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1 Ministero dell’Economia e delle Finanze Dipartimento del Tesoro N°5 - Giugno 2009 Note Tematiche ISSN 1972-4128 LA DERIVAZIONE DI INDICATORI DISTRIBUTIVI E REDISTRIBUTIVI CON IL MODELLO ECONLAV Di: Federico Giammusso * , Valentino Parisi ** ABSTRACT ECONLAV è il nuovo modello di microsimulazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale 1 . Si tratta di un modello comportamentale imposte e benefici in grado di simulare gli effetti di modifiche nel sistema di imposte e benefici sulla finanza pubblica e sull’offerta di lavoro. Qui presentiamo gli indicatori distributivi che possono essere trattati dal modello. ECONLAV ECONLAV è un modello di microsimulazione del sistema imposte- benefici italiano. Modelli di microsimulazione, o anche modelli imposte- benefici (tax-benefit), sono modelli microeconomici che consentono di calcolare l’ammontare del reddito disponibile individuale a fronte delle imposte pagate e dei trasferimenti ricevuti dagli individui, sulla base di un campione di famiglie rappresentativo della popolazione nazionale. In quanto modelli micro, considerano come unità di analisi informazioni a livello individuale e dunque si basano su micro-dati. In quanto modelli di simulazione, descrivono in dettaglio le regole del sistema fiscale e del sistema dei trasferimenti pubblici, tenendo conto anche delle possibile interazioni tra i diversi elementi del sistema imposte- benefici. I modelli di microsimulazione sono così in grado di valutare l’impatto della legislazione fiscale esistente o di riforme del sistema imposte-benefici sul reddito individuale e, di conseguenza, sul reddito famigliare. I risultati per le singole famiglie possono essere poi riportati all’intera popolazione di riferimento usando i pesi campionari. Considerando che la ricostruzione del reddito individuale contiene anche una stima dell’evasione fiscale, ECONLAV consente anche di valutare gli effetti di gettito complessivo di riforme del sistema di imposte o il costo per il * MEF, Dipartimento del Tesoro, Direzione Analisi e Programmazione Economico-Finanziaria. Corresponding author: Via XX Settembre 87, 00197 Rome - ITALY. Tel: 39-06-47614527. E-mail: [email protected] ** Università di Cassino. E-mail: [email protected] 1 Il modello è stato sviluppato dall’ISFOL per conto dei due Ministeri. Note Tematiche La collana intende promuovere la circolazione di Note Tematiche prodotte nell’ambito del Ministero dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro. Il contenuto delle Note Tematiche riflette esclusivamente le opinioni degli autori e non impegna in alcun modo l’Amministrazione. JEL: D63, I32 Keywords: microsimulazione, indici distributivi, povertà

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1

Ministero dell’Economia e delle Finanze

Dipartimento del Tesoro

N°5 - Giugno 2009

Note Tematiche

ISSN 1972-4128

LA DERIVAZIONE DI INDICATORI DISTRIBUTIVI E REDISTRIBUTIVI CON IL MODELLO ECONLAV

Di: Federico Giammusso*, Valentino Parisi

**

ABSTRACT

ECONLAV è il nuovo modello di microsimulazione del Ministero dell’Economia e delle Finanze e del Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale

1. Si tratta di un modello comportamentale imposte

e benefici in grado di simulare gli effetti di modifiche nel sistema di imposte e benefici sulla finanza pubblica e sull’offerta di lavoro. Qui presentiamo gli indicatori distributivi che possono essere trattati dal modello.

ECONLAV

ECONLAV è un modello di microsimulazione del sistema imposte-benefici italiano. Modelli di microsimulazione, o anche modelli imposte-benefici (tax-benefit), sono modelli microeconomici che consentono di calcolare l’ammontare del reddito disponibile individuale a fronte delle imposte pagate e dei trasferimenti ricevuti dagli individui, sulla base di un campione di famiglie rappresentativo della popolazione nazionale. In quanto modelli micro, considerano come unità di analisi informazioni a livello individuale e dunque si basano su micro-dati. In quanto modelli di simulazione, descrivono in dettaglio le regole del sistema fiscale e del sistema dei trasferimenti pubblici, tenendo conto anche delle possibile interazioni tra i diversi elementi del sistema imposte-benefici. I modelli di microsimulazione sono così in grado di valutare l’impatto della legislazione fiscale esistente o di riforme del sistema imposte-benefici sul reddito individuale e, di conseguenza, sul reddito famigliare. I risultati per le singole famiglie possono essere poi riportati all’intera popolazione di riferimento usando i pesi campionari. Considerando che la ricostruzione del reddito individuale contiene anche una stima dell’evasione fiscale, ECONLAV consente anche di valutare gli effetti di gettito complessivo di riforme del sistema di imposte o il costo per il

* MEF, Dipartimento del Tesoro, Direzione Analisi e Programmazione Economico-Finanziaria. Corresponding author: Via XX Settembre 87, 00197 Rome - ITALY. Tel: 39-06-47614527. E-mail: [email protected] ** Università di Cassino. E-mail: [email protected] 1 Il modello è stato sviluppato dall’ISFOL per conto dei due Ministeri.

Note Tematiche La collana intende promuovere la

circolazione di Note Tematiche prodotte nell’ambito del Ministero

dell’Economia e delle Finanze, Dipartimento del Tesoro.

Il contenuto delle Note Tematiche

riflette esclusivamente le opinioni degli autori e non impegna in alcun modo

l’Amministrazione.

JEL: D63, I32

Keywords: microsimulazione, indici distributivi,

povertà

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bilancio pubblico prodotto da modifiche del sistema dei trasferimenti pubblici. Inoltre, ECONLAV simula l’impatto di modifiche di policy (imposte e benefici) sull’offerta di lavoro degli individui. Data l’eterogeneità dell’elasticità dell’offerta di lavoro tra diverse tipologie di individui (e.g. donne versus uomini), tale aspetto del modello consente, tra l’altro, un’analisi più accurata degli effetti distributivi delle politiche. Questa nota intende fornire una panoramica degli indici di natura distributiva e redistributiva che possono essere costruiti impiegando ECONLAV. Sono indici che possono essere utilizzati sia per fotografare la situazione distributiva esistente, i.e. a politiche invariate, sia valutare l’impatto redistributivo di modifiche nelle politiche. Suddivideremo tali misure in cinque categorie principali, partendo da quelle che possono trattare diverse tipologie di percettori di reddito per poi illustrare quelle che coprono l’intera popolazione dei percettori:

1. indici di reddito; 2. indicatori di pressione fiscale; 3. indici distributivi; 4. indici globali della progressività; 5. indici di povertà.

INDICI DI REDDITO

ECONLAV consente di ricostruire in modo dettagliato le variazioni del reddito individuale prodotte da riforme del sistema fiscale, qui inteso nel suo complesso come sistema imposte-benefici. Il lavoro di ricostruzione del sistema di imposte e benefici è stato particolarmente accurato e questo in modo da venire incontro il più possibile alle esigenze dei policy maker. L’unità di analisi è costituita dalla famiglia in senso esteso, così come viene definita nella Indagine sui bilanci delle famiglie della Banca d’Italia (Banca d’Italia, 2004) che rappresenta la base dati del modello. Questa prende come riferimento l’insieme di individui che vivono nella stessa abitazione e normalmente differisce dalla definizione anagrafica di famiglia che rappresenta quella rilevante ai fini dell’imposta personale sul reddito (IRPEF) e, spesso, ai fini della valutazione dell’eleggibilità alle misure assistenziali. La costruzione del modello ECONLAV è tuttavia flessibile rispetto alla definizione di famiglia di riferimento e consente anche di esprimere i risultati per nucleo fiscale. Per analizzare l’impatto diretto delle riforme fiscali, un primo indicatore è rappresentato dalle variazioni percentuali del reddito famigliare tra lo scenario post riforma o, eventualmente, tra scenari alternativi che si riferiscono a diverse possibili riforme, e lo scenario simulato nell’anno base. Queste misurano le variazioni immediate che provvedimenti di politica fiscale e/o di politica sociale hanno sul reddito famigliare, ovvero le variazioni di reddito monetario indotto dai provvidenti considerati sulle famiglie. Tali variazioni possono essere poi analizzate per tipologie famigliari opportunamente definite, oltre che in aggregato, studiando così gli effetti che le misure hanno su segmenti specifici della popolazione. Normalmente può avere rilevanza analizzare le variazioni attese di reddito famigliare per posizione lavorativa del

EconLav permette di valutare ex ante l’impatto delle politiche su diverse tipologie di famiglie in base alla condizione lavorativa, al reddito, al genere, all’area geografica, alla composizione famigliare

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capofamiglia, cogliendo così diversi effetti che le manovre hanno, ad esempio, in famiglie in cui il capofamiglia è lavoratore (dipendente, autonomo) o pensionato o non lavoratore, per area geografica di residenza della famiglia, per genere del capofamiglia, per numero di componenti il nucleo famigliare, per numero di figli minori presenti nella famiglia, per età del capofamiglia, per numero di percettori di reddito presenti nella famiglia. Una valutazione più precisa dell’impatto redistributivo dei provvedimenti simulati può essere poi colta calcolando le variazioni di reddito famigliare per quantili di reddito. Questi suddividono la popolazione in gruppi di uguale numerosità ordinati per valori non decrescenti del reddito famigliare. Così se la popolazione viene suddivisa in decili, il primo decile conterrà il 10% più povero della popolazione, l’ultimo decile quello più ricco. E’ così possibile studiare gli effetti che i provvedimenti di politica fiscale hanno sui diversi gruppi “reddituali”della popolazione. Occorre quì fare una precisazione. Al fine di rendere i redditi famigliari omogenei rispetto alla dimensione e alla composizione della famiglia stessa, e dunque confrontabili, ai redditi famigliari simulati sono applicate opportune scale di equivalenza. Infatti, sebbene normalmente al crescere della dimensione famigliare il reddito della famiglia cresca, ciò non implica necessariamente che il benessere della famiglia sia maggiore. Un altro modo per affermare lo stesso concetto è che, a parità di reddito monetario famigliare, la posizione reddituale effettiva della famiglia sarà diversa a seconda che nel nucleo vi sia un solo componente o più componenti, magari distinguendo per la eventuale presenza di soggetti anziani, bambini, soggetti disabili. Le scale di equivalenza rappresentano coefficienti che tengono conto sia della numerosità famigliare (e delle economie di scala connesse alla diversa dimensione), sia della composizione della famiglia stessa. La costruzioni dei quantili di reddito e, come vedremo sotto, il calcolo degli indici distributivi e degli indici di povertà fanno dunque riferimento ai redditi famigliari equivalenti. Naturalmente, le variazioni di reddito che consentono di cogliere l’impatto monetario immediato delle riforme, sono invece riferite ai redditi non equivalenti. Le variazioni per tipologie famigliari e per quantili di reddito equivalente esprimono variazioni medie per il gruppo considerato. Per avere informazioni più puntuali sull’impatto delle riforme per ogni tipologia famigliare considerata, ECONLAV consente di calcolare il numero di famiglie avvantaggiate, svantaggiate o non interessate dalle misure simulate, per le quali il reddito disponibile famigliare, rispettivamente, aumenta, diminuisce o rimane inalterato a seguito dei provvedimenti considerati.

INDICATORI DI PRESSIONE FISCALE

Un altro indicatore immediato degli effetti perequativi di riforme dell’imposta personale sul reddito (IRPEF) è rappresentato dalle aliquote medie effettive di imposta. Queste sono definite come rapporto tra l’ammontare netto IRPEF pagato dai contribuenti e il reddito imponibile o il reddito complessivo dell’individuo.

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Come noto, il grado effettivo di progressività del sistema di tassazione personale sul reddito dipende da molteplici strumenti. Da un lato vanno considerate le aliquote nominali di imposta, o anche aliquote legali, crescenti al crescere della base imponibile. Queste rappresentano la scala delle aliquote marginali previste dalla legislazione. E’ tuttavia evidente che in presenza di un complesso sistema di deduzioni dall’imponibile e detrazioni di imposta, una misura precisa dell’onere effettivo di imposta si ottiene considerando il rapporto tra imposta netta

2 sul reddito e il reddito (imponibile o complessivo). Definiamo tale

rapporto aliquota media effettiva di imposta. Anche in questo caso, come per le variazioni percentuali del reddito, le aliquote medie effettive simulate da ECONLAV possono essere calcolate a livello famigliare per diverse tipologie o per quantili di reddito disponibile (famigliare equivalente). Analizzando le variazioni delle aliquote medie tra scenari alternativi è così possibile ottenere un indicatore immediato della capacità perequativa di tali riforme.

INDICI DISTRIBUTIVI

Un indice della disuguaglianza è definito da una funzione che associa ad ogni possibile distribuzione dei redditi una misura del grado di concentrazione dei redditi. In generale, un indice della disuguaglianza assume valori compresi tra 0, quando i redditi sono distribuiti in modo uniforme tra i percettori, ovvero quando tutti gli individui hanno lo stesso reddito, e 1, quando esiste massima disuguaglianza, ovvero quando il reddito complessivo della popolazione è posseduto da un unico soggetto. La letteratura sulla misura della disuguaglianza

3 distingue due diversi

approcci, quello oggettivo e quello normativo. Il primo fornisce misure statistiche (o sintetiche) della disuguaglianza del reddito, perlopiù fondate su una misura del grado di dispersione dei redditi. Il secondo approccio comporta invece l’adesione esplicita ad una particolare funzione del benessere sociale secondo un’impostazione tipica dell’economia del benessere. In questo caso la costruzione di un indice della disuguaglianza discende dalla definizione di una funzione del benessere sociale. Qui considereremo tre indici che rappresentano quelli più frequentemente impiegati nelle analisi distributive. Per ognuno di essi è possibile tanto fotografare la situazione a politiche invariate quanto l’impatto sulla disuguaglianza di una variazione delle politiche. Il primo, forse la più popolare misura sintetica della disuguaglianza, è l’indice di Gini sviluppato all’inizio del secolo scorso. Il secondo, anch’esso una misura di natura statistica, è il rapporto interdecilico. Il terzo, l’indice di Atkinson, è stato elaborato negli anni ’70 sulla base dei lavori di Pigou e Dalton sviluppati negli anni ’20, e discende invece

2 Applicando la scala delle aliquote al reddito imponibile si ottiene l’ammontare dell’imposta lorda. Da quest’ultima, una volta sottratte le detrazioni di imposta previste per la produzione del reddito o per la eventuale presenza di carichi famigliari, si ottiene l’imposta netta che rappresenta così l’ammontare dell’imposta effettiva pagata dal contribuente. 3 Un’analisi approfondita degli aspetti teorici relativi alla misura della disuguaglianza esula dagli obiettivi di questo lavoro. Rinviamo alla letteratura specializzata. Diversi sono i riferimenti bibliografici. Tra tutti si veda Lambert (2001), mentre per riferimenti all’Italia si possono invece vedere Baldini e Toso (2004).

La diseguaglianza misurata con criteri oggettivi e normativi

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dall’impostazione normativa alla misura della disuguaglianza. Per comodità espositiva, nella parte che segue faremo riferimento a singoli percettori e ai redditi individuali. Naturalmente, il ragionamento può essere esteso senza alcuna difficoltà ai redditi famigliari (equivalenti).

L’INDICE DI GINI

L’indice di Gini è definito dalla metà della media delle differenze tra tutte le coppie di reddito rapportata al reddito medio della popolazione. Formalmente:

[1]

N

i

N

j

ji yyN

G1 1

2||

2

1

dove ji yy indica la differenza, in valore assoluto, fra livelli di reddito

della coppia di individui i e j, µ il reddito medio, N il numero di individui (popolazione). L’indice varia tra 0 e 1. Una delle proprietà interessanti dell’indice di Gini è che si può fornire una rappresentazione grafica della misura della concentrazione del reddito ricorrendo alla curva di Lorenz. Questa (cfr. fig. 1) è definita misurando le quote percentuali cumulate L(p) di reddito possedute dai diversi percentili p della popolazione, ordinati in senso crescente. Nel caso di equidistribuzione la curva coincide con la bisettrice (tutti i percentili posseggono la stessa frazione del reddito totale); nel caso opposto di massima sperequazione la curva ha la forma di una L rovesciata (tutto il reddito è posseduto dall’ultimo percentile). Geometricamente, ricorrendo alla curva di Lorenz, si dimostra che l’indice di Gini è misurato dal rapporto tra l’area A, ovvero l’area compresa tra la retta di equidistribuzione e la curva di Lorenz, e la somma delle aree A e B. Considerando che l’area (A+B) è pari ad ½, l’indice di Gini è anche definito dalla differenza 1-2B, dove B rappresenta l’area sottesa alla curva di Lorenz. Impiegando quest’ultima formulazione, si ricava che nel caso di equidistribuzione B=1/2 e dunque G=0, mentre nel caso di massima sperequazione del reddito si avrà invece B=0 e, dunque, G=1. Un limite dell’indice di Gini che discende dal suo carattere oggettivo è che da peso uguale ai diversi livelli di reddito. Questo implica, ad esempio, che – a parità di condizioni di partenza - una politica che redistribuisca reddito dall’ultimo al primo decile abbia lo stesso effetto sull’indice distributivo di una politica che redistribuisca dall’ultimo al quinto decile.

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Figura 1

La curva di Lorenz

IL RAPPORTO INTERDECILICO

Un’altra misura di natura oggettiva è l’indice interdecilico. Una volta definiti i diversi percentili (decili) di reddito, il rapporto interdedecilico è definito dal rapporto tra la quota di reddito posseduta dagli individui del primo percentile e la quota dell’ultimo percentile. L’indice misura dunque la distanza tra i redditi degli individui più poveri e quelli degli individui più ricchi e, data la sua immediatezza, è frequentemente impiegato nelle analisi distributive. L’indice ha tuttavia lo svantaggio di ignorare la posizione dei percentili intermedi della distribuzione dei redditi.

L’INDICE DI ATKINSON

Come già detto sopra le misure derivanti dall’impianto normativo ricavano la misura della disuguaglianza da una classe di funzioni del benessere sociale. Questa esprime il livello di benessere della collettività a fronte di dati livelli di benessere raggiunti dai singoli individui. Funzioni del benessere sociale incorporano dunque il giudizio della collettività rispetto alle distribuzione del reddito ed hanno forma diversa a seconda delle diverse attitudini della collettività o del decisore politico circa l’equità. Per introdurre l’indice di Atkinson, si assuma una funzione di

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benessere sociale di tipo additivo, definita come segue4:

[2]

N

n

nyuW1

)(

L’indice di Atkinson può essere definito come quella frazione di reddito totale a cui la società potrebbe rinunciare senza alcuna perdita di benessere a patto che la quota di reddito rimanente sia ripartita in parti eguali. Se indichiamo questa frazione con I, data la funzione di benessere sociale W, dovrà aversi che:

[3]

N

n

nyuYIU1

)(1

dove Y è il reddito complessivo. L’indice di Atkinson è dunque una misura della inefficienza distributiva, ovvero della perdita di benessere che la collettività sopporta a causa di una distribuzione non equa del reddito. Formalmente, l’indice può essere ricavato una volta introdotta la nozione di reddito equivalente equamente distribuito, di seguito indicato come ye. Questo è definito esprimendo in termini pro-capite l’ammontare di reddito complessivo che se distribuito equamente garantirebbe lo stesso livello di benessere sociale prodotto dalla distribuzione effettiva. Pertanto, in termini formali, esso è definito come segue:

[4] N

yu

yu

N

n

n

e

1

)(

)(

L’indice di Atkinson5 è misurato dal complemento ad 1 del rapporto tra

il reddito equivalente equamente distribuito e il reddito medio:

[5]

eA

yI 1

L'indice sarà eguale a zero quando ye è pari al reddito medio (equidistribuzione), ma non è detto che assuma valore pari a 1 nel caso di massima concentrazione dal momento che ye generalmente è diverso da zero.

4 La funzione del benessere sociale è, inoltre, simmetrica rispetto ai redditi individuali e non decrescente. 5 Quanto alla funzione di utilità Atkinson considera la seguente funzione:

1;ln

1;1

1

exbaeU

ee

xbaeU

e

e

e

dove a e b sono costanti positive ed e misura l’elasticità dell’utilità marginale rispetto al reddito. Questa definisce anche il grado di avversione della disuguaglianza che, data la forma della funzione di utilità assunta, è costante. Anche su questi aspetti si può vedere Lambert (2001).

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INDICI GLOBALI DELLA PROGRESSIVITÀ

Il potere redistributivo di un’imposta progressiva sul reddito può essere misurato ricorrendo agli indici globali

6. Si tratta di misure basate su un

approccio oggettivo che fanno uso dell’indice di Gini ed è stato sviluppato a partire dai lavori di Jakobsson (1976) e Kakwani (1977). Come vedremo, tale metodologia può essere applicata anche al caso di un trasferimento monetario. Definiamo di seguito l’indice di Reynolds-Smoledsky e l’indice di Kakwani. Il primo misura la capacità redistributiva complessiva dell’imposta ed è dato dalla differenza tra l’indice di Gini del reddito lordo e l’indice di concentrazione del reddito netto

7:

[6] TYY CGRS

L’indice di Kakwani è invece, propriamente, un indice globale della progressività espresso dalla differenza tra l’indice di concentrazione dell’imposta e l’indice di Gini del reddito lordo:

[7] TY CGK

L’indice tiene conto del fatto che un’imposta progressiva sul reddito presenta una concentrazione del prelievo maggiore rispetto a quella dei redditi lordi. In sostanza, quanto più elevata è la concentrazione dell’imposta rispetto a quella dei redditi pre-imposta, tanto maggiore sarà il grado di progressività dell’imposta. Se definiamo con t l’aliquota media effettiva (o incidenza media) dell’imposta, data dal rapporto tra l’imposta netta e il reddito imponibile, si può dimostrare

8 che l’indice di Reynolds-Smoledsky e

l’indice di Kakwani sono legati dalla seguente relazione di proporzionalità:

[8] t

tKRS

1

In sostanza, la capacità redistributiva complessiva9 dell’imposta può

6 Alternativamente, indici locali della progressività misurano il grado di progressività dell’imposta prendendo in considerazione valori dati del reddito imponibile. 7 La diversa terminologia si riferisce al fatto che l’indice di concentrazione è calcolato in relazione alla distribuzione dei redditi netti per gli individui ordinati in funzione del reddito lordo. In questo caso, dunque, la variabile (reddito netto) rispetto alla quale si calcola l’indice di concentrazione o si costruisce la curva di Lorenz non è quella (reddito lordo) usata per ordinare i percettori. 8 Si veda ad es. Lambert (2001). 9 Si può dimostrare (Lambert, 2001) che la relazione può essere anche riscritta in modo alternativo per tenere conto in modo esplicito del fattore dovuto al riordinamento dei redditi. Avremo:

TYTYYTTYY GCt

tGCGG

1

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essere scomposta in un fattore di progressività, misurato dall’indice di Kakwani, e in un fattore legato all’incidenza del prelievo e dovuto al fatto che il potere perequativo dell’imposta aumenta anche se, a parità di progressività, l’incidenza aumenta. La stessa metodologia può essere applicata al caso di un trasferimento monetario. In questo caso il potere redistributivo di un sussidio è dovuto sia alla sua maggiore concentrazione rispetto a quella del reddito lordo, quindi potremmo dire ad un fattore di “scostamento” dalla proporzionalità del sussidio, sia alla sua incidenza media. La relazione tra l’indice di Reynolds-Smoledsky e l’indice di Kakwani (Lambert, 2001) può essere così scritta come segue

10:

[9]

YSSYY GCs

sCG

1

ovvero

[10] s

sKsRS

1

dove s è il sussidio medio e Ks=Cs-Cy.

INDICI DELLA POVERTÀ

La letteratura distingue due criteri per definire la povertà, il concetto di povertà assoluta e quello di povertà relativa. La povertà assoluta fa riferimento ad una qualche misura oggettiva della povertà basata sulla identificazione di un insieme di beni e servizi il cui consumo si ritiene necessario per la sussistenza. Una volta identificato questo paniere si può anche esprimere la spesa necessaria per non cadere in uno stato di privazione economica identificando in tal modo una soglia (o linea) della povertà assoluta. Questo è il criterio impiegato da molte organizzazioni internazionali per misurare la povertà in paesi in via di sviluppo, dove appare più facilmente identificabile una misura oggettiva dei bisogni minimi che devono essere soddisfatti dagli individui ai fini della sussistenza. Alla base del criterio di misurazione della povertà in termini relativi vi è invece la considerazione che la povertà debba essere definita in relazione alle risorse possedute, in media, dalla collettività. In tal senso la definizione di una situazione di povertà va considerata in termini relativi tenendo conto del tenore di vita medio della popolazione. Questo criterio, solitamente, definisce la soglia della povertà sulla base del reddito medio o reddito mediano, ed è più adeguato del criterio della povertà assoluta per definire situazioni di disagio sociale in economie avanzate. Tanto per la povertà assoluta quanto per quella relativa, la soglia della povertà può essere definita sulla base dei redditi o sulla base dei consumi (individuali o famigliari). Gli indicatori concordati in sede

L’indice di redistribuzione è ora definito sulla base degli indici di Gini, rispettivamente, del reddito netto e di quello lordo, mentre l’ultimo termine misura l’effetto dovuto al riordinamento dei redditi. 10 Anche per il caso di un sussidio è possibile esprimere l’effetto redistributivo del sussidio tenendo conto del fattore dovuto al riordinamento dei redditi, come discusso nella nota 6.

Povertà assoluta versus povertà relativa

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europea fanno riferimento ai redditi. D’altra parte, in paesi dove risulta difficile ricostruire in maniera attendibile i redditi, ad esempio per la presenza di elevata evasione fiscale, può essere utile avere misure distributive basate sui consumi. È questa la scelta che fa l’Istat nella sua indagine sulla povertà in Italia. ECONLAV è costruito intorno ai redditi e pertanto è in grado di fornire tassi di povertà basati sui redditi ma non sui consumi. Una volta definita la soglia della povertà, sotto indicata con p, gli indici più comunemente impiegati sono l’indice di diffusione e l’indice di intensità. L’indice di diffusione, o head count ratio, è dato dal rapporto tra i soggetti

11 il cui reddito è inferiore a quello della soglia della povertà e

l’insieme degli individui:

[11] N

qH

L’indice varia tra 0 e 1 e misura in senso stretto il tasso della povertà. Esso non tiene però conto della intensità del fenomeno, ovvero della distanza media dei soggetti poveri rispetto alla soglia della povertà. Diversa è infatti la situazione in cui tutti i poveri hanno un reddito nullo, situandosi così alla massima distanza rispetto alla soglia, rispetto a quella in cui tutti i poveri hanno un reddito pari alla soglia della povertà. A tal fine si ricorre all’indice di intensità della povertà, o anche income gap ratio, che può essere definito come segue:

[12]

q

i

i

p

yp

qI

1

1

dove, il termine in parentesi misura la somma delle distanze (gap) dei redditi dei soggetti poveri rispetto alla soglia delle povertà

12. L’indice

può quindi anche essere definito come rapporto tra il gap medio di povertà e la soglia e varia tra 0 e 1, quando l’intensità del fenomeno è nulla o massima, come discusso sopra. Nelle analisi empiriche, spesso, la povertà viene misurata ricorrendo ad altri due indici. Il primo, l’indice di Sen, tiene anche conto della concentrazione dei redditi dei poveri ed è definito come segue:

[13] qGIIHS 1

dove Gq è l’indice di Gini calcolato per i redditi ad di sotto della linea. Se il reddito tra i poveri è distribuito in maniera uniforme (Gq=0) l’indice di Sen coincide con il prodotto tra l’indice di diffusione e l’indice di intensità della povertà. Al crescere della concentrazione del reddito tra i poveri l’indice aumenta in funzione del termine (1-I). Anche l’ultimo indice che consideriamo, quello di Foster, Greer,

11 O, analogamente, le famiglie il cui reddito reso equivalente è inferiore alla soglia della povertà. 12 In modo analogo l’indice può essere anche misurato tenendo conto dei poverty gap rispetto al totale della popolazione. In questo caso al denominatore del primo termine a destra ci sarebbe N e non q. Questo indice è noto come poverty gap ratio.

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Thorbecke, può essere pensato come una combinazione tra l’indice di diffusione e l’indice di intensità della povertà. L’indice è definito nel modo seguente:

[13]

q

i

i

p

yp

NFGT

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dove α è un parametro positivo che esprime il grado di avversione della disuguaglianza. Se questo è nullo allora l’indice di Foster, Greer, Thorbecke coincide con l’indice di diffusione; se α = 1 l’indice coincide con il prodotto tra l’indice di diffusione e l’indice di intensità, e dunque anche con l’indice di Sen nel caso in cui non vi sia concentrazione dei redditi tra i poveri; in ultimo, se α > 1 l’indice attribuisce pesi maggiori ai poverty gap più elevati. Per tutti gli indici sopra descritti è possibile calcolarne il valore sia prima che dopo le misure di policy così da avere un’idea dell’efficacia del sistema di imposte e benefici italiano nel contrasto alla povertà. Tra l’altro questo è uno degli indicatori di inclusione sociale concordati in sede europea per valutare i sistemi di tassazione e di welfare dei paesi membri. Infine, accanto a queste misure che fotografano la povertà in uno specifico momento sono stati sviluppati indici di natura intertemporale. È il caso del grado di persistenza della povertà che conteggia come poveri gli individui o le famiglie che sono stati sotto la soglia di povertà almeno alcuni anni (e.g. tre) sull’intero periodo esaminato (e.g. quattro). Ovviamente, per misurare la povertà su un orizzonte pluriennale dei sarebbero necessari dei data set panel che allo stato attuale non sono a disposizione di ECONLAV.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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