delitti di

cui al capo 4^ diretti alla tutela dei beni giuridici di Stati esteri) era qualificato come reato

contro la personalità dello Stato italiano (cfr., cass. 24 febbraio 1999, n. 737, RV. 214311).

A seguito dei noti attentati agli Stati Uniti d'America, in esecuzione di accordi

internazionali, con il d.l. 18 ottobre 2001, n. 374 la tutela penale è stata estesa anche agli

"atti di violenza ... rivolti contro uno Stato estero, un'istituzione od un organismo

internazionale", introducendo il comma 3 e lasciando per il resto inalterato il testo dell'art.

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270-bis, del codice. La disposizione in esame, anche nella sua attuale formulazione, non

contiene una elencazione degli atti di violenza di natura terroristica, nè la indicazione di

parametri per definire quando un atto di violenza deve ritenersi compiuto per "finalità di

terrorismo", per cui la ricerca della volontà del legislatore deve essere compiuta in base ai

principi di diritto interno ed internazionale.

Orbene, in base alla considerazione che il reato di cui all'art. 270 bis c.p. è

un'associazione per delinquere contraddistinta dal particolare tipologia dei reati per il cui

compimento viene costituita, lo stesso va qualificato come reato di pericolo presunto,

precisando, che per la sua "configurabilità occorre ... l'esistenza di una struttura

organizzativa, con un programma comune fra i partecipanti, finalizzato a sovvertire

violentemente l'ordinamento dello Stato e accompagnato (tuttavia) da progetti concreti e

attuali di consumazione di atti di violenza (cfr., cass. 11 maggio 2000, n. 3486, RV.

216253), in quanto oggetto della repressione penale è il programma di violenza

suscettibile di concreta attuazione e "non l'idea anche se questa è collocata in un'area

ideologica in contrasto con l'assetto costituzionale dello Stato" (cfr., cass. 7 aprile 1987, n.

8952, RV. 176516). Anche il concetto di "atti terroristici di violenza", è stato elaborato dalla

giurisprudenza, che, in linea di massima, ed il concetto è da condividersi, ha ritenuto tali gli

atti idonei ad ingenerare "panico nella popolazione" (cfr. cass. sez. unite 23 novembre

1995, n. 2110, RV. 203770, cass. 26 novembre 1986, n. 13606, RV. 174491, cass. 8

ottobre 1985, n. 12076, RV. 171362), "ad incutere timore nella collettività con azioni

criminose indiscriminate, dirette, cioè, non contro le singole persone ma contro quello che

esse rappresentano o, se dirette, contro la persona indipendentemente dalla sua funzione

nella società, miranti ad incutere timore per scuoterne la fiducia nell'ordinamento costituito

e indebolirne le strutture" (cass. 30 ottobre 1986, n. 3130, RV. 175352).

Principi, in linea, con la decisione quadro del Consiglio UE sulla lotta contro il terrorismo

del 13 giugno 2002 (pubblicata sulla G.U. della Comunità Europea n. L 164 del 22 giugno

2002) che, rispetto all'art. 270-bis, c.p. presenta un elevato grado di specificità in quanto

contiene sia la definizione della "finalità di terrorismo", sia l'elencazione degli atti, che,

quando sono compiuti con dette finalità, possono essere considerati "reati terroristici".

Definizioni che ben possono essere utilizzate dall'interprete ai fini della configurazione del

delitto associativo in esame in quanto idonee a circoscrivere in margini meglio definiti la

fattispecie criminosa laddove viene precisato che sono atti terroristici quelli indicati dalle

lettere da a) ad h) dello stesso articolo, compiuti o "minacciati" "al fine di - intimidire

gravemente la popolazione o costringere indebitamente i poteri pubblici o

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un'organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o -

destabilizzare gravemente o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali

economiche o sociali di un paese o un "organizzazione internazionale".

Quanto, poi, ai "reati terroristici" la loro elencazione (attentati alla vita ed alla integrità

fisica, sequestri di persona, danneggiamenti "di vasta portata" di strutture governative, di

sistemi di trasporto, di infrastrutture, di sistemi informatici, dirottamenti aerei e navali,

fabbricazione, detenzione acquisto di armi, convenzionali, atomiche, chimiche, e

biologiche, ecc), coincidono con gli "atti di violenza" indicati più genericamente nell'art.

270-bis c.p. che, secondo la giurisprudenza, si contraddistinguono per la caratteristica di

incutere "timore nella collettività".

Tanto precisato deve affermarsi che a tali principi si attenuto il tribunale di Brescia.

Da una parte, infatti, ha dato conto della circostanza che l'organizzazione "Ansar al Islam",

già "listata" come "associata a Osama Bin Laden, alla rete Al-Qaeda ed ai Talibani",

doveva considerarsi sulla base degli elementi raccolti una organizzazione terroristica. A

tale fine precisando che dalle intercettazioni, dalla documentazione sequestrata, dalle

dichiarazioni di tale mullah Krekar era risultato che l'organizzazione in esame operava a

sostegno della causa islamico-terrorista, che aveva organizzato attentati in Tunisia (contro

il presidente della Repubblica), in Marocco e contro l'Italia (progetti di attentati al duomo di

Cremona ed alla Metropolitana di Milano), elementi tutti che dimostravano le finalità di

terrorismo, essendo evidente lo scopo destabilizzante degli attentati programmati;

dall'altra, fornendo, con motivazione logica ed esaustiva, la prova dell'esistenza di un

grave quadro indiziario dell'inserimento del Drissi nella cellula di Brescia di tale

organizzazione.

Nella stessa, infatti, secondo l'ordinanza impugnata, il Drissi ricopriva il ruolo da

considerarsi "apicale" consistente, tra l'altro, nel reclutare uomini esperti in "rapimento,

sequestro e dirottamento" (khataf) da inviare nei campi di addestramento dell'associazione

in Khurdistan, nel finanziamento di tali attività, nel compiere opera di proselitismo, tutte

attività altamente sintomatiche del pieno inserimento del ricorrente nell'organizzazione

terroristica.

Né sussiste la denunziata violazione dell'art. 273, comma 1^-bis, c.p.p. in quanto, a parte

la non specificità del rilievo, l'ordinanza impugnata elenca sistematicamente gli indizi a

carico dell'indagato, indicando per ciascuno la provenienza ed i relativi riscontri (peraltro,

in alcuni casi non necessari, trattandosi di documenti sequestrati o di intercettazioni di

conversazioni dello stesso indagato).

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Né sussiste, anche in relazione "al tempo trascorso tra la realizzazione dell'illecito e

l'adozione della misura cautelare la denunziata sproporzione tra la pericolosità del

ricorrente e la misura cautelare disposta, in quanto il reato contestato è di natura

permanente e non risulta che tale permanenza sia cessata, mentre, come precisato

nell'ordinanza impugnata, i collegamenti internazionali, il pericolo di inquinamento delle

prove, la gravità dei fatti, la inapplicabilità allo stato, in considerazione della pena edittale,

del beneficio di cui all'art. 163 c.p. rendevano inidonea ogni diversa misura meno afflittiva.

Quanto, infine, alla applicazione dell'art. 275, comma 4, c.p.p. deve rilevarsi che nessun

vizio di manifesta illogicità della motivazione viene denunziato dal ricorrente in ordine alla

non ritenuta gravità delle condizioni di salute della moglie (sofferenza agli arti inferiori ed

ad una vertebra lombare da esiti di ernia discale), per cui la circostanza che tale malattia

possa durare nel tempo è del tutto irrilevante una volta che si è esclusa in radice la gravità

della patologia.

Il ricorso deve, pertanto, essere rigettato con la conseguente condanna del ricorrente al

pagamento delle spese del procedimento. La cancelleria provvedere alle comunicazioni di

cui all'art. 94, comma 1- ter, disp. att. c.p.p..

P. Q. M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

Dispone che la cancelleria provveda alle comunicazioni di cui all'art. 94, comma 1^-ter,

disp. att. c.p.p..

Così deciso in Roma, il 21 giugno 2005.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2005

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Claudio Maria Polidori,

Avvocato patrocinante avanti la Corte di Cassazione e Professore a contratto, ha frequentato il 90°

Corso Allievi Ufficiali di Complemento dell’Esercito nell’Arma di Fanteria, transitando, in

congedo, nel Corpo Militare della Croce Rossa Italiana ove è attualmente Ufficiale Superiore in

congedo nel ruolo di Commissariato e Consigliere Regionale con delega al Corpo Militare.

Qualificato in criminologia e diritto penale militare, in sede di richiamo in servizio ha conseguito le

qualifiche di Consigliere Giuridico nelle Forze Armate e di Consigliere Giuridico Qualificato

Istruttore in Diritto Internazionale Umanitario. E’ presidente del CeSDiS (Centro Studi per la Difesa

e la Sicurezza), membro dell’ISTRID (Istituto Ricerche Difesa), dell’International Institute of

Humanitarian Law di Sanremo e della Commissione Nazionale DIU della Croce Rossa Italiana. Già

consulente dell’Autorità Portuale di Gioia Tauro per l’attuazione delle convenzioni internazionali in

materia di sicurezza del traffico marittimo e delle installazioni portuali, è stato docente presso la

Scuola di Guerra dell’Esercito in Civitavecchia e presso la Scuola di Guerra Aerea – Divisione

Formazione Superiore in Firenze. Dal 1999 è titolare dell’insegnamento di Diritto Penale Militare e

Diritto delle Operazioni Militari presso l’Istituto Superiore di Stato Maggiore Interforze (ISSMI)

del Centro Alti Studi per la Difesa (CASD), nonché coordinatore didattico dei Corsi CASD per

Consiglieri Giudici nelle Forze Armate. E’ autore di numerosi articoli e “voci” di Diritto Penale

Militare e Diritto Internazionale Umanitario pubblicati su “Digesto delle Discipline Penalistiche”,

“Informazioni della difesa”, “Rassegna dell’Arma dei Carabinieri”, “Rivista Aeronautica” e Analisi

Difesa. Per conto dell’ISTRID ha diretto la ricerca CeMiSS “Diritto Internazionale Umanitario:

violazioni e crimini nelle nuove tipologie di conflitto”. Con il Prof. Victorfranco Pisano è, inoltre,

autore dell’aggiornamento 2006 della ricerca CeMiSS “Minaccia terroristica e contromisure

nell’Unione Europea”.

E’ insignito della Croce di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana e della

Medaglia d’argento della Croce Rossa Italiana.