Il Sole news n. 31 - dicembre 2010

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News ll Sole Onlus è su Facebook… aggiungici tra gli amici! Periodico di solidarietà mondiale che racconta e rendiconta le attività in corso in Italia e nel Sud del mondo de “Il Sole” associazione per la cooperazione internazionale e le adozioni a distanza ONLUS. “Poste Italiane S.p.A - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (con. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2, DCB Como. Semestrale n. 31 - Dicembre 2010

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EDITORIALE - NOTIZIE DAI PAESI - FOCUS SUI PAESI - GLI IMPEGNI DE IL SOLE ONLUS - UN ANGOLO PER APPROFONDIRE - DIARI DI MISSIONE - CALENDARIO EVENTI - COSA STIAMO FACENDO - LETTURE CONSIGLIATE

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News

ll Sole Onlus è su Facebook… aggiungici tra gli amici!

Periodico di solidarietà mondiale che racconta e rendiconta le attività in corso in Italia e nel Sud del mondo de “Il Sole” associazione per la cooperazione internazionale e le adozioni a distanza ONLUS. “Poste Italiane S.p.A - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 (con. in L. 27/02/2004 n°46) art. 1, comma 2, DCB Como.

Semestrale n. 31 - Dicembre 2010

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Sommario EDITORIALE 3 Aprirsi al mondo

NOTIZIE DAI PAESI 4 Cambogia, Benin, India 5 Etiopia 6 Etiopia, Benin

FOCUS SUI PAESI 7 Reportage dal Benin 8 Storia dal Benin – Storia del mondo 9 Benin la terra del Vudù

GLI IMPEGNI DE IL SOLE ONLUS 11 Fiori che comunicano

UN ANGOLO PER APPROFONDIRE 13 Alcuni dati dal dossier: “Caritas/Migrantes, Africa – Italia. Scenari migratori” 16 Storie di migranti

17 ADOTTA UN BAMBINO A DISTANZA

DIARI DI MISSIONE 19 Pepe, dall’Etiopia in partenza anticipata…

21 IMMAGINI DELLA MISSIONE DI SETTEMBRE 2010 IN ETIOPIA

25 LAVORARE IN BENIN. INTERVISTA AD ELENA MELANI

CALENDARIO EVENTI ­ CAMPAGNE IN ATTO 26 Giornate Soleidali 27 Campagna di Natale 28 Prendi in prestito i libri della biblioteca de Il Sole Onlus!

29 COSA STIAMO FACENDO

30 LETTURE CONSIGLIATE

CONTATTI: Il Sole Onlus via L. Leoni, 20 – 22100 Como www.ilsole.org – [email protected] tel. 031 275065 – Fax. 031 2757275

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Vittorio Villa

Informarsi per conoscere, conoscere per ca­pire, capire per apprezzare, apprezzare per aprirsi. Quotidianamente. Al mondo, qua­lunque esso sia.Il Sole Onlus, il nostro Sole, il vostro Sole ci prova, si mette in gioco per aprirsi. Tutti i giorni si apre all’Etiopia, al Burkina Faso, all’India, allo Sri Lanka e recentemente al Benin e alla Cambogia. Paesi nuovi, scono­sciuti fino a quando non abbiamo iniziato ad informarci, a conoscere, a capire, ad ap­prezzare.Ci si apre per apprezzare i vari Paul, Blaise, Dawi, Jagadeesh, Antoinette, giovani e adulti che conosciamo da anni. Ci si apre per ap­prezzare Addis Abeba, Ougadagou, Prod­datur, Colombo e anche Cotonou e Phnon Penh.La solidarietà intesa da Il Sole Onlus è pro­prio questo: apprezzare. Apprezzare non a senso unico, mossi da pietismo, ma apprez­zare consapevoli che solo apprezzando ci si può mettere in gioco fino al punto di con­trastare le storture del mondo al quale ci si è aperti. Alganesh, Pauline, Vihjani, Michelle, sono solo dei piccoli esempi, viventi, di come le storture del mondo siano più vicine di quanto pensiamo.Questi nomi rappresentano l’evidenza che il mondo al quale ci siamo aperti non sem­pre funziona: violazioni dei diritti dei bambini, sono storture da combattere. Ma per combat­tere occorre conoscere, capire, apprezzare e soprattutto aprirsi con gli occhi ingenui e in­nocenti dei bambini.Il Sole ha questo approccio in Etiopia, Burki­na, India, Sri Lanka, Benin, Cambogia e in tutti gli altri Paesi in cui non interviene, ma nei quali si registrano violazioni dei diritti dei bambini molto evidenti. Aprirsi al (terzo) mondo è questo, è capire, è

conoscere realtà lontane, in termini di tempo e spazio, anni luce, è testimoniare bello e brutto del (terzo) mondo.E in Italia?In Italia è la stessa e identica cosa.Sofia, Salvatore, Carlo, Rosalba, Salvo, Da­lila, Dario, Chiara sono persone che ci stan­no aiutando ad aprirci al (primo) mondo, il nostro.Da sempre il nostro motto è: “il 50% del nos­tro lavoro è la, il 50% qua”.Individuare il là, per noi è semplice. Là è ovunque ci sia una violazione dei diritti dell’Infanzia. E qua?Qua è ovunque ci sia la possibilità di sensi­bilizzare e promuovere la tutela dei diritti dei bambini dimenticati, violati, abusati, sfruttati.Qua è ovunque Il Sole Onlus possa ado­perarsi per informare, per far conoscere, per far capire, per far apprezzare alle persone del nostro mondo ciò che succede nel terzo mondo.Qua è ovunque ci si possa aprire per aprirsi al mondo.È un luogo della mente, ma è anche un luogo fisico, reale e concreto.Qua è l’insieme dei nostri sportelli opera­tivi di Torino, Rescaldina, Jesolo e Palermo. Luoghi da conoscere, capire e apprezzare affinché la nostra opera di sensibilizzazione e promozione si possa diffondere in maniera capillare.Qua è l’insieme formato da Sofia, Salvatore, Carlo, Rosalba, Salvo, Dalila, Dario, Chiara e da tutti quelli che vogliono unirsi a noi per dar voce e forza ai diritti dei bambini del mondo. Di tutto il mondo, dei bambini là e dei bam­bini qua.Qua e là, sono due facce della stessa me­daglia che hanno un solo ed unico scopo: aprirsi al mondo.

Aprirsi al mondo

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Notizie dal MondoCAMBOGIA Povertà16/09/2010Operai protestano a Phnom Penh

A Phnom Penh, in Cambogia, gli operai del set­tore dell’abbigliamento chiedono l’aumento dei salari. Guadagnano 61 dollari al mese.

Fonte: www.Internazionale.it

BENIN Istruzione14/09/2010La scuola non è ricominciata per i bambini ‘vidomegons’

Sono figli di famiglie povere, vengono comprati dai ricchi che li fanno lavorare duro anziché mandarli a lezione. Nell’antica tradizione del Benin i ‘vidomegons’ erano i ragazzi mandati a studiare in città presso i parenti più benestanti, che provvedevano al loro sostentamento e li mantenevano agli studi. Oggi l’antica pratica si è però trasformata in un mercato: i bam­bini vengono rapiti o comprati da intermediari senza scrupoli con cifre che vanno dai 10 ai 40 euro, spesso raggirando i genitori con false promesse.Sono 150mila ogni anno i minori che finiscono a lavorare nelle abitazioni dei ricchi, nei mer­cati, nelle cave di pietra o nelle piantagioni di Nigeria, Togo e Costa d’Avorio venendo strap­pati alla scuola e alle famiglie, spesso mal­trattati e abusati. I piccoli non sono registrati all’anagrafe e una volta venduti è impossibile ritrovarli. Spesso inoltre le bambine subiscono matrimoni forzati combinati dalle famiglie a loro insaputa, costrette a essere spose bambine e a lavorare a casa di chi le ha acquistate.

Fonte: www.vita.it

INDIA Infanzia17/09/2010 La mortalità infantile è in calo, cruciale è il ruolo delle donne

Dal 1990, la mortalità infantile è diminuita di un terzo con 8,1 milioni di decessi nel 2009 in­vece dei 12,4 milioni di casi registrati quasi 20 anni prima, anche se tassi elevati perdurano in alcuni paesi dell’Africa sub­sahariana, in par­ticolare Nigeria e Repubblica democratica del Congo. I dati sono contenuti nell’ultimo rappor­to stilato dal Fondo Onu per l’infanzia (Unicef) che prende in considerazione i casi di mortalità infantile dalla nascita fino ai 5 anni di età. No­nostante passi avanti significativi, con 12.000 bambini salvati ogni giorno, sono ancora in 22.000 a morire quotidianamente e nel 70% dei casi si tratta di piccoli sotto l’anno di vita. In coda alla classifica ci sono i paesi dell’Africa sub­sahariana, dove un bambino su otto non riesce a raggiungere i 5 anni di età, ma anche India, Pakistan e Cina. L’Unicef sottolinea che si è ancora lontani dalla riduzione dei due terzi del tasso di mortalità infantile auspicata dagli Obiettivi del Millennio adottati nel 2000. Secon­do la prestigiosa rivista medica britannica The Lancet, i progressi più significativi vengono registrati laddove il settore sanitario pubblico è in rapida espansione così come l’accesso a programmi di assistenza nutrizionale, vacci­nazione, acqua potabile e vitamine. Inoltre, a giocare un ruolo determinante in difesa della salute dei bambini è la figura materna: si stima che nel 2009 le giovani donne con livelli minimi di istruzione sono riuscite a salvare più di 4 mi­lioni di vite.

Fonte: www.misna.org

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ETIOPIA Politica7/10/2010

Liberazione di Birtukan Mideksa, opposi-trice del governo incarcerata per le proteste contro i risultati elettorali

È rientrata nella sua abitazione dopo 646 giorni di carcere, oltre 200 dei quali passati in isola­mento, Birtukan Mideksa, carismatica presi­dente del partito di opposizione ‘Unione per la democrazia e la giustizia (Udj)’, oggetto di una grazia del presidente Girma Woldegiorgis, che ha dato il via libera alla sua scarcerazione. La notizia, annunciata dalla televisione di stato, ha fatto il giro di Addis Abeba in poche ore e oggi è sulla bocca di tutti. La giovane oppositrice, di appena 36 anni, soprannominata la ‘Aung San Suu Kyi etiopica’ era stata condannata insieme ad altri esponenti dell’opposizione, giornalisti e attivisti, dopo le proteste contro i risultati eletto­rali del 2005, durante le quali 187 manifestanti e almeno sei poliziotti furono uccisi. Nel 2007 ottenne il perdono e fu rilasciata, come molti altri, dopo aver firmato una lettera di scuse. Nel 2008, Birtukan – un ex giudice federale ­ parlò a un incontro pubblico delle negoziazioni per il suo rilascio. Dopo aver rifiutato di ritrattare le sue affermazioni, fu arrestata di nuovo e la sentenza originale ripristinata. “Nonostante l’entusiasmo, in pochi ritengono che la sua scarcerazione lasci presagire un ammorbidi­mento delle posizioni del governo di Meles Zenawi sull’opposizione – osserva la fonte – e anzi, i critici sostengono che questo rilascio sia un’operazione ‘di facciata’ per riparare ai danni d’immagine subiti dal regime negli ultimi mesi”. La liberazione di Birtukan avviene all’indomani dell’insediamento del primo ministro Zenawi per un nuovo mandato quinquennale, dopo una vittoria schiacciante e molto contestata alle passate elezioni nel mese di Maggio. Anche se adesso le tensioni dei mesi scorsi, collegate all’appuntamento alle urne si sono affievolite “le comunicazioni e la connessione ad Internet restano sempre problematiche, e

il governo controlla qualsiasi tipo di collega­mento con l’estero”, negli ultimi mesi il governo ha raddoppiato la stretta sulle voci dissidenti “anche in seguito ad un’ondata di aumenti dei prezzi di generi di prima necessità come farina, pane e carburante, che hanno provocato dif­fuso scontento tra la popolazione”. Nel giro di una settimana “la benzina è aumentata di un Birr e mezzo (circa cinque centesimi di euro), e la farina di due Birr – aggiunge ­ cifre che pesano sull’economia delle famiglie etiopi”. Una situazione, complessa quella nel paese, considerato tra i più stabili alleati del Corno d’Africa nella lotta contro il terrorismo interna­zionale e l’insurrezione antigovernativa che da mesi cinge d’assedio il governo di transizione nella vicina Somalia. “Se Birtukan riuscirà a far cambiare le cose, il cammino dell’Etiopia sarà comunque lungo – conclude – ma la sua scarcerazione è un primo passo nella direzione giusta”.

Fonte: www.misna.org

Notizie dal Mondo

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ETIOPIA Politica5/10/2010

Meles Zenawi si insedia per un altro man-dato di 5 anni come Primo ministro

Si è insediato per un ennesimo mandato di cinque anni il primo ministro Meles Zenawi, da 19 anni alla guida del paese. Davanti alle due camere del Parlamento di Addis Abeba, Zenawi ha giurato fedeltà alla Costituzione, mentre è stato eletto il nuovo presidente del Parlamento, Abadula Gemeda, alleato del pri­mo ministro. L’insediamento di Zenawi fa se­guito alle elezioni del Maggio scorso, vinte con una schiacciante maggioranza ­ oltre il 99% dei voti ­ dal suo partito, il Fronte democratico e rivoluzionario del popolo etiopico (Eprdf). Nato nel 1955 nella provincia settentrionale del Ti­gray, Zenawi è stato un esponente di spicco del ‘Fronte di liberazione dei popoli del Tigray’ (Tplf), uno dei movimenti armati che rovesciò il dittatore Mengistsu Haile Mariam nel 1991. Presidente del governo di transizione fino al 1995, Zenawi fu eletto primo ministro lo stesso anno, e da allora accumula mandati quinquen­nali. L’opposizione politica, molto debole no­nostante il regime sia multipartitico, denuncia da anni pressioni, intimidazioni e frode eletto­rali.Fonte: www.misna.org

BENIN Povertà26/10/2010

L’alluvione dimenticata, in Benin 50mila case distrutte

710.000 dollari, pari a circa un dollaro per persona colpita, questa è la proporzione dell’impegno umanitario attuale della comunità internazionale per il Benin.Da settimane l’intera area dell’Africa occiden­

tale è stata caratterizzata da violente precipi­tazioni, che però hanno colpito con particolare gravità il piccolo Benin. Cotonou, è interamente sott’acqua e migliaia di ettari di produzioni agri­cole sono a loro volta sommerse, con un grave rischio per l’economia del paese. 56 persone hanno già perso la vita e 50.000 case sono an­date distrutte in quella che viene ricordata come la peggiore inondazione da oltre cinquant’anni.Ma al momento il pericolo maggiore sembra venire dal colera che è già stato registrato in oltre 800 casi, e che potrebbe rapidamente es­pandersi a macchia d’olio in assenza di ade­guati sistemi di potabilizzazione dell’acqua.Intanto gli aiuti della comunità internazionale, come recentemente avvenuto in Pakistan, re­stano a livelli bassissimi. Catastrofi al rallen­tatore come questa non sembrano infatti stuz­zicare l’attenzione dei media e della politica, restringendo di conseguenza le disponibilità economiche per le organizzazioni umanitarie impegnate nella risposta. Al momento solo la Germania e l’Inghilterra hanno riportato con­tributi all’appello delle Nazioni Unite.Sul blog della Banca Mondiale l’inviato in loco Daniel Sellen scrive: “A poche settimane dal raccolto le inondazioni non potevano scegliere un periodo peggiore per la produzione agricola, il fiume Ouemè è straripato al punto di rendere impossibile distinguere il suo letto originario”.Nelle prossime settimane si aspettano nuove piogge, è indispensabile che questa volta, di­versamente da quanto avvenuto in Pakistan, la comunità internazionale risponda prima che anche questa inondazione vada a perdersi in un oceano di indifferenza.

Fonte: www.repubblica.it

Notizie dal Mondo

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Reportage dal BeninL’impatto visivo è formidabile: una distesa di quasi venti ettari di terreno punteggiata da ban­carelle, carretti, verdure, frutta, tuberi, sementi, abiti usati e ogni altro genere di merci avvolti in un chiasso infernale e in un odore pungente di spezie e materiale organico in decompo­sizione.Siamo a Cotonou, città del Benin, e il magma vivente nel quale stiamo per addentrarci è il mercato di Dantokpa, il più grande di tutta l’Africa Occidentale. Dicono sia frequentato ogni giorno da almeno un milione di persone, e non si stenta a crederci.Qui l’economia del paese prende corpo, si ma­terializza. Qui si svolgono milioni di traffi ci com­preso quello più odioso, la tratta dei bambini. Secondo le Nazioni Unite il Benin ha un primato di cui non andare fi ero: almeno quaranta mila minori vengono venduti come schiavi e le storie che si raccolgono sono toccanti. Desirèe oggi ha quattordici anni e ha una esperienza agghiac­ciante di schiava bambina. La racconta con un fi lo di voce, gli occhi bassi e il viso nascosto dalle treccine, come se facesse fatica a rievo­carla. Quando di anni ne aveva undici fu affi data dai genitori ad una co­noscente, che promise di portarla nella capitale per farla studiare e poi trovarle un lavoro. Per la famiglia numerosa era un affare: una bocca in meno da sfamare e una chance per una delle fi glie, che altrimenti non avrebbe avuto nessuna possibilità di lascia re il villaggio e costruirsi una vita propria. Ma le cose non andarono così. Il giorno stesso in cui fu prelevata, Desirèe fu portata a Dantokpa e poi a Porto Novo, capitale del Benin, sulla fron­tiera con la Nigeria. La conoscente le mise in mano alcuni pacchetti di biscotti e le disse di passare la dogana senza voltarsi indietro, lei eseguì e si ritrovò in un paese straniero, senza identità e alla mercé di una banda di traffi canti che la fecero lavorare in condizioni di schiavitù per due anni nei campi. Poi l’anno scorso fu trovata abbandonata a Porto Novo traumatiz­

zata, incapace di parlare e con il corpo pieno di bruciature di sigaretta. Forse uno scambio andato male o un trasferimento fallito, con la polizia alle calcagne.La storia di Desirèe è una delle tante e le des­tinazioni di questi bambini sono le più svariate. Oltre al lavoro nell’agricoltura molti vengono impiegati come bambini­soldato, altri fi niscono nell’ambito della prostituzione, o, ancora, nel lucroso settore delle adozioni, ovviamente non in Europa o Nord America dove i controlli sono ferrei. A fare del piccolo Benin un paese leader in questo traffi co concorrono diversi fattori. Innan­zi tutto la collocazione geografi ca e l’assoluta permeabilità dei confi ni. Sulla frontiera ad est c’è il gigante Nigeria, patria di tutti i traffi ci e di ogni scambio clandestino e illegale. Ad Ovest, a pochissimi chilometri, c’è un’altra frontiera, quella con il Togo e subito dopo quella del Ghana. Tre frontiere in successione dominate dalla corruzione dalle quali passano ogni gior­no merci per un valore incalcolabile, anche la

merce umana, all’alba del terzo millennio. A complicare il tutto c’è il fatto che il Benin è un paese anomalo, che vive esclusivamente di com­mercio e che non ha un settore agricolo. La cosa

salta all’occhio se si viaggia nell’entroterra, ver­so le città dell’altopiano di Atakorà, in direzione delle frontiere a nord con il Burkina Faso e il Niger. Il paesaggio è quello africano, piccoli vil­laggi, nugoli di bambini che scorrazzano sulla terra rossa di questa parte di continente, ma mancano i campi coltivati. È forse anche per questo che Cotonou è una città caotica, che ospita quasi un quarto dei cir­ca sette milioni di abitanti di tutto il paese. Una città dominata dai motorini, che invadono le strade come fossero sciami di mosche. Anche in questo si vede la vocazione commerciale di questo paese: su questi motorini passa buona parte dell’economia dato che trasportano di tutto e almeno la metà sono moto­taxi capaci di

Qui l’economia del paese prende corpo, si materializza. Qui si svolgo-no milioni di traffi ci compreso quello più odioso, la tratta dei bambini.

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caricare anche due passeggeri e un bambino.In fatto di vocazioni il Benin ne ha una che arri­va dalla storia. Ai tempi dello schiavismo erano quattro le vene aperte che hanno dissanguato l’Africa: l’isola di Gorèe, in Senegal, Cape Cost, nel vicino Ghana, la città di Pointe Noire, nel Congo Brazzaville e, appunto Ouidah, porto sulla costa del Benin. Da qui vennero imbarcati centinaia di migliaia di schiavi catturati nell’entroterra dai sovrani del sanguinario Regno del Dahomey che poi li vendevano ai traffi canti portoghesi, spagnoli, francesi, danesi e inglesi.

Oggi è cambiato tutto e il Regno del Dahomey non c’è più, il paese ha cambiato nome in Be­nin, la schiavitù è stata abolita per legge, ma

quella odiosa forma di commercio di esseri umani non è ancora scomparsa del tutto.

Raffaele MastoGiornalista e scrittore. Lavora nella redazione esteri di Radio Popo-lare. È stato inviato in Medio Oriente, America

Latina ma soprattutto in Africa. Sui suoi viaggi in questo continente ha scritto diversi libri per Sperling & Kupfer. Tra gli altri “In Africa” (2003) e “L’Africa del Tesoro” (2006)

Raffaele Masto

Dal Togo alla Nigeria, passando per il Benin, si estende quella che veniva chiamata la “Costa degli Schiavi”. Cuore pulsante del commercio negriero in questa regione era la città costiera di Ouidah, in Benin, 42 chilometri a ovest della capitale economica Cotonou, un luogo impre­gnato di storia e di spiritualità vudù (la religione locale).A Ouidah è possibile percorrere un breve iti­nerario che rievoca la strada battuta dagli schia vi per raggiungere le navi negriere che li attendevano ancorate al porto. Qui – come in altre città interessate dalla tratta – si trova la Porta del non ritorno, un arco monumentale che evoca la tragedia della tratta. La porta è rag­giungibile percorrendo la strada principale che collega il centro cittadino all’oceano. Il percorso corrisponde esattamente al cammino – lungo circa quattro chilometri – calpestato per secoli da migliaia di africani, catturati e incatenati. Lungo il tragitto si incontra l’Albero dell’oblio, attorno al quale venivano trascinati gli schiavi affi nché dimenticassero il loro passato di uo­mini liberi (qui, in catene facevano nove volte il giro attorno all’albero per dimenticare le loro origini, i loro ricordi, le loro radici). Venivano

condotti poi alla Casa Oscura nel quartiere Zo­mai, dove venivano tenuti per settimane intere, nel buio e in catene, in attesa dell’arrivo delle navi negriere. Questa pratica aveva il duplice scopo, da una parte abituarli al buio della stiva della nave, dall’altra di creare un disorienta­mento fi sico e psicologico nell’animo dei po­veretti in catene. A Ouidah, due isolati a est del mercato, si trova inoltre il Museo di storia, crea­to all’interno di un vecchio forte portoghese, ben restaurato, dove si può rivivere la storia di quel terribile traffi co umano.

Storia dal Benin – Storia del Mondo

Oggi è cambiato tutto e il Regno del Dahomey non c’è più, il paese ha cam­biato nome in Benin, la schiavitù è sta­ta abolita per legge, ma quella odiosa forma di commercio di essere umani non è ancora scomparsa del tutto.

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Mi trovo in un minuscolo villaggio al centro del Benin. Le poche capanne di fango e paglia sono posizionate attorno ad una piccola ca­panna circolare. Vi sbircio dentro. Al centro c’è un montarozzo di terra con diversi oggetti informi, di materiale ferroso, appoggiati sopra. La mia curiosità non passa inosservata. Un giovane, guardandomi viene verso l’uscio della capanna. Si toglie le infradito ed entra. Inginoc­chiatosi innanzi a quel cumulo di fango prende una campanella posta accanto. Con delicatez­za la percuote ed assieme al tintinnio sussurra qualcosa. Si direbbe una preghiera. Dopo un po’ mi guarda e mi sorride. Mi fa segno di avvicinarmi: non posso entrare ma mi indica, la macchina fotografi ca e annuendo col capo mi fa intendere che posso scattare qualche foto. Ha prima chiesto il permesso agli spiriti e loro glielo hanno accor­dato. Quella è la casa del Vudù del villaggio. Il Vudù che protegge l’attività del fabbro. Ed il giovane sorridente è il “fabbro­sacerdote”. Mi mostro onorato – e lo sono davvero – per tale concessione e dopo le foto mi inchino, in segno di gratitudine, sia al Vudù che al giovane.Ho visto in diversi altri villaggi e città del Benin, turisti dallo “scatto selvaggio”, venire insegui­ti con sassi e bastoni, proprio per non avere avuto la delicatezza di attendere il permesso di fotografare i sacri luoghi.Questa terra è la madre del Vudù, la cui parola signifi ca “mistero”, “nascosto” e non indica la pratica di infi lzare, con spilli e chiodi, pupazzetti antropomorfi zzati, come certa letteratura, o fi l­mografi a, ci ha fatto credere, ma è la religione di questa parte dell’Africa. Ogni angolo del Be­nin ci parla di riti, di fede, di magia, di sacrifi ci,

di anime, di avi e di aldilà. Una religione che esalta i propri defunti che vivono in un aldilà molto vicino all’aldiquà. Che sono il ponte tra la terra ed il cielo, tra il visibile e l’invisibile. Ogni città, ogni villaggio, ogni casa, ha il suo Vudù protettore, a cui chiedere di intercedere presso l’Entità Suprema (Mawu) per ricevere protezione, fortuna, salute, ricchezza, amore. E il Vudù può assumere diverse forme: un vaso, un cumulo di fango, un pupazzetto, dentro cui alberga lo spirito. Lo spirito non può che essere rispettato, venerato e non va irriso. Fotogra­

fare senza chiedere permesso è mancare di rispetto e, forse, la foto depotenzia le capacità magiche.Con i miei compagni di viaggio risaliamo il fi ume con la piroga. Incrociamo decine di altre imbarcazioni lo­cali. Gli uomini pescano o raccolgono la sab­bia dal fondo da riven­dere ai costruttori sulla riva della terra ferma. Nelle barche dove ci sono bambini e donne, questi si appiattiscono sul fondo e si coprono

con le loro stoffe, un po’ per pudore, un po’ per paura e un po’ per non farsi fotografare. Poco distante dal villaggio di Agueguè ci rechiamo presso un’isoletta. Vi si accede con diffi coltà. Tutt’attorno c’è una vegetazione alta e fi tta. Molto prima di toccare terra incontriamo un ingorgo di altre piroghe. Si stanno dirigendo tutte nella stessa direzione. Siamo costretti a scendere in acqua. Il fondo, che non si vede, è limaccioso e scuro. Le scarpe le lasciamo sulla piroga perché sull’isola c’è la foresta sacra e la si percorre solo a piedi nudi. Abbiamo una guida d’eccezione: un omino dal sorriso fi sso su un faccino simpatico, tutto vestito di bianco che qui è considerato il Re della foresta sacra.

Benin la terra del Vudù

Questa terra è la madre del Vudù, la cui parola signifi ca “mistero”, “nascos­to” e non indica la pratica di infi lzare, con spilli e chiodi, pupazzetti antropo­morfi zzati, come certa letteratura, o fi lmografi a, ci ha fatto credere, ma è la religione di questa parte dell’Africa. Ogni angolo del Benin ci parla di riti, di fede, di magia, di sacrifi ci, di anime, di avi e di aldilà. Una religione che e salta i propri defunti che vivono in un aldilà molto vicino all’aldiquà. Che sono il ponte tra la terra ed il cielo, tra il visibile e l’invisibile.

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Per questo motivo l’atteggiamento degli uomini che incontriamo è sorridente ed accogliente. Questi balzano agili dalle loro barche facendo ondeggiare i loro vestiti leggeri, quasi tutti bian­chi. Dopo qualche decina di metri, percorsi con l’acqua sino alle cosce, tocchiamo terra e lì ci viene incontro una vecchina, dagli abiti vario­pinti, con un vaso in mano, nel quale, con un rametto, intinge ed asperge, su di noi, un li quido benedicente. Echeggiano urla, cantilene e ritmi di tamburo. Ci inoltriamo nella foresta sacra e ci vengono incontro una dozzina di donne, ves­tite come quella più anziana. Ci accolgono (ve­ramente accolgono il loro Re, e noi al se guito), quindi voltatesi ci precedono danzando e ci fanno strada verso una radura. Lì si fermano e fanno ala. Noi passiamo nel mezzo e ci acco­modiamo, per terra, in fondo. Al Re viene porta­ta una poltrona. Ancora soavemente sorride. Si siede. Cambia il ritmo dei tamburi e delle danze. Dal folto della foresta spuntano una decina di uomini con asce e bastoni in mano. Mimano atteggiamenti mi nacciosi. Qualcuno regge una torcia. Capriole e piroette e poi, tutti a sfregarsi il corpo col fuoco, tra gli applausi e le risa della gente attorno. Il Re guarda benevolo e fa cenni di approvazione con la mano. Finita l’esibizione in onore del re, gli uomini vestiti di bianco si dis­pongono ad ala dietro le donne e fanno ingres­so tre distinti signori. I vestiti ed i copricapo vis­tosi e dai colori sgargianti. In mezzo alla radura vi sono decine di anfore di terracotta e diverse statuette fatte di rami, fango e pezzi di mate­riale ferroso. Gli ultimi arrivati sono sacerdoti. Lo sguardo è fiero e il portamento altezzoso. Non incrociano lo sguardo di nessuno, tranne quello del Re a cui concedono però cenni di riverenza e di onore. Si seggono in prossimità delle anfore. Sono i Vudù che a bitano la foresta sacra. Uno dei sa cerdoti prende una bottiglia, la porta alla bocca e prende un grosso sorso del liquido lì contenuto, dopodiché lo spruzza, dalla bocca stessa, sui Vudù innanzi. Ripete il gesto sino a che ogni vaso ed ogni “scultura” sia stato bagnato. Lo stesso ripeteranno gli altri sacerdoti. Un brindisi con gli spiriti, con gli avi defunti, con le divinità e anche un po’ con me ed i miei compagni, perché ogni volta che sputano investono anche noi con un po’ di

benedizione. A quel punto il Re, con un gesto misurato richiama l’attenzione dei sacerdoti e poi indica il nostro gruppo. Fa cenno di andare avanti, verso il centro. Mi accorgo che tutti gli sguardi sono su di me. Mi stanno invitando a partecipare. I miei compagni sono sollevati dalla scelta. Qualche perplessità mi sfiora, ma la ricaccio immediatamente. Mi alzo tra urla ed acclamazioni degli astanti. Un sacerdote colma un bicchiere del liquido dalla bottiglia e me lo porge. Lo agguanto con atteggiamento solenne e lo sollevo, alla occidentale, verso tutti i pre­senti. Dopodiché, ancor più ispirato, mi volgo verso gli spiriti. Alzo il bicchiere verso di loro e bevo in un sol colpo, avendo cura di lasciare un po’ di liquido sul fondo. Così, con ancora maggiore solennità, lascio cadere il contenuto rimasto sui Vudù. Attorno a me urla ed appro­vazione. Seguito da sguardi sorridenti torno al mio posto e mi seggo e soltanto lì mi arriva un colpo al petto, ma dall’interno, come di ma­chete, che mi squarcia le viscere. Solo dopo

SottoTraccia

È una pubblicazione semestrale di taglio interdisciplinare sulle tematiche del sociale diretta da Salvatore Inguì e Rosalba Ro-mano.Nata da un progetto maturato negli anni da due esperti professionisti del sociale, Sot-toTraccia, è una rivista sui saperi e percorsi sociali che raccoglie contributi di professio­nisti ed esperti di tutte le discipline e materie insistenti in tale ambito, per dare un con-tributo di studio e di ricerca nonché spunti di approfondimento sui problemi quotidiani della persona.Ogni numero è aperto a quanti desiderano collaborarvi e si avvale di contributi interni ed esterni: nessuna presunzione di poter fare da soli, ma anzi ci auspichiamo il con-tributo di altre esperienze, di altre scienze, di altri saperi. SottoTraccia è inoltre una gal-leria fotografica che accosta immagini e pa-role, trattando temi da attingere nei circuiti ai molti “invisibili” perché paralleli a realtà più in voga.

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Fanno notizia i bambini del Sud del mondo? Fanno notizia i bambini etiopi abusati sessual­mente, seguiti dal counseling center de Il Sole Onlus? Può sembrare una domanda cinica, e forse lo è in questi termini, ma è questa la sfi da principale dell’attività di comunicazione e uffi cio stampa che ho avviato da poche settimane per il sodalizio comasco. L’obiettivo della colla­borazione professio­nale tra me e Il Sole Onlus è appunto l’avvio dell’uffi cio stampa della Ong, ini­ziando un percorso di comunicazione con­tinuativa con i media locali e nazionali.La sfi da è duplice: comunicare il non profi t non è sempre facile, perché gli spazi sono ridotti e l’interesse spesso non è molto; comunicare una realtà non profi t come Il Sole Onlus, che non è «un’azienda della cooperazione» e si occupa di tematiche molto delicate può rappresentare un ulteriore livello di complessità. Ciò detto, come professionista e come persona attenta alle realtà del Terzo set­tore, ho accettato la sfi da: mi occupo di comu­nicazione da quasi dieci anni, come giornalista

pubblicista e redattrice prima e come addetta stampa poi. Conciliare il mio lavoro con il mio in­teresse per la cooperazione, per i rapporti Nord – Sud del mondo, per le pratiche verso un altro mondo possibile è sempre stata una priori tà. E dei progetti de Il Sole Onlus sto cercando di comunicare proprio questo: non si fa carità, si

danno strumenti, non ci si limita ad aiutare “qui e ora” ma si lavora per un futuro migliore, nei vari Paesi in cui si opera. Il tutto con strategie basate sulla partecipa zione e sulla trasparenza: valori non sempre, purtroppo, ri­spettati da alcune re­altà non profi t, anche

più grandi e “visibili” de Il Sole. Quando si fa cooperazione, insomma, non è importante a mio avviso solo il risultato: è importante anche come lo si raggiunge. Sto comunicando ai media i contenuti dei sin­goli progetti, con un’attenzione particolare alla campagna per il sostegno a distanza che riguarda Fiori che rinascono, il progetto attivo in Etiopia, di supporto e aiuto a bambini vittime di violenza sessuale. L’interesse dei miei in­

Fiori che comunicano

Comunicare il non profi t non è sempre facile, perché gli spazi sono ridotti e l’interesse spesso non è molto; comu-nicare una realtà non profi t come Il Sole Onlus, che non è «un’azienda della co­operazione» e si occupa di tematiche molto delicate può rappresentare un ulteriore livello di complessità.

saprò che si chiama Soka­be, ed è il distillato del cuore di palma. Rimango dignitosamente impassibile. Il rito continua. Adesso attorno è tutto silenzioso. Non più urla, né tamburi, né battiti di mani. La scena è tutta di un sacerdote che indugia tra i Vudù. Gli parla. Tra le mani tiene un’anfora che dopo avere scossa capo­volge tra i feticci. Ne escono dei sassolini co­lorati. Il silenzio adesso è tombale. Il sacerdote curvo, immobile. Lentamente fa scorrere i suoi occhi su quei sassi. Tutto trattiene il respiro. Fi­nalmente si erge verso la folla dallo sguardo interrogativo e lentamente parla. Si levano urla di giubilo. Gli spiriti hanno accettato l’offerta ed il responso dell’oracolo è che avremo tutti buo­

na fortuna, buona sorte e benedizioni, tante. E via di nuovo canti e danze ed esibizioni di de­strezza. Alla fi ne, a noi bianchi, viene richiesto un obolo. Non ci penso due volte a lasciare loro un regalo: non c’è prezzo per la partecipazione ad un rito dal quale ritorni a casa carico di for­tuna, salute e benedizione.

Salvatore Inguìcoordinatore di “Libera, nomi e numeri contro le mafi e”, ma anche direttore del semestrale SottoTraccia, che affronta tematiche sociali e assistente sociale da sempre impegnato, per conto del Ministero della Giustizia nel reinseri-mento e nel recupero dei giovani più disagiati.

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terlocutori – giornalisti di periodici, settimanali, quotidiani della carta stampata, dal livello lo­cale a quello nazionale, cronisti delle agenzie di stampa e redattori di radio e tv, oltre che di varie testate on line – è crescente: sono so­prattutto le “storie” delle persone, dei bambini aiutati dal Sole Onlus a catalizzare l’attenzione. Le splendide fotografie dei progetti, i video, le testimonianze dirette suscitano l’interesse di tutti, e i giornalisti non sono una “categoria” più insensibile delle altre…Riuscire a “confezionare” queste storie nel modo più efficace possibile, renderle vere e proprie notizie, con modalità che variano a se conda delle esigenze e del tipo di media al quale ci si rivolge, è il mio compito, nonché la chiave di volta per rendere migliore la comuni­cazione di una Ong verso i media.Lo scopo insito in questo lavoro è quello di ac­creditarsi sempre di più come voce autorevole in materia di cooperazione, di aiuti, di tutela dei diritti dei minori e dei diritti umani in genere. È un percorso appena iniziato, ma già entusias­mante.E lo è non solo per la bontà reale, tangibile, dei progetti de Il Sole, per i bambini dalle storie

orribili, che fanno male solo ad essere lette sui dossier preparati dai referenti dell’associazione. Lo è anche perché si respira un clima di sentita collaborazione tra tutti, di calore e accoglienza, di ascolto, soprattutto, delle opinioni di tutti e di decisioni partecipate: non tutta la cooperazione è uguale, la cura delle piccole cose, “come” una Onlus si comporta con i propri interlocu­tori, inclusi i propri collaboratori, possono es­sere un buon metro di giudizio per valutare il lavoro dell’associazione stessa.Quanto a me, mi auguro di contribuire all’affermazione e al successo delle attività de Il Sole Onlus. Con un occhio sempre forse un po’ cinico – deformazione professionale, ca va sans dire – ma con la consapevolezza che tanti vorranno e potranno raccontare, ognuno con i suoi mezzi, con linguaggi e ottiche diversi, le tante esperienze legate a questa Ong. Per­ché, come diceva uno dei più grandi maestri del giornalismo, Ryszard Kapuscinski, «i cat­tivi non possono essere buoni giornalisti. Solo l’uomo buono cerca di comprendere gli altri, le loro intenzioni, la loro fede, i loro interessi e le loro tragedie. E di diventare subito, fin dal primo momento, una parte del loro destino».

Barbara Battaglia

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Pesano sul presente dell’Africa le gravi eredità del suo passato, a partire dal traffi co degli schia vi, i cui effetti non sempre sono stati presi in considerazione. Lo storico africano Joseph Ki­Zerbo ha stimato che siano stati più di 30 milioni gli africani ridotti in schiavitù e deportati fuori dal continente: un terribile impoverimen­to. Dopo è venuto il colonialismo, con le sue pesanti conseguenze e, infi ne, il neocoloniali­smo. La disuguale distribuzione delle risorse pone il 90% delle strutture produttive in mano a un sesto della popolazione mondiale, mentre quasi la metà della popolazio­ne africana è povera e sottoalimentata. L’area subsahariana, dove è concentrato circa un ot­tavo della popolazione della Terra (più di 800 milioni di persone), dis­pone solo del 2,1% della ricchezza mondiale con un reddito pro­capite circa 20 volte inferiore a quello dell’UE. La disoccupazione giovanile arriva al 60% e l’agricoltura rimane l’attività principale (70% degli occupati). La Nigeria è un esempio signifi cativo di una situazione contraddittoria, in cui la ricchezza potenziale è associata alla povertà di fatto. Si continua a parlare di prospettive di miglio­ramento ma, come osservato dal Sinodo dei Vescovi africani, permane una collocazione al margine dello scenario socio­economico mondiale sotto il peso di ingiustizie e sfrutta­mento, ma anche di malgoverno e corruzione, nonostante sia passato mezzo secolo dal 1960, l’anno simbolo dell’indipendenza africana.

Migrare per crescereLa migrazione rientra nelle strategie di soprav­vivenza dei singoli e nelle strategie di sostegno alla crescita dei Paesi africani. Nel 2009 l’Italia non è arrivata a versare neppure lo 0,2% del

proprio Pil (320 milioni di euro) per la coopera­zione allo sviluppo. Le migrazioni, sia volontarie che forzate (per motivi ambientali e politici), sono innanzi tutto interne alla stessa Africa. Se dirette altrove, sono in larga maggioranza regolari, anche se non manca chi tenta di attraversare il Mediter­raneo, spesso trovandovi la morte. Dei quasi 5 milioni di africani nell’UE, circa un quinto si è insediato in Italia. Si tratta di 871.128 persone (su 3.891.295 cittadini stranie ri resi­denti), ma almeno 1 milione considerando

quelle in attesa di re­gistrazione anagrafi ca. Le donne sono il 39,8%, ma con variazioni note­voli tra le diverse colletti­vità. Nel gruppo di quelle più conosciute, si va dal 21% del Senegal al 73% di Capo Verde. Ogni 10 immigrati africa­

ni 7 sono nordafricani (69,6%) e quasi 5 maroc­chini (46,3%). Tra le collettività più numerose si inseriscono la Tunisia (oltre 100mila resi­denti), l’Egitto (quasi 75.000), il Senegal (quasi 70.000), la Nigeria e il Ghana (più di 40.000). Gli africani in Italia vivono nei due terzi dei casi (66,3%) in quattro regioni: Lombardia (29%), Emilia Romagna (14,8%), Piemonte (10,2%) e Veneto (12,3%).Le traiettorie di insediamento cambiano a se­conda dei gruppi nazionali. La Lombardia è il polo più importante per la presenza africana in generale e per gli egiziani in particolare, che qui si concentrano in 7 casi su 10. I tunisini realizzano l’insediamento più signifi cativo in Sicilia (15,3% del totale), così come fanno la collettività ghanese nel Nord Est (62,4%, di cui il 28,3% in Veneto e il 22,1% in Emilia Ro­magna) e quella capoverdiana nel Lazio (46%) e a Roma (42%), un altro polo importante per diverse nazionalità. Più di mezzo milione di persone originarie del

Alcuni dati dal dossier:“Caritas/Migrantes, Africa – Italia. Scenari migratori” 1

(1) Africa­Italia scenari migratori, Centro studi e ricerche IDOS, Roma, 2010

La disuguale distribuzione delle risorse pone il 90% delle strutture produttive in mano a un sesto della popolazione mondiale, mentre quasi la metà della popolazione africana è povera e sottoalimentata.

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continente africano sono inserite come lavora­tori dipendenti nel sistema produttivo italiano, costituendo quasi un quinto (17,6%) del totale degli occupati nati all’estero registrati dall’Inail.

La situazione è piuttosto dinamica sul piano dell’iniziativa imprenditoriale, che vede gli afri­cani, con 61.323 posizioni su 185.466 titolari d’impresa stranieri censiti a maggio 2009 (Unioncamere/Cna), incidere per un terzo sull’insieme degli imprenditori stranieri. La nota dolente è la scarsa inci­denza delle donne: ap­pena l’11,3% tra gli afri­cani imprenditori, fatta eccezione per le nigeria­ne (53,2%). Nel futuro, bisognerà mettere in conto una maggiore presenza afri­cana nel nostro Paese. Per il 2050, anno per il quale l’Istat ha previsto la presenza di 12,3 mi­lioni di stranieri, se gli africani mantenessero l’incidenza attuale (ma probabilmente l’aumenteranno) diventereb­bero oltre 2,7 milioni. L’esodo degli africani può rappresentare un fattore di riuscita per i singoli protagonisti e di speranza per i rispettivi Pae­si, purché non si riduca a una semplice fuga di cervelli e il ritorno fi nanziario (dall’Italia nel 2008 è stato inviato quasi 1 miliardo di euro) si accompagni un ritorno di professionalità e di iniziative produttive. Il sostegno all’integrazione degli immigrati afri­cani, in un quadro chiaro di doveri e di diritti, in questa prospettiva, è un contributo alla crescita del continente.

La fuga di cervelliL’esodo degli africani può rappresentare un fat­tore di riuscita per i singoli protagonisti, mentre per i rispettivi Paesi può costituire un impove­rimento, in particolare quando si tratta di lavo­ratori qualifi cati che hanno richiesto un cos­picuo investimento formativo, specialmente se specializzati in alcuni settori, come ad esempio quello medico­sanitario.

L’80% dei medici del Benin lavora in Francia; Chicago conta più medici etiopici di quanti ce ne siano in Etiopia. Sono almeno 23.000 gli uni­versitari che lasciano il continente ogni anno. In Italia nell’a.a. 2007/08 si contavano 1.891 im­matricolati africani, 5.758 iscritti ai corsi di lau­rea e 505 laureati. Complessivamente, circa un terzo degli intel­lettuali africani vive all’estero, mentre l’Africa subsahariana è privata di circa il 30% della sua manodopera qualifi cata, anche se non

tutti trovano un posto rispon dente alla loro prepara zione, complici le diffi coltà per il ricono­scimento dei titoli di stu­dio e gli andamenti dei mercati occupazionali di alcuni Paesi di inseri­mento, segnatamente quelli dell’Europa medi­terranea. In un contesto così squilibrato è comprensi­bile l’interesse dei Paesi

di origine a coinvolgere i migranti nella crescita dei sistemi socio­economici locali, sia che rien­trino personalmente, sia che lo facciano tramite le loro competenze o promuovano gli scambi commerciali o mettano a disposizione parte dei loro risparmi.Sotto quest’ultimo aspetto l’apporto della dia­spora è veramente imponente: arrivano in Afri­ca circa 40 miliardi di dollari l’anno, in certi casi più degli aiuti internazionali e degli investimenti diretti dall’estero. I governi dell’UE si sono im­pegnati a devolvere a questo scopo lo 0,51% del proprio Pil entro il 2010 e lo 0,7% nel 2015, ma l’obiettivo rimane lontano. Nel 2009 l’Italia, che si è impegnata a devolvere la metà degli aiuti all’area subsahariana, non è arrivata a versare neppure lo 0,2% del proprio Pil: poco più di 320 milioni di euro.

Il valore delle rimesseLe rimesse hanno una consistente incidenza sul Pil, specialmente in alcuni Paesi (28% nel Lesotho, 10% nel Senegal e nel Togo, 9% in Capo Verde). Dagli immigrati africani in Italia

L’esodo degli africani può rappre-sentare un fattore di riuscita per i singoli protagonisti, mentre per i rispettivi Paesi può costituire un im-poverimento, in particolare quando si tratta di lavoratori qualifi cati che hanno richiesto un cospicuo inves­timento formativo, specialmente se specializzati in alcuni settori, come ad esempio quello medico­sanitario.

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nel 2008 è stato inviato quasi 1 miliardo di euro (930 milioni, di cui la metà verso il Nord Afri­ca) e la tendenza, una volta passata la crisi, è all’aumento, grazie anche alla crescente “ban­carizzazione” degli immigrati africani. Attualmente, 2 punti di distribuzione delle rimes se su 3 fanno capo ai money transfer ed è sentita la necessità di ampliare la rete di distribuzio ne. Nel corso della conferenza inter­nazionale sulle rimes­se, svoltasi a Roma nel mese di novembre 2009, è stata auspi­cata la diminuzione dei costi dell’invio, che at­tualmente incidono tra il 9,7% e il 25% sulle somme inviate.Secondo stime della Banca Mondiale, se diminuisse il costo medio di invio di 5 punti percentuali in 5 anni, l’aumento del reddito nei Paesi ricettori sarebbe pari a 13­15 miliardi di dollari.

Una questione di dirittiAi cittadini stranieri i diritti non devono essere concessi solo sulla carta, in maniera formale e scollegata dalla messa a disposizione dei mezzi fi nanziari necessari e dagli atteggiamenti quo­tidiani. Vanno superate le disfunzioni e le len­tezze nel trattare le pratiche, ampliate le scarse

occasioni di imparare gratuitamente l’italiano (anche dopo che è stato sancito l’obbligo di studiarlo con il cosiddetto “permesso di sog­giorno a punti”), rafforzata l’assistenza (asso­lutamente insuffi ciente) per quanto riguarda la ricerca del posto di lavoro, così come vanno contrastati i comportamenti discriminatori. Il secondo impegno riguarda la valorizzazione della funzione promozionale degli immigrati

afri cani. In un mondo che ai cosiddetti Paesi in via di sviluppo riserva ben poche ragioni di ot­timismo e occasioni di crescita, l’immigrazione va considerata come uno dei pochi segni di speranza. Gli afri­cani all’estero sono un

potenziale enorme per lo “sviluppo” dei loro Paesi, che resterà potenziale fi no a quando le politiche non interverranno per sostenerlo. L’Africa ha bisogno non solo delle rimesse ma anche di un ritorno di professionalità e di ca­pacità progettuali. La tesi dell’“aiutarli a casa loro” non regge alla prova dei fatti e, in ogni caso, sarebbe fuorviante se utilizzata per chiudere i corridoi migratori e spingere al ritorno chi si è già insediato stabil­mente in Italia. Al contrario, questa presenza va valorizzata per legare maggiormente il con­

tinente al dinamismo della crescita. l’Africa, o meglio le Afriche, oltre a essere vicina geografi camente, lo sarà anche perché let­ta in profondità: nella complessità dei suoi aspetti problematici e anche nelle possibi­lità del suo ‘sviluppo’. L’Africa è un continen­te che deve essere inquadrato con mag­giore speranza, con­fi dando nell’apporto che potranno dare gli stessi immigrati.

Secondo stime della Banca Mondiale, se diminuisse il costo medio di invio delle rimesse di 5 punti percentuali in 5 anni, l’aumento del reddito nei Paesi ricettori sarebbe pari a 13-15 miliardi di dollari.

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Spezie da primo premio

Edith Elise Jaomazava, nominata “Imprendi­tore immigrato dell’anno” dalla MoneyGram, la socie tà di trasferimenti internazionali di denaro che ogni anno premia l’eccellenza dell’imprenditoria etnica. Di origine malga­scia, Jaomazava, 40 anni, gestisce da sei anni SA.VA, un’azienda di spezie a Moncalieri, in provincia di Torino. L’impresa è in piena cresci­ta: nel 2009 le vendite sono aumentate del 62,8 per cento. Oltre a sfidare la crisi in Italia Jaomazava, sposata con un italiano e madre di quattro figli, si fa promotrice dello sviluppo in Madagascar: la vaniglia e la cannella coltivate nel nord di quel Paese danno lavoro a 300 per­sone. “Le difficoltà sono state molte. Come fare a raccontarle?”, scrive sul suo sito “la lingua e le leggi, la diffidenza dei clienti che si fermano al colore della pelle e non riescono a vedere la serietà del lavoro. E poi la famiglia, che non si può certo trascurare”. Edith Elise Jaomazava guarda lontano. Nel 2011 prevede di aprire una nuova sede in Madagascar per migliorare la lo­gistica della filiera con l’Italia.

Storie di migrantiUna banca etica per gli africani

Francis Sietchiping, gastroenterologo camerunese trasferitosi a Milano, nel 2007 decide con alcuni amici di fondare una banca etica per gli africani, la Unicontinental Bank. È la prima in Italia della diaspora africana. “L’idea”, racconta Sietchiping, “nasce dalla nostra volontà, da noi africani d’Italia. Abbiamo voluto creare uno strumento di microfinanza e per farlo dovevamo fondare una banca ad hoc. L’intuizione iniziale era facilitare i trasferimenti di valuta tra l’Italia e l’Africa, oggi costoso e anche rischioso”. Sietchiping, calcolatrice alla mano, ha fatto un po’ di conti: ogni anno gli afri­cani della diaspora nel mondo spediscono a casa circa 48 miliardi di dollari. Una somma im­portante su cui prendono le provvigioni socie­tà come la Western Union o la MoneyGram. Il progetto di Sietchiping è ancora in fase di ‘start up’. “Stiamo selezionando 5.000 africani pronti ad acquistare azioni per un minimo di 600 euro. Speriamo di chiudere le prenotazioni entro giugno e di aprire la banca per la fine dell’anno”, ha spiegato Ibrahima Camara, membro del comitato di garanzia. “Come diceva Thomas Sankara (ex presidente del Burkina Faso, ndr), dobbiamo produrre e consumare africano”. Un progetto, dunque, di ispirazione panafricana: la banca etica sarà posseduta all’80 per cen­to da africani. I fondatori prevedono di aprire un’agenzia in Senegal e più sedi in Italia, con il placet della Banca d’Italia.

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Adotta un bambino a distanzaPer Il Sole Onlus l’adozione a distanza non è solo un sostegno finanziario. Il suo obiettivo è quello di creare un legame significativo e duraturo nel tempo tra tutti gli attori dell’intervento. Insieme alla realizzazione di progetti di sviluppo, l’adozione a distanza vuole rientrare in un con­cetto più ampio di sostegno a distanza ravvicinato. Il sostenitore di un’adozione a distanza può, tramite Il Sole Onlus, assottigliare lo spazio che esiste tra lui e il bimbo sostenuto.Il Sole Onlus favorisce infatti contatti epistolari tra sostenitori e beneficiari, promuove incontri con i bambini adottati a distanza e viaggi di conoscenza della loro realtà di appartenenza.

Cognome ……………………………………… Nome …………………………………………………

Denominazione (nel caso di un’azienda, ente o gruppo) ……………………………………………

Codice fiscale o Partita Iva ……………………………………………………………………………..

Data di nascita ………………… Professione………………………………………………………….

Indirizzo ………………………………………………………………………………………………….

Cap ……………… Città …………………………………………………………….. Prov. ……………

Tel. ……………………………………………… Cell. …………………………………………………..

E­mail………………………………………………………………………………………………………

Intendo attivare N° ……. adozione/i a distanza nel seguente Paese: Burkina Faso India Etiopia Etiopia – progetto Fiori che rinascono, bambini vittime di violenza sessuale

Quota: Annuale (Euro 300) Due rate semestrali di 150 euro Quattro rate trimestrali di 75 euro

Per sostenere un bambino vittima di violenza sessuale inserito nel progetto Fiori che rinascono: Annuale (Euro 516) Due rate semestrali di 258 euro

È possibile versare la quota a copertura dell’adozione a distanza tramite: Bonifico bancario: Cassa Rurale ed Artigiana di Cantù – IBAN IT71Q0843010900000000260452 Conto corrente postale N. 11751229 intestato a: Il Sole Ong Onlus Rid bancario compilando l’apposito modulo.

Tutti i versamenti sono da intestare a Il Sole Ong Onlus, specificando nella causale il Paese dell’adozione, esempio: “Adozione in Etiopia”.

DATA ………………….. FIRMA………………………………...............

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Le persone fisiche e giuridiche possono dedurre o detrarre gli importi delle donazioni a favore de Il Sole Ong Onlus ai sensi del D. lgs 460/97, Art. 13.La presente scheda compilata e firmata, può essere inviata, con allegata copia della ricevuta del versamento o del bonifico all’attenzione di Luciana Milanesi – responsabile dell’ufficio adozioni:­ via fax al numero 031.2757275­ via e­mail all’indirizzo: [email protected] ­ via posta all’indirizzo:Il Sole OnlusVia L. Leoni 20,22100 Como

INFORMATIVA AGLI UTENTI(Ai sensi dell’Art.13 del D.Lgs. 196/2003 ­ Codice in materia di protezione dei dati personali)

Titolare del trattamento è l’Associazione Il Sole Onlus, con Sede in via Leoni 20, 22100 Como (Co), che li utilizzerà per le operazioni connesse alle adozioni, per l’invio della newsletter, del giornalino e del materiale informativo relativo ai progetti e alle campagne di raccolta fondi.I dati saranno trattati esclusivamente dal personale dell’associazione, non saranno comunicati, né diffusi, né trasferiti ad altri.L’utente potrà esercitare i diritti di cui all’art. 7 del D. Lgs. 196/2003 nei limiti e alle condizioni pre­viste dagli artt. 8, 9 e 10 del citato decreto legislativo rivolgendosi al Titolare del trattamento.

Acconsento al trattamento dei dati personali:

Si No

Firma ………………………………………………………….

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Pepe, dall’Etiopia in partenza anticipata…

Ciao ragazzi e ragazze,

prima di tutto voglio ringraziarvi per i bei mo­menti passati insieme. Sono molto felice di avervi conosciuto, è stata una bella esperien­za.Ho apprezzato il vostro modo di fare musica,

di pensare la musica e di amarla e anche la vostra curiosità e attenzione rispetto alle cose di cui ho parlato. Siete un buon gruppo e vorrei che continuaste insieme il percorso che avete iniziato.Come vi ho già detto, la cosa più difficile è re­stare un gruppo, indipendentemente dalle dif­ficoltà, dai problemi, dal lavoro sempre più im­pegnativo e dalla distanza geografica. Credo in voi!Amiamo tutti la musica e amiamo i bambini, quindi dobbiamo lavorare per trovare il modo migliore per far sentire e vivere la musica ai bambini.Ricordatevi che non è importante quanto siete bravi in qualcosa, è molto più importante quan­to amate quello che state facendo e ricordatevi che un uomo o una donna non sono quello che fanno o hanno fatto, ma sono quello che sono. Quindi riflettete bene sul lavoro che potete fare con i bambini e cercate di trovare il vostro ruolo all’interno del gruppo. La vostra individualità è

L’obiettivo della missione di settembre 2010 in Etiopia è stato quello di formare giovani studenti dell’università di Addis Abeba, che si occuperanno dei laboratori artistici del progetto Fiori che rinascono. Valerio e Se-lene si sono occupati rispettivamente di fo-tografia e riprese video, Jacopo di teatro e Pepe di formazione musicale. Per problemi personali Pepe ha dovuto an-ticipare di qualche giorno il rientro in Italia. Prima di partire ha scritto una lettera di in-coraggiamento ai suoi studenti. Di seguito abbiamo riportato la traduzione dall’inglese.

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fondamentale per ottenere il meglio dal gruppo, come le singole corde di una chitarra.C’è un solo aspetto su cui è importante che lavoriate: il vostro modo di relazionarvi con i bambini. Quello che ho visto sabato è stata una certa rigidità con i bimbi. Non voglio dire che dovete essere innaturali o troppo “esplosivi”, ma è im­portante stabilire una connessione con loro. Vi stanno aspettando, hanno voglia di giocare con voi, cercano di creare empatia, ma dovete dar­gliene la possibilità.Pensateci, riflettete su voi stessi per conoscervi meglio e per migliorare questo aspetto.

Un grande bacioPepe

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Immagini della missione di settembre 2010 in Etiopia

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Foto realizzate da Selene De Rui e Valerio Ferrario

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Un interesse per la cooperazione internazio­nale, tanto lavoro con i bambini e una quasi seconda laurea in psicologia, con una tesi sulla violenza sessuale sui bambini. Questo in sintesi il profilo di Elena Melani, responsabile della struttura di accoglienza e formazione pro­fessionale Maison de l’Espérance, per minori vittime del traffico e di sfruttamento a Cotonou. Abbiamo già accennato al suo lavoro nella nostra newsletter di ottobre, il nostro direttore Vittorio l’ha incontrata “sul campo” nel mese di luglio, durante la missione in Benin.Elena è rientrata in Italia da qualche settimana e ne abbiamo approfittato per porle qualche domanda.

Perché una tesi sulla violenza sessuale sui bambini? Che argomenti affronta?Un interesse particolare il mio, verso le violenze e le forme di abuso. Ferite che non si vedono ad occhio nudo, ma che spesso sono così pro­fonde da modificare comportamenti, pensieri e atteggiamenti verso la vita.La tesi verterà sulla differenza di abuso nei ra­gazzi e nelle ragazze. Ad oggi la documentazio­ne disponibile per le ragazze è scarsa, mentre non ci sono documenti o studi su quella dei pic­coli.

Qual è il tuo ruolo in Ifma (Institut des filles de Marie Auxiliatrice, Soeur Salésiennes de Don Bosco)?Ho iniziato la mia collaborazione con Ifma come volontaria del progresso, un’associazione francese, sono stata successivamente inserita nell’organico come coordinatrice del terreno, coordinavo cioè il personale inserito nel pro­getto e tutte le attività che si svolgevano nel mercato di Dantokpa (casa della speranza, baracche, alfabetizzazioni, corsi di gestione, sensibilizzazioni, formazione professionale…).Dal 2010 la mia permanenza in Benin è di 7 mesi l’anno, il resto del tempo sono in Italia per ricerca fondi, sensibilizzazioni e studio.

Quali sono le tappe che ti hanno portata a la-vorare in Benin?Nel 2006 ho passato alcuni mesi in Madagas­car con un’associazione che collabora con Ifma. Uno dei responsabili, durante un incon­tro, mi ha fatto una buona pubblicità con la re­sponsabile di Ifma!!

Qual è la situazione dei bambini in Benin?Non amo le statistiche né i numeri con cui spesso si catalogano i bambini seppur utile per dare una visione d’insieme, posso parlare però per i bambini che vedo ogni giorno. Privati del diritto di essere bambini e ignari della possibi­lità di una vita migliore.

Cosa può fare una Ong come Il Sole Onlus in Benin?L’esperienza nel campo delle violenze che l’Ong Il Sole Onlus ha acquisito negli anni potrà essere messa a servizio anche dei minori del Benin, specifiche competenze da riadattare sul campo, saranno utilissime per una formazione continua del personale inserito nel progetto.L’unione in partenariato di competenze e risorse diverse, l’unione di attori con una vasta espe­rienza non potrà che migliorare le prestazioni di servizi da offrire, in un campo così delicato come le violenze e gli abusi dei minori.

Lavorare in Benin. Intervista ad Elena Melani

Greta Pini

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160 volumi che parlano di: diritti, cooperazione internazionale, storia, scienze umane, ecc. puoi trovare anche romanzi e libri per bambini. Se sei un socio o un sostenitore, dopo aver richiesto la tessera, puoi scegliere il libro che preferisci e prenderlo in prestito per un mese.Se sei un utente esterno puoi venire a trovarci negli orari di apertura della sede (lunedì­vener­dì 9­17.30) e consultare i testi che ti interes­sano.

Gli ultimi arrivi della nostra biblioteca:

Castellitto L., Il Sogno del bambino stregone, Piemme, Milano, 2010RomanzoCome molti bambini che la notte cercano riparo tra le bancarelle del mercato di Kinshasa, in Congo. Michel è stato cacciato di casa con

un’accusa gravissima e ridicola al tempo stesso: quella di essere un infido stregone, che trascina il malocchio sul tetto familiare. La storia di Michel raccontata in prima persona dall’autore.

Moyo D., La carità che uccide. Come gli aiuti dell’occidente stanno devastando il terzo mondo, Rizzoli 2010, MilanoMondoCosa impedisce al continente di affrancarsi da una con­dizione di povertà cronica? Secondo l’economista africa­

na Dambisa Moyo, la colpa è proprio degli aiuti, un’elemosina che, nella migliore delle ipotesi, costringe l’Africa a una perenne adolescenza economica, rendendola dipendente come da una droga. E nella peggiore, contribuisce a diffondere le pestilenze della corruzione e del peculato, grazie a massicce iniezioni di credito nelle vene di Paesi privi di una governance so­lida e trasparente, e di un ceto medio capace di potersi reinventare in chiave imprenditoria le.

L’alternativa è chiara: seguire la Cina, che negli ultimi anni ha sviluppato una partnership effi­ciente con molti Paesi della zona subsaharia­na. Definita l’anti­Bono per lo spietato prag­matismo delle sue posizioni, in questo libro Dambisa Moyo pone l’Occidente intero di fron­te ai pregiudizi intrisi di sensi di colpa che sono alla base delle sue “buone azioni”, e lo invita a liberarsene. Allo stesso tempo invita l’Africa a liberarsi dell’Occidente, e del paradosso dei suoi cosiddetti “aiuti” che costituiscono il virus di una malattia curabile: la povertà.

Due testi per approfondire la figura di Tho­mas Sankara, rivoluzionario ex­presidente del Burkina Faso:

Batà C., L’Africa di Thomas Sankara - le idee non si pos-sono uccidere, Edizioni Achab, Verona, 2004MondoUna biografia per introdurre la figura di Thomas Sankara, a capo della rivoluzione del Burki­na Faso dal 1983 al 1987 (anno

della sua uccisione), e approfondire il suo pen­siero politico rivoluzionario.

Sankara T. (curatori De Ber­nardis C., Correggia M.), Tho-mas Sankara. I discorsi e le idee, Edizioni Sankara, Roma, 2006MondoUna raccolta dei più significa­tivi discorsi che Sankara ha te­nuto durante gli anni della sua

presidenza, tradotti da Marinella Correggia, massima esperta in Italia di Thomas Sankara.

Puoi seguire gli aggiornamenti della biblioteca all’indirizzo www.anobii.com/ilsoleonlus/books.

Per informazioni: Il Sole Onlus, via L. Leoni 20, 22100 Como, Tel. 031.275065 ­ [email protected].

Prendi in prestito i libri della biblioteca de Il Sole Onlus!

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Cosa stiamo facendo

PROGETTI IN CORSO

BURKINA FASOUna scuola per Napounè Koumela ­ Fondazione San ZenoProgetto sostegni a distanza

ETIOPIAFiori che rinascono (Counseling center, Foster home, laboratori artistici) Progetto sostegni a distanzaProgetto sostegni a distanza Fiori che rinascono

ITALIAEsploriamo i diritti – percorsi di Educazione allo Sviluppo nelle scuole

CAMBOGIAVite da riprendersi ­ Cofinanziato da Il Sole Onlus e Cifa Onlus

INDIALa Casa delle donneProgetto sostegni a distanza

BENINLa casa delle donne nel villaggio di Toucountouna

SONO IN FASE DI VALUTAZIONE I SEGUENTI PROGETTI:

BURKINA FASOLa casa delle donne nel villaggio di Napounè Koumela

BENINSogni da riaccendere

ITALIADiritti protagonisti Mettiamo radici

ADOZIONI A DISTANZA: Etiopia 696 India 421 Burkina Faso 298 Sri Lanka 24 Totale 1439

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Letture consigliateIo, Nelson Mandela. Conversazioni con me stessoNelson MandelaEd. Sperling & Kupfer, 2010

La prefazione di Barack Obama apre questo inte­ressante testo, che è dif­ficilmente catalogabile per quanto riguarda il genere di appartenenza, a metà tra la raccolta di lettere e il diario. L’edizione di questo libro, infatti, è nata in seguito all’apertura del Nelson Mandela Centre of Memory and Dialogue,

in occasione della quale, una certa quantità di scritti fu raccolta, ordinata e archiviata. Si tratta di una gran mole di materiale, accuratamente suddiviso in parti e queste in capitoli, i titoli dei quali richiamano ai periodi della lunga vita di Nelson Mandela, l’uomo che con la sua lunga ed efficace azione politica condusse il Suda­frica all’abolizione dell’apartheid. Si parte dall’infanzia nel villaggio di Qunu per arrivare agli anni della presidenza e ai giorni nostri. Le lettere ai membri delle sue due famiglie, o ad amici, altri esponenti politici o av­vocati durante i viaggi ma soprattutto durante la lunga prigionia avvenuta per lo più a Rob­ben Island, costituiscono una consistente parte del libro, ma anche le interviste fatte durante la preparazione dell’autobiografia “Lungo cammi­no verso la libertà” sia dall’amico e compa gno di cella Ahmed Kathrada che dal giornalista Richard Stengel, svolgono un ruolo importante nel delineare la figura dello statista.Sono inoltre riportati tutti quegli scritti molto intimi e particolari estratti dai tanti taccuini di viaggio che Mandela regolarmente riempiva per annotare sensazioni e impressioni legate ai luoghi che visitava, spesso in clandestinità. Persino i calendari con le piccole note a mar­

gine diventano fonti di preziose riflessioni del quotidiano dell’uomo, come del suo aspetto spirituale e umano. Il numero delle gocce di collirio ha infatti, in un calendario, pari dignità del profondo aforisma esistenziale, l’abito e l’aspetto del visitatore del giorno diventano im­portanti quanto i programmi politici e le notizie di attualità, brevemente descritte nel piccolo spazio cartaceo di un giorno. La lettura del libro, corredato anche da fotografie di documenti e dello stesso protagonista, si rivela veramente interessante per compren­dere una personalità complessa e sfaccettata come quella di un leader carismatico come Nelson Mandela, non esente però da dubbi e momenti di vera e propria “conversazio ne con se stesso”.

Una ragazza disubbidiente Ru FreemanEd. Piemme, 2010

Romanzo di esordio della giornalista cingalese Ru Freeman, che è anche at­tivista per i diritti civili e dei lavoratori, questo libro ac­coglie le storie parallele di due donne, Latha e Bosi nel contesto della società dello Sri Lanka e sullo sfondo dei contrasti politici e civili, mai risolti.

Le due storie si dipanano, sapientemente al­ternate, in modo da interessare sempre più il lettore in un susseguirsi di colpi di scena e de­scrizioni liriche e poetiche, mai prive di una cer­ta ironia, che provvidenzialmente allegge risce il clima, a volta opprimente, delle rispettive vi­cende amorose e familiari. Questo romanzo, tramite questi due personaggi femminili e gli svariati altri che li affiancano, dipinge un effi­cace affresco della società cingalese ed in par­ticolare della situazione della donna, tutt’ora

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Letture consigliatepresente in quel paese. Le vite delle due protagoniste si svolgono dunque davanti ai nostri occhi, seguendo due diverse scansioni spazio­temporali. Latha, una bambina orfana e quindi destinata a servire nella casa di una famiglia di casta superiore nonostante innegabili doti di intelligenza e atti­tudine allo studio, pur diventando matura molto velocemente in seguito a scelte sbagliate det­tate dall’inesperienza e dal bisogno di sincero affetto, dopo una progressiva presa di coscien­za, con l’età adulta raggiunge finalmente la se­renità e la libertà tanto agognata. Bosi, invece è una donna sposata con tre figli al seguito, che decide di compiere un viaggio in treno verso la libertà da un marito vendicativo e violento im­postole dal padre secondo l’usanza del luogo e da una società che la condanna per il suo coraggio e la sua forza. La Freeman quindi, narrando di queste due donne controcorrente, è stata capace di volare alto raggiungendo pienamente la sensibilità di tutti noi, in modo originale e convincente.

Isabelle, amica del deserto. Viaggi, avven-ture, amori di una giovane esploratrice del MagrebMirella TenderiniEd. Opera Graphiaria Electa (col. Oleandri) 2010

Mirella Tenderini scrittrice e traduttrice, autrice di varie biografie e ricostruzio ni storiche, pubblicate in di­versi paesi del mondo, in questo piccolo libro di circa duecento pagine riesce a in­serire una grande quantità di informazioni su uno dei per­sonaggi femminili più inte­ressanti del secolo scorso.

Svolgendo una notevole ricerca documentale e recandosi direttamente nei luoghi dove visse

e quelli che esplorò Isabelle Wilhelmine Marie Eberhardt, fornisce ai lettori un ritratto molto ef­ficace della donna e della letterata. Isabelle nasce a Ginevra nel 1877, in una nume­rosa famiglia di alto rango di origine russa, nella quale la cultura riveste un ruolo fondamentale. Come i suoi fratelli maggiori infatti, impara più lingue e porta a termine studi classici, iniziando giovanissima a scrivere dei racconti, spronata in particolare dal tutore e dal fratello Augustin. Si interessa sin da subito alla cultura islamica iniziando quindi a studiare l’arabo e facendosi fotografare in abiti maschili “orientali”. Ben presto avrà la possibilità di trasferirsi in Alge­ria con la madre e di cominciare a viaggiare visitando il Magreb dal deserto alle oasi sotto mentite spoglie ovvero come marinaio Nicolas Podolinsky o studioso di Corano Mahmoud, scortata da ufficiali dell’esercito francese o in­sieme a carovane di tuareg o a studiosi delle scuole coraniche e sufi. Per essere più vicina alla cultura dei paesi che esplora e che sente come propri, si converte alla religione islamica sufi e scrive. Scrive una grande abbondanza di lettere al fratello o agli amici o a svariati intellet­tuali dell’epoca, scrive i diari di viaggio ricchi di annotazioni di interesse geografico e descrizio­ni suggestive su luoghi e persone, le più varie, con le quali viene a contatto. La produzio ne letteraria e di reportage spazia dai racconti ed articoli in lingua francese alla produzione in lin­gua russa e araba. Due persone fondamentali nell’ultima parte della breve vita dell’esploratrice furono Slimene Ehnni, un soldato francese di origini arabe che, dopo tanti imprevisti e traversie diventò suo marito standole accanto sino alla fine e il Generale Louis Hubert Lyautey che le consentì di muoversi come corrispondente di guerra in luoghi che per gli altri giornalisti erano inac­cessibili e per le donne sole assolutamente imprati cabili. Morì a soli 27 anni a Aïn Sefra travolta dalla piena del fiume, lasciando con la sua opera, molteplici suggestioni.

Elisabetta Maccioni

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Iscritto nel registro stampa del Tribunale di Como con decreto n° 21/2000 in data 8/9/2000Direttore responsabile:Elena ScarroneSede della direzione:via Leone Leoni 20, ComoTel. 031/275065Stampa:Tipografia Banfivia dei Mulini, 25 · 22100 ComoFotografie:archivio Il SoleIn redazione:Elisabetta Maccioni, Greta Pini, Francesca Pozzi, Diego Roncoroni, Vittorio Villa.Per questo numero hanno collaborato:Barbara Battaglia, Selene De Rui, Valerio Ferrario, Salvatore Inguì, Raffaele Masto, Elena Melani, Luca (Pepe) Schiavo