IL TEATRO DI ERCOLANO NELLE MEMORIE DEI VIAGGIATORI · 2012-02-03 · IL TEATRO DI ERCOLANO NELLE...

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IL TEATRO DI ERCOLANO NELLE MEMORIE DEI VIAGGIATORI STRANIERI DELL’OTTOCENTO Armando Polito La ricostruzione del teatro nell’incisione (Patte, Parigi, fra il 1749 e il 1760) di Edmonde Alexander Petitot (1727-1801).

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IL TEATRO DI ERCOLANO

NELLE MEMORIE DEI VIAGGIATORI

STRANIERI DELL’OTTOCENTO

Armando Polito

La ricostruzione del teatro nell’incisione (Patte, Parigi, fra il 1749 e il 1760) di Edmonde Alexander

Petitot (1727-1801).

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La scoperta di Ercolano coincide approssimativamente con quella del suo teatro, dico approssimativamente per via delle numerose testimo-

nianze, anteriori al XVIII secolo, del ritrovamento di reperti che all’epoca non furono associati alla città sepolta; poi, nel 1709 il pozzo di un contadino, secondo altri fornaio (Enzechetta), e l’intuito rapace di un duca (Emanuele d’Elbeuf) segnarono l’inizio della spoliazione del teatro, prima che gli scavi ufficiali iniziati nel 1738 completassero l’opera, anche se il ritrovamento di alcune iscrizioni col nome finale del dedicatore (HERCULANSES) diede la certezza che quelle meraviglie appartenevano ad Ercolano. Non deve suscitare scandalo il termine spoliazione che ho usato perché in epoca borbonica era la norma: la magnificenza e la magnanimità del potere, allora tanto esaltate, (come

se gli scavi fossero fatti a spese del re...) nascondevano in realtà una visione privatistica di un bene che più pubblico non può essere: quello che si riferisce alla memoria del passato. E così si procedeva a testa bassa, con il solo scopo di strappare alla terra che gelosamente li ave-

va custoditi per secoli, i pezzi migliori con cui farsi belli agli occhi degli altri sovrani, magari ostacolandone la visione, come testimoniano le cronache dell’epoca, a chi più di ogni altro aveva il diritto di entrare in contatto diretto con loro: gli studiosi. Son troppo note la divergenze sul modo di condurre gli scavi tra Alcubierre e Weber perché io ne par-li, ma è doveroso ricordare la filosofia predatoria del primo e quella documentaria e, direi, rispettosa del secondo, che anticipa di fatto un principio fondamentale dell’archeologia attuale: quello di consentire

anche a chi verrà dopo di noi di avere notizie certe sul ritrovamento e, quel che più conta, sul suo contesto. Da allora molte cose sembrano cambiate, dico sembrano perché, in realtà, locuzioni altisonanti come patrimonio dell’Umanità (e gli scavi di Ercolano ne fanno parte…) si scontrano da un lato con l’incuria e l’abbandono, dall’altro col fenome-

no fiorente del trafugamento, a monte del quale c’è il perseverare di una visione privatistica e predatoria del bene comune. È meglio, a questo punto, che ritorni al passato e che entri in medias res. Gli scavi archeologici costituirono un business formidabile attiran-do, come si sa, nella seconda metà del XVIII secolo e ancor più nel se-colo successivo, una miriade di visitatori che fecero di Pompei la tap-

pa forse più privilegiata, insieme con l’ascensione al Vesuvio.

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Marginale, invece, fu l’attrazione esercitata da Ercolano che sconta an-cora oggi (bisogna essere fortunati pure nella sventura…), in barba al-

le più avanzate tecnolo-gie, le sue modalità di seppellimento prima e il fungere da fondazione per gli insediamenti, sempre più invasivi, che si sono succeduti. Emer-ge chiaro dalle testimo-nianze sull’argomento principale (il teatro)1 di

seguito raccolte e ripor-tate in ordine cronologi-co e nel testo originale (la traduzione è mia)

tratto da Google e da Internet archive2; le ho corredate di alcune mie osservazioni che do-vrebbero dissuadere qualche lettore superfi-ciale (e sto usando un eufemismo…) dal rivol-

germi l’accusa di proce-dere a colpi di copia e incolla.

________ 1 La più dettagliata descrizione rimane quella di Andrea De Jorio, Indicazione del più rimarcabile

in Napoli e contorni, Stamperia e cartiera del Fibreno, Napoli, 1835, pagg. 41-47.

2 È triste constatare come proprio in Italia, detentrice della maggior parte del patrimonio culturale

dell’Umanità, il processo di digitalizzazione di testi datati (non soggetti al diritto d’autore) e della loro immissione in rete procede faticosamente e disordinatamente, con risultati ridicoli rispetto a

quelli che altri paesi, meno fortunati di noi sotto il profilo della storia culturale, hanno da tempo

conseguito.

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Auguste Creuzé de Lesser, Voyage en Italie et en Sicile, fait en 1801 et 1802, P. Didot, Paris, 1806, pagg. 166-168:

Fu senza dubbio un gran giorno per le arti

quello in cui si scoprì questa città sepolta

sotto la cenere del Vesuvio e sotto Portici:

ma sarebbe stato meglio che fosse caduta

in mani migliori. Sembra che si sia cercato

il modo peggiore per trarre vantaggio da

questa scoperta che suscita curiosità eterna

e purtroppo ci si è riusciti. Dopo i primi la-

vori fatti nel primo fervore si comprese che,

se non si faceva attenzione, Portici a sua

volta sarebbe rimasta sepolta dentro Ercola-no, e dopo avere scavato troppo avidamen-

te si ricolmava troppo in fretta. Gli scavi so-

no interrotti da parecchio. In un paese più

industrioso si sarebbero prese misure ben

precise e le giuste precauzioni, si sarebbe

sostenuto tutto ciò che doveva esserlo, libe-

rato tutto il resto e, per conservare Portici,

non si sarebbe perduto Ercolano. Non si sa-

rebbe soprattutto, in quel poco che si era

scoperto, tirato, spostato, portato via tutto

ciò che poteva interessare le arti; si sarebbe

capito che queste conquiste fatte sul tempo perdono la metà del loro valore quando so-

no tolte dal loro posto e che le rovine di Er-

colano sarebbero il quadro veritiero delle

cose notevoli trovate in Ercolano.

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Invece di seguire un piano così ragionevole e co-

sì semplice, si è trasportato nel museo di Portici

tutto ciò che Ercolano ha fornito di interessante

in ogni genere, e Ercolano spogliata e ricolmata

non merita che uno si prenda ancora la pena di

discendervi. Una guida procede davanti ai viag-giatori con una torcia in mano; li conduce in

grandi cavità elevate, in corridoi umidi, gridan-

do:” Ecco il magnifico tempio, ecco il superbo

teatro di Ercolano!”. Fa notare alla luce delle

torce qualche pezzo di marmo o qualche

malmesso resto di pittura che non si è giudi-

cato degno di essere asportato: dovete pe-

nare a distinguere qualche cosa tra questi

resti affumicati, che si continua ogni giorno

ad affumicare. Fate due o tre giri di scavi e vi si è mostrato Ercolano. Confesso che que-

sta visita ci ha ricordato proprio quella che

avremmo fatto nell’antro della Sibilla. Ritor-

nerei venti volte a Napoli ma non discende-

rei una volta in Ercolano; è vero, invece, che

andrei venti volte a Pompei.

Il trasferimento dei reperti di Ercolano in una tavola tratta da Jean-Claude Richard de Saint-Non, Vo-

yage pittoresque ou Description des Royaumes de Naples et de Sicile, Parigi, 1782. v. II, pag. 54.

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La ricostruzione del teatro di Ercolano in due tavole tratte da Jean-Claude Richard de Saint-Non, op.

cit., pagg. 63-64.

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J. M. Le Riche, Antiquités des environs de Naples, et dissertations qui y sont relatives, Napoli, Imprimerie française, 1820, pagg. 213-215:

Attraverso una porta poco appariscente, a de-

stra della stradina, si discende, accompagnati

da una guida che reca in mano una torcia, in

una grotta che conduce al teatro. Questa grot-

ta è segnata trasversalmente da parecchi stra-

ti di ceneri, di lapilli e di lava che coprono la città. Oggi essa è a 72 o 80 piedi sotto Resina.

All’estremità della grotta e dopo parecchi giri

che si percorrono nelle tenebre, si entra sotto

una galleria che circondava la sommità dei

gradini del teatro.

La grande cavea conteneva 18 file di gradini e

al disopra tre altri collocati per le donne e per il popolo. I gradini della grande cavea erano

divisi da sette piccole scalinate che, dalle arca-

te superiori o vomitori, discendevano in linea

retta fino in basso. Il grande diametro del se-

micerchio dove arriva l’ultimo gradino è di 114

piedi. Si è calcolato che 10000 spettatori pote-vano prendervi posto. I cinque primi gradini

che costituiscono la prima cavea come l’area

chiamata orchestra sono ancora, in gran par-

te, ricoperti di lava. La seconda cavea è illumi-

nata oggi dalla bocca del pozzo che ha dato

luogo alla scoperta di Ercolano. Il resto è sotto una volta di lava sostenuta da pilastri che so-

no stati preservati tagliando nel masso. I gra-

dini sono in travertino, la parte superiore del

portico in cui sedevano i plebei era decorata

da statue di bronzo.

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La cavea e i portici erano rivestiti di marmo di

Paros africano e serpentina2. Si trovò

nell’orchestra una grande quantità di pezzi di le-

gno carbonizzato, il che fa presumere che questo

teatro era greco e non romano, dal momento che

i Romani avevano assegnato questa parte ai pri-mi magistrati, mentre presso i Greci l’orchestra

era destinata alle danze.

La scena è larga 72 piedi e si è riconosciuto che

l’edificio raffigurato chiamato scenium aveva 30

piedi di elevazione. Questo teatro d’ordine dorico

era decorato da statue di bronzo e si apriva su

tre porte. I due grandi piedistalli posti ai due lati della sce-

na reggevano due statue equestri di marmo; una

era quella di Appio Claudio Pulcro, l’altra quella

di Marco Nonio Balbo.

La parte posteriore della scena, o postscaenium3,

aveva la maggior parte che dava su una strada. Ci sono su ciascun lato del postscaenium due ca-

mere destinate agli attori; esse sono decorate da

pitture; nella volta della camera a sinistra c’è u-

na maschera scenica in stucco.

Due portici attinenti a questa parte servivano,

nello stesso tempo, da entrata al teatro e da luo-go di riparo in caso di pioggia.

I pericoli derivanti per la città di Resina hanno

fatto abbandonare gli scavi. Tutte le uscite prati-

cate recentemente sono state murate.

_____________

2 Africano è in riferimento non all’origine ma al colore scuro; la serpentina è una roccia metamorfi-

ca a struttura compatta di colore verde con screziature che ricordano la pelle del serpente, costitui-

ta principalmente da serpentino (minerale di colore verde e aspetto fibroso o scaglioso, costituito da silicato di magnesio in lamelle fogliacee sovrapposte) e usata, in alcune varietà, per rivestimenti

ornamentali.

3 La grafia Postecenium, come nel precedente scenium (che, peraltro non esiste), è inesatta, dal

momento che il nome semplice è scaena; accanto a postscaenium il latino prevedeva, tutt’al più, la variante poscaenium.

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Pianta del teatro di Ercolano attribuita al Weber (1747).

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Louis Valentin, Voyage en Italie fait en l'année 1820 : 2e éd., corr. et augm. de nouvelles observations faites dans un second voyage en

1824 (2e éd.), Gabon, Paris, 1826, pagg. 25-26:

Il teatro è il solo monumento che si vede

nelle rovine di Ercolano. È di buona archi-

tettura greca, decorato da una bella fac-

ciata e da colonne di marmo. Lo si è para-

gonato, a ragione, al teatro olimpico di Vi-

cenza, capolavoro di Palladio. La sua cir-

conferenza esterna è di 290 piedi, quella

interna di 230. Ci sono ventuno gradini o

sedili4 per gli spettatori; hanno una forma

semicircolare. Si entra in questo monu-

mento attraverso un sotterraneo il cui in-gresso è dal lato del mare. Vi si arriva con

delle torce. Si percorrono corridoi tagliati

nella lava; si giunge, a sinistra, in una ca-

mera rischiarata da un largo pozzo rivesti-

to di pietre, di circa quaranta piedi di al-

tezza. Questo spiraglio rischiara molto be-

ne una parte del teatro. Comunica in alto

con la città moderna. Nel corridoio a de-

stra si nota, su una parete, l’impronta di

una grande faccia umana impressa nella

lava; si sostiene che è l’effetto di una ma-

schera sepolta per caso.

__________

4 Nell’originale, credo per errore di stampa, sedini per sedili.

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Louis Simond, Voyage en italie et in Sicile, v. II, Sautelet, Paris, 1828,

pagg. 124-125 :

Si discende in quella che può

chiamarsi la tomba di Ercolano

per una lunga scalinata moderna

tagliata nella lava; alla luce di u-

na candela di cui ciascun curioso

è dotato si vedono subito i gradini

di un teatro fatto di lava, ma di

lava talmente antica che i Romani

non conservavano nessun ricordo

relativo alla sua origine. Non

sembra che essi sapessero che il Vesuvio era stato un vulcano.

Questi gradini, come quelli del te-

atro di Pompei, hanno 3 piedi di

larghezza su 14 pollici di altezza e

formano un semicerchio il cui dia-

metro è occupato dalla scena che

è di 185 piedi; ma questa scena è

propriamente una tribuna senza

profondità. Si vedono ai due lati i

piedistalli delle due statue eque-

stri che abbiamo ammirato nel

museo di Napoli5 e vi si trovano incisi i nomi dei Balbi. Fummo

molto colpiti nel vedere una figu-

ra umana esattamente modellata

nella lava, ma è un viso di bronzo

che vi ha lasciato la sua impron-

ta; la carne sarebbe stata un si-

gillo troppo poco solido. Si

__________

5 In realtà i piedistalli, secondo le iscrizioni che essi recano, reggevano le statue di Marco Nonio

Balbo e di Appio Claudio Pulcro (mai ritrovate, il che, secondo Gaetano Nobile, Descrizione della

città di Napoli e delle sue vicinanze, A spese proprie, Napoli, parte terza, 1857, pag. 152 “dà a cre-dere che, dopo il tremuoto della città, già se ne estrassero in parte i preziosi monumenti che la de-

coravano”). Le statue equestri dei Balbo di cui parla l’autore furono rinvenute nella basilica.

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dice che Ercolano fu, come Pom-

pei, improvvisamente seppellita

sotto ceneri al di sopra delle quali

la lava colò più tardi; tuttavia ab-

biamo trovato la lava dappertutto

in contatto immediato con le rovi-

ne; ma siccome come, lungi

dall’aderire, essa lascia al contra-

rio un piccolo intervallo, si sono

separati facilmente i marmi o altri

oggetti che essa avvolge.

Gli scavi di Ercolano in una tavola tratta da Jean-Claude Richard de Saint-Non, op. cit., pag. 3.

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Pierre-Charles-Joseph de Mengin-Fondragon, Nouveau voyage toporaphi-

que, historique, critique, olitique et moral en Italie, Meyer, Paris, 1833,

tome II, pagg. 331-333:

Attualmente il teatro non è stato colmato,

il che mi ha permesso di andare a vederlo.

La sua circonferenza è di 290 piedi

all’esterno e di 230 all’interno. 21 ordini di

gradini , sormontati da una galleria ornata

di statue in bronzo servivano a contenere

gli spettatori, che dovevano essere nume-

rosi poiché Ercolano contava 100.000 ani-

me, mentre Pompei 40.000. Era rivestito in

marmo.Vi si trovarono tra altri oggetti due6

sedie di bronzo, dove sedevano i consoli; sono quelle che ho descritto percorrendo le

sale del museo di Napoli, ove ora sono col-

locate. Là, come a Pompei, l’orchestra era

posta tra gli spettatori e il proscenio e i

musicisti erano piazzati in diverse posta-

zioni poste di fronte agli attori. Il fondo del

teatro era attraversato da tre porte attra-

verso le quali entravano e uscivano gli at-

tori, che avevano dietro la scena camerini

e corridoi particolari. Vi si sono trovate

delle maschere e l’impronta di una si vede

ancora sulla lava attaccata alla volta. Tutti i corridoi, i portici, i vomitori o passaggi, le

porte esistono ancora intatte; ma l’acqua

che trasuda senza posa dalla volta, a con-

tatto con la lava che si è scavata, bagna

continuamente e annerisce le pareti dei

muri e deteriora il marmo bianco che li

compone. È stato necessario puntellare e

tappare una parte dei corridoi per evitare

________

6 Una secondo Gaetano Nobile, op. cit., pag. 151, notizia confermata anche in Carlo Celano, Notizie

del bello, dell’antico e del curioso della città di Napoli, Chiurazzi, Napoli, 1870, v. V, pag. 717 (ma la

prima edizione risale al 1692, l’anno successivo il Celano moriva, per cui la notizia è da attribuirsi al Chiarini che vi operò delle aggiunte nelle edizioni successive); vedi, però, la didascalia dell’immagine

alla pagina seguente.

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e perché nuove rovine non venissero ad

aggiungersi a quelle antiche. Così, meno

fortunata di Pompei, Ercolano è condanna-

ta probabilmente ad un’eterna sepoltura.

Dappertutto in questo teatro si vede car-

bonizzato il legno che era stato usato nella

sua costruzione e i tronconi di colonne ro-

vesciate dimostrano che Ercolano, come

Pompei, aveva subito i danni di un terre-

moto prima di essere inghiottita dalla lava

e dalla cenere.

Ricostruzione di parte del teatro di Ercolano in una tavola di Francesco Piranesi (1873); vi sono an-

che raffigurate le due fantomatiche sedie curuli.

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Giulia Falletti di Barolo, Lettere a Silvio Pellico nel viaggio per l’Italia dal 2 novembre 1833 al 16 aprile 1834 tradotte dal francese e pub-

blicate per la prima volta da Giovanni Lanza, Speirani, Torino, 1886, pagg. 33-34:

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Valérie De Gasparin, Voyage d'une ignorante dans le midi de la France et l'Italie, v. I, Paulin, Paris, 1835, pagg. 273-276:

Appena arrivati a Resina ci vedemmo assa-

liti da cento guide.

“Vogliamo salir al Vesuvio?...” diceva uno

facendo l’occhietto e tirava dolcemente la

manica dell’eccellente signor D.7

“Adesso, vedete com’è bellò8!...” gridava il

secondo con una voce enfatica mostrando-

mi col braccio teso il vulcano che vomitava

un fumo abbondante, poi i due ruscelli di

lava che una linea biancastra faceva distin-

guere. “Domani sara9 finito!...” aggiungeva il terzo

con un gemito. Il quarto mi presentava

delle torce di pece; il quinto un bastone;

questo del vino, quello delle arance,

quest’altro del pane...e l’”Andate al Diavo-

lo!” energicamente proferito dal mio dome-

stico ci liberò solo di questi mendicanti bre-

vettati.

“...Ad Ercolano!...” dissi a mia volta quando

questo tumulto di offerte interessate si era

calmato e io potei senza rischio mettere da

parte per qualche momento la mia gravità silenziosa.

___________

7 Nel testo originale, anche per la consequenzialità delle note, i tre asterischi sono probabilmente

stati aggiunti per errore di stampa, a meno che l’autrice non abbia voluto fare allusione ad un in-

tercalare che contraddistingueva il suo accompagnatore.

8 Se bellò non è un altro errore di stampa è da ravvisarvi un geniale adattamento della voce

all’accento francese da parte della guida napoletana.

9 Qui, invece, sempre che non si tratti di errore di stampa, è la nostra contessa (tale era l’autrice) a italianizzare la parola facendola diventare da tronca (quindi di sapore francese) piana.

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“A Erculanum!”. Seguita da sei grandi

scurrili10 dei quali per niente al mondo po-

temmo sbarazzarci, entrai nella stamberga

che ricopre il sotterraneo. Una guida in uni-

forme, che sedeva lì al pari del Re, accese

delle candele e scacciò con uno sguardo la

nostra scorta cenciosa.

L’aria era ghiacciata in queste scale a chioc-

ciola strette; il chiarore vacillante delle fiac-

cole bastava appena a guidarci. Nonostante

la privazione della luce che spandono i raggi del sole, non mi dispiaceva affatto; io ama-

vo queste tenebre, amavo queste gole dove

si avanzava a tentoni; il rotolamento delle

vetture sopra le nostre teste mi pareva im-

ponente e questa corsa nell’oscurità eccita-

va la mia immaginazione! Mi venivano in

mente i racconti popolari e fantastici ai quali

l’Irlanda, la Germania hanno dato i natali;

da lontano, a metà nascosti dietro un pezzo

di muro, da vicino svanendo alla curva di un

vicolo, arrampicandosi su un blocco di lava,

dappertutto vedevo fuggire questi Cluricanes11, queste Fate, questi Gnomi che

hanno così felicemente ispirato l’autore di

Trilby12. Ahimè! Non erano i folletti, gli spiri-

ti bizzarri, né gli abitanti del mondo sotter-

raneo che venivo a cercare con l’itinerario in

mano! ...Così

_______

10 Gaillard in francese significa pure marcantonio, ma non mi pare, a parte quel grands che sa-

rebbe stato ridondante, che l’autrice lo abbia usato in tal senso.

11 Creature fantastiche delle favole irlandesi; la grafia esatta è Cluricanes e non Gluricanes.

12 Trilby ou le lutin d’Argail, un racconto fantastico, ambientato in Scozia, pubblicato nel 1822 da

Charles Nodier; ad esso si ispirerà Adolphe Nourrit per il libretto del balletto La Sylphide.

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mettendo da parte subito queste divaga-

zioni la cui futilità mi dava rimorsi, porsi

l’orecchio attento alle notizie del mio cice-

rone.

“Questo, lava del Vesuvio!...Questo, palco

del console!...Questo, sedie per li spetta-

tori!...Questo camera per gli atto-

ri...Questo, scena!...Questo orchestro!...”.

Questo è tutto quello che potei ricavare

da lui e che mi ripeteva senza posa, indi-

cando ora un gradino spezzato, ora un corridoio per metà colmo di lava; da que-

sta parte uno spazio di dieci piedi quadra-

ti, qui un blocco di pietra dipinta di rosso

o di nero antico!

Provavo lì una vera delusione; ma dopo

una mezz’ora giunsi con un violento sfor-

zo intellettuale a sgomberare l’interno del

teatro; riposi al loro posto le statue, i

bronzi, i vasi, i bassorilievi; riunii i detta-

gli, ricostruii l’edificio, e, portata a termi-

ne la mia fatica, fu con rispetto che con-

templai questi resti meravigliosi che il Ve-suvio ci ha conservato a dispetto dei seco-

li!

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Piante di Francesco La Vega (1777 circa) della parte superiore ed inferiore del teatro di Ercolano.

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Aubert de Linsolas, Souvenirs de l'Italie. 1, Rastoul, Avignon, 1836, pagg. 144-145:

È a Resina che si prendono delle guide per

salire sul Vesuvio e sta pure sotto la posi-

zione che occupa questo villaggio, e sotto

quella di Portici giace la città di Ercolano.

Una piccola strada a destra della pubblica

piazza e che corre verso il mare conduce il

viaggiatore a una casa poco appariscente

dove risiedono i custodi o guardiani reali.

Vi guidano attraverso una galleria sotter-

ranea al pozzo che fece scoprire questa

città e di là al suo teatro, la sola parte vi-sibile che c’è al giorno d’oggi. Questa cit-

tà, fondata da Ercole, circa sessanta anni

prima della fondazione di Troia, fu sepolta

nella eruzione del Vesuvio dell’anno 79

dell’era cristiana. Gli abitanti di Resina ne

scoprirono le prime tracce, scoperta com-

pletata nel 1720 dagli scavi che ordinò il

principe d’Elbeuf; Carlo III, dopo aver fat-

to estrarre da Ercolano tutti gli oggetti

d’arte che vi si trovavano, fu costretto ad

ordinare di ricolmare lo scavo per preser-

vare da uno smottamento certo le case di Portici e Resina, costruite sulla superficie

di questa cavità; di modo che

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il viaggiatore è privato del piacere di im-

mergersi nell’antichità e di circolare attra-

verso questa città, di ammirarne le rovi-

ne, il foro e i monumenti. Il teatro è della

più ricca architettura greca; aveva una

galleria ornata di statue in bronzo di gran

pregio; vi si contavano 21 file di gradini,

ma se ne può visitare solo una piccola

parte, il cui scavo non presentava gli

stessi pericoli per le costruzioni sovra-

stanti di Resina. Si distinguono pertanto alla luce di una torcia diverse iscrizioni

apposte dai viaggiatori come pure

l’impronta di una figura umana tracciata

sulla crosta di lava e di ceneri solidificate

che ne formano la volta. La grande strada

di Salerno passa su questa volta e il ru-

more delle vetture con le sue gradazioni

differenti simula il rumore dei rombi del

tuono. Si vorrebbe fermarsi di più in que-

sto sotterraneo celebre, ma la curiosità e

l’interesse si raffreddano subito, perché il

visitatore per via dello spazio ridotto è obbligato ogni momento a tornare sui

suoi passi. La sua immaginazione gli rap-

presenta i templi e i palazzi che giacciono

attorno a lui in questo oscuro confine; ma

sono dei morti che non gli è concesso di

esumare.

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Jean Claude Fulchiron, Voyage dans l'Italie.... Royaume de Naples, Di-dot, Paris, 1838, pagg. 308-309:

I soli monumenti che attualmente è possi-

bile visitare sono il teatro e la strada della

quale sto per parlare. Lo stesso teatro non

è interamente scavato. Si possono vedere

illuminati dalla luce del giorno che penetra

da un pozzo di una dozzina di metri di a-

pertura solo la parte del rivestimento in

marmo e i gradini semicircolari più vicini

alla scena; questi gradini sono in numero

di 21 e li si ritrova nelle diverse gallerie co-

perte, in seno al masso, per seguire il con-torno interno del basamento e disimpegna-

re i corridoi e la scalinata che allora serviva

alla circolazione degli spettatori. Tutto que-

sto può essere esaminato solo alla luce

delle torce, come pure la scena interamen-

te liberata dalla cenere e dalla lava. Questa

scena dà dunque un’idea esatta delle rap-

presentazioni teatrali degli antichi, tanto

più che i due teatri di Pompei sono simili a

quello di Ercolano, il che sembra dimostra-

re che esisteva un tipo tradizionale. Eleva-

ta di un metro al di sopra dell’atrio che la separa dai gradini, essa ha, riferendomi al-

la misura dei miei passi, ventinove metri di

larghezza e solo undici di profondità; la sua

decorazione era permanente, in

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muratura e rappresentava un portico con

una rientranza al centro, dove era posta la

porta d’ingresso dei personaggi; così non

si poteva simulare cambiamento di luogo.

Alle due estremità, e vicino all’orchestra,

ci sono due piedistalli che reggevano sta-

tue collocate attualmente nella collezione

del museo; dietro la scena c’è un corrido-

io comunicante con i camerini degli attori:

è là vicino che vi si vede l’impronta di una

maschera conservata nella cenere solidifi-cata. Insomma, la vista di questo monu-

mento obbliga a pensare che, in un simile

locale e con rappresentazioni date in pieno

giorno, esse dovevano mancare

dell’illusione che noi sappiamo procurare

agli spettatori moderni. La circonferenza di

questo teatro è esternamente di 96 metri,

all’interno di 76; la sua forma è quella del-

le nostre sale da spettacolo, cioè un emici-

clo per il pubblico e un quadrilatero per la

scena; ma con la differenza che presso gli

antichi essa era più lunga che profonda, al contrario di oggi: differenza dovuta al

nostro sistema di decorazione, che è nato

in Toscana nel XVI secolo. Forse, se si giu-

dica in base ai paesaggi trovati ad Ercola-

no, l’antichità non era in grado di adottarla

poiché essa sembra aver ignorato le prin-

cipali regole della prospettiva lineare.

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Mercier-Thoinnet, Souvenirs de voyage, par , dans le midi de la Fran-ce... dans la Ligurie, à Gênes, Rome, Naples... sur l'Adriatique, dans

l'Albanie... la Dalmatie, l'Illyrie, à Trieste, Venise, en Suisse, Schwartz et Gagnot, Paris, 1838, pagg. 179-180:

Siamo tornati a Portici, seduta su Ercola-

no, tra il Vesuvio, che fuma, e il mare che

ribolle ai suoi piedi. Infine, giunti a Resina,

discendiamo a 80 piedi di profondità in Er-

colano, seppellita da sedici secoli sotto uno

strato di lapillo13, specie di pietra pomice

delle dimensioni di una nocciolina; ci si fa-

ceva luce al chiarore di una torcia, sotto

una volta umida. Il teatro è grande e ma-

gnifico, se ne ammira la solidità; la faccia-

ta è ornata di belle colonne di marmo e le decorazioni erano molto ricche.

_________

13 Credo che nell’originale grapilio sia un errore, forse di stampa, per lapillo.

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Adolphe Pezant, Voyage pittoresque à Pompeï, Herculanum, au Vé-suve, à Rome et à Naples, Cretaine, Paris, 1839, pagg.306-310:

Oggi è nel borgo di Resina che si trova

l’ingresso della tomba di Ercolano. Esso

è in una casa ordinaria, occupata dal

cicerone, che serve da guida agli stra-

nieri che vogliono visitare queste rovi-

ne.

Dopo aver distribuito a tutti noi candele

accese penetrammo per una larga volta

alla cui uscita trovammo cento gradini

che ci condussero direttamente al tea-

tro. Avanzando sotto l’oscuro percorso il

giorno fuggiva dietro di noi, ci sembra-

va discendere al tenebroso soggiorno,

perché quando si è in basso si è avvi-

luppati dalla notte più profonda. Po-

tremmo ben dire come Ovidio:

Est via declivis funesta nubila nigro

Ducit ad infernas per muta silentia sedes.

È un cammino tenebroso, coperto di nuvole scu-

re, il cui pendio conduce agli inferi attraverso il

silenzio.

Il primo oggetto che si trova è il teatro che

era situato a nord della città, sulla piazza

pubblica, vicino ad un tempio, di forma sfe-

rica, consacrato ad Ercole. Era delle massi-

me dimensioni. Winkelmann sostiene che

poteva contenere 30500 spettatori seduti, indipendentemente da quelli che si trovava-

no sulla platea, che Vitruvio chiama orche-

stra e noi oggi parterre; ma calcoli più re-

centi ed esatti, si dice, hanno valutato que-

sto numero a 10000 o a 12000. Per farci

conoscere la larghezza del teatro il nostro

cicerone ci condusse ad una delle parti late-rali di ciò che

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oggi chiamiamo orchestra; vi collocò

due candele; essendoci poi portati al

lato opposto giudicammo in questo mo-

do che esso era più largo che lungo. La

sua circonferenza esterna è di 290 pie-

di, l’interna di 230, per 150 di profondi-

tà. La scena, che gli antichi chiamava-

no pulpitum, ha 65 piedi di apertura su

trenta di profondità. La platea, che è il

nostro parterre, come ho detto prima,

ha 150 piedi dopo il davanti della scena fino ai primi gradini, che si elevano in

numero di 21 file in anfiteatro, fino ad

una galleria superiore ornata di statue

di bronzo.

La larghezza di ciascun posto è di 4

palmi, equivalenti ad un po’ meno di 3

piedi, poiché 12 palmi sono 8 piedi, e la

loro altezza era di 1 palmo. Erano ta-

gliati nel tufo. Il parterre era rivestito

di grandi lastre di marmo giallo antico,

di cui si vedono ancora resti in parecchi

punti. Il corpo del teatro era di mattoni, così come si vede nelle gallerie interne

e nella cinta esterna dove ci sono gran-

di pilastri di mattoni rivestiti di stucco e

coperti di pitture, di cui si scopre anco-

ra qualche debole traccia. Gli scalini per

cui vi si entra sono in travertino, larghi

e ben conservati. I marmi preziosi, le

colonne, le statue che ne sono stati e-

stratti attestano la ricchezza e la bel-

lezza dell’architettura di questo monu-

mento, che era di ordine corinzio. Que-

sto teatro fu fondato il 15 a. C. da Mar-

co Nonio Balbo e suo figlio, console di Ercolano sotto l’impero di Tiberio, che

lasciò al padre l’onore di annuire per

primo nel senato. Vedemmo ai due lati

del teatro il posto che occupavano le

loro statue che oggi sono al museo di

Napoli e la cui esecuzione è molto ap-

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La magnificenza di questo monumento te-

atrale, le rovine degli altri edifici architet-

tonicamente pregevoli che Ercolano conte-

neva attestano che questa città era la più

bella e la più ricca della Campania, dopo

Napoli e Capua. Strabone, Plinio, Floro e

Stazio lo confermano con l’elogio che ne

fanno. Il ricordo di questa città, che era

sparita, dopo 17 secoli era talmente can-

cellato che quando fu scoperta bisognò che

si rinvenisse il nome di Ercolano su un’iscrizione del teatro per riconoscere la

sua dislocazione e per porre fine ai dibatti-

ti sull’argomento che nei secoli si erano

accesi tra gli scrittori. Gli uni dicevano che

essa fu ritrovata da contadini che avevano

venduto dei marmi al principe d’Elbeuf per

la costruzione del suo palazzo e che gli ce-

dettero il terreno in cui li avevano trovati;

il principe, padrone della proprietà, fece

scavare e la tomba di Ercolano venne a-

perta.

Un’altra versione, non molto differente e alla quale il pozzo che vi si vede ancora

darebbe apparenza di verità, dice che fu

un fornaio di Resina che, scavando un poz-

zo, giunse alla cavea del teatro, ma tutto

rimase lì, contentandosi di fare uso dei

marmi che ne estraeva; nel 1711, prima

della scoperta di Pompei, quando il princi-

pe d’Elbeuf faceva costruire un palazzo,

quest’uomo si impegnò a fornirgli i marmi

necessari alla sua costruzione.

Questi marmi lavorati suscitarono la curio-

sità del principe che gli offrì di acquistare il

fondo; il fornaio accettò e gli scavi che ci donarono Ercolano furono proseguiti dal

principe ma furono sospesi per ordine del

governo e furono ripresi solo 30 anni dopo

sotto il regno di Carlo III re di Spagna, di-

venuto pacifico possessore del suo regno

dopo averlo conquistato e che scelse Porti-

ci per passarvi la primavera.

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Visitando questa città sotterranea si

vede che l’eruzione che la seppellì

nell’anno 6314 della nostra era non eb-

be lo stesso carattere di quella di

Pompei. Ercolano fu inondata da un

torrente di lave mescolate a ceneri e

pietre, che, come una specie di pasta

o di fluido, penetrò all’interno dei pa-

lazzi e delle case fin negli angoli più

riposti e sedici anni dopo Pompei fu

sorpresa e interrata sotto una pioggia spessa di ceneri infuocate, mescolate

con l’acqua, che la coprì interamente.

Questi due eventi sono attestati dal

grande numero di scheletri che furono

trovati in quest’ultima città nella posa

di persone che fuggivano, portando

con sé gioielli, denaro, per sottrarsi a

questo disastro; e in Ercolano se ne

trovò uno solo nel teatro e molto po-

chi in città, avendo avuto gli abitanti il

tempo di sottrarsi alla morte poiché,

secondo Dione Cassio, furono preve-nuti da un terremoto che durò parec-

chi giorni, a parte il fatto che la natura

fluida della lava, che avanza lenta-

mente nella sua marcia, lasciò loro il

tempo di fuggire. La situazione di Er-

colano non ha permesso che la si sco-

prisse interamente come Pompei per-

ché sarebbe stato necessario, per por-

tare alla luce una città in rovina, o

piuttosto un ammasso di pietre, sacri-

ficare due città ben salde, a cui Erco-

lano serve da fondamenta. Così fu

presa la decisione, nello scavarla,

_________

14 Incredibile confusione tra il terremoto del 62 (neppure del 63) e l’eruzione del 79.

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di colmare da un lato gli scavi che erano sta-

ti fatti con il materiale che si prelevava

dall’altro, dopo averne estratto gli oggetti

preziosi; il che fa sì che oggi in Ercolano ri-

mane da vedere solo il teatro nel cui circuito

si son lasciati massi di lava che hanno la

stessa natura della roccia, per sostenere la

terra, ad evitare un indebolimento che po-

trebbe causare il crollo delle abitazioni basa-

te su queste rovine. Si son praticati dei cor-

ridoi nei quali si circola per visitare questo monumento. Quando si è sotto le volte che

si trovano direttamente sulla strada maestra

si sente un rumore sordo simile a quello del

tuono che rimbomba da lontano: è quello

delle vetture che passano sulla strada.

Si è conservato il pozzo che fu scavato nel

1711, epoca della scoperta di questa città.

La sua profondità, che era quella della tom-

ba di Ercolano, è di 66 piedi. Questo pozzo

scende direttamente sui gradini dove sede-

vano gli spettatori, che è la parte

dell’anfiteatro che gli antichi chiamavano ca-vea (vedere la tavola15 dopo il frontespizio),

e lo illumina in basso.

________

15 Riprodotta nella pagina seguente.

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30

Questa tavola era già apparsa in M. J.-M. Le Riche, Vues des monumens antiques de Naples, gravées

à l'aquatinta, accompagnées de notions et de dissertations, Nepveu, Paris, 1825.

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Van Den Nest, Charles Joseph (Abbé), Naples et le Mont-Cassin, t. 1, J. P. Van Dieren, Anversa, 1850, pagg. 197-199:

Scendemmo in Ercolano alla flebile luce di

qualche candela che il nostro cicerone piazzò

contro le pareti della galleria per farci vedere,

per quanto era possibile, gli interessanti monu-menti che ci indicava. Il bagliore fantastico del-

la luce che ci serviva da guida unito al timore

che provavamo di vederla spegnersi

nell’atmosfera densa di questa tomba (paura

d’altra parte amplificata dalle precauzioni di cui si circondava la guida per non perdere le trac-

ce del cammino) riempiva il nostro animo di

vaghi terrori. Le nostre sagome allungate o

accorciate dai capricciosi effetti di luce o di ot-tica strisciavano balzando lungo i muri, o si

lasciavano trascinare ai nostri fianchi sul suolo:

erano i fantasmi della città addormentata di cui

noi venivamo a profanare il sonno e che si rifa-cevano perseguitandoci con le loro pose vendi-

cative. Dalle lontane oscurità dell’orribile deda-

lo si muoveva, davanti al nostro sguardo affa-

scinato, un gioco d’ombre fantasmagorico, mi-sterioso. Ci sentivamo relegati in un mondo

che non era più quello dei vivi. Nella penosa

allucinazione che ci tormentava avemmo un

solo desiderio: quello di abbandonare questi

luoghi che trasformavano in realtà ai nostri oc-chi le più sinistre ispirazioni di Virgilio o di

Dante, e di rivedere finalmente la dolce luce

del giorno. Seguendo stretti passaggi praticati

in uno spesso strato di lava si penetra in quello che fu un tempo il teatro. La circonferenza di

questo monumento misura 280 piedi

all’esterno e 230 all’interno. 21 gradini, sor-

montati da una galleria, ornata un tempo di statue in bronzo, servivano da posti per gli

spettatori, il cui numero doveva essere immen-

so a giudicare dall’estensione dello spazio de-

stinato a riceverli. Là, come a Pompei,

l’orchestra era posta tra gli spettatori e il pro-scenio. Il fondo del teatro era aperto su tre

porte per le quali entravano o uscivano gli at-

tori, i quali avevano dietro la scena camere e

corridori particolari.

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Tutti i corridoi, le arcate, i vomitori o

passaggi e le porte esistono ancora in-

tatti; ma l’acqua che cola senza posa

dalle volte deteriora le pareti dei muri e

rovina il marmo bianco di cui sono rive-

stiti. È stato necessario puntellare le ca-

vità e chiudere l’entrata di una parte dei

corridoi per prevenire i crolli. Meno feli-

ce di Pompei, Ercolano è probabilmente

condannata a un’eterna sepoltura.

Questo teatro, rivestito di belle lastre di marmo, ornato di affreschi assai ben

conservati, testimonia ancora oggi la

magnificenza dello spagnolo Balbo che

lo fondò.

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33 Ricostruzione del teatro di Ercolano in due tavole di Francesco Piranesi (1783)

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Louise Colet, L'Italie des italiens. Italie du sud, Dentu, Paris, 1863, pagg. 109-110:

Portici e il villaggio di Resina sorgo-

no oggi su tutta l’estensione di Erco-

lano, che fu inghiottita sotto una

massa formidabile di lava vomitata

dalla bocca del vulcano; ci fermiamo

per visitare ciò che è stato scoperto

della città antica; guardiani che por-

tano delle torce accese ci fanno di-

scendere nel teatro divenuto un im-

menso sotterraneo. È il più vasto

monumento di questo genere che sia giunto fino a noi; poteva conte-

nere 8000 spettatori. Procediamo

attraverso il dedalo dei corridoi sul

fango nero e liquido che copre il pa-

vimento; arriviamo nel cerchio anco-

ra intatto dove si diramano 19 file di

gradini. La scena è di un terzo più

larga di quella del San Carlo; una

folla di figure in bronzo e in marmo

e quattro statue equestri in bronzo

dorato ornavano questo teatro dove

risuonavano volta per volta i versi di Sofocle e di Aristofane, di Plauto, di

Terenzio e di Seneca. La maggior

parte delle statue sono perdute,

quelle che si sono ritrovate sono al

museo di Napoli. Le colonne infrante

hanno ceduto il posto a dei grossi

pilastri che oggi reggono la volta

del sotterraneo. Durante il giorno un

po’ di chiarore vi penetra appena at-

traverso un pozzo aperto al di sopra

di una galleria. Si esce rattristati da

queste rovine come da una tomba.

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Alphonse Cordier de Tours, A travers la France, l'Italie, la Suisse et l'Espagne, 1865 et 1866, Vermot, Paris, 1866, pag. 196:

La visita di Ercolano si fa in breve

tempo. Non ci sono da vedere che

che un teatro, una basilica e due

case. Il teatro, scavato a metà, of-

fre un mediocre interesse. Vi si so-

no trovate belle statue di marmo e

di bronzo dorato, tra le quali quat-

tro statue equestri. La basilica,

lunga 228 palmi e larga 132, con

un portico di 42 colonne, ha fornito

al museo di Napoli le due statue equestri di Balbo, padre e figlio. E’

nella villa di Aristide che si sono

recuperati i preziosi papiri, di cui

abbiamo prima parlato, e una gran

quantità di statue e di busti in

bronzo, come il Fauno ebbro, le sei

danzatrici, il Fauno dormiente, il

Mercurio, l’Aristide, l’Omero, e la

Minerva etrusca. Infine la casa

d’Argo ci ha restituito un gran nu-

mero di oggetti curiosi e tra l’altro

dei cibi. Ecco qui tutto l’Ercolano, visibile fino ad oggi. Il resto di que-

sta città sarà mai portato alla luce?

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Juliette Figuier, L'Italie d'après nature. L'Italie méridionale, Furne, Jou-vet (Paris),1868, pagg. 236-238:

Dopo Napoli, si segue, senza interruzione

una lunga strada che diventa sempre più

sporca. La Marinella è già molto sporca,

Portici lo è ancora di più, Resina è comple-

tamente infetta. Non si può avere l’idea di

una tale fogna. Le case sono occupate da

sordide famiglie che si dondolano a ciascuna

finestra. Le masserizie sono ammucchiate a

casaccio davanti alle porte. I ragazzi, semi-

nudi, si agitano con ogni sorta di animali,

polli, cani e porci, nei ruscelli nerastri; cu-muli di immondizia si accumulano fin sulla

soglia delle case. Tutti i mestieri confondo-

no i loro lavori ai margini della strada. Il ri-

paratore di carretti, il ciabattino, il panieraio

si dedicano alle loro occupazioni, sbattendo

ad ogni istante contro i carretti, i calessini e

gli asini, che vanno, vengono e s’incrociano

costantemente con loro. Donne curve, rugo-

se, rauche, incartapecorite, provano a lava-

re alla fontana vecchie pentole. Ragazzine

arruffate, correndo appresso a capre, la-

sciano sventolare le loro gonne in brandelli. Le madri gridano e i marmocchi piangono. È

uno spettacolo rumoroso e orrendo16.

_________

16 Al di là dei termini forse troppo pesanti che la raffinata autrice usa, c’è da chiedersi cos’è cam-

biato da allora e quali termini userebbe se, viaggiatrice resuscitata, dovesse oggi fare i conti con

l’emergenza rifiuti e non solo con quella...Non è tollerabile, invece, la schifiltosità che dimostra an-che, come vedremo più avanti, nel corso della sua visita al teatro: mancare di rispetto al presente

transeat, ma il passato, soprattutto quando è stato scandito dalla disgrazia e dalla sofferenza, è

sacro. Insomma l’autrice dimostra di essere più ignorante di colei che, pur nobile di lignaggio, così

si era definita (ignorante) in un sussulto di insospettabile umiltà nel titolo della sua opera, di cui

abbiamo avuto occasione di leggere il pezzo relativo a pag. 16, nonché di mancare di quella sensi-bilità e delicatezza che traspaiono dalla testimonianza della nobildonna (in tutti i sensi) riportata a

pag. 17.

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Seduto su una sordida gradinata, un batta-

glione di guide attende i viaggiatori. Il cu-

stode che ci tocca per spartizione è un pic-

colo vecchio, con gli occhi rossi, con la

schiena curva, con gli abiti cenciosi. Ci fa

passare in un orrendo vicolo e ci conduce

davanti ad una porta bassa. Là arriva un

secondo guardiano, con una chiave. Appe-

na la porta si apre ne fuoriesce una corren-

te di aria fredda, umida, sepolcrale. Lo

sguardo non è in grado di distinguere: si direbbe una cava nera e profonda. La guida

ci precede e ci fa scendere i larghi gradini

di una lunga scalinata. Ci rincresce viva-

mente che le torce, così spesso messe in

scena dai poeti, non siano che un effetto

della loro immaginazione. La verità è che il

nostro custode si serve, per farci luce, di un

prosaico mozzicone di candela, insufficiente

ad illuminare queste oscure volte. Vediamo

appena appena per non perderci. Arriviamo

tastoni in una specie di sotterraneo in cui

abbiamo la gioia di ricevere un raggio di lu-ce da una apertura praticata in alto. Di là

entriamo nell’anfiteatro. È, a quanto si pre-

tende, un superbo edificio. Diciamo che at-

traverso l’oscurità che l’avviluppava, i pipi-

strelli che battevano pesantemente con le

ali e l’odore acre, nauseabondo, che esala-

va dal suolo fangoso, il teatro di Ercolano

non ci ha per nulla entusiasmato. Ah, luce,

figlia del sole, tu sola sai donare alla terra il

suo vigore, la sua gioia, la sua ricchezza, il

suo rilievo e il suo splendore! Lontano da

te, tutto diviene triste come la morte. Il cir-

co di Ercolano, privato del tuo bagliore, non è più di una tomba che si apre, buia e fred-

da, sotto lo sguardo dispiaciuto.

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Théodore Verne d’Arlandes, Trois mois en Italie, Calman, Lévy (Paris), 1876, pag. 150:

Dopo il carnefice, la vittima; dopo il Vesuvio,

Ercolano. È da questa città sepolta che si so-

no estratti gli oggetti che sono oggi gli orna-

menti più belli del museo di Napoli e, ciono-

nostante, nel visitare quel che qui è stato

portato alla luce, la curiosità è molto meno

soddisfatta che a Pompei. Una piccola parte

solamente è stata messa alla luce ed un’altra

non può vedersi che sotto la lava, penetrando

ad una grande profondità. Soltanto così si

possono distinguere i muri ed i gradini del suo teatro. Mentre si considerano i resti di

una grande città sparita, si sente il brontolio

delle vetture che rotolano sulle vostre teste.

Il contrasto tra questi rumori di strada e

l’apparato di morte che ci avviluppa sembra

riassumersi in questa sinistra sonorità della

tomba.

Page 39: IL TEATRO DI ERCOLANO NELLE MEMORIE DEI VIAGGIATORI · 2012-02-03 · IL TEATRO DI ERCOLANO NELLE MEMORIE DEI VIAGGIATORI STRANIERI DELL’OTTOCENTO Armando Polito La ricostruzione

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Chiudo in tema con questi due graffiti, naturalmente rinvenuti ad Ercola-no: il primo contiene una speranza destinata ad essere tradita:

CIL IV, 10763 Q(UOD) B(ENE) EV(ENIAT) Ci vada bene! il secondo una riflessione che appare come un presentimento, pur in as-senza, come già nel primo, della consapevolezza di un pericolo antico: il Vesuvio; nonché, facendo i debiti scongiuri, un monito per i posteri. CIL IV, 10634 QUI SE TUTARI NESCIT NESCIT VIVERE/MINIMUM MALU(M) FIT CONTEMNENDO MAXIMUM

Chi non sa tutelarsi non sa vivere; il male più piccolo diventa il più gran-

de se non lo si tiene in conto.

Joseph Thierry (1812-1866), abbozzo (1859) di decoro dell’atto IV dell’Herculanum ou l’orgie romai-

ne, libretto di Joseph Méry (Feissat Ainé et Demonchy, Marsiglia, 1834) e musica di Félicien David).