Il teatro della luna poi Angel Dal Foco

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Sandro Sebastianelli IL TEATRO DELLA LUNA POI ANGEL DAL FOCO

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Opera sul Teatro di Pergola

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Sandro Sebastianelli

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SANDRO SEBASTIANELLI

I L T E A T R O D E L L A L U N A

P O I A N G E L D A L F O C O

Biografie del Condottiero, dei musicisti pergolesi

e copia documenti in Appendice

2002

Sayring - Pergola

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A I D I L E T T I S S I M I C O N I U G I

G I O V A N N I S E B A S T I A N E L L I

( 1 8 8 8 - 1 9 7 4 )

E

A G A T A L U P A T E L L I

( 1 8 9 4 - 1 9 7 4 )

LA CUI SERENA ESISTENZA FU CONFORTATA

COSTANTEMENTE DALLE SUBLIMI MELODIE

I F I G L I

L U I G I - A L E S S A N D R O

F R A N C E S C O E A S S U N T A

OFFRONO DEDICANO CONSACRANO

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P R O E M I O

Il giorno 12 maggio 2001, nella civica residenza, il Sindaco Avv. Dario Conti mi ha consegnato una targa d’argento con la seguente dedica:

A Sandro Sebastianellidotto esempio di amore

per la nostra piccola Patria.La città di Pergolagrata, ringrazia.

Pergola, Residenza Comunale12 maggio 2001

E’ questa l’occasione migliore per esprimere pubblicamente al Sindaco ed ai singoli Consiglieri Comunali la mia indelebile gratitudine per tale riconoscimento letterario, che va esteso a tutti coloro che mi hanno avviato agli studi severi classici e linguistici; a coloro che hanno dato alle stampe il risultato delle mie pazienti ricerche di documenti inediti conservati negli archivi locali e di altre importanti città.

Prima di elencare i nomi dei miei benefattori, desidero ricordare le eminenti personalità che la Divina Provvidenza mi ha concesso di ossequiare e con alcuni rimanere in contatto per decenni, nel lungo corso della mia esistenza.

Mistico l’incontro con la taumaturga Madre Speranza a Colle Valenza, unitamente ai miei amati Genitori. Efficaci lezioni di Teologia e di Cosmogonia. Grazie.

Felice l’incontro con Sua Santità Giovanni Paolo II a Fonte Avellana il 5 settembre 1982. Dopo avergli donato il volume Cecini-Sebastianelli su Pergola, ho riferito al Santo Padre che due pergolesi, mons. Gaspare Golfi e mons. Aurelio Mancini, furono Nunzi Apostolici in Polonia per diverso tempo. Sorpreso e compiaciuto S.E. il cardinale Pietro Palazzini che mi aveva presentato.

Doveroso il ricordo di un coetaneo, compagno di giochi d’infanzia e di studi elementari di mio Padre, S.E. il cardinale Francesco Xaverio Roberti (1889-1977), il quale, essendo amico di famiglia, celebrò a Bellisio Solfare le fauste nozze di mia zia paterna Santina con il cav. Eugenio Rebecchi, di grato ricordo.

Altra eminente personalità collegata con i miei Antenati, Mons. Ferdinando Baldelli (1886-1963) Vescovo titolare di Aperle, fondatore della Pontificia Opera di Assistenza (POA) e di altre lodevoli Istituzioni, grande benefattore di Pergola.

Preziose le lezioni avute dal celebre Pol Kristeller, letterato di fama mondiale, in merito alla esplorazione degli archivi. L’illustre docente mi ha elencato i notai e cancellieri pergolesi dei quali si trovano rogiti sia nell’Archivio Vaticano sia in altri luoghi, da lui stesso consultati e pubblicati.

Interessanti gli incontri con il celebre artista Arnaldo Pomodoro, scultore

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di fama mondiale, del quale ho redatto un parziale albero genealogico.Piacevoli le argute e amene conversazioni con lo scrittore Fabio Tombari

(Tutta Frusaglia) e con Luciano Anselmi anch’egli rinomato scrittore.Chiudo questo primo elenco con coloro che mi hanno impartito le prime

lezioni di storia dell’arte: la pittrice contessa Rosalba Barbanti Tommasi Amatori ed il consorte Prof. Pietro Scarpellini, illustre docente all’Università degli Studi a Perugia.

Nel 1950 iniziai l’esplorazione degli archivi locali civici e religiosi, per attingere notizie inedite da pubblicare. Apparvero quindi i primi articoli su quotidiani e riviste locali di carattere letterario, artistico e religioso. Uno di essi riguardante la riapertura della Biblioteca Marina, fondata nel 1718 dal cav. Alessandro Marini e chiusa al pubblico da più di un secolo. La mia proposta fu accolta dalle Autorità locali e dai cittadini. Dopo alcuni anni furono iniziate le trattative con i discendenti indiretti del fondatore, i Guazzugli Marini; fu istituito un Comitato di Gestione e l’istituzione culturale fu aperta al pubblico, con grande vantaggio degli studenti. Attualmente il Comitato è presieduto dalla colta e gentile ins. Maria Lina Brizzi Villanelli.

Altri articoli riguardanti una tavola dipinta nel 1492 dal pittore veneto Carlo Crivelli - l’Immacolata Concezione - per la chiesa di S. Francesco dei Frati Minori Conventuali di Pergola. Il dipinto fu acquistato dagli Inglesi nel 1814-15 circa, passò alla National Gallery di Londra nel 1874 ed è esposto al n. 906. (Notizie avute dalla Direzione dell’Ente londinese, con la quale rimasi in corrispondenza per molti anni).

Iniziai rapporti culturali anche con il British Museum di Londra, trasmettendo notizie al Direttore Timothy Wilson, con il quale sono tuttora in corrispondenza.

Pergola era stata fondata nella prima metà del secolo XIII per iniziativa della magistratura eugubina. Era pertanto indispensabile recarsi in quella città.

Gubbio:

Sezione Archivio di Stato e Biblioteca Comunale. Ringrazio il Personale dei due Enti per la loro collaborazione nella ricerca di documenti pergolesi inediti da consultare, trascrivere e pubblicare.

Nel decennio 1950-1960 (e successivamente) si tennero a Gubbio Convegni Culturali nella cosidetta Casa di S.Ubaldo, con la partecipazione di eminenti personalità quali il Prof. Giuseppe Ermini Rettore dell’Università di Perugia, che fu anche Ministro della Pubblica Istruzione, la figlia Prof.ssa Letizia, il paleologo Prof.Augusto Campana ed altri. In tali Convegni conobbi il marchese Prof. Polidoro Benveduti, il Prof. Fernando Nuti che fu anche Sindaco eugubino e Assessore Provinciale, il Dott. Pierluigi Menichetti, il Dott. Gino Gini, il Prof. Bruno Cenni, il Prof. Giancarlo Sollelevanti Direttore Didattico, autorevoli esponenti della cultura eugubina ed autori di pregiate pubblicazioni. Con essi rimasi in contatto per decenni, fui ospite saltuario alle loro mense. Di tali personalità conservo gelosamente le loro pubblicazioni

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con dedica, la corrispondenza, ed il ricordo indelebile anche perchè furono i primi a farmi perseverare nelle ricerche e pubblicazioni.

Altra sede depositaria di documenti pergolesi è l’Archivio diocesano eugubino. Pergola appartenne a tale Diocesi sino al 1819. Per decenni fu un susseguirsi di ricerche, e sono grato agli archivisti mons. Otello Marrani e mons. Ubaldo Braccini per la loro generosa e indispensabile collaborazione. Non posso dimenticare gli incontri saltuari ma frequenti con il Presule eugubino mons. Pietro Bottaccini sia a Gubbio, sia alle feste religiose a Cantiano, ai Convegni culturali di Fonte Avellana ed altrove.

E’ doveroso ricordare le cerimonie per il gemellaggio tra i Lions Club di Gubbio ed il Lions Club pergolese, con la partecipazione dei loro Soci. Interessanti gli interventi degli oratori sulle relazioni tra le due città. Iniziativa promossa dal Presidente eugubino Dott. Cardarelli Ezio Maria e Prof. Sergio Belardinelli Presidente del Club locale, che conferma la continuità dei rapporti tra le due città nei secoli.

Ispettore Onorario ai Beni Culturali.

Nel 1965 venne da Urbino a Pergola il Prof. Giuseppe Marchini, Soprintendente alle Gallerie delle Marche. Dopo una visita alla civica residenza ed alle chiese dove è conservata la maggior parte del patrimonio artistico pergolese, l’illustre Funzionario statale propose la mia nomina ad Ispettore Onorario per i Monumenti, le Antichità e le Opere d’Arte del Comune di Pergola.

Da allora ebbe inizio una utile collaborazione con i Titolari delle tre Soprintendenze: per l’Archeologia, per i Monumenti, per le Gallerie. La copiosa corrispondenza intercorsa da allora sino ad oggi con le tre Soprintendenze, con Autorità civili e religiose, con altri Enti culturali nazionali e stranieri, con privati cittadini, è conservata nella direzione del Museo, nell’archivio civico e nella Biblioteca comunale.

Pergola ringrazia tutti i solerti Soprintendenti che si sono avvicendati dal 1965, ed i loro collaboratori, per l’interessamento al patrimonio pergolese, in modo particolare per l’allestimento del civico Museo-Pinacoteca da me auspicato con una pubblicazione sin dal 1967, ed infine per i famosi “Bronzi dorati di Cartoceto di Pergola”.

E’ doveroso ricordare il Prof. Bruno Molajoli di Fabriano quand’era Direttore Generale delle Antichità al Ministero della Pubblica Istruzione, il quale su mia proposta, fece restaurare lo splendido soffitto a cassettoni dell’ex chiesa di S. Rocco.

Da segnalare la Dott.ssa Liliana Mercando che diresse gli scavi archeologici in località Ravaje, e illustrò, a mezzo stampa, i corredi funebri rinvenuti nelle tombe.

Da qualche anno, abbiamo ospite al Museo per la sistemazione dei Bronzi dorati, l’illustre Soprintendente archeologo Prof. Giuliano De Marinis.

Pergola ricorda le frequenti visite del dinamico e solerte architetto Maria

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Luisa Polichetti Canti della Soprintendenza ai Monumenti, per il restauro di chiese e di palazzi pubblici e privati. Da citare anche il prof. Paolo Dal Poggetto per il restauro di opere pittoriche locali, ed il Prof. Pietro Torriti per aver incaricato il Prof. Carlo Ferretti di restaurare nel 1972 gli affreschi di Lorenzo d’Alessandro e di altri pittori, nell’Oratorio dell’Ascensione o chiesa del Palazzolo. Al restauro contribuirono il Prof. Lino Bartolucci e la mia famiglia con una modesta somma in denaro.

Durante i lavori potei leggere con la lampada wood il frammento di una iscrizione originale “....anno 148......F. F. JOANNES OCULI...” Il quarto numero è leggibile a metà, era o un 3 o un 9, quindi o 1483 o 1489.

Socio Deputazione Storia Patria per le Marche.

Nel 1960 iniziai a frequentare la prestigiosa Biblioteca Francescana presso il Convento S. Antonio a Falconara. Una vera miniera di notizie riguardanti i tre cenobi pergolesi francescani, dei Minori Conventuali, dei Minori Osservanti e dei Cappuccini, desunte dai manoscritti e dalle pubblicazioni di carattere religioso dei secoli passati, che nessun studioso locale aveva esplorato. La mia gratitudine ai bibliotecari padre Pagnani dott. Giacinto e padre Pulcinelli dott. Bernardino per la loro generosa collaborazione, che mi ha consentito di pubblicare notizie edite per la prima volta.

Un doveroso ringraziamento ai Superiori ed alla famiglia monastica francescana per la loro ospitalità per un arco di tempo di circa un trentennio.

Nello stesso tempo conobbi l’illustre storico di Senigallia mons. Alberto Polverari, paleologo e latinista, che mi avviò allo studio della paleografia e tradusse alcuni rogiti notarili del 1383 ed anni posteriori. Mons. Polverari e padre Pagnani mi invitarono a prender parte ai Convegni indetti dalla Deputazione di Storia Patria per le Marche con sede in Ancona. Conobbi il Presidente Senatore Raffaele Elia, il segretario Prof. Enrico Liburdi ed altri Soci, che mi iscrissero all’Ente. Una felice occasione per tenere relazioni in Ancona, Macerata, Fano, Recanati ecc., date poi alle stampe.

Successivamente fu eletto Presidente della Deputazione il dinamico Prof. Werther Angelini, con il quale sono tuttora legato da profonda amicizia, unitamente alla colta consorte Prof.ssa Lara. Da qualche anno la Presidenza dell’Ente è passata al Prof. Gilberto Piccinini, e sono lieto di partecipare tuttora ai Convegni. Il Prof. Piccinini mi volle Socio dell’Istituto Nazionale per la Storia del Risorgimento

La conoscenza dei Proff. Dante Cecchi, Delio Pacini e premuroso Febo Allevi di Macerata, mi consentì l’iscrizione al Centro Studi Maceratesi. Così pure l’Editore Bruno Ghigi, mi volle iscritto al Centro Studi Malatestiani di Rimini, poichè Pergola fu dominata dai Malatesta. Altra occasione per tenere relazioni ai Convegni malatestiani a Senigallia, Fano, Arcevia, S. Costanzo ed altrove.

Il Prof. Francesco Vittorio Lombardi mi invitò ad iscrivermi quale Socio al Centro Studi Feretrani, una Istituzione che promuove Convegni ed interessanti pubblicazioni di storia locale da più di un trentennio.

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Sassoferrato: Istituto Internazionale di Studi Piceni.Convegno annuale Studi Umanistici.

Nel 1970, il francescano padre Stefano Dott. Troiani, creò a Sassoferrato, l’Istituto Internazionale di Studi Piceni, per diffondere la cultura, con Convegni periodici e pubblicazioni a stampa trimestrali. Con altri collaboratori, volle anche il sottoscritto e da allora i contatti culturali sono assai frequenti, anche per quanto segue.

Nel 1980, si rese disponibile una celebrità nel campo delle lettere: il Prof. Sesto Prete, docente universitario in Europa ed in America, poliglotta, paleografo e dinamico organizzatore di Seminari e Convegni culturali. Unitamente al padre Troiani, il Prof. Prete, da tale anno, diede inizio ad un Congresso annuale di Studi Umanistici a Sassoferrato, con la partecipazione di illustri docenti di fama internazionale.

E’ doveroso citarne alcuni che annualmente sono presenti a Sassoferrato: Proff. Alberto Grilli, Alessandro Ghisalberti, Sandro Boldrini, Ferruccio Bertini, Heinz Hofmann, Jean Luis Charlet, Hermann Walter, W. Keit Percival, ed altri docenti.

Rimane vivo il ricordo del docente Prof. Francis Cairns dell’Università di Leed ed ora all’Ateneo di Tallahassee in Florida, con il quale prosegue da diversi anni una saltuaria e fruttuosa corrispondenza.

Eremo di Fonte Avellana: Centro Studi Avellaniti.

Nel 1974 S.E. il cardinale Pietro Palazzini di Piobbico, istituì il Centro Studi Avellaniti, per riscoprire e valorizzare l’attività svolta dagli abati e monaci dell’Eremo, per un millennio, con Convegni annuali, e la partecipazione di illustri personalità e docenti di religione, di cultura, di economia, di rapporti sociali ecc..

Tutte le relazioni svolte vengono poi pubblicate. Inoltre il Centro ha già dato alle stampe le pergame avellanite a partire dal 975 al 1325. Sono documenti che indicano località, vocaboli, fossi, nomi di persona di stirpe Langobardorum e de Natione Francorum. Ci auguriamo che quanto prima siano pubblicate anche le pergamene degli anni successivi.

Al Centro Studi sono iscritti anche Soci di più modesta cultura, ma esperti di cose avellanite, che partecipano ai Convegni con relazioni assai utili ed interessanti.

Lo scrivente fu ospite di Fonte Avellana sin dal 1934, essendo abate il padre don Rodesindo Cappelli. Successivamente si alternarono i Priori padre Bernardo Ignesti, padre Giuseppe Cacciamani e padre Ramiro Merloni. Da allora, frequentai la Biblioteca, e ringrazio pubblicamente i medesimi Superiori che mi consentirono la lettura di volumi rari, e mi scelsero argomenti inediti per relazioni ai Convegni annuali.

Per l’iscrizione a Socio del Centro Studi, ringrazio infinitamente mons. Lino Ricci ed il Prof. Sergio Belardinelli.

A Fonte Avellana, incontrai il noto Prof. Luigi Michelini Tocci, con il quale

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rimasi poi in contatto per anni, ed il docente e brillante oratore Prof. Raffaele Belvederi con il quale sono tuttora in corrispondenza.

Senigallia.

E’ la città che ebbe nei secoli passati, dopo Gubbio, i più intensi rapporti di carattere economico, culturale e sociale con Pergola. Durante l’occupazione dei Galli Sènoni o Celti, i loro druidi e proseliti partivano da Senigallia, attraversavano la vallata cesanense, facevano sosta nel piazzale dove ora sorge l’Eremo di Fonte Avellana, e proseguivano sino alla vetta del Catria dove celebravano i loro riti sacri.

Dal ‘300 in poi, i prodotti agricoli pergolesi eccedenti al fabbisogno locale, venivano trasportati e venduti alla famosa fiera di Senigallia che offriva prezzi migliori di altre piazze. La stessa cosa per i manufatti pergolesi, quali i corami, i tessuti a mano, le tinte, coperte di lana, terrecotte ed altre confezioni.

Alcune famiglie patrizie pergolesi, nei secoli passati, si trasferirono a Senigallia quali i conti Antonelli, i marchesi Hercolani, i nobili Merlini, i patrizi Jonni ed altri blasonati. Queste famiglie però conservarono la cittadinanza pergolese e le loro dimore avite.

Il cardinale Nicola Antonelli (Pergola 1698 - Roma 1767) fece costruire in località Brugnetto la famosa villa detta dalle cento finestre, affrescata nel 1742 dal pittore bolognese Tertulliano Taroni. Il marchese mons. Giuseppe Hercolani progettò i portici della città. Il cardinale Leonardo Antonelli, nato a Senigallia nel 1730, fu erede dello zio Nicola. Essendo stato relegato da Napoleone a Senigallia, ivi morì nel 1811, lasciando alla sua città la cospicua biblioteca dello zio Nicola, che comprendeva anche i volumi della avita biblioteca pergolese.

Senigallia è sede, dal 1950, di una Associazione culturale: La Famiglia Marchigiana, che organizza convegni saltuari, con la partecipazione di eminenti docenti e studiosi. Uno dei Presidenti del passato fu il Prof. Nello Zazzarini, il cui ricordo è ancora vivo tra i vecchi iscritti al Sodalizio, come pure quello della sua gentile Consorte e figlie.

La biblioteca di Senigallia conserva testi rari e documenti riguardanti Pergola, i quali, trascritti, mi furono utili per varie pubblicazioni. Da essi risultano i rapporti economici intercorsi tra le due Comunità - Senigallia e Pergola - specie nella prima metà del ‘700, con il passaggio e stanziamento di truppe straniere nella vallata cesanense e Senigallia stessa.

E’ d’obbligo citare le gradite accoglienze ricevute mensilmente, e per un arco di tempo di circa trent’anni, nella sontuosa dimora senigalliese, dalla erudita contessa Emma Augusti Arzilli nata Jonni, stanze arredate anche con rari doni in oro offerti al papa Pio IX antenato del consorte; nella signorile e accogliente dimora del conte Avv. Vincenzo Cicconi Massi; nella mini-biblioteca del dotto mons. Alberto Polverari, dove il solerte Prelato compose la sua vasta produzione letteraria.

Veri ed ameni incontri di erudizione e di attualità, anche con mons. Angelo Mencucci, il quale diede alle stampe un mio modesto studio su

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Barbara; con il docente Prof. Sergio Anselmi curatore della Rivista culturale Proposte e Ricerche; con il N.H. Dott.Giovanni Martinez discendente dei conti Antonelli.

Per il marchese dott. Alessandro Baviera, deceduto nel 1976, la consorte marchesa Luisa Maria Albieri, in considerazione dei più che decennali incontri avvenuti nella loro sontuosa abitazione, volle un mio scritto da inserire, con altri articoli, nel volumetto pubblicato l’anno successivo in memoria dell’illustre storico e poliglotta senigalliese.

Cantiano.

Una ridente cittadina ai confini con l’Umbria, compresa nella Diocesi di Gubbio, dove nacquero mia Madre ed i suoi Antenati. Dai ricordi d’infanzia, a quelli della giovinezza e della maturità. Al doveroso ricordo degli amati Congiunti materni, porgo i miei ringraziamenti alle generose Suore dell’Ospedale Savini, a mons. Fausto Panfili che mi ha consentito l’esplorazione dell’archivio parrocchiale della Collegiata. Sono emerse notizie inedite sul pittore Gerolamo Amici e sulla sua attività artistica.

Ringrazio inoltre il Priore mons. Ennio Cacciabovi, amministratore della Diocesi di Gubbio, per le comuni consultazioni all’archivio diocesano eugubino. Un vivo ricordo mi rimane del Priore don Domenico Luchetti, del N.H. gen.le Oberdan Baldeschi, del gen.le Antero Tarquini, del colonnello Nicola Gori, della sua affabile consorte N.D. Clementina Luchetti e figlie Carla e Marisa; del N.H. Ing. Antonio Luchetti, dei coniugi N.H. Riego e Michelina Scatena e figli Dott. Giovanni e Prof.ssa Roberta, del dotto padre carmelitano Giovanni Gentilotti, del Dott. Ivanoe Furiosi e consorte ins. Ada Dezi, dell’ins. Giuseppe Panico e figlio Dott. Martino, degli insegnanti Dante Bianchi e Guglielmo Guglielmi, dell’architetto Giuseppe Panichi, degli amici Piero e Giuseppe Morbidelli, Alvaro Matteacci, Bruno e Rosa Fiorani, ed infine secondo l’uso romano, gli auguri a mio nepote Rag. Antonio Lupatelli, a sua madre ottima cuoca Gianna, alla consorte Prof.ssa Anastasia e tanti altri cantianesi.

Da ricordare Valeria Manna nata a Cantiano poi vissuta a Bologna, celebre soprano lirico di fama internazionale. Lasciate le scene, fu insegnante di canto al Conservatorio Rossini di Pesaro durante la direzione del maestro Livio Liviabella, con i quali fui in stretti rapporti, unitamente a quelli con la sorella Dalma e nepote Laj.

Nel 1980 il pubblicista Giuseppe Pierangeli di S. Michele al Fiume di Mondavio, prese l’iniziativa di fondare un giornale quindicinale di attualità e di cultura, dal titolo “Val Cesano”, poichè riguardante tale vallata. Con le notizie di attualità, sportive e folkloristiche, il quindicinale riportava le vicende storiche della vallata e centri urbani.

Il giornale ebbe una apprezzata diffusione, per aver portato a conoscenza dei lettori, oltre alle notizie d’attualità, anche le radici del luogo di nascita, la sua evoluzione, il suo sviluppo demografico, economico, religioso e culturale, con notizie inedite estese dal sottoscritto. Ringraziamenti ai promotori e

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collaboratori dell’iniziativa. La pubblicazione, per mancanza di fondi, ebbe termine nel 1985.

Nonostante la sua breve durata, fu di stimolo ad Autorità e cittadini di molte località, per interessarsi del proprio patrimonio culturale e dell’ambiente, e promuovere pubblicazioni locali per valorizzare tale patrimonio e farlo conoscere a studiosi e turisti.

Ancona.

Recentemente è stata istituita una prestigiosa Associazione culturale per le Marche, dal titolo “Le Cento Città”, per iniziativa del brillante ed autorevole clinico Prof. Giovanni Danieli, ed altre eminenti personalità, quali l’On.le Foschi Dott. Franco, il Dott. Catervo Cangiotti, gli architetti Maria Luisa Polichetti e Mario Canti coniugi, il Prof. Alberto Berardi, la Prof.ssa Bonita Cleri, il Dott. Folco di Santo, la Prof.ssa Maria Grazia Calegari, i coniugi Dott. Enzo e Franca Mancini, la Prof.ssa Silvana Mariotti, ecc., nonchè i pergolesi Prof.ssa Maria Grazia Fulvi Cittadini, Prof.ssa Marisa Baldelli, la cantante Elisabetta Lombardi, il Dott. Arturo Domenichelli ed il sottoscritto.

L’Associazione promuove periodicamente Convegni culturali di altissimo livello in varie città della Regione, e dà alle stampe una rivista quadrimestrale, assai ricercata, con articoli molto interessanti scritti dai Soci stessi.

Pergola, come ogni città, nel corso dei secoli ha avuto rapporti con altri centri urbani, i quali conservano documenti indispensabili per completare la sua storia. Pertanto è stato necessario consultare gli archivi e le biblioteche che qui elenco. Ringrazio pertanto i Direttori ed il Personale degli Enti che sono stati generosi nella ricerca dei documenti, ed in alcuni casi mi hanno fornito la copia fotostatica di essi.

Inizierò i ringraziamenti con il Personale della Biblioteca Vaticana, la quale, con altre notizie, mi ha fornito una copia della produzione letteraria manoscritta e miniata del concittadino Gaugello Gaugelli del sec.XV, il primo storico pergolese. Un dono assai pregiato, poichè alcuni brani di tale manoscritto erano già stati pubblicati, altri versi e la biografia del poeta sono stati date alle stampe dallo scrivente.

Altri ringraziamenti.Ai Direttori dell’Archivio di Stato di Roma, Dott. Elio Lodolini, Lucio

Lume, Marcello Del Piazzo, che mi offrirono copia del prezioso carteggio riguardante “L’Appannaggio del Regno Italico”. Utilizzato per il più completo studio sull’argomento.

Al Dott. Alessandro Mordenti dell’ Archivio di Stato di Ancona.Alla gentile Dott.ssa Graziella Berretta dell’Archivio di Stato di Pesaro.Alla Dott.ssa Giuseppina Boiani Tombari dell’Archivio di Stato di Fano.Al Personale della Biblioteca Nazionale di Roma.Alla Dott.ssa Morena della Biblioteca Nazionale di Firenze.Alla Direttrice della Biblioteca Augusta di Perugia.Al Dott. Franco Battistelli, già Direttore della Federiciana di Fano.Al Prof. Giancarlo Castagnari della Biblioteca Comunale di Fabriano.

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All’esimio e dinamico Prof. Antonio Brancati, Direttore della Biblioteca Oliveriana di Pesaro e dei Musei annessi, per avermi fornito diverse copie fotostatiche di pubblicazioni riguardanti Pergola e autori cesanensi. Ringraziamenti a tutto il Personale della Biblioteca, specie al sig. Paladini. Esprimo la mia gratitudine all’illustre Brancati, per aver partecipato, quale oratore ufficiale, alla presentazione del volume Cecini-Sebastianelli dal titolo “Pergola, lettura di una città”, ed aver valorizzato i documenti conservati nello “Studio Fasti Pergolesi”, utilizzati dagli autori per la stesura del libro.Infine ringraziamenti al Personale della Biblioteca Comunale di Jesi, e al Direttore dell’Archivio della Parrocchia del Duomo di Jesi, dove ho rintracciato i nomi degli ascendenti del celebre musicista Giovanni Battista Pergolesi, originari di Pergola, i quali avevano il cognome Draghi senza saperlo. Ringrazio il dinamico laurentino Dott. Piergiovanni Damiani, per aver promosso manifestazioni culturali in onore dell’artista, ed aver curato una pubblicazione, compreso l’albero genealogico dell’immortale musicista.

Ed ora l’elenco di coloro che apprezzarono le mie modeste pubblicazioni, mi furono di stimolo a proseguire, e con i quali ci trovammo per un arco di tempo assai lungo, ai Convegni, per cui allacciammo rapporti di stima ed oserei dire di amicizia:

- il Dott. Patrizio Giuppi, fondatore della locale Biblioteca comunale.- il giurista Prof. Fulvio Crosara, già docente e Rettore dell’Università di Camerino. Corresse le bozze di alcune mie pubblicazioni. Su mia proposta, lasciò al Museo di Pergola, una pregevole scultura di Alessandro Algardi (1595-1654).- Il Prof. Enrico Liburdi, proprietario di una ricca biblioteca, la gentile consorte Prof.ssa Giulia e la simpatica e colta figlia Prof.ssa Verina.- Il Prof. Sesto Prete, l’affabile consorte Ins. Teresa, ed i quattro figli laureati Andrea, Carlo, Elisabetta e Cecilia, tutti affezionatissimi. Quanti giorni felici negli anni passati! Ora ci ritroviamo annualmente a Sassoferrato, al Convegno sull’Umanesimo.- Mons. Leonardi Dott. Corrado, illustre esponente della cultura urbaniese. - Il pubblicista Dott. Delio Bischi, la consorte sig.ra Adele, e le figlie Proff. Maria Ida e Paola, presso i quali fui sovente ospite gradito.- L’illustre clinico Dott. Luciano Galli, già Primario chirurgo e Direttore dell’Ospedale Civile di Pergola. E qui desidero ricordare il suo predecessore Dott. Mario Melletti, il Dott. Giuseppe Micucci, il Dott. Tommaso Casali, il Dott. Armido Brunella, il Dott. Aldo Rossi e le levatrici Nazzarena Fabbri e Lombardi Adele mia zia. - Il celebre Dott. Gèmino Fiorelli, Direttore della Scuola di Specialità Medicina Interna all’Ospedale Maggiore dell’Università di Milano, e la consorte Dott.ssa Cappellini Maria Domenica. Per onorare la memoria del

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fratello e cognato Ing. Marino Fiorelli, i generosi Coniugi hanno donato al Museo di Pergola, alcuni interessanti reperti archeologici. Ringraziamenti a nome dei pergolesi e dell’Incaricato del Museo. L’elenco prosegue:- I generosi fratelli Gambioli Dott. Pietro e Ing. Carlo, e loro Famiglie.- Il gen.le Alfredo Arnera e l’audace consorte Vittoria Nicoletti. - Il noto tisiologo N.H. Dott. Amleto Venturi residente a Milano, e la

affabile N.D. Prof.ssa Ornella Clausi Schettini. - Il valente clinico Dott. Guido Ottalevi e la consorte Ins.Wanda Viti.- I coniugi Prof. Diego Barbadoro e Prof.ssa Luisa Bellagamba. - Il Cav. Prof. Nereo Giorgi, già Presidente della Cassa Rurale.- Il N.H. Dott. Massimo Mochi e la distinta consorte Prof.ssa Agnese.- Il Prof. Stefano Orazi e la gentile Ins. Maria Pia Bartoli sua madre.- I Coniugi Guglielmo e Maria Ròndini e la premurosa Elvira Mariotti.- I Coniugi Obed e Sandrina De Simoni, e loro Congiunti.- L’affabile Sig.ra Maria Gentilini Rossi e la sua numerosa prole. - I miei Cugini e Nipoti residenti a Torino, dove ho trascorso piacevoli

soggiorni con i miei Genitori. E’ tuttora vivo il ricordo dei loro generosi Avi.- I Fratelli Enzo e Renzo Magnani, e Figli.Non posso dimenticare i piacevoli incontri, nel mio studio, con il celebre

musicista nostro concittadino Amedeo Escobar Martinez, a suo tempo di fama europea.

Pergola ha dato i natali a Giovanni Morandi (1777-1856) il più celebre organista della prima metà dell’800, ed uno dei maestri di Gioacchino Rossini. Il musicista è stato riscoperto e rivalutato alcuni decenni fa, da un altro celebre organista di fama mondiale: il maestro Arturo Sacchetti di Santhià (Vercelli). Nel 1984 lo scrivente ha organizzato due serate musicali dedicate al Morandi, alle quali ha partecipato il maestro Sacchetti suonando musiche morandiane all’organo della Cattedrale pergolese. Successivamente il maestro propose al Dott. Ezio Vanzini Presidente della Associazione culturale “Pietro Generali” (celebre organista), un gemellaggio musicale tra la sua città e Pergola. Il 21 ottobre, nella Cattedrale di Santhià si è svolta la cerimonia del gemellaggio, con grande concorso di Autorità e pubblico. Pergola era rappresentata dal sottoscritto; ci fu uno scambio di doni, e l’Associazione commissionò una pergamena miniata in oro, ora esposta nello studio del Sindaco di Pergola:

“A Pergola città natale di Giovanni Morandi geniale innovatore del linguaggio organistico italiano sette-ottocentesco, l’Associazione Culturale Pietro Generali unita idealmente nella rivalutazione del grande musicista.

Santhià 21 ottobre 1984”. Sia del maestro Sacchetti, sia della gentile ospitalità offertami a Santhià

dalle Sig.re Margherita e Libera Sacchetti, ava e madre del maestro, dalla Dott.ssa Egle Pistono, dal Comm. Mario Pistono ed altre autorità, mi rimane un indelebile ricordo, e nei Fasti cittadini pergolesi è già annoverato l’avvenimento. E non finisce qui.

Nel 1985, l’instancabile Dott. Piergiovanni Damiani, ha organizzato

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conferenze e serate musicali in onore di Giovanni Morandi. Per l’occasione è stato stampato un volumetto dal titolo “G. Morandi, Servite Domino in Laetitia”, a cura del Centro Culturale Polivalente “G.B. Pergolesi e R. Piccinini”, fondato dallo stesso Damiani. Esso comprende una esauriente biografia del musicista, della moglie Rosa Morandi celebre soprano, e di Pietro Morandi di Bologna, padre di Giovanni, prescelto dai Canonici quale “Maestro di Cappella” della Cattedrale di Pergola. Autore di musica sacra.

Dal 1958 al 1988, ogni anno, ho trascorso una felice vacanza in Germania, a Stoccarda, quale ospite della N.D. Ira Forgiak, di suo padre avvocato Italo, della giovane e affabile Ingrid e del Dott Rolf Faustain. Eccellenti turisti e amanti dell’Italia, annualmente, nei mesi estivi, venivano a soggiornare a Rimini oppure a Milano Marittima, dove li raggiungevo per trascorrere insieme liete vacanze, e ripartire con essi per Stoccarda.

L’avv. Italo, celebre giurista di fama europea, promosse e vinse la causa di divorzio tra l’inventore della Radio Guglielmo Marconi e la prima moglie. L’avvocato conservò gelosamente i ritagli dei giornali europei che riportavano la notizia. In tale circostanza, fu insignito dell’onorificenza di Cavaliere (allora) del Regno d’Italia.

Furono giornate in cui il giurista mi fece lezioni di diritto internazionale, notizie di cause importanti preparate e vinte. Ora che non posso più viaggiare per ragioni d’età, mi rimane la consolazione di rapporti epistolari e telefonici, con la generosa nepote Ingrid, con il consorte Ing. Manfred Heidinger e con il figlio Ing. Jurgen.

Altro piacevole soggiorno gratuito mi viene costantemente offerto da una generosa famiglia, in una splendida località, purtroppo assai lontana dalla mia Patria. Alcuni anni fa conobbi una simpatica e affabile signora: Maria Teresa Foligno, figlia del nostro concittadino Dott. Dario Agostino Foligno, noto Avvocato Erariale dello Stato, benefattore di Pergola e sepolto nel nostro Camposanto.

La signora Foligno, il marito Mario Pesente ed il figlio Dott. Massimo, sono proprietari di un lussuoso albergo “Villamar Inn” davanti all’Oceano, a Pompano Beach, in Florida. L’ospitalità offerta è allettante, ma dove vado all’età di 85 anni, anche se la mente è ancora lucida ed il fisico sano? Ai medesimi, i miei infiniti ringraziamenti e l’augurio di rivederli prossimamente qui a Pergola dove, anche se non avremo davanti l’Oceano, parleremo egualmente dell’Italia, dei Foligno, dei Levi ecc.

L’elenco prosegue per citare i nomi di altri miei benefattori.- Il Rev.mo Padre Réginald Grégoire, docente nell’Ateneo urbinate.- Mons. Angelo Antonio Bittarelli, autore di pregiate pubblicazioni. - Il Prof. Lino Bartolucci, maestro di vita e di dottrina, addetto culturale

nelle ambasciate degli Stati Uniti e in Svizzera; i suoi fratelli Elio procuratore legale, e Don Domenico che celebrò le nozze dei miei Genitori a Cantiano il 14 Febbraio 1915. La fraterna amicizia tra le due Famiglie risale ad un secolo e mezzo fa.

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- I coniugi Raffaele e Adele Tittoni e figli e nipoti, nonchè mons. Agostino Tittoni. Anche con questa Famiglia la stima e amicizia ebbe inizio nel secolo scorso.

- I fratelli Spunta Marino e Alfredo, loro Consorti e figli.- La Sig.ra Candida Fulvi e figli Dott. Giuseppe e Avv. Giulio.- I generosi coniugi Diomiro Basili, la consorte Marina Rovelli, e la loro

figlia Dott.ssa Maria che fece dono dei beni paterni all’Istituto Arseni di Pergola.

- Mons. Giovanni Antonietti, Proposto della Cattedrale, poliglotta, del quale rimane nei pergolesi un vivo ricordo. Organizzò il Congresso Eucaristico del 1938.

- Il Senatore Avv. Giovanni Venturi e sua madre Ins. Anna Angelucci. - Il N.H. Ing. Enrico Mochi, esperto di araldica, che ha scoperto dei falsi

genealogici-araldici. Un vivo ricordo anche della colta consorte N.D. Elena Daffinà.

- Il Dott. Fausto Coen, noto giornalista di religione israelita, che mi ha fornito notizie sulle famiglie ebraiche pergolesi, informazioni date poi alle stampe.

Lo “Studio Fasti Pergolesi Giovanni Sebastianelli” sta per terminare la sua funzione. Rinnovo qui i ringraziamenti espressi più volte a coloro che offrirono generosamente stampe, opuscoli, documenti familiari, rogiti, fotografie ecc. riguardanti Pergola, ed anche pregevoli pubblicazioni di interesse nazionale.

- Gentilini Tommaso senjor, e Tommaso junior padre di Luigia e moglie di Francesco Sebastianelli. Conservarono documenti di storia locale, tra i quali un piccolo opuscolo stampato dalla prima tipografia pergolese di Gaspare Mariotti nel 1743, dal titolo “Novena Sacra in onore di Santa Margherita da Cortona”, forse l’unico esemplare giunto sino ai nostri tempi.

Tali documenti furono ereditati dal figlio Giovanni, che raccolse e conservò altri giornali, opuscoli ecc. di interesse locale, documenti con i quali si potrebbe fare la storia degli avvenimenti anche minori della città durante il secolo XX.

Altri benemeriti donatori: - Il celebre Avv. Nino Baldeschi, già Presidente Accademia “Raffaello”.- La N.D. Eleonora Fulvi ed il consorte generale Ettore Marchei.- Il Prof. Gilli don Pietro, illustre docente di greco e latino.- Il N.H. Pierfranco Ellero Guazzugli.- Il notaio Dott. Aldo Gigli; il fratello gen.le Viscardo e figlia Prof.ssa Alba.- I Presidenti e Funzionari della Cassa di Risparmio di Pesaro dal 1946

all’attuale Presidente On.le Avv. Gianfranco Sabbatini.- Il Dott. Valentino Valentini Presidente della Fondazione Cassa di

Risparmio di Fano, e Socio dell’Associazione culturale “Le Cento Città”. - Il Rag. Ritaldo Abbondanzieri, Funzionario Cassa Risparmio Fabriano.Lo studio conserva un autografo del celebre pittore Giorgio De Chirico,

concesso dopo aver assistito e commentato gli spettacoli lirici alle Terme di Caracalla; altri sia del famoso Fausto Coppi, sia di alcuni cantanti lirici di fama

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mondiale. Giunto agli estremi giorni della mia estrema età, sono confortato dall’affetto

di mio fratello Francesco, dei nipoti Marcello e Antonio e loro Famiglie. Ogni giorno, mi ritrovo con generosi amici per rievocare i giorni proficui della comune presenza a Convegni culturali, riunioni, simposi; alle visite ai Musei, alle mostre allestite anche in città lontane, oppure per discutere e commentare la situazione della cultura locale, o per organizzare la partecipazione a Convegni in località vicine. Chi sono?

- La Prof.ssa Marisa Baldelli e suoi Congiunti.- La Prof.ssa Maria Grazia Fulvi Cittadini.- I Coniugi Magi Marcello e consorte Iride Pazzaglia.- La Prof.ssa Tina Torcellini Mandelli.- Il Dott. Giovanni Tomassetti e consorte Ins. Luciana Pazzaglia.- La gentile Dott.ssa Luana Bartolucci Guerra. Termino questo prolisso elenco con la prestigiosa famiglia del Dott.

Arturo Domenichelli, la consorte Ins. Teresa Spunta e la figlia Neodottoressa Chiara, generosi compagni di viaggio per decenni, attraverso l’Europa, il Medio Oriente, ed il favoloso Egitto. Ricordi sempre vivi e presenti, quasi quotidianamente. Auguri vivissimi a tutti per una vita felice e operosa, e l’augurio di raggiungere una tarda longevità.

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Sandro Sebastianelli

SINTESI DELLE VICENDE STORICHE DI PERGOLA

La pittoresca ed ubertosa Vallata del Cesano - in Provincia di Pesaro e Urbino - della quale il centro urbano più importante è PERGOLA, si estende dal versante orientale dell’Appennino umbro-marchigiano, sino al mare Adriatico (tratto Marotta Senigallia) per una lunghezza di 50 km. circa ed un’ampiezza media di 20-25 km..

Si trova a sud della valle del fiume Metauro ed a nord della valle dell’Esino. E’ attraversata e resa fertile dal Cesano, il quale riceve sotto Pergola le acque del Cinisco, e lungo il suo corso i tributi dei torrenti Nevola, Rio Grande, Rio Freddo, Rio Maggio e diversi ruscelli e rivi pescosi.

Due fiabeschi crinali ondulati ed irregolari, che iniziano a pochi km. dalla riva del mare Adriatico, proseguono all’interno dell’entroterra sino a Bellisio Solfare dove due montagne ravvicinate, che si fronteggiano, formano l’incantevole scenario della Gola del Sasso, e terminano con colline e poggi sino all’Appennino marchigiano, dominato dal monte Catria (m.1702) che il sommo Alighieri descrive nel canto XXI del Paradiso:

“Tra due liti d’Italia surgon sassi (E non molto distanti alla tua Patria)

Tanto che i tuoni assai suonan più bassi.”

La vallata cesanense fu occupata dai popoli preistorici (tribù nomadi e pastori erranti) ed i reperti archeologici più remoti, rinvenuti alle foci del Cesano in località Ripabianca, alle sorgenti del fiume in località Laghi, ed in varie località interne, sono attribuiti al quinto millennio a.C..

Successivamente la vallata fu occupata dagli Umbri, dai Galli Sènoni o Celti, dai Piceni e dai Romani. Numerosi reperti furono rinvenuti nei secoli passati; altri assai interessanti, in occasione della strada ferrata Fabriano - Pergola - Urbino, dal 1890 al 1898 circa. Tali manufatti sono esposti nei Musei di Ancona, di Pergola, di S. Lorenzo in Campo ed altrove.

I reperti archeologici più interessanti rinvenuti nel territorio pergolese, furono i seguenti:

- in località Canneto, n.30 tombe con vasi finissimi monocolori, collane, armille, spille, fermagli, lance e spade, attribuite agli Umbri;

- in località Ravaje, a Canneto e nei pressi della stazione ferroviaria, tombe a tegola con scheletri di alta statura, attribuite ai Galli Sènoni. Nel 1903, reperti Celti furono rinvenuti alla sommità del Catria, tra i quali un idoletto esposto al Museo di Ancona, in occasione dell’erezione della Croce metallica;

- in località Grifoleto, Ravaje, Osteria del Piano, Monte Santa Croce, Monte Rolo, e nei pressi della stazione ferroviaria, tombe romane con corredi funebri quali lance, spade, vasi monocromi e policromi, monete, anelli, statuette ed altri oggetti in oro e rame;

- in località Ravaje, nel gennaio del 1970, furono rinvenute sei tombe con

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corredi funebri, attribuite dal IV secolo a.C. al I sec. d.C..Una stele funeraria priva della base, di epoca romana, rinvenuta a Osteria

del Piano in territorio pergolese, ora al Museo dei Bronzi Dorati, reca la seguente iscrizione:

L(ucius) N A E V I U S V E R U SM I L(es) C O H(ortis) V I I I P R A E T(oriae)(centuria) S I L I M I L I T(avis) A N N(is) V

V I X I T ANN(is) X X T(estamento) F(ieri) I(ussit)F(aciendum) C(uravit) L(ucius N(aevius) L (-).

Traduzione: “Qui è sepolto Lucio Nevio Vero, soldato dell’ottava corte Pretoria, della squadra di Silio, in servizio per cinque anni. E’ vissuto anni 20. Ha fatto fare questo monumento con atto testamentario. Alla sua esecuzione ha provveduto Lucio Nevio”.

La parte inferiore reca il volto del defunto avvolto in un ampio mantello, e la stele è assai interessante, poichè vi sono rimasti pochi esemplari di pretoriani. E’ attribuita all’anno 50 d.C., e si ritiene abbia fatto parte di un nucleo familiare del luogo.

Nel 1891, nei pressi dell’attuale stazione ferroviaria, fu rinvenuto un sepolcro piceno, così descritto dall’archeologo Ugo Rellini nel 1905:

“Era stato rinvenuto parecchi anni prima (1891) in un fondo di Gaetano Rovelli a un km. dalla città, presso la stazione ferroviaria. Nonostante che molto sia andato disperso, dovette essere assai ricco a giudicare da quanto ho potuto osservare. Fu probabilmente l’avello di uno stratega, d’un duce. Notai anzi tutto uno di quegli elmi di rame assai ampli - perchè, come si sa, erano internamente fasciati di stuoia - ad alta calotta tondeggiante e con tesa, apparsi a Novilara e altrove nelle necropoli picene, ma in stato di perfetta conservazione; il migliore esemplare di quanti ne conosca delle raccolte pubbliche e private. L’elmo ha ancora sul dorso le ciminiere per fermare una cresta di cuoio, e nell’interno a destra, in alto, una piccola fibbia per il soggolo. Oltre parecchi frammenti di rame lavorato, notai, pure di rame, due piccoli ed eleganti cani gemelli, accosciati, dalle forme snelle e dal muso arguto, che dovettero certo essere ornamento di un vaso: una grossa zampa di leone, cava, che fu forse uno dei piedi di un tripode, e la testa di un vitello che probabilmente appartenne ad un lebetes.

Tutti questi oggetti sono della migliore arte picena. Anche notai un gambale di rame (la prima volta, credo, che questo oggetto si trova nel materiale piceno) e una ruota di rame del diametro di circa 12 centimetri con quattro larghi raggi laminari, impernianta in un lungo asse di ferro largo circa cm. 40, ma che doveva essere di lunghezza maggiore. Oltre a frammenti di grosso e rozzo coccio e di altri fittili, tra i quali quelli di un cantharos, di alcune rotelle d’osso e di denti di verro che dovettero costituire una collana, mi si parlò di un gran numero di perle di vetro, che non vidi; niente si seppe dire dello scheletro”.

Nel 1891, completata la rete e stazione ferroviaria, gli scavi archeologici ebbero termine. Ma il Nicoletti ci fa sapere che non tutta la necropoli è stata

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eplorata, e vi sono altre tombe che attendono di vedere la luce. L’otto ottobre 1929, in località Canneto, in un terreno del dott. Alarico

Benedetti, fu rinvenuta una tomba dell’età del ferro con uno scheletro di inumato in posizione distesa, una punta di lancia e una spada di ferro del tipo a scimitarra lungo il corpo, due vasi di impasto presso la testa “e poche ossa dello scheletro di un cavallo” a destra del morto. (Comunicazione della Soprintendenza Archeologica di Ancona n. 9715/85 del 17 gennaio 1986 all’Ispettore Onorario di Pergola).

In località Montesecco, in un terreno proprietà dei Fratelli Solfanelli, nel luglio 1969 fu estratto un pregevole mosaico di epoca romana, in parte esposto ora al Museo locale.

Nel 1603, in località Cappuccini, nel costruire l’orto dei monaci, fu rinvenuta una epigrafe romana riguardante la famiglia Cesi. Il padre Guardiano Francesco Maria Stelluti di Fabriano, inviò tale epigrafe al fratello Francesco accademico linceo, interessato a reperire notizie e documenti sull’origine della famiglia romana dei Cesi.

Nel 1946, come noto, in località Calamello di Cartoceto di Pergola, furono rinvenuti i famosi “Bronzi dorati”, di epoca romana, ora esposti al Museo pergolese. Sono state pubblicate diverse ipotesi (anche false) sui personaggi che rappresentano e l’epoca di fusione, ed autorevoli studiosi continuano a fare ricerche per dare un nome alle statue maschili e femminili.

I popoli sopraelencati fondarono ed incrementarono nella vallata cesanense, centri abitati in pianura, villaggi nei poggi e nei colli, e Castelli nella sommità di colline che presero il nome, specie nell’alta valle, di Monte Aiate, Monte Episcopale, Monte Insico, Monte Rolo, Monte Secco, Monte Vecchio ed uno Finigli.

I Protomartiri umbri ed i monaci ravennati diffusero la dottrina del Vangelo nella vallata cesanense, dove eressero templi e chiese rurali.

Durante la dominazione romana, Suasa, villaggio umbro, raggiunse il rango di un felice ed opulento municipio, poi distrutto dai Goti nel 409 dell’era volgare. Per avere numerose Corporazioni pagane, la città non raggiunse il rango di Diocesi ed il suo territorio passò sotto la giurisdizione spirituale dei Presuli di Fano e di Senigallia. Municipi romani che estesero la loro giurisdizione sull’alta vallata, furono Gubbio, Pitino Mergens (oggi Acqualagna) e Sentino, oggi Sassoferrato. La Diocesi di Gubbio si estese sino alla confluenza dei fiumi Cesano e Cinisco, territorio appartenente dall’epoca romana e forse prima, sino al 1860, alla regione umbra.

Distrutto Pitino Mergens nell’VIII-IX secolo, il vicino centro urbano di Cagli ne raccolse l’eredità politica e spirituale, divenne diocesi con giurisdizione sul territorio al di là del Cinisco.

Sentino non raggiunse il rango di Diocesi, ed il suo territorio fu incorporato nella Diocesi di Tadino. Distrutta la città, il Presule si rifugiò a Nocera Umbra che divenne sede vescovile con giurisdizione sull’agro sentinate, che si estendeva sino a Serralta, Ferbole e Valrea. Nel 749-751 il monaco benedettino S. Anselmo fondò la Augusta Badia di Nonantola nei pressi di Modena, ed ebbe in dono, dal cognato Re dei Longobardi Astolfo e da alcuni feudatari,

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gran parte del territorio al di là del Cesano, sul quale esercitarono la loro potestà spirituale, sino al 1819, non più i Presuli di Nocera, ma gli Abati di Nonantola. Tali benedettini fondarono propri cenobi a Serralta, Ferbole e Valrea.

Altre zone cesanensi, dal VI al XIII secolo, furono di proprietà dei monasteri ravennati di S. Apollinare in Classe e S. Severo, dove i monaci fondarono chiese e cappelle rurali. Sorto nel 970-980 l’Eremo di Fonte Avellana da alcuni anacoreti eugubini e cesanensi (e non dal beato Lodolfo come è stato erroneamente scritto ripetutamente in passato) i due cenobi donarono chiese e beni all’Eremo avellanita; altri feudatari donarono i loro Castelli e terreni adiacenti. Fortunatamente sono state conservate molte pergamene in merito, recentemente pubblicate dal prestigioso Centro Studi Avellaniti, che iniziano dal 975 sino al 1300.

Dopo la caduta dell’Impero romano, fu istituito in Italia, dall’imperatore d’Oriente Giustiniano (527-565), l’Esarcato con capitale Ravenna, che estese la sua giurisdizione sino alle nostre contrade (Provincia Castellorum). La Mensa vescovile di Ravenna, ed i monasteri di S. Apollinare in Classe e di S. Severo, divennero proprietari di vari Castelli e terreni nella vallata cesanense che in secoli successivi donarono all’Eremo di Fonte Avellana, come risulta dalle pergamene tramandateci.

Dario Agnello ravennate, autore del Liber pontificalis, scrive che Sergio, arcivescovo della sua città dal 748 al 769, giudicava dal porto di Valano di Ravenna a Pertia o Pertica, un grosso villaggio allora esistente alle falde del Colle di Ferbole di Pergola. E’ indicato nelle carte geografiche antiche (di Claudio Tolomeo, di Gerardo Mercatore, ed altre) con eguale distanza tra Sentinum e Suasa. Pertia segnava il confine tra la Pentapoli Montana, il ducato di Spoleto e la Diocesi di Tadino, trasferita poi a Nocera Umbra.

Con Bolla del 7 novembre 782, il papa Adriano I conferma all’abate di S. Apollinare in Classe il possesso di cinque fondi in località Medoco, Arculis, Serra mediana, Monterubeum e Junialum. Località ora in Comune di Pergola.

Il 17 aprile 1037 l’imperatore Corrado concede a Lamberto abate di S. Apollinare in Classe privilegi su quattro monasteri di sua pertinenza: S. Vito ora in Comune di S. Lorenzo in Campo; S. Martino e S. Apollinare già in Comune di Montevecchio ora di Pergola; S. Maria in Gotuli, monastero per secoli maschile e femminile, ora solo tempio S. Maria di Valrea di Pergola.

Il 21 ottobre 1138 l’arcivescovo di Ravenna Gualtiero rinnova ad Azzone priore camaldolese di S.Apollinare in Classe l’investitura sui cenobi di cui sopra, ubicati entro i confini del fiume Cesano, Acqualbella, rivo Maturio e Sassobrate.

In data 15 maggio 1185 il papa Urbano III conferma al priore di S.Apollinare in Classe il possesso dei quattro monasteri citati.

Altri riferimenti ravennati:“28 novembre 1128, Senigallia. Divizio abate di S. Severo di Ravenna,

dona al Priore di Fonte Avellana i propri beni ubicati dal monte Catria alla confluenza dei fiumi Cesano e Cinisco”.

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“ 24 maggio 1139. Laterano. Il papa Innocenzo II, su richiesta dell’abate di Fonte Avellana Benedetto, conferma all’Eremo i suoi possessi e diritti: ......in Comitatu Eugubino, la plebe di S. Angelo di Clandida (ora Madonna del Vado); il Castello e la chiesa di S. Angelo di Ripalta (ora fattoria agricola presso l’Osteria del Piano); S. Maria sul ponte Cinisco, eretta in precedenza dai monaci ravennati, che divenne un ospedale prima ancora della fondazione di Pergola. Ora chiesa di S. Biagio.

Dalle pergamene avellanite sappiamo che nell’attuale territorio del Comune di Pergola, dall’Alto Medioevo al secolo XIII, vi erano alcuni feudatari “de stirpe Langobardorum” i quali donarono i loro beni immobili all’Eremo avellanita:

28 gennaio 1062. Ermengarda figlia del fu Urso, e Berta sua figlia donano a Fonte Avellana il fondo Acqualbella e parte del Castello di Monte Insico.

1030. Pietro, Atto e Reco, donano i beni in località Ripalta.1082. I coniugi Giovanni e Maria e figli, i beni ubicati a Serraspinosa.1097. Adamo, Berga e Bona, i beni in località Aiale e S.Bartolomeo.1104. Martino fu Giovanni, altri beni a Cerbaria e l’Aiale di Serraspinosa.1127. Gino di Martino e Benedetta donano il Colle del Poggio.Nella primavera dell’anno 800, Carlo Magno, reduce da Roma dove era

stato incoronato quale sovrano del Sacro Romano Impero, e diretto in Germania, fece sosta a Gubbio, con largo seguito di cavalieri e dignitari. Alcuni di questi, rimasero a Gubbio per contrarre matrimonio con ricche ereditiere. I loro discendenti, come i feudatari Longobardi, vollero conservare la propria nazionalità paterna, indicando nei rogiti di donazione di beni a Fonte Avellana, di essere “de Nacione Francorum”. Ne citiamo alcuni riguardanti il territorio pergolese:

1030. Giovanni e Boniza, donano i beni di Arale di Serraspinosa.1069. I conti Uberto fu Ugo, Gisla ed Atto, i beni in vocabolo Casale.1080. Il conte Alberico fu Ugo, dona parte dei suoi beni nel villaggio

Piobbico di Monte Episcopale.1130. I discendenti del precedente, conti Landino e Rainuzzo, donano

altri beni dello stesso feudo.1121. Rizidano fu Alberico, dona i beni ubicati a Grifoleto.1139. Il conte Ugolino fu Ugo, dona a F.A. il Castello di Monte

Episcopale.E l’elenco potrebbe continuare. Le pergamene avellanite riportano i vari

vocaboli, i confini di ogni donazione, i nomi dei fossi ecc., per cui, se qualcuno fosse interessato, potrebbe ricostruire i vari passaggi della sua proprietà terriera dal Medio Evo ad oggi.

Fondazione di Pergola.

Nei primi decenni del 1200, la magistratura eugubina chiese alla Santa Sede l’autorizzazione a fondare sul territorio di sua giurisdizione, un nuovo centro abitato per creare posti di lavoro e commerci ai numerosi disoccupati della sua città. Poichè erano abili dell’arte delle conce di pelli, di tessuti

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a mano, di tinte, di terrecotte ecc., prescelsero la pianura circostante la confluenza del Cinisco con il Cesano.

Sul luogo si tenevano fiere e mercati settimanali di merci, prodotti agricoli e bestiame. Nel 1010-1015 circa, S. Romualdo, vi edificò un tempio dedicato alla Madonna. Poichè già aveva fondato l’Eremo di Sitria, affidò il tempio a quegli eremiti. La chiesa aveva da un lato l’abitazione dei monaci, e dall’altra un pergolato, ed ebbe l’appellativo di S. Maria della pergola.

Non lontano dal tempio di S. Maria, poco dopo, ne sorsero altri: S. Lorenzo, nei pressi dell’attuale Cattedrale; S. Cristoforo che diede il nome al Borgo delle Concie; S. Ubaldo, ora fabbricato in via Godio n. 16. Vi erano inoltre alcune casupole quale deposito per le merci dei mercanti partecipanti ai mercati.

Ci è stata tramandata una scrittura su pergamena del 28 marzo 1197, con la quale Tebaldo di Viciano, rinuncia ai suoi possessi ubicati a Valrea, in favore del priore di Fonte Avellana. L’atto, è stato scritto dal notaio Martino, in “Foro Cinischi”. Forse l’attuale Borgo delle Concie aveva tale nome.

Nel secolo XII, in considerazione che durante i mercati o fiere accadevano risse, furti e disordini, la magistratura eugubina istituì sul colle soprastante, un presidio militare, con la presenza di un giudice per sentenziare i colpevoli. Ed il colle prese il nome di “Colle della pergola”. Il giudice, poteva comminare anche la pena di morte.

E’ tradizione che S. Francesco d’Assisi, transitando da Fabriano - Sassoferrato - Fratterosa e Mondavio, nella prima decade del 1200, si sia fermato a pregare nella chiesa di S. Maria della pergola. Sapendo poi che esisteva un luogo dove venivano sepolti i condannati dal giudice, vi si recò e lo chiamò “campo dei Fiori”, ordinando ai suoi proseliti di costruirvi un sacello dedicato alla Madonna. Nel 1255, il piccolo tempio divenne il Convento dei Minori Conventuali e l’adiacente chiesa dedicata a S. Francesco d’Assisi.

Attorno alla pianura ed al colle ora descritti, a guisa di corona, c’erano attorno Serralta già comune rurale, i Castelli di Ferbole, Libanoto, Monte Maccio, Monte Episcopale, Monte Insico e Valrea. E la comunità eugubina prese accordi con gli abitanti di tali Castelli che concorsero alla fondazione del nuovo centro abitato.

Con rogito del 6 giugno 1234, la magistratura di Gubbio ed il Comune di Serralta stabilirono i patti per la costruzione del nuovo centro abitato in territorio eugubino, e di redigere uno Statuto autonomo, sulla base di quello eugubino. Il patto è valido per LXX anni e dovrà essere rinnovato ogni dieci anni. Il nuovo centro non potrà prendere inziative belliche senza consenso di Gubbio e rispettare i suoi alleati.

Con atto del 15 marzo 1234 rogato nella chiesa di S. Maria di Serralta, il feudatario di Grifoleto dona ai Sindaci di Serralta e ad alcuni massari di Monte Episcopale, il terreno per edificare le nuove dimore. Con altro rogito del 6 giugno 1234, il feudatario Marsilione di Corrado, dona altro terreno adiacente al primo per completare il nuovo centro abitato. Terza donazione di terreno il 7 settembre 1234.

Da tali documenti risulta che il nuovo centro abitato avrebbe dovuto

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chiamarsi “Serralta”; prevalse poi il nome di “Castrum Collis Pergulae”, forse in omaggio al presidio militare ivi esistente.

Abbiamo già detto che il territorio al di là del Cinisco apparteneva al Comitato e Diocesi Cagli. Quando il Podestà ed i Consiglieri comunali di tale città, solerti, lungimiranti ed esperti di confini comunali, vennero a conoscenza della edificazione del nuovo centro abitato prossimo ai confini del loro territorio, si adoperarono con ogni mezzo per impedirne la costruzione. Prevedevano infatti la perdita di una parte del loro Comune, e l’esodo degli abitanti di Monte Episcopale, di Serraspinosa e di Monte Insico (Castello avellanita) verso il nuovo centro urbano. Altro motivo era, per gli amministratori cagliesi, di contenere o contrastare l’egemonia di Gubbio.

Tra altre iniziative, costituirono una Lega con le città di Perugia (altra rivale di Gubbio), Ancona, Fano, Jesi, Urbino, Pesaro, per distruggere gli edifici in fase di costruzione. “Al contrario - scrive Gerolamo Baldassini storico jesino - la città di Gubbio fatta una stretta e forte unione con Assisi e Città di Castello, aveva gran gente d’armi per opporsi ai disegni de’ Cagliesi e de’ suoi Collegati, ed era per accendersi fra questi arrabbiati Popoli un gran fuoco, se il pontefice Gregorio IX (Ugolino dei conti di Segni, 1227-1241) non avesse con varie pene obbligato i Cagliesi a desistere non men dell’ardito attentato, che a discioglier tosto la Lega colle divisate città fatta, rilevandosi tutto ciò dalla lettera del pontefice diretta al vescovo di Assisi”. E’ il Breve pontificio del 10 febbraio 1235. Lo stesso giorno, il medesimo pontefice con altro Breve indirizzato ai Podestà delle città collegate con Cagli, intima ai medesimi di sciogliere subito la Lega.

Alla Santa Sede interessava il proseguimento dell’erezione del nuovo centro abitato, poichè contribuiva allo sviluppo economico, culturale e religioso dello Stato. Con Breve del 17 ottobre 1235 diretto al Legato della Marca cardinale Sinibaldo Fieschi (il futuro Innocenzo IV, 1243-1254), Gregorio IX lo sollecita ad intervenire, qualora i cagliesi continuassero nel loro proposito di impedire la prosecuzione dei lavori. Lo stesso pontefice, con lettera apostolica del 17 ottobre 1235 invita la Comunità eugubina a realizzare il suo progetto, ed autorizza gli abitanti di Monte Episcopale a trasferirsi nelle nuove abitazioni. Anche alcuni esuli cagliesi si costruirono la propria dimora nel Castrum Collis Pergulae.

La Lega si sciolse ed i lavori edili continuarono senza interruzione per tre anni. Vi si trasferirono le famiglie feudatarie dei colli vicini: Antonelli di S. Colomba, Montajni di Montajate; Ugolino di Grifoleto, Marsilione di Corrado e nel 1237 anche Rainaldo di Bellisio Alto, come risulta da un rogito di tale anno.

Anche la Congregazione avellanita prese parte alla fondazione, ed eresse un proprio quartiere con tempio dedicato a S. Andrea Apostolo e convento contiguo, che divenne poi la residenza dei cardinali abati Commendatari dell’Eremo.

Gli abitanti ed i monaci di Serralta e di Ferbole costruirono il quartiere delle Birarelle e S. Marco, con tempio dedicato al medesimo Santo e convento.

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Gli storici eugubini riportano che anche 150 famiglie di Gubbio, comprese le più ragguardevoli (Bentivoglio, Gabrielli, Benveduti, Gentilini ecc.) si trasferirono a Pergola che eressero gli altri due quartieri primitivi: di S. Maria di piazza e della Piaggiola compreso il Borgo delle Concie.

Gli abitanti di Serralta, Ferbole e Valrea, erano sotto l’autorità spirituale della Badia di Nonantola. Nonostante si fossero trasferiti in territorio della Diocesi di Gubbio, continuarono ad essere (chiese e persone) sotto la Badia nonantolana, sino al 1819, anno in cui fu eretta la Diocesi di Pergola, in concattedra con Cagli.

Iniziarono la loro attività i laboratori artigianali, quali la concia di pelli, tessuti a mano, coperte di lana, terrecotte, tinte di vari colori, laterizi, barrocci, corde, anche per l’esportazione, nonchè i mestieri comuni e le professioni. Le prime parrocchie furono: S. Maria di piazza (o Platea Magna come citano i documenti), S. Marco, S. Andrea Ap. e S. Antonio abate (ora casa Bigari). Dai Castelli, si trasferirono anche alcune Confraternite o Corporazioni Religiose.

Trascorsi due anni, si riaccesero le rivalità tra Gubbio e Cagli, con gravi danni ai pacifici abitanti di Monte Episcopale e Monte Insico, che assistevano inermi all’incendio delle loro case, osservavano i fertili campi invasi, e l’unica fonte di reddito e alimento, i prodotti agricoli, rapinati o distrutti. Alcuni documenti attestano che gli asssalti eramo fomentati anche da esuli politici o facinorosi, che si ponevano al servizio della città nemica della propria Patria.

E’ indispensabile riportare quanto segue, poichè l’alta valle cesanense era di proprietà pressochè dell’Eremo di Fonte Avellana, ed era sotto la protezione, non soltanto del Papato, ma anche degli imperatori di Germania Federico Barbarossa (1121-1190), e suo figlio Enrico VI (1165-1197). I medesimi ebbero un largo seguito nei secoli anche a Gubbio, come risulta dai privilegi o diplomi del primo novembre 1163 e del nove giugno 1191. Altro del 18 dicembre 1211 di Ottone IV (1174-1218).

Quando nel 1240 l’imperatore Federico II (1194-1250) figlio di Enrico VI, arrivò in Umbria, la numerosa fazione ghibellina di Gubbio lo accolse trionfalmente ed il sovrano si interessò dei problemi della città e del territorio eugubino: diploma del primo dicembre 1241. Forse da tale data Federico II fece amministrare direttamente il Castrum Collis Pergulae, come risulta dalla seguente frase, del diploma del maggio 1248 diretto alla Comunità eugubina: “....Castrum Collis Pergule in districtu existens Eugubii, cum hominibus, justitiis, rationibus, viribus, juriosdictionibus, et omnibus pertinentiis suis, IN PERPETUUM de gratia nostra duximus, concedendum quod a nobis et imperio immediate teneant et etiam reconoscant, presentis scripti auctoritate mandantes....” . Pertanto Pergola è stata amministrata dai consiglieri di Federico II, dal 1241 al 1248. Purtroppo non ci sono stati tramandati altri documenti di tale epoca (ordinanze, disposizioni ecc.), a conferma della frase di cui sopra, distrutti durante gli assalti ed incendi subiti dalla città nei secoli successivi. E’ rimasto certamente il ricordo del dominio imperiale ghibellino nelle generazioni successive, sino ai nostri giorni.

Poichè alcuni Castelli avellaniti subivano danni e rappresaglie da parte di facinorosi, il priore padre Berardo (1239-1254) si rivolse al cardinale

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Rinaldo dei conti di Segni (il futuro Alessandro IV, 1254-1261), affinchè l’Imperatore, memore che lui stesso come i suoi Antenati avevano accordato la loro protezione l’Eremo ed i beni avellaniti, interponesse la sua autorità per riportare la pace e la tranquillità nei Castelli.

“Non fu sordo l’Imperatore - scrive il dotto abate Gibelli - alle preghiere del priore avellanita, e da Anegano del Telmo (Puglia) ai 2 di luglio 1242 mandò un ordine col quale rammentando come aveva preso sotto la sua imperiale e speciale protezione il monastero di S. Croce di Fonte Avellana con tutte le sue dipendenze, minacciava tutto il rigore della sua imperiale indignazione a chiunque avesse ardito recare molestia o danno ai monaci avellaniti nei beni mobili ed immobili dagli stessi legittimamente posseduti”.

Un primo accordo di pace, tra i Comuni di Gubbio e di Cagli, fu stipulato a Cantiano il 29 aprile 1248: “Gherardo Guinizzelli podestà di Gubbio e Gabuardo podestà di Cagli promettono reciprocamente, per sè e loro successori, di deporre le armi, ed in futuro di non offendere nè molestare gli abitanti dei Castelli dei due Comuni, “et in pristino statum eos reducent et tenebunt”.

Il 12 dicembre 1251 fu stipulato un altro accordo con il quale il Sindaco di Cagli promette al Sindaco di Gubbio che i cagliesi non molesteranno più gli abitanti ed i beni di coloro che da Monte Episcopale si sono trasferiti nel Castrum Pergulae, e gli eugubini non recheranno più danno ai Castelli cagliesi.

Nonostante le vicende ora riportate, gli abitanti pergolesi poterono svolgere le loro attività artigianali e professionali. Al lato sud del nucleo originario, fu fondato il Borgo che prese il nome di S. Agostino, poichè nel 1258, su terreno donato dalla Comunità, fu costruito il convento ed il tempio dedicato al Santo vescovo di Ippona, ora cattedrale della città.

Altre abitazioni sorsero nel quartiere Campetello, e dopo qualche decennio, in considerazione dell’affluenza di lavoratori assunti nei laboratori, fu costruita la contrada del Piano, dove già c’era un monastero di suore agostiniane con la chiesa dedicata a S. Giacomo, ora anche S. Lucia, ed un piccolo sacello dedicato alla Madonna, detto anche “ Maestà del Fonte Sambuco”, con a lato un Ospizio (chiamato anche Ospedale nei documenti) per gli indigenti ed abbandonati.

I magistrati compilarono lo Statuto comunale, sulla scorta di quello eugubino, adeguandolo alla minore entità del nuovo centro abitato. Tale Statuto rimase in vigore sino alla fine del ‘400, epoca in cui, per l’uso fattone, i fogli manoscritti erano logori e ridotti a frammenti.

All’inizio del ‘500, i magistrati Ulisse de Geppiis, ser Permatteo de Buzzaccarini e Battista Patrignani incaricarono i giuristi Giovanni Gaugelli, ser Paolo Floridi, Agostino Benvenuti e Berardo d’Andrea, di compilare un nuovo Statuto sulla scorta del precedente, aggiornandolo in base alle mutate condizioni politiche, economiche e progressiste del Castrum Collis Pergulae.

Terminata la compilazione dello Statuto, esso fu sottoposto all’approvazione del duca d’Urbino Francesco Maria I della Rovere, il quale, dopo averlo fatto esaminare dal giurista pergolese cav. Alessandro Ruggeri suo consigliere, lo

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approvò. Nel 1567 fu dato alle stampe dal tipografo Gerolamo Concordia di Pesaro.

Dopo lo Statuto, i magistrati disegnarono lo stemma della Comunità: un monte con tre cime all’italiana ai due lati; al centro un monte sormontato da una torre con tre foglie, sopra le quali, a guisa di semicerchio, vollero il simbolo del nome: due tralci con sette corposi grappoli d’uva, cioè il pergolato. Sette cime in onore dei Castelli che hanno concorso all’edificazione.

In epoca successiva lo stemma fu ridimensionato e ridotto ad un monte a tre cime all’italiana, sormontato da due tralci di vite sovrapposti con grappoli d’uva; nella cuspide una corona patrizia, dalla quale scendono due strisce con il motto inciso: “Comunitatis Pergulae”. Nel 1960, fu aggiunta altra fascia sottostante e semicircolare, con la frase: “Medaglia d’Oro Risorgimento 1860”.

I monaci avellaniti avevano costruito il loro convento a Pergola, non soltanto per ospitare i monaci che officiavano il tempio di S. Andrea Ap., ma anche per conservare le derrate agricole prodotti dai terreni (e persone) ubicati nell’alto Cesano nei dintorni di Pergola di loro proprietà, e dei Castelli confinanti di Castagna, Rotondo, Doglio e loro curte. In precedenza, i prodotti agricoli, caseari, legname, fascine ecc., confluivano direttamente all’Eremo.

Con l’istituzione dell’ambito comunale, i monaci vollero che vi fossero compresi anche i tre Castelli citati (ora in Comune di Sassoferrato).

Il primitivo territorio comunale, aveva per confini tali villaggi, Bellisio Alto, Montaiate, Canneto, Serraspinosa, Monte Episcopale, Monte Insico, Monti Castellari (oggi “La Rossa) e Valrea, i Colli di Ferbole, di Serralta e Percozzone.

L’abate di Fonte Avellana poteva esercitare “il mesto e misto impero” cioè il diritto di giudicare e condannare i suoi sudditi colpevoli di qualsiasi reato.

In una controversia sorta tra Gubbio che aveva danneggiato alcuni Castelli avellaniti dell’alto Cesano, il santo priore Albertino si rivolse alla Curia Romana per ottenere giustizia e risarcimento dei danni arrecati ai beni avellaniti.

La Curia incaricò il cardinale Umberto Delci di esaminare e risolvere la controversia. Il Porporato, residente a Perugia, in data 10 novembre 1265 emise la sentenza o laudum che qui riassumiamo: che Gubbio restituisse i beni appropriatisi, che pagasse all’Eremo milleseicento lire ravennate; che fossero restituiti a F.A. i beni acquisiti dai privati e che “.....gli uomini dei Castelli di Leccia, Campietro, Capitale, Villa Sorte e Monte Insico, dopo aver soddisfatto al loro dovere, fossero dichiarati FRANCHI E LIBERI insieme ai loro discendenti, da ogni vincolo di servitù e vassallaggio, e quali uomini liberi e CITTADINI ROMANI, potessero testare ed esercitare qualsiasi legittimo atto.....”.

Interessante l’eloquente inserto Cittadini Romani, che a quanto ci risulta nessuno storico, o studioso, o giurista di vicende avellanite, ha preso in considerazione e commentato. “Cittadini Romani” due parole nella mente e sulla penna del Porporato, quale simbolo di continuità, nel tempo, della

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saggezza e sapienza di Roma democratica ed imperiale, acquisita dalla Chiesa: Cristianesimo e Romanità.

In seguito i priori dell’Eremo, affrancarono pressochè tutti i sudditi. L’affrancazione dei sudditi, fu un evento determinante per conseguire mete

più elevate di progresso civile, e fu preludio per una maggiore espansione dei commerci, della finanza, dell’economia, e della cultura anche nei villaggi minori.

Un lieto evento per la città e gli abitanti di Pergola, si verificò negli 1285. In un terreno ubicato a Montevecchio di Serra S. Abbondio, si rinvennero i corpi dei Santi Martiri Secondo, Agabito e Giustina. Le sacre spoglie erano contese da Gubbio, da Cagli, e dai pergolesi che ancora non avevano un Santo Protettore ufficiale. Fu deciso di porre i sacri Corpi su di un torello indomito, e dove essi si sarebbero fermati, ivi sarebbero rimasti per la venerazione e custodia.

I torelli da Montevecchio scesero a fondo valle, e giunti sulla strada che da Frontone porta a Pergola (località da allora chiamata “Cai Mai”), si diressero nella nostra città e si fermarono dinanzi al tempio di S. Agostino, tra l’entusiasmo e la soddisfazione della popolazione pergolese. I monaci allestirono un apposito altare, ed i tre Santi furono proclamati Protettori della città. In seguito furono eseguite delle ricognizioni, ed in una del 12 maggio 1401, il capo di S. Secondo fu racchiuso in un artistico reliquiario d’argento dorato, dono forse di Pandolfo Malatesta. La Comunità commissionò uno splendido baldacchino usato per la processione annuale dei Protettori. Nel 1758-63 il pittore pergolese Gianfrancesco Ferri eseguì due grandi medaglioni con il martirio e l’arrivo del corpo di S. Secondo, applicati sull’abside del Duomo.

Alla fine del ‘200, ci furono nuove apprensioni per i pergolesi. Il Rettore di Spoleto volle inserire Pergola nel suo ducato e per qualche tempo impose tasse e gabelle. Si ribellarono i pergolesi, e per sottrarsi a tale ungiustizia, fecero donazione e sottomissione del Castrum alla Comunità eugubina.

Nel 1304 anche Nocera Umbra, a mezzo del sedicente e fasullo conte di Nocera Berardo da Imola, avanzò pretese di tributi dai pergolesi, poichè molti di essi un tempo erano sotto il dominio della Diocesi umbra. I pergolesi reclamarono di nuovo.

Il Rettore di Spoleto fu incaricato di risolvere la strana controversia, e con atto del 20 marzo 1304 sentenziò che Pergola rimanesse alle dipendenze della Chiesa e della Comunità eugubina.

Altra sopresa ebbero i pergolesi nel 1351. Era stato prescelto quale Podestà del luogo Ongaro da Sassoferrato. Dopo pochi mesi dalla nomina, approfittando delle leve di potere conseguenti al suo incarico, tentò di diventare il tiranno della città.

Un prode e valoroso capitano del luogo, Bastardo (o Bartolo) de’ Montaini organizzò una valida opposizione, sorretto da tutti i cittadini, che mise in fuga Ongaro, il quale si rifugiò a Montesecco.

Pergola, nonostante le vicende ora riportate, si era già affermata un attivo centro artigianale e commerciale, poichè aveva molteplici laboratori assai

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redditizi: concia di pelli e corami; tessuti a mano di lusso e comuni; lavorazione della lana per usi vari e coperte; terrecotte; coloranti per l’abbondanza di scotano; artistici manufatti in legno di lusso (mobili, cornici, altari) e di uso comune; lavorazione artistica del ferro; confezione di barrocci agricoli; cordame d’ogni genere. Molte famiglie, in città ed in campagna, avevano un proprio telaio per la confezione di indumenti personali.

L’abbondante produzione agricola d‘ogni genere, contribuiva al benessere cittadino, per la fertilità dei terreni e la solerte attività degli agricoltori e lavoratori agricoli. Le fiere periodiche ed i mercati settimanali, con la partecipazione di abitanti dei centri circonvicini, consentivano un elevato giro d’affari assai remunerativo.

Un centro abitato dotato di sufficiente benessere, attirò la cupidigia della famigerata Compagnia di Ventura capeggiata da fra’ Moriale d’Albarno, il quale invase il contado di Fano dominato dai Malatesta, occupò la vallata cesanense, e raggiunse Pergola, arrecando immensi danni, lutti e rovine.

Immagini il lettore - scrive lo storico Nicoletti - in quale miserando stato riducessero Pergola quelle migliaia di vagabondi e di ladroni che la Magna Società Teutonica componevano, e dai quali anche in appresso i vicini paeselli della Ravignana ebbero a soffrire. Ma la pena del Capo a cui il miserabile istitutore delle Compagnie di Ventura venne poco di poi dannato vendicò anche le lacrime degli sventurati Pergolesi. Fra’ Moriale fu decapitato nel 1354.

Inviato in Italia il cardinale spagnolo Egidio Albornoz per ripristinarvi l’autorità pontificia, il Porporato, al comando di un forte Esercito, nel 1354 fece sosta nella città di Gubbio, alla quale confermò la giurisdizione sull’intero territorio eugubino, compresa Pergola, come risulta da una lettera del cardinale in data 15 agosto 1354.

Come è noto, il Porporato compilò le famose “Costituzioni Egidiane”, dove è inserito l’elenco delle città maggiori e minori della Marca, ma Pergola non figura per essere compresa nell’Umbria. Del nostro territorio, è elencato soltanto Montesecco.

La dominazione malatestiana dal 1384 al 1459.

Nel 1384 Gubbio era tiranneggiata da Francesco Gabrielli. Alcuni cittadini chiesero aiuto al conte Antonio di Montefeltro, il quale, nel marzo dello stesso anno, occupò la città, ripristinando l’ordine e le leggi statutarie.

Già da qualche anno, con l’ascesa al potere di Giovanni e poi di Francesco Gabrielli, Gubbio aveva ridotto il controllo sul territorio di sua giurisdizione. Ne approfittò Pandolfo Malatesta, il quale, già signore del Vicariato di Mondavio compreso Monterolo ubicato poco lontano da Pergola, inviò truppe armate al comando del capitano Giannandrea Alevolini, ad occupare il fiorente centro cesanense.

Da allora ebbe inizio la dominazione malatestiana.Con Bolla del 2 gennaio 1391, Bonifacio IX (Pietro Tomacelli 1389-1404)

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confermò a Pandolfo i suoi domini, compresa Pergola. Investitura che fu rinnovata in perpetuo nel 1399 dallo stesso pontefice.

Il Malatesta provvide subito a rendere più efficienti le opere di difesa della città; fece ampliare l’originaria fortezza eugubina (la rocca) realizzando il progetto dell’architetto militare Nicola Mauruzi di Tolentino e di Matteo Nuti; mantenne in vigore lo Statuto cittadino; scelse per sè e la sua corte una sontuosa dimora. Per rendersi gradito alla popolazione, donò alla Comunità un artistico reliquiario in stile gotico in argento dorato, per conservare il capo di S. Secondo, da allora portato in processione per le vie cittadine.; fece scolpire su pietra l’effigie del Santo Protettore, trasferita nel 1760 nella nuova civica residenza, l’attuale. Chiamò i cittadini più competenti, a ricoprire cariche pubbliche nei capoluoghi dei suoi domini, quali governatori, castellani di fortezze, podestà, cancellieri e capitani militari. E’ già stato pubblicato nel 1983 il lungo elenco di essi con nomi, incarico e date ed altre notizie.

La moneta circolante era la lira anconetana e ravennate; il ducato ed il fiorino; dopo il 1385 ci fu un maggior scambio di monete malatestiane, quali il boldino o bolognino, il sestino, il quattrino d’argento ed il soldino.

Nel 1408 furono rettificate da Gregorio XII (Angelo Correr, 1406-1415) le quote di denaro spettante alla Camera Apostolica da Pandolfo Malatesta per le città e territori a lui concessi in vicariato: per Pergola fu elevato l’importo a 172 ducati; per Senigallia 90; per Corinaldo 55; per l’intero Vicariato di Mondavio 344 ducati. Dal confronto della tassazione tra Senigallia e Pergola, si ha la conferma delle floride condizioni in cui si trovava la capitale cesanense.

Sono già state pubblicate anche le disposizioni impartite da Pandolfo per il Podestà in carica e successori, quali suoi rappresentanti presso il Consiglio comunale; norme per il castellano della fortezza, per il suo seguito, e la dotazione di armi e munizioni per la sicurezza e la difesa del centro abitato.

Per più di un ventennio, non vi furono fatti d’arme, e la popolazione potè dedicarsi al lavoro assiduo nei laboratori artigianali, nei campi; le fiere ed i mercati procurarono risorse economiche a tutte le categorie sociali.

Nel 1414 e nel 1417 ci fu il passaggio pacifico delle truppe guidate da Guidantonio d’Urbino e dal Malatesta, dirette a Rocca Contrada (ora Arcevia) assediata da Paolo Orsini per togliere la città ai partigiani del re Ladislao.

Al contrario, gravi sciagure si verificarono l’anno seguente, nella primavera del 1418. La Compagnia di Ventura capeggiata da Braccio Fortebracci da Montone, invase il territorio cesanense dominato da Pandolfo Malatesta, asserendo di essere creditore del medesimo per l’ingente somma di 1.418 ducati.

Il modesto presidio militare pergolese comandato da Raniero de’ Foxa di Perugia e da Antonio di Simone, colto di sorpresa, tentò di resistere agli assalti nemici, ma fu sopraffatto per l’elevato numero degli assedianti, e la città cadde in loro potere arrecando lutti, danni irreparabili e rovine.

Un congiunto del Fortebracci, il conte Angelini, per breve tempo rimase a presidiare Pergola, poichè l’intera vallata cesanense ritornò in possesso della

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Curia Romana, in base agli accordi stipulati con i Malatesta.Nuove funeste calamità belliche colpirono Pergola e la vallata nel 1432,

con il ritorno di truppe armate. Il Concilio di Basilea aveva nominato il duca di Milano Filippo Maria Visconti Vicario degli Stati della Chiesa, comprese le Marche. Il duca inviò le sue truppe al comando di Francesco Sforza e del Fortebracci, le quali non risparmiarono alle popolazioni abusi e soprusi.

Per un decennio la vallata del Cesano fu teatro di scontri armati, di passaggi amministrativi, di lutti e rovine, causati dalle truppe di cui sopra, della Chiesa, dei Malatesta, degli Sforza, del Piccinino, e dalle truppe di Federico da Montefeltro, ancora conte e non duca d’Urbino, che nel 1445 commisero atrocità inaudite.

Nel 1446 Pergola era dominata dai Montefeltro. Sigismondo Pandolfo Malatesta volle recuperarla, ed il 18 luglio, con un esercito di circa diecimila militari, occupò la pianura di Grifoleto, espugnò la fortezza e fece saccheggiare la città dai suoi soldati. Furono nuovamente violate le dimore private per rapinare oggetti di valore, depredate e profanate le chiese comprese le sacre ostie consacrate, uccisi ed esiliati i sostenitori delle precedenti dominazioni.

Per le continue invasioni, occupazioni, incendi, e in modo particolare per le conseguenze di quest’ultimi saccheggi, la florida economia pergolese andò in frantumi, la popolazione fu decimata, e le abitazioni dimezzate. Andarono distrutti ingenti tesori artistici e con essi i più antichi documenti pergamenacei o cartacei riguardanti le vicende occorse nei secoli precedenti.

Un poeta pergolese, Gaugell Gaugelli, che fu spettatore inerme di tante sciagure, descrisse successivamente, in versi danteschi, tali sciagure, compresi anche i giorni fausti e la prosperità della sua Patria.

Il 6 agosto 1459 papa Pio II (Silvio Enea Piccolomini, 1458-1464) emanò una sentenza con la quale stabiliva che Sigismondo Malatesta restituisse a Federico d’Urbino Senigallia, Mondavio, i Castelli del vicariato e Pergola.

Il giorno 29 ottobre prese possesso di Pergola e suo contado, il Commissario del papa Ottaviano Pontano celebre giurista, possesso che trasferì poi ai Commissari inviati da Federico: Alovisio degli Atti di Sassoferrato, Matteo Catani di Urbino, Pietro Panphili di Gubbio, e Pierantonio Paltroni segretario di Federico.

Il passaggio dei poteri si svolse tranquillamente; gli esuli superstiti ritornarono alle loro abitazioni, i laboratori artigianali ripresero la loro attività; furono ripristinati i commerci e la popolazione attese tempi migliori all’ombra dell’aquila feltresca.

Le dominazioni dei Montefeltro e della Rovere dal 1459 al 1631.

Ottenuta l’investitura di Pergola, Federico iniziò subito la ricostruzione delle opere di difesa: fece ricostruire le mura castellane, ripristinare ed ampliare la rocca dal celebre architetto Francesco di Giorgio Martini; fece edificare una nuova civica residenza nel centro storico, riservandosi un appartamento per sè e suoi discendenti, così descritta da Gaugello Gaugelli:

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“Et prima mostrarocte el bel palagioDove dimora il mio bel magistratoFacto de novo senza alcun disagio.

Entrando vedrai da omne lato Homini posti a guardia de la porta

Che mai sen parten come è comandato.Ancor te mostrerò quel bel giardino

A man dericta a capo del cortileCon doi belli arbori de verzino

Con quella bella entrata signorile.El chiaro fonte et quella acqua sorgente

Veder potrai in mezzo del giardinoChe a Siena fonte Branda par niente

Et una donna con un fanciullino De marmo della fonte lavorata

Che con le tecte getta l’acqua et vino”

Federico fu generoso con Enti laici e religiosi: fece riparare le sedi di altri Enti di pubblica utilità assistenziali e culturali; ordinò il restauro delle chiese dimezzate e profanate; curò la viabilità per il collegamento con altri centri maggiori e minori, e ne aprì delle nuove per il collegamento tra la capitale del suo piccolo ma prestigioso regno ed i centri minori.

Chiamò inoltre alla sua corte alcuni giuristi e letterati pergolesi, tra i quali il Gaugelli, che fu al suo fianco in alcune battaglie, ed anche commensale e suo segretario per diverso tempo. Tornato in Patria, il Gaugelli, fondò un “Circolo Letterario” con l’adesione di giuristi in pensione e di dotti religiosi Agostiniani, Francescani e Padri Serviti. In seguito, il Circolo fu trasformato in “Accademia degli Immaturi” con iscritti anche di altre città vicine e lontane.

Federico mantenne in vigore il vecchio Statuto cittadino che contemplava un Consiglio generale composto da sessanta membri, organismo rinnovato annualmente. Esso eleggeva la magistratura costituita da un Gonfaloniere, tre Priori e quattro Consiglieri scelti tra i notabili residenti dei Castelli limitrofi: Serralta, Ferbole, Monte Episcopale, Monte Aiate, Monte Insico, Monte Maccio e Valrea.

Il Consiglio generale e la magistratura erano controllati dal rappresentante di Federico in loco - il Podestà - il quale amministrava la giustizia in base allo Statuto, teneva le chiavi della città, convocava quando necessario o su richiesta dei Priori, il Consiglio stesso. Al termine del suo mandato, l’attività del Podestà veniva esaminata da Federico stesso o da un suo incaricato.

Nel 1474 ci furono due felici eventi che decisero le sorti future del ducato urbinate. Il papa Sisto IV (Francesco della Rovere, 1471-1484) il giorno 23 agosto 1474 nominava duca Federico, il giorno 10 ottobre veniva annunciato il fidanzamento della figlia di Federico, Giovanna, con il nepote del papa Giovanni della Rovere, signore di Senigallia e del Vicariato di Mondavio.

Negli ultimi anni del secolo XV fu istituito anche a Pergola il Monte di Pietà, per iniziativa della duchessa Battista Sforza moglie di Federico. Un Ente

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che rimase attivo sino alla fine del secolo scorso, utile per le classi meno abbienti, ottenendo prestiti (su pegno) ad un tasso minimo.

E’ opportuno ricordare che a Pergola, dal 1383 (e certamente anche prima) c’era una comunità ebraica che esercitava l’arte feneratizia, nonchè la vendita di merci.

Durante la dominazione dei Montefeltro, i Malatesta conservarono a Pergola i loro beni allodiali, come risulta dai seguenti documenti, rintracciati dallo scrivente e pubblicati qui per la prima volta. Sono atti rogati dal notaio Onofrio Bruni (vol.40) che potranno essere utili per completare la genealogia malatestiana:

5 settembre 1424: Atto fatto nel chiostro di S. Andrea confinante con la strada, la casa del nobile viro Ludovico di Giacomo Cini, ed ora del magnifico signore nostro Pandolfo de’ Malatesti. E’ l’attuale palazzo della Cassa Rurale ed altri, sul corso.

3 dicembre 1477: Atto in vocabolo Fonte del Sambuco con molino. Presente Andrea Brunatti di Fabriano ora molinaro. Sigismondo per se ed eredi si accorda con Giovanni Giacomelli per molino e terreni malatestiani adiacenti. (Molino del Chiocco).

12 dicembre 1478: Benedetto vende un podere ubicato in località Bellisio Alto a Giacomo Cichi. Atto fatto nel molino in Piano di Chianida, di proprietà degli Eredi di Antonio Malatesta. Presente Bernardino Malatesta e Francesco Clari.

13 dicembre 1479: Bernardino Malatesta e sua madre Polissena da una parte e Marco Mancini dall’altra, si accordano per una macina da molino da usare nel molino in Borgo S. Marco (ora detto delle Birarelle).

8 ottobre 1480: Sigismondo Malatesta fa un prestito in denaro a Nicola del territorio albanese ma residente a Pergola.

Venerdì 21 gennaio 1484: Atto rogato in domo Malatesta posta nel solito luogo in Platea Magna (la medesima già segnalata).

Anno 1484: Bernardino Malatesta vende alcuni suoi terreni ubicati in vocabolo Cuppio, collina nei dintorni di Pergola.

19 marzo 1485: Tutela dei figli di Sigismondo Malatesta. Atto in casa degli Eredi Malatesta, posta in Platea Magna. Si è costituita donna Beatrice già moglie del fu Sigismondo e madre di Giovanni Battista e Maddalena Malatesta pupilli e avuti dal defunto Sigismondo. La medesima Beatrice chiede al dott. Ludovico Putelli di S. Angelo in Vado e Pretore a Pergola, che tutore dei figli sia il nobile viro Leonello Galeotti.

20 marzo 1485: Atto in casa Eredi Malatesta. Bernardino Malatesta fratello del fu Sigismondo, Beatrice moglie del fu Sigismondo ed i suoi due figli Giambattista e Maddalena, fanno un compromesso con il nobile viro Onofrio de’ Floribus di Fabriano per fare la stima e divisione dei beni posseduti.

20 marzo 1485: Atto con l’elenco dei possedimenti: case, il molino e terreni ubicati a Grifoleto, Serralta, e Malatesta villaggio tuttora esistente, ma spopolato.

L’inizio del secolo XV fu assai funesto per le Romagne, i ducati di Urbino e di Camerino. Cesare Borgia, abbandonata la carriera ecclesiastica, volle

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costituirsi una propria signoria, a danno degli Stati della Chiesa. Infatti ebbe dal padre papa Alessandro VI (Rodrigo Borgia, 1492-1503) soldati e denaro per occupare i territori di cui sopra, e fu insignito del titolo di duca di Romagna.

Dopo aver espugnato Camerino, fece prigionieri il duca Giulio Cesare Varano ed i suoi tre figli, Piero, Venanzo e Annibale, che rinchiuse nella fortezza di Pergola, e nell’ottobre del 1502, li strangolò, come riferisce un discendente dei trucidati, Alfonso Varano, autore del poema “Le visioni della beata Battista Varano”:

“Vidi il diletto mio Padre svenatosteso giacer nella funerea bucadi suoi tre figli trucidati a lato.E perchè crudeltate empia riluca

più in empia mano, udii del sangue sparsovantarsi alter lo scellerato duca.........”

Le scene e le voci del truce episodio sono ancora vive nella mente e nel cuore dei pergolesi, anche a distanza di secoli. L’illustre concittadino Giorgio Andreoli dedicò una poesia alla Rocca, che termina con questi versi:

“Ma se al fioco chiaror del dì morentebruno ammasso ti veggo, o Rocca mia,

a truci scene allor torna la mente,un terror m’assale e fuggo via........ che parmi ancor della strozzata gente

il rantolo sentir dell’agonia.”

Con la morte di Alessandro VI avvenuta per veleno il 18 agosto 1503, l’effimero ducato del Valentino si dissolse, ed i vari feudatari ritornarono nelle rispettive sedi. Accolto festosamente dai suoi sudditi, anche Guidubaldo (successore di Federico) ritornò dall’esilio in Urbino, e si accinse a riportare ordine e pace nel ducato.

Nei centri maggiori furono reintegrate le magistrature destituite dal Borgia, tornarono in vigore gli Statuti cittadini, ed ogni innovazione autoritaria imposta dal despota fu eliminata restituendo ai luoghi ed ai sudditi del ducato la democrazia e la libertà godute prima della funesta occupazione.

Morto il duca Guidubaldo il 18 agosto 1503, ultimo discendente dei Montefeltro, il ducato avrebbe dovuto ritornare alle dirette dipendenze della Santa Sede. Ma sul trono pontificio c’era Giulio II (Giuliano della Rovere, 1503-1513) che assegnò il ducato urbinate al nepote Francesco Maria I, figlio di Giovanni fratello del Papa e di Giovanna Montefeltro sorella di Guidubaldo. Francesco aveva ereditato dal padre la signoria di Senigallia e del Vicariato di Mondavio, per cui i due territori furono riuniti sotto un solo duca, con residenza nella sfarzosa corte di Urbino.

L’unione arrecò enormi vantaggi economici, sociali e culturali,

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maggiormente ai sudditi delle vallate del Cesano e del Misa: furono migliorate le vie di comunicazione per rendere più efficiente il trasporto delle merci, dei manufatti e delle derrate agricole tra i due territori; furono eliminati i pedaggi, le gabelle e le altre imposizioni pecuniarie fisse o saltuarie che in precedenza persone e cose dovevano pagare per il passaggio da un territorio all’altro; fu facilitato il commercio di manufatti e derrate agricole che dalla valle del Cesano affluivano alla rinomata fiera di Senigallia; se ne avvantaggiarono per la loro carriera giuristi, castellani di rocche, e ufficiali ducali, per un maggiore avvicendamento nei maggiori e minori centri urbani del ducato.

Sin dall’inizio della signoria di Francesco Maria I, la magistratura pergolese si premurò di aggiornare il vecchio Statuto, approvato dal duca il 4 luglio 1510, e dato alle stampe nel 1567, come già riportato precedentemente.

Deceduto Giulio II, fu eletto pontefice Leone X (Giovanni de’ Medici 1513-1521) il quale, nel 1516, con la motivazione che il duca aveva ucciso il cardinale Alidosio a Bologna durante il pontificato del suo predecessore, tolse a Francesco Maria I il ducato urbinate per assegnarlo al proprio nepote Lorenzo de’ Medici.

Fortunatamente non vi furono scontri armati, poichè il duca spodestato ordinò ai suoi sudditi di accettare pacificamente il nuovo signore, per evitare lutti cittadini e danni alle città e campagne. Esule ma non domato, Francesco Maria I tentò di riconquistare con le armi il suo ducato. Nel 1519, in uno scontro armato a Mondolfo, Lorenzo fu colpito mortalmente e, trasportato in Ancona, ivi morì.

Deceduto anche Leone X il primo dicembre 1521, il suo successore Adriano VI (Adriano Florens Dedal di Utrecht, 1522-1523) reintegrò nel suo Stato Francesco Maria I, e la stirpe roveresca potè conservare il suo dominio sino al 1631.

Nel 1538 il duca urbinate morì e lo scettro passò al figlio Guidubaldo II, ad eccezione del territorio di S. Lorenzo in Campo-Castelleone, assegnato a Giulio Feltrio fratello di Guidubaldo II, che divenne cardinale, ed ebbe tre figli naturali legittimati.

Il governo di Guidubaldo II fu il peggiore dei duchi rovereschi, poichè impose ai sudditi tasse esorbitanti ed anche straordinare; alterò la composizione delle magistrature cittadine imponendo la nomina di soggetti a lui fedelissimi; concedendo privilegi ai suoi partigiani. Per tali motivi fu ordita una congiura contro di lui, ma riuscì a salvarsi. I congiurati furono scoperti e condannati a morte.

Il duca continuò a regnare sino al 1574 anno della sua morte, lasciando il ducato al figlio Francesco Maria II, di carattere opposto al padre, essendo saggio e virtuoso. Abolì subito le gravose imposizioni, ripristinò il rispetto degli Statuti cittadini e la legalità come praticata prima di Guidubaldo II.

Francesco Maria II (nato nel 1549) ebbe come consorte Lucrezia d’Este, ma era sterile. Alla morte della duchessa nel 1598, i sudditi invitarono l’anziano duca ha riprendere moglie. In un primo tempo esitò, poi accolse l’invito dei sudditi e sposò una sua nipote: Livia Feltria della Rovere (1585-1641).

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La sposa era figlia di Ippolito della Rovere marchese di S. Lorenzo in Campo (a sua volta figlio di Giulio Feltrio fratello di Guidubaldo II) e di Isabella Vitelli di Città di Castello. Dal connubio, nacque nel 1605 Federico Ubaldo, che generò Vittoria dal matrimonio con Claudia de’ Medici, e nel 1623 fu ucciso da una congiura.

Il duca Francesco Maria II morì nel 1631, ed il ducato ritornò, per volere del papa Urbano VIII (Maffeo Barberini, 1623-1644) alle dirette dipendenze della Santa Sede. Da allora proseguì un lungo periodo di pace e prosperità per Pergola e per tutte le popolazioni dell’ex ducato. Il duca fu sostituito con un Legato Apostolico già o promosso cardinale, e furono atttuate le disposizioni generali della Curia Romana.

PERGOLA MEDAGLIA D’OROPER BENEMERENZE RISORGIMENTALI

E’ già stato scritto più volte che i secoli d’Oro per l’economia, la cultura, la religione, ed il progresso sociale pergolese furono il ‘600 e ‘700. Cessata la rivalità tra i Montefeltro ed i Malatesta nella seconda metà del XV secolo, l’alta vallata cesanense che in precedenza per secoli fu teatro di rivalità belliche tra le due dinastie, inizia un nuovo periodo di pace e di prosperità, poichè gli abitanti possono tranquillamente dedicarsi al lavoro nei campi e nei laboratori artigianali: conciatori di pelli, confezione di tessuti a mano, di coperte ed indumenti di lana, di tinte, di terrecotte. In verità queste ultime rimangono a mediocre livello, a differenza di Gubbio, Pesaro, Casteldurante, mentre la lavorazione del legno raggiunge altissimi livelli artistici. Pensate agli altari dorati delle nostre chiese, alle splendide cornici in S. Andrea ed a S. Biagio, ai mobili della sala per la Giunta comunale, ed altri pregevoli manufatti, in realtà assai pochi, rimasti in qualche abitazione privata.

All’inizio del ‘600, l’originario Castrum Collis Pergulae si è trasformato in un importante centro agricolo, artigianale, commerciale e culturale, dove affluiscono non soltanto imprenditori ed operai di località confinanti, ma anche da Napoli, da Velletri, da Perugia e altre città.

Un valido contributo alla espansione economica locale ed al benessere, è dato dal mercato settimanale (il Sabato) e dalle fiere periodiche, compresa la fiera del 2 novembre che nessun Papa o magistrato ha mai potuto spostare ad altro giorno, poichè istituita due secoli prima (con il passaggio dell’economia di scambio con l’economia di mercato) che la Santa Sede destinasse il 2 novembre alla Commemorazione dei Defunti.

Anche la Comunità ebraica, presente sin dai primi secoli, contribuisce allo sviluppo della finanza locale; nel ‘600 è così numerosa che istituisce la Sinagoga locale nel borgo S. Agostino, ed il proprio Cimitero in località Mezzanotte.

Diversi storici hanno illustrato le floride condizioni di Pergola nel passato; ma il più sintetico è l’abate Vincenzo Cimarelli che nel volume “Historie del ducato d’Urbino” edito nel 1642-1643, dopo la descrizione di Pergola, così continua:

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“Quindi avviene che i mercanti ricchissimi di Pergola divengono padroni dè i più belli e fruttiferi poderi della Provincia. E’ si benigna la disposizione di questo Cielo, che niuno trovasi quivi, che otioso viva, tutti a qualche arte di guadagno applicandosi, e quelli che all’armi o alle lettere volgono i pensieri, eccellenti riuscendo, si fan grandemente famosi, come le Historie appieno narrano”.

Nonostante le perdite di documenti subite per assedi, incendi, devastazioni, che desolarono il centro urbano nei suoi primi quattro secoli di vita, l’archivio storico comunale e l’archivio notarile offrono agli studiosi la possibilità di conoscere quale fu l’intensa attività agricola, artigianale, commerciale, religiosa e culturale pergolese, in modo particolare nei due secoli più redditizi e di maggior prestigio: il ‘600 e ‘700.

Fortunatamente, la storiografia pergolese è stata raccolta e pubblicata a dispense, dal 1899 al 1903, dall’illustre concittadino dott. Luigi Nicoletti, raccolte in un volume dal titolo “Di Pergola e suoi dintorni”, Tipografia Augusto Gasperini Pergola.

IL ‘700 PERGOLESE.

“L’alba di questo secolo - si legge a pag.14 del volumetto “La zecca di Pergola” - inizia sotto buoni auspici per la popolazione dell’ex ducato urbinate, poichè il 23 novembre 1700 era stato eletto Sommo Pontefice Gianfrancesco Albani di Urbino (1649-1721) con il nome di Clemente XI. Ma i risultati non corrispondono alle aspettative a causa di funesti eventi occorsi nel territorio dello Stato Pontificio che i Papi non sono in grado di evitare. Nel 1703 e nel 1717 due scosse telluriche affliggono la popolazione dell’ex ducato recando lutti cittadini e gravi danni ai fabbricati urbani e rurali. Il Pontefice è generoso con elargizioni alle città maggiormente colpite”.

Altra calamità per l’Italia e particolarmente per lo Stato Pontificio, è causata dalla guerra per la successione ai troni imperiali d’Austria e di Spagna, iniziata nel 1709 e terminata nel 1744. Periodo in cui le truppe dei due Paesi e loro Alleati, attraversano ripetutamente le Marche, recando ingenti danni economici nelle città e nelle campagne. Le prolungate soste di ufficiali e soldati comportano enormi spese che gli Stati belligeranti non intendono rimborsare, per cui rimangono a carico della Santa Sede.

I cardinali titolari di Legazione Apostolica, sono costretti imporre una proporzionale tassazione ai singoli Comuni ed agli Enti religiosi più facoltosi, che prende il nome di “Tassa del Taglione”. La quota richiesta al Comune di Pergola è di 5.000 scudi, somma a sua volta sborsata da proprietari terrieri, da titolari di laboratori artigianali, da commercianti e da professionisti.

Nonostante gli eventi negativi dei primi decenni del secolo, che hanno abbassato saltuariamente l’elevata qualità della vita dei pergolesi, la laboriosità e la fervida attività degli abitanti, hanno consentito, nei decenni successivi, una accentuata espansione economica e maggior benessere cittadino.

“Il ‘700 - scrive il prof. Giorgio Bacciaglia - segna una svolta nel panorama mercantile di Pergola: la concia dei cuoi in rapida espansione, ha reso ricche

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molte famiglie che avendo investito i loro guadagni in beni immobili, tendono a ritirarsi sempre più dalla conduzione attiva delle manifatture: attorno a queste si va evidenziando una classe di mercanti meno ricchi ma altrettanto esperti dell’arte, alla continua ricerca di capitali e di Società da formare”.

Già nel ‘600, antiche ed illustri famiglie - Antonelli, Barbanti, Cervasi, Cini, Cingolani, Ginevri, Guazzugli, Hercolani, Latoni, Mattei ed altre, erano in possesso di un vistoso patrimonio, conseguito per la loro attività imprenditoriale e commerciale, quali possessori di beni terrieri, laboratori artigianali e negozi.

Nel ‘700 emergono altre famiglie che iniziano la loro attività imprenditoriale costituendo anche Società. Una di esse, costituita dai Tucci, Cortoni, Parisi ed altri, dal titolo “Direttori del Negozio di Corami”, inizia con un capitale di 114.000 scudi. Altra dal nome “Associati Mercanti di Corami” è formata da Ignazio Onofri, Pietro Cameletti, Nicola Orlandi e Paolo Giannini, dotata di 40.000 scudi.

I padri Minori Osservanti gestiscono un laboratorio per tessuti, dando lavoro a decine di persone d’ambo i sessi; anche la famiglia Domenichelli produce tessuti confezionati con varie materie prime (borra, lana, lino e decenni dopo anche di seta). Sono attivi i produttori di tinte, di coperte di lana, artigiani del legno e del ferro.

In merito all’acquisto dei cuoi necessari alla concia, sino al ‘600, gli imprenditori facevano rifornimento dai macellai della zona od alla fiera rinomata di Senigallia; successivamente, fanno acquisti ad Ancona, Perugia, Livorno e Venezia. Il prodotto lavorato viene venduto come prima a Senigallia, Foligno, Assisi, Rieti, Perugia, Orvieto e Viterbo. La quasi totalità della produzione pergolese, consiste nella lavorazione di balle di cuoi assortiti e di groppe, compresa la lavorazione di pelli di vacchette di Smirne, di cuoi alessandrini o di altre pelli a pelo lungo.

I prezzi di vendita sono all’incirca il doppio della spesa reale: dai 13 ai 14 scudi il cento, mentre il costo è di circa 7 scudi. Un buon reddito per le Società Cingolani-Giordani-Cameletti; Prosperi-Peroni; Barbanti-Ciaruffoli; Cini-Serra ed altre.

La città ospita mercanti più o meno facoltosi, sempre in movimento da una Società all’altra: le ditte si compongono e si sciolgono continuamente in un vorticoso giro di denaro con prestiti, censi, vendite ed acquisti di beni immobili. Periodicamente si verificano alcuni fallimenti, ma c’è subito chi rileva l’azienda per renderla nuovamente produttiva e redditizia.

Notevole l’attività dei lanini, coordinati dall’Università della lana, costituita da 61 ditte iscritte. Tra esse, oltre le due ditte già citate, ne elenchiamo altre: Fabiani-Ginevri; Bordazzoni - Lucci - Latoni-Sabbatucci; Starace-Mori; Monti; Pecci ecc..

Nel 1752 Benedetto XIV concede gli onori e le prerogative di città, e la nomina di un laureato ecclesiastico a Vicario generale vescovile. Per l’occasione, viene completata l’attuale civica residenza ed allestito il Teatro della Luna, ora A. Dal Foco.

Nel 1796 viene istituita la zecca, indispensabile per le pressanti richieste

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di denaro in loco per consentire rapidamente le paghe delle maestranze ed operai, senza attendere i rifornimenti da Gubbio o Pesaro. Ma l’istituzione, affidata a Francesco Guazzugli-Bonajuti, termina la sua attività nel 1799, a causa di furti del metallo proveniente da Senigallia o Ancona.

Inizio della democrazia pergolese.

Siamo quasi al termine del secolo XVIII, e prima di proseguire con le vicende politiche, esaminiamo dettagliatamente l’attività ed il funzionamento dei laboratori ed opifici pergolesi.

Abbiamo già detto che la maggior parte della materia grezza da trasformare in prodotto finito (pelli da conciare, lana da cardare, legno pregiato da lavorare ecc.) proviene da Senigallia, Ancona, Perugia, Livorno e Venezia. Il titolare del laboratorio calcola il tempo necessario per il trasporto del grezzo dalla piazza d’acquisto a Pergola.

Prendiamo ad esempio la ditta Barbanti, della quale abbiamo i documenti, che esercita l’arte della concia di pelli grezze. Si rifornisce a Venezia, e calcola che per il trasporto della materia prima dalla città lagunare a Pergola, occorrono 15 - 20 giorni circa. Ma la merce arriva dopo 30 - 40 giorni. Perchè tanto ritardo?

Per l’intralcio di confini tra la Repubblica Veneta (ed altri nell’Italia del ‘700) e lo Stato Pontificio, dove sono in vigore leggi antiquate, burocratiche, retrograde ed inadeguate: controlli, bollette d’accompagno, pagamento di gabelle, dazi, soste forzose, ecc..

Poichè la materia grezza arriva in ritardo, se l’opificio non ha una sia pur minima scorta, gli operai rimangono a casa inoperosi non potendo lavorare, con danno economico per essi e per i datori di lavoro. Questo esempio vale pressochè per le ditte simili e per gli altri laboratori di vario genere.

Le medesime difficoltà (ripetuti controlli, gabelle, dazi, ecc.) si riscontrano per la consegna dei prodotti finiti, nel viaggio da Pergola alle piazze di Foligno, Assisi, Rieti, Perugia, Orvieto, Viterbo ed altre città; tasse che incidono sul prezzo e ritardi che comportano un danno pecuniario sia per i venditori, sia per gli acquirenti.

Precipuamente per motivi finanziari, i titolari di laboratori artigianali (e di essi i più giovani) avvertono e valutano la necessità di eliminare i confini sul territorio italiano e di rendere più efficiente e moderno il Governo Pontificio, se non addirittura abbattere il potere temporale dei Papi.

Da tener presente che alcune famiglie titolari di laboratori ed opifici, con la facilitata diffusione della stampa, sono in possesso di testi che riguardano l’Inghilterra, la Prussia, l’Austria, la Svizzera; Nazioni assai progredite, che accentuano, nei datori di lavoro, l’avversione per il Governo Pontificio. Emergono così i primi anticlericali, i quali, pur rimanendo persone rette ed oneste, rinunciano anche alle pratiche religiose.

Gli inconvenienti riguardanti i laboratori ed opifici pergolesi, si verificano pressochè su tutto il territorio italiano, e sono oggetto di conversazione e valutazione negli incontri tra datori di lavoro e commercianti di varie città.

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Questi ed altri elementi progressisti di vario genere, concorrono all’origine della lotta per l’Unità d’Italia.

Possiamo quindi affermare, sulla scorta di documenti, che la democrazia pergolese ha le sue radici nella seconda metà del ‘700, e che i titolari di opifici e commercianti di questo periodo, hanno trasmesso le loro idee ai figli, nipoti e pronepoti, sino alla prima metà del secolo successivo ed anche dopo. E’ doveroso ripetere che sono state generazioni di una esemplare attività, onestà e rettitudine.

“Scoppiata la Rivoluzione francese - si legge nel volumetto “Il Patriottismo Pergolese nell’Unità d’Italia - occupata l’Italia settentrionale da Napoleone, quei pochi pergolesi progressisti - ignari che proprio essi sarebbero stati i fondatori della moderna democrazia cittadina - manifestarono apertamente il giubilo per le vittorie napoleoniche e, quando le truppe francesi entrarono a Pergola il 12 febbraio 1797, nonostante la freddezza della popolazione, essi audacemente innalzarono l’albero della libertà e si insediarono nell’amministrazione della cosa pubblica, certi di poter attuare indispensabili riforme sociali fondate sulla libertà, fraternità, eguaglianza sociale”.

I fondatori della democrazia pergolese sono i titolari dei laboratori artigianali e commercianti: Marco Mattei-Baldini, organizzatore della Guardia Nazionale nel Cantone di Pergola, Blasi Ascanio senjor, Ubaldo Orlandi, Pietro Cameletti, Egidio Domenico Guazzugli-Marini, Giovanni Ginevri, Giambattista Ludovici, Andrea Cherubini, Tommaso e Tancredi Gentilini, Ciaruffoli Luigi, Vincenzo Campanelli, Giovanni Berardi, Luigi Franceschini, Secondo Roccetti ed altri.

Con le truppe napoleoniche, entrarono in città alcuni disonesti agitatori dei Paesetti vicini i quali, protetti dalle baionette francesi, commmettono abusi e soprusi imponendo gravose arbitrarie imposizioni ai benestanti, dando l’esempio di mal costume; inconvenienti che le Autorità ed i progressisti onesti non possono evitare.

In realtà questa prima esperienza progressista, completamente negativa, induce clero e popolazione ad auspicare il ritorno dei precedenti amministratori alla guida della città.

Il 19 febbraio 1797 viene firmato a Tolentino il Trattato di Pace tra Pio VI e Napoleone Bonaparte; ma le truppe francesi partono soltanto nell’aprile, mese in cui ritornano al loro posto gli amministratori clericali. I principali esponenti progressisti sono costretti all’esilio, subendo anche la confisca dei loro beni.

Nel dicembre dello stesso anno giungono a Pergola le truppe della Repubblica Cisalpina, e tornano anche gli esuli alla guida della città. Istituita la Repuublica Romana, Pergola è prescelta quale Capoluogo di Cantone del Dipartimento del Metauro.

E’ il periodo in cui la flotta austro-turca-russa, sbarca in Ancona in difesa del Governo Pontificio, e nel capoluogo marchigiano ed in alcune città dell’entroterra, ritornano al potere le autorità clericali, mentre in altre, compresa Pergola, in attesa dell’evolversi della situazione a favore dei papalini o dei repubblicani, viene istituito un Governo Provvisorio, costituito da

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persone stimate, e scelte dai proseliti delle due fazioni politiche.“A far parte del Governo Provvisorio pergolese - scrive l’esimio Luigi

Nicoletti - furono chiamati Pietro Cameletti, Vincenzo Campanelli, Giovanni Berardi e Domenico Renzaglia; e come Aggiunti, Carlo Giannini, Luigi Ciaruffoli, Tommaso Gentilini e Giorgio Castellucci: cittadini tutti di onestà indiscussa e di grande amore per la loro città natale.

Nell’ultimo quinquennio del ’700, a causa delle guerre napoleoniche in Italia, e dell’instabilità politica pergolese, molti laboratori ed opifici sono costretti a terminare la loro attività produttiva; è la fine del boom economico settecentesco, con grave disagio del ceto operaio e popolare, privo di lavoro e risorse economiche.

Alcuni pergolesi si arruolano negli eserciti napoleonici, e combattono e cadono in estranee contrade; pochi ritornano, tra i quali il primo sepolto nel nostro Camposanto, come ricorda la seguente epigrafe:

L’ottuagenario

ANTONIO MARIA BURATTIultimo superstite in questa Città della GRANDE ARMATA

ebbe qui sepoltura I N A U G U R A N D Ocon la prima fossa questo Cimitero - 2 8 L U G L I O 1867

Certamente, di tali audaci e valorosi soldati napoleonici, i congiunti ne hanno conservato il ricordo, e tramandato i loro ideali repubblicani agli eredi, i quali, come vedremo, prenderanno parte alle guerre per l’Unità d’Italia.

Quando le Marche sono aggregate al Regno Italico con capitale Milano, le truppe francesi giungono a Pergola il primo maggio 1808. La civica amministrazione viene nuovamente affidata ai figli e congiunti dei fondatori delle democrazia pergolese, quali Claudi Tommaso, Cameletti Ignazio, Gentilini Tancredi, Guazzugli Bonajuti, Latoni Giuseppe e Tommaso, Orlandi Ubaldo ed altri.

Crollato l’impero napoleonico, ha fine anche il Regno Italico, ed il Congresso di Vienna (1814-1815), per iniziativa dell’abile diplomatico cardinale Ercole Consalvi, approva la restaurazione dello Stato Pontificio. Anche a Pergola, la civica amministrazione e le cariche pubbliche ritornano ai proseliti clericali. Per iniziativa del cardinale Luigi Hercolani (1759-1821, nato a Foligno da genitori pergolesi e con il quale si estinse la sua marchionale famiglia) e dei mons. Nicola e Mario Mattei, con Bolla del 13 febbraio 1819, Pio VII istituisce la Diocesi di Pergola.

Nonostante ciò, e la ripresa economica con l’efficienza di alcuni opifici, gli ideali progressisti e repubblicani, rimangono inalterati in largo strato della popolazione. Istituita la setta segreta della “Carboneria”, Andrea Cherubini fonda la Sezione con altri congiunti. Da precisare che i primi cospiratori segreti, come raccontava sovente il cav. Arturo Cherubini discendente del precedente, erano tutti parenti tra loro per matrimoni: cognati, cugini, nipoti

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ecc. Alla nuova setta segreta mazziniana la “Giovine Italia”, aderiscono Antonio

Salvatori, Alessandro Brilli, Pellegrino Vitali, Gaetano Ginevri, Giannicola Cameletti, Secondo Domenichelli, Vincenzo Bertiboni, Gabriele Fronduti, ed i giovani Giuseppe Fulvi (1822-1908) e Giambattista Jonni (1821-1891) il primo originario di Nidastore di Arcevia; il secondo del Palazzo di Arcevia.

Falliti i vari tentativi di insurrezione nazionale e locale, costituitasi la corrente monarchica poichè il Piemonte è il mezzo più sicuro per il trionfo della causa nazionale, alcuni progressisti rimangono con gli ideali repubblicani, altri,come Fulvi, Jonni, Brilli, Ginevri, ecc. aderiscono alla Società Nazionale con il programma di Daniele Manin. Quale dimostrazione di fiducia, le donne pergolesi offrono al re Vittorio Emanuele II, due speroni d’oro, oggi esposti al Museo di Torino.

Il seguito è più che noto, per essere stato illustrato ampiamente dal Nicoletti, da storici di fama nazionale, da studiosi locali, in varie pubblicazioni.

Dopo la fallita sollevazione del 1859, si è costituito a Rimini il “Comitato di Emigrazione delle Marche” presieduto dal principe Rinaldo Simonetti e quale segretario Ascanio Ginevri-Blasi, vera anima del Comitato stesso, come l’ha definito il ministro Gaspare Finali. In una riunione, Giuseppe Fulvi propone la data della nuova sollevazione marchigiana; 8 settembre 1860. In tal giorno, egli, alla testa di una colonna di insorti, destituisce le autorità pontificie locali, fa avvertire il generale Cialdini, che varca i confini con le sue truppe, ed occupa le Marche per annetterle ad Regno d’Italia. Per essere stata la prima città delle Marche a sollevarsi, Pergola è stata insignita di Medaglia d’Oro con decreto reale del 19 marzo 1911, per le benemerenze acquisite durante il periodo del Risorgimento Nazionale.

L’avvenimento è stato rievocato con solenni festeggiamenti, l’8 settembre 1910, ricorrenza del cinquantenario, e nel 1960 per il centenario.

E’ d’obbligo ricordare che alla sollevazione pergolese dell’8 settembre 1860, hanno partecipato i seguenti contingenti provenienti dai Comuni ubicati nella vallata cesanense:

- S. Lorenzo in Campo: 52 patrioti capitanati da Marco Monti;- Mondavio: 14 id. id. “ Bernardino Ferri;- Castelvecchio: 18 id. id. “ Taddeo Montanari:- Corinaldo e Mondolfo: 70 id. id. “ Cesare Cesarini e da Temistocle Lodovichetti.Da Montenovo e Barbara affluirono 25 patrioti agli ordini di Gondisalvo

Viali.Anche altre città limitrofe, quali Arcevia, Fossombrone, Cagli, Fabriano,

Urbino ed altre, seguirono l’esempio dei patrioti pergolesi.Gli ideali risorgimentali non si sono esauriti nei pergolesi l’8 settembre

1860, poichè parte del territorio italiano era ancora sotto il giogo straniero, ed era necessario combattere per raggiungere la vittoria finale.

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Fin che l’iniqua somaportan Venezia e Romanon sei d’Italia il Re.

(Ultima terzina della poesia commissionata a Luigi Mercantini dalle dame pergolesi, per accompagnare gli speroni d’oro da esse offerti a Vittorio Emanuele II, ora esposti al Museo Nazionale di Torino).

Pergolesi volontari nelle successive guerre d’indipendenza:- n. 21 combattenti nell’Esercito piemontese per la liberazione del Veneto nel 1866;- n. 22 arruolati nel Corpo comandato da Giuseppe Garibaldi;- n. 94 presero parte alla campagna del 1867 agli ordini diretti dell’Eroe dei

Due Mondi Giuseppe Garibaldi;- n. 4 pergolesi parteciparono alla “Breccia di Porta Pia” il 20 settembre

1870, entrando con altri vittoriosi nella Città Eterna.Rientrati nella loro città, dopo aver realizzato le proprie aspirazioni, i

patrioti istituirono le seguenti Sezioni, per tramandare ai posteri gli ideali e la memoria di coloro che concorsero al Risorgimento Nazionale, Sezioni che furono attive con giovani leve,sino agli anni 1923-24:

Reduci delle Patrie Battaglie Gruppo Radicale Reduci Garibaldini Sezione Repubblicana Sezione Monarchica Sezione Socialista Sezione del Libero pensiero Circolo popolare Anticlericale Gruppo massonico Gruppo anarchici.

La data dell’8 Settembre giorno dell’insurrezione pergolese, fu rievocata annualmente per decenni nella città, con civiche cerimonie: cortei con Autorità, Banda Cittadina, e popolazione; discorsi celebrativi nel “Teatro Angel Dalfoco” tenuti dai protagonisti locali dell’insurrezione, quali Ascanio Ginevri Blasi, Alessandro Brilli, Giacinto Fidani, Giambattista Jonni, Antonio Salvatori, ed altri.

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IL TEATRO DELLA LUNA POI ANGEL DAL FOCO

Alla fine del secolo XVI, anche a Pergola ebbero inizio pubblici spettacoli di arte drammatica. Venivano allestiti nel salone dell’antico palazzo della Comunità, l’attuale palazzo della Cassa di Risparmio di Pesaro, ora Banca delle Marche.

Agli spettacoli più interessanti, presenziavano talvolta gli ultimi duchi urbinati o loro rappresentanti. E’ rimasta celebre la rappresentazione del “Pastor Fido” del Guarini allestita nel 1636, alla quale erano presenti il cardinale Legato Francesco Barberini e la duchessa Claudia de’ Medici, vedova dell’ultimo duca roveresco Federico Ubaldo. Per l’occasione (ed in altre) la duchessa fu ospite del poeta Gerolamo Graziani, suo gentiluomo di corte.

Nei primi decenni del ‘700, per la partecipazione sempre più numerosa del pubblico sia locale che forestiero, la magistratura ricercò un ambiente più vasto ed idoneo. Il Comune era proprietario del terreno sotto la rocca (ora giardino famiglia Fulvi) e qualche consigliere comunale propose di costruirvi un apposito teatro. La proposta non ebbe seguito e la magistratura deliberò di usare i locali del Monte Frumentario (o “dell’Abbondanza a Grano”) l’istituzione che acquistava il grano al raccolto per rivenderlo ai bisognosi allo stesso prezzo nell’inverno, poichè sul mercato era assai più costoso. L’Ente benefico era amministrato dalla magistratura.

In un primo tempo la stanza più ampia del deposito frumentario fu attrezzata con un palco per gli artisti e poltrone per il pubblico; nel 1723 il Consiglio Comunale ordinò alcuni scenari ai celebri pittori bolognesi Francesco e Ferdinando Bibbiena, che ricevettero quale primo acconto “scudi romani settantacinque”.

Nel 1747 mons. Gianfracesco Stoppani di Milano (poi creato cardinale) fu nominato Legato Apostolico in Urbino. In una sua visita a Pergola, propose alla magistratura la costruzione di una nuova civica residenza ed un teatro. Egli si sarebbe adoperato per la concessione degli onori e delle prerogative di città, privilegio ottenuto con la Bolla di Benedetto XIV (Prospero Lambertini, 1740-1758) del 18 maggio 1752.

Tale circostanza stimolò gli amministratori ad accelerare i lavori del palazzo comunale già iniziati nel 1750 (terminati dieci anni dopo) e l’istituzione di un teatro vero e proprio.

Per la concessione della Bolla pontificia, la magistratura aveva assegnato una determinata somma per le spese necessarie, quali documenti, viaggi, trasferte, rimborsi ecc.. Poichè alcuni magistrati erano benestanti, rinunciarono agli emolumenti loro spettanti, come risulta dalla seguente delibera del Consiglio del 13 maggio 1752:

“....I Consiglieri di 1° e 2° grado rinunciano ai pubblici emolumenti loro spettanti in considerazione della avvenuta erezione di Pergola in città, e desiderosi di rimostrarne un perpetuo giubilo a favore della medesima Città e gioventù acciò in tempi carnevaleschi possa decentemente divertirsi, hanno destinato di erogare il residuo avanzo di scudi millecinquecento (dalla somma

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stanziata per ottenere tale privilegio) per L’EDIFICAZIONE DI UN TEATRO nell’orto sopra li Macelli spettante alla Comunità di piedi 46 x 96 con quattro ordini di palchi affinchè si possa da ciascheduna casa dei medesimi Consiglieri conseguire il suo palchetto, nelle solite forme che si usano nelle altre città ....ed i rimanenti da affittare ad altre famiglie.

Il capitano Giambattista Cameletti precisa che il 1° e 2° ordine di palchetti siano riservati alla nobiltà (della quale egli faceva parte), ed il 3° ed il 4° ordine per li cittadini......”.

La somma disponibile non era sufficiente per realizzare un nuovo fabbricato, e la magistratura utilizzò quello esistente già descritto. Nella seduta consiliare del 17 febbraio 1754 fu decisa “la costruzione del nuovo Teatro nei locali dove funziona già il palco provvisorio, in funzione dal 1696, la cui spesa si aggira sui scudi 1550, la differenza da reperire tra gli utenti del Teatro stesso”.

Il progetto di trasformazione fu redatto dall’architetto Raimondo Compagnoni di Bologna, il quale assunse anche la direzione dei lavori, unitamente all’architetto e pittore Alfonso Torreggiani suo celebre concittadino.

Furono abbattute le pareti divisorie interne ed innalzato un muro a forma di U o a ferro di mulo, sul quale addossare tre ordini di palchi (e non quattro), il loggione (o piccionaia) definito da Giuseppe Verdi, come è noto “l’anima del Teatro”.

Fu progettato un largo spazio per l’orchestra, e per il palcoscenico ed adiacenti camerini, servizi ecc.. Non erano ancora d’obbligo le uscite di sicurezza. Fu il primo teatro italiano a forma di U.

I lavori iniziati nel 1754 terminarono nel giugno 1758; i Consiglieri scelsero il nome: “Teatro della Luna”.

Oltre alle scene esistenti, altre ne furono commissionate e dipinte dal Torregiani e suoi collaboratori; dal pittore pergolese Gianfrancesco Ferri (1701-1775) che percepì 180 scudi.

Il Teatro iniziò subito la sua attività, e riportiamo alcune notizie desunte dai verbali del Consiglio Comunale.

Per il Carnevale 1760 l’impresario teatrale Francesco Bessi organizza spettacoli con opere in musica e commedie.

Lo stesso anno il nobile Francesco Badalucchi vende il suo palchetto al Comune di Pergola.

Il 26 dicembre 1762, il Consiglio delibera che gli scenari siano affidati agli Impresari dopo aver fatto l’inventario, e che l’incarico sia affidato al maestro Francesco Valentini, pratico nel maneggiare le scene stesse.

Antonio Giannini ha percepito dal suo palchetto scudi 110, e li deposita nelle casse del Comune per estinguere un debito pubblico con la Cassa dei Riparti.

Nel 1776 i nobili fratelli canonico Francesco, Giuseppe ed Antonio Orlandi, acquistano un palchetto dal Comune.

Nello stesso anno 1776 alcuni organizzatori di spettacoli lirici e feste danzanti chiedono al Comune l’uso del Teatro e due palchetti per il Carnevale 1777.

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Nel 1778 recite di commediole con burattini.Nel 1780 si esibisce la Compagnia comica diretta dal sig. Cesare Satti, con

opere liriche, balletti e recite di vario tipo.Il 24 settembre 1787, la Compagnia teatrale “Camerini” assai celebre,

chiede al Comune il Teatro e quattro palchetti per commedie e tragedie da rappresentarsi nell’anno 1787.

Carnevale 1788: recite e feste danzanti nel Teatro.Il 23 dicembre 1788, il maestro di Cappella e direttore della “Società

Filarmonica pergolese” Giuseppe Ripini, chiede il Teatro e palchi per due spettacoli di opere burlesche in musica, per il Carnevale 1789.

Il 23 novembre 1789, Giuseppe Pozzi, impresario di opere in musica, chiede il Teatro e quattro palchetti per il Carnevale 1790.

Dal 1760 alla fine del secolo, nel Teatro si svolsero Convegni culturali promossi dall’Accademia degli Immaturi, continuando la sua attività iniziata nel secolo XV, portata al massimo splendore successivamente da Gerolamo Graziani, dai cardinali pergolesi Nicola e Leonardo Antonelli, da Filippo Mattei Baldini e da Francesco Latoni, anche con pubblicazioni a stampa. A tali accademie, partecipavano anche i prestigiosi soci iscritti, e provenienti da altre città.

Durante il periodo in cui le Marche furono aggregate al Regno Italico con capitale Milano (1810-1814) i patrioti locali si alternarono a Teatro per diffondere idee progressiste di libertà, di eguaglianza sociale e di pace.

Ripristinato il Governo Pontificio o poco dopo, ci fu un cambiamento di gestione. Da una lettera del 14 agosto 1843, risulta che il Teatro era affidato ad una “Congregazione di Condomini” con costituzioni proprie interne come dice la lettera, approvate dalla Apostolica Legazione di Urbino.

La lettera è firmata dal notaio Giuseppe Orsini Presidente del Teatro, e comunica al Legato cardinale Gabriele della Genga che il Teatro, all’unanimità di voti, è stato concesso alla Compagnia Colapaoli per dieci recite.

Nel 1846 faceva parte di una Compagnia d’arte drammatica, anche Laura Bon, l’artista amante di Vittorio Emanuele II. Venuta a Pergola in avanzato stato di gravidanza, vi partorì la prole regale: una femmina alla quale fu imposto il nome di Elisa e affidata ad un medico locale. (Ricerca effettuata dal prof. Pompili di Spoleto).

Nel 1856 ebbero inizio sino all’anno successivo, ben 42 recite (tragedie, commedie e farse) da parte della Compagnia Drammatica condotta da Antonio Bighi e diretta da Luigi Marchetti, composta da quattro donne e dodici uomini. L’abbonamento per 36 delle 42 recite, era il seguente, come risulta da un artistico manifesto originale conservato:

Nobili e Possidenti scudi 1,20 Impiegati e Capi d’arte scudi 0,90 Artisti “ “ scudi 0,80.Il biglietto d’ingresso costava: Nobili e Possidenti baj. 5 Impiegati e Capi d’arte baj. 4 Artisti baj. 3Dopo l’Unità d’Italia, i patrioti progressisti che avevano combattuto nelle

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guerre d’Indipendenza, vollero dedicare il Teatro ad Angel Dalfoco, la massima gloria pergolese nelle armi, quale valoroso condottiero e capitano di Ventura del secolo XV, e rimasto celebre per tutto il ‘500 e ‘600, e, come dice lo storico Cimarelli, “ da Flavio Biondo storiografo innalzato alle stelle quale glorioso Capitano dei suoi tempi”.

Ogni impresario teatrale allestiva numerosi spettacoli. Da una ricevuta del 1861, risulta che l’abbonamento per 15 recite a Teatro, era di bajocchi 25 e mezzo. Incaricato dell’Impresa a riscuotere: Nicola Vitali.

Il 21 dicembre 1862 fu redatto un nuovo Statuto della “Società Filodrammatica pergolese” aggiornato in base alle nuove esigenze culturali progressiste. Sono sette articoli che impongono il rispetto di esso, cioè di onorare ogni impegno preso, di essere puntuali alle prove, di avvertire la Direzione in caso di mancata presenza per impedimento forzato, di prepararsi idoneamente per il debutto.

I promotori di tale rinnovamento statutario, furono:Tito Lattanzi Taide Rossi Vespasiano Amatori Elvira Padovani LeviAssunta Ginevri Maria SensiNobile Guazzugli Rinaldo NataliniNereo Natalini Domenico Albertini.Alla Società aderirono complessivamente 44 cittadini d’ambo i sessi, che

sottoscrissero lo Statuto e si impegnarono a sostenere le parti assegnate dai promotori e direttori dell’Ente artistico. La Direzione fu composta come segue:

Ispettrici: Virginia Guazzugli Ginevri, Giulia Guazzugli e Maria Ginevri.Direttori dei dilettanti: Prof. Bellini Leopoldo, Gadani dott. Angelo

e prof. Massimino Giustiniani.Deputati al palco: Agostino Simili e Alessandro Guazzugli.Amministratori: Luzi Gaetano e Brunori Orazio.Cassiere: dott. Achille Levi (di religione ebraica, più tardi ebbe la carica

di Rabbino). Anche la Comunità ebraica locale d’ambo i sessi partecipò attivamente alla esecuzione degli spettacoli come protagonisti assai apprezzati, quali Elisa Padovani Levi brillantissima, Mario, Bianca ed Olga Levi, David Cagli, e in tempi più recenti, Vitale Camerini e la consorte Palmira Lattes, Elena Camerini violinista.

Le recite ebbero inizio nel Carnevale del 1863 e proseguirono per alcuni decenni, con grande affluenza di pubblico locale e dei centri limitrofi.

Dopo il 1862 e sino alla fine del secolo, il Teatro fu sede di comizi elettorali, dove gli esponenti dei vari Partiti, con efficace ed abile arte oratoria, esponevano i loro programmi per ottenere alle urne il voto e conseguire un prestigioso seggio al Senato o Camera dei Deputati.

I più eminenti oratori furono gli onorevoli Carlo Luigi Farini, Gaspare Finali, generale Giovanni Corvetto, generale Augusto Elia, padre del Senatore Raffaele e nonno dell’attuale giurista Leopoldo, Giacomo Mattei Baldini, Andrea Costa ed altri.

Gli oratori erano presentati dagli esponenti politici locali, quali Ascanio

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Ginevri Blasi, Pietro Brilli, Giacinto Fidani, Antonio Salvatori, Giambattista Jonni, Giuseppe Fulvi, Vincenzo Bertiboni, Alessandro Nicoletti.

E’ opportuno ricordare che allora le donne erano escluse dal voto.Nel 1862 fu istituita a Pergola la Regia Scuola Tecnica intitolata a

Gerolamo Graziani, che rilasciava agli alunni, al termine degli studi, il diploma magistrale. Dalla sua istituzione e sino all’inizio dell’ultimo conflitto mondiale, i docenti ogni mese tenevano una conferenza a Teatro, alla presenza degli alunni e di un folto pubblico.

Citiamo i professori più noti, di alcuni dei quali è ancor vivo il ricordo: prof. Leopoldo Bellini, Virginio Felicioli, Marco Gaiani, Pietro Romagnoli, Francesco Mercantini fratello del poeta Luigi, Alessandro Rebecchini, Giobatta Baldetti, Dante Marini, Luigi ed Ignazio Cameletti, Giantommaso Troilo e Marcello Camillucci.

E’ interessante la seguente notizia tramandataci da Anselmo Anselmi di Arcevia: nel 1892 le foto degli scenari dipinti dai Bibbiena, furono inviate alla Mostra internazionale dell’arte teatrale a Vienna, per l’interessamento dell’ing. Guido Pisani, incaricato dal Ministero della Pubblica Istruzione, che venne appositamente a Pergola.

Il 23 ottobre 1892, il cagliese Angelo Celli, candidato per il Collegio Cagli-Pergola, fece il suo esordio nel nostro Teatro, e fu eletto Deputato. L’anno successivo vi ritornò per tessere l’elogio funebre del patriota defunto Aroldo Baffi-Scoppa, discendente di una illustre e doviziosa famiglia. La memoria fu poi data alle stampe.

L’on.le Celli vi ritornò anche dopo essere stato meritatamente nominato Ministro della Sanità, ospite dei Brilli, Domenichelli, Franceschini ed altri.

Per rimanere in argomento, citiamo i comizi elettorali tenuti a Teatro nei primi decenni di questo secolo, dagli on.li Emilio ed Enzo Storoni pergolesi, Tito Barboni, Giovanni Mochi, Luigi Mancini ed altri eminenti politici. Dopo l’ultimo conflitto mondiale, vi esordirono il senatore pergolese Giovanni Venturi, gli on.li Umberto e Giorgio Tupini, Capalozza, Luigi Preti, Malagodi, Danilo de Cocci, Umberto delle Fave, Giuseppe Righetti poi Senatore. Altri comizi si tennero in piazza Ginevri.

Dall’Unità d’Italia in poi, in Teatro furono organizzate cerimonie annuali il giorno 8 settembre, anniversario dell’insurrezione pergolese del 1860. Celebre fu nel 1910, con una conferenza dell’on.le Domenico Pacetti, un concerto vocale strumentale con la partecipazione del soprano Dina Sordini, Ivan Cocei tenore, Enea Battistelli baritono, ed il maestro Eugenio Dalfrà al pianoforte.

Altrettanto celebre fu la cerimonia l’8 settembre 1960, per il Centenario dell’insurrezione pergolese; essendo il Teatro inagibile, essa si svolse in piazza Ginevri.

Il primo e secondo decennio di questo secolo fu una stagione prestigiosa per il nostro Teatro. Con il ritorno in Patria del maestro e compositore Adelelmo Bartolucci, furono rappresentate tre sue opere liriche: Lyna, Deydda e La Zingara di Granata, con grande successo di critica e di pubblico, opere replicate anche in altre città.

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Lo stesso maestro organizzò qui e diresse inoltre altre opere: Il Barbiere di Siviglia di Rossini, La Traviata, di Verdi, La Favorita, di Donizetti, la Tosca, di Puccini, che furono poi replicate in altre città dirette dal Bartolucci.

Circolano ancora per le vie cittadine alcuni abitanti che furono “artisti in erba”, cioè protagonisti di spettacoli teatrali organizzati dalle insegnanti elementari con i propri alunni ed alunne decenni o poco più, e la collaborazione dei direttori della Banda cittadina, quali Giuseppe Zurlo e Adelelmo Bartolucci. Furono rappresentate La pianella perduta, Cenerentola del maestro Romolo Corona, cori patriottici, monologhi, Il Dottorino, Pierrot Nero, Il Gerente Responsabile, Chiacchierina, ecc..

Saltuariamente alcuni giovani organizzavano uno spettacolo improvvisandosi artisti in Scugnizza, Casa di Bambole, ecc. Venivano allestite ristrette orchestrine, che allietavano gli spettacoli, con un maggior concorso di pubblico, presente per applaudire i propri Congiunti sul palcoscenico.

Nel 1930 vi debuttò la Compagnia Filodrammatica di Cabernardi con L’Onorevole Campodarsego; nel 1934 si esibì la Compagnia di Prosa Bagnoli-Ferrante; seguì un’altra Compagnia dei grandi spettacoli gialli organizzata da Leone e Adolfo Orlando, con la partecipazione della prima attrice Lina Pellegrini.

Nel 1931 il Teatro ospitò la Compagnia Drammatica Italiana Bertonne - Wilbert diretta da Rosolino Bua con dieci artisti italiani e stranieri.

Nel 1936 fu organizzato un grande concerto vocale strumentale dal maestro Bartolucci e con l’esibizione della celebre violinista Anna Maria Cotogni, al piano Adelaide Roia. Altre serate musicali con le stesse artiste, ed Elena Camerini, Vincenza Gili e Otello Gili maestri di violino.

All’inizio del secolo, anche Pergola ebbe una sala cinematografica. Nel 1936 circa il Teatro fu adibito a tali spettacoli, e affidato al notissimo Dino Bencivenni in arte Robertk. Alla proiezione di un film, seguiva uno spettacolo d’arte varia eseguito dal medesimo e dalla consorte, in arte miss Olga. Successivamente si alternarono altri impresari cinematografici.

Nel 1948 i 33 Condomini del Teatro, proposero al Comune l’acquisto del Teatro, per il prezzo simbolico di una lira. Le trattative proseguirono lentamente, e nel frattempo il fabbricato fu occupato dagli sfollati. Nessuno si interessò di controllare e salvaguardare le scene ed il sipario, per cui alcuni sciacalli con la complicità di deprecabili disonesti, rapinarono tutto, compresi gli addobbi dei palchi, i fili elettrici, e persino i rocchetti di ceramica sui quali erano fissati. Un vero scempio.

Fu venduto anche il sipario, opera della fine ‘800 dell’artista pergolese Beniamino Barbanti accademico di S. Luca, che rappresentava piazza Ginevri, con i palazzi Storoni, Camerini, Marini ed ex civica residenza, un egregio dipinto per cromatismo, prospettiva di grande effetto scenico, testimonianza della piazza ottocentesca.

A completare l’opera di distruzione, partecipò la vetustà di una passerella del soffitto che crollò. Nessuno intervenne, e in breve tempo crollò l’intero soffitto.

Successivamente ci furono proposte e polemiche per ricostruire il Teatro

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stesso oppure costruire un nuovo edificio idoneo per spettacoli lirici e cinematografici, ed anche gare sportive di vario genere, un “Palazzetto dello Sport” con un ampio piazzale antistante, comodo per le auto del pubblico. Questa seconda proposta fu bocciata.

Con delibera della Giunta comunale n. 478 del 13 luglio 1973, fu deciso di stanziare la somma di settanta milioni per l’ammodernamento del vecchio Teatro. Ci furono cambi di amministratori, e la delibera rimase sulla carta.

Successivamente il Comune interessò vari Enti pubblici, tra i quali la Soprintendenza ai Monumenti, per la ricostruzione del vecchio Teatro. Da anni i lavori sono in corso e sono quasi al termine, per cui ci auguriamo che se ne faccia prossimamente la inaugurazione, conservando, naturalmente il nome del condottiero Angel Dal Foco.

E’ doveroso ricordare che nei primi anni del ‘700 le Suore Orsoline attrezzarono nell’interno del loro monastero un teatrino, dove allestirono modesti spettacoli per lo più con adolescenti e le orfanelle date in loro custodia. Fu attivo sino al 1960 c..

Altro teatrino familiare avevano i conti Mattei. All’inizio di questo secolo, fu attrezzato un teatrino nell’Episcopio per giovani dilettanti, locale che funzionò anche come sala cinematografica sino agli anni ‘70 circa.

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BIOGRAFIA DEL CELEBRE CAPITANO DI VENTURA A N G E L D A L F O C O

di Sandro Sebastianelli

Il celebre condottiero Angel Dal Foco nacque nella seconda metà del secolo XIV, in Comune di Pergola, località Osteria del Piano, in un fabbricato situato in una estesa pianura aulente di cereali, biade e prati verdeggianti. E’ irrigata dal fiume Cinisco, che nasce nelle tetre balze del Catria e si getta, sotto Pergola, nel fiume reale Cesano.

Prima, dopo, e durante l’adolescenza di Angelo, la località fu occupata alternativamente dalle truppe dei Montefeltro e dei Malatesta in lotta tra loro; dalle Compagnie di Ventura di fra’ Moriale d’Albarno, di Francesco Piccinino, Boldrino da Panicale, di Francesco Sforza ed altre.

Si può essere certi che la famiglia di Angelo, della quale non si conosce il cognome, poichè il medesimo si firmava Angelo o Agnolo de la Pergola, abbia ospitato capitani e soldati, e che il giovane di vivido ingegno, affascinato dai racconti avventurosi degli ospiti, abbia scelto la professione di milite mercenario, ai suoi tempi assai di moda, per affermarsi e conseguire fama, onori e ricchezze.

Sono state estese moltissime biografie sul Condottiero. Alcuni autori scrissero che il suo cognome fosse Dal Foco perchè aveva nella sua Compagnia un tal Cristoforo Dalfoco; altri perchè sul luogo dove nacque vi furono diverse famiglie con tale cognome. Non vi sono documenti in merito. E’ certo che Angelo, con le sue firme, con la fama raggiunta, rese celebre il nome di Pergola in Italia ed in Europa.

Altri biografi ritengono che l’appellativo dal foco sia derivato perchè in un assalto notturno, per simulare un maggior numero di forze e mettere lo scompiglio fra le schiere nemiche, Angelo avrebbe acceso i fuochi su le corna di buoi, rinnovando il famoso strattagemma di Annibale:

Emulator di Annibale

Tu l’oste pertinacePosti i sermenti al tauroCon l’improvvisa faceFra le notturne tenebreFacesti un dì fuggir.

Altra ipotesi, priva di documenti, è che Angelo fosse stato adottato dalla nobile e autorevole famiglia Montaini di Montajate, che aveva per blasone un dipinto con cinque lingue di fuoco. Stemma che si nota in antichi documenti locali.

Nel 1397 è ancora semplice milite al servizio dei Malatesta di Fano, dai quali dipendeva Pergola e territorio circostante; nel 1401 costituisce una Compagnia autonoma con settecento soldati, assumendo per insegna una testa di bue. Da tale anno, Angelus Joannis de la Pergola inizia la sua attività di Capitano di Ventura. Il suo nome e le sue gesta vengono riportate nelle

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cronache cittadine; nei registri di spese delle repubbliche o Stati per i quali ha prestato servizio, nelle lettere o relazioni di ambasciatori, di principi e cancellieri europei.

La vita e l’audacia di Angelo si intrecciano per circa tre decenni con le vicende politiche d’Italia e d’Europa.

Egli portava la sua balda gioventù - scrive un noto biografo - di estrazione povera ma laboriosa , in quella nuova scuola delle armi, ricca di promesse e di avventura, fervida di lotte e di trionfi. Vi entrava forse, con la maggior parte delle soldatesche del tempo, spinto dalla cupidigia di guadagno, dalla brama di condurre impunemente una vita licenziosa, dalla speranza di saccheggio e di bottino.

Angelo aveva assimilato tutte le passioni dominanti nel mercenario contemporaneo, tutti gli impeti sfrenati e capricciosi dell’avventuriero, ma aveva anche un ingegno che si elevava sopra la vile ciurmaglia, aveva una tempra vigorosa, una accortezza speciale, che lo spronavano ad ambizioni più alte ed a ricompense assai consistenti.

Per più di due secoli le famigerate Compagnie di Ventura furono di sostegno e appagarono le aspirazioni e prepotenze di chi meglio le pagava, e le offriva occasione di bottino e rapine. Sovente, come è noto, una Compagnia assoldata da una Repubblica o da un principe, passava facilmente in campo avverso, senza costituire ciò un disonore o un tradimento.

Per questa biasimevole licenza, allora preminente, l’Italia fu sconvolta e funestata da vicende belliche che coinvolsero grandi e piccole città, villaggi e contrade, uomini e cose.

Angel Dal Foco, raggiunta una notevole notorietà, ebbe molteplici richieste: - nel 1405 fu assoldato dalla Repubblica di Pisa in lotta con Firenze; - l’anno successivo fu al servizio di Ludovico Migliorati, nepote del papa

Innocenzo VII;- nel 1409 fu alle dipendenze della Repubblica fiorentina;- l’anno successivo a Siena con il grado di capitano delle milizie per

difendere i confini della Repubblica; - nel 1413 a fianco di Carlo Malatesta a Cesena per espugnare con successo

la città di Monterubbiano;- nel 1417 al servizio di Bologna, quale Capo di un forte esercito per

respingere attacchi nemici e sedare tumulti e sollevazioni interne;- nel 1421 alle dipendenze di Filippo Maria Visconti, duca di Milano.Unitamente al collega (poi rivale) Francesco Bussone detto il Conte di

Carmagnola, riportò alla soggezione del duca milanese la Valle Leventina e Bellinzona, dimostrando il suo genio, il suo valore e la sua esperienza militare, nella celebre battaglia di Arbedo (Canton Ticino) svoltasi il 30 giugno 1422.

La vittoria di Arbedo - scrive Beatrice Fagioli - destò una grande impressione in tutta Italia: accrebbe il vanto del Pergolese e l’ardire del Visconti il quale, forte delle armi altrui, sicuro del proprio Stato, si avventurava ad una politica di ingrandimento fra il sospetto e la gelosia del Veneziani e dei Fiorentini....

Nel 1424 il Visconti allestì un efficiente esercito a capo del quale volle

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Angelo, con il proposito di occupare e dominare il territorio della confinante Romagna. L’impresa fu realizzata, e le truppe ducali con il loro Comandante entrarono trionfanti a Imola, Zagonara, Forlimpopoli, Bertinoro, S. Arcangelo di Romagna, sino a Gradara, dove Angelo, con un insidioso strattagemma, fece prigioniero il signore del luogo, Galeazzo Malatesta, mentre i soldati, come già altrove, saccheggiavano il popoloso Castello e contado.

Il Pergolese proseguì con le sue truppe a sud, occupando il Montefeltro, Castel Durante (oggi Urbania) e parte del confinante territorio toscano sino ad Arezzo. Dopo aver arrecato ovunque lutti e devastazioni, la Compagnia rientrò in Romagna e quindi a Milano.

Altra strepitosa vittoria conseguì Angelo nel 1425, quando a Borgo S. Sepolcro sconfisse le truppe fiorentine, facendo prigionieri milleseicento cavalieri e seicento soldati. Fu l’ultimo trionfo e l’apoteosi delle sue giovanili aspirazioni: fama, onori e ricchezza.

La sfrenata ambizione e la sete di dominio del Visconti, alimentata dalle facile vittorie conseguite da Angelo de la Pergola, eccitarono una forte reazione da parte delle Autorità fiorentine e della Repubblica di Venezia.

I due Stati costituirono una Lega armata per sconfiggere l’arrogante duca milanese, alla quale aderirono i re d’Aragona, i duchi di Savoia e di Mantova ed altri feudatari allontanati dal proprio feudo dal condottiero pergolese. Per raggiungere l’intento, fu costituito un poderoso esercito sotto il comando del conte di Carmagnola.

Il duca di Milano rinforzò il proprio esercito arruolando le milizie mercenarie di Francesco Sforza, di Niccolò Piccinino, di Cristoforo Lavello e di Secco da Montagnana, ponendo i medesimi agli ordini del Luogotenente generale Angelo Dal Foco. Al battesimo del fuoco, si rivelò un esercito poco efficiente per le rivalità e le gelosie mai sopite tra i suddetti capitani, che resero vani i piani strategici e operativi predisposti dal valoroso condottiero pergolese.

Il 26 gennaio 1426 il conte di Carmagnola dichiarò guerra al Visconti, e da allora i due eserciti iniziarono le loro battaglie in territorio lombardo. Il Carmaagnola con le sue truppe occupò la parte inferiore della città di Brescia, e con opere di fortificazione riuscì a mantenere isolata la parte alta (la cittadella) presidiata dai milanesi.

Le truppe ducali tentarono di soccorrere gli assediati, ma vista l’impossibilità di superare gli ostacoli frapposti, per evitare un inutile spargimento di sangue, Angelo diede ordine, su parere anche del Visconti, di rinunciare alla difesa di Brescia. Il 20 novembre 1426 anche la cittadella, avendo esaurite le munizioni e le scorte, cadde in potere del Carmagnola.

Per alcuni biografi del condottiero pergolese, l’insuccesso delle truppe milanesi fu dovuto all’inefficienza dell’esercito, come già accennato; per altri scrittori perchè Angelo non fu all’altezza della situazione, essendo stata superiore in quella contingenza l’abilità bellica del Carmagnola.

Visto l’insuccesso delle sue truppe, il Visconti accettò la proposta del papa Martino V (Oddone Colonna, 1417-1431) di cessare le ostilità, e nel dicembre 1426 firmò il Trattato di Pace. Trattato con condizioni poco onorevoli per il

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duca, tanto che l’anno successivo riprese le ostilità, conservando ad Angelo il comando dell’esercito.

Dopo alcuni scontri bellici nel bresciano e nel cremonese, Francesco Sforza e Niccolò Piccinino, riluttanti a sottostare agli ordini del pergolese, costrinsero il duca a sostituirlo. Filippo, per evitare discordie tra i suoi capitani, affidò il suo esercito a Carlo Malatesta, uomo più atto alla pace che non alla guerra. Angelo accettò la sostituzione, e rimase egualmente al servizio del duca.

Il Carmagnola volle subito affrontare il nuovo Luogotenente, costringendolo ad accettare battaglia in un luogo aquitrinoso ed impervio, nei dintorni del Castello di Maclodio (Brescia), nonostante il parere contrario di Angelo e Guido Torello.

L’ingenuo Malatesta, accettò il combattimento, e come aveva previsto il pergolese, fu pienamente sconfitto e preso prigioniero, unitamente ad uno dei figli di Angelo, di nome Antonio. Nè l’audacia, nè la forza dell’esercito ducale furono sufficienti a sostenere uno dei più famosi scontri, in cui si trovarono impegnate quasi tutte le milizie italiane di quel tempo, venute a combattere senz’odio e senza ragione, per una causa forse ignota:

.....a dar morte a morire

Qui senz’ira ognun d’essi è venuto,E venduto ad un duce venduto,

Con lui pugna e non chiede il perchè.

La battaglia si protrasse dal 15 al 17 ottobre 1427. Dopo tale strepitosa sconfittta, il duca milanese affidò nuovamente il

comando del suo esercito ad Angelo, con la speranza di una vittoria finale. Dopo una tregua di pochi mesi, nel 1428 ripresero le ostilità e ci furono

scontri bellici: coadiuvato dal Piccinino, con quattromila fanti e tremila cavalieri, Angelo occupò la valle di S. Martino, presidiata dai soldati del Carmagnola con a capo Giovanni di Ruota, che fu tratto prigioniero con le sue truppe.

Durante una pausa delle ostilità tra il 10 marzo e il 29 aprile 1428, il nostro Condottiero, mentre stava cenando, fu colto da malore e morì poco dopo; secondo alcuni a Bergamo, secondi altri, con maggiore probabilità, a Cremona.

Non sui campi di battaglia dove si espose più volte alla morte, ma nella quiete delle pareti domestiche, circondato dai suoi Congiunti, il nostro concittadino concluse la sua brillante e avventurosa carriera militare.

Il Visconti, non rimase indifferente ad una perdita che gli troncava l’ultimo filo di speranza, e scrivendo all’imperatore Sigismondo, accennava tra i motivi che l’avevano indotto alla pace, la morte di Angelo dal Foco suo strenuo e fedele capitano.

Facile all’ira e al perdono - scrive la dotta Fagioli - all’odio e all’amore, a volte mite e generoso, a volte bizzarro e crudele, Angelo ebbe l’animo ardente di un cavaliere medioevale e il raziocinio freddo, calcolatore, del Valentino. Abile negli strattagemmi, cauto nel consiglio, pronto nell’esecuzione, si cimentò con i più forti condottieri e ne uscì spesso superiore od eguale,

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meritando anche nella sconfitta la stima e la lode del nemico.Esecutore fedele della politica di Siena, di Bologna, e del Visconti, il

Pergolese percorse quasi tutte le regioni centrali e settentrionali d’Italia, respingendo ogni idea di dominio, contentandosi della fama di guerriero e della stima che gli accordarono giustamente Repubbliche e Signorie. Ebbe dal duca di Milano appellativi confidenziali, parole lusinghiere, gradi onorifici, richieste di approvazione e di consiglio, tanto più apprezzabili se si pensa al carattere egoistico del duca.

Numerose sono le biografie di Angel Dal Foco, scritte nei secoli passati, con notizie dettagliate, citazioni di documenti consultati; alcune di esse riportano i diversi pareri e le valutazioni dell’estensore.

L’abate Cimarelli, già citato, nella descrizione di Pergola, così continua: ...........e quelli che all’armi, o alle lettere volgono i pensieri, eccellenti riuscendo, si fan (come l’Historie a pieno narrano) grandemente famosi: singolarmente Angelo, che fu il più glorioso Capitano de gli suoi tempi; come nell’Italia illustrata lo celebra il Biondo, e Leandro nella descrizione della medesima.

Una biografia completa, esauriente, corredata da lettere e citazione dei molteplici autori che hanno scritto del Condottiero, è inserita nel prezioso volume dal titolo di Pergola e suoi dintorni (pagg.483-517) dell’illustre concittadino dott. Luigi Nicoletti. Tale volume è conservato presso molte famiglie locali, poichè esaurito l’originale del 1903, fu riprodotto e stampato nel 1989 dalla Delta Grafica di Città di Castello, per iniziativa del Presidente del Lions Club Pergola Valcesano Dott. Pasqui Florido, del Dott. Luciano Galli, del dott. Arturo Domenichelli ed altri autorevoli soci.

La famiglia di Angel Dal Foco.

Non si conoscono il nome e cognome della moglie di Angelo, con la quale generò tre figli:

- Delfino, nato a Pergola nel 1395 circa. Studiò all’Università di Pavia e prescelse la carriera ecclesiastica: nel 1425 fu nominato Vescovo di Parma: Come teologo di chiara fama prese la parola al Concilio di Basilea (1431-1449); nel 1463 fu traslato dalla Diocesi di Parma a quella di Modena, dove morì santamente nel 1465. Fu assai stimato dall’imperatore Sigismondo che si avvalse dei suoi consigli, che lo ricompensò con onori e ricchezze.

- Antonio e Leonoro, seguirono le orme paterne conservando la Compagnia di Ventura ereditata dopo la morte del Genitore. Rimasero al servizio dei duchi di Milano e per i quali combatterono e furono vittoriosi.

Antonio ebbe, quale riconoscimento, il titolo di conte ed il feudo di Blandrat, allora in Diocesi di Vercelli. Fu anche comandante delle truppe di Siena, ed il 4 giugno 1432 riportò una eclatante vittoria. In una lettera di Antonio diretta alla Magistratura di Siena, riguardante militi e servizi resi anche al duca di Milano, il medesimo così si firma: V. M. D. filius et servitor Comes Antonius de Pergula. Anche il figlio del grande Condottiero, seguendo le orme paterne, nelle missive, aggiunge al suo nome l’altro di Pergola, e che

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fa certamente onore al capoluogo cesanense. Gli eredi di Angel Dal Foco, si legge in un documento del 25 maggio 1461,

avevano beni a S. Costanzo confinanti con i possedimenti Malatesta, vocaboli Cereto e Bonacesco. Con i pronipoti di Antonio, ebbe fine il ramo dei conti di Blandrat.

Nel Museo cittadino, in attesa di essere esposti con altri quadri, si conservano due dipinti ad olio su tela, con l’effige di Angel Dal Foco e del figlio Antonio. Altra tela simile con le sembianze di Angelo, si trova nel Museo di Urbania, proveniente dallo studiolo del duca Federico d’Urbino.

A Pergola ed a Milano, una via cittadina è dedicata ad Angel Dal Foco.

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BIOGRAFIA DEL MAESTRO E COMPOSITORE ADELELMO BARTOLUCCI

di Sandro Sebastianelli

Nato a Pergola il 2 maggio 1853 da una antica ed onorata famiglia, sin da fanciullo fu attratto dalle sublimi armonie della musica. Contemporaneamente agli studi, frequentò la scuola di musica diretta dal noto organista Vincenzo Colombati, e proseguì poi l’arte della musa Euterpe a Senigallia, con il maestro Vincenzo Tabellini di Bologna. Proseguì gli studi al Conservatorio di Milano con i professori Boniforti e Mazzucato, dove si laureò in composizione e contrappunto.

Fu direttore della Banda cittadina e della scuola di musica, in varie città: Castelfidardo, S. Arcangelo di Romagna, quindi a Lugano e poi a Spalato in Jugoslavia.

Nonostante l’impegno professionale, compose cinque opere liriche: Lyna, Deydda, La Zingara di Granata, Giordano Bruno ed ultima, Faublas, mai rappresentata, per l’avanzata età del Maestro. Le prime quattro furono assai applaudite nei teatri Quirino di Roma, Dal Verme di Milano, Manzoni di Pistoia, Vittorio Emanuele di Rimini, Rossini di Lugano, Comunale di S. Arcangelo di Romana, Comunale di Cagli, Petrucci di Fossombrone, e naturalmente nel Teatro Angel Dalfoco della sua città natale.

Com’è naturale, diversi critici d’arte lirica assistettero alle rappresentazioni e pubblicarono sui giornali nazionali e locali le loro impressioni che riportiamo: concertati potenti e di grande effetto; originalità e sicurezza nel connubio voci-orchestra; preludi ed intermezzi di squisita fattura; terzetti di effetto sorprendenti; artefice di sublimi melodie per diletto e conforto del genere umano.

“Il Bartolucci - scrisse Enrico Dehò - possiede da vero maestro, la tecnica dell’armonia, della strumentazione e sa trovare il migliore partito delle voci umane senza mai trascendere dalle tessiture. E’ ricco di dottrina, ha fantasia e quel che più vale, la originalità e sicurezza nel maneggiare le voci e l’orchestra”.

Per la sua solerte attività artistica, ebbe numerosi riconoscimenti:- Socio Onorario fondatore dell’Accademia Filarmonica siciliana “Pietro

Patania” di Palermo.Premiato con Medaglia d’Oro dalla Giuria della Esposizione artistica

musicale di Poggioreale (Trapani). Accademico compositore contrappuntista dell’Accademia Filarmonica di

Bologna.Socio Onorario e di merito del Circolo Filarmonico Internazionale di

Roma. Volle terminare la sua lunga carriera artistica nella città natale. Fu nominato

direttore della prestigiosa Banda cittadina e della scuola di musica; allestì numerosi spettacoli con sue opere ed altre già citate; formò abili suonatori di violino e di vari istrumenti bandistici.

Durante la sua permanenza a Pergola, ebbe la grande soddisfazione

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di sapere che l’opera Lyna, fu rappresentata in America, unitamente alla Cavalleria Rusticana di Mascagni, al Teatro Uptown di Broadway, con grande successo.

Terminò la sua vita terrena nel 1938. Il Comune di Pergola, per l’interessamento dell’Ispettore O. ai beni culturali, gli dedicò una via.

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BIOGRAFIA DEL CELEBRE ORGANISTAGIOVANNI MORANDIdi Sandro Sebastianelli

“Caro Amico, Eccoti le scritture vecchie e le nuove vergini: conoscendo quanto tu sia onesto e mio amico, lascio che tu stesso, metta le condizioni.....

Ti prego di principiare il contratto nel mese che mi promettesti.......... Aff.mo amico Rossini”.E’ una delle numerose lettere del Cigno pesarese a Giovanni Morandi,

scritta alla fine di maggio del 1819, che attesta la profonda stima e grande amicizia intercorsa tra i due musicisti.

Giovanni Morandi nacque a Pergola, in via Graziani, il 12 maggio 1777, figlio del bolognese Pietro e della pergolese Teresa Saracini.

Il padre, abile organista già allievo del celebre Giambattista Martini, era stato assunto quale Maestro di Cappella in Pergola sin dal 1765. Il figlio Giovanni seguì le orme paterne, e divenne il più famoso organista della prima metà del secolo XIX. Da Pergola si trasferì a Senigallia e nel 1804 sposò Rosa Morolli, che divenne una celebre cantante lirica.

Nell’agosto del 1810 Rossini superò brillantemente gli esami al Liceo di Bologna, anzioso di iniziare una brillante carriera artistica. Nello stesso anno anche i coniugi Morandi sostavano a Bologna per proseguire poi sino a Venezia dove erano stati scritturati per gli spettacoli al famoso teatro S. Moisè.

La madre di Rossini, sollecitata dal figlio, si recò dai Morandi che conosceva per fama e di persona essendo anche lei una cantante, per chiedere consigli e pareri affinchè il figlio iniziasse subito la sua carriera.

I Morandi assicurarono il loro più vivo interessamento; proseguirono per Venezia e proposero all’impresario del S. Moisè - che era il senigalliese Cavalli - la presentazione di un giovane compositore ancora ignoto, ma di rari talenti artistici e di sicuro affidamento.

L’impresario accolse la proposta per la fiducia che aveva nei Morandi, i quali avvertirono Rossini di raggiungerli subito a Venezia, per la presentazione all’impresario già disposto ad affidargli un incarico.

Durante il suo soggiorno a Venezia, Rossini fu ospite dei generosi Morandi e Giovanni ha tramandato ai posteri il seguente episodio.

Una sera Rossini tornò a casa mesto e sconsolato, si chiuse nella sua camera e si sfogò in pianto. Morandi sentì, entrò e gli chiese il motivo di tanto sconforto. “Alla prova con i protagonisti - rispose il musicista - essi protestarono di non cantare se non si fosse alleggerita la partitura che ritenevano tanto fragorosa da superare la loro voce in alcune scene”.

Il Morandi, esperto delle consuetudini teatrali e delle esigenze dei cantanti, lo consolò proponendo di rivedere insieme la partitura e apportare le richieste modifiche senza alterare l’originalità della composizione.

Era il libretto “La Cambiale di matrimonio” musicato in pochi giorni.Rossini acconsentì e la sera del 3 novembre 1810 l’opera ottenne un buon

successo, anche per l’eccellente interpretazione di Rosa Morandi nella parte

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della protagonista. La farsa fu ripetuta nelle sere successive, e da allora il nome di Gioacchino Rossini cominciò a circolare negli ambienti artistici teatrali quale astro nascente della lirica.

Per merito dei Morandi, l’incognito esordiente iniziò, com‘era suo desiderio, la propria fortunata carriera in un teatro ed in una città di illustri tradizioni artistiche. In seguito, la Morandi fu prescelta come protagonista nelle rappresentazioni delle opere rossiniane.

I rapporti Rossini-Morandi furono sempre più intensi, e Giovanni fu maestro, collaboratore ed anche impresario del celebre pesarese.

La cantante si spense a Milano il 6 maggio 1824 a soli 42 anni d’età dopo aver calcato le scene dei principali teatri europei, mentre il marito si affermò come famoso organista.

Deceduta la consorte, Giovanni prese la residenza a Senigallia, dove istituì una scuola gratuita di canto e di composizione, sino al 23 febbraio del 1856, anno del termine della sua vita terrena.

Lasciò numerose composizioni per organo; modeste operette teatrali e fu maestro di altri eminenti organisti.

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BIOGRAFIA DEL CELEBRE MUSICISTA E COMPOSITOREAMEDEO ESCOBAR MARTINEZ

di Sandro Sebastianelli

“Dopo l’Unità d’Italia - raccontava l’illustre musicista nostro ospite - venne a Pergola un brillante e colto giovane, quale Delegato di Pubblica Sicurezza, discendente di una famiglia spagnola trasferitasi in Italia. Era mio padre Adelgardo (1855- 1891) che si invaghì di una gentile donzella, Irene Guazzugli Marini (1861-1957), la condusse all’altare, e poi lo fece padre felice di due rampolli, io che sono qui e mio fratello Umberto (1886-1946)......”.

Nato il 14 agosto 1888, l’adolescente Amedeo dimostrò una spiccata attitudine per la musica, alla quale dedicò tutta la sua vita. Alcuni anni dopo la morte di suo padre, la famiglia si trasferì a Roma, dove conseguì il diploma di violoncellista e composizione.

Fu assai apprezzato dai più famosi direttori d’orchestra (compreso Giacomo Puccini) e si esibì nei maggiori teatri d’Italia. Raggiunta una valida esperienza, fu lui stesso direttore d’orchestra in diverse stagioni liriche e vari teatri. Viaggiò in Europa ed in America, per conoscere le varie tradizioni musicali dei popoli.

Il suo nome è ancora noto negli ambienti musicali internazionali, per la sua copiosa produzione artistica: colonne sonore cinematografiche; 24 studi per pianoforte; concerti per violoncello ed orchestra; quartetti, trii e suite; una Messa solenne ed una Messa da Requiem. Numerosi gli attestati di riconoscimento per meriti musicali.

La sua produzione maggiore e più significativa riguarda la musica leggera e in modo particolare le sinfonie di colore, quali Tzigana, Valle nuova, Cavalcata aragonese, Sonata jazz, Suite ritmica ed altre di carattere spagnolesco: Cordobesita, Andaluz, Rio Tiato ed Alborada nueva. Dalla tessitura di quest’ultima sinfonia di colore, è nata “Granada”, la celebre e popolare canzone del maestro Agustin Lara.

Il maestro Escobar fu il primo tra i musicisti italiani negli anni dopo la guerra 1915-1918, a introdurre nelle sue composizioni e orchestrazioni le nuove forme musicali americane del genere ritmo sinfonico e da ballo.

Stabilitosi a Roma, il maestro saltuariamente tornava nella sua città natale con la madre Irene, proprietaria di fabbricati e terreni, a respirare l’aria natia, con la figlia Zanita, che studiò canto e si dedicò alla musica da camera ed operistica, e con il figlio Mario, celebre giornalista e letterato.

Escobar prese parte al Primo Festival della Canzone a San Remo, con la canzone dal titolo “Fronna sbattuta”, che ebbe un lusinghiero successo di critica e di pubblico. Giornali e riviste pubblicarono la sua interessante biografia.

Chi scrive, conserva registrate su nastro, le amene e piacevoli conversazioni con il musicista, ed suoi i racconti della movimentata attività artistica e familiare.

Si spense serenamente il 16 novembre 1973, ed il suo corpo riposa nella tomba di famiglia nel nostro Camposanto, dove estimatori, bandisti

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e concittadini, depongono saltuariamente un fiore alla sua memoria e Congiunti.

La Banda cittadina e la scuola di musica sono dedicate al suo celebre nome.

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BIOGRAFIA DELLA CANTANTE VIRGINIA COLOMBATIdi Sandro Sebastianelli

Nasce a Pergola il 22 luglio 1863, prole del cantante e violinista Pompeo e di Corti Anna. Discendente di una illustre famiglia di musicisti, viene avviata alla carriera artistica della lirica, essendo dotata di una voce eccezionale e attitudine alla recitazione. Sin da bambina, recita nel Teatro Angel Dal Foco con le sue coetanee, nel teatrino delle suore Orsoline, e nei ricevimenti di famiglie patrizie.

Nel 1881 debutta nel Teatro di S. Elpidio a mare, quale soprano leggero; nel 1886 si esibisce al Politeama di Genova; nel 1887 al Teatro Nuovo di Pisa; nel 1890 è richiesta a Londra per una intera stagione lirica; nel 1891 e 1892 è presente a Roma.

Di successo in successo, ritorna a Londra, poi in Russia, in Argentina e nell’isola di Malta, dove il celebre compositore Cesare de’ Lancellotti, le dedica una sua composizione. Saltuariamente, tra una trasferta e l’altra, la Colombati ritorna a Pergola dai suoi familiari: Francesco suo zio organista; Giacinto costruttore di organi, e mons. Giuseppe arciprete.

Grande successo la Colombati riporta al Metropolitan di New Jork, dove lascia le sue impronte, come altri artisti, nel museo dei medesimi. Il 30 dicembre 1908 sposa il magnate americano Jem Acunìa. Un altro ventennio e più di successi teatrali, e quindi l’amaro abbandono del palcoscenico per dedicarsi all’insegnamento.

Non avendo figli, trascorre qualche tempo con i nepoti a Grottamare, per ritornare definitivamente nella sua città natale dove muore il primo dicembre 1956. Alcuni suoi concittadini amanti della lirica, vanno a deporre saltuariamente sulla sua tomba, il fiore memore della gratitudine e riconoscenza. Chi scrive ha proposto alle Autorità comunali di dedicarle una via cittadina.

E’ superfluo aggiungere che furono molteplici i giudizi positivi sulle qualità canore e sceniche della Colombati, riportati su riviste e giornali europei ed americani.

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Altri pergolesi eminenti nel campo della musica sacra e lirica:- Alcuni Maestri di Cappella a Loreto ed Urbino.- Pompeo Colombati, cantante e violinista alla Scala di Milano.- Zeno Ginevri, primo violino alla Scala di Milano.- Aurelio Galli, primo violino al Teatro Regio di Torino.- Torquato Gentilini, noto suonatore di basso.

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D O C U M E N T I

Conservati da

SANDRO SEBASTIANELLI

Ispettore Onorario Beni Culturali

Socio Deputazione Storia Patria, Centro Studi Avellaniti,

Feretrani, Maceratesi, Malatestiani, Assoc. “Le Cento Città”

Istituto Naz. Risorgimento e Istituto Internaz. Studi Piceni.

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Omaggio ai cittadini di Cagli

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Omaggio ai cittadini di Cagli

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Indice

Dedica pag. 5

Proemio pag. 7

Sintesi delle vicende storiche di Pergola pag. 21

Il Teatro della Luna poi Angel Dal Foco pag. 47

Biografia Angel Dal Foco pag. 55

Biografia Adelelmo Bartolucci pag. 61

Biografia M° Giovanni Morandi pag. 63

Biografia M° Amedeo Escobar pag. 65

Biografia Soprano Virginia Colombati pag. 67

Documenti pag. 69

Indice pag. 105

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Sandro Sebastianelli

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