Il Tempo -...

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Il Tempo 1 . Il tempo è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi. Essa induce la distinzione tra passato, presente e futuro. La complessità del concetto è da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e scientifiche. La materia, come più intuibile riferimento, è, e (contestualmente) diviene (ossia assume altra forma). L'ovvietà di questa asserzione non tragga in inganno: essa sottende una contraddizione, perché l'essere di un oggetto è certificato dalla sua identità (nel tempo), ovvero dal suo permanente esistere; il divenire, invece, presuppone la trasformazione, ovvero la diversità (della forma), per cui impone un "prima" e un "dopo". Il tempo "trae origine" dalla trasformazione. I paradossi di Zenone, che molti secoli dopo sarebbero stati di aiuto nello sviluppo dei “limiti” e del “calcolo infinitesimale”, sfidavano in modo provocatorio la nozione comune del tempo e dello spazio; dello zero e dell’infinito. Anche Platone è stato influenzato da questa concezione. Secondo la sua celebre definizione “il Tempo” è "l'immagine mobile dell'eternità". Per Aristotele, invece, è la misura del movimento secondo il "prima" e il "poi", per cui lo spazio è strettamente necessario per definire il tempo. Solo Dio è motore immobile, eterno e immateriale. Secondo S. Agostino il tempo è stato creato da Dio assieme all'Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che il filosofo, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., afferma ironicamente: "Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so". Tuttavia S. Agostino critica una concezione del tempo aristotelica intesa come misura del moto (degli astri): nelle "Confessioni" afferma che il tempo è "distensione dell'animo" ed è riconducibile a una percezione propria del soggetto che, pur vivendo solo nel presente (con l'attenzione), ha coscienza del passato grazie alla memoria, e del futuro in virtù dell'attesa. 1 Kairos (χαιρός) è una parola che nell'antica Grecia significava "momento giusto o opportuno" o "tempo di Dio". Gli antichi greci avevano due parole per il tempo, kronos e kairos. Mentre la prima si riferisce al tempo logico e sequenziale la seconda significa "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade. Ciò che è la cosa speciale dipende da chi usa la parola. Chi usa la parola definisce la cosa, l'essere della cosa. Chi definisce la cosa speciale definisce l'essere speciale della cosa. È quindi proprio la parola, la parola stessa, quella che definisce l'essere speciale. Mentre Kronos è quantitativo, Kairos ha una natura qualitativa. Come divinità Kairos era semi-sconosciuto, mentre Kronos era considerato la divinità del tempo per eccellenza. 1

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Il Tempo1. Il tempo è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi. Essa induce la distinzione tra passato, presente e futuro. La complessità del concetto è da sempre oggetto di studi e riflessioni filosofiche e scientifiche. La materia, come più intuibile riferimento, è, e (contestualmente) diviene (ossia assume altra forma). L'ovvietà di questa asserzione non tragga in inganno: essa sottende una contraddizione, perché l'essere di un oggetto è certificato dalla sua identità (nel tempo), ovvero dal suo permanente esistere; il divenire, invece, presuppone la trasformazione, ovvero la diversità (della forma), per cui impone un "prima" e un "dopo".

Il tempo "trae origine" dalla trasformazione. I paradossi di Zenone, che molti secoli dopo sarebbero stati di aiuto nello sviluppo dei “limiti” e del “calcolo infinitesimale”, sfidavano in modo provocatorio la nozione comune del tempo e dello spazio; dello zero e dell’infinito. Anche Platone è stato influenzato da questa concezione. Secondo la sua celebre definizione “il Tempo” è "l'immagine mobile dell'eternità". Per Aristotele, invece, è la misura del movimento secondo il "prima" e il "poi", per cui lo spazio è strettamente necessario per definire il tempo. Solo Dio è motore immobile, eterno e immateriale. Secondo S. Agostino il tempo è stato creato da Dio assieme all'Universo, ma la sua natura resta profondamente misteriosa, tanto che il filosofo, vissuto tra il IV e il V secolo d.C., afferma ironicamente: "Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so". Tuttavia S. Agostino critica una concezione del tempo aristotelica intesa come misura del moto (degli astri): nelle "Confessioni" afferma che il tempo è "distensione dell'animo" ed è riconducibile a una percezione propria del soggetto che, pur vivendo solo nel presente (con l'attenzione), ha coscienza del passato grazie alla memoria, e del futuro in virtù dell'attesa.

1 Kairos (χαιρός) è una parola che nell'antica Grecia significava "momento giusto o opportuno" o "tempo di Dio". Gli antichi greci avevano due parole per il tempo, kronos e kairos. Mentre la prima si riferisce al tempo logico e sequenziale la seconda significa "un tempo nel mezzo", un momento di un periodo di tempo indeterminato nel quale "qualcosa" di speciale accade. Ciò che è la cosa speciale dipende da chi usa la parola. Chi usa la parola definisce la cosa, l'essere della cosa. Chi definisce la cosa speciale definisce l'essere speciale della cosa. È quindi proprio la parola, la parola stessa, quella che definisce l'essere speciale. Mentre Kronos è quantitativo, Kairos ha una natura qualitativa. Come divinità Kairos era semi-sconosciuto, mentre Kronos era considerato la divinità del tempo per eccellenza.

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Sant'Agostino nel XI libro delle Confessioni affronta questo problema e lo risolve trasponendo il tempo (passato e futuro) nell'anima:

la memoria è la presenza del passato, l'aspettativa prospettica è la presenza del futuro. Il futuro e il passato sono modalità del presente.

In fondo senza Agostino noi non riusciremmo ad uscire dal paradosso se non introducendo concetti come "presenza del passato e del futuro". Agostino probabilmente si rifà al passo della Fisica dove Aristotele avendo delineato il tempo come "numero del movimento secondo il prima e il dopo" riporta poi all'anima la possibilità di contare e numerare. Innumerevoli altri poeti, scrittori filosofi, pensatori, ( Paul Ricouer, Martin Heidegger, G.F.W.Hegel ), si sono cimentati nei secoli a riflettere sul “TEMPO”; purtroppo la finalità del presente testo non ci consente di approfondite l’argomento che risulta particolarmente affascinante. Possiamo però dire che tutte le riflessioni sul caso in discussione, ci hanno portato, nel terzo millennio, ad interessarci del “TEMPO” e riflettere su come questi interferisca e condizioni attualmente sia l’Economia che la Finanza. Infatti nessuno lo dice mai, ma ormai il vero padrone dell’Economia è il TEMPO. Nessuna variabile, più del Tempo, comanda e guida l’Economia. Gli investimenti guardano al futuro: il breve o lungo termine, le trimestrali delle aziende, i bilanci annuali, i processi decisionali di Enti Pubblici preposti con assoluta discrezionalità a rilasciare autorizzazioni a fare o a non fare, a modificare o a trasformare proposte di piani di fattibilità urbanistico-territoriale e/o semplici iniziative edilizie, tutto è ormai scandito dalla incerta durata dello scorrere del tempo. Ma ciò che ci interessa del “Tempo” è il fatto che, dal punto di vista economico, il suo scorrere non è ininfluente; moltissime teorie economiche sono incentrate sul Tempo e sul concetto della sua durata. Perché è importante capire il valore/prezzo del Tempo? perché se si comprende il valore/prezzo del Tempo, si potrà accedere alla comprensione di quei meccanismi, più o meno complessi, del mondo della finanza. Il Tempo non è una cosa da ignorare o sottovalutare2. Il Tempo è importante anche per un’altra variabile che viene considerata nelle valutazioni economico-finanziarie: l’incertezza del futuro, o meglio: “l’incertezza circa l’andamento nel futuro”. Ma di una cosa abbiamo assoluta certezza: “il futuro arriverà”. Purtuttavia, il fatto che una cosa sia certa nel suo avvenire, non comporta automaticamente il fatto che la renda certa nel suo divenire. Occorre quindi considerare il Tempo almeno sotto due dimensioni: una, quella strettamente temporale; ed un’altra, legata all’incertezza. Ovviamente le due “dimensioni” avranno pesi diversi nella nostra disciplina, pesi legati a diverse circostanze (rischiosità del mercato, rischiosità dell’investimento, rischiosità dell’erogante, rischiosità-solvibilità del fruitore, etc.). Ovviamente più l’orizzonte temporale si amplia, più aumenta il rischio dovuto – cèteris pàribus - all’incertezza degli eventi futuri probabili e/o possibili.

2 Per inciso troviamo che Keplero scoprì che il Tempo dominava la sua seconda ma ancor più la sua terza legge cosmologica: qualunque sia il pianeta, il quadrato del suo TEMPO di rivoluzione intorno al sole è proporzionale, a meno di una costante K, al cubo del semiasse maggiore dell’ellissi della sua orbita (T2 = ka 3).

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Sull’argomento, nel 2002, anche Pietro Bonazza – dottore commercialista dell’Ordine di Brescia – , scrisse un articolo di una chiarezza disarmante che ben illustrava, anche nel campo ragioneristico-aziendale, quanto fin qui detto. Il Bonazza affermava, con convinta provocazione, che ai quattro tradizionali fattori della produzione: terra, lavoro, capitale e imprenditore era ormai da aggiungere il “tempo”, poiché nella strategia dell’impresa attuale esso è un fattore sempre più scarso, dati i ritmi, le velocità e le accelerazioni, in cui bisogna assumere decisioni strategiche. Si chiedeva altresì: se il tempo è un fattore della produzione per la sua scarsità, deve avere come corollario una remunerazione; quale? Si rispondeva che la remunerazione del fattore tempo è il “non fallimento” dell’operazione decisa nell’ambito della strategia. Evitare quindi il fallimento di una operazione, perché decisa nel tempo rapido e debito, è, in effetti, una remunerazione, che può persino essere valutata in termini economici. Il suo valore virtuale – di contingenza – [(cfr. gli aspetti economici: ”danno evitato” § 7.11. - i)]: è pari almeno a “quanto sarebbe stato il costo della dispersione di risorse”, se l’operazione fosse fallita a causa di intempestività, ma, si potrebbe aggiungere, anche di eccessivo anticipo. La storia economica è piena di fallimenti di intraprese premature. In economia il “tempo” si accorcia sempre più e questo è l’angustia dell’imprenditore e la causa di certe sue alienazioni e depressioni, ma la riduzione deve essere quella del prevedibile e dell’ordinario – inteso come più frequente – non del profetico. Il tempo in economia più che un Kronos è un Kairos, cioè la “giusta dimensione” come dicevano i greci, determinabile in relazione al momento attuale, poiché tutto è relativo. Nel prosieguo dello studio si potrà vedere come e in che misura la valutazione del Tempo condizioni i risultati delle “stime” territoriali/immobiliari ed i relativi conclusivi giudizi di valore e/o criteri di ragionevolezza. Nelle attuali stime economiche che interessano estesi manufatti da realizzarsi su vasti territori, quindi, si dovrà dividere il fattore TEMPO in quattro ben distinte fasi:

1) Tempo processuale , periodo legato ai rilievi topografici, agli studi di fattibilità ed alla progettazione; ai permessi comunali, ai pareri discrezionali senza scadenze delle varie soprintendenze, delle regioni, dei parchi, delle comunità montane, degli usi civici, dei comitati di quartiere, etc. etc.

Tale periodo può andare oggi, da 2 a oltre 6 ÷ 8 anni a secondo delle varie realtà politiche locali, provinciali, regionali, nazionali … a volte si deve rinunciare all’intrapresa dopo aver anticipato ingenti risorse per studi di fattibilità, di impatto ambientale, etc. Il tutto dovrebbe far parte dell’ordinaria aliquota “incertezza” e “rischio d’impresa”; ma spesso l’assodata e pervasiva collusione tra pubblico e privato distorce e stravolge il libero mercato annichilendo la benemerita ed utile funzione della “libera concorrenza”.

2) Tempo tecnico, questo periodo, dedicato alla realizzazione, è facilmente individuabile dall’esperto estimatore in quanto legato a tipologie ordinarie e/o speciali ma ben conosciute dagli Architetti e Ingegneri. Esso va ordinariamente da uno a due o tre anni … e oltre, a seconda dell’estensione e tipologia delle opere realizzande.

3) Tempo di Commercializzazione, è il periodo immediatamente successivo all’ultimazione delle dette opere (può iniziare addirittura durante l’esecuzione delle opere stesse) e attiene al tempo necessario per vendere o affittare le unità immobiliari realizzate. Esso va ordinariamente da 6 a 18 mesi dall’ultimazione delle opere commercializzate e risente molto dell’andamento del Mercato.

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4) Tempo di metabolizzazione territoriale, durante il quale si realizza il tempo di antropizzazione puntuale, nonché il tempo di armonizzazione, nel contesto urbano dell’intervento, il quale partecipa alla creazione dell’immaginario collettivo-produttivo di una ordinaria e sistematica utilizzazione di quell’ambito, che verrà riconosciuto come parte integrante del tutto. questo periodo non viene normalmente considerato nelle stime economiche di previsione progettuale. Interessa principalmente i privati risparmiatori-consumatori ed i quadranti periferici delle città, che vedono l’aumento del valore dei beni immobiliari nel tempo (Capital Gain)3 quale sicurezza e garanzia per il proprio futuro e per quello dei loro figli e nipoti. Normalmente questo periodo può essere ricompreso nei successivi 25÷50 anni dall’entrata in règime delle costruzioni in esame, durante il quale lasso di tempo, grazie all’espansione della città (conurbazione) e alla crescente idoneizzazione urbanistica dei vari comprensori e quartieri, l’utilità generalizzata del bene e quindi il “valore reale” (e non il prezzo nominale) può addirittura triplicare, o quadruplicare.

Nel frattempo possiamo riflettere intorno a un recente inedito uso strumentale del “tempo” manipolato dal mondo della “finanza creativa” e da certe Banche d’Affari, con canali paralleli a quelli legali, da far accapponare la pelle: il “ flash order” -ordine lampo-. Si tratta di negoziare (anonimamente) i “titoli” non più urlando e facendo gesti codificati nel “recinto delle grida” o corbeille di una Borsa, ma operando telematicamente in Hft (hight frequency trading) transazioni ad alta frequenza, tramite un algoritmo che opera in nanosecondi. Attivato da un mostruoso marchingegno elettronico, posto il più vicino possibile al server legale degli Istituti di Credito, permette di conoscere in anticipo – anticipo di 0,03 secondi – il prezzo di un’azione, di una obbligazione, di un derivato o di altra merce finanziaria, prima che diventi di pubblico dominio. In quei tre centesimi di secondo, l’algoritmo valuta, pondera, confronta e poi decide di acquistare o lasciar perdere. Ovviamente nell’operazione il fattore umano con il suo bagaglio di intuito, esperienza, saggezza, criterio, prudenza, buon senso, è accantonato; pensa a tutto l’algoritmo (male, visto il susseguirsi generalizzato di bolle, di crack, della vaporizzazione del danaro e della montagna di titoli spazzatura finiti, alla velocita di 0,03 secondi, nei forzieri delle banche al posto dei soldi veri). Sull’argomento torneremo nei capitoli successivi, ove si parlerà dei metodi di valutazione. Possiamo allora finalmente concludere che allo stato si può e si deve procedere ad una ulteriore rivisitazione critica e aggiornamento della consistenza dei fattori della produzione suddividendoli ora – 2014 – nel modo seguente:

1) la Terra Naturale; 2) il Lavoro dell’Uomo 3) il Capitale 4) l’ Imprenditore 5) Il Tempo

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3 Capital gain è un termine inglese con il quale si indica il guadagno in conto capitale. Per definizione il capital gain è la differenza tra il prezzo di acquisto e quello di vendita di uno strumento finanziario. Nel nostro caso riguarda l’aumento del prezzo di vendita di un immobile rispetto al prezzo d’acquisto.

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CAPITOLO 13

VALUTAZIONE ECONOMICO-FINANZIARIA DEGLI INVESTIMENTI IMMOBILIARI ANALISI COSTI-RICAVI (Metodo Dinamico)

13.1. Le origini del metodo di Valutazione Finanziaria (valoriz- zazione/trasformazione) dei beni stabili pubblici/privati. In questi ultimi quattro lustri abbiamo assistito alla fondazione della Unione Europea ed alla adozione della moneta unica: l’EURO (€). La globalizzazione dei mercati mondiali ha portato fin dagli anni ‘90 la “Finanza” a prevalere sulla “Economia Reale” di cui era stata, fin dalla notte dei tempi, ancella fedele e sottomessa. Ciò ha portato, come universalmente noto, a gravi dissesti degli Istituti di Credito in tutto il mondo e più specificatamente nell’eurozona, sui quali sarebbe ozioso in questa sede qualsiasi commento. I nuovi accordi interbancari di Basilea 1 e 2 nonché il recente accordo di Basilea 3 4, secondo le prime stime effettuate da Deloitte per il «Sole-24 Ore», comporterà forse per gli istituti di credito italiani un notevole aggravio in termini di capitale. Le nuove proposte potrebbero comportare un aumento degli attivi bancari ponderati per i «rischi di mercato» tra il 30% e il 60%, mentre sui «rischi di controparte» si potrebbe assistere a un quasi raddoppio: questo forzerà le banche ad aumentare il capitale e, di conseguenza, a rendere più onerosa la strutturazione dei crediti. Insomma: la "stretta" che gli organismi internazionali stanno studiando sulle banche del mondo intero, rischia di essere così "stretta" che alla fine ad essere "strozzato" sarà il credito a imprese e famiglie. Il tema è ipertecnico, ma alla fine coinvolge tutti. Gli accordi di Basilea sono quelli che – da anni – stabiliscono quanto capitale ogni banca debba avere in riserva per far fronte ai rischi delle sue attività. L'idea di base è che ogni attività (dall'erogazione di crediti al trading su azioni) comporta dei rischi: a fronte di questi, quindi, il Comitato di Basilea obbliga le banche a mettere da parte del capitale. Il problema è: quanto ne serve per rendere le banche solide, ma non imbrigliate da troppi vincoli? Basilea 1, cioè la prima versione degli accordi, tagliava la testa al toro applicando un metodo totalmente standard. Ma questo metodo non era efficiente. Per un motivo banale: prestare soldi a un'impresa solida non è rischioso come prestarli a una sull'orlo del fallimento. Per questo gli accordi di Basilea sono stati modificati. L'idea di Basilea 2 è di ottimizzare il capitale delle banche in modo che i singoli istituti, usando anche

4 Con l'espressione Basilea 3 si indica un insieme di provvedimenti approvati dal Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria in conseguenza della crisi finanziaria del 2007-08 con l'intento di perfezionare la preesistente regolamentazione prudenziale del settore bancario (a sua volta correntemente denominata Basilea 2), l'efficacia dell'azione di vigilanza e la capacità degli intermediari di gestire i rischi che assumono. Trattandosi di un insieme di innovazioni articolato e complesso, la Banca d'Italia ha istituito al proprio interno un help-desk Basilea 3 per assistere le banche italiane nella corretta comprensione delle nuove norme.

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sistemi di rating avanzati, potessero valutare meglio i rischi di ogni attività. Questo metodo ha mediamente ridotto la quantità di capitale necessario. Secondo Deloitte per la misurazione dei «rischi di mercato» (quelli da trading) il passaggio da Basilea 1 a Basilea 2 ha comportato un calo degli attivi, ponderati per i rischi stessi, tra il 40% e il 75%. Stesso discorso per i «rischi di controparte», che da Basilea 1 a 2 hanno ridotto gli attivi ponderati fino al 50%. Morale: Basilea 2 ha diminuito la quantità di capitale necessario (mediamente del 7,1% per le banche che hanno usato le versioni più avanzate) e, di conseguenza, ha reso possibile l'espansione del credito. Poi è arrivata la crisi, che ha messo in evidenza tutte le lacune di rating e gestione dei rischi, e di Basilea 2. Così è ora allo studio una salutare stretta. Il rischio, temono però in tanti, è di arrivare all'eccesso opposto. In Italia – stima Deloitte5 – gli attivi ponderati per i rischi di mercato e di controparte potrebbero tornare ai livelli di Basilea 1. E questo eliminerà quasi tutti i vantaggi in termini di capitale. La Banca d'Italia ha appena avviato uno studio per valutare l'impatto delle nuove proposte. Alla fine del 2012, però, gli U.S.A. hanno rinunciato ad applicare dal gennaio del 2013 la prima tappa delle regole di Basilea 3; cioè l’economia più grande del mondo fa slittare la “stretta” sui capitali delle Banche. A questo punto anche l’EU pensa di far slittare “la stretta” per non avere un mercato a due corsie: una più stringente in Europa e l’altra più lasca in America. Rimaniamo tutti in attesa delle decisioni finali della FED. È in questo clima che il metodo bancario, o meglio l’approccio finanziario si è insinuato nel tranquillo mare ove veleggiavano da sempre i metodi e la filosofia dell’l’Estimo “agrario” che si era andato trasformando e raffinando nell’Estimo “urbano” e poi, nei nostri giorni nell’Estimo Urbano-Eco-territoriale-Ambientale. Gli Istituti di credito, dall’alto della usurpata loro nuova supremazia di potere decisionale politico-economico-amministrativo, hanno preteso nel momento che sono diventati essi stessi “Banche d’Affari”6, che nei piani industriali di insediamento “a vita intera”, vuoi residenziali, vuoi direzionali che produttivi, comparisse anche l’elaborazione della redditività dell’iniziativa sotto forma di flussi finanziari i quali avrebbero garantito attraverso opportuni tassi di attualizzazione, il rientro dei capitali anticipati nei tempi contrattuali, oppure avrebbero costituito per gli investitori (speculatori?) immobiliari (pubblici e/o privati), una base contabile per il conteggio degli utili e/o dividendi spettanti ai loro soci finanziatori delle intraprese immobiliari : i cosiddetti [im]prenditori.

5 Deloitte è una tra le più grandi realtà nei servizi professionali alle imprese in Italia, dove è presente dal 1923. Vanta radici antiche, coniugando tradizione di qualità con metodologie e tecnologie innovative. I servizi di audit, tax, consulting e financial advisory sono offerti da diverse società e studi specializzati in singole aree professionali e tra loro separate e indipendenti, ma tutti facenti parte del network Deloitte. Questo oggi conta 3.000 professionisti, i quali assistono i clienti nel raggiungimento di livelli d’eccellenza grazie alla fiducia nell'alta qualità del servizio, all’offerta multidisciplinare e alla presenza capillare sul territorio nazionale. 6 Banca d’affari Organismo finanziario che sovvenziona investimenti a lungo termine, svolgendo la sua attività anche tramite l’acquisizione di partecipazioni al capitale delle imprese assistite. La banca d’affari, a differenza della banca commerciale, non contempla depositi in denaro da parte dei propri clienti. Nello scenario attuale, le banche d’affari, forniscono consulenza specializzata a imprese che operano in settori diversi, offrono supporto e competenze approfondite in operazioni di fusione e acquisizione (merger and acquisition) e si occupano, altresì, di investimenti dal rischio elevato e quindi dai rendimenti elevati.

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Ė appena il caso di riflettere sulle straordinarie pseudo-competenze, trasparenze e utilità sociali detenute da queste potentissime organizzazioni tecnico-scientifico-finanziarie (si può aggiungere : …“politiche” ?) . Se ben ricordiamo (πάντα ῥεῖ) nel corso dell’ultima crisi finanziaria (2008), i cui effetti si sono manifestati in modo tangibile sia sul mercato finanziario sia sull’economia reale, tre delle principali “banche d’affari” mondiali (Bear Stearns, Lehman Brothers e Merrill + Lynch), considerate unanimemente titani del sistema finanziario statunitense, sono fallite o sono state acquisite da altri gruppi finanziari. Che succede da noi se un’impresa o un’industria fallisce rovinosamente ? il minimo che poteva accadere qualche anno fà era la messa al bando dal mondo economico imprenditoriale degli Amministratori incapaci ed inetti nonché la cacciata disonorante del diretto responsabile dal suo ruolo dirigenziale. Oggi invece assistiamo attònici al “gioco dei quattro cantoni” : un A.D. che ha portato sull’orlo del fallimento una grande impresa e/o società di rilevanza pubblica ed importanza nazionale, società che ha accumulato debiti per decine di miliardi di euro (sic!), viene omaggiato con qualche milione di euro quale “buonuscita” e un nuovo affido di altra società pubblica o privata di cui è facile preconizzarne il…(come direbbero i molto competenti soloni della finanza?)...default 7 . Ma l’aspetto più pomposo di questo radicale cambiamento lo si è avuto nell’assistere alla immissione continua e furtiva ed al successivo propagarsi nello ambito economico-finanziario, di neologismi e di termini “anglofoni” appartenenti alla bassa cucina dell’alta finanza. I “misteriosi ed inesplicabili” vocaboli sparati sul viso dei timidi artigiani che andavano a chiedere un prestito, o degli importanti imprenditori che nel timore di apparire “a rotten person” fingevano di comprendere tutto ed annuivano calorosamente, accettando e firmando contestualmente, nella più completa inconsapevolezza, scandalosi contratti-capestro redatti con caratteri microscopici riguardanti ordinari finanziamenti, sono stati e seguitano ad essere

7 Default ‹difòolt› sostantivo inglese (dal francese défaut «difetto»), usato in italiano al maschile (e comunemente pronunciato ‹defòolt›). – Nel linguaggio finanziario, condizione di insolvenza di una banca o di un paese nei confronti di obbligazioni o debiti; per estensione, fallimento: dichiarare default.

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espressioni iniziatiche pronunciate da molti apprendisti stregoni che spesso nemmeno conoscono il significato di quel che dicono. Diceva bene il nostro drammaturgo comico Ettore Petrolini nel suo celebre “NERONE”:

“…è piaciuta questa parola… ‘pria’ …il popolo, quando sente le parole difficili, … s’affeziona”;

ed aggiungeva:

“….lo vedi all'urtimo com’è il popolo? Quando s’abitua a dì che sei bravo, pure che nun fai gnente, sei sempre bravo!... ” Attualmente questa “moda” è tanto pervasiva e diffusa che lo scrivente, scoraggiato, non tornerà più sull’argomento, rilevando però che il Sole24Ore da molti anni si diletta a pubblicare le nuove parole di economia e finanza: moderni “bignamini” per saccenti e sussiegosi “esperti in gestione finanziaria”. 13.1.1. La ineludibile necessità di acquisire le indispensabili ulteriori nuove competenze da parte dell’ Estimatore. L’Esperto Estimatore immobiliare fino a qualche lustro fa, come precedentemente ampiamente esposto, era impegnato a risolvere i vari quesiti estimativi alla luce dei canonici cinque fondamenti o principi dell’Estimo: Scopo, Previsione, Prezzo, Comparazione, Ordinarietà. Lo scopo della stima innescava la ricerca dei vari criteri o aspetti economici tradizionali da adottare per la stima stessa : Valore di Mercato, Valore di Costo, Valore di Trasformazione, Valore Complementare, Valore di Surrogazione; cui si erano aggiunti negli ultimi anni: Valore Mancato, Valore Reddituale, Valore d’Uso Sociale, Valore Virtuale; Valore Cauzionale. I metodi, poi, si limitavano a quello Sintetico Diretto (o per comparazione), ed a quello Sintetico Indiretto (o per Capitalizzazione dei Redditi Dispiegati dal bene Stabile). A metà strada tra “criterio” e “metodo” si poneva, e si pone tuttora, il procedimento afferente il “costo di ricostruzione deprezzato” utile per la valutazione di beni extraordinari, culturali, ambientali, monumentali, caratterizzati da scarsità e/o addirittura da unicità. Tutto quanto sopra, afferiva la stima di due principali categorie o gruppi di beni immobili:

1) Stima di beni immobile esistenti; 2) Stima di beni immobili da trasformare e/o ancora da realizzare.

Per il primo gruppo –[ immobili esistenti ]- non esisteva né esiste problema alcuno: le incognite in gioco sono limitate in quanto l’immobile è già realizzato; la preoccupazione della Proprietà e la preparazione del tecnico estimatore si limitava e si limita, oltre ai normali procedimenti di valutazione economica (ampiamente esposti nei capitoli precedenti), solamente alla individuazione e quantificazione empirica dei rischi gestionali:

- Rischio locatario; - Rischio Contesto;

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- Rischio Endogeno (Property) Le caratteristiche appena riportate, sono ampiamente contemplate nel metodo comparativo multicriteriale per ”punti di merito o valori tipici”, già riportato nel presente testo, nei capitoli precedenti. I surrichiamati rischi, riguardano più dettagliatamente: I°- Il rischio locatario: Il valore di un investimento immobiliare è legato ai flussi che il proprietario ottiene dai soggetti a cui cede in locazione oppure vende l’immobile. Il risultato dell’investimento immobiliare dipende, quindi, dalla capacità dei locatari di pagare i canoni alle scadenze stabilite dal contratto e per massimizzare il valore atteso del portafoglio di investimento devono essere scelti gli immobili che permettono, a parità di rendimento, di ridurre l’esposizione al rischio di insolvenza/illiquidità dei locatari. L’affidabilità e la forza contrattuale del conduttore del fabbricato costituiscono quindi il primo insieme di fattori che occorre valutare per stimare la variabilità dei rendimenti di locazione. Gli studi realizzati in letteratura hanno verificato la predominanza del reddito degli individui come variabile statistiche per stima del rischio di controparte ma hanno identificato anche altri fattori che possono influenzare il rischio locatario. Alcune analisi hanno evidenziato una maggiore rilevanza del livello di liquidità degli asset rispetto al valore assoluto del patrimonio disponibile nella determinazione del rischio di controparte e hanno dimostrato che profili qualitativi, come età, educazione e razza, possono influenzare la capacità di onorare gli impegni assunti alle scadenze previste. II° - Rischio Contesto : In particolare, il rischio in esame può essere misurato tramite il calcolo di diversi indicatori: la variabilità del rendimento di locazione registrata nel tempo, la volatilità del prezzo degli edifici, il divario tra prezzo inizialmente richiesto dal venditore e prezzo finale di compravendita, i tempi medi di liquidazione dell’investimento e il numero di transazioni concluse nella zona. Una corretta valutazione del rischio di un’unità immobiliare richiede quindi non solo l’analisi della volatilità dei rendimenti, ma anche un attento monitoraggio delle strategie e delle reali possibilità di smobilizzo dell’investimento. Nel caso in cui sia agevole e nel tempo economicamente conveniente cedere l’immobile, risulta infatti ridimensionato il livello di rischio a esso attribuibile. La valutazione del rango di un quartiere o di una città, cioè di un mercato, non può essere statica, poiché deve prendere in considerazione il possibile trend prospettico della zona in cui è ubicato l’immobile. Il concetto di rango deve quindi essere riferito alla capacità di una realtà urbana di crescere nella scala gerarchica, attraendo attività e concretizzando la propria leadership economica. Dopo aver espresso una valutazione in merito al rango generale del contesto territoriale in cui l’asset è ubicato, occorre verificare le condizioni di efficienza, stabilità e affidabilità del mercato immobiliare di riferimento. III° - La valutazione del rischio Endogeno (Property) : è strettamente legata all’andamento della domanda e dell’offerta di immobili ed evidenze empiriche hanno dimostrato come, indipendentemente dalle altre caratteristiche del bene, il trend dei prezzi presenti mediamente caratteristiche differenti. Per effettuare una corretta valutazione di un immobile, il potenziale proprietario-locatore dovrebbe, quindi, analizzare nel dettaglio la forza relativa della domanda. Questa, in particolare, risulta correlata alla specifica destinazione d’uso del fabbricato, ai connotati qualitativi ed estetici dello stesso e alle relative caratteristiche di

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fungibilità. Per quanto concerne le diverse tipologie immobiliari, il mercato immobiliare può essere suddiviso in residenziale, commerciale, industriale e terziario. Per il secondo gruppo –[ immobili da realizzare e/o da trasformare] - il punto di vista afferiva esclusivamente al proprietario puro (persona fisica o persona giuridica) e quindi per i beni immobili ancora da realizzare e/o trasformare, l’Estimatore procedeva in maniera lineare prevedendo accuratamente solo i volumi legalmente realizzabili, i probabili futuri costi, le rendite probabilmente ritraibili dal fabbricato una volta realizzato, scontando poi il tutto al momento della stima attraverso procedimenti semplici ed universalmente condivisi ancorchè non esasperatamente complessi. Le somme contabilizzate afferivano solo al proprietario che pagava con soldi propri e/o con quelli che prendeva a prestito oneroso dalla Banca. All’Esperto, per quanto riguardava il finanziamento dell’Opera non veniva chiesto altro che la valutazione degli oneri finanziari (costi) che il proprietario avrebbe dovuto pagare alla Banca per le anticipazioni ottenute ad un tasso stabilito, chiamato appunto “costo del denaro”: ( 6% - 8%). Tutti i rischi e le incertezze dell’intrapresa: tempi di realizzazione, costruzione, inflazione, collaudo, commercializzazione, inquietudine, ansia e batticuore, venivano tutti convogliati e ricompresi nel tasso di attualizzazione, chiamato tasso industriale di investimento produttivo atteso dal proprietario, tasso che veniva valutato aumentando del 3% ÷ 5% il prezzo d’uso del denaro ricevuto in prestito e che quindi veniva globalmente fissato preventivamente nell’intorno di un 9%÷13% o più, a seconda delle circostanze socio-economico-politico-legislative in essere nel periodo interessato, che dovevano essere puntualmente e minuziosamente scandagliate, studiate e poi adeguatamente motivate a giustificazione del tasso di attualizzazione più o meno alto, che si sarebbe adottato. Tutto quanto finora detto, ora non è più sufficiente ad affrontare le nuove e potenti sfide lanciate dalle attuali società globalmente industrializzate e finanziariamente attrezzate. Le attività si sono sempre più velocizzate e complicate e come già detto precedentemente, l’Economia tradizionale ha dovuto cedere il passo alla Finanza rampante e creativa. Le nuove generazioni degli Architetti, Urbanisti, Ingegneri, Geometri, etc. che in molti casi, non possiamo non convenire, hanno usufruito di vaste, consistenti e diffuse “rendite di posizione”, devono fare i conti ora, con la nuova realtà che si è andata modellando; Le loro competenze valutative, devono ampliarsi ed adeguarsi alle esigenze del “mercato globale” che si è andato formando, grazie agli innumerevoli operatori stranieri, su basi finanziarie. Oltre al costante esercizio dei “saperi” che i padri fondatori della disciplina estimativa ci hanno tramandato e la cui validità filosofico-culturale-umanistica permane comunque pragmaticamente inalterata, inviolabile, nonché utile ed utilizzata con successo ancora oggi, occorre imparare altresì a gestire con abilità ed intraprendenza i concetti, le metodologie e le logiche finanziarie che hanno riguardato finora solo i beni mobili ( liquidi e volatili per eccellenza) e che oggi si vogliono adattare ai beni immobili (fissi, duraturi, di utilità ripetuta e praticamente costante, inamovibili, intrasportabili, irriproducibili). Occorre apprendere bene e rivisitare non solo i fondamentali criteri e i metodi tradizionali per le stime immobiliari, ma anche i principi, i concetti e i metodi che sottendono

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le attività creditizie bancarie, nonché le operazioni contabili-finanziarie volatili utilizzate e applicate ora alle stime dei beni stabili. Elementi Storici Storicamente le istituzioni finanziarie, ora denominate "banche di investimento" sono, in effetti, le “banche” originali. Queste furono create nel Medioevo dai mercanti di grano italiani. A mano a mano che i mercanti lombardi e i banchieri crescevano di importanza sulla base del mercato cerealicolo della pianura lombarda, molti ebrei, in fuga dalle persecuzioni del regime spagnolo, vi si rifugiarono attratti dal fiorente commercio. Essi portarono con sé antiche pratiche commerciali utilizzate in oriente, sulle rotte della seta. Originariamente destinati al finanziamento di lunghi viaggi commerciali, queste pratiche furono utilizzate per sovvenzionare la produzione di grano. La storia moderna delle “banche d'affari” ha, invece, un'impronta tutta americana. Facendo un salto temporale fino ai nostri giorni, e precisamente negli anni trenta di questo secolo, troviamo che gli operatori statunitensi si concentravano prevalentemente nelle attività di intermediazione sui titoli, sottoscrivendo in proprio le emissioni e rivendendo a terzi i titoli. Questo tipo di operatività era così diffuso che nel 1933, il Glan-Steagall Act sancì formalmente i campi di azione tra quelle che saranno chiamate banche d’investimento (investment bank) e le banche commerciali (commercial banks). Alle banche di investimento era attribuita in via esclusiva, e quindi inibita alle banche commerciali, l'attività di intermediazione titoli. Alle banche commerciali veniva di converso riservata in via esclusiva l'attività di raccolta depositi. L'attività di intermediazione sul mercato immobiliare è rimasta quindi l'attività di maggior rilievo per le banche di investimento di matrice statunitense. Questa divisione si era imposta in termini legali per la preoccupazione che il potere dei banchieri sull'apparato industriale americano - e in particolare su quello del settore ferroviario, all'epoca in forte espansione - fosse troppo rilevante. Anche in Italia, nel 1936, il credito commerciale fu separato da quello mobiliare. Nel corso nel novecento, tuttavia, questo principio fu ribaltato a favore della concezione di una banca universale e i servizi delle banche d’affari sono divenuti, via via, solo attività dedicate alle necessità finanziarie delle imprese senza più vincoli normativi. La specializzazione di questo tipo di banca si è storicamente sviluppata a partire dalla raccolta di fondi esterni per le imprese (detta underwriting), seguita nel corso del tempo dalla progressiva capacità di acquistare e vendere titoli per conto terzi (servizi di brokerage o intermediazione finanziaria) e, infine, nella sua espansione nel campo della finanza aziendale (corporate finance). A grandi linee, possiamo dire che esistono tre tipi di tipologie di investment bank: 1. operatori globali: JP Morgan, Abn Amnro, Ubs, Deutsche Bank, Merrill Lynch, Credit Agricole, Bnp Paribas; 2. operatori nazionali: Banca Imi (San Paolo), Akros (Banca Popolare di Milano), Caboto (Banca Intesa); 3. operatori di nicchia: in genere, sono specializzati nella gestione dei patrimoni privati (private banking). Le analisi per la valutazione di fattibilità degli investimenti immobiliari, mostrano un avanzamento disciplinare che partendo da tecniche canoniche impiegate nell’ambito delle tradizionali stime immobiliari, giunge ad

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utilizzare, sempre per le stime immobiliari, tecniche afferenti strumenti complessi di derivazione finanziaria. Le tecniche che impiegano il metodo dei “flussi di cassa attualizzati” rappresentano gli strumenti più complessi per la valutazione degli investimenti immobiliari quali:

a) immobili da mantenere/dismettere b) immobili a reddito c) terreni edificabili

Sono i modelli che utilizzano il metodo dei flussi di cassa scontato, il cosiddetto: Discounted cash flow (DCF) o analisi costi–ricavi (ACR)

Questi modelli si sono andati lentamente consolidando nella letteratura internazionale relativa alla valutazione finanziaria degli investimenti immobiliari8; nella manualistica impiegata nella pratica professionale9; ed anche nell’ambito di certa letteratura estimativa italiana10; Ovviamente per valutare la fattibilità di un progetto, il modello finanziario basato sul DCF o ACR, deve fare delle esplicite assunzioni circa:

A) i tempi per i flussi di cassa;

B) i ricavi attesi dall’investimento;

C) i costi legati alla realizzazione e gestione dell’investimento;

D) il saggio di attualizzazione impiegato per valutare il valore attuale del

flusso di ri cavi netti;

Dopo questa concisa premessa che, siamo consapevoli, contiene ridondanti proposizioni concettuali, possiamo iniziare una breve panoramica sulle nuove ed innovative metodologie finanziarie, che, si badi bene, non sostituiscono, ma integrano quelle canoniche tradizionali le quali, come si può comprendere, si preoccupano tradizionalmente più della progettazione, realizzazione, costruzione, commercializzazione, vendita o affitto del bene immobile a realistici valori di mercato, anziché del finanziamento e dei dividendi che possono ricavare i finanziatori e/o gli [im]prenditori ai quali, una volta rientrati dell’investimento, non interessa più “il destino” che attende il bene immobile una volta ultimato. 13.2. L’approccio più diffuso per la stima economica delle attività imprenditoriali immobiliari, gradito ai vari Istituti di Credito e alle

8 (Jaffe, Sirmans, 1982; Pyhrr et al., 1989; Greer, 1997; Brown, Matysiak, 2000); 9 (Appraisal Institute, 1996; Rics, 1995; IVSC, 2000); 10 (Florio, 1985; Grillenzoni, Grittani, 1990; Prizzon, 1995; Curto, Fregonara, 1997; Simonotti, 1997, Tecnoborsa, 2002).

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varie Agenzie Finanziarie dello Stato, è, come detto, quello cosiddetto dei flussi di cassa. Per questa nuova filosofia operativa esisteva già uno strumento di grande fascino, di derivazione aziendalistico-creditizia-mobiliare, ricompreso negli standard di valutazione contabile internazionale per la formazione dei bilanci delle Aziende, o meglio per la loro GESTIONE:

“L’Approccio finanziario ( Discounted Cash Flow Analysis)”.

Questi consiste nell’applicazione (innovativa ma impropria per l’ambito immobiliare), dell’analisi dei flussi di cassa attualizzati, che individua il valore di un bene mobiliare come sommatoria attualizzata dei flussi di cassa da esso producibili; trattavasi della vecchia diffusa e familiare gestione di un’attività aziendale, redatta ordinariamente a consuntivo. L’analisi del flusso di cassa scontato (DCFA) utilizzato in modo inadatto e a volte ordinariamente addirittura scorretto per fornire stime economiche immobiliari, considera un orizzonte temporale di durata limitata (chiamato “a vita intera”: 3÷5 anni) legato in genere solo alle fasi di costruzione, alla durata degli interventi di trasformazione, alla scadenza dei diritti reali che gravano sull’immobile ed è esclusivamente finalizzata, come detto, alla quantificazione ed alla distribuzione dei dividendi delle quote societarie tra soci finanziatori, i quali subito dopo l’operazione abbandonano l’intrapresa: All’Ente proprietario e promotore della “valorizzazione” rimangono in eredità, tutti gli oneri attinenti alla gestione del manufatto ultimato, gestione non sempre profittevole o utile. Il DCFA è imposto ora, dagli Istituti di Credito e dagli Enti Pubblici, come detto e come si ripeterà fino alla noia, anche per la stima economica dei beni suscettivi di valorizzazione, quali gli immobili dismessi da riqualificare o aree di sedime da bonificare e/o legalmente edificabili. Il saggio interno di rendimento (SIR, TIR, o IRR) scaturente dalla stima preventiva redatta dagli Istituti Internazionali di Valutazione, costituisce un indicatore, per i finanzieri/finanziatori, nonché per i soci [im]prenditori, della redditività del capitale da questi investito. Si tratta di una metodologia nata, come è noto, nell’ambito contabile-aziendalistico riguardante l’analisi degli investimenti prettamente finanziari i cui elementi critici sono: • Il fattore rischio. • Il fattore tempo11; Il tutto comporta 5 fasi operative di seguito esplicitate:

1. Definizione dell’orizzonte temporale considerato (previsione); 2. Tipo di relazione tra valori del bene e i suoi benefìci economici attesi; 3. Determinazione dei flussi di cassa attesi [ricavi + (–costi)];

11 Ecco che in questa fase il fattore “Tempo” diventa l’indiscusso fattore della produzione, protagonista delle operazioni di Stima.

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4. Determinazione analitica del tasso di attualizzazione; 5. Determinazione del valore finale residuo;

A ben vedere, quindi, anche il criterio finanziario si basa sulla relazione esistente tra flussi di redditi dispiegati e/o incassi inveratisi da un bene immobile ed il suo valore venale, ma diversamente dal criterio reddituale, esplicita dinamicamente l’evoluzione dei canoni di locazione e/o degli incassi ottenuti e degli oneri di pertinenza della proprietà per un preciso e limitato orizzonte temporale legato principalmente ai tempi della sola realizzazione. È nei mercati finanziari che il metodo basato sull’attualizzazione dei flussi di cassa futuri (attesi e/o sperati) è principalmente adottato per determinare il valore dei titoli mobiliari (azioni e obbligazioni), ma anche per stimare il valore di un’azienda non quotata; il tutto basato sul sano principio che il valore di qualsiasi asset dipende dai benefici economici futuri che sarà in grado di dispiegare, cioè dalla somma algebrica dei suoi diacronici flussi di cassa (positivi e negativi) inverantisi in tempi diversi, attualizzati. Dunque, facendo ora riferimento a beni immobili, il criterio in esame, si fonda sull’assunto che un promotore-finanziatore-immobiliare è disposto a pagare, per un bene, il valore corrispondente all'attualizzazione di tutti gli incassi ed i costi generati dallo stesso, per un periodo futuro prefissato, al tasso di rendimento da lui atteso o preteso, in funzione delle caratteristiche intrinseche e di localizzazione del bene, le quali influenzano il grado di rischio dell' operazione immobiliare. 13.2.1. Il fattore rischio che influenza il tasso di attualizzazione negli investimenti immobiliari12. Ricapitolando tutta la tematica finora esposta, avremo che le tipologie di rischio legate ad un investimento immobiliare sono ricomprese in un vasto ventaglio di situazioni non tutte rinvenientesi contemporaneamente, però, nell’esame di uno specifico immobile: • Rischio contesto (già esaminato per le stime canoniche) : Dipende dal rango della città (ossia dal suo posizionamento all’interno di una graduatoria), dalla posizione del bene all’interno del contesto urbano e dalle caratteristiche intrinseche del mercato immobiliare della zona: – Il rango della città è funzione di diversi parametri : il PIL dell’area, l’efficienza delle infrastrutture e dei servizi, l’intensità di imprese, ecc • Rischio endogeno (property) ( già esaminato per le stime canoniche) : Dipende da aspetti tipologici e qualitativi del bene, dalla sua fungibilità (ossia dagli usi alternativi) e da fattori esterni condizionanti, quali ipoteche, azioni legali pendenti e diritti reali gravanti sul bene.

12 Maria Sole Brioschi – Corso di economia applicata all’ingegneria - UNIBERGAMO

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• Rischio locatario (già esaminato per le stime canoniche): Il rischio connesso ad un rendimento locativo dipende dall’affidabilità finanziaria del locatario e, se l’immobile può essere locato a più conduttori, dal numero dei conduttori: – Se il conduttore è un’impresa, valutarne l’affidabilità significa , da un lato, studiarne la solvibilità attraverso un’analisi (dinamica) per indici e per flussi e, dall’altro, analizzare il settore in cui opera, valutando l’intensità della concorrenza, l’eventuale ciclicità e la fase in cui il settore si trova; – Maggiore è il numero dei conduttori maggiore è il frazionamento del rischio associato all’investimento; • Rischio liquidità: Per vendere un immobile al suo valore di mercato, il più delle volte occorre attendere, ed il tempo è in funzione della fase di mercato. L’ISTAT ci dice che nel 2013 per immobili residenziali, i tempi medi di attesa tra offerta e vendita erano all’incirca di 12 mesi. In genere la liquidità di un immobile sarà migliore in un mercato “rialzista” che in un mercato “ribassista”. L’impazienza a vendere comporterà una riduzione del prezzo di dismissione. – Le caratteristiche del mercato immobiliare locale riguardano il suo spessore e la sua liquidità (numero di transazioni, volatilità dei prezzi degli edifici, divario tra momento dell’offerta (bid) e momento dell’accettazione (ask), cioè i tempi medi di liquidazione dell’investimento. • Rischio finanziario: Si divide in: – Generale, ossia legato all’andamento e alle condizioni generali dei mercati finanziari; – Specifico, ossia determinato dalla struttura finanziaria propria del progetto di investimento; • Rischio di sistema. Si manifesta a livello di mercato locale nel quale è inserita l’opera ed è composto dal : – Rischio ambientale, relativo cioè all’evoluzione demografica ed economica dell’area-mercato; – Rischio normativo, che fa invece riferimento ai cambiamenti all’interno del quadro normativo (anche fiscale) che possono condizionare le vendite e le locazioni; • Rischio assicurabile : è legato alla possibilità che eventi esogeni di particolare gravità (come le calamità naturali) possano determinare danni alla struttura: – Questo rischio viene definito assicurabile in quanto vi è la possibilità, da parte dell’investitore, di coprirsi da esso attraverso la stipula di contratti assicurativi; – La natura aleatoria di questi eventi esogeni consiglia di considerare questa classe di rischio in funzione dell’onerosità della polizza assicurativa; • Rischio di costruzione : È rappresentato dalla possibilità di una variazione dei tempi e dei costi di realizzazione dell’opera in cantiere. Durante la fase di costruzione il rischio aumenta con il proseguire dei lavori, fino a diventare massimo in sede di collaudo. L’investitore infatti (o tramite mezzi propri o attraverso finanziamenti) si vede costretto a un ingente esborso economico senza essere certo della redditività dell’opera stessa; – Alcuni dei problemi più frequenti sono : problemi legali (proprietà del sito, brevetti, invalidità di licenze e permessi di costruzione), problemi di finanziamento

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(ad esempio, il fallimento di un promotore che doveva versare denaro), problemi di solidità dei contraenti (ad esempio, il fallimento di un costruttore con la conseguente interruzione delle prestazioni), problemi tecnici (vizi e difetti non ipotizzati nella tecnologia, errori nella fase operativa di costruzione che arrecano ingenti danni all’opera), eventi non assicurati o male assicurati; • Rischio di collaudo : Il rischio associato alla fase di collaudo è massimo: tutti gli investimenti sono stati realizzati ma l’opera non ha ancora iniziato a generare flussi di cassa positivi. In caso di esito negativo, infatti, l’opera non può essere dichiarata idonea allo scopo per il quale era stata pensata. A questo punto si renderanno percorribili due strade : l’esecuzione di ulteriori lavori per rendere l’opera idonea (ciò comporta però altri costi di costruzione oltre che uno slittamento dei tempi) oppure un declassamento dell’opera (con la conseguente perdita di valore della stessa); • Rischio di gestione : Il bene immobile può essere venduto o gestito direttamente dal promotore dell’iniziativa immobiliare. In entrambi i casi comunque, affinché l’opera generi dei flussi di cassa operativi positivi che rispettino le attese, è necessaria una buona gestione della stessa; • Il rischio politico, rischio paese e di cambio : Queste tre categorie di rischio vanno considerate solo in casi particolari, ossia se si sta parlando di progetti di sviluppo immobiliare che nascono in Paesi extra-europei e in via di sviluppo; – Il rischio politico deve essere considerato nel caso in cui l’iniziativa immobiliare sorga in un Paese che offre scarsa stabilità dei governi o sociale; – Il rischio paese, spesso collegabile al rischio politico, è tipico dei Paesi in via di sviluppo; – Se un progetto si svolge in ambito internazionale deve essere pure considerato il rischio di cambio, che può essere naturalmente eliminato mediante l’acquisto di strumenti di copertura; Allocazione e mitigazione del rischio • I rischi sopra elencati non necessariamente ricadono tutti sul promotore dell’iniziativa; • Attraverso la stipula di una serie di contratti, è infatti possibile che i vari rischi connessi a un’iniziativa immobiliare vengano allocati sugli altri soggetti partecipanti all’iniziativa stessa; – Per esempio, attraverso un contratto “chiavi in mano” tutti i rischi legati alla costruzione potranno essere girati sull’impresa che si fa carico della costruzione dell’immobile; • La creazione di una matrice del rischio che coinvolga più parti può essere una metodologia utile per diminuire il rischio connesso ad un’iniziativa immobiliare; • Questo naturalmente non diminuisce l’importanza di una corretta valutazione, in fase preliminare, di tutte le componenti del rischio; La gestione del rischio • Per stimare al meglio i costi delle diverse variabili connesse ad un investimento immobiliare e ridurre perciò al minimo il rischio complessivo, il valorizzatore (developer), o chi per lui, può basarsi su progetti passati o progetti recenti simili

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al suo ma può anche contare sulla consulenza professionale del gruppo di sviluppo; • Innanzitutto, per ridurre il rischio finanziario e concentrarsi sugli aspetti del progetto di natura gestionale, in fase di ideazione devono essere considerati valori di vendita / locativi e costi di costruzione il più possibile aggiornati; • Per ridurre il rischio connesso al costo di acquisto del terreno, un sito non dovrebbe essere acquistato prima di aver ottenuto il Permesso di Costruire: – Quando questo non fosse possibile, il promotore dovrebbe cercare di negoziare un contratto per l’ottenimento del consenso di pianificazione (come succede effettivamente per molti progetti); • Per quanto riguarda il costo di costruzione, una volta che il contratto è stato firmato, il promotore deve cercare di mantenere il costo stabilito, che potrà solo salire verso l’alto: – Vi sono però alcuni metodi che permettono di rendere questo costo più sicuro, come il passaggio di tutto o di una parte del rischio sull’imprenditore edile, come già detto in precedenza; – E’ comunque molto importante che il promotore consideri in fase di stipula ogni aspetto del costo di costruzione, per contenere qualsiasi problema possa sorgere durante la fase di realizzazione; • Una volta concluso lo sviluppo, nel mercato immobiliare potrebbe manifestarsi un eccesso di offerta e il promotore potrebbe quindi avere difficoltà a vendere: – È bene, perciò (soprattutto in presenza di progetti particolari), che il promotore si garantisca dei pre-accordi così da ridurre in modo considerevole il rischio di vendita; • Il grado di rischio è solitamente collegato con la complessità e la dimensione dell’investimento: – È molto importante che il promotore analizzi a fondo il progetto nella fase preliminare dello sviluppo; – In alcuni casi (soprattutto nel caso di offerte competitive) il tempo a sua disposizione può essere limitato : in questi casi il giudizio e la competenza del promotore risultano ancora più critici; I metodi per la valutazione del rischio immobiliare • Il passo successivo è la determinazione di quelle componenti di rischio (fra le tante) presenti in un progetto e la valutazione delle stesse : bisogna infatti capire come tutte queste componenti influenzino i flussi di cassa operativi attesi; • Esistono due metodi principali per considerare il rischio di un progetto di investimento :

1) Incorporare ed additivare il rischio al tasso di attualizzazione utilizzato per attualizzare i flussi di cassa futuri (al denominatore);

2) Considerare il rischio quale elemento depotenziante la consistenza dei flussi di cassa futuri (al numeratore).

• Alla prima categoria, cioè quella considerata più attendibile ed analiticamente più affidabile, appartengono tre metodi che quantificano il premio per il rischio da aggiungere al “risk-free rate” al fine di stimare nel modo più corretto possibile il rendimento richiesto dagli investitori per effettuare il finanziamento di un progetto immobiliare:

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– Build-up Approach – Modello RER (Real Estate Risk) – Modello di ponderazione dei rischi

Il metodo più utilizzato ed accettato a livello operativo e professionale è il “Build-up Approach” ed è quello che andremo ad illustrare (lasciando al Cultore della Materia il compito di approfondire il tema su testi specializzati). In riferimento ai fattori di rischio sopra identificati, il “Build-up Approach” propone di identificare e quantificare ciascuna categoria. PR = PRinflativo + PRcontesto + PRendogeno + PRlocatario + PRliquidità + PRfinanziario + + PRassicurabile + PRfinanziario +PRsistema +PRcostruzione +PRcollaudo + PRgestione + PRrischio

politico,paese,cambio Ove : PR = Premio per il Rischio da aggiungere al tasso “risk-free rate” onde ottenere il “tasso di attualizzazione globale” (tasso “risk-free ajusted”) La tabella seguente riporta una proposta applicativa che indica i premi per gli eventuali vari rischi, da sommare al Rfree per ricavare il tasso di attualizzazione.

FATTORI DI RISCHIO R a n g e Tasso privo di rischio (rendimenti Btp a ≥ 10 anni) Rfree (*) (dato storico)

1,50% ÷ 7,00%

Tasso di inflazione atteso (dato storico)

1,50% ÷ 6,50%

Premio per il rischio contesto (esogeno) 0,50% 2,00% Premio per il rischio endogeno (property) 0,50% 1,50% Premio per il rischio locatario 0,50% 2,00% Premio per il rischio liquidità 0,50% 1,50% Premio per il rischio assicurabile 0,10% 1,00% Premio per il rischio finanziario 0,50% 1,50% Premio per il rischio sistema 0,50% 1,50% Premio per il rischio costruzione 1,00% 2,50% Premio per il rischio collaudo 1,00% 2,00% Premio per il rischio gestione 0,20% 1,00% Premio per il rischio paese, politico, cambio 0,10% 1,00% TASSO DI ATTUALIZZAZIONE GLOBALE 5,40% 17,50%

(*) Fasce di rendimento Rfree

Btp a ≥ 10 anni, correlazione con la salute dell’economia nazionale :

≥ 7,0%-6,5% = molto allarmanti; 6,5%-6,0% = allarmanti; 6,0%-5,5% = molto febbrili; 5,5%-5,0% = febbrili; 5,0%-4,5% = preoccupanti; 4,5%-4,0% = accettabili;

NB: Rendimenti troppo alti denunciano una difficoltà economica dello Stato a reperire liquidità, e quindi lo stesso è spinto a pagare i “prestiti” ottenuti dai cittadini con compensi più alti (rendimenti). Di contro rendimenti troppo bassi denunciano un “impoverimento” generalizzato della popolazione che non è

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4,0%-3.5% = virtuose; 3,5%-3,0% = temperate; 3,0%-2,5% = neutre; 2,5%-2,0% = insoddisfacenti; 2,0%-1,5% = controproducenti; < 1,5% = deleterie;

più in grado di acquistare i titoli di Stato, nonché una tendenza alla stabilità del potere di acquisto della moneta che lo Stato dovrà restituire e non potrà più avvantaggiarsi ordinariamente e tradizionalmente sul minor potere di acquisto della moneta che andrà a restituire.

Per l'elaborazione di questa analisi è necessario conoscere i fattori che compongono la tabella del DCFA, quali: − incassi a valori costanti, ottenibili dalla vendita del prodotto finito (valori

istantanei sotto il vincolo del Principio della permanenza delle condizioni); − costi a valori costanti, suddivisi tra quelli di costruzione, oneri amministrativi

(urbanizzazione primaria, secondaria e contributo costo di costruzione), oneri professionali, oneri di commercializzazione, spese generali e profitto del promotore, etc. (valori istantanei sotto il vincolo del principio della permanenza delle condizioni e purtroppo non sempre singolarmente esplicitati);

Riguardo al modello DCFA, è necessario sottolineare che in esso si congettura una distribuzione temporale delle fasi di costruzione e commercializzazione in funzione delle destinazioni d'uso. Va inoltre evidenziato che, qualora la stima intervenga in un momento diverso da quello iniziale (start), ma si collochi nel Tempo T1, ovvero nella fase in cui sia stato già avviato il processo di valorizzazione, con svolgimento di attività implementative onerose, allora i flussi di cassa relativi ai costi di produzione dovranno riguardare necessariamente i costi residuali ancora da sostenere, e relativi tempi necessari per il completamento del piano. Appare evidente che, quanto riferito, assume rilevanza economica, in quanto i costi già sostenuti si tradurranno in un incremento del valore finale di stima del bene immobiliare oggetto di trasformazione, rispetto al valore attribuibile al bene stesso, con riferimento al Tempo zero (T0), ossia all’inizio del processo di valorizzazione. Di converso, per i flussi relativi ai ricavi, qualora siano stati già conseguiti parte di questi, si avrà ovviamente un riflesso negativo sul valore finale. Ovviamente nel modello DCFA non viene considerato l'aspetto fiscale in quanto ordinariamente non si conosce il regime tributario cui sono sottoposti i promotori-investitori. Una volta definito il modello sulla base delle informazioni raccolte e delle ipotesi fatte, il valore immobiliare viene determinato mediante attualizzazione dei flussi di cassa, positivi e negativi, sulla base di un tasso che viene determinato ponendo a confronto le aspettative di rendimento degli operatori nel settore immobiliare e quelle riscontrabili nei mercati mobiliari. Il costo medio ponderato del capitale di un’impresa (in inglese “WACC - Weighted Average Cost of Capital” ) è il tasso di rendimento minimo che un fornitore di risorse richiede quale compenso per il proprio contributo di capitale. Il metodo più utilizzato per stimare il tasso di rendimento richiesto consiste nel calcolo del costo marginale di ogni fonte di capitale e nella media ponderata di tali costi, denominata appunto “media ponderata del costo del capitale” (WACC). I pesi della formula del WACC sono relativi all’incidenza delle singole fonti di finanziamento sul capitale totale investito nell’impresa, ovvero dipendono dal rapporto d’indebitamento e dall’incidenza del capitale proprio sul capitale totale. La struttura finanziaria dell’impresa incide fortemente sul calcolo del costo del capitale. Questo tasso (detto anche costo del capitale), viene individuato tenendo conto del fatto che la remunerazione attesa per un qualsiasi tipo di investimento è direttamente proporzionale al livello di rischio associato

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al medesimo. WACC13. I flussi di cassa sono attualizzati ad un tasso nominale. Ipotizzando una struttura finanziaria composta in parte da capitali propri (equity)

( )E

D E +

e in parte da capitale di terzi (debito da banche) ( )

DD E

+

avremo:

Per la parte equity (E): Il tasso viene ordinariamente determinato con riferimento ad almeno quattro distinti fattori (cfr. Metodo Built-up approach)14 1. il rendimento (al lordo delle imposte) per investimenti privi di rischio (titoli di

Stato: BPT a 10 o 15, anni), simbolizzato Rfree; 2. l'inflazione attesa; 3. l'illiquidità; 4. il premio legato al rischio specifico con riferimento a:

a. rischio economico-finanziario del mercato dei capitali; b. rischio locativo (fungibilità); c. rischio esogeno (caratteristiche mercato locale - caratteristiche estrinseche

asset ubicazione - destinazione d’uso); d. rischio endogeno (dimensioni e caratteristiche intrinseche asset);

In tabella sono indicati i valori minimi e massimi dei vari fattori alla data indicata:

(al 15 Novembre 2012)

Fattore Range Rfree (Buoni Poliennali Tesoro) ≈ 10 anni15 5,25 % 5,75 % Inflazione attesa 3,00 % 3,50 % Illiquidità 0,50 % 1,50 % Rischio specifico 3,00 % 7,00 %

Per la parte di debito (D):

il tasso viene determinato dalla composizione di tre distinti fattori :

1. Euribor 6 mesi; 2. inflazione attesa; 3. spread (differenziale).

In tabella sono indicati i valori minimi e massimi dei vari fattori alla data indicata: (al 15 Novembre 2012)

Fattore Range Euribor 6 mesi16 0,35 % 0,37 % Inflazione attesa 3,00 % 3,50 % Spread (differenziale) 2,50 % 4,50 %

13 - WACC: weighted average cost of capital cioè la media ponderata del costo di tutte le forme di finanziamento. (Fisher-Martin – Costo del Capitale – Rendita e Costo opportunità) 14- Built-up approach: consiste nell’indagare le principali circostanze che possono definire il rischio di un investimento, determinandone la consistenza e ponderandone l’influenza. 15 BTP decennali: asta gennaio 2012 6,08%; luglio 2012 5,82%; ottobre 2012 5,24%; dicembre 2012 5,50 % 16 Euribor 6 mesi: gennaio 2012 1,606%; luglio 2012 0,928%; ottobre 2012 0,421%; dicembre 2012 0,360 %

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Ad ogni buon conto ricordiamo a noi stessi che procedere nel metodo dinamico (c.d. DCFA), all’attualizzazione dei flussi negativi annui di cassa (spese), corrisponde a calcolare nel metodo statico tradizionale (c.d. Equazione di Equilibrio Economico), gli oneri finanziari per interessi passivi sul capitale di anticipazione costituito dalla sommatoria dei costi di produzione. La determinazione del tasso di attualizzazione:

La determinazione del tasso di attualizzazione è una parte assai delicata dell’intero procedimento, forse la più delicata. Nella scelta del tasso infatti avremo ricadute molto importanti sulla determinazione del valore finale: più alto è il tasso individuato indi prescelto, più basso sarà il valore attuale e viceversa. Ma non solo: una minima variazione del tasso è in grado di influenzare in maniera assai rilevante il valore finale. La misura del tasso determina l’entità del rischio associato all’intrapresa da valutare. Tale entità dipende a propria volta da vari fattori, quali la ciclicità dei ricavi, il grado di leva operativa (presenza di costi fissi elevati in relazione alle attività) e il grado di leva finanziaria. Poiché la struttura finanziaria è composta da capitale proprio e da capitale di terzi, ci sarà uno specifico costo da stimare per entrambe le componenti. La formula del costo medio ponderato parte proprio da questo presupposto, calcolando il tasso di attualizzazione attraverso la somma del costo del capitale proprio e del costo del capitale di terzi, ognuno ponderato per il rispettivo peso che detiene nella struttura finanziaria complessiva:

( )   1WACC e dEr DT

Dr

E D E+ −

+ +=

ove:

re = prezzo d’uso del capitale proprio E = patrimonio netto proprio (Equity) rd = costo – prezzo d’uso – dell’indebitamento D = indebitamento netto verso terzi – banche – (Debt) T = aliquota fiscale sulle imposte dirette (in Italia 2013 il 52 %)

Il costo di capitale di terzi (banche) ovvero l’indebitamento, genera un beneficio fiscale connesso al risparmio di imposte originato dalla deducibilità degli oneri finanziari, con conseguente aumento di valore per gli azionisti. Come detto, qualora non si conosca il regime tributario cui è sottoposto l’imprenditore-investitore, non si considerano i benefici eventuali della tassazione sul Debito. La formula semplificata diventa:

e   dE D+

Dr r

+ E D + EWACC =

Supposto un indebitamento verso Istituti di Credito (Banche) pari al 60% dell’intero capitale impiegato (il massimo che Basilea 3 ora ammette) il tasso medio ponderato di attualizzazione, con i dati indicati nelle pagine precedenti, risulterà a seguito del seguente schema:

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Imput dati economici di riferimento (al 15 Novembre 2012): EQUITY: Titoli di Stato o Obbligazioni a 10 anni 5,50% ( nominale fisso ) Inflazione attesa 3,30% Rischio Finanziario (illiquidità) 1,00% (da 0,50 a 1,50%) Rischio specifico 6,00% (attiene alla tipologia dell’intervento) DEBT: Euribor 0,36% Inflazione attesa 3,30% Spread 4,00% (dall’andamento del mercato)

WACC = (15,80% x 0,40) + (7,66% x 0,60) = 10,92 %

______________________ Qualora i dati economici di riferimento fossero al 15 Maggio 2014 avremmo: EQUITY: Titoli di Stato o Obbligazioni a 10 anni 3,75% ( nominale fisso ) Inflazione attesa 1,30% Rischio Finanziario (illiquidità) 1,50% (da 0,50 a 1,50%) Rischio specifico 7,00% (attiene alla tipologia dell’intervento) DEBT: Euribor 0,45% Inflazione attesa 1,30% Spread 4,50% (dall’andamento del mercato)

WACC = (13,55% x 0,40) + (6,25% x 0,60) = 9,17% N.B.: Si può notare che il tasso di attualizzazione finanziario, corrisponde in pratica al tasso industriale di sconto utilizzato ordinariamente nella disciplina canonica dell’Estimo tradizionale (stima economica statica). 13.2.2. Altro approccio di tipo finanziario è il CAPM (Capital Asset Princing Model . Il presente paragrafo, ancora dedicato al tema dei tassi, riprende dalle argomentazioni già presentate con riguardo alla misurabilità del rischio, e quindi alla possibilità od impossibilità di tenerne conto nella scelta dei tassi. L’opinione prevalente a livello internazionale, ma non esclusiva, è che esistano possibilità di misurazione del rischio e come si è già detto, il CAPM è uno degli approcci che fornirebbe, secondo gli esperti, un rendimento atteso, o un tasso di sconto

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appropriato alle caratteristiche dell'attività finanziaria oggetto di valutazione. In altre parole, il CAPM determina il tasso a cui i cash flow futuri generati da tale attività devono essere scontati, data la rischiosità che li caratterizza. Com’è noto alla cultura finanziaria, la formula-base per la valutazione della componente s, con riguardo al costo del capitale proprio, è:

s = β (rm — rfree) in cui: s = è la maggiorazione del tasso per il rischio (che diminuisce il «valore capitale

»). rfree = tasso degli investimenti senza rischio; rm = indice espressivo del rendimento generale medio del mercato azionario; β = coefficiente beta, che misura il rischio della specifica azienda, espresso dalla volatilità del suo rendimento rispetto a quello dell’intero mercato.

Il punto focale del metodo è il coefficiente beta (β), l’espressione tipica del CAPM. Il CAPM stabilisce che la «maggiorazione per il rischio azionario» vada moltiplicata per il beta di ogni specifica società, per misurare così i cosiddetti rischi «non diversificabili». Beta > 1 implicano una rischiosità in media maggiore rispetto a quella del mercato nel complesso; viceversa beta < 1 denotano una rischiosità minore. Dunque un'attività finanziaria più rischiosa avrà un beta più elevato, e dovrà essere scontata a un tasso maggiore; attività finanziarie meno rischiose avranno beta minori e saranno scontate a tassi minori. In tal senso il CAPM è coerente con l'intuizione che un investitore dovrebbe richiedere un rendimento atteso più elevato per detenere un'attività finanziaria più rischiosa. Poiché il coefficiente beta riflette la sensibilità di un'attività finanziaria rispetto a un rischio, non diversificabile di mercato, il mercato stesso sarà caratterizzato da un beta pari a 1. Frequentemente indici di mercato caratterizzati da una ampia composizione sono utilizzati come proxy per l'intero mercato; in tal caso, per definizione il loro beta sarà uguale a 1. Ciò non significa, da un punto di vista strettamente aderente alla teoria, che un indice di mercato sia in effetti il portafoglio di mercato stesso. Per contro, è vero che un investitore che detenga una posizione in un portafoglio ampio, diversificato (quale potrebbe essere un fondo comune) può attendersi una performance in linea con quella del mercato. In tal senso è schierata tutta la dottrina anglosassone e gran parte di quella europea, tuttavia con la rilevante eccezione di alcune correnti della dottrina germanica. La pratica, che non attribuisce troppa importanza alla distinzione concettuale tra incertezza e rischio, non si pone quasi neppure il problema: essa è per la misura del rischio e la sua « traduzione » nei tassi. Da tale decisione preliminare discende l’ovvia conseguenza che, se il rischio è giudicato misurabile, l’eventualità negativa che i flussi attesi non si producano, o si producano in entità diverse rispetto alle aspettative, si riflette sul tasso. Nel caso opposto, il tasso è scelto guardando agli investimenti «senza rischio»; e la variabilità si sconta nella misura attribuita ai redditi attesi. È proprio su quest’ultima tesi che dobbiamo portare la nostra attenzione, per sgombrare il campo da possibili equivoci. L’idea di fondo è l’equivalenza teorica delle due formule:

W = Rce/rfree; W = Rce/(rfree+ s);

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in cui: W è il « valore capitale »; Rce è il « reddito certo equivalente »; rfree è il tasso di capitalizzazione «senza rischio»; s è la maggiorazione del tasso per il rischio (che diminuisce il «valore capitale »). Secondo l’impostazione in esame, la stima di s, cioè in sostanza la misura del rischio attraverso una serie di maggiorazioni e/o aggiunte portate ad r, sarebbe impraticabile: ciò in quanto le diverse «maggiorazioni» che lo esprimono sarebbero, se non pure invenzioni, così approssimative ed incerte da renderle inattendibili. Tanto varrebbe, allora, tradurre il reddito medio atteso, o meglio la fascia dei redditi attesi, in un valore certo: il «reddito certo equivalente» è una grandezza compresa nella fascia dei redditi attesi, per la quale i rischi di ottenere risultati superiori ad essa e le possibilità di ottenere risultati inferiori «si compensano perfettamente secondo le preferenze consapevoli di rischio del soggetto interessato». Pur riconoscendo l’impossibilità di tradurre in poche note i complessi ragionamenti sulla pretesa preferibilità della via del «reddito certo equivalente», non vediamo in qual modo essa possa consentire di risolvere approssimazioni ed incertezze meglio di quanto possa la via delle «maggiorazioni» del tasso senza rischio. Si può al massimo e per brevità consentire che si abbiano gli stessi problemi, o problemi analoghi; con una sostanziale differenza, però: che sulla via delle maggiorazioni del tasso hanno da lungo tempo lavorato teorici e pratici in tutto il mondo, elaborando soluzioni ingegnose e sofisticate (dal CAPM in avanti) e soprattutto creando un’ampia base sperimentale. La via dell’ «equivalente certo» non ha analoghi attributi. Essa, almeno per ora, non ha perciò alcuna ragione per essere accolta; né, a parere dell’Autore, rappresenta un concreto progresso sulla via della migliore dimostrabilità dei metodi reddituali. Forse l’unico merito potrebbe ravvisarsi nell’esplicitazione delle incertezze che, in ogni modo, circondano questi calcoli. Non si può peraltro disconoscere che uno stretto collegamento esiste (anche se spesso non misurabile), tra “tasso” e “reddito atteso” con riguardo all’aspetto del rischio. È intuitivo, ad esempio, che misure di reddito prudenziali e pressochè certe (in quanto scelte in relazione a scenari ispirati al pessimismo) si collegano a tassi contenuti; e viceversa. Del pari, misure di reddito puramente contabili e riduttive rispetto alle reali performance (escludenti, ad esempio, una favorevole dinamica dei beni immateriali, il formarsi di rilevanti plusvalenze su beni materiali, ecc.) consentono talvolta l’adozione di tassi particolarmente ridotti, che sarebbero inspiegabili in riferimento a misure di risultato economico integrato. Il tema della misura (per gli aspetti quantitativi) e della scelta (per gli aspetti soggettivi) dei tassi sarà affrontato solo in alcuni aspetti. Saranno cioè esaminati i concetti base, specie negli aspetti controversi o sui quali comunque non vi sono ancora opinioni definitive e di generale accettazione. Si rinvia ad altri testi per un esame compiuto della materia. A titolo di premessa, va ricordato che spesso l’elemento soggettivo ricopre un peso non trascurabile nella definizione del tasso. Ciò nel senso, come meglio risulterà in seguito, che la componente obiettiva e dimostrabile soffre inevitabilmente di limitazioni, che si traducono nell’assunzione, con varie modalità, di convenzioni semplificatrici o basate sull’intuito, o comunque carenti

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di dimostrazione. Talvolta queste limitazioni sono così pesanti e complesse, che gli operatori evitano semplicemente ogni dimostrazione, affidandosi a scelte imitative, con criteri di pura soggettività e senza nessun’analisi a supporto della decisione assunta. E appena il caso di sottolineare che questo non raro atteggiamento è irrazionale e va stigmatizzato; eppure esso è molto diffuso.

LA VALUTAZIONE QUANTITATIVA DEL TASSO:

La prima rilevante distinzione concettuale, con riguardo alla valutazione quantitativa dei tassi, è tra i criteri del “tasso-opportunità” e del “costo dei capitali”.

A) Il primo criterio ( tasso-opportunità) assume, com’è ben noto, che la misura del tasso debba essere ragguagliata al rendimento offerto da investimenti alternativi, a parità di rischio. Il criterio è caratterizzato dall’assunzione dal punto di vista dell’investitore, il quale giudicherà conveniente un certo tasso di rendimento finché — a parità di rischi — non abbia la possibilità di trovare un investimento più redditizio. Fondamentale caratteristica del criterio è dunque la omogeneizzazione dei rendimenti rispetto al rischio. Il fatto, in altri termini, che si abbiano investimenti diversamente rischiosi esige che i differenziali di rischio siano valutati e tradotti in una corrispondente variazione di tasso.

B) Il secondo criterio ( costo dei capitali ) ricerca invece un tasso corrispondente ai «costi» del capitale proprio (equity), o al costo medio ponderato (Wacc) dei mezzi investiti in una specifica intrapresa [mezzi propri (equity) più mezzi attinenti al credito (debit)]. La specifica intrapresa è quella oggetto di valutazione; ma in talune circostanze può essere anche il soggetto che si propone di effettuare l’acquisto di quell’intrapresa (tale ultima ipotesi, oltre che applicata solo in particolari circostanze concrete, è anche contestata in dottrina).

Mentre sul piano logico il concetto preferibile è il “tasso-opportunità”, sul piano pratico esso presenta serie difficoltà di calcolo e di dimostrazione. Ciò fa sì che il criterio del costo dei capitali, che in modo più semplice può trovare riferimenti oggettivi ed elementi di dimostrazione nel mercato, gli sia talvolta preferito nella pratica di alcuni Paesi. Sul tema corrono però, non di rado, preconcetti che vanno sfatati ed imprecisioni che debbono essere rettificate. Il criterio del “tasso-opportunità” si presenta secondo tre possibili approcci, di diverso peso e di differente credibilità:

I. l’approccio quantitativo; II. l’approccio qualitativo;

III. l’approccio intuitivo o imitativo (sintetico-soggettivo).

Nella pratica americana, tali approcci si applicano al tasso di attualizzazione (r’, con la nostra simbologia), destinato a riportare al momento t0 della stima, una serie di flussi netti incerti e diversi tra loro: f1, f2, ... fn che si prevedono ottenibili ai momenti t1, t2, ... tn, della quale il valore capitale W0 rappresenta l’equivalente certo al detto momento t0.

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Attraverso appropriati correttivi, dal tasso d’attualizzazione si passa al “tasso di capitalizzazione” (r con la nostra simbologia): esso, com’è noto, va inteso come il divisore che, applicato alla grandezza espressiva di un flusso medio annuale posticipato netto atteso e perciò per sua natura incerto, determina l’equivalente probabile, teorico, incerto, sperato, W0. Nella pratica europea, viceversa, nella quale non sono usate formule per il collegamento automatico tra r’ (attualizzazione) ed r (capitalizzazione), gli approcci suddetti si applicano anche direttamente ad r (oltre che ad r’). Le divergenze tra r ed r’ risultano quindi originate dalla differente ampiezza dei periodi futuri di riferimento nonché dalla diversa consistenza quantitativa dei flussi periodici presi in esame e perciò dai differenti livelli di incertezza e rischio considerati. L’approccio quantitativo – in tale approccio sia i teorici sia i pratici si sono più volte cimentati, esprime il tentativo di fornire una dimostrazione del modo come il tasso viene scelto: dimostrazione che si vorrebbe analitica ed oggettiva. Tutti i tentativi condotti assumono universalmente, come punto di partenza, il principio che il tasso sia costituito da due componenti:

• il compenso per il decorrere del tempo (componente finanziaria); • il compenso per il rischio (componente specifica).

Questo principio si traduce nella nota espressione concettuale:

r = r’+ s in cui r’ è la remunerazione finanziaria di investimenti Rfree «senza rischio», cioè legata solo al decorrere del tempo; s è la remunerazione per il rischio specifico dell’investimento. Il calcolo di « r » (variabile da un Paese all’altro, oltre che variabile nel breve o lungo termine) non presenta sostanziali difficoltà. Sul piano tecnico la scelta si orienta sempre verso investimenti a tasso fisso con soggetti sicuramente solvibili (l’esempio classico è quello dei titoli di Stato); e la preferenza va ai rendimenti di titoli a lungo termine (durata da 10÷15 anni in avanti), in quanto più omogenei rispetto agli investimenti nell’impresa. In periodi di forte variabilità dei tassi di rendimento dei titoli pubblici, la scelta di una media riferita ad un certo periodo (da 3 a 6 mesi) è spesso preferita ad una scelta puntuale (riferita cioè al momento della stima). Inflazione Sul piano metodologico, un problema rilevante è se il «tasso senza rischio» debba assumersi al netto od al lordo dell’inflazione. La risposta logica è che ( «r» o «r’» ) debbano contenere entrambi una misura d’inflazione (prevista e/o programmata) corrispondente a quella contenuta nei flussi (di reddito o di cassa) che essi provvedono ad attualizzare. La coerenza ed omogeneità, sotto il profilo dell’inflazione, tra le due variabili impiegate nel calcolo, è essenziale. I passaggi affrontati nelle applicazione procedurali, risultati nella pratica, più idonei, sono:

1. costruzione realistica della distribuzione temporale e della quantificazione dei flussi di cassa attesi;

2. determinazione del più idoneo tasso di attualizzazione.

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Per l'elaborazione di questa analisi è necessario, per esempio, conoscere i fattori che compongono la tabella del DCFA, quali: − incassi a valori costanti, ottenibili, al momento della stima, dalla eventuale

vendita del prodotto considerato ultimato (valori istantanei sotto il vincolo del Principio della permanenza delle condizioni);

− costi a valori costanti, da erogarsi ipoteticamente al momento della stima, suddivisi tra quelli di costruzione, oneri amministrativi (urbanizzazione primaria, secondaria e contributo costo di costruzione), oneri professionali, oneri di commercializzazione, spese generali e profitto del promotore, etc. (valori istantanei sotto il vincolo del principio della permanenza delle condizioni e purtroppo non sempre singolarmente esplicitati);

Come si può notare, in questa fase il fattore “tempo” (attualizzazione) non compare, in quanto si simula un costo di produzione ed un prezzo di vendita all’attualità, entrambi non condizionati dalla probabile anzi quasi sempre certa inflazione futura. È logico che nel momento che si dovrà valutare il probabile valore reale futuro di un bene economico, specie se immobile, attraverso l’operazione di “sconto all’attualità” ad un tasso individuato:

r = r’ + s si dovrà considerare, ceteris paribus, il tasso di attualizzazione al lordo (con l’aggiunta) del tasso reale o programmato di inflazione, in quanto trovandosi il tasso di sconto al denominatore della espressione analitica di attualizzazione, l’ eventuale assenza della aliquota inflattiva su base annua, corrisponderebbe ad aumentare artificialmente ( aritmeticamente ) il valore attuale del bene economico e tale circostanza, specie in presenza di inflazione sostenuta, risulterebbe un immotivato paradosso. Le vere difficoltà s’incontrano, poi, nella determinazione della componente « s ». I tentativi di quantificazione di questa “componente” sono generalmente ispirati dall’idea di variabilità dei flussi attesi. L’approccio qualitativo - Una prima interpretazione concettuale parte dall’osservazione che il rischio è una sorta di qualità dei flussi attesi. Esso consisterebbe, appunto, nel vario grado di certezza, di attendibilità, e di credibilità dei flussi prospettici quantitativamente espressi. Per cui, date due intraprese A e B con redditi attesi eguali (e per ipotesi anche identicamente distribuiti nel tempo), il loro valore può essere sostanzialmente diverso se la loro qualità in termini di rischio è pure molto diversa. Se la probabilità di insolvenza che associamo ad A è del 90% e quella che associamo a B è del 70%, si dovrà applicare al flusso reddituale di B un tasso di attualizzazione (che trovasi al denominatore dell’espressione generale di sconto), sensibilmente più elevato (e proporzionale al coefficiente di probabilità di insolvenza), poiché la sua “qualità” è peggiore rispetto a quella del reddito di A. L’idea della qualità del reddito è però solo un espediente espositivo (essa si contrappone dialetticamente alla quantità del reddito). Molto più preciso concettualmente, oltre che più significativo operativamente, è il richiamo

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alla variabilità del reddito atteso, o se vogliamo alla probabilità di scostamento in definite misure rispetto alle quantità attese e/o concordate. L’approccio intuitivo o imitativo (detto anche sintetico-soggettivo) rappresenta una soluzione frequente, specie nella pratica meno esperta od accurata. Esso in sostanza non stima « s », bensì direttamente « r » (anche se « s » è ottenibile per differenza, sottraendo la componente « r ». L’approccio si basa essenzialmente sulle conoscenze ed esperienze, nonchè sulla sensibilità di chi conduce la valutazione, cui compete, di fatto, di identificare, tra le varie alternative d’investimento a valore noto, quelle giudicate equivalenti in termini di rischio. Se il loro rendimento è x %, questo sarà il tasso scelto. Ciò significa essersi convinti concettualmente ed intimamente, sulla certezza che l’apprezzamento del rischio sia possibile solo sinteticamente, comparando nell’insieme la situazione specifica con altre, delle quali sono noti i prezzi e stimabili almeno approssimativamente rendimenti e rischi. La conduzione di tali raffronti e l’attribuzione di misure ai rischi degli investimenti alternativi avvengono peraltro in modo del tutto informale; nel senso che non si esige alcuna dimostrazione né la si potrebbe pretendere a livello scientifico; non è quindi possibile nessun riscontro analitico delle decisioni assunte. Il procedimento è quindi altamente empirico, pertanto sperimentale/applicativo e perciò necessariamente sintetico: esso concede poco spazio alle spiegazioni e/o motivazioni, che comunque non vanno quasi mai aldilà dell’aspetto descrittivo ancorchè necessariamente e doverosamente dettagliate. “Non possono, insomma contenere, come detto, una vera dimostrazione della conclusione raggiunta, poiché l’equivalenza del rischio tra il valore del bene da valutare e le alternative d’investimento considerate è affermata per intuito. Vale, in sostanza, più la competenza, esperienza, credibilità e reputazione di chi fa la scelta che non la dimostrazione, sempre sommaria e descrittiva, che egli può fornire”. Proprio perciò l’approccio si presta ad errori e abusi, come accade per tutto ciò che non deve essere dimostrato: qualsiasi scelta contenuta nei limiti delle esperienze note è infatti possibile. Ne derivano due pericoli:

• la tendenza ad appiattire le scelte sui valori più frequenti, o tipici. Spesso deriva da ciò un comportamento puramente imitativo, nel senso che le perizie valutative si copiano l’un l’altra; o derivano le scelte di tasso dalle indicazioni di testi accreditati;

• la tendenza, altrettanto negativa, a non fornire alcuna spiegazione della scelta del tasso. Considerando perciò questa scelta come un indimostrabile e discrezionale assunto di chi compone la valutazione: il quale ne risponde grazie all’autorevolezza, alla professionalità, ed alla reputazione che lo contraddistingue.

Ciò nonostante, l’approccio sintetico/empirico/sperimentale da alcuni considerato con freddezza semplicistica: “soggettivo”, riceve nella pratica non pochi consensi. Questo si deve alla circostanza che i metodi analitici esigono un impegno giudicato

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eccessivo rispetto ai risultati giudicati modesti; o richiedono un massa di informazioni non disponibili o inesistenti; oppure non ottengono una sufficiente credibilità. Ad esempio, i tassi di capitalizzazione più frequentemente assunti negli ultimi anni nella esperienza di alcuni Paesi europei sono contenuti nei seguenti limiti: —per l’industria, dal 6 al 10% (valori tipici: 7-8%); —per il commercio, dall’8 al 15% (valori tipici: 10-12%); —per la banca ed il parabancario, dal 6 all’8%; —per le società immobiliari, dal 4% al 6%; —per le assicurazioni, dal 5% al 7%; e così via; [nel mondo americano si fa invece riferimento a tassi alquanto più elevati, anche perché di solito ( e giustamente) non depurati dall’inflazione]. IL COSTO DEI CAPITALI Come si è detto, il secondo rilevante criterio per la definizione e la valutazione del tasso è rappresentato dal «costo dei capitali». Questa espressione viene a volte riferita ai capitali dell’azienda oggetto di valutazione; altre volte ai capitali dell’acquirente effettivo o potenziale di quell’azienda. I due punti di vista sono concettualmente molto lontani. Il secondo (riferito al potenziale acquirente), a ben vedere, non serve per valutazioni di capitale economico, ma per giudizi soggettivi di convenienza ad investire. Come accade, ad esempio, se un potenziale compratore attualizza i flussi derivabili da un’acquisizione in base al costo dei capitali che egli dovrebbe impiegare: ciò alfine di giudicare la convenienza dell’investimento ad un certo livello di prezzo ottenibile. Esaminiamo dapprima questo caso. In proposito va particolarmente sottolineato che esso, assumendo il costo del capitale afferente allo specifico acquirente-investitore, non collega in alcun modo il tasso ai rischi insiti nell’azienda oggetto di valutazione. Il valore dell’azienda perciò, almeno apparentemente, non dipende più, attraverso il tasso, dal rischio che la caratterizza. Questo imprudente e a volte superficiale atteggiamento trova spesso una possibile attenuazione e/o bilanciamento nelle manifestazioni prudenziali che possono essere assunte nella stima dei redditi attesi (si depotenziano empiricamente i “redditi attesi” anziché aumentare razionalmente il “tasso di sconto” ). Ma tali prudenti manovre non riescono spesso ad annullare totalmente, sul piano logico, i dubbi sollevati dal totale svincolamento del tasso di attualizzazione e di capitalizzazione dai rischi che si accompagnano ai flussi attesi per il futuro. L’altra possibile interpretazione del criterio del costo dei capitali investiti consiste nell’assumere non già il punto di vista del possibile acquirente, bensì il punto di vista della stessa azienda oggetto di valutazione. Il tasso di capitalizzazione diventa allora il costo atteso dei mezzi finanziari per tale azienda. Qui la discussione attiene a ciò che deve intendersi per «mezzi finanziari» : si devono cioè considerare e mediare congiuntamente il costo di capitali propri (equity) e dei debiti onerosi (debit)?; oppure si devono considerare solo i capitali propri? La prima scelta ha senso quando oggetto diretto di valutazione, attraverso il processo

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di attualizzazione o di capitalizzazione dei flussi, non sia il capitale economico ma l’investimento complessivo, fronteggiato quest’ultimo sia dal capitale proprio sia dai debiti onerosi (tanto che per passare dal valore I al valore W, il primo deve essere depurato dai debiti finanziari). Ovviamente, se il flusso da attualizzare è al lordo degli interessi passivi, il tasso di attualizzazione è una media ponderata tra il costo del capitale proprio (r) ed il costo dei debiti (r); nella quale i « pesi » corrispondono alla entità del capitale proprio e dei debiti al momento della valutazione. In tal caso la logica che si applica nel calcolo e le formule nelle quali esso si traduce corrispondono a quelle adottate per il calcolo del WACC (Weighted Average Cost of Capita!). Com’è noto la formula-base per la valutazione della componente s, con riguardo al costo del capitale proprio, è:

s = β (rm — rfree) in cui: s = è la maggiorazione del tasso per il rischio (che diminuisce il «valore capitale »). rfree = tasso degli investimenti senza rischio; rm = indice espressivo del rendimento generale medio del mercato azionario; β = coefficiente beta, che misura il rischio della specifica azienda, espresso dalla volatilità del suo rendimento rispetto a quello dell’intero mercato. Il punto focale del metodo è il coefficiente beta (β), l’espressione tipica del CAPM. Il CAPM stabilisce che la «maggiorazione per il rischio azionario» vada moltiplicata per il beta di ogni specifica società, per misurare così i cosiddetti rischi «non diversificabili». Questi ultimi possono essere definiti partendo dall’assunto che l’investimento in azioni di una qualsiasi società quotata genera due tipi di rischio. I° Un primo tipo di rischio (endogeno) è legato all’andamento tecnico-economico-commerciale della stessa società (come si comporteranno i suoi prodotti: manterranno od accresceranno la quota di mercato? Saranno o non saranno remunerativi? Quali risultati deriveranno dalla ricerca in corso? e così via). II° Un secondo tipo di rischio (esogeno) è legato all’andamento generale dell’economia, che si ripercuote variamente sui settori e sulle singole aziende. Il rischio del primo tipo può essere eliminato dai singoli investitori tramite la diversificazione del portafoglio; il secondo non può essere eliminato dalla diversificazione (ed è detto perciò rischio non diversificabile). Il coefficiente beta ( β ) sarebbe, appunto, la misura del rischio non diversificabile, che quindi non è riflesso dalla maggiorazione (media) per il rischio azionario. Valori di β > 1 corrispondono, com’è ben noto, ad alti rischi per il titolo considerato, nel senso che esso eccede il rischio medio di mercato; valori di β < 1 hanno ovviamente il significato opposto. Le 500 società americane comprese nell’indice Standard and Poor’s hanno nell’insieme, per definizione, β = 1. Così come in qualsiasi mercato il campione di società rappresentativo assume β = 1. I valori dei coefficienti beta (β) sono oggetto di continui calcoli e di pubblicazione da parte di Merchant Banks e altri operatori specializzati, con riferimento a numerose aziende quotate ed a settori di attività. In tal modo, anche se l’azienda oggetto di stima non è quotata, è possibile il riferimento

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ai « β » di aziende similari. Nel nostro Paese quest’ultima è spesso la via seguita. 13.3. Influenza del tasso di “inflazione” sui tassi di “rendimento” e sui tassi di “capitalizzazione (attualizzazione o sconto)”. Un approfondimento ed un chiarimento va fatto sull’ enorme condizionamento che esercita il tasso d’inflazione sui tassi di rendimento e sui tassi di attualizzazione (o sconto). Qui si incontrano, si sovrappongono e si fondono le due filosofie formanti la base delle discipline tecnico-valutative. Proprio dal “peccato originale” di voler utilizzare tecniche e culture bancarie (finanziarie) per risolvere saggiamente quesiti di antica tradizione culturale estimativa reale (economici), discende la quasi permanente anomalia e disarmonia che contamina le cosiddette perizie estimative “moderne”, che alcuni sedicenti blasonati centri internazionali di valutazione propalano a cuor leggero e dei quali è praticamente impossibile risalire ai vertici organizzativi e scientifici, conoscerne i nominativi, i percorsi culturali, le competenze specifiche e i precedenti scientifici di applicazioni reali effettivamente realizzate e di cui si conoscano i risultati; molti di tali Centri, con sedi direzionali prestigiose all’estero preferibilmente in Inghilterra o dintorni, operano nel più totale anonimato personale ma con straordinari “effetti cromatici speciali grafico-formali” redatti con caratteri microscopici, praticamente inintellegibili ed alla fine firmati da misteriosi responsabili di settore (di cui non si conosce quasi mai la qualifica accademica specialistica di competenza), per conto di altri settori. In compenso, però, tutto esibito rigorosamente in inglese; se è vero che la bontà del lavoro è data dai risultati, quelli ottenuti da molte famose società internazionali di valutazione, sono spesso deludenti e/o fallimentari, e quasi sempre riguardano iniziative pubbliche i cui risultati, tragicamente negativi, (ma non così i loro astronomici compensi) si stemperano nella lunghezza dei tempi amministrativi e nello avvicendarsi dei vari personaggi al governo del territorio, che confidano, man mano che il tempo inesorabilmente scorre, nell’oblio dei contribuenti e nella quasi indifferenza degli organi Istituzionali preposti al controllo contabile ed alla repressioni delle frodi:

πάντα ῥεῖ ὡς ποταμός (Panta rhei os potamòs ) (tutto scorre come un fiume – Eraclito)

Ritornando alle cosiddette “stime moderne” assistiamo esterrefatti alla “prassi” (?) di veder confondere il tasso di rendimento con il tasso di attualizzazione, i ricavi con gli incassi, i costi con le corresponsioni; considerandoli equivalenti e sincronici quindi soggetti indifferentemente alle medesime identiche procedure di valutazione ed utilizzo. Ma come già chiarito precedentemente, e come non ci si stancherà mai di ripetere, il saggio di rendimento dei capitali immobiliari da una parte, ed il saggio di interesse monetario dall’altra, così come i ricavi rispetto agli incassi, e come sono i costi rispetto ai pagamenti, appartengono a concetti e ad eventi ben distinti: non bisogna confonderli, tenerli opportunamente separati aiuta a risolvere molte questioni di pratica estimativa e di investimenti finanziari tra le più controverse. Quanto sopra, per quanto attiene ai tassi, non toglie che tra i due saggi possa esistere uno stretto rapporto tale che in una condizione teorica di libera concorrenza nell’impiego del risparmio, il saggio di rendimento dei capitali immobiliari tenda ad essere uguale al saggio di interesse dei capitali

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monetari. Non a caso da ciò discende l’errata consuetudine di confondere i due saggi parlando impropriamente di “interesse del capitale”. Si sottolinea con forza però che la tendenza all’eguaglianza che si osserva in specifiche condizioni teoriche di mercato, non può né deve essere contrabbandata come una identità. Questo essenziale e fondamentale “concetto” è ripreso dal testo dello scrivente ed. 2004 e confermato dall’Agenzia del Territorio17 § 6.1.4. pag. 437. È logico e motivato che l’investitore nel valutare il rendimento reale di un bene mobile e/o immobile depuri l’utile netto nominale dalla inflazione corrente o programmata, onde valutarne il probabile futuro reale mantenimento del potere di acquisto. È però altrettanto logico che nel momento che deve valutare il probabile valore reale futuro di un bene economico, specie se immobile, attraverso l’operazione di “sconto all’attualità” ad un tasso individuato e proveniente dalla stessa fonte del tasso di rendimento sopra richiamato (ad esempio BPT a 10 anni), consideri, ceteris paribus, lo stesso tasso di attualizzazione al lordo del tasso reale o programmato di inflazione, in quanto trovandosi il tasso di sconto al denominatore della espressione analitica di attualizzazione, l’assenza della aliquota inflattiva su base annua, corrisponderebbe ad aumentare aritmeticamente il valore attuale del bene economico e tale circostanza, specie in presenza di inflazione sostenuta, risulterebbe un immotivato paradosso. Infatti considerando il rendimento nominale dei BPT a 10 anni pari al 6,5% in presenza di un tasso di inflazione corrente del 3% e prendendo queste grandezze come riferimento per operazioni di investimento a 10 anni, avremo due punti di vista:

• quello del privato risparmiatore, • quello dell’imprenditore-investitore-valorizzatore di immobili. Il privato risparmiatore al raggiungimento del 10° anno, constaterà che il moltiplicatore dante origine al montante reale del suo investimento sarà pari a:

q10 → [1 + (0,065 − 0,03)10 = 1,41

mentre se avesse considerato solo il moltiplicatore dante origine al montante nominale avrebbe constatato un illusorio rendimento pari a:

q10 → (1 + 0,065)10 = 1,88 ovverossia un illusorio apparente maggior guadagno del 33%. L’Imprenditore-investitore-valorizzatore di immobili che ha investito (anticipato) una certa somma per la trasformazione-valorizzazione di un immobile la cui commercializzazione potrà avvenire non prima di 10 anni e che utilizzerà per l’attualizzazione dell’operazione un tasso di riferimento (Rfree ) corrispondente ai BTP come precedentemente descritti, constaterà, ceteris paribus, che il moltiplicatore formato dal quoziente il cui divisore (binomio di sconto) è costituito dal tasso base di rendimento nominale lordo più l’inflazione attesa, sarà pari a:

+ +→ ≅10 10

1 1(1 0,065 0,03)

 q

0,40

17 Agenzia del Territorio (ora “Agenzia delle Entrate”) - “Manuale Operativo delle Stime Immobiliari” ed. Franco Angeli - 2011

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mentre se avesse considerato il moltiplicatore costituito dal quoziente formato solamente dal tasso di attualizzazione Rfree (come applicato “per prassi” da certe società internazionali di valutazione), constaterebbe che il moltiplicatore dante origine al valore attualizzato, cioè al tempo 0 del periodo dell’intrapresa sarebbe pari a:

+→10 10

1 1(1 0,065)

 q

= 0,53

Ovverossia un apparente maggior valore attuale espresso in moneta (valore nominale) del bene immobile che ci si accinge a realizzare, pari a circa + 32%. Non occorre certo precisare che l’imprenditore-valorizzatore nel valutare la convenienza dell’intrapresa non potrà esimersi dal considerare un “reale” minor valore attuale del risultato finale, stante il permanere di una inflazione che in maniera occulta erode il potere di acquisto della moneta, bene volatile per eccellenza, che dovrà essere scambiata fra 10 anni con il bene immobile ultimato, la cui utilità (cioè il valore intrinseco) è rimasta, ceteris paribus, ovviamente almeno invariata. In estrema sintesi quindi, si dovrà considerare e ricomprendere nel saggio di attualizzazione anche la componente “inflazione”, onde tener conto del “deterioramento” che la moneta di scambio subirà durante tutto il processo di valorizzazione e commercializzazione. Se, come abitualmente sostenuto ( ed applicato) dagli “esperti valutatori finanziari”, si ignorano “per prassi” queste condizioni di economia reale applicata, si corre il rischio di giudicare oggi “appetibile” quello che in effetti si rivelerà un cattivo affare, e abbiamo notato quanta differenza si inveri simulando tassi correnti reali (2014) ed un orizzonte temporale di soli 10 anni. 13.3.1. Ma cosa è l’INFLAZIONE? Nello studio della macroeconomia, le cause del fenomeno vengono generalmente così individuate:

• Inflazione da domanda: un eccesso di domanda rispetto all'offerta provoca un aumento dei prezzi, se e fino a quando la produzione non riesce ad adeguarsi. È la spiegazione keynesiana.

• Inflazione da costi: l'aumento dei costi di produzione, in particolare delle materie prime e del lavoro, provoca la reazione delle imprese che aumentano i prezzi di vendita dei prodotti.

• Inflazione da eccesso di moneta: la teoria monetarista attribuisce l'inflazione all'espansione incontrollata dell'offerta di moneta da parte delle banche centrali.

L’Autore condivide la visione che oggi (2014), in Europa, la causa della perdita del potere di acquisto della moneta (che i soliti soloni della finanza creativa si ostinano a definire: aumento dei prezzi dei beni economici) sia dovuta all’eccesso di moneta che le rotative della BCE hanno stampato per il “salvataggio” delle Banche europee; anche in considerazione della contemporanea contrazione della domanda, e dell’aumento dei costi delle materie prime (al netto di imposte e tasse). Ritiene di poter sposare la visione della Scuola Austriaca: L’inflazione è dovuta, tra le altre molteplici cause in atto, all’eccesso di moneta.

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«Inflazione significa aumento della quantità di denaro e banconote in circolazione e della quantità di depositi bancari soggetti a controllo. Ma oggi si usa il termine “inflazione” per riferirsi al fenomeno che è una conseguenza inevitabile, ma non la causa, dell'inflazione: la tendenza all'aumento di tutti i prezzi e dei costi totali degli stipendi ( specie di una certa categoria di beneficiari istituzionali). Il risultato di questa deplorabile confusione è che non c'è più un termine per indicare la causa di questo aumento nei prezzi e negli stipendi. Non c'è più alcuna parola disponibile per indicare il fenomeno che, finora, è stato denominato inflazione. Ne consegue che nessuno si preoccupa per l'inflazione nel senso tradizionale del termine.»18 Per gli austriaci l'aumento dei prezzi è solo una delle conseguenze dell'inflazione monetaria, ossia quel processo creato da una politica monetaria espansionistica di una banca centrale, attraverso il quale più denaro in circolazione fa perdere di valore la moneta stessa, creando inevitabilmente un aumento generalizzato dei prezzi. Partendo da tali presupposti la scuola austriaca critica molto l'attuale sistema monetario basato sulla moneta legale arrivando a parlare di truffa, in quanto consegna ad organismi di diritto pubblico quali le banche centrali, il potere di inflazionare a piacimento una moneta, creando quindi perdita di potere d'acquisto, aumento dei prezzi e, a detta degli economisti austriaci, i cicli economici (tali aspetti sono sintetizzati nella teoria austriaca del ciclo economico). In opposizione a questo sistema, gli economisti che seguono la scuola austriaca propongono il ritorno ad un sistema di moneta merce, come, ad esempio, il sistema della parità aurea, o ad un sistema monetario dove ogni banca od ente finanziario sia libero di emettere privatamente la propria valuta in concorrenza con gli altri istituti finanziari.

18 Ludwig von Mises (Lemberg, 29 settembre 1881 – New York, 10 ottobre 1973) è stato un economista austriaco naturalizzato statunitense, tra i più influenti della scuola austriaca, nonché uno dei padri spirituali del moderno libertarismo; definito l'incontrastato decano della scuola austriaca economica, in suo onore è nato il Ludwig von Mises Institute.

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13.4. Il piano economico e finanziario e la definizione dei flussi di cassa. Il piano economico e finanziario (Business Plan) è la base di partenza per la costruzione dei flussi di cassa ed è quindi indispensabile. Esso si compone di un conto economico, di uno stato patrimoniale e di un rendiconto finanziario prospettico. Il periodo minimo di previsione è di 5 anni, mentre mediamente ci si attesta sui 6-8 anni (anche se per contratti di concessioni e altri impianti “a termine”, le previsioni possono estendersi a 25-30 anni). In ogni caso, sarebbe importante che il periodo di tempo esaminato comprendesse fasi positive e negative del ciclo economico. Il piano di solito è predisposto dal management dell’impresa oggetto di valutazione (e in particolare dal dipartimento di amministrazione e controllo) e deve essere elaborato con la massima attenzione. La collaborazione con i reparti commerciali e produttivi è assolutamente indispensabile, per ottenere stime sulle previsioni di crescita dei mercati e sull’evoluzione dei costi di produzione. Quando si costruiscono scenari futuri, è naturale che si possano seguire ipotesi di sviluppo più o meno ottimistiche: la linea guida da tenere dovrebbe però essere sempre improntata sulla prudenza e riferirsi alla teoria dell’Ordinarietà. Affermiamo – anche se è molto più semplice a dirsi che a farsi – che il quadro futuro dovrebbe essere realistico e credibile, oggettivamente motivato e riferirsi sempre al Mercato che i giovani analisti finanziari tendono troppo spesso a dimenticare o a sottovalutare. A meno che non esistano fondati motivi, deve essere verificata una certa continuità di sviluppo rispetto all’andamento economico–patrimoniale storico. È problematico fornire delle previsioni credibili e/o attendibili oltre un ordinario orizzonte temporale di tre/quattro anni. Se pensiamo poi che durante la crisi economica europea 2010-2013 le previsioni economico-finanziarie per iniziative ed investimenti immobiliari e/o industriali erano vanificate ed addirittura rovesciate e contraddette inaspettatamente nell’arco di pochi giorni (prima di agosto-dopo di agosto), possiamo allora riflettere quante poche sicurezze ma molte incertezze incombevano e condizionavano l’operato della maggior parte delle Imprese. Al di là di questo orizzonte, le stime divengono necessariamente aleatorie e nebulose, in quanto gli effetti di determinate politiche di investimento (o disinvestimento) dovranno essere ponderate su un ciclo economico mutevole per definizione (non a caso si parla di rischio d’impresa). I principali oppositori del metodo finanziario ritengono che questa metodologia non sia da utilizzare a priori per stime economiche immobiliari prospettiche, data l’assoluta mancanza di attendibilità e l’indiscutibile potere di soggettiva possibile manipolazione da parte degli Analisti Finanziari, in genere poco versati a dominare professionalmente eventi economici specie se riguardanti l’Estimo territoriale immobiliare, i valori urbanistici comprensoriali, le trasformazioni urbanistico-edilizie, gli aspetti della scienza e della tecnica delle costruzioni, l’idraulica tecnica e climatologica, la formazione della rendita edilizia, la rendita differenziale ricardiana, la rendita marxiana o di scarsità, la rendita di posizione di Von Thünen, e il tutto senza entrare nel merito degli aspetti giuridico regolamentari dell’edilizia costruita o del recupero o del riuso dei centri storici delle città d’arte o dei siti archeologici con vincoli paesaggistici etc. Su questa specifica tematica tanti studiosi della materia si sono da tempo confrontati, giungendo peraltro a conclusioni diverse. Se l’impresa da valutare è medio-piccola o quando il management non ha la necessaria preparazione per sviluppare un proprio piano economico e finanziario, il valutatore dovrebbe costruirselo in proprio, facendosi dare le necessarie informazioni dalla società e utilizzando appositi software di programmazione, che

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possono diventare anche molto complessi ed a volte fuorvianti. Non è difficile costruirsi un proprio modello in excel, anche se possono essere acquistati alcuni software già testati. Nel caso di piano “fatto in casa”, occorrerà partire dal budget e cercare di determinare, assieme all’imprenditore e/o ai dirigenti, un piano di sviluppo realistico, razionale, dimostrabile. I punti chiave, oltre all’evoluzione delle progettazioni, costruzioni, commercializzazioni e vendite e dei margini di contribuzione e operativi, saranno la determinazione dell’evoluzione del capitale circolante e della politica degli investimenti. Una volta costruito il conto economico e lo stato patrimoniale prospettico, occorrerà predisporre il calcolo dei flussi di cassa all’interno del rendiconto finanziario classico (a fonti e impieghi). I flussi di cassa operativi rappresentano quasi sempre il punto di arrivo nel metodo finanziario. Quando questo avviene si dice che il tipo di approccio utilizzato è unlevered, ovvero prescindendo dalla struttura finanziaria dell’azienda. Infatti, i flussi di cassa operativi comprendono al proprio interno i proventi e gli oneri finanziari, che non vanno a remunerare gli azionisti ma i creditori finanziari. Seguendo l’approccio unlevered, una volta determinato il valore attuale di tutti i flussi di cassa (Enterprise Value), si dovrà sottrarre l’indebitamento netto della società (ovvero la Posizione Finanziaria Netta) alla data della valutazione. In alternativa, può essere utilizzato l’approccio levered, che consente di evitare lo scomputo dell’indebitamento, poiché il relativo flusso di cassa viene già calcolato al netto degli effetti sulla struttura finanziaria 13.5. Riepilogo e ripetizione della procedura. Come già detto, il giudizio di convenienza di un investimento immobiliare, può derivarsi oltre che dal metodo estimativo tradizionale di economia statica con dati disaggregati, anche dal metodo finanziario in relazione all’economia dinamica. I metodi afferenti i criteri finanziari (DCFA) permettono di valutare il rendimento del progetto e di confrontarlo con i livelli di soglia prestabiliti:

1. Il Tempo di Rientro (TR) 2. Il Valore Attuale Netto (VAN) 3. Il Tasso o Saggio di Rendimento Interno (TRI/SRI/IIR)

Il modello Finanziario deve fare necessariamente delle esplicite ipotesi comunque opportunamente motivate, oggettive, nel rispetto della teoria dell’Ordinarietà e dell’ andamento reale dei vari mercati:

• I TEMPI per i flussi di Cassa;

• I RICAVI attesi dagli investitori; • I COSTI afferenti la realizzazione e gestione dell’opera (tangibili e intangibili);

• Il Saggio di Attualizzazione o Saggio di Sconto all’Attualità, per ottenere il

Valore Attuale Netto (VAN) dei flussi di Cassa prospettici.

Come sappiamo il processo edilizio vuoi insediativo, vuoi direzionale, vuoi commerciale e/o industriale, abbisogna di un lasso di tempo più o meno lungo. I vari costi e i vari ricavi, o meglio, le varie spese e i vari incassi afferenti la trasformazione, si inverano in momenti temporali differenti ove i costi (spese)

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vengono ovviamente sempre prima dei ricavi (incassi) e pertanto le relative entità non risultano omogenee nel tempo e non è possibile dunque effettuare un confronto immediato nell’ambito di un progetto e/o tra progetti alternativi. Gli argomenti sono due e si affrontano, ordinariamente, nel modo seguente:

• Si stimano per ogni anno di vita prospettica del progetto i vari costi e ricavi a prezzi e valori costanti attuali (oggettivati e motivati);

• Si rendono omogenei i saldi algebrici tra ricavi e costi rispetto ad un unico riferimento temporale, cioè l’attualità, attualizzandoli attraverso il coefficiente di sconto o binomio di interesse: q = (1+r).

Il criterio finanziario cui si riferisce l’analisi Costi-Ricavi trova giustificazione e fondamento nel principio economico della “ANTICIPAZIONE” secondo il quale, come precedentemente già esposto, un consumatore razionale non è disposto a pagare oggi un bene economico ad un prezzo superiore al valore attuale dei benefici netti futuri attesi, benefici che quello stesso bene sarà ordinariamente in grado di dispiegare. Il metodo finanziario dell’ ACR può quindi essere espresso sinteticamente come segue:

V = F1 + F2 + F3 +…+Fn ove:

V = Valore Netto non attualizzato del progetto (semplice coacervo dei saldi di cassa); Fj = Valore dei saldi (somme algebriche) di cassa attesi.

Più in dettaglio attualizzando le varie grandezze in ragione dei vari periodi:

( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

2 20 0 3 31 10 1 2 3 

            

1 1 1 1 1n n

nR C

VAR C R C R CR C

r r r r rN

++ + +++ + +…+

+ + + + += +

ove:

VAN = Valore Attuale Netto del progetto; Rj = Ricavi/Incassi realizzati nei vari periodi dell’arco di tempo previsto per

la realizzazione del progetto; Cj = Costi/Spese sostenuti nei vari periodi dell’arco di tempo di cui sopra; r = tasso di attualizzazione ricavato attraverso il metodo del built-up

approach; (1+r) = coefficiente di anticipazione/binomio di interesse, indicato

normalmente con “q “;

n = è ogni unità temporale prevista in cui si articola il progetto; Il Saldo di Cassa è la somma algebrica riferentesi ad uno stesso periodo (semestre o anno) relativo alla durata della realizzazione dell’intero progetto (vita intera), cioè dall’acquisizione dell’area di sedime fino al completamento della commercializzazione (vendita o affitto). La successione temporale dei saldi periodici, va sotto il nome di “flusso di cassa”. Il “Tempo di Rientro” (Pay back period) rappresenta il tempo necessario per rientrare dell’investimento effettuato. Nei capitoli precedenti avevamo già illustrato

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che il tempo di rientro nel procedimento analitico indiretto o per capitalizzazione dei redditi era dato dal moltiplicatore dei redditi:

1r

ρ =

cioè dopo aver individuato il saggio di capitalizzazione si poteva individuare, in maniera grezza, il tempo necessario – in anni – in cui si sarebbe rientrati in possesso dell’investimento iniziale; Nel DCFA il periodo di rientro, in analogia con quanto sopra già illustrato, si può individuare nei periodi necessari affinchè gli incassi coprano interamente le spese. Ciò risulta utile nei confronti di fattibilità e convenienza fra progetti alternativi. Ovviamente i migliori progetti, in senso esclusivamente monetario, sono quelli che hanno tempi di rientro inferiori. Ad esempio:

Anni 0 1 2 3 4 5 6 ρ

Progetto A - 9.000 -1.000 + 2.000 + 3.000 + 5.000 + 4.500 +200 4 Progetto B -18.000 +5.000 + 7.000 + 6.000 + 3.000 + 2.000 +500 3 Progetto C -16.000 +1.000 + 5.000 + 7.000 + 1.000 + 4.000 +1.000 4,5

Il progetto più conveniente e meno soggetto all’incertezza dell’orizzonte temporale risulta il progetto B (tempo di rientro 3 anni). A fronte di una verifica immediata ancorchè approssimativa, il criterio presenta qualche debolezza:

• Non assicura l’individuazione del progetto più utile; • Non tiene conto della durabilità effettiva del progetto realizzato; • Non considera i rischi associati all’incertezza dell’investimento; • Non attualizza i flussi di cassa del progetto. Per quanto riguarda il Valore Attuale Netto (VAN), ovviamente deve risultare > 0 affinchè il relativo progetto possa essere giudicato vantaggioso, ma il giudizio di convenienza risulta puramente finanziario mentre trascura i fattori di carattere politico, sociale, ecologico, ambientale, culturale etc. tanto che il progetto potrebbe risultare in effetti non attraente se non addirittura generalmente esiziale. Si corre anche il rischio di escludere quel progetto più vantaggioso quando il capitale iniziale da anticipare ecceda le possibilità dello imprenditore/investitore. Esempio di calcolo del VAN in relazione ad un flusso di cassa netto, il cui saggio di attualizzazione sia stato individuato pari al 11,80 %:

Anni (n) 0 1 2 3 4 5

VAN finale

Flusso di cassa netto [(Rj +(-Cj)]

-22.000 +2.000 + 5.000 + 8.000 + 10.000 + 9.000

( )1

1 0,118 n+ 1,000 0,894 0,800 0,715 0,640 0,572

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VAN 22.000 1.788 4.000 5.720 6.400 5.148 1.056

Il Saggio di Rendimento Interno (SRI)19: Si noti che il Saggio di Rendimento Interno (SRI) o Tasso di Rendimento Interno (TRI), tradotto nell’ormai straripante inglese equivale all’Internal rate of return (IRR) riportato normalmente da vari testi. Trattasi di quel saggio particolare (r) che rende nullo, cioè pari a 0 il VAN.

( )( )

( )( )

( )( )

( )( )

2 20 0 1 10 1 2

         0

1 1 1 1  n n

nR CR C R CR C

r r rA

rV N

++ +++ +…+ =

+ + +=

++

Esso costituisce una stima della redditività del capitale investito. Se il SRI risulta maggiore o uguale ad un saggio di riferimento (saggio di soglia, saggio di interesse passivo, etc.) il progetto è fattibile. Più il SRI supera il saggio di soglia, più si è tranquilli sulla fattibilità/sostenibilità del progetto. Se il saggio interno di rendimento risultasse inferiore al saggio di sconto individuato per l’attualizzazione dei flussi di cassa, il progetto non sarebbe fattibile: “GLI ONERI FINANZIARI NON RIUSCIREBBERO MAI AD ESSERE COPERTI DAI FLUSSI MONETARI DEI RICAVI FUTURI” ED IL DEBITO SEGUITEREBBE INESORABILMENTE AD AUMENTARE. 13.6. Conclusioni. Come si è visto, il metodo finanziario presenta significativi limiti, soprattutto basati sulla sua scarsa attendibilità. Non a caso, i valori a cui esso porta possono essere più elevati rispetto a quelli dei metodi c.d. tradizionali (di equilibrio economico: statici). Proprio per la sua spiccata attitudine a dare risultati assai variabili, molti operatori preferiscono rappresentare e verificare la valutazione attraverso delle “analisi di sensitività”, ovvero mediante matrici che mostrano i risultati finali in funzione delle variazioni del WACC e del tasso r (o dell’Exit Multiple). Il più delle volte con il metodo finanziario si assegna un intervallo di valori, all’interno del quale si può ritrovare un valore obiettivo, che non sempre coincide con la media matematica tra il valore minimo e il valore massimo. La funzione di queste matrici è proprio quella di aumentare la fondatezza e l’attendibilità della valutazione o della scelta rischiosa che si andrà a fare. Il metodo finanziario, se, e solo se l’analisi è profonda e motivata ed il piano economico e finanziario è ragionevole, è sicuramente il miglior strumento di valutazione possibile e gradito agli investitori e finanziatori. Soprattutto ricordiamoci che se stiamo eseguendo un’operazione con controparti straniere (e molto spesso anche Italiane, se sono società a vocazione

19 La ricerca del SRI comporta la soluzione di equazioni di terzo grado che vanno risolte per tentativi. Le equazioni hanno una veloce convergenza. Il F.E. Excel ha una funzione che risolve in automatico il problema, ma si consiglia risolvere l’equazione a mano, almeno per una volta, onde appropriarsi intimamente e dominare con autorevolezza il procedimento e “sentire” l’andamento e la variazione dei risultati al variare di ogni “r” proposto.

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internazionale o quotate) e fosse necessario presentare una valutazione del nostro business, senza il DCF rischieremmo di fare una pessima figura. Per chi si occupa di valutazioni, conoscere perfettamente le logiche sottostanti all’utilizzo anche del metodo finanziario è diventata oramai un’esigenza imprescindibile. N.B.: Non si deve ignorare però, che l’utilizzazione dei “metodi finanziari” in genere, non è obbligatoria né imposta da norme nazionali e/o internazionali come certi Testi a volte sembrano volerci informare. Non è richiesta dall’autorità giudiziaria, né gli esperti sono vincolati ad operare con metodologie preordinate da terzi. L’esperto Accademico o il Professionista iscritto al proprio Ordine Professionale, con la propria Firma e Timbro che lo individua e qualifica personalmente, certifica sotto la propria responsabilità e reputazione, l’attendibilità del proprio elaborato in virtù della legge che lo identifica sempre come:

“ …persona incaricata di pubblico servizio”.

* * *

Precisazioni Ma Cosa sono poi i cosiddetti Standard Internazionali?:

Nel Regno Unito la “Royal Institution of Chartered Surveyors” (Rics) – (Manuale dell’Istituto reale dei Geometri Inglesi) – associazione volontaria privata, pare abbia sistematizzato i metodi e le procedure tecnico-descrittive di valutazione degli immobili entro un unico vademecum o manuale – l’Appresail and Valuation Manual, il Red Book (1995) – che dalla metà degli anni ’90 dovrebbe rappresentare unico riferimento per tutti quelli che svolgono stime immobiliari (periti, funzionari di banca, agenzie immobiliari, società immobiliari, dottori commercialisti, laureati in legge, Consulenti del lavoro, …etc.). Il Vademecum si articola in due sezioni: nella prima, relativa ai Practice Statements, sono descritte le argomentazioni e le modalità da riportare cronologicamente nella relazione di stima; nella seconda, guidance notes, contiene una serie di note esplicative per la pratica professionale (ma non la interpretazione storico-critica della dottrina economico-estimativa che queste dovrebbero sottendere). In parole povere rappresenta una voluminosa checklist20.

20 Checklist : una lista di controllo, un documento che fa parte di un processo. Più propriamente è lo strumento per la "verifica procedurale" del processo stesso. L'elenco delle attività "da mettere in atto"; esso costituisce, più correttamente, una "linea guida" cui attenersi e seguire pedissequamente.

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Per non essere da meno la Francia attraverso l’Institut Francais de l’Expertise en Evaluation Immobilierè (1999) – privato – ha raccolto gli esiti di una conferenza organizzata nel 1991 dal Consel Supérieur de l’Ordre des Experts Comtables e della Fédération National de l’Immobilier. Questa guida non ha però carattere vincolante. Anche alcuni ambienti Italiani hanno deciso di partecipare al lucroso banchetto dell’affare “Stime Immobiliari” investendo nell’operazione ingenti risorse: La TECNOBORSA S.c.P.A. -Consorzio per lo sviluppo del mercato immobiliare- scrivendo in Italiano ed in inglese il “CODICE DELLE VALUTAZIONI IMMOBILIARI” – (Italian Property Valuatio Standars) – Supervisione: Aldo De Marco, Coordinatore responsabile: Giampiero Bambagioni; Direttore scientifico: Stefano Stanghellini; ha iniziato una grande operazione tecnico-finanziaria: L’attivazione di numerosi corsi di aggiornamento (a pagamento) non solo per Architetti, Ingegneri, Geometri, Periti iscritti ai rispettivi Albi Professionali che sono dotati di regolari ed indipendenti Consigli di Disciplina i cui membri sono nominati dal Presidente del Tribunale di competenza, ma anche per impiegati bancari, ragionieri, agenti di commercio, Commercialisti, Consulenti del Lavoro, Amministratori di Condominio …etc. iscritti non ad Albi Professionali che tramite i vari Consigli Nazionali dipendono direttamente dal Ministero di Grazia e Giustizia, ma ai Ruoli delle C.C.I.A21. che hanno solo funzione commerciale amministrativa quindi, senza mai entrare nel merito della specializzazione né indicare i relativi limiti di competenza. Gli iscritti ai Ruoli delle C.C.I.A. pare non possano esercitare l’attività professionale di “Stima monetaria di Beni Economico-Immobiliari” : terreni, fabbricati, industrie, infrastrutture viarie e di servizio etc. che sono di esclusiva competenza dei tecnici regolarmente iscritti agli Albi Professionali Nazionali a seguito di regolari esami di Stato, Albi che nelle Norme Fondanti ricomprendono esplicitamente e specificatamente in esclusiva, tali attività valutative di competenza dei relativi iscritti, ovviamente nei limiti delle rispettive competenze delle varie categorie. Il sole 24Ore del 28 Gennaio 2001 recensiva: “Nasce il Codice per valutare gli immobili” -…il volume promosso da Tecnoborsa, Consorzio per lo sviluppo del mercato immobiliare- definisce una metodologia di valutazione condivisa, identificabile anche a livello internazionale, univoca e agevolmente applicabile. (SIC!) Si omettono di riportare le ulteriori autoreferenziazioni. Molte organizzazioni private fra cui l’Associazione Nazionale di GEOVAL (Geometri Valutatori Esperti) con il patrocinio del Consiglio Nazionale Geometri e l’indirizzo operativo indicato dalla Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza

21 L'iscrizione nel Ruolo ha lo scopo di far conoscere i soggetti che sono stati ritenuti idonei (da chi ?- n.d.r.) ad esplicare funzioni di carattere prevalentemente pratico e ad effettuare perizie per determinate categorie merceologiche, con esclusione di quelle attività per le quali sussistono Albi regolati da apposite disposizioni. L'iscrizione non è condizione necessaria affinché un perito possa esercitare la propria attività professionale. Il Ruolo tenuto dalla Camera di Commercio è distinto in categorie e sub-categorie comprendenti merci, manufatti e servizi corrispondenti alle attività economiche di produzione di beni e servizi. L'iscrizione è disposta dalla Camera di Commercio.

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Geometri hanno deliberato di studiare e impegnare risorse finanziarie per consentire all’intera Categoria di essere al passo con gli standard internazionali di valutazione (International Valuation Standard). l Vari corsi si articolano in lezioni teoriche e pratiche (minimo 25 persone). La quota stabilita è di € 620,00 per i non iscritti alla Geoval e di € 570,00 per i soci e le donne geometra, per queste ultime così come concordato con la Consulta Nazionale Femminile “Donne Geometra”. A leggere il richiamato “Codice” pare assistere ad un elenco che richiama ed espone meccanicamente le argomentazioni dei classici ed antichi fondamenti dell’Estimo, dei suoi Criteri, e dei suoi Metodi in tutti gli aspetti operativi, in chiave anglofona. Quello che manca totalmente è qualsiasi riferimento ed approfondimento della scienza Economica e dei fondamenti, criteri e metodi della disciplina Estimativa di cui quest’ultima è un momento, al pensiero degli scrittori Classici di Estimo, del ‘600, ‘700, ‘800, ‘900, dell’illuminismo autonomo italiano Lombardo-Veneto, Toscano, Napoletano. Sembra che tutti abbiano dimenticato che presso le Università italiane e negli Istituti Tecnici Superiori, si svolgano seri ed eccellenti corsi di Estimo permeati da non indifferenti contenuti classico-umanistici e tecnico-edilizi. Ci si chiede legittimamente se un laureato in economia e commercio, o un ragioniere che per anni è stato dietro uno sportello di una sede bancaria, dopo un corso di soli tre mesi basato sul Codice delle Valutazioni Immobiliari, e dopo essersi iscritto ai Ruoli della C.C.I.A., possa esprimersi in modo adeguato e probante sul valore a “costo di riproduzione deprezzato” ( chiamato impropriamente negli standard internazionali : “valore a costo di costruzione”) di un fabbricato di valenza storico-culturali-architettonico-edilizia, o a variazioni di valori di un comprensorio residenziale a seguito di cambio d’assetto e destinazione d’uso del P.R.G. Oppure al valore comprensoriale di un insediamento residenziale avente specifici parametri convenzionati. L’Estimo è qualche cosa di più di fredde istruzioni tabellate precostituite e stampate su “Vademecum” o distribuite su CD-ROM. In un recente convegno sulla problematica sin qui descritta, è risaltato l'ultimo intervento effettuato dal Prof. Maurizio D'Amato, docente di estimo all'Università di Bari. D’Amato ha detto che "Comunque le università devono essere un partner di riferimento, è un errore fare convenzioni con enti formatori al di fuori dell'università". E rivolgendosi ai rappresentanti del mondo immobiliare in sala, ha ricordato che "Bisogna fare sistema erogando dati, indispensabili all'attività di ricerca". L’Italia, specie la Lombardia del Verri e del Beccaria, la Toscana Leopoldiana di Giovanni Fabbroni, la Napoli di Ferdinando Galiani, Gaetano Filangieri, Antonio Genovesi, Bernardo Tanucci, è stata la culla del sapere Estimativo. L’Accademia dei Georgofili fiorentina conserva innumerevoli documenti economici dei massimi esponenti e pensatori in attività sin dal 1300. I Paesi Anglofoni in evidente crisi di astinenza umanistico-culturale afferente la specifica materia, hanno cercato di recuperare solo negli ultimi 10 anni i molti secoli formativi italici, e per farlo hanno tecnicizzato la disciplina dell’Estimo, depurandola di tutti gli aspetti economico-filosofico-culturali di cui è pregna, sostituendo il tutto con “vademecum operativi” tesi a stilare puntigliose checklist degli argomenti che il Valutatore deve diligentemente riportare nella relazione che andrà a stilare, ma prive di un qualsiasi contenuto culturale adeguato. L’aspetto finanziario dunque torna loro in tali frangenti, molto utile perché bypassa il “ragionamento filosofico-culturale-economico” e punta alla rozza tecnica della

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matrice o delle caselle preordinate ad ospitare una semplice …. X .… senza commento alcuno. Se l’esempio non fosse estremamente banale, oseremmo affermare che chi è bravo e competente nella scienza e nella tecnica delle costruzioni può redigere direttamente progetti strutturali di qualsiasi forma e dimensione, mentre chi non conosce la detta disciplina si dovrà accontentare di utilizzare acriticamente tabelle e prontuari applicativi forniti da terzi, di cui non conosce né il significato nè l’uso.

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