Il Tempio Induista

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ISIAO Tiziana Lorenzetti Il tempio induista Struttura e simboli

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Tiziana Lorenzetti Il tempio induista. Struttura e simboli Roma, 2007 Collana: Il nuovo Ramusio, 5 Descrizione fisica: 118 p. : ill. ; 21 cm. Lingua: italiano ISBN: 9788885320406 Del tempio induista viene in questo libro delineata la struttura basilare, precisate le tipologie principali e fornite alcune chiavi di lettura per la decifrazione e la comprensione dei complessi significati simbolici connessi ai diversi elementi architettonici. Vengono infine tratteggiate alcune delle sue principali funzioni culturali, politiche e sociali

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I S I A O

Tiziana Lorenzetti

Il tempio induistaStruttura e simboli

Il Nuovo Ramusio

1. Tucci, Italia e Oriente.2. Bloch, Daniélou, Eliade, Griaule, Hentze, Lévi-

Strauss, Puech, Tucci, Widengren, Il simbolismocosmico dei monumenti religiosi.

3. Allam, Borrmans, Budelli, Mastrobuoni, Piga,Scattolin, Ventura, Zarmandili, Il fondamenta-lismo islamico.

4. Beltrami, Tubu. Una etnìa nomade del Saharacentro-orientale.

5. Lorenzetti, Il tempio induista. Struttura e simboli.

Il tempio induista racchiude in sé molteplicisignificati simbolici. Essenzialmente esso è ladelimitazione di un luogo dalla particolaresacralità, in cui viene ritualmente trasferito ilcentro ideale dell’universo e dove si realizza lacomunicazione fra due piani diversi: quelloumano e quello divino. Questo «centro», intor-no a cui ruota tutta la simbologia del Tempio,segna dunque la distinzione fra spazio sacro(luogo di epifanie divine) e spazio profano. Essoè inoltre strettamente correlato – secondo un’ideaantichissima e ampiamente diffusa – con un pila-stro, il cosiddetto axis mundi, che, attraversando-lo, al tempo stesso unisce e divide il cielo e laterra. La cosmologia indiana narra, infatti, chela nascita dell’universo ebbe luogo con la separa-zione del cielo dalla terra, originariamente uniti,proprio tramite un pilastro, che il dio Indra poseal centro dei due emisferi, come un asse in mezzoa due ruote di un carro.

Non è nelle finalità di questo libro l’analisiparticolareggiata e documentata di periodi, stilie varianti regionali. Del Tempio induista vienedelineata la struttura basilare, precisate le tipolo-gie principali e fornite alcune chiavi di letturaper la decifrazione e la comprensione dei com-plessi significati simbolici connessi ai diversi ele-menti architettonici. Vengono infine tratteggiatealcune delle sue principali funzioni culturali,politiche e sociali.

Tiziana Lorenzetti, socia dell’Istituto Italianoper l’Africa e l’Oriente, è dottore di ricerca instoria dell’arte dell’India e dell’Asia orientale.Ottenuta una borsa di studio dal Governo India-no, ha lavorato per tre anni presso il NationalMuseum Institute of History of Art di NuovaDelhi, compiendo studi e ricerche in molteregioni dell’India. Collabora con diverse univer-sità italiane e indiane ed è autrice di numerosepubblicazioni scientifiche e divulgative.

Attualmente, è professore a contratto pressol’Università di Roma «La Sapienza», Facoltà diLettere e Filosofia.€ 18,00

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PREFAZIONE

Il mio interesse per la storia dell’arte risale alla prima giovinezza perla viva attrazione che hanno sempre esercitato su di me le opere d’arte; inparticolare, erano i grandi monumenti creati dalla fede e dall’immagina-zione religiosa ad attrarre la mia attenzione. Il mio cammino è iniziatoin Occidente, permeato dalla cultura greca.

La solenne grandiosità dei templi greci mi sembrava esprimesse mirabil-mente nella pietra un ideale di bellezza e perfezione che, prima di risponderea canoni estetici, costituiva l’immagine trionfale della concezione alta del-l’uomo che quella cultura aveva prodotto. L’atmosfera delle cattedrali medie-vali, con il loro straordinario tesoro di uomini e animali scolpiti su capitellie amboni, riusciva a comunicarmi con plastica immediatezza il tormento, lepaure e le fatiche dell’esistenza quotidiana, ma anche la speranza e la ricercadi una dimensione spirituale che valesse a dar significato al vivere quoti-diano. La stupefacente linearità di prospetti e cupole rinascimentali mi tra-smetteva un senso di una civiltà che, prendendo le mosse dalla saggezzadegli antichi e dalla solidità della loro tradizione – rivissuta alla luce delCristianesimo –, cercava di aprire ai contemporanei nuovi orizzonti di uma-ne conquiste. Infine, nell’abbondanza di modanature, aggetti e giochi dicurve degli edifici barocchi, intuivo una ricerca che, attraverso il movimento,presagiva un’ansia di cambiamento verso nuove formule estetiche.

Queste alternanze e queste contrapposizioni le ho ritrovate nel mioincontro-confronto con il pensiero e le espressioni artistiche indiane, che miaffascinarono e coinvolsero totalmente, facendomi via via scoprire, oltre alledissonanze, le moltissime consonanze. I grandi monumenti religiosi indiani,da quelli ricavati da grotte naturali – con effetti d’incredibile suggestione –agli stu- pa buddhisti, fino alla grande varietà dei templi induisti, richiama-vano e riproponevano in una luce diversa, ma coerente, quelle che erano sta-te le ragioni e le motivazioni della mia specifica inclinazione per i capolavoridell’architettura che mi avevano sempre conquistato.

Proprio com’era accaduto in Occidente con i vari periodi della classi-cità, del romanico, del rinascimento e del barocco, anche in India l’architet-tura e le varie espressioni artistiche sono connesse all’evoluzione storica e delpensiero; quanto alle forme templari, esse andavano ben al di là degli aspetti

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funzionali relativi al puro e semplice culto delle divinità cui erano dedicate.Infatti, oltre ad essere «dimore» di potenze sovrumane, esse servivano a crea-re un punto d’incontro con l’invisibile e l’incommensurabile, espresso simbo-licamente in esseri divini dagli aspetti volta a volta benigni e gratificanti,oppure raffigurati in fattezze teriomorfe, spesso intessute di tremendo.

Come da noi, in ogni complesso templare, originariamente costruito peril culto, potevano crearsi spazi di frequentazione per la comunità – dal com-mercio all’avvio di trattative o alla raccolta di ricchezze – insieme ad areeriservate all’insegnamento di dottrine e pratiche tradizionali. Ciò avvenivaspesso con il favore di munifici sovrani, desiderosi di enfatizzare la lorolegittimità, associando il proprio nome alla figura divina custodita dal cle-ro brahmanico e venerata dal popolo. Ma, nell’idea del tempio induista, c’era assai di più; e in questo stava precisamente la grandezza e l’origina-lità dello spirito dei loro costruttori, il cui intento appariva affine a quellodi chi aveva dato forma agli edifici religiosi della tradizione occidentale.

Nei templi dell’India, infatti, si rivela l’assunzione di un valore, percosì dire, grafico e altamente simbolico, che sta nello sforzo di tracciareun disegno dell’universo e – per l’analogia che collega macrocosmo emicrocosmo – anche dell’essere umano. Ma non solo: nel tempio induista,alla cosmografia e alla cosmogenesi che potevano esservi espresse, siaffiancava un significato più profondo, tale da fare del santuario unsupporto per un percorso di consapevolezza e di realizzazione interiori.

Di ciò trovai conferma in Teoria e pratica del man.d. ala di GiuseppeTucci. Così come il man.d. ala, che non a caso contiene nel suo interno mura,porte e una cittadella in cui occorre penetrare, anche il tempio induista costi-tuisce uno «psico-cosmo-gramma», capace di avviare chiunque abbia rag-giunto la necessaria maturità a forme di riflessione e di meditazione salvifi-che, tali da condurlo a realizzare l’analogia fra microcosmo e macrocosmo e,insieme, l’identità dell’Uno con il Tutto. Di questo trovai ulteriore chiarimentonella descrizione fatta dallo studioso del tempio di bSam Yas nel Tibet.

[…] bSam yas fu intenzionalmente costruito come un riflesso ed unasintesi dell’universo stesso: esso era circondato da un muro di cinta, ilCakravala, la cintura di monti che circonda l’universo: nel centro sor-geva il maggior tempio a tre piani, modellato su quello di Odantapuri,come il Sumeru: ai quattro lati del quale, uno per ciascun punto cardi-nale, si trovavano i quattro continenti, dvı-pa, e nei punti intermedi gliotto continenti secondari.1

1 G. Tucci, «Il tempio di bSam yas», in Aa.Vv., Il simbolismo cosmico dei monu-menti religiosi, a cura di B. Melasecchi, Roma, ISIAO, 2006, pp. 66-67.

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Allo stesso tempo, a riprova della molteplicità e complessità della sim-bologia religiosa, una siffatta rappresentazione cosmica non escludeva ilvalore paradigmatico del tempio, come espressione del trionfo del Buddhi-smo sulla precedente religione Bon.

Indagini e ricerche sul campo mi hanno permesso di studiare grandi epiccole strutture templari dell’Induismo. Per ragioni di spazio e opportunità,tuttavia, questo lavoro rappresenta solamente un aspetto specifico (e perciòlimitato) dell’architettura induista, in quanto nasce soprattutto dall’intentodi conferire organicità e completezza a una serie di articoli comparsi su varieriviste, oppure – in una sorta di omaggio ai miei insegnanti italiani eindiani – a servire come un iniziale strumento didattico.

Pertanto, non vi si dovrà cercare alcuna analisi particolareggiata edocumentata di periodi, stili, varianti regionali, in quanto tutto ciò nonrisponde alle sue finalità. Qui si è cercato solo di delineare la strutturabasilare del tempio induista, di precisarne le tipologie principali e di for-nire alcune chiavi di lettura per la decifrazione e la comprensione deicomplessi significati simbolici connessi ai diversi elementi architettonici.

Nell’ultimo capitolo, infine, si è tentato di tratteggiarne alcune delleprincipali funzioni culturali, politiche e sociali.

Per questa ragione, il lavoro è articolato in cinque capitoli, dedicatirispettivamente ai seguenti aspetti:

– il tempio induista come immagine dell’universo; – il tempio come dimora e corpo della divinità; – gli stili e le forme;– le divinità e le decorazioni del tempio;– il tempio come centro culturale, sociale, economico e strumento di

potere politico.

In appendice, si è redatto un glossario di termini tecnici, codificati daitrattati specialistici indiani, insieme a una sostanziale bibliografia tematica.

Particolare importanza è stata riservata alla parte illustrativa, alloscopo di rendere il più chiara possibile una descrizione testuale che corre-va il rischio di apparire troppo tecnica e di non facile lettura. I disegni e igrafici che corredano l’opera sono molto spesso originali. Talora, invece,essi sono ispirati a lavori citati in bibliografia, ma risultano, comunque,sempre rielaborati e adattati, in modo da fornire alcune necessarie deluci-dazioni. Per la loro realizzazione mi sono avvalsa della competenza tecni-ca di Jaroslav Novak e di Roberta Gentilini, che qui ringrazio.

Vi sono, inoltre, numerose riproduzioni fotografiche di vari templi,specialmente del Tamil Nadu. Queste offrono ampia documentazione al

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discorso e danno un saggio di simboli e strutture estremamente complessi,che si è cercato di chiarire e proporre al lettore.

Desidero ringraziare l’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente peraver accettato di pubblicare questo saggio nella collana «Il NuovoRamusio», una denominazione che, di per sé, costituisce un titolo di prestigio per gli Autori che vi sono ospitati.

TIZIANA LORENZETTI

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CAPITOLO I

IL TEMPIO COME IMMAGINEDELL’UNIVERSO

Il tempio induista racchiude in sé molteplici significati sim-bolici. Essenzialmente, esso è la delimitazione di un luogo dallaparticolare sacralità1, in cui viene ritualmente trasferito il centroideale dell’universo e dove si realizza la comunicazione fra duepiani diversi: quello umano e quello divino2. Questo «centro»,motivo base dell’architettura sacra indiana, è strettamente corre-lato – secondo un’idea antichissima e ampiamente diffusa – conun pilastro, il cosiddetto axis mundi, che lo attraversa e unisce(ma nello stesso tempo divide) il cielo e la terra. La cosmologia

1 L’idea intorno a cui ruota tutta la simbologia del tempio induista è ladistinzione fra spazio sacro (luogo di epifanie divine) e spazio profano.

2 L’idea del «centro» ha una grande importanza in molte tradizioni anti-che. Punto principiale senza forma e senza dimensione, esso è generalmenteassimilato al Principio immutabile – immagine perfetta dell’Unità primordiale –da cui derivano tutte le manifestazioni. Secondo alcune tradizioni, il «centro»(identificato nella tradizione cristiana con il Dio creatore), rappresenta nonsolo l’origine di tutte le cose, ma anche il punto di arrivo: tutto è derivato daesso e tutto alla fine vi ritorna poiché, se tutto ciò che esiste si origina dal Princi-pio, deve esserci fra questo e tutte le cose un legame permanente, raffigurato – secondo un simbolismo geometrico – dai raggi che uniscono il centro con tut-ti i punti della circonferenza. Queste due fasi complementari, di cui la primaè assimilata a un movimento centrifugo, la seconda ad uno centripeto, possie-dono, in molte tradizioni, la loro rappresentazione simbolica. Nella tradizioneinduista, esse sono ben rappresentate dalla vita dell’Universo nel suo schema diespansione e riassorbimento. Cfr. R. Guénon, «L’idée du Centre dans les tradi-tions antiques», Regnabit, Paris, maggio 1926; Id., Simboli della scienza sacra, Milano19782, pp. 63-71 (Symboles fondamentaux de la science sacrée, Paris 1962); M. Eliade,Immagini e simboli. Saggi sul simbolismo magico-religioso, Milano 1987, pp. 29-54(Images et symboles. Essais sur le symbolisme magico-religieux, Paris 1952); G. de Cham-peaux e S. Sterckx, I simboli del Medio Evo, Milano 1981, pp. 27-54 (Introduction aumonde des symboles, Paris 1972).

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vedica narra, infatti, che la nascita dell’universo ebbe luogo conla separazione del cielo dalla terra (originariamente uniti) pro-prio tramite un pilastro, che il dio Indra pose al centro deidue emisferi, come un asse in mezzo a due ruote di un carro(R. g Veda, X 44, 89) (Fig. 1).

Con l’evolversi della speculazione religiosa, il pensiero indianoelaborò una complessa cosmologia, in cui confluirono retaggi didiverse tradizioni3 e che si trova descritta per lo più nei Pura-n. a,raccolte di antichi miti. In essi si narra che al centro della terra– piatta, circolare e formata da sette continenti (dvı-pa) concentrici –vi è un monte che s’innalza fino alle sfere celesti (loka)4. Intorno aquesta montagna cosmica, nota con il nome di Meru o Sumeru ecorrispondente all’axis mundi 5, si estendono i sette continenti ter-

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3 Fra queste diverse tradizioni e concezioni religiose, ricordiamo le specula-zioni vediche, upanisadiche e della filosofia del Sa-m. khya, ma anche idee e mitipropri della cultura babilonese, dell’Iran achemenide e della filosofia greca pre-socratica. Cfr. D. Pingree, «Cosmologia Puranica», in Storia della Scienza, vol. II,India, Cina, America, Enciclopedia Italiana Treccani, Roma 2004, p. 721.

4 Per un approfondimento, cfr. C. Blacker e M. Loewe, Antiche Cosmologie,Roma 1978, pp. 91-119 (Ancient Cosmologies, London 1975); Pingree, op. cit.,pp. 717-21.

5 Nell’immaginario mitico di molte civiltà antiche, l’axis mundi è general-mente rappresentato da un pilastro, luminoso o adamantino (cfr. Platone,Repubblica, X, mito di Er), oppure, come nel caso del monte Meru, da una mon-

Fig. 1 - La raffigurazione della nascita dell’universo secondo la cosmologia vedica.

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restri; al di sopra sono situati i mondi celesti, al di sotto i settemondi inferiori (pa-ta-la)6. Attorno al sistema, infine, ruotano il solee la luna7. Sulla sommità della montagna risiede Brahma-, il diocreatore, prima emanazione della gerarchia ontologica dellemanifestazioni divine, che regola il ritmo dell’universo, nel suoperiodico espandersi e contrarsi, secondo i propri ritmi vitali8.

Essendo, dunque, concepito non solo come il tramite fra cieloe terra, ma anche come il perno immobile intorno a cui tutto ruo-ta, l’axis mundi diviene l’emblema della presenza divina nel cosmo.Come abbiamo visto, infatti, esso è la dimora di Brahma-, il creato-re; d’altra parte, varie figure divine appartenenti a diverse tradizio-ni religiose sono state spesso assimilate al pilastro cosmico9.

Nell’architettura del tempio induista, questo axis, rappresenta-to dal mitico monte Meru (che ha il suo omologo sulla terra nelmonte Kaila-sa, situato nell’Hima- laya e considerato la dimora diSiva), è raffigurato da un’alta torre (sikhara, picco) (Fig. 2), che sierge direttamente sopra la piccola cella del sanctum (garbhagr.ha).È questo il cuore della montagna cosmica, il centro dell’universo,il grembo delle origini, come suggerisce il nome stesso garbhagr.ha,che significa la «dimora dell’embrione». Qui, infatti, risiede illuminoso principio divino, pur avvolto dall’oscurità.

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tagna. Per alcune tradizioni si tratta di una montagna realmente esistente, peraltre è puramente simbolica. Per un approfondimento, cfr. R. Guénon, Il re delmondo, Milano 1977, pp. 85-94 (Le roi du monde, Paris 1927); M. Eliade, «Il centrodel mondo, il tempio, la casa», in Aa.Vv., Il simbolismo cosmico dei monumentireligiosi, cit., pp. 9-27 (Le symbolisme cosmique des monuments religieux, Serie OrientaleRoma, vol. XIV, 1957); Id., Immagini e simboli, cit., pp. 38-50; de Champeaux eSterckx, op. cit., pp. 188-98.

6 Cfr. Pingree, op. cit., p. 719; S. Piano, Sana-tana-Dharma. Un incontro conl’«induismo», Milano 1996, pp. 177-79.

7 La medesima concezione degli astri che ruotano intorno ad una monta-gna centrale (o settentrionale), si ritrova nella cosmologia di Anassimene eAnassimandro. Cfr. Pingree, op. cit., p. 718.

8 Brahma- vive cento anni. Ogni anno consiste di 360 giorni e 360 notti. Cia-scun giorno e ciascuna notte corrispondono a un’era cosmica (kalpa), di4.320.000.000 anni umani. Alla fine di ogni «giorno di Brahma-» si conclude unciclo cosmico: il mondo si dissecca e le acque vitali scompaiono; divampa unincendio che riduce tutto in cenere. Allora, cade una pioggia torrenziale e laterra torna all’oceano primordiale: è l’intervallo di una notte di Brahma- . Cfr.Piano, op. cit., pp. 180-86.

9 Si veda, ad esempio, l’immagine del Buddha, rappresentato da un pilastroin molti bassorilievi, tra cui i più noti sono quelli dello stu- pa di Amara-vatı-.

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In rapporto a questo centro, secondo uno schema che è piùplastico che architettonico, si dispiega il complesso templare,simboleggiante la perfetta compiutezza dell’universo nel suoschema essenziale di emanazione e riassorbimento; una cosmolo-gia armonica e ordinata, i cui grandi ritmi, dispersi nella mutevo-le varietà della materia e disgiunti nel divenire cosmico, vengonoriuniti e fissati nella geometria dell’edificio.

È così evocata non solo la cosmogenesi, vale a dire il passag-gio dall’unità alla molteplicità, ma anche il percorso inverso,ossia la reintegrazione della pluralità cosmica nella purezza dell’Uno-Tutto.

Il cosmogramma realizzato nella pietra, infatti, nell’accordoe nel ricongiungimento di tutte le forme opposte e complemen-tari (che costituiscono l’aspetto profondo dell’esistenza), prean-nuncia già il loro riassorbimento nell’unità indivisa dell’essere.Questa tendenza al «ritorno» verso il «centro», vale a dire questostraordinario impeto verso il Sé (ben rappresentato architettoni-camente dallo slancio verso l’alto dello sikhara), rivela la funzio-ne «magica» del monumento come luogo di evoluzione spiritua-le per ognuno e, dunque, di transito (tı-rtha)10 verso la Realtàultima. L’aspetto dinamico del tempio è ben espresso pratica-mente dal rito della pradaks.in. a o circumambulazione esterna delsantuario – inserito spesso nell’architettura con la realizzazionedi un sentiero deambulatoriale (pradaks.in. apatha) – che fa parte-cipare il corpo a quel viaggio della coscienza la quale, scoprendose stessa nella molteplicità delle manifestazioni dell’essere, si rein-tegra a poco a poco nella chiarezza immota dell’Uno-Tutto. Invirtù di questo rituale, infatti, il fedele, entrando nell’area sacra daoriente – simbolo dell’inizio di ogni cammino – percorre il peri-metro del santuario, rievocando allegoricamente il ciclo solare e,

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10 Tı-rtha è parola sanscrita che significa generalmente «guado», «passaggio»e, in seguito, anche «luogo di pellegrinaggio». L’allusione all’attraversamento diuna corrente tumultuosa di un fiume, simbolo dell’impermanenza e del cicloinfinito di nascite e morti (sam. sa-ra), reca con sé l’idea di un approdo salvifico suuna riva opposta, che, nel caso specifico, è emblema di una dimensione spiritua-le. Il senso più profondo del termine esprime, dunque, l’accesso a una realtàtrascendente, analogamente al pontifex della tradizione occidentale, la cui etimo-logia, derivando appunto da pons (ponte), conferisce al Pontefice una funzionedi «collegamento» fra il mondo terreno e quello celeste, cioè fra l’uomo e Dio.Cfr. Guénon, Il re del mondo, cit., p. 19. Il tempio induista, dunque, può essereconsiderato come la trasposizione architettonica del tı-rtha.

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tramite questo movimento circolare (che allude anche alla possibi-lità di reintegrazione), tramite gli stessi elementi architettonici eun intrecciarsi di simboli, celebra il ritmo dell’universo. Struttureverticali, che si riferiscono al piano metafisico dell’esistenza, sioppongono ad elementi orizzontali, forme dello sviluppo dellamanifestazione; masse aggettanti e proiezioni multiple che, con illoro ritmico propagarsi di impulsi, evocano l’espandersi dell’uni-verso, si alternano a profonde rientranze che sembrano alludere,invece, al riassorbimento cosmico; nicchie pilastrate, disposte lun-go i muri esterni, svelano di volta in volta immagini divine11. Tuttoappare animato da un dinamismo che sembra accompagnare escandire il percorso del fedele, attirandolo al centro del santuario.

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11 Cfr. A. Hardy, «Form Transformation and Meaning in Indian TempleArchitecture», in G.H.R. Tillotson, Paradigms of Indian Architecture, Space andTime in Representation and Design, London 1998, pp. 107-36.

Fig. 2 - Il tempio Khan. d. a- rya Maha-deva, XI sec., Khajura-ho, Madhya Pradesh.

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In questo modo, egli acquista consapevolezza dell’asse del mondoe delle infinite forme della Suprema Realtà che ruotano intornoad esso. Così ogni tempio induista, creato in rapporto al movimen-to apparente dei volumi e a quello reale degli uomini, si offre conuguale validità ad una visione parziale e nello stesso tempo com-plessiva, esprimendo grande dinamicità e dando quasi l’impressio-ne di muoversi anch’esso con il singolo pellegrino12.

Spesso, nei templi induisti, la facciata nord è generalmenteconsacrata a Brahma- , quella ovest a Vis.n. u, quella sud a Siva, sim-boleggianti i tre aspetti della manifestazione cosmica: l’emana-zione, la conservazione, il riassorbimento. La pradaks.in. a ponecosì il fedele di fronte alla triplice manifestazione dell’unico eassoluto divinum, la cui essenza è espressa dall’immagine di cultoche dimora all’interno del garbhagr.ha.

Mediante la circumambulazione del santuario, il simbolismoarchitettonico e plastico del tempio, che riunisce i grandi ciclicosmici, diviene a sua volta oggetto di un’esperienza coscienzialeciclica e concreta. Infatti, per la corrispondenza fra macrocosmo(universo) e microcosmo (uomo), l’essere umano può evocareanche in se stesso la perfetta compiutezza di un universo permeatodalla sostanza divina, dove tutti gli elementi giacciono nell’equili-brio dinamico che precede la loro reintegrazione nell’immota eindivisibile purezza della coscienza cosmica.

Ora, poiché il tempio, essenzialmente, rievoca la magia crea-trice divina, che si attua simbolicamente secondo un immensoschema geometrico (la caratteristica del mondo è appunto quel-la di essere commensurabile nel tempo e nello spazio)13, lasuperficie che accoglie il santuario viene determinata ritualmen-te ed espressa secondo regole geometriche precise. Innanzi tut-to, la scelta del luogo dove sorgerà la costruzione non può esserecasuale: vengono generalmente favorite località consideratesacre e già meta di antichi pellegrinaggi, note come tı-rtha (via,guado) o ks.etra (campo), dove è più facilmente percepibile ildivino. Anche se la tradizione religiosa indiana concepisce tutto

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12 Cfr. M. Bussagli, Architettura orientale, Milano 1981, p. 134.13 La ma-ya-, dalla radice ma- (misurare), è un aspetto della potenza divina;

essa è il potere che oscura, differenzia e limita, rivestendo la mera apparenza direaltà sostanziale. Essendo e generando ciò che si mostra (vale a dire il mondofenomenico), è la misuratrice per eccellenza: essa, infatti, genera lo spazio e iltempo. Nel suo aspetto individuale è avidya-, l’ignoranza.

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il suolo dell’India come sacro, alcuni luoghi particolari, situatigeneralmente sulla cima di colline o alla confluenza di fiumi,risultano pregni di particolari vibrazione spirituali. Secondo lamitologia e la tradizione religiosa induista, queste località deriva-no dalla caduta sulla terra di alcune parti del corpo di Satı-, lasposa del dio Siva, smembrata dopo la sua morte in cinquantunoparti. Ogni parte del corpo della dea, cadendo sulla terra, hacosì determinato un luogo particolarmente sacro dove – come silegge anche nei Pura-n. a14 – si manifestano gli dèi e, proprio daqueste località, le oblazioni sacrificali offerte dai devoti li rag-giungono più facilmente.

Scelto il luogo, si procede alla purificazione del terrenosecondo rituali geomantici, volti a creare quel rapporto profon-do tra la forza creativa della terra e l’opera dell’uomo, che è allabase di ogni costruzione religiosa indiana.

Dapprima vengono recitate alcune formule sacre (mantra),per allontanare eventuali forze malevole, o semplicemente didisturbo. In seguito, il terreno viene accuratamente dissodato espianato e, infine, si offrono dei semi alla Terra, che deve riceve-re «il germe di tutte le cose viventi» (Atharva Veda, V 25, 2). Que-sta offerta rituale, nota come an.kura arpan. a, si accompagna allarecitazione di formule di carattere astrologico (a-ya-di-s.ad. varga) inonore della divinità a cui il tempio sarà dedicato. Si stabiliscecosì «una sorta di rapporto fra architettura e natura, impostatosulla base delle forze invisibili […]»15.

Il rito dell’orientazione

Dopo aver completato i rituali prestabiliti, che assimilano lacostruzione religiosa ad un atto liturgico, si traccia la pianta delsantuario secondo il rito dell’orientazione, mediante il quale iltempio diverrà immagine dell’universo, sia in senso spaziale chetemporale (Fig. 3). Ricordando che la cosmogenesi è espressadal dispiegarsi dello spazio da un punto centrale, origine del-l’estensione, si erige un pilastro (YZ) intorno a cui si traccia un

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14 Bhavis.ya Pura-n. a, I, CXXX 11-15. Cfr., inoltre, Matsya Pura-n. a, XIII 26-54,CII 3-5.

15 Bussagli, op. cit., p. 45.

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CAPITOLO III

GLI STILI E LE FORME

La grande architettura templare indiana, e in particolarequella induista, inizia circa nell’epoca Gupta (IV-VI secolo dellanostra èra), periodo d’intensa attività costruttiva.

I primi templi Gupta erano molto semplici: il santuario, dimodeste dimensioni, sorgeva generalmente su un plinto e consi-steva in una cella cubica sormontata da un tetto presumibilmen-te piatto e preceduta da un portico a pilastri che ricordava ilprònao di alcune tipologie greche e vicino-orientali1: nel suoperiodo iniziale, infatti, l’architettura indiana appare come unasintesi fra l’arte autoctona, quella greco-partica e quella romano-siriaca. Alcuni esempi appartenenti a questo antico periodo sitrovano nel Madhya Pradesh: fra questi, il tempio Kan. ka- lı- T. ila- aTigowa e il tempio n. 17 a Sañchi (Fig. 18), entrambi d’incertadedica e risalenti al V secolo della nostra èra.

Pur nella loro lineare semplicità, queste costruzioni presen-tano una ricca decorazione che orna specialmente l’esterno e ilportale d’ingresso del santuario. Ad esempio, nel tempio n. 17a Sañchi, il portico distilo (pragrı-va), sorretto da un semplicestilobate a sbalzo con architrave continuo, ha colonne a struttu-ra composita molto elaborate: la sezione quadrata di basediventa ottagonale nel mezzo e a sedici facce nella parte altadel fusto. Ogni colonna termina con un elemento campanifor-me su cui si innesta un capitello cubico sormontato da unamensola recante sculture di leoni addorsati. Gli stipiti del por-tale presentano già alcune decorazioni tipiche dei templi piùtardi. Si notano, infatti, fregi scolpiti, bande di archetti, corni-cioni dentellati.

1 Fra queste, citiamo ancora il tempio di Jan. d. ia- l a Taxila.

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tura templare tendono a divenire sempre più elaborate. Gene-ralmente, esse sono angolate alla base e a struttura compositalungo il fusto; ogni sezione è spesso intervallata da fasce decora-tive, mentre rilievi o pannelli scultorei circondano il fusto. Inmolti casi, questo si restringe all’apice in una o più sezioni scana-late (bharan. ı-), su cui si innesta il capitello (bharan. a) che, tramite

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Fig. 19 - Pianta del tempio Svarga Brahma-, VII-VIII sec., Alam· pu- r, Andhra Pradesh.

Fig. 20 - Tempio La-d Kha-n, VII-VIII sec., Aihol.e, Karnataka.

A. pra-ka-ra; B. ardhaman. d. apa; C. man. d. apa; D. antara- la; E. garbhagr.ha; F. pradaks.in. apatha.

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questo accorgimento, siespande più liberamen-te. L’abaco, citato neitesti sia con il termine diphalaka, sia con quello diman. d. i4, è spesso sormon-tato da una mensola(potika-) su cui poggianofigure semidivine, umaneo di animali, che costitui-scono veri e propri ele-menti della trabeazione(prastara) (Fig. 21).

Nei santuari più ela-borati (Figg. 22-23), alman. d. apa viene aggiun-ta una seconda sala,anch’essa ipostila (maha--man. d. apa), generalmentechiusa, che, mediante unvestibolo (antara-la), co-munica direttamente conl’oscura cella quadratadel sanctum, il garbhagr.ha,dove è collocata l’imma-gine della divinità a cui iltempio è dedicato, oppu-re un suo simbolo. In corrispondenza di un lato del garbhagr.ha viè una conduttura di pietra (soma su- tra) terminante con una gar-golla (pran. a-la) (Fig. 24), da cui defluiscono l’acqua lustrale o ilburro chiarificato (ghr. ta) offerti alla divinità.

In alcuni templi, definiti sa-ndha-ra, il garbhagr.ha viene circon-dato da un sentiero deambulatoriale coperto su cui si aprono feri-toie rettangolari: è attraverso di esse che la luce del sole, pene-trando, squarcia la penombra e scandisce il percorso del fedelecon schemi geometrici luminosi, analogia di bagliori di consape-

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4 Cfr. B. Dagens, Architecture in the Ajita-gama and the Raurava-gama – A Study ofTwo Indian Texts, Delhi 1984, pp. 58-59. Cfr., inoltre, P.K. Acharya, A Dictionary ofHindu Architecture, Ma-nasa-ra Series, vol. I, Delhi 1981 (I ed. Oxford 1934), p. 648.Il termine man. d. i per indicare l’abaco è controverso.

Fig. 21 - Colonna tipo del man. d. apa.

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altezza) e manifestano la tendenza ad incurvare i profili laterali: inquesto modo, le linee di fuga, anziché rette e convergenti verso l’al-to, divengono concave e lievemente divergenti. Anche la loro deco-razione diviene sempre più esuberante: tutto sembra ispirato aduna ricerca del fastoso e del grandioso, che tanto caratterizza icomplessi templari dra-vida posteriori al XIII secolo.

Questa ricercata evoluzione architettonica – che si manifeste-rà anche in misura maggiore nelle epoche successive – trasformail complesso sacro in una vera e propria città templare polifun-zionale, dove il fedele procede attraverso un succedersi diambienti e costruzioni minori, dedalo di un simbolismo amplifi-cato che culmina nel garbhagr.ha del santuario principale, centroarchitettonico e simbolico di tutto il complesso.

L’ampiezza e il vorticoso moltiplicarsi delle strutture architet-toniche fu causato da profondi cambiamenti socio-economici,politici e religiosi, che investirono soprattutto le società medieva-li dell’India meridionale (vedi Cap. V).

I templi appartenenti al terzo tipo (vesara) sono caratterizzatidalla copertura cilindrica della volta a botte – tipica dei templi

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Fig. 42 - Tempio Yellamma- , XI sec., Ba-da-mı-, Karnataka.

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absidali –, che ha i suoi prototipi sia nella prima architetturarupestre buddhista, sia nelle più antiche architetture civili del-l’India, come si evince da numerosi bassorilievi che le raffigura-no. Un classico esempio di questo tipo di tempio è il Kapotesvaraa Chezarla nell’Andhra Pradesh (IV-V secolo), il più antico san-tuario induista a pianta absidale (Fig. 41).

Lo stile vesara, tuttavia – specialmente nella sua fase più matu-ra –, si presenta complesso e composito. Esso è anche detto«misto», poiché comprende anche santuari che evidenziano solu-zioni architettoniche varie e originali, fondendo elementi propridella tipologia templare na-gara, con quelli della tipologia dra-vida.

Specialmente nello stato del Karnataka possiamo seguire losviluppo di questo stile: in questa regione, infatti, terra di incon-tro fra diverse culture (indo-aria, dravidico-tamil e, in seguito,anche musulmana), la produzione artistica è sempre stata carat-terizzata da eterogeneità di modelli e tendenze, che favorironola nascita di tipologie «miste» (Figg. 42-43).

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Fig. 43 - Tempio Kesava, XIII sec., Somna-thpur, Karnataka.

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mente umana. E intanto – siamo già nella pienezza dell’Induismo –la determinazione cosmica, per quella analogia che collega sot-tilmente microcosmo e macrocosmo, diviene anche individuazio-ne psico-fisica, dato che il dio, nel suo rifrangersi nella molteplici-tà, si offusca anche nella psiche individuale. Tutto questo procedesecondo una gradualità precisa, espressa da una serie di suddivi-sioni quinarie (simboleggianti i cinque aspetti del dio) che riflet-tono, in parte, le categorie della filosofia Sa-m. khya7.

Oltre al lin.ga, nei templi dedicati a Siva, specialmente inquelli dra-vida, vi sono altre simbologie importanti collegate aquesta divinità, come il tridente (trisula), l’arma per eccellenzadel dio (pa-supata astra), che acquista complessi valori simbolici,divenendo oggetto di elaborate costruzioni speculative (Fig. 51).

La divinità principale nei templi vis.n. uiti

Nel garbhagr.ha dei templi dedicati a Vis.n. u si trova l’immagi-ne antropomorfa del dio, che assume forme diverse e particolari,collegate soprattutto alle sue «discese» (avata-ra) in questo mon-do. Sebbene siano state redatte diverse liste di avata-ra, da moltisecoli prevale un elenco di dieci «manifestazioni» del dio, ovvia-mente senza alcuna pretesa di esclusivismo.

Nel loro susseguirsi, questi avata-ra mostrano sorprendenterassomiglianza con la teoria evoluzionistica che va dalle creatureacquatiche all’homo sapiens sapiens: si inizia, infatti, con matsya, ilpesce, per passare a un essere anfibio come la tartaruga (ku- rma),a un animale terrestre come il cinghiale (vara-ha), a un esseresemi-teriomorfo metà leone e metà uomo (narasim. ha). Seguequindi vamana, il nano, la cui intelligenza sottile prelude allaserie degli eroi salvifici: Parasura-ma, Ra-ma, Kr. s.n. a, il Buddha (oBalara-ma, giusto re, fratello di Kr. s.n. a) e, infine, Kalki, l’avata-radel futuro evo cosmico (Fig. 52). Fra queste manifestazioni terio-morfe e antropomorfe del dio Vis.n. u, grande venerazione è riser-vata a Ra-ma e Kr. s.n. a, i cui culti sono, dopo lo Sivaismo, quelli piùdiffusi nel subcontinente indiano8.

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7 Cfr. Tucci, Storia della filosofia indiana, cit., pp. 121, 125; Radhakrishnan,op. cit., vol. II, pp. 769-79.

8 Per un approfondimento, si veda L.P. Mishra, L’India da Gandhi a Gandhi,storia conflitti e conquiste di una civiltà, Roma 1977, pp. 110-18.

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Fig. 52 - Fregi con le dieci incarnazioni («discese») di Vis.n. u (dasa-vata-ra). (Cortesia dell’Archaeological Museum di Khajura-ho).

a

b

c

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a-dha-ra- sila- pietra di fondazionedel tempio.

adhis.t.ha-na alto basamento templa-re, composto da una serie dimodanature orizzontali: upa-na,jagatı-, kumuda (o kumbha),kan. t.ha, pat.t.ika- khura.

alamka- ra «di buon auspicio». Iltermine indica le decorazio-ni templari nel loro comples-so.

a-malaka/amla- pietra dentellata(dal nome del frutto omoni-mo), generalmente posta sul-la sommità dello sikhara deitempli na-gara.

an·gasikhara/urusrn.ga (torri multi-ple) sikhara minori disposti in-torno a uno principale.

antara- la vestibolo.ardhaman. d. apa «mezza sala», 1)

portico d’ingresso; 2) piccolasala di passaggio.

arpan. a offerta rituale.a-stha-na man. d. apa sala delle udienze.avaran. a cinta muraria dei templi

(cfr. pra-ka- ra).avaran. adevata- divinità sussidiaria

(cfr. pariva- radevata-).

ba-d. a muro esterno dei templidell’Orissa. Generalmente con-siste di tre parti principali:pa-bha-ga, jan.gha- , baran. d. a.

baran. d. a parte superiore del muroesterno dei templi dell’Orissa.

beki collarino (cfr. grı-va).bhadra sporgenza muraria.bharan. a capitello.bharan. ı- parte superiore della colon-

na, generalmente scanalata, sucui si innesta il capitello.

bhittistambha, bhittipa-dagata colon-na (cfr. stambha).

bhoga mandir padiglione delle of-ferte.

bhu-mi livelli orizzontali (cfr. tala).bhu- mija tipo di sikhara curvilineo

caratterizzato da file orizzon-tali sovrapposte di s ikharaminiaturizzati (an· gasikhara).

bimba riflesso.brahma-n. d.a «uovo di Brahma-»,

l’universo.

caitya 1) santuario buddhista carat-terizzato da una sala absidatacon volta a botte; 2) stu- pa; 3)motivo di finestre cieche sor-montate da volta a botte.

caityagr.ha «dimora del caitya». San-tuario rupestre al cui interno sitrova un caitya.

caitya-gava-ks.a finestre sormontatedall’arco carenato.

candrasa- la- finestra cieca sormon-tata da un arco carenato o ro-tondo.

GLOSSARIO DEI PRINCIPALI TERMINI INDIANI

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INDICE

Prefazione ........................................................................................... 5

INTRODUZIONE ................................................................................ 9

I. IL TEMPIO COME IMMAGINE DELL’UNIVERSO ......................... 13

Il rito dell’orientazione .................................................................. 19La pianta del tempio: il va- stu-purus.a-man. d. ala e il mito di Purus.a-Praja-pati ......................................................................... 22Il rito di fondazione: una geometria sacra...................................... 26

II. IL TEMPIO COME CORPO E DIMORA DELLA DIVINITÀ.............. 33

Architettura lignea e rupestre ........................................................ 38

III. GLI STILI E LE FORME................................................................ 45

Struttura basilare del tempio induista ........................................... 46I muri esterni ............................................................................... 51Le coperture.................................................................................. 52Le tipologie templari ..................................................................... 55

IV. LE DIVINITÀ E LE DECORAZIONI DEL TEMPIO. SIGNIFICATI

APPARENTI E NASCOSTI ............................................................. 69

La divinità principale .................................................................. 69La divinità principale nei templi sivaiti ........................................ 70La divinità principale nei templi vis.n. uiti...................................... 77La divinità principale nei templi sakta.......................................... 79Le decorazioni e le divinità sussidiarie .......................................... 81

V. STRUTTURA RELIGIOSA, CENTRO CULTURALE, SOCIALE E

POLITICO ................................................................................... 93

Il tempio e il potere politico ............................................................ 93Centro sociale ed economico........................................................... 98Centro culturale ........................................................................... 101

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BIBLIOGRAFIA TEMATICA................................................................. 105GLOSSARIO DEI PRINCIPALI TERMINI INDIANI ................................ 109INDICE DEI NOMI PROPRI................................................................. 115

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