Il Solaio_tipologie e Modellazione

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TRE FACOLTA’ DI ARCHITETTURA LABORATORIO DI COSTRUZIONI DELL’ARCHITETTURA 2 _______________________________________________________________ Fabrizio PAOLACCI, Lorena SGUERRI PROGETTO DI STRUTTURE IN C.A. Il solaio: tipologie e modellazione APPUNTI DALLE LEZIONI PRIMA EDIZIONE

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UNIVERSITA’ DEGLI STUDI DI ROMA TRE FACOLTA’ DI ARCHITETTURA LABORATORIO DI COSTRUZIONI DELL’ARCHITETTURA 2 _______________________________________________________________ Fabrizio PAOLACCI, Lorena SGUERRI

PROGETTO DI STRUTTURE IN C.A.

Il solaio: tipologie e modellazione APPUNTI DALLE LEZIONI PRIMA EDIZIONE

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F.Paolacci, L.Sguerri - Progetto di Strutture 2

_____________________________________________________ 1. INTRODUZIONE ______________________________________________________ Il solaio è un elemento strutturale fondamentale la cui principale funzione è quella di trasferire i carichi e i sovraccarichi verticali alla struttura portante. In zona sismica il solaio può assumere anche la funzione aggiuntiva di trasferire le forze inerziali di piano alla struttura principale, sotto l’ipotesi che esso sia sufficientemente rigido nel proprio piano. Secondo le regole di buona progettazione, insite in genere nelle indicazioni normative, un solaio deve essere realizzato in maniera da possedere i seguenti requisiti: • Resistenza meccanica necessaria per i carichi cui è sottoposto; • Sufficiente resistenza al fuoco • Limitata deformabilità; • Facilità di posa in opera; • Possibilità di collegamento monolitico con la restante struttura; • Buone caratteristiche di isolamento termico; • Buone caratteristiche di isolamento acustico; I materiali utili alla realizzazione di un solaio sono molteplici e molteplici sono le soluzioni costruttive possibili. I primi solai ad essere realizzati furono solai in legno (Fig.1.1). Una soluzione costruttivamente facile, ma che generalmente prevedeva spessori utili elevati, alta deformabilità meccanica, facilità di usura per effetto di agenti esterni, scarse caratteristiche di isolamento termico ed acustico, facilità di incendio. Altra nota dolente dei solai in legno è la scarsa possibilità di collegamento con la restante struttura portante che li rende così poco adatti per costruzioni in zona sismica; se non ben curati infatti, i collegamenti non sono in grado di trasmettere adeguatamente le forze inerziali di piano con conseguente mal funzionamento dell’intero organismo strutturale.

Fig.1.1 – Solaio in legno

Fig.1.2 – Solaio in ferro con voltina di mattoni

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La tipologia dei solai in acciaio (Fig.1.2), che seguì quella in legno, oltre a mantenere la facilità di esecuzione aveva la possibilità di superare luci assai maggiori e con minore deformabilità; miglioravano inoltre le caratteristiche termiche ed acustiche. Come quelli in legno, i solai in acciaio erano vulnerabili al fuoco e spesso nascevano problemi di finitura come ad esempio la difficoltà di intonacare uniformemente l’intradosso per la presenza di materiali differenti (acciaio e laterizio). Grazie alle nuove tecnologie le prestazioni di solai in acciaio sono estremamente migliorate ed essi sono oggi spesso utilizzati in edifici interamente in acciaio o in opere di ristrutturazione di vecchi edifici in muratura. Con l’avvento del cemento armato si ebbe la possibilità di realizzare solai in grado di rispettare le principali esigenze richieste a questo tipo di struttura. Si trattava di studiare la soluzione tecnologica più adatta alle esigenze. I solai a soletta piena furono i primi ad essere proposti ma avevano l’inconveniente principale di essere estremamente pesanti. Venne così l’idea di alleggerire la struttura realizzando graticci di travi in cemento armato collegate da una sottile soletta sovrastante anch’essa in c.a., la cosiddetta soletta nervata (Fig.1.3). Questo tipo di struttura ricalca fedelmente l’orditura classica dei solai in legno con un’orditura principale, una secondaria e un elemento piano di collegamento. Il primo e forse unico grande vantaggio della soletta nervata è senza dubbio la monoliticità. Di contro gli svantaggi sono molteplici: gli elevati oneri per la sua realizzazione (carpenteria e mano d’opera), la superficie dell’intradosso non piana e le scarse proprietà di isolamento acustico hanno fatto si che si ricercassero soluzioni alternative più economiche e di più rapida esecuzione. Gran parte di questi problemi vennero risolti inserendo, tra i travetti, un materiale leggero quale laterizio o polistirolo, i quali isolano e permettono di avere un intradosso piano e facilmente rifinibile. Nacquero così i primi solai latero-cementizi gettati in opera (Fig.1.4).

Fig.1.3 – Solaio monolitico a soletta nevata

Fig.1.4 – Solaio misto in latero-cemento

In seguito, grazie all’evoluzione tecnologica vennero sviluppate soluzioni in grado di ottenere un elevato livello di prefabbricazione, in modo da realizzare solai in poco tempo e con consistente risparmio di mano d’opera. Furono e continuano ad essere realizzati solai con travetti prefabbricati in cemento armato precompresso o addirittura costituiti da lastre pronte alla pavimentazione e alla tinteggiatura dell’intradosso.

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La normativa attuale e più precisamente il Decreto Ministeriale 09 Gennaio 1996 ha dedicato l’intero paragrafo 7 ai solai in cemento armato. Le tipologie previste sono sostanzialmente tre: • Solai in getto pieno • Solai misti in c.a. e c.a.p. con elementi di alleggerimento • Solai con elementi prefabbricati in c.a. e c.a.p. Alla prima categoria appartengono le già citate solette piene e solette nervate. Mentre le prime, attualmente, vengono impiegate per realizzare piccole porzioni di solaio quali balconcini, pianerottoli ecc…, il ricorso alle seconde può essere giustificato, in genere, solo da particolari esigenze architettoniche. Si ricordano, a titolo di esempio, i famosi solai nervati che Pier Luigi Nervi realizzò all’interno del Palazzo dello Sport di Roma (Fig.1.5).

Fig.1.5 – Solai della Sala Stampa nel Palazzo

dello Sport di Roma, Pier Luigi Nervi, 1960 • Solai latero-cementizi gettai in opera I solai latero-cementizi gettati in opera hanno rappresentato, in passato, l’unico tipo di solaio misto in laterizio e cemento armato, mentre, attualmente, data l’onerosità della loro messa in opera, vengono utilizzati solo quando la pianta del fabbricato presenta irregolarità tali da impedire l’impiego di elementi prefabbricati. I blocchi di laterizio, muniti di alette laterali o accompagnati da fondelli sempre in laterizio (Fig.1.6-1.7), vengono posizionati su un impalcato di sostegno provvisorio che viene smontato non appena il conglomerato ha raggiunto una resistenza meccanica sufficiente (comunque non prima di 28 giorni). Dopo aver sistemato tutti i blocchi e prima di procedere con il getto dei travetti e della soletta in calcestruzzo, si posizionano i ferri di armatura ricorrendo all'uso di distanziatori o di sistemi equivalenti in modo da assicurare che, nella fase di getto, i ferri mantengano una corretta disposizione. In pratica, rispetto ad una soletta nervata, il solaio misto, così congegnato, presenta il vantaggio di essere composto da elementi di alleggerimento che hanno anche la funzione di isolatori acustici, di cassaforme per il getto di completamento e di uniformare tutta la superficie d’intradosso con una notevole riduzione dei tempi di realizzazione e la necessità di mano d’opera non specializzata.

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Fig.1.6 – Solaio latero-cementizio gettato in opera

Fig.1.7 – Blocco con alette e fondello

• Solai con travetti prefabbricati in c.a. o c.a.p. L’onere maggiore, nella realizzazione di un solaio totalmente gettato in opera è la carpenteria, cioè la costruzione di un impalcato ligneo provvisorio. Per ovviare a questo inconveniente sono nati i solai con travetti prefabbricati in cemento armato o cemento armato precompresso (Fig.1.8-1.9). Questi travetti, a seconda delle loro caratteristiche, hanno capacità portanti più o meno elevate e sono in grado, quindi, di sostenere da soli il peso dei laterizi e del getto di completamento in calcestruzzo, aiutati solo da elementi rompitratta situati ad intervalli regolari. Inoltre, rispetto al solaio gettato in opera, conservano comunque una discreta flessibilità di adattamento anche a fabbricati di pianta complessa.

Fig.1.8 – Solaio con travetti prefabbricati a

traliccio

Fig.1.9 – Solaio con travetti prefabbricati

precompressi I travetti a traliccio sono quelli più in uso e sono composti da una piccola struttura reticolare spaziale con discrete capacità autoportanti (Fig.1.10). A seconda dell’utilizzazione vengono realizzati tralicci di diverse altezze e armature. Oltre a un’armatura di base, già inserita nell’elemento, possono essere annegati nella suola ulteriori ferri la cui sezione complessiva dipenderà dalle condizioni statiche del solaio finale. L’armatura destinata ad assorbire i momenti flettenti negativi, invece, deve essere posizionata in opera poco prima

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del getto finale. Con i travetti a traliccio gli elementi rompitratta devono essere posti a una distanza compresa tra 1 e 1,5 metri (Fig.1.11).

Fig.1.10 – Travetto a traliccio prefabbricato

Fig.1.11 – Intradosso di un solaio con travetti

a traliccio ed elementi rompitratta I travetti in c.a.p. (Fig.1.12-1.13) sono una valida alternativa ai travetti a traliccio soprattutto in presenza di luci o carichi elevati o quando è difficoltosa la realizzazione di una puntellazione adeguata poiché posseggono capacità autoportanti superiori e necessitano di travetti rompitratta posti a distanze comprese tra 1.5 e 2 metri. Le dimensioni e l’armatura di precompressione, realizzata con acciai ad alta resistenza, variano a seconda del campo di utilizzazione, mentre l’armatura destinata ad assorbire i momenti flettenti negativi, anche in questo caso, deve essere posizionata in opera poco prima del getto di completamento finale. Infine alla terza categoria appartengono i solai realizzati con elementi prefabbricati generalmente in c.a.p.

Fig.1.12 – Travetto in cemento armato

precompresso

Fig.1.13 – Posa in opera di un solaio con

travetti in c.a.p. • Solai realizzati con lastre prefabbricate dette anche predalles Una soluzione ancora annoverabile fra i solai misti è quella a lastre prefabbricate con travetti a traliccio o prefabbricati direttamente incorporati ed elementi di alleggerimento in polistirolo o in laterizio (Fig.1.14-1.16). Le lastre,

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in genere, hanno uno spessore minimo di 4 cm che può essere aumentato a piacimento rendendo questa soluzione particolarmente adatta quando sussistono problemi di resistenza al fuoco. La loro capacità portante, invece, è analoga a quella dei travetti a traliccio o dei travetti prefabbricati usati singolarmente, e quindi necessitano della stessa opera di puntellamento. Una volta che le lastre sono state poste in opera si posizionano le eventuali armature aggiuntive previste in fase di progetto e si completa la struttura con la fase di getto del calcestruzzo. L’intradosso di questi solai, in genere, è pensato per non essere intonacato.

Fig.1.15 – Solaio con lastra prefabbricata,

sezione

Fig.1.14 – Solaio con lastra prefabbricata

Fig.1.16 – Posa in opera di un solaio con

lastre prefabbricate • Solai a pannelli prefabbricati Quando negli anni 60’ cominciarono ad imperversare edifici ad alto grado di prefabbricazione l’esigenza di avere solai interamente prefabbricati divenne una priorità. Nacquero così i solai a pannelli prefabbricati in latero-cemento, costituiti dall’assemblaggio in stabilimento di due o tre file di blocchi in laterizio con interposte le nervature portanti di calcestruzzo armato (Fig.1.17). In queste nervature sono anche posizionati i ganci utilizzati per il posizionamento e la movimentazione del pannello che ha notevoli capacità autoportanti tanto che fino a luci di 6 metri è sufficiente un solo rompitratta. I pannelli vengono posizionati in cantiere uno accanto all’altro realizzando delle nervature da gettare in opera. Quasi tutta l’armatura è già stata disposta in stabilimento secondo i calcoli eseguiti sul solaio in oggetto. In cantiere è possibile aggiungere dell’armatura di completamento, tra cui quella per i momenti negativi, solo nelle nervature da gettare in opera.

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Se è prevista una soletta di completamento, allora può essere posizionata un’armatura superiore diffusa su tutto l’estradosso.

Fig.1.17 – Solaio a pannelli in latero-cemento

Fig.1.18 – Posa in opera di un solaio in

pannelli prefabbricati

Fig.1.19 – Posa in opera di un solaio in

pannelli prefabbricati Ogni progetto che si rispetti ha come punto di partenza la scelta dei materiali assieme ad una idea alquanto realistica delle dimensioni iniziali del solaio, idea legata in genere all’esperienza professionale. Segue poi la delicata fase dell’analisi dei carichi e della ricerca delle combinazioni più gravose secondo quanto dettato dalla normativa. Noti i carichi, il passo successivo è la decisiva scelta del modello strutturale che dipenderà dal livello di accuratezza ritenuto necessario. Nota allora la domanda di prestazione che i carichi richiedono alla struttura, si passa alla successiva fase del progetto delle armature e al calcolo della capacità di prestazione. Effettuate le dovute verifiche di sicurezza il progettista curerà i dettagli costruttivi che poi tradotti in disegni costruttivi verranno utilizzati in cantiere per la fase esecutiva del progetto. Ognuna delle precedenti fasi progettuali verrà ampiamente descritta nei prossimi paragrafi.

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______________________________________________________ 2. LA MODELLAZIONE STRUTTURALE DEL SOLAIO ______________________________________________________ Per modellazione strutturale s’intende la fase progettuale in cui le azioni e la struttura reali, vengono sostituiti con un modello, immediatamente traducibile in termini matematici, da utilizzare per la valutazione delle sollecitazioni. L’uso dei calcolatori ha permesso, e permetterà, di adottare modelli matematici sempre più complessi, vista la rapidità con cui può essere calcolata la loro risposta alle azioni esterne. Tuttavia, in alcuni casi può essere utile l’adozione di modelli semplificati che permettano rapidamente (ma approssimativamente) di determinare le sollecitazioni massime nel rispetto dello stato limite imposto. E’ il caso ad esempio di un solaio che per sua natura presenta caratteristiche di complessità che, se messe in conto, condurrebbero ad un modello sofisticato ma del tutto inadatto alle esigenze progettuali. La pratica suggerisce di adottare modelli semplici che permettano nel rispetto della sicurezza, così come dettato dal D.M. 16/01/96, di individuare con buona approssimazione le sollecitazioni massime. Riassumendo, quindi, quanto illustrato nel capitolo precedente, un solaio è comunemente composto da un’alternanza di travetti in cemento armato (precompresso o non) con elementi di alleggerimento in laterizio o polistirolo e da una soletta di collegamento in cemento armato che copre tutta la superficie solidarizzando i vari elementi tra loro. La presenza della soletta fa sì che il solaio sia assimilabile ad una piastra, cioè ad un elemento strutturale bidimensionale, soggetto ad uno stato tensionale piano e caricato in direzione perpendicolare al piano stesso (Fig.2.1). In altre parole, una piastra è in grado di trasferire i carichi alle strutture portanti perimetrali diffondendoli lungo la propria superficie.

Fig.2.1 – Stato tensionale piano di una

piastra

Fig.2.2 – Solaio

S’ipotizzi di caricare in maniera uniforme una piastra quadrata ugualmente vincolata lungo tutti e quattro i lati. Il materiale di cui è composta è

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perfettamente omogeneo ed isotropo, di conseguenza la piastra possiede le stesse caratteristiche meccaniche e geometriche lungo tutte le direzioni. E’ facilmente intuibile che, in questo caso, il carico viene ripartito in parti uguali tra i vincoli sui quattro lati. Se, al contrario, il materiale non fosse perfettamente isotropo o la piastra fosse caratterizzata da sezioni diverse al variare della direzione (ex. quantitativi diversi di armatura, geometria diversa ecc.), il carico si diffonderebbe privilegiando la direzione di maggiore rigidezza. Il solaio cade in questa seconda categoria avendo una composizione eterogenea (cemento armato e laterizio) ed una geometria tale da rendere la rigidezza in direzione X, parallela alla tessitura dei travetti, di gran lunga superiore a quella riscontrabile in direzione Y a loro perpendicolare (Fig. 2.2). Questa notevole differenza consente di trascurare, nel calcolo, le sollecitazioni che si sviluppano secondo l’asse Y e approssimare il comportamento del solaio con quello di una trave, quindi con una struttura monoassiale. Grazie a quest’assunzione, un solaio su una o più campate può essere modellato, in linea generale, come una trave continua su appoggi fissi (Fig.2.3). Tuttavia, è necessario fare alcune precisazioni sulla scelta dei vincoli e su ciò che questa scelta comporta: • Gli appoggi del solaio, nella realtà, sono costituiti dalle travi in cemento armato che lo portano e che, sotto il suo carico e quello dei carichi accidentali, s’inflettono abbassandosi. Più che ad un appoggio fisso, quindi, il “vincolo trave” assomiglierebbe ad una molla estensionale. Tuttavia, l’approssimazione del risultato è tale da rendere accettabile questa semplificazione del modello strutturale. • Le cerniere (o carrelli) inserite come vincoli alle estremità del solaio, vale a dire lì dove quest’ultimo s’interrompe poggiando sulle travi di bordo, presuppongono che il solaio sia completamente libero di ruotare in quel punto. Questo comportamento non corrisponde alla realtà poiché la trave è dotata di una propria rigidezza torsionale che impedisce, in parte, la rotazione del solaio con conseguente sviluppo di un momento torcente nella trave stessa e di un momento flettente negativo nel solaio (Fig.2.4). Il vincolo esistente tra trave e solaio corrisponderebbe, quindi, ad un semincastro gli effetti del quale variano a seconda se il solaio poggia sulla trave in corrispondenza della mezzeria, dove la rigidezza torsionale della trave è minore (semincastro più prossimo ad una cerniera), o in corrispondenza del pilastro dove la rigidezza è maggiore (semincastro più prossimo ad un incastro).

x

y

L1 L 2 L 3

A A'

B B'

SEZIONE A - A'

SEZIONE B- B'

A BD

A BD

C

C

A BD

C

Fig.2.3 – Modellazione del solaio – trave

Continua

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+- A

T

A-

M

-

+

- B

+ B-

+

+

- C

C

1.50 m

Alle

gger

imen

to in

Trav

etto

Trave portante

Trav

e di

col

le

MT

Fig.2.4 – Trave continua: diagrammi delle sollecitazioni, deformata elastica, approssimazione

del vincolo di semincastro con le cerniere di estremità

+

- D

D

B4.00 m

A5.00 m

C6.00 m

D

A B C D

La scelta di una cerniera, piuttosto che di un incastro, per modellare il vincolo all’estremo di un solaio, è essenzialmente dettata da ragioni di sicurezza strutturale. Potendo scegliere, infatti, è buona norma, in casi come questi, prendere come riferimento lo schema con minor grado di iperstaticità. Per poterne comprendere le ragioni, si supponga di dover progettare un solaio di una sola campata. I vincoli alle due estremità, essendo entrambi semincastri, possono essere modellati sia come incastri sia come cerniere.

pl /122

A B

pl /122

2pl /24

A B

a)

A

pl /82

B

A B

b)

Fig.2.5 – Influenza della scelta dei vincoli per modellare un semincastro Se viene scelto l’incastro si ottiene una trave 3 volte iperstatica (Fig.2.5a): il momento in mezzeria sarà sicuramente più basso di quello reale, mentre quello in corrispondenza degli appoggi sarà sicuramente più elevato. Di conseguenza l’armatura dei travetti in mezzeria verrà sottodimensionata mentre verrà sovradimensionata quella alle estremità. Se in seguito, durante la vita della struttura, il comportamento reale del semincastro si avvicinerà maggiormente a

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quello di una cerniera piuttosto che a quello di un incastro, la sezione di mezzeria, poco armata, non sarà più in grado di portare un momento molto più alto rispetto a quello per cui è stata progettata e si deformerà al punto di trasformarsi in una cosiddetta cerniera plastica. In questo caso, la trave si trasformerà in una struttura labile prossima al collasso. Se, al contrario, per modellare i vincoli di estremità viene scelta la cerniera, la trave diventa isostatica (Fig.2.5b): i momenti agli appoggi saranno nulli mentre il momento in mezzeria sarà sicuramente più elevato di quello reale. La situazione, praticamente, si inverte rispetto al caso precedente, con armature sottodimensionate alle estremità e sovradimensionate in mezzeria. Quindi, se durante la vita della struttura, il comportamento reale del semincastro si avvicinerà maggiormente a quello di un incastro piuttosto che a quello di una cerniera, con conseguente sviluppo di momenti flettenti di entità imprevista alle estremità della trave, le sezioni in appoggio, poco armate, si trasformeranno in cerniere plastiche. In questo caso, però, il solaio non collasserà comportandosi come una trave semplicemente appoggiata. Adottando il modello a trave continua, le luci delle singole campate vengono in genere assunte pari alla distanza tra gli interassi delle travi. I carichi distribuiti linearmente sulla trave (espressi ad esempio in kN/m2) provengono dai carichi per unità di superficie determinati al paragrafo 3, moltiplicando quest’ultimi per l’interasse (i) considerato (vedi fig. 2.6).

Carico distribuito (kN/m)

Direzione tessitura solaio Interasse (i)

In genere questo l’interasse può corrispondere a quello tra i travetti, in maniera da calcolare le sollecitazioni di taglio e momento che interessano il singolo travetto. Tuttavia, è anche possibile fare riferimento ad un interasse generico di 1m salvo poi riportare le informazioni di progetto al singolo travetto: ad esempio se scegliendo un interasse di In=1 m è stata calcolata un’armatura longitudinale pari a A=3 cm2 e l’interasse dei travetti è i=0.5m, l’armatura necessaria in ogni travetto è pari a A i/In=1.5 cm2.

Fig.2.6 – Carico lineare ripartito sul singolo

travetto

Come si può notare, la modellazione del solaio è affetta da una serie di semplificazioni e approssimazioni che consentono di passare da una struttura reale relativamente complessa ad uno schema strutturale estremamente semplice. Tuttavia, è importante comprendere la natura di queste semplificazioni e le conseguenze che possono comportare per poterne tenere adeguatamente conto in fase di progetto. Si vedrà, al momento di calcolare le armature, quali provvedimenti prendere, per tenere conto sia della cedevolezza dei vincoli, sia dei momenti che inevitabilmente si svilupperanno nelle sezioni di estremità, sia di altre peculiarità trascurate quali l’effettiva bidimensionalità della struttura.

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______________________________________________________ 3. LA SCELTA DEI MATERIALI E IL PREDIMENSIONAMENTO DEL SOLAIO _____________________________________________________ Uno dei primi passi che un professionista si accinge ad effettuare nel progetto di un opera in cemento armato è quello del “progetto” dei materiali ossia la scelta delle caratteristiche meccaniche dei materiali componenti la struttura. Parti differenti di essa possono avere ad esempio resistenze meccaniche diverse perché diversa è la loro funzione. Occorre tenere ben presente che la scelta che verrà effettuata influenzerà contemporaneamente aspetti differenti quali la deformabilità e la resistenza degli elementi strutturali così come la loro duttilità. Dunque non è, come a prima vista potrebbe sembrare, una scelta dettata dalla sola resistenza o dalla sola componente economica (calcestruzzi meno resistenti costano meno di calcestruzzi più resistenti), ma soprattutto dal livello di sicurezza e dalla durabilità che si vogliono raggiungere. Ad esempio nel caso di un solaio è usuale trovare condizioni di sezioni debolmente armate perché la loro altezza è in genere assai limitata ed essendo l’asse neutro sempre piuttosto alto ne risulta un armatura spesso snervata (il livello massimo di deformazione dell’acciaio per sezioni debolmente armate è l’1%). Se poi aggiungiamo che in condizioni ambientali aggressive l’acciaio soggetto a corrosione degrada molto più rapidamente di un acciaio non snervato, sarebbe opportuno aumentare la sezione dell’acciaio oltre quella necessaria per la sola sicurezza in termini di resistenza. In definitiva, sarebbe opportuno scegliere acciai con una soglia di snervamento più elevata in modo da mantenere i diametri delle armature a valori minimi ragionevoli e aumentare la durabilità del manufatto. Un aspetto parallelo a quello già esaminato ma ad esso intimamente legato è il predimensionamento strutturale. Frutto spesso dell’esperienza professionale, rappresenta un atto di sintesi che racchiude in sè la maggior parte degli aspetti salienti di un progetto. Proprio per la sua importanza nel processo progettuale le normative spesso si sostituiscono al progettista dettando specifiche indicazioni su come dimensionare gli elementi strutturali.

bpbo ob

i

h

s

H

armatura superiore

armatura inferiore

travetto

pignatta

soletta collaborante

Fig.3.1 – Generica sezione di un solaio latero-cementizio

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In figura 3.1 è indicata la generica sezione di un solaio latero-cementizio. Le grandezze geometriche oggetto del predimensionamento sono le seguenti: • L’altezza del solaio (H) • Lo spessore della soletta (s) • L’altezza della pignatta (h) tale che h + s = H • La larghezza del singolo travetto (b0) • La larghezza della pignatta (bp) • L’interasse fra i travetti (i) La normativa (D.M. 09/01/96 punto 7.1.4) impone le seguenti prescrizioni: s ≥ 4 cm (Punto 7.1.4.4) b0 ≥ 1/8 i e comunque ≥ 8 cm (Punto 7.1.4.5) i ≤ 15 s e comunque ≤ 52 cm (Punto 7.1.4.5) H ≥ 1/25 L e comunque ≥ 12 cm (Punto 7.1.4.2) H ≥ 1/30 L se si utilizzano travetti precompressi Nell’applicare le prescrizioni di normativa, però, non bisogna trascurare alcuni aspetti pratici che condizionano ulteriormente le scelte dimensionali del progettista:

• Il solaio, in genere, ha altezza costante nell’ambito di uno stesso impalcato, a meno di motivi particolari quali zone ribassate destinate al passaggio degli impianti o che devono garantire il deflusso esterno delle acque (balconi, terrazze, ecc…). Di conseguenza, il dimensionamento dell’altezza H deve essere fatto sulla luce più grande tra quelle che caratterizzano l’intero impalcato. • La soletta di un solaio ha, coerentemente con quanto imposto dalla normativa, spessori che variano tra i 4 e i 5 cm. In genere, in zona non sismica, lo spessore comunemente adottato è proprio quello minimo di 4 cm, in grado di garantirne la funzionalità e di limitare l’incidenza del suo peso sul carico complessivo che agisce sul solaio. In zona sismica, invece, sono più frequenti solette da 5 cm che consentono l’alloggiamento di un quantitativo più consistente di armature di ripartizione.

• L’altezza delle pignatte, comunemente in commercio, parte da un minimo di 12 cm per crescere a passi costanti di due centimetri (14 cm…16 cm…ecc…). Appare evidente, quindi, che lo spessore minimo di un solaio latero-cementizio con soletta collaborante non potrà mai essere inferiore a 12 cm + 4 cm = 16 cm.

• Dimensioni usuali per i travetti di un solaio, in cemento armato non precompresso, sono larghezze b0 non inferiori ai 10 cm, ma in genere neanche superiori ai 14 cm. Si vedrà in seguito come, dalla dimensione di base del travetto, dipenda l’ampiezza delle cosiddette “fasce piene di calcestruzzo” che vengono realizzate a coronamento del solaio alleggerito, a ridosso delle travi portanti.

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• Utilizzando una soletta con spessore 4 cm, l’interasse tra i travetti potrebbe essere portato fino a 15 x 4 cm = 60 cm. In realtà, interassi usuali si aggirano attorno ai 50 cm con dimensioni di base delle pignatte variabili tra i 38 e i 40 cm. In questo modo si evita di sovraccaricare in maniera eccessiva il travetto in cemento armato. Le prescrizioni di normativa e queste poche regole pratiche di progettazione legate all’industrializzazione dei materiali e all’esperienza accumulata in anni e anni di sperimentazione sul campo, consentono di predimensionare in maniera veloce e sicura un solaio tradizionale in latero-cemento, così come verrà illustrato nell’esempio numerico riportato nel capitolo ?

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______________________________________________________ 4. L’ANALISI DEI CARICHI E LORO COMBINAZIONI _____________________________________________________ La fase immediatamente successiva al predimensionamento del solaio è l’analisi dei carichi, necessaria per determinare le sollecitazioni massime alle quali sarà soggetta la struttura. L’operazione è semplice, ma allo stesso tempo richiede molta attenzione da parte del progettista. I carichi che agiscono direttamente sul solaio possono essere suddivisi in tre grandi categorie: • Peso proprio del solaio Ppk • Sovraccarico permanente Spk • Sovraccarico accidentale Sqk Per quanto riguarda le unità di misura con le quali esprimenre l’entità dei carichi e delle conseguenti sollecitazioni, verrà utilizzato il sistema misura internazionale SI. 4.1 Determinazione del peso proprio Il D.M. del 16/01/96 fornisce al punto 4 i pesi “caratteristici” dei più comuni materiali utilizzati nelle costruzioni (tab.1). Per il calcolo del peso proprio di un solaio occorre determinare il peso del cemento armato e il peso degli elementi di alleggerimento. Dalla tabella si evince che il peso del cls armato è pari a 25 kN/m3. Il peso degli elementi di alleggerimento in laterizio dipende, invece, dalla percentuale di foratura presente nelle pignatte. In figura 4.1 sono riportate le percentuali massime di vuoti consentite a seconda delle dimensioni dei blocchi: considerando, ad esempio, una foratura del 70% ed il peso specifico di una muratura in mattoni pieni (18 kN/mc), si ottiene all’incirca un peso di 5.5 kN/mc.

Fig.4.1 – percentuali massime di foratura in base alle dimensioni dei blocchi Più semplicemente, una misura ragionevole del peso medio dell’insieme pignatte-travetti può essere assunta pari a 10 kN/m3. ln questo caso, il peso

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proprio di un solaio di altezza totale H può essere calcolato, in via semplificata, come segue:

ppk (kN/m2) = 25 x s + 10 × (H-s) (1)

dove i due addendi rappresentano rispettivamente il peso della soletta di spessore s e il peso della sottostante parte composta dall’insieme travetti- pignatte. Materiale peso Conglomerato cementizio ordinario 24,0 kN/m3 Conglomerato cementizio ordinario armato (e/o pressocompresso) 25,0 " Conglomerati "leggeri": da determinarsi (14,020,0) " Conglomerati "pesanti": da determinarsi (28,050,0) " Acciaio 78,5 " Ghisa 72,5 " Alluminio 27,0 " Legname: Abete, Castagno 6,0 " Quercia, Noce 8,0 " Pietrame: Tufo vulcanico 17,0 " Calcare compatto 26,0 " Calcare tenero 22,0 " Granito 27,0 " Laterizio (pieno) 18,0 " Malta di calce 18,0 " Malta di cemento 21,0 "

Tab.1 – Pesi caratteristici dei più comuni materiali da costruzione

Tuttavia, in maniera quasi altrettanto semplice e con riferimento alla figura 3.1, può essere calcolato il peso preciso di un metro quadrato di solaio utilizzando la seguente procedura: Peso travetti: pt (KN/m2) = b0 × (H-s) × 25 × nt nt = 1/i = n° travetti a metro. Peso Pignatte: pp (KN/m2) = bp × (H-s) × γp × np

np = (1-b0×nt)/i = n° pignatte a metro γp = peso specifico delle pignatte Peso soletta ps (KN/m2) = s * 25 In definitiva il peso proprio del solaio per unità di superficie è dato dalla somma del peso di travetto, pignatte e soletta

ppk (kN/m2) = pt + pp + ps (2)

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4.2 Determinazione del sovraccarico permanente Per sovraccarico permanente s’intende l’insieme di tutti quei carichi che gravano permanentemente sul solaio, come le finiture, i tramezzi ecc. La circolare Ministeriale del 04/07/96 n.156 indica il peso per unità di volume o superficie di alcuni materiali come riportato nella seguente tabella: PESI DI ELEMENTI COSTRUTTIVI Materiali Peso dell'unità di volume o di superficie A) Malte Malta bastarda (di calce o cemento) 19,00 kN/m³ Malta di gesso 12,00 » Intonaco (spessore 1,5 cm) 0,30 kN/m² B) Manti di copertura Manto impermeabilizzante di asfalto o simile 0,30 » Manto impermeabilizzante prefabbricato con strati bituminosi di feltro, di vetro o simili 0,10 » Tegole maritate (embrici e coppi) 0,60 » Sottotegole di tavelloni (spessore 3-4 cm) 0,35 » Lamiere di acciaio ondulate o nervate 0,12 » Lamiere di alluminio ondulate o nervate 0,05 » Lastre traslucide di resina artificiale, ondulate o nervate 0,10 » C) Muratura Muratura di mattoni pieni 18,00 kN/m³ Muratura di mattoni semipieni 16,00 » Muratura di mattoni forati 11,00 »

Tab.2 – pesi caratteristici di alcuni elementi di finitura

In figura 4.2 è descritta la sezione tipica di un solaio completo delle finiture, con indicati alcuni strati di materiale che comunemente costituiscono buona parte del sovraccarico permanente.

Fig.4.2 – Sezione di un solaio completo delle finiture I pesi comunemente annoverati fra i sovraccarichi permanenti sono i seguenti dove i pesi indicati sono stati calcolati o tratti direttamente dalla tabella 2: • Il pavimento (fra 0.3 e 0.5 kN/m2) • Massetto e allettamento (fra 19 e 21 kN/m3) • Impermeabilizzazione (circa 0.3 kN/m2) • Intonaco (circa 0.3 kN/m2)

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• Isolamento termico (circa 0.05 kN/m2) • tramezzature

La normativa, al punto 5.1 recita: “I tramezzi e gli impianti leggeri di edifici residenziali possono assumersi in genere come carichi equivalenti distribuiti, quando i solai hanno adeguata capacità di ripartizione trasversale.” Poiché in genere ogni solaio in c.a. ha una adeguata capacità di ripartizione trasversale i tramezzi vengono considerati come carico ripartito. Il valore medio di questo peso dipende dal tipo di tramezzature utilizzate e in genere è variabile fra gli 0.8 e 1.2 kN/m2. Un’incidenza più precisa dei tramezzi sul solaio può essere valutata allorché si conosca la loro esatta distribuzione in pianta. Con queste informazioni si può calcolare prima il peso totale delle tramezzature e poi dividerlo per la superficie dell’impalcato. Poiché il carico, nella realtà, non è effettivamente distribuito ma grava su singole porzioni della superficie, occorre applicare un coefficiente di sicurezza più elevato pari a 1.5 (circolare ministeriale del 04/07/96 n.156 punto C.5.1).

a b

c d

Superficie S

c d

Fig.4.3 – Incidenza dei tramezzi

Con riferimento alla figura seguente il peso delle tramezzature viene così calcolato

Ptra = [(a+b+c+d) × h] / S × 1.5 (3) • Peso degli eventuali impianti tecnologici (circa 0.5 kN/m2)

Il sovraccarico permanente totale è dato dalla somma di tutti i contributi presenti. A questo deve essere sommato il peso proprio del solaio per ottenere il carico permanente complessivo. 4.3 Determinazione dei sovraccarichi accidentali Il D.M. 16/01/96, al punto 5.2 e nel prospetto 5.1, fornisce i valori dei sovraccarichi variabili facendo distinzione tra le destinazioni d’uso dei locali in progetto. La seconda colonna della tabella, pubblicata sul Decreto, riporta i valori dei carichi verticali ripartiti (tabella 3), mentre la terza e la quarta colonna riportano, rispettivamente, i carichi concentrati verticali e orizzontali utili al progettista per svolgere solo alcune verifiche locali. I carichi verticali concentrati vanno applicati su di una superficie 50x50 mm mentre i carichi orizzontali vanno applicati (a pareti, a parapetti etc..) ad un’altezza di 1.2 m dal piano di calpestio.

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In entrambi i casi, i carichi concentrati non devono essere cumulati con quelli ripartiti.

LOCALE SOVRACCARICO ACCIDENTALE (kN/m2)

Ambienti non suscettibili di affollamento (locali abitazione e relativi servizi, alberghi, uffici non aperti al pubblico) e relativi terrazzi a livello praticabili

2.00

Ambienti suscettibili di affollamento (ristoranti, caffè, banche, ospedali, uffici aperti al pubblico, caserme) e relative terrazze a livello praticabili

3.00

Ambienti suscettibili di grande affollamento (sale convegni, cinema, teatri, chiese, negozi, tribune con posti fissi) e relativi terrazzi a livello praticabili

4.00

Sale da ballo, palestre, tribune libere, aree di vendita con esposizione diffusa (mercati, grandi magazzini, librerie, ecc.) e relativi terrazzi a livello praticabili, balconi e scale

5.00

Balconi, ballatoi e scale comuni (esclusi quelli pertinenti alla Cat. 4) 4.00

Sottotetti accessibili (per sola manutenzione) 1.00

Coperture non accessibili

Coperture accessibili:

speciali (impianti, eliporti, altri):

0.5

secondo categoria di appartenenza

secondo il caso

Rimesse e parcheggi:

− per autovetture di peso a pieno carico fino a 30 kN

− per transito di automezzi di peso superiore a 30 kN

2.50

da valutarsi caso per caso

Tab. 3 – Sovraccarichi variabili ripartiti per edifici

4.4 Determinazione del carico della Neve Alla valutazione del carico neve è dedicato l’intero paragrafo 6 del D.M. 16/01/96 e della circolare n.156. Il calcolo è impostato in modo estremamente semplice: si valuta dapprima il carico della neve al suolo qsk, il quale, moltiplicato per il fattore di forma della copertura µi, fornisce il carico neve qs

qs = µi qsk (4) Per quanto riguarda il coefficiente di forma, al punto 6.2 della circolare è riportata una dettagliata casistica sulle possibili tipologie di copertura degli

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edifici. E’ bene precisare che la (4) vale nel caso di altitudini inferiori ai 1.500 m e per un periodo di ritorno della neve di 200 anni. Al punto C.6.6, la Circolare indica anche la necessità di considerare un peso concentrato dovuto alla neve nel caso di coperture sporgenti. Tale carico dipende dal coefficiente di forma della copertura, dal coefficiente di forma della neve, dalla densità della neve (fornita dalla tabella C.6.2) e dal carico della neve al suolo. E’ importante sottolineare che la circolare n.156 al punto 5.2 relativo ai sovraccarichi accidentali per gli edifici recita che: “I sovraccarichi indicati nel presente paragrafo non vanno cumulati, sulle medesime superfici, con quelli relativi alla neve”. Ciò significa che tra un carico neve ed un sovraccarico accidentale dovuto alla destinazione d’uso dello spazio aperto, bisogna scegliere quello che, tra i due, genera uno stato di sollecitazione peggiore, senza mai sommarli. 4.5 Combinazioni di carico I singoli carichi determinati sulla base delle indicazioni dei precedenti paragrafi vanno combinati opportunamente in funzione dello stato limite considerato per la struttura (stato limite ultimo o di esercizio o carichi eccezionali). Il punto C.3.2 della Circolare Ministeriali n° 156 recita: “Indipendentemente dal metodo di verifica adottato, le azioni debbono essere cumulate secondo condizioni di carico tali da risultare più sfavorevoli ai fini delle singole verifiche, tenendo conto della ridotta probabilità d’intervento simultaneo di tutte le azioni con i rispettivi valori più sfavorevoli”. Nel caso di stati limite ultimi la formula generale che la normativa fornisce è la seguente:

Fd = γg Pk + γq Qk + Σi ψ0i Qki (5)

con Pk sono indicati i carichi permanenti caratteristici, con Qk sono indicati i carichi accidentali caratteristici assunti, di volta in volta, come principali, mentre con Qki sono indicati i carichi accidentali cosiddetti secondari che devono essere moltiplicati per dei coefficienti riduttivi ψ0i con valori comunquenon minori di 0.7. I coefficienti γg e γq, invece, sono i coefficienti parziali di sicurezza i cui valori sono riportati nella tabella 4:

COEFFICIENTE STATO LIMITE ULTIMO STATO LIMITE DI ESERCIZIO

γg 1.4 1.0 1.0 1.0

γq 1.5 0.0 1.0 1.0

Tab.4 – Coefficienti parziali di sicurezza dei carichi

Se su di un edificio deve essere applicato più di un carico accidentale, occorre di volta in volta sceglierne uno come principale, gli altri come secondari e

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combinarli secondo la (5). I diagrammi delle sollecitazioni conseguenti ad ognuna delle condizioni di carico considerate devono essere poi sovrapposti (Diagramma d’Inviluppo), per valutare le sollecitazioni massime. Per comprendere meglio il concetto di combinazione di carico, si pensi al solaio di un edificio con una destinazione d’uso qualsiasi come “civile abitazione”, “uffici” ecc. E’ lecito pensare che non tutto il solaio sia sottoposto agli stessi carichi accidentali nello stesso momento: spesso può anche capitare che alcune aree di solaio non siano proprio utilizzate per periodi più o meno lunghi. D’altra parte, non è detto che la condizione di carico che prevede la presenza di tutto il carico variabile contemporaneamente sia quella in grado di produrre le sollecitazioni più elevate in tutte le sezioni. Per rendersene conto, s’immagini di calcolare il diagramma di momento di una trave continua su due campate uguali (Fig. 4.4) soggetta a tre diverse combinazioni di carico: nella prima e nella seconda sono caricate alternativamente le due campate, mentre nella terza il carico è presente ovunque. Appare evidente che alle condizioni 1 e 2 corrispondono valori più alti dei momenti positivi in campata, mentre la condizione 3 fornisce il massimo momento negativo all’appoggio. Ciò appare ancora più naturale se si pensa che la terza combinazione di carico è data dalla somma delle prime due: di conseguenza, in regime di sovrapposizione degli effetti, anche il diagramma dei momenti sarà dato dalla somma dei diagrammi ottenuti caricando le due campate separatamente. In Figura 4.4, assieme ai diagrammi, sono riportate anche le deformate della trave (linea elastica) sotto le rispettive condizioni di carico. In conclusione, per progettare correttamente la trave riportata nell’esempio, è necessario prendere in considerazione tutte e tre le eventualità.

llA B C

q

q

q

1° cdc

2° cdc

3° cdc

Fig.4.4 – Combinazioni di carico

AB C

2ql /10.4

ql /162

1° cdc

ql /10.4

A

2

2° cdc ql /16

B

2

C

A

3° cdc

ql /14.2

B2

ql /82

C

ql /14.22

Si allarghi, adesso, il concetto della combinazione dei carichi, a travi continue con un numero imprecisato di campate. Consideriamo la trave di figura:

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Immaginiamo che su di essa gravino carichi di tipo permanente e carichi di tipo accidentale. Ci si chiede allora quale sia la distribuzione di tali carichi in grado di determinare lo stato di sollecitazione più gravoso. Un procedimento tipico è il seguente: • Si determina la posizione dei carichi accidentali in modo che in una

determinata sezione si verifichi il valor massimo della sollecitazione cercata (momento, taglio etc..)

• Si determinano i diagrammi di sollecitazione corrispondenti • Si combinano insieme tutti i diagrammi inerenti le sezioni più significative,

ottenendo il cosiddetto diagramma inviluppo. Per determinare la posizione dei carichi accidentali, in grado di provocare lo stato di sollecitazione più gravosa in una determinata sezione, è opportuno ragionare sulla deformata che essi provocherebbero. I carichi permanenti si considerano uniformemente ripartiti su tutte le campate, per cui occorre valutare la posizione dei soli carichi accidentali. Prendiamo in considerazione, per esempio, il momento in campata AB della trave:

Il momento MAB è positivo se tende le fibre inferiori, sicché il carico deve essere posto necessariamente su tutta la campata AB. Ci si accorge poi che un carico uniformemente ripartito su CD provocherebbe lo stesso tipo di deformata:

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Il carico posto in altre campate provocherebbe nella campata AB un momento di segno opposto. Tale condizione va dunque scartata:

In definitiva la condizione di carico accidentale più gravosa per il momento in campata AB è la seguente:

Condizione di carico più gravosa per il momento nella campata AB e CD Stessa condizione per il momento nella campata CD con analogo ragionamento si ottengono le condizioni di carico più gravoso per il momento nella campata BC e negli appoggi B, C e D.

Condizione di carico più gravosa per il momento nella campata BC

Momento in B

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Per quanto riguarda l’appoggio relativo allo sbalzo, quest’ultimo si comporta come una mensola e quindi come una struttura isostatica. Di conseguenza, Il momento che si sviluppa sull’appoggio vale quanto il suo momento d’incastro perfetto. Infatti, se si fa l’equilibrio delle forze sulla mensola considerando un taglio su di essa un infinitesimo prima dell’appoggio si ha: q

L

2

2LqM Ip⋅

= MIp Una volta determinalle condizioni di cinviluppo” come so

luce mensola

ati i diagrammi delle sarico più gravose si vrapposizione di tutti i

Tipico andamento di un

ollecitazioni (taglio e momento) relativi può costruire il così detto “diagramma diagrammi.

diagramma inviluppo