Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più...

166
Piero Martinetti Il sistema Sankhya www.liberliber.it Piero Martinetti Il sistema Sankhya www.liberliber.it

Transcript of Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più...

Page 1: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Piero MartinettiIl sistema Sankhya

www.liberliber.it

Piero MartinettiIl sistema Sankhya

www.liberliber.it

Page 2: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il sistema Sankhya: studio sulla filosofiaindianaAUTORE: Martinetti, PieroTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: No

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il sistema Sankhya : studio sulla filoso-fia indiana / Piero Martinetti. – Torino : Lattes,1897. – 130 p. ; 24 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 18 settembre 2018

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1

2

Questo e-book è stato realizzato anche grazie al so-stegno di:

E-textWeb design, Editoria, Multimedia

(pubblica il tuo libro, o crea il tuo sito con E-text!)http://www.e-text.it/

QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il sistema Sankhya: studio sulla filosofiaindianaAUTORE: Martinetti, PieroTRADUTTORE: CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: No

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il sistema Sankhya : studio sulla filoso-fia indiana / Piero Martinetti. – Torino : Lattes,1897. – 130 p. ; 24 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 18 settembre 2018

INDICE DI AFFIDABILITÀ: 1

2

Page 3: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

0: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI003000 FILOSOFIA / Orientale

DIGITALIZZAZIONE:Giuseppe Bottoni, [email protected]

REVISIONE:Gabriella Dodero

IMPAGINAZIONE:Giuseppe Bottoni, [email protected] Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

3

0: affidabilità bassa1: affidabilità standard2: affidabilità buona3: affidabilità ottima

SOGGETTO:PHI003000 FILOSOFIA / Orientale

DIGITALIZZAZIONE:Giuseppe Bottoni, [email protected]

REVISIONE:Gabriella Dodero

IMPAGINAZIONE:Giuseppe Bottoni, [email protected] Righi, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

3

Page 4: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

Liber Liber

Se questo libro ti è piaciuto, aiutaci a realizzarne altri.Fai una donazione: http://www.liberliber.it/online/aiuta/.Scopri sul sito Internet di Liber Liber ciò che stiamorealizzando: migliaia di ebook gratuiti in edizione inte-grale, audiolibri, brani musicali con licenza libera, videoe tanto altro: http://www.liberliber.it/.

4

Page 5: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Indice generale

Liber Liber......................................................................4INTRODUZIONE STORICA......................................10Cap. I............................................................................20Cap. II...........................................................................44Cap. III..........................................................................88Cap. IV........................................................................119Cap. V.........................................................................139RIASSUNTO SINTETICO........................................162

5

Indice generale

Liber Liber......................................................................4INTRODUZIONE STORICA......................................10Cap. I............................................................................20Cap. II...........................................................................44Cap. III..........................................................................88Cap. IV........................................................................119Cap. V.........................................................................139RIASSUNTO SINTETICO........................................162

5

Page 6: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

PIERO MARTINETTI

IL SISTEMA SANKHYA

STUDIO SULLA FILOSOFIA INDIANA

6

PIERO MARTINETTI

IL SISTEMA SANKHYA

STUDIO SULLA FILOSOFIA INDIANA

6

Page 7: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

«La felicità, la quiete, il soddisfacimento di sè stessi –ecco ciò che tutti gli uomini desiderano; ma dove questafelicità si trovi essi non sanno. Essi credono che possa es-sere trovata in ciò che immediatamente si fa davanti ailoro sensi e si offre al loro spirito – nel mondo; poichénella disposizione d’animo in cui si trovano, null’altro essivedono che il mondo. Essi si danno con ardore a questacaccia della felicità attaccandosi con tutta l’anima e dando-si con passione al primo oggetto che loro piace e promettedi soddisfare la loro aspirazione. Ma come tosto essi rien-trano in sè stessi e si domandano: Sono io ora felice?dall’interno del loro cuore sorge una voce che loro gridadistintamente: No, tu sei ancora così vuoto e così poverocome prima. Allora meditando sul loro errore pensano diessersi ingannati solamente nella scelta dell’oggetto e sigettano verso un altro. Ma nemmeno questo vale a soddi-sfarli: perchè degli oggetti che sono sotto il sole o la lunanessuno può dar loro la felicità. Così errano inquieti e tor-mentati durante tutta la vita; in ciascuna delle posizioni incui si trovano pensano che loro non mancherebbe che dicambiare per essere più felici; e poiché hanno cambiatonon si sentono più felici di prima; in ogni luogo in cui sitrovano pensano che il loro tormento avrebbe fine quan-do fossero giunti all’altezza che il loro occhio abbraccia dalontano; ma l’antico tormento fedelmente li accompagna

7

«La felicità, la quiete, il soddisfacimento di sè stessi –ecco ciò che tutti gli uomini desiderano; ma dove questafelicità si trovi essi non sanno. Essi credono che possa es-sere trovata in ciò che immediatamente si fa davanti ailoro sensi e si offre al loro spirito – nel mondo; poichénella disposizione d’animo in cui si trovano, null’altro essivedono che il mondo. Essi si danno con ardore a questacaccia della felicità attaccandosi con tutta l’anima e dando-si con passione al primo oggetto che loro piace e promettedi soddisfare la loro aspirazione. Ma come tosto essi rien-trano in sè stessi e si domandano: Sono io ora felice?dall’interno del loro cuore sorge una voce che loro gridadistintamente: No, tu sei ancora così vuoto e così poverocome prima. Allora meditando sul loro errore pensano diessersi ingannati solamente nella scelta dell’oggetto e sigettano verso un altro. Ma nemmeno questo vale a soddi-sfarli: perchè degli oggetti che sono sotto il sole o la lunanessuno può dar loro la felicità. Così errano inquieti e tor-mentati durante tutta la vita; in ciascuna delle posizioni incui si trovano pensano che loro non mancherebbe che dicambiare per essere più felici; e poiché hanno cambiatonon si sentono più felici di prima; in ogni luogo in cui sitrovano pensano che il loro tormento avrebbe fine quan-do fossero giunti all’altezza che il loro occhio abbraccia dalontano; ma l’antico tormento fedelmente li accompagna

7

Page 8: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

nell’ambita altezza. E quando vengono gli anni più maturi,quando i baldi ardimenti e le liete speranze della giovinez-za sono scomparsi, consultano forse allora la loro espe-rienza; e riguardando indietro la loro vita passata osanotrarne una definitiva conclusione; osano forse confessare asè stessi che nessuno, nessuno fra i beni della terra condu-ce alla felicità. Che cosa fanno essi allora? Essi rinuncianoforse allora risolutamente ad ogni felicità, ad ogni pacesulla terra, soffocando e comprimendo quanto possonol’inestinguibile desiderio; ed in questa triste apatia fannoconsistere la vera saggezza; in questo disperare della salutela sola vera salute; in questa presunta esperienza chel’uomo è nato non per la felicità, ma per agitarsi nel nulla eper il nulla la vera ragione. Forse anche essi rinunciano allafelicità solo per questa vita terrena; ma si cullano nellasperanza d’una felicità futura, che una certa tradizione cipromette al di là della tomba. In quale deplorabile erroreessi si trovano! Perchè è certo che una felicità al di là dellatomba vi è solamente per coloro che già l’avranno gustatasu questa terra; nè essa è diversa da quella che possiamoraggiungere quandochessia su questa terra; non basta farsiseppellire per entrare nel regno della beatitudine. Essi an-dranno errando e cercando la felicità nella vita avvenire enell’infinita serie delle vite avvenire così inutilmente comel’hanno cercata nella vita attuale, finché la cercheranno al-trove che nel seno dell’essere che li circonda così da vicinoche mai più potranno avvicinarvisi maggiormente per tut-ta l’infinità,– nel seno dell’essere eterno. E così va errandoil povero rampollo dell’eternità, ramingo dalla casa pater-

8

nell’ambita altezza. E quando vengono gli anni più maturi,quando i baldi ardimenti e le liete speranze della giovinez-za sono scomparsi, consultano forse allora la loro espe-rienza; e riguardando indietro la loro vita passata osanotrarne una definitiva conclusione; osano forse confessare asè stessi che nessuno, nessuno fra i beni della terra condu-ce alla felicità. Che cosa fanno essi allora? Essi rinuncianoforse allora risolutamente ad ogni felicità, ad ogni pacesulla terra, soffocando e comprimendo quanto possonol’inestinguibile desiderio; ed in questa triste apatia fannoconsistere la vera saggezza; in questo disperare della salutela sola vera salute; in questa presunta esperienza chel’uomo è nato non per la felicità, ma per agitarsi nel nulla eper il nulla la vera ragione. Forse anche essi rinunciano allafelicità solo per questa vita terrena; ma si cullano nellasperanza d’una felicità futura, che una certa tradizione cipromette al di là della tomba. In quale deplorabile erroreessi si trovano! Perchè è certo che una felicità al di là dellatomba vi è solamente per coloro che già l’avranno gustatasu questa terra; nè essa è diversa da quella che possiamoraggiungere quandochessia su questa terra; non basta farsiseppellire per entrare nel regno della beatitudine. Essi an-dranno errando e cercando la felicità nella vita avvenire enell’infinita serie delle vite avvenire così inutilmente comel’hanno cercata nella vita attuale, finché la cercheranno al-trove che nel seno dell’essere che li circonda così da vicinoche mai più potranno avvicinarvisi maggiormente per tut-ta l’infinità,– nel seno dell’essere eterno. E così va errandoil povero rampollo dell’eternità, ramingo dalla casa pater-

8

Page 9: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

na, sempre circondato dall’eredità celeste cui la sua manotremante non osa afferrare, inquieto e fuggitivo per il de-serto, cercando dappertutto di erigersi una dimora: perfortuna che ciascuna delle sue vane costruzioni lo avvertecon la sua prossima ruina ch’egli non troverà pace in nes-sun luogo che nella casa di suo padre».

Fichte – ANWEISUNG ZUR SELIGEN LEBEN

WERKE, V. 408-9.

9

na, sempre circondato dall’eredità celeste cui la sua manotremante non osa afferrare, inquieto e fuggitivo per il de-serto, cercando dappertutto di erigersi una dimora: perfortuna che ciascuna delle sue vane costruzioni lo avvertecon la sua prossima ruina ch’egli non troverà pace in nes-sun luogo che nella casa di suo padre».

Fichte – ANWEISUNG ZUR SELIGEN LEBEN

WERKE, V. 408-9.

9

Page 10: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

INTRODUZIONE STORICA

Il sistema Sankhya viene generalmente consideratocome il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale possa con qualche cer-tezza riferirsi all’età prebuddistica. Fondatore del medesi-mo secondo la tradizione sarebbe l’antico saggio K apila;il quale sembra essere veramente una personalità storica,sebbene intorno ad esso nulla sappiamo di certo, nessunvalore avendo le numerose e varie leggende che a lui si ri-feriscono. (Hall. Pref. al Sankhya Sara 13-20). L’unica tra-dizione attendibile sembra essere quella che si connettealla città di Kapilavastu (residenza di Kapila); la quale sa-rebbe stata così chiamata in suo onore per essere stata ilteatro principale della sua attività. (Davies 6; si confr. tut-tavia Oldemberg Buddha2 109).

L’opinione comunemente ricevuta che fa del Sankhyaun antecedente del Buddismo riposa quindi più che suprecise testimonianze storiche, sulla stretta analogia che inparecchi punti ravvicina i due sistemi. Vero è che gli argo-menti generalmente addotti (Colebrooke Misc. Ess. I. 240,Burnouf Introd. a l’hist. du Buddh. 211, 455 etc.; e cosìWilson, Bart. St. Hilaire, Davies ed anche Schröder In-diens Literatur u. Cultur 258) già al Weber parvero pocosoddisfacenti; e più recentemente l’Oldemberg (Buddha2

100 nota) e Max Müller (Chips etc. I. 229) sollevarono a

10

INTRODUZIONE STORICA

Il sistema Sankhya viene generalmente consideratocome il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale possa con qualche cer-tezza riferirsi all’età prebuddistica. Fondatore del medesi-mo secondo la tradizione sarebbe l’antico saggio K apila;il quale sembra essere veramente una personalità storica,sebbene intorno ad esso nulla sappiamo di certo, nessunvalore avendo le numerose e varie leggende che a lui si ri-feriscono. (Hall. Pref. al Sankhya Sara 13-20). L’unica tra-dizione attendibile sembra essere quella che si connettealla città di Kapilavastu (residenza di Kapila); la quale sa-rebbe stata così chiamata in suo onore per essere stata ilteatro principale della sua attività. (Davies 6; si confr. tut-tavia Oldemberg Buddha2 109).

L’opinione comunemente ricevuta che fa del Sankhyaun antecedente del Buddismo riposa quindi più che suprecise testimonianze storiche, sulla stretta analogia che inparecchi punti ravvicina i due sistemi. Vero è che gli argo-menti generalmente addotti (Colebrooke Misc. Ess. I. 240,Burnouf Introd. a l’hist. du Buddh. 211, 455 etc.; e cosìWilson, Bart. St. Hilaire, Davies ed anche Schröder In-diens Literatur u. Cultur 258) già al Weber parvero pocosoddisfacenti; e più recentemente l’Oldemberg (Buddha2

100 nota) e Max Müller (Chips etc. I. 229) sollevarono a

10

Page 11: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

questo proposito dubbi non ingiustificati. Ma le acute ri-cerche del Garbe (pref. alla trad. del S. T. Kaumudi 5 esegg.; pref. alla trad. di Aniruddha IV e segg.) sembranoaver messo oramai fuori di dubbio l’antecedenza del San-khya di fronte al Buddismo.

Il Sankhya fu in origine, ed è nella sua essenza, stranieroalla ortodossia bramanica; e la sua origine è secondo ogniprobabilità da ricercarsi nel ricco movimento filosofico-religioso che precedette nell’India orientale la predicazionedel Buddismo. È noto infatti che il diffondersi del moni-smo mistico delle Upanisadi provocò in questa partedell’India ancor straniera alle tradizioni ed all’ordinamentobramanico un movimento speculativo indipendente d’uncarattere affatto particolare. Lasciata da parte ogni rivela-zione, lasciata da parte ogni ricerca sull’Atman, l’attenzio-ne fu rivolta esclusivamente ai problemi del dolore dell’esi-stenza, del merito delle opere, della purificazione dell’ani-ma e della liberazione; e da ogni parte sorsero numerosesette ascetiche delle quali ciascuna pretendeva aver trovatola via alla liberazione e nel cui seno si discutevano i più altiproblemi dell’umano destino. (Oldemberg Buddha2 65 esegg). Un pallido ricordo di questo vario movimento intel-lettuale ci è conservato in alcuni dei più antichi sutra delBuddismo, nei quali è fatta menzione delle scuole esistential tempo di Budda e da questo combattute (v. per es.Grimblot Sept suttas palis tirés du Digha Nikaya-Paris1876, pag. 199 e segg.); e non è a tacersi che secondo ilBühler ed il Garbe in uno dei suddetti sutra sarebbe ap-punto a vedersi un’allusione al nostro sistema (Garbe 5-7;

11

questo proposito dubbi non ingiustificati. Ma le acute ri-cerche del Garbe (pref. alla trad. del S. T. Kaumudi 5 esegg.; pref. alla trad. di Aniruddha IV e segg.) sembranoaver messo oramai fuori di dubbio l’antecedenza del San-khya di fronte al Buddismo.

Il Sankhya fu in origine, ed è nella sua essenza, stranieroalla ortodossia bramanica; e la sua origine è secondo ogniprobabilità da ricercarsi nel ricco movimento filosofico-religioso che precedette nell’India orientale la predicazionedel Buddismo. È noto infatti che il diffondersi del moni-smo mistico delle Upanisadi provocò in questa partedell’India ancor straniera alle tradizioni ed all’ordinamentobramanico un movimento speculativo indipendente d’uncarattere affatto particolare. Lasciata da parte ogni rivela-zione, lasciata da parte ogni ricerca sull’Atman, l’attenzio-ne fu rivolta esclusivamente ai problemi del dolore dell’esi-stenza, del merito delle opere, della purificazione dell’ani-ma e della liberazione; e da ogni parte sorsero numerosesette ascetiche delle quali ciascuna pretendeva aver trovatola via alla liberazione e nel cui seno si discutevano i più altiproblemi dell’umano destino. (Oldemberg Buddha2 65 esegg). Un pallido ricordo di questo vario movimento intel-lettuale ci è conservato in alcuni dei più antichi sutra delBuddismo, nei quali è fatta menzione delle scuole esistential tempo di Budda e da questo combattute (v. per es.Grimblot Sept suttas palis tirés du Digha Nikaya-Paris1876, pag. 199 e segg.); e non è a tacersi che secondo ilBühler ed il Garbe in uno dei suddetti sutra sarebbe ap-punto a vedersi un’allusione al nostro sistema (Garbe 5-7;

11

Page 12: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Grimblot o. c. 72-77).In tempi posteriori poi (secondo il Garbe verso gli ulti-

mi secoli prima dell’era cristiana) con l’estendersi del bra-manismo accadde del Sankhya come di altri sistemi origi-nariamente contrari alla rivelazione Vedica, che furono at-tratti nell’orbita dell’ortodossia bramanica. Quindi è chetutti i testi nei quali ci giunse la dottrina Sankhya sonoopera di bramani ortodossi. Ciò non vuol dire tuttavia cheil Sankhya abbia dovuto subire gravi modificazioni ed as-sumere una forma essenzialmente diversa da quella cheoriginariamente rivestiva. Il menomo riconoscimento no-minale (dice il Garbe) dei Vedi e delle prerogative dei Bra-mani bastava loro perché un sistema passasse per ortodos-so; e se i Buddisti non avessero ricusato di riconoscerel’autorità dei Vedi e dei Bramani, essi sarebbero probabil-mente diventati, senza alcuna alterazione delle loro dottri-ne, una setta bramanica, e Budda sarebbe stato un Rishi(un saggio ispirato) come Kapila. Ciò tanto è vero che lepoche aggiunte posteriori fatte col fine di conciliare il San-khya col bramanismo non solo sono facilmente riconosci-bili, ma neppure alterano notevolmente le dottrine fonda-mentali.

Diventato così un sistema ortodosso il Sankhya esercitòben presto una grande influenza su tutte le manifestazionidel pensiero bramanico, e si mantenne per lungo tempofiorentissimo. La sua influenza è di già riconoscibile nelleUpanisadi meno antiche, nelle quali ricorrono in parecchiluoghi termini e dottrine proprie del nostro sistema. Piùmanifesta ancora è questa influenza nel sistema Yoga (at-

12

Grimblot o. c. 72-77).In tempi posteriori poi (secondo il Garbe verso gli ulti-

mi secoli prima dell’era cristiana) con l’estendersi del bra-manismo accadde del Sankhya come di altri sistemi origi-nariamente contrari alla rivelazione Vedica, che furono at-tratti nell’orbita dell’ortodossia bramanica. Quindi è chetutti i testi nei quali ci giunse la dottrina Sankhya sonoopera di bramani ortodossi. Ciò non vuol dire tuttavia cheil Sankhya abbia dovuto subire gravi modificazioni ed as-sumere una forma essenzialmente diversa da quella cheoriginariamente rivestiva. Il menomo riconoscimento no-minale (dice il Garbe) dei Vedi e delle prerogative dei Bra-mani bastava loro perché un sistema passasse per ortodos-so; e se i Buddisti non avessero ricusato di riconoscerel’autorità dei Vedi e dei Bramani, essi sarebbero probabil-mente diventati, senza alcuna alterazione delle loro dottri-ne, una setta bramanica, e Budda sarebbe stato un Rishi(un saggio ispirato) come Kapila. Ciò tanto è vero che lepoche aggiunte posteriori fatte col fine di conciliare il San-khya col bramanismo non solo sono facilmente riconosci-bili, ma neppure alterano notevolmente le dottrine fonda-mentali.

Diventato così un sistema ortodosso il Sankhya esercitòben presto una grande influenza su tutte le manifestazionidel pensiero bramanico, e si mantenne per lungo tempofiorentissimo. La sua influenza è di già riconoscibile nelleUpanisadi meno antiche, nelle quali ricorrono in parecchiluoghi termini e dottrine proprie del nostro sistema. Piùmanifesta ancora è questa influenza nel sistema Yoga (at-

12

Page 13: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

trib. a Patanjali II. sec. av. C.), il quale più che un sistemafilosofico deve essere considerato come l’esposizione si-stematica dell’ascetismo, bramanico, nella quale la partepuramente filosofica (ad eccezione del riconoscimentodella divinità) è tolta interamente dal Sankhya. [Vedasi in-torno al Yoga P. Markus Die Yoga Philosophie nachdem Rajamartanda dargestellt. Halle 1886]; nel libro diManù, nel Mahabharata e nei Purana, nei quali le dottrineSankhya occorrono variamente congiunte a teorie Vedan-tiche ed a concezioni mitologiche proprie delle religionipopolari. Altre testimonianze dell’importanza assunta dalSankhya nel Bramanismo ci danno il commento di Çanka-ra ai Vedanta Sutra (VI.-VII. sec. d. Cr.), nel quale si pole-mizza lungamente contro il Sankhya, che solo fra tutti i si-stemi viene considerato come un serio competitore delladottrina vedanta (Deussen Das System des Vedanta 23,Thibaut The Vedanta Sutras. transl. I. 382 etc.); e lo scrit-tore maomettano Alberuni (circa 1030 d. C.), nella cuiesposizione della filosofia indiana (V. Alberuni’s Indiatransl. by E. Sachau vol. I.) noi ci troviamo di fronte quasiesclusivamente ad idee tolte dal Sankhya. Nei tempi recen-ti invece il Sankhya cadde nell’India quasi in un perfettooblio. (v. Bhandarkar p. 2).

Quantunque il sistema sia antichissimo, nessuno dei te-sti che noi possediamo può pretendere ad un’antichità al-trettanto remota. I documenti più antichi che noi posse-diamo sono alcuni frammenti riferiti a Pancaçikha, uno deidottori Sankhya il cui nome ricorre spesso insieme a quel-lo di Kapila, e che R. Garbe pone, in modo però affatto

13

trib. a Patanjali II. sec. av. C.), il quale più che un sistemafilosofico deve essere considerato come l’esposizione si-stematica dell’ascetismo, bramanico, nella quale la partepuramente filosofica (ad eccezione del riconoscimentodella divinità) è tolta interamente dal Sankhya. [Vedasi in-torno al Yoga P. Markus Die Yoga Philosophie nachdem Rajamartanda dargestellt. Halle 1886]; nel libro diManù, nel Mahabharata e nei Purana, nei quali le dottrineSankhya occorrono variamente congiunte a teorie Vedan-tiche ed a concezioni mitologiche proprie delle religionipopolari. Altre testimonianze dell’importanza assunta dalSankhya nel Bramanismo ci danno il commento di Çanka-ra ai Vedanta Sutra (VI.-VII. sec. d. Cr.), nel quale si pole-mizza lungamente contro il Sankhya, che solo fra tutti i si-stemi viene considerato come un serio competitore delladottrina vedanta (Deussen Das System des Vedanta 23,Thibaut The Vedanta Sutras. transl. I. 382 etc.); e lo scrit-tore maomettano Alberuni (circa 1030 d. C.), nella cuiesposizione della filosofia indiana (V. Alberuni’s Indiatransl. by E. Sachau vol. I.) noi ci troviamo di fronte quasiesclusivamente ad idee tolte dal Sankhya. Nei tempi recen-ti invece il Sankhya cadde nell’India quasi in un perfettooblio. (v. Bhandarkar p. 2).

Quantunque il sistema sia antichissimo, nessuno dei te-sti che noi possediamo può pretendere ad un’antichità al-trettanto remota. I documenti più antichi che noi posse-diamo sono alcuni frammenti riferiti a Pancaçikha, uno deidottori Sankhya il cui nome ricorre spesso insieme a quel-lo di Kapila, e che R. Garbe pone, in modo però affatto

13

Page 14: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

congetturale, verso il 1° secolo dell’era nostra. A Pancaçi-kha vengono attribuite parecchie opere: tra le altre la San-khyakramadipika, breve operetta stata pubblicata e tradot-ta dal Ballantyne (Mirzapore 1850), ma che è senza dubbiod’origine assai più recente. I brevi frammenti autentici diPancaçikha sono insieme raccolti nella Introduz. al San-khyasara di J. E. Hall (p. 24-25 nota).

Nella Karika 72 troviamo fatta menzione di altra operache andò parimenti perduta; il Shashtitantra, che è anchecitato da Gaudapada nel Commento alla Karika 17 e daVyasa nel Yogabhashya. Ad esso si riferisce probabilmenteanche Çankara nel commento ai Vedanta sutra II 1, 1. (V.-Thibaut o. c. I 291).

Il testo più antico che noi abbiamo è la Sankhyakarikaattribuita ad Içvarakrishna, la quale consta di 69 distici (idistici 70-72 vennero aggiunti posteriormente), nei quali ladottrina Sankhya è esposta brevemente sebbene non sem-pre con chiarezza. Siccome di essa esiste una traduzionecinese che appartiene alla seconda metà del secolo VI d.C., e questa traduzione comprende oltre al testo un com-mentario che rassomiglia a quello giunto a noi sotto ilnome di Gaudapada, così la Karika non deve certamenteessere posteriore al V secolo d. C. (M. Müller. India Whatcan it teach us? Lond. 1883, p. 360-361). Essa è però pro-babilmente anche anteriore di qualche secolo a questo ter-minus ad quem; e il Garbe riferisce (Ber. üb die Verhandl.d. Königl. Sächs. Gesellschaft d. Wiss.-Philol. hist. Classe1888, pag. 7) che la tradizione indigena in Benares ponel’epoca della redazione della Karika verso il primo secolo

14

congetturale, verso il 1° secolo dell’era nostra. A Pancaçi-kha vengono attribuite parecchie opere: tra le altre la San-khyakramadipika, breve operetta stata pubblicata e tradot-ta dal Ballantyne (Mirzapore 1850), ma che è senza dubbiod’origine assai più recente. I brevi frammenti autentici diPancaçikha sono insieme raccolti nella Introduz. al San-khyasara di J. E. Hall (p. 24-25 nota).

Nella Karika 72 troviamo fatta menzione di altra operache andò parimenti perduta; il Shashtitantra, che è anchecitato da Gaudapada nel Commento alla Karika 17 e daVyasa nel Yogabhashya. Ad esso si riferisce probabilmenteanche Çankara nel commento ai Vedanta sutra II 1, 1. (V.-Thibaut o. c. I 291).

Il testo più antico che noi abbiamo è la Sankhyakarikaattribuita ad Içvarakrishna, la quale consta di 69 distici (idistici 70-72 vennero aggiunti posteriormente), nei quali ladottrina Sankhya è esposta brevemente sebbene non sem-pre con chiarezza. Siccome di essa esiste una traduzionecinese che appartiene alla seconda metà del secolo VI d.C., e questa traduzione comprende oltre al testo un com-mentario che rassomiglia a quello giunto a noi sotto ilnome di Gaudapada, così la Karika non deve certamenteessere posteriore al V secolo d. C. (M. Müller. India Whatcan it teach us? Lond. 1883, p. 360-361). Essa è però pro-babilmente anche anteriore di qualche secolo a questo ter-minus ad quem; e il Garbe riferisce (Ber. üb die Verhandl.d. Königl. Sächs. Gesellschaft d. Wiss.-Philol. hist. Classe1888, pag. 7) che la tradizione indigena in Benares ponel’epoca della redazione della Karika verso il primo secolo

14

Page 15: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

dopo l’era. E veramente essa ci presenta caratterid’un’antichità relativamente assai considerevole. Quantoalla personalità dell’autore nulla si conosce di certo.

I principali commentatori della Karika sono Gauda-pada, autore d’un commento chiaro ma breve e poco pro-fondo, il quale dalla tradizione è detto essere stato precet-tore di Çankara, il celebre dottore Vedantico, e deve quindiaver vissuto nella prima metà del VI secolo d. C.; e Vaca-spatim içra, il quale scrisse il suo Sankhyatattvakaumudiverso il principio del XII secolo. (Garbe 1. c. 9). Il com-mento di quest’ultimo è il migliore di tutti i commenti del-la Karika sia per la copia e la chiarezza dell’esposizione, siaper la obbiettività assoluta con cui l’autore (che pure com-pose con la stessa imparzialità importanti opere sul siste-ma Vedanta e sul Nyaya) ci espone le teorie del nostro si-stema.

La Karika venne pubblicato con traduzione e commen-to latino dal Lassen (Bonn 1832); col commento di Gau-dapada e la traduzione inglese del testo e del commentodal Wilson. (Oxford 1837; reimpr. senza il testo sanscritoa Bombay 1887 e col testo ed una traduz. bengali ib.1889); in francese con un prolisso commento dal Barthé-lemy Saint-Hilaire (Paris 1852); in inglese con un com-mento proprio dal Davies (London 1881); in tedesco conla traduzione tedesca del Sankhya tattva Kaumudi dal Gar-be (München 1892).

L’altra opera fondamentale del Sankhya è costituita dalSankya pravacana (o Sankhya sutra) attribuito dalla tra-dizione a Kapila. Esso non deve tuttavia risalire al di là del

15

dopo l’era. E veramente essa ci presenta caratterid’un’antichità relativamente assai considerevole. Quantoalla personalità dell’autore nulla si conosce di certo.

I principali commentatori della Karika sono Gauda-pada, autore d’un commento chiaro ma breve e poco pro-fondo, il quale dalla tradizione è detto essere stato precet-tore di Çankara, il celebre dottore Vedantico, e deve quindiaver vissuto nella prima metà del VI secolo d. C.; e Vaca-spatim içra, il quale scrisse il suo Sankhyatattvakaumudiverso il principio del XII secolo. (Garbe 1. c. 9). Il com-mento di quest’ultimo è il migliore di tutti i commenti del-la Karika sia per la copia e la chiarezza dell’esposizione, siaper la obbiettività assoluta con cui l’autore (che pure com-pose con la stessa imparzialità importanti opere sul siste-ma Vedanta e sul Nyaya) ci espone le teorie del nostro si-stema.

La Karika venne pubblicato con traduzione e commen-to latino dal Lassen (Bonn 1832); col commento di Gau-dapada e la traduzione inglese del testo e del commentodal Wilson. (Oxford 1837; reimpr. senza il testo sanscritoa Bombay 1887 e col testo ed una traduz. bengali ib.1889); in francese con un prolisso commento dal Barthé-lemy Saint-Hilaire (Paris 1852); in inglese con un com-mento proprio dal Davies (London 1881); in tedesco conla traduzione tedesca del Sankhya tattva Kaumudi dal Gar-be (München 1892).

L’altra opera fondamentale del Sankhya è costituita dalSankya pravacana (o Sankhya sutra) attribuito dalla tra-dizione a Kapila. Esso non deve tuttavia risalire al di là del

15

Page 16: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

XIV o del XV secolo d. C.; perchè non ne è mai fattamenzione nè da Çankara, nè da Vacaspatimiçra, nè da al-tro scrittore d’una considerevole antichità; anzi nel Sarva-darçanasangraha (esposizione dei sistemi filosofici) che ri-sale al XIV secolo non è nemmeno ancor citato. (Hall o. c.7-12). La modernità dei Sankhya Sutra è anche indicata delresto dalla lingua e dalla tendenza, che vi è manifesta, diconciliare il Sankhya con la rivelazione Vedica e dall’ado-zione di termini e teorie Vedantiche. (Garbe p. 71-73).Essi sono divisi in sei libri, che constano rispettivamentedi 164, 47, 84, 32, 129 e 70 aforismi (sutra), ciascuno deiquali contiene un punto della dottrina, scritti in quello stilebrevissimo ed incisivo, quasi inintelligibile senza commen-tario, che è la forma ordinaria delle opere scientifiche in-diane.

I più importanti commenti ai Sankhya Sutra sono: I. Ilcommento di Aniruddha il quale scrisse verso il 1500; daun punto del suo commentario appare che esso apparte-neva, quanto alle sue convinzioni personali, alla scuolamaterialista - (Anir. 279). II. Il commento di Vijnanab-hikshu, un seguace del Vedantismo eclettico vissuto nelXVI secolo, il quale scrisse il suo commento con l’espressaintenzione di conciliare il Sankhya ed il Vedanta. Vijnanafu un fecondo scrittore, il quale scrisse anche sul Vedantae sul Yoga; e la sua opera, la più estesa di quante possedia-mo sul Sankhya, ha il pregio d’una chiarezza e d’una ric-chezza di notizie senza pari. Ciò che gli manca però èl’imparziale obbiettività che rende tanto pregevole agli oc-chi nostri il commento di Vacaspati alla Karika; e come

16

XIV o del XV secolo d. C.; perchè non ne è mai fattamenzione nè da Çankara, nè da Vacaspatimiçra, nè da al-tro scrittore d’una considerevole antichità; anzi nel Sarva-darçanasangraha (esposizione dei sistemi filosofici) che ri-sale al XIV secolo non è nemmeno ancor citato. (Hall o. c.7-12). La modernità dei Sankhya Sutra è anche indicata delresto dalla lingua e dalla tendenza, che vi è manifesta, diconciliare il Sankhya con la rivelazione Vedica e dall’ado-zione di termini e teorie Vedantiche. (Garbe p. 71-73).Essi sono divisi in sei libri, che constano rispettivamentedi 164, 47, 84, 32, 129 e 70 aforismi (sutra), ciascuno deiquali contiene un punto della dottrina, scritti in quello stilebrevissimo ed incisivo, quasi inintelligibile senza commen-tario, che è la forma ordinaria delle opere scientifiche in-diane.

I più importanti commenti ai Sankhya Sutra sono: I. Ilcommento di Aniruddha il quale scrisse verso il 1500; daun punto del suo commentario appare che esso apparte-neva, quanto alle sue convinzioni personali, alla scuolamaterialista - (Anir. 279). II. Il commento di Vijnanab-hikshu, un seguace del Vedantismo eclettico vissuto nelXVI secolo, il quale scrisse il suo commento con l’espressaintenzione di conciliare il Sankhya ed il Vedanta. Vijnanafu un fecondo scrittore, il quale scrisse anche sul Vedantae sul Yoga; e la sua opera, la più estesa di quante possedia-mo sul Sankhya, ha il pregio d’una chiarezza e d’una ric-chezza di notizie senza pari. Ciò che gli manca però èl’imparziale obbiettività che rende tanto pregevole agli oc-chi nostri il commento di Vacaspati alla Karika; e come

16

Page 17: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

egli rigetta la teoria vedantica dell’irrealtà del mondo edell’unità dell’anima, così rigetta nel Sankhya la negazionedell’esistenza di Dio, e non si perita in più d’un luogo diintrodurre teorie nuove o di forzare il senso del testo purdi metterlo in accordo col suo teismo eclettico. (Garbe p.75-78; Gough. The philosophy of the Upanishads2 Lond.1891, p. 259-260). III. Il commento di Mahadeva, chenon è se non un abbreviatore dei precedenti. Il Garbepone Mahadeva verso la fine del XVII secolo; noto chel’autore del Dabistan, il quale viaggiò nel Penjab e nel Gu-zerat dal 1634 al 1639, riferisce i nomi di Atmachand eMahadeo (Mahadeva) come quelli di due dottori Sankhyada lui ivi conosciuti (Dabistan II. 123).

Il testo dei Sankhya sutra, che era già stato edito nel1821 a Serampore e poscia dal Ballantyne (Bibl. ind. 1852-56; 2a ediz. 1865; 3a ediz. Lond. 1885) con una traduz. in-glese ed estratti dai commentatori, venne recentementereimpresso col commento di Aniruddha ed estratti daquello di Mahadeva dal Garbe (Calcutta 1888 Bibl. Ind.), ecol commento di Vijnana dallo stesso (Harvard Orient.Series II. Boston. London, Leipzig 1894). La traduzioneinglese del testo e commento di Aniruddha apparve peropera del Garbe nel 1892 (Calcutta. Bibl. Ind.); la tradu-zione tedesca del testo e commento di Vijnana per operadello stesso nel 1889. (Leipzig Abhandl. fur diè Kunde desMorgenlandes - IX B.)

A lato della Karika e dei Sutra viene ordinariamente po-sto il Tattvasam asa, che non è però se non una nudaenumerazione in 54 parole dei luoghi topici del Sankhya.

17

egli rigetta la teoria vedantica dell’irrealtà del mondo edell’unità dell’anima, così rigetta nel Sankhya la negazionedell’esistenza di Dio, e non si perita in più d’un luogo diintrodurre teorie nuove o di forzare il senso del testo purdi metterlo in accordo col suo teismo eclettico. (Garbe p.75-78; Gough. The philosophy of the Upanishads2 Lond.1891, p. 259-260). III. Il commento di Mahadeva, chenon è se non un abbreviatore dei precedenti. Il Garbepone Mahadeva verso la fine del XVII secolo; noto chel’autore del Dabistan, il quale viaggiò nel Penjab e nel Gu-zerat dal 1634 al 1639, riferisce i nomi di Atmachand eMahadeo (Mahadeva) come quelli di due dottori Sankhyada lui ivi conosciuti (Dabistan II. 123).

Il testo dei Sankhya sutra, che era già stato edito nel1821 a Serampore e poscia dal Ballantyne (Bibl. ind. 1852-56; 2a ediz. 1865; 3a ediz. Lond. 1885) con una traduz. in-glese ed estratti dai commentatori, venne recentementereimpresso col commento di Aniruddha ed estratti daquello di Mahadeva dal Garbe (Calcutta 1888 Bibl. Ind.), ecol commento di Vijnana dallo stesso (Harvard Orient.Series II. Boston. London, Leipzig 1894). La traduzioneinglese del testo e commento di Aniruddha apparve peropera del Garbe nel 1892 (Calcutta. Bibl. Ind.); la tradu-zione tedesca del testo e commento di Vijnana per operadello stesso nel 1889. (Leipzig Abhandl. fur diè Kunde desMorgenlandes - IX B.)

A lato della Karika e dei Sutra viene ordinariamente po-sto il Tattvasam asa, che non è però se non una nudaenumerazione in 54 parole dei luoghi topici del Sankhya.

17

Page 18: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Quest’operetta che può avere una certa antichità, ma èd’altronde per sè insignificantissima, venne edita e tradottaunitamente al suo commentario che è la Sankhyakramadi-pika dal Ballantyne. (A lecture on the Sankhya philosophy.Mirzapore 1850).

Fra le opere minori che si riferiscono al nostro sistemapossono citarsi ancora il Rajavarttika , opera compostaverso il 1000 d. C. della quale ci sono conservati solamen-te tre versi nel Sankhyatattvakaumudi; il Sankhyasara diVijnanabhikshu (l’autore del commento ai Sutra), breveriassunto edito con una eccellente introduzione dall’Hallnel 1860 e di cui trovasi una mediocre traduzione inglesenell’opera del Ward «A view of the history, literature andmythology of the Hindoos» vol. II pag. 121 e segg.; ed ilSankhyatattvapradipa, in parte edito con traduzione in-glese nel Pandit (anni IX e X). Per più minute notizie sualtre opere meno importanti veggasi la citata introduzionedello Hall e la Bibliografìa della filosofìa indiana del mede-simo (Calcutta 1859).

Nella recente letteratura si riferiscono direttamente alSankhya (in totalità od in parte) le opere seguenti:COLEBROOKE – Miscellaneous Essays. 2a ed. c. note del

Cowell London 1873 2 vol. (Nel vol. I pag. 241-279:On the Sanhkya System).

BÖER – Lecture on the Sankhya philosophy - Calcutta1854 24 pp. ’8 gr.

NEHEMIAH NILAKANTHA SASTRI GORE – Rational Refutationof the Hindu philosophical systems. Calcutta 1862,(pag. 42 e segg.; 71 e segg.)

18

Quest’operetta che può avere una certa antichità, ma èd’altronde per sè insignificantissima, venne edita e tradottaunitamente al suo commentario che è la Sankhyakramadi-pika dal Ballantyne. (A lecture on the Sankhya philosophy.Mirzapore 1850).

Fra le opere minori che si riferiscono al nostro sistemapossono citarsi ancora il Rajavarttika , opera compostaverso il 1000 d. C. della quale ci sono conservati solamen-te tre versi nel Sankhyatattvakaumudi; il Sankhyasara diVijnanabhikshu (l’autore del commento ai Sutra), breveriassunto edito con una eccellente introduzione dall’Hallnel 1860 e di cui trovasi una mediocre traduzione inglesenell’opera del Ward «A view of the history, literature andmythology of the Hindoos» vol. II pag. 121 e segg.; ed ilSankhyatattvapradipa, in parte edito con traduzione in-glese nel Pandit (anni IX e X). Per più minute notizie sualtre opere meno importanti veggasi la citata introduzionedello Hall e la Bibliografìa della filosofìa indiana del mede-simo (Calcutta 1859).

Nella recente letteratura si riferiscono direttamente alSankhya (in totalità od in parte) le opere seguenti:COLEBROOKE – Miscellaneous Essays. 2a ed. c. note del

Cowell London 1873 2 vol. (Nel vol. I pag. 241-279:On the Sanhkya System).

BÖER – Lecture on the Sankhya philosophy - Calcutta1854 24 pp. ’8 gr.

NEHEMIAH NILAKANTHA SASTRI GORE – Rational Refutationof the Hindu philosophical systems. Calcutta 1862,(pag. 42 e segg.; 71 e segg.)

18

Page 19: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

K. M. BANERJEA – Dialogues on thè Hindu philosophyLondon (ma Calcutta) 1861 (pag. 220 e segg.)

RAMKRISHNA G. BHANDARKAR – The Sankhya philosophystated, explained and compared etc. Bombay 1871, 19pp. ’8.

MADHAVACARIA – Sarvadarçanasangraha – transl. by Cowelland Govgh London 2a ed. 1894 (pag. 221 a 230).

GARBE – Die Theorie der indischen Rationalisten von denErkenutuissmitteln, nei Ber. üb die Verhandl. d. K.Gesell. d. Wisseuschaften, Philol. hist. Classe 1888 (pag.1 a 30).

GARBE – Die Samkhya Philosophie: eine Darstellung desIndischen Rationalismus. Leipzig 1894, 347 pp. ’8°.NOTA. Le abbreviaz. più frequentemente usate nelle seguenti pa-

gine sono: S.Sutra per Sankhya Sutra; S.pr.bh . per Sankhyaprava-canabhashya (il commento di Vijnana; i numeri si riferiscono alle pa-gine della trad. del Garbe); A nir. per Aniruddha (i numeri si rif. allepag. della trad. del Garbe); Gaud. per Gaudapada (i numeri si rif.alle pag. della trad. del Wilson); Kaum. per Kaumudi (i numeri sirif. alle pag. della trad. tedesca); Refut per la Rational Refutationetc. (v. sopra); quando si cita semplicemente il Garbe, s’intendesenz’altro della sua sovra citata esposizione del Sankhya.

Per la pronuncia s’avverta che c e ch si pronunciano in ogni casocome il nostro c in cera, g sempre come il nostro g in godere, jcome g in gente, ç e sh come sc in scena; il gruppo jn come il nostrogn in ignaro.

19

K. M. BANERJEA – Dialogues on thè Hindu philosophyLondon (ma Calcutta) 1861 (pag. 220 e segg.)

RAMKRISHNA G. BHANDARKAR – The Sankhya philosophystated, explained and compared etc. Bombay 1871, 19pp. ’8.

MADHAVACARIA – Sarvadarçanasangraha – transl. by Cowelland Govgh London 2a ed. 1894 (pag. 221 a 230).

GARBE – Die Theorie der indischen Rationalisten von denErkenutuissmitteln, nei Ber. üb die Verhandl. d. K.Gesell. d. Wisseuschaften, Philol. hist. Classe 1888 (pag.1 a 30).

GARBE – Die Samkhya Philosophie: eine Darstellung desIndischen Rationalismus. Leipzig 1894, 347 pp. ’8°.NOTA. Le abbreviaz. più frequentemente usate nelle seguenti pa-

gine sono: S.Sutra per Sankhya Sutra; S.pr.bh . per Sankhyaprava-canabhashya (il commento di Vijnana; i numeri si riferiscono alle pa-gine della trad. del Garbe); A nir. per Aniruddha (i numeri si rif. allepag. della trad. del Garbe); Gaud. per Gaudapada (i numeri si rif.alle pag. della trad. del Wilson); Kaum. per Kaumudi (i numeri sirif. alle pag. della trad. tedesca); Refut per la Rational Refutationetc. (v. sopra); quando si cita semplicemente il Garbe, s’intendesenz’altro della sua sovra citata esposizione del Sankhya.

Per la pronuncia s’avverta che c e ch si pronunciano in ogni casocome il nostro c in cera, g sempre come il nostro g in godere, jcome g in gente, ç e sh come sc in scena; il gruppo jn come il nostrogn in ignaro.

19

Page 20: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Cap. I

Prima di addentrarci nell’esposizione del nostro sistemaè necessario esporre sommariamente alcuni principii opunti fondamentali che sono come il fondo comune ditutti i sistemi indiani e caratterizzano, per così dire,l’ambiente ideale nel quale i detti sistemi si formarono e sisvolsero. Questi principii sono parte integrante, è vero, delsistema stesso, e dovranno quindi essere ulteriormente og-getto di più minuta considerazione; ma essi possono an-che stare da sè come indipendenti dal resto della dottrina,essendo riguardati come per sè evidenti ed universalmenteaccettati; laddove non è possibile convenevolmente espor-re od intendere alcuno dei sistemi senza una previa cono-scenza di queste premesse.

La prima di queste premesse si riferisce all’assoluta in-fe lic ità dell’esistenza ed è strettamente connessa conuna seconda, con la dottrina della trasm igrazione delleanime. Queste due teorie sorte nell’India anteriormentead ogni sistema (v. Oldemberg Buddha2 p. 43-50; Schrödero. c. p. 245-252 etc.) e radicatesi quindi così profondamen-te nella coscienza del popolo indiano, costituiscono comeil punto di partenza, il presupposto fondamentale di tutti isistemi. Essi non si domandano infatti: l’esistenza è piace-vole o dolorosa? Vi è o non vi è una trasmigrazione delleanime? ma sibbene: Come è possibile porre fine alla tra-

20

Cap. I

Prima di addentrarci nell’esposizione del nostro sistemaè necessario esporre sommariamente alcuni principii opunti fondamentali che sono come il fondo comune ditutti i sistemi indiani e caratterizzano, per così dire,l’ambiente ideale nel quale i detti sistemi si formarono e sisvolsero. Questi principii sono parte integrante, è vero, delsistema stesso, e dovranno quindi essere ulteriormente og-getto di più minuta considerazione; ma essi possono an-che stare da sè come indipendenti dal resto della dottrina,essendo riguardati come per sè evidenti ed universalmenteaccettati; laddove non è possibile convenevolmente espor-re od intendere alcuno dei sistemi senza una previa cono-scenza di queste premesse.

La prima di queste premesse si riferisce all’assoluta in-fe lic ità dell’esistenza ed è strettamente connessa conuna seconda, con la dottrina della trasm igrazione delleanime. Queste due teorie sorte nell’India anteriormentead ogni sistema (v. Oldemberg Buddha2 p. 43-50; Schrödero. c. p. 245-252 etc.) e radicatesi quindi così profondamen-te nella coscienza del popolo indiano, costituiscono comeil punto di partenza, il presupposto fondamentale di tutti isistemi. Essi non si domandano infatti: l’esistenza è piace-vole o dolorosa? Vi è o non vi è una trasmigrazione delleanime? ma sibbene: Come è possibile porre fine alla tra-

20

Page 21: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

smigrazione e così liberare definitivamente l’anima dal do-lore dell’esistenza? Secondo la loro concezione l’anima no-stra è destinata da tutta l’eternità a passare in quel modoche è determinato dalla ferrea legge del merito di corpo incorpo, attraverso le più varie esistenze, assumendo la for-ma ora d’un dio, ora d’un uomo, ora d’un animale o d’unapianta, ed esperimentando il dolore che con l’esistenza èinseparabilmente connesso. Ogni sua azione produce uncerto merito o demerito il quale inerisce ad essa e prede-termina il destino delle sue esistenze future a quel modomedesimo che il merito e il demerito delle esistenze ante-riori ne hanno determinato l’esistenza attuale; dal seme lapianta e dalla pianta il seme; così si perpetua dall’eternità lasua schiavitù dolorosa. Il vizio e l’ignoranza la degradano ela precipitano nelle esistenze inferiori; la virtù e la pietà lainnalzano ai mondi superiori, all’esistenza divina. Ma inogni stato essa non trova che miseria e dolore. Anchenell’esistenza divina, imperfetta e transitoria, avvelenatadal timore della morte e dall’intollerabile prospetto dellerinascite future, essa è lungi dal trovare la pace sperata. Inogni parte essa vede che tutto è vanità, che esistere non èche soffrire. Dall’esperienza di innumerevoli esistenze sor-ge così in essa il desiderio di porre un termine al suo tristepellegrinaggio, il desiderio della liberazione. Ma non saràvana questa sua speranza? Dove troverà essa un porto, unrifugio, che le assicuri l’eterna quiete? Dove troverà essaalcunché di stabile ed eterno che la salvi dal mare dolorosodel divenire?

Questa domanda ci conduce al terzo punto, al duali-

21

smigrazione e così liberare definitivamente l’anima dal do-lore dell’esistenza? Secondo la loro concezione l’anima no-stra è destinata da tutta l’eternità a passare in quel modoche è determinato dalla ferrea legge del merito di corpo incorpo, attraverso le più varie esistenze, assumendo la for-ma ora d’un dio, ora d’un uomo, ora d’un animale o d’unapianta, ed esperimentando il dolore che con l’esistenza èinseparabilmente connesso. Ogni sua azione produce uncerto merito o demerito il quale inerisce ad essa e prede-termina il destino delle sue esistenze future a quel modomedesimo che il merito e il demerito delle esistenze ante-riori ne hanno determinato l’esistenza attuale; dal seme lapianta e dalla pianta il seme; così si perpetua dall’eternità lasua schiavitù dolorosa. Il vizio e l’ignoranza la degradano ela precipitano nelle esistenze inferiori; la virtù e la pietà lainnalzano ai mondi superiori, all’esistenza divina. Ma inogni stato essa non trova che miseria e dolore. Anchenell’esistenza divina, imperfetta e transitoria, avvelenatadal timore della morte e dall’intollerabile prospetto dellerinascite future, essa è lungi dal trovare la pace sperata. Inogni parte essa vede che tutto è vanità, che esistere non èche soffrire. Dall’esperienza di innumerevoli esistenze sor-ge così in essa il desiderio di porre un termine al suo tristepellegrinaggio, il desiderio della liberazione. Ma non saràvana questa sua speranza? Dove troverà essa un porto, unrifugio, che le assicuri l’eterna quiete? Dove troverà essaalcunché di stabile ed eterno che la salvi dal mare dolorosodel divenire?

Questa domanda ci conduce al terzo punto, al duali-

21

Page 22: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

smo dell’esistenza em pirica e della esistenza asso-lu ta. Se questo mondo della schiavitù e del dolore nonavesse un al di là, è evidente che non vi sarebbe liberazio-ne in eterno. Ora questa conseguenza agli occhi del filoso-fo indiano equivale ad un assurdo; niente è più certo, piùvero, più incontrastato che la possibilità d’una liberazionedefinitiva del dolore. Se noi fossimo predestinati al dolorein eterno, qual senso avrebbe quella secreta aspirazioneche l’anima nostra prova verso un al di là che essa non co-nosce ma presentisce? Quando tacciono nell’anima nostrale passioni e le miserie terrene, quando noi discendiamonelle misteriose profondità dell’essere nostro, non sentia-mo noi distintamente che noi non apparteniamo a questavalle di lacrime, che una voce divina ci chiama verso unaterra promessa che ci risplende da lungi nei bagliori d’undesiderio triste e profondo come il desiderio d’una patrialontana? Al di là di questo mondo che i nostri sensi affer-rano, che il nostro intelletto concepisce, v’è dunque unmondo che i nostri sensi non afferrano, che il nostro intel-letto non concepisce perchè esso è al di là di ogni defini-zione, d’ogni pensiero, d’ogni coscienza; quello è il mondodell’instabilità e del divenire; questo è l’eterno incorruttibi-le; quello è il mondo del dolore; questo il mondo della ces-sazione del dolore; quello è il mondo della schiavitù e dellatrasmigrazione; questo il mondo della liberazione. Il Ve-danta lo chiama Brahma, l’Uno Tutto, Budda l’ignoto in-definibile, il Nirvana; per il Sankhya esso è il Sè individualepurissimo, l’Anima.

Il quarto punto afferma che l’individuo appartiene

22

smo dell’esistenza em pirica e della esistenza asso-lu ta. Se questo mondo della schiavitù e del dolore nonavesse un al di là, è evidente che non vi sarebbe liberazio-ne in eterno. Ora questa conseguenza agli occhi del filoso-fo indiano equivale ad un assurdo; niente è più certo, piùvero, più incontrastato che la possibilità d’una liberazionedefinitiva del dolore. Se noi fossimo predestinati al dolorein eterno, qual senso avrebbe quella secreta aspirazioneche l’anima nostra prova verso un al di là che essa non co-nosce ma presentisce? Quando tacciono nell’anima nostrale passioni e le miserie terrene, quando noi discendiamonelle misteriose profondità dell’essere nostro, non sentia-mo noi distintamente che noi non apparteniamo a questavalle di lacrime, che una voce divina ci chiama verso unaterra promessa che ci risplende da lungi nei bagliori d’undesiderio triste e profondo come il desiderio d’una patrialontana? Al di là di questo mondo che i nostri sensi affer-rano, che il nostro intelletto concepisce, v’è dunque unmondo che i nostri sensi non afferrano, che il nostro intel-letto non concepisce perchè esso è al di là di ogni defini-zione, d’ogni pensiero, d’ogni coscienza; quello è il mondodell’instabilità e del divenire; questo è l’eterno incorruttibi-le; quello è il mondo del dolore; questo il mondo della ces-sazione del dolore; quello è il mondo della schiavitù e dellatrasmigrazione; questo il mondo della liberazione. Il Ve-danta lo chiama Brahma, l’Uno Tutto, Budda l’ignoto in-definibile, il Nirvana; per il Sankhya esso è il Sè individualepurissimo, l’Anima.

Il quarto punto afferma che l’individuo appartiene

22

Page 23: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

secondo l’essenza sua al mondo dell’esistenza as-soluta e so lo per l’ignoranza al mondo em pirico.Il mondo del dolore è bene il mondo nel quale noi ci agi-tiamo e viviamo; noi stessi in quanto agenti e soffrenti gliapparteniamo. Gli elementi dell’essere nostro che noi sia-mo soliti ad identificare più intimamente col nostro io, ilnostro corpo, i nostri sensi, il nostro intelletto appartengo-no al mondo empirico; ma essi non costituiscono la intimaessenza del Sè e noi possiamo separarcene. È dunque perignoranza, per una specie di illusione innata che l’uomo,ignaro del suo vero essere, identifica sè stesso col suo in-telletto, coi suoi sensi, in una parola con la sua personalitàempirica, e si precipita così nel vortice delle esistenze do-lorose in luogo di elevarsi all’imperturbata quiete dell’esi-stenza assoluta. Tutto il resto nasce da questa illusione pri-ma. Per essa delle cose che sono in rapporto con la suapersonalità alcune concepisce come sue proprie, altrecome d’altri, alcune come piacevoli, altre come dolorose;dal piacere e dal dolore nascono in lui desiderio ed avver-sione; dal desiderio e dall’avversione è tratto ad agire;dall’agire nascono merito e demerito; questi ineriscono allasua personalità empirica e ne causano la continuazione. Ecosì la successione indefinita di vite e di dolori si perpetuacol continuarsi della personalità empirica, la quale alla suavolta si perpetua con il continuarsi dell’illusione che lacrea.

Il quinto ed ultimo punto afferma che l’un ico mezzoche conduce a lla liberazione è la conoscenza f ilo-sofica. Dal momento che causa prima dell’esistenza em-

23

secondo l’essenza sua al mondo dell’esistenza as-soluta e so lo per l’ignoranza al mondo em pirico.Il mondo del dolore è bene il mondo nel quale noi ci agi-tiamo e viviamo; noi stessi in quanto agenti e soffrenti gliapparteniamo. Gli elementi dell’essere nostro che noi sia-mo soliti ad identificare più intimamente col nostro io, ilnostro corpo, i nostri sensi, il nostro intelletto appartengo-no al mondo empirico; ma essi non costituiscono la intimaessenza del Sè e noi possiamo separarcene. È dunque perignoranza, per una specie di illusione innata che l’uomo,ignaro del suo vero essere, identifica sè stesso col suo in-telletto, coi suoi sensi, in una parola con la sua personalitàempirica, e si precipita così nel vortice delle esistenze do-lorose in luogo di elevarsi all’imperturbata quiete dell’esi-stenza assoluta. Tutto il resto nasce da questa illusione pri-ma. Per essa delle cose che sono in rapporto con la suapersonalità alcune concepisce come sue proprie, altrecome d’altri, alcune come piacevoli, altre come dolorose;dal piacere e dal dolore nascono in lui desiderio ed avver-sione; dal desiderio e dall’avversione è tratto ad agire;dall’agire nascono merito e demerito; questi ineriscono allasua personalità empirica e ne causano la continuazione. Ecosì la successione indefinita di vite e di dolori si perpetuacol continuarsi della personalità empirica, la quale alla suavolta si perpetua con il continuarsi dell’illusione che lacrea.

Il quinto ed ultimo punto afferma che l’un ico mezzoche conduce a lla liberazione è la conoscenza f ilo-sofica. Dal momento che causa prima dell’esistenza em-

23

Page 24: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

pirica è l’ignoranza del vero essere nostro, è naturale chel’unico mezzo per giungere alla liberazione sia la cono-scenza. Le buone opere come le cattive non fanno checontinuare la schiavitù; il loro frutto può condurre, comesi è veduto, alla beatitudine celeste, ma non alla purifica-zione del Sè che è la sola vera liberazione. Questa purifica-zione del Sè non può essere data che dalla conoscenza diciò che è il Sè e di ciò che non è il Sè. «Tutti i sistemi, èdetto nella Rat. Refut. (25-26), dichiarano che la liberazio-ne dalla trasmigrazione non può essere data che dalla rettaconoscenza. E la retta conoscenza consiste nel ri -conoscimento da parte dell’an im a di sé stessacome distin ta dalla mente, dai sensi, dal corpo eda tutto il resto».

NOTA. Il noto 1° aforisma dei Nyaya Sutra ove è detto che la libe-razione risulta dalla conoscenza dei sedici luoghi topici ivi enumeratiè da intendersi nel senso che la conoscenza dei detti luoghi topiciconduce colui che la possiede a distinguere il Sè da ciò che non è ilSè. (ib. 26 nota).

Premesse queste considerazioni, non sarà diffìcile inten-dere che cosa vogliano dire i distici 1-2 della Karika, i qualiaffermano l’esistenza del triplice dolore e la possibilità del-la liberazione per mezzo della conoscenza. Il pensiero del-la miseria di questo mondo, del dolore che accompagnainevitabilmente l’esistenza è il primo che il Sankhya cimette innanzi. È curioso a notarsi infatti che così la Karikacome i Sutra cominciano con la parola duhkha (dolore).Ed in nessun altro dei sistemi questa convinzione pessimi-stica è messa così in rilievo come nel Buddismo e nel San-

24

pirica è l’ignoranza del vero essere nostro, è naturale chel’unico mezzo per giungere alla liberazione sia la cono-scenza. Le buone opere come le cattive non fanno checontinuare la schiavitù; il loro frutto può condurre, comesi è veduto, alla beatitudine celeste, ma non alla purifica-zione del Sè che è la sola vera liberazione. Questa purifica-zione del Sè non può essere data che dalla conoscenza diciò che è il Sè e di ciò che non è il Sè. «Tutti i sistemi, èdetto nella Rat. Refut. (25-26), dichiarano che la liberazio-ne dalla trasmigrazione non può essere data che dalla rettaconoscenza. E la retta conoscenza consiste nel ri -conoscimento da parte dell’an im a di sé stessacome distin ta dalla mente, dai sensi, dal corpo eda tutto il resto».

NOTA. Il noto 1° aforisma dei Nyaya Sutra ove è detto che la libe-razione risulta dalla conoscenza dei sedici luoghi topici ivi enumeratiè da intendersi nel senso che la conoscenza dei detti luoghi topiciconduce colui che la possiede a distinguere il Sè da ciò che non è ilSè. (ib. 26 nota).

Premesse queste considerazioni, non sarà diffìcile inten-dere che cosa vogliano dire i distici 1-2 della Karika, i qualiaffermano l’esistenza del triplice dolore e la possibilità del-la liberazione per mezzo della conoscenza. Il pensiero del-la miseria di questo mondo, del dolore che accompagnainevitabilmente l’esistenza è il primo che il Sankhya cimette innanzi. È curioso a notarsi infatti che così la Karikacome i Sutra cominciano con la parola duhkha (dolore).Ed in nessun altro dei sistemi questa convinzione pessimi-stica è messa così in rilievo come nel Buddismo e nel San-

24

Page 25: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

khya. La dottrina di Budda è tutta (com’è noto) profonda-mente penetrata dal concetto del dolore dell’esistenza. Lequattro sante verità che costituiscono come il cardine delladottrina buddistica trattano del dolore, della origine deldolore, della soppressione del dolore, della via che condu-ce alla soppressione del dolore. Il Sankhya si accosta inquesto punto al Buddismo. Se anche solamente noi consi-derassimo (esso dice) con la mente del volgare i piaceri edi dolori della vita, ponendo da una parte gli uni, dall’altragli altri, noi dovremmo rimanere atterriti dalla molteplicitàe grandezza dei dolori rispetto alla rarità e piccolezza deipiaceri, ed ogni altro sentimento, ogni altro desiderio do-vrebbe tacere in noi per lasciar luogo unicamente alla curadi far cessare un sì lagrimevole stato di cose. (S. Sutra VI,6; S. pr. bh. 336). Ma il saggio va ben più in là. Per il sag-gio ogni stato, ogni minuto dell’esistenza non è che vanitàe miseria. Ciò che il volgare chiama piacere non è per luiche come «un cibo misto di miele e di veleno»; anch’essosi riduce in fondo a dolore. L’esistenza stessa nella sua es-senza è dolore. «Niuno è felice» dice il Sutra VI, 7; ed Ani-ruddha commenta laconicamente: Rimira te stesso. E Pa-tanjali dice: «Per il savio tutto è semplicemente dolore». (S.pr. bh. 337).

NOTA. I commentatori distinguono il dolore secondo la sua origi-ne in tre specie: il dolore interno, il dolore (esterno) naturale, il dolo-re (esterno) sovrannaturale. Il primo è di due specie: corporeo e spi-rituale. Il dolore corporeo è quello che è causato da alterazioni nellostato normale degli umori ventoso, bilioso, flemmatico. Il dolorespirituale è quello occasionato dall’ira, dalla cupidigia, dalla vergo-gna, dalla paura, dall’invidia, etc. Il dolore naturale è quello causato

25

khya. La dottrina di Budda è tutta (com’è noto) profonda-mente penetrata dal concetto del dolore dell’esistenza. Lequattro sante verità che costituiscono come il cardine delladottrina buddistica trattano del dolore, della origine deldolore, della soppressione del dolore, della via che condu-ce alla soppressione del dolore. Il Sankhya si accosta inquesto punto al Buddismo. Se anche solamente noi consi-derassimo (esso dice) con la mente del volgare i piaceri edi dolori della vita, ponendo da una parte gli uni, dall’altragli altri, noi dovremmo rimanere atterriti dalla molteplicitàe grandezza dei dolori rispetto alla rarità e piccolezza deipiaceri, ed ogni altro sentimento, ogni altro desiderio do-vrebbe tacere in noi per lasciar luogo unicamente alla curadi far cessare un sì lagrimevole stato di cose. (S. Sutra VI,6; S. pr. bh. 336). Ma il saggio va ben più in là. Per il sag-gio ogni stato, ogni minuto dell’esistenza non è che vanitàe miseria. Ciò che il volgare chiama piacere non è per luiche come «un cibo misto di miele e di veleno»; anch’essosi riduce in fondo a dolore. L’esistenza stessa nella sua es-senza è dolore. «Niuno è felice» dice il Sutra VI, 7; ed Ani-ruddha commenta laconicamente: Rimira te stesso. E Pa-tanjali dice: «Per il savio tutto è semplicemente dolore». (S.pr. bh. 337).

NOTA. I commentatori distinguono il dolore secondo la sua origi-ne in tre specie: il dolore interno, il dolore (esterno) naturale, il dolo-re (esterno) sovrannaturale. Il primo è di due specie: corporeo e spi-rituale. Il dolore corporeo è quello che è causato da alterazioni nellostato normale degli umori ventoso, bilioso, flemmatico. Il dolorespirituale è quello occasionato dall’ira, dalla cupidigia, dalla vergo-gna, dalla paura, dall’invidia, etc. Il dolore naturale è quello causato

25

Page 26: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

dagli altri uomini, dagli animali e dalle cose inanimate in genere. Ilsovrannaturale procede dall’influenza dei cattivi spiriti e dei pianeti.Invece Gaudapada e Vijnana: «La terza specie di dolore è detta dai-vika o soprannaturale, e può essere divino od atmosferico; nell’ulti-mo caso comprende il dolore che è prodotto dal freddo, dal caldo,dal vento, dalla pioggia e simili». Circa la distinzione fra dolore inter-no e non interno Vijnana osserva: «Sebbene ogni dolore sia interno(cioè riposi sulle affezioni dell’intelletto), tuttavia la distinzione frainterno e non interno sta per ciò che il primo sorge solo nell’organointerno (nell’intelletto), il secondo no (perché la sua causa è fuori dinoi)» (Kaum. 19: Gaud. 2; S. pr. bh. 12).

Ora è naturale che dal dolore sorga il desiderio della li-berazione. Karika la: «Dalla oppressione del triplice dolore(sorge) il desiderio di conoscere i mezzi atti arimuoverlo....»; e S. Sutra I, 1: «L’assoluto fine dell’anima èla cessazione assoluta del triplice dolore».

Ma quale è il mezzo dal quale dobbiamo attendere la li-berazione? Il Sankhya premette anzitutto che non è daimezzi sensibili che noi dobbiamo attendere la salute. Cen-tinaia di rimedi, è vero, sono indicati da medici eminentiper la guarigione del dolore corporeo: le donne, il vino, ilcibo, i profumi, i belli abiti, gli ornamenti sono mezzi faciliper discacciare dall’animo nostro la tristezza; la saggezzapratica ed i vantaggi della civil convivenza ci proteggonocontro i mali che le intemperie, le fiere e gli altri uominipotrebbero arrecarci; gli amuleti e gli scongiuri tengonolontani dal nostro capo i mali dovuti a cause sovrannatura-li. Ma con tutto ciò nessuno di questi mezzi produce ne-cessariamente e per sempre la cessazione del dolore.(Kaum. 20). Onde nei S. Sutra (1, 2) è detto: «Tale risulta-to non è ottenibile per alcuno dei mezzi sensibili; per la

26

dagli altri uomini, dagli animali e dalle cose inanimate in genere. Ilsovrannaturale procede dall’influenza dei cattivi spiriti e dei pianeti.Invece Gaudapada e Vijnana: «La terza specie di dolore è detta dai-vika o soprannaturale, e può essere divino od atmosferico; nell’ulti-mo caso comprende il dolore che è prodotto dal freddo, dal caldo,dal vento, dalla pioggia e simili». Circa la distinzione fra dolore inter-no e non interno Vijnana osserva: «Sebbene ogni dolore sia interno(cioè riposi sulle affezioni dell’intelletto), tuttavia la distinzione frainterno e non interno sta per ciò che il primo sorge solo nell’organointerno (nell’intelletto), il secondo no (perché la sua causa è fuori dinoi)» (Kaum. 19: Gaud. 2; S. pr. bh. 12).

Ora è naturale che dal dolore sorga il desiderio della li-berazione. Karika la: «Dalla oppressione del triplice dolore(sorge) il desiderio di conoscere i mezzi atti arimuoverlo....»; e S. Sutra I, 1: «L’assoluto fine dell’anima èla cessazione assoluta del triplice dolore».

Ma quale è il mezzo dal quale dobbiamo attendere la li-berazione? Il Sankhya premette anzitutto che non è daimezzi sensibili che noi dobbiamo attendere la salute. Cen-tinaia di rimedi, è vero, sono indicati da medici eminentiper la guarigione del dolore corporeo: le donne, il vino, ilcibo, i profumi, i belli abiti, gli ornamenti sono mezzi faciliper discacciare dall’animo nostro la tristezza; la saggezzapratica ed i vantaggi della civil convivenza ci proteggonocontro i mali che le intemperie, le fiere e gli altri uominipotrebbero arrecarci; gli amuleti e gli scongiuri tengonolontani dal nostro capo i mali dovuti a cause sovrannatura-li. Ma con tutto ciò nessuno di questi mezzi produce ne-cessariamente e per sempre la cessazione del dolore.(Kaum. 20). Onde nei S. Sutra (1, 2) è detto: «Tale risulta-to non è ottenibile per alcuno dei mezzi sensibili; per la

26

Page 27: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

evidente ricorrenza del dolore dopo la soppressione»: edancora (I, 4): «Da coloro che sanno (che cosa sia il doloree che cosa non sia) l’uso dei mezzi sensibili è da rigettarsi,primieramente perchè non tutti possono essere posseduti,poi perchè, se anche ciò fosse, il dolore non sarebbe toltoa causa della loro imperfezione». Come sarebbe possibileinvero allontanare il dolore per via di mezzi sensibili, il cuiacquisto, conservazione ed uso sono essi stessi la fonte piùcopiosa di dolore? (S. pr. bh. 17-18; Anir. 6). Ed infine leScritture stesse insegnano che non è possibile la liberazio-ne dai mezzi sensibili. «Veramente non vi è per l’anima an-nientamento della gioia e del dolore (dice la ChandogyaUpanishad 8. 12. 1) fino a tanto che essa è rivestita delcorpo; ma quando essa se n’è liberata, nè il dolore nè lagioia non la toccano più» (S. pr. bh. 19).

Ammessa l’inefficacia dei mezzi sensibili, restano pursempre i mezzi religiosi. Le Scritture insegnano che permezzo dei sacrifizi e delle sacre cerimonie è possibile giun-gere al cielo; ora la beatitudine celeste non è forse la piùgrande delle beatitudini, eterna e facilmente ottenibile?Perchè adunque non cercar la salute dai mezzi religiosi? IlSankhya rigetta questi mezzi per tre ragioni. I° Perchésono impuri. L’impurità sta in ciò che il sacrificio portacon sè la distruzione di animali, semi ed altre cose. Questadistruzione è una colpa, quindi una sorgente di dolori perl’avvenire (Kaum. 20). «Dolore sopra dolore» dice il sutraI. 84: ossia, come Vijnana spiega: dalle opere prescrittenelle S. Scritture per la colpa che è inerente all’uccisionesorgono nuovi dolori e non liberazione.

27

evidente ricorrenza del dolore dopo la soppressione»: edancora (I, 4): «Da coloro che sanno (che cosa sia il doloree che cosa non sia) l’uso dei mezzi sensibili è da rigettarsi,primieramente perchè non tutti possono essere posseduti,poi perchè, se anche ciò fosse, il dolore non sarebbe toltoa causa della loro imperfezione». Come sarebbe possibileinvero allontanare il dolore per via di mezzi sensibili, il cuiacquisto, conservazione ed uso sono essi stessi la fonte piùcopiosa di dolore? (S. pr. bh. 17-18; Anir. 6). Ed infine leScritture stesse insegnano che non è possibile la liberazio-ne dai mezzi sensibili. «Veramente non vi è per l’anima an-nientamento della gioia e del dolore (dice la ChandogyaUpanishad 8. 12. 1) fino a tanto che essa è rivestita delcorpo; ma quando essa se n’è liberata, nè il dolore nè lagioia non la toccano più» (S. pr. bh. 19).

Ammessa l’inefficacia dei mezzi sensibili, restano pursempre i mezzi religiosi. Le Scritture insegnano che permezzo dei sacrifizi e delle sacre cerimonie è possibile giun-gere al cielo; ora la beatitudine celeste non è forse la piùgrande delle beatitudini, eterna e facilmente ottenibile?Perchè adunque non cercar la salute dai mezzi religiosi? IlSankhya rigetta questi mezzi per tre ragioni. I° Perchésono impuri. L’impurità sta in ciò che il sacrificio portacon sè la distruzione di animali, semi ed altre cose. Questadistruzione è una colpa, quindi una sorgente di dolori perl’avvenire (Kaum. 20). «Dolore sopra dolore» dice il sutraI. 84: ossia, come Vijnana spiega: dalle opere prescrittenelle S. Scritture per la colpa che è inerente all’uccisionesorgono nuovi dolori e non liberazione.

27

Page 28: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

NOTA. Si confronti il precetto buddistico che proibisce di uccide-re alcun essere vivente (Oldemberg2 313; Schröder 281). Con ciò ilSankhya non nega punto l’efficacia dei sacrifizi. Il sacrifizio produceun merito il quale è ben più considerevole che non la colpa inerenteall’uccisione; ma non perciò questa colpa è meno efficace. Essa do-vrà venir cancellata con opere espiatorie; o, quando per inavvertenzaciò non avvenga, se ne dovranno sopportare gli effetti. Verrà il tem-po in cui i meriti accumulati dal sacrificio produrranno i loro effetti;ma alla sua volta anche la parte di colpa che vi è inerente e che nonfu espiata agirà e produrrà dolore. (Kaum. 22-23 e il passo di Pan-caçikha ivi citato). Vijnana nega perfino che la colpa del sacrificiopossa essere cancellata con altri sacrifizi di espiazione, e cita un pas-so del Bhagavata Purana ove è detto che: «non è possibile trasfor-mare in opera buona l’uccisione di esseri viventi con (altre uccisioni,cioè con) sacrifizi». (S. pr. bh. 102).

II° Perchè non sono definitivi. «La transitorietà delmondo celeste e delle cose simili è inferita dall’essere ilmedesimo alcunché di positivo e di prodotto». (Kaum.23). S. Sutra IV 32: «Anche quando si è giunti alla gloriasovrannaturale non è stato adempiuto il fine dell’anima;come nel caso della perfezione degli oggetti adorati. Il chesignifica: come gli oggetti di adorazione, Brahma e gli altridei, nonostante che siano pervenuti ad una relativa perfe-zione, non sono ancora pervenuti al fine ultimo, alla quietesuprema (perchè noi sappiamo che anche in tale stato pra-ticano il Yoga per la paura di decadere dal loro alto grado),così a maggior ragione ciò si può dire di quelli che aspira-no allo stato divino con l’adorazione di Brahma e degli al-tri dei. (S. pr. bh. 265). E nei S. Sutra III 52: «Anche ivi(nei cieli) vi è ritorno agli stati delle esistenze inferiori; essidebbono essere fuggiti perchè vi si è sempre sottoposti a

28

NOTA. Si confronti il precetto buddistico che proibisce di uccide-re alcun essere vivente (Oldemberg2 313; Schröder 281). Con ciò ilSankhya non nega punto l’efficacia dei sacrifizi. Il sacrifizio produceun merito il quale è ben più considerevole che non la colpa inerenteall’uccisione; ma non perciò questa colpa è meno efficace. Essa do-vrà venir cancellata con opere espiatorie; o, quando per inavvertenzaciò non avvenga, se ne dovranno sopportare gli effetti. Verrà il tem-po in cui i meriti accumulati dal sacrificio produrranno i loro effetti;ma alla sua volta anche la parte di colpa che vi è inerente e che nonfu espiata agirà e produrrà dolore. (Kaum. 22-23 e il passo di Pan-caçikha ivi citato). Vijnana nega perfino che la colpa del sacrificiopossa essere cancellata con altri sacrifizi di espiazione, e cita un pas-so del Bhagavata Purana ove è detto che: «non è possibile trasfor-mare in opera buona l’uccisione di esseri viventi con (altre uccisioni,cioè con) sacrifizi». (S. pr. bh. 102).

II° Perchè non sono definitivi. «La transitorietà delmondo celeste e delle cose simili è inferita dall’essere ilmedesimo alcunché di positivo e di prodotto». (Kaum.23). S. Sutra IV 32: «Anche quando si è giunti alla gloriasovrannaturale non è stato adempiuto il fine dell’anima;come nel caso della perfezione degli oggetti adorati. Il chesignifica: come gli oggetti di adorazione, Brahma e gli altridei, nonostante che siano pervenuti ad una relativa perfe-zione, non sono ancora pervenuti al fine ultimo, alla quietesuprema (perchè noi sappiamo che anche in tale stato pra-ticano il Yoga per la paura di decadere dal loro alto grado),così a maggior ragione ciò si può dire di quelli che aspira-no allo stato divino con l’adorazione di Brahma e degli al-tri dei. (S. pr. bh. 265). E nei S. Sutra III 52: «Anche ivi(nei cieli) vi è ritorno agli stati delle esistenze inferiori; essidebbono essere fuggiti perchè vi si è sempre sottoposti a

28

Page 29: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

nuove rinascite». La stessa cosa è variamente ripetuta neisutra I 82, IV 22, VI 56. Aniruddha cita anche la Chando-gya Up. (8. 1. 6): «E come qui sulla terra quanto è stato ac-quistato con le opere perisce, così perisce quanto è statoacquistato per l’altro mondo con i sacrifizi e le altre operebuone commesse in terra».

NOTA. Come si spiegano allora quei passi nei quali le Scritturepromettono l’eterna felicità dalle opere? «I passi che parlanodell’immortalità, come per es. questo: Noi abbiamo bevuto il Soma,noi siamo diventati immortali (R. Veda 8. 48. 3) - indicano solo unalunga durata; come è detto nel Vishnu Purana (2. 8. 96): Immortalitàè detto il persistere fino alla dissoluzione delle cose». (Kaum. 24)Così anche nel S. pr. bh. (21), ove è citato il passo seguente dellaÇvetaçvatara Up. (3, 8 e 6, 15): «Solo colui che conosce il Sè lasciadietro di sè la morte: non v’ è altra via per giungervi». Ma vi sonoanche altri passi nei quali è detto esplicitamente che per coloro iquali compiono certe opere non v’è ritorno. Cosi nella Chand. Up.(4. 15. 6): «Questo è il sentiero dei Devas, il sentiero che conduce aBrahma. Per quelli che procedono su questa via non vi è ritorno allavita umana; no in verità non vi è ritorno». Questi passi secondo Vij-nana si spiegano con ciò che coloro i quali pervengono ad un mon-do sovraumano ordinariamente vi ottengono la conoscenza libera-trice. (S. pr. bh. 261, 361). S. Sutra (I. 83): «I passi (delle Scritture) ri-ferentisi a ciò (alla prescrizione delle opere) sopra il non ritorno (dalcielo di Brahma) valgono per quelli che hanno ottenuto la cono-scenza distintiva». Altrimenti se non si volesse ammettere tale spie-gazione, tali passi sarebbero in contraddizione con altri passi purdelle scritture, nei quali si insegna che vi è ritorno dai cieli. (S. pr. bh.101-102).

NOTA. 2a Perchè si dice che il mondo celeste è perituro in quantoè un prodotto positivo? Per rispondere anticipatamente all’obbie-zione che alcuno potrebbe poi farci dicendo: anche la liberazione

29

nuove rinascite». La stessa cosa è variamente ripetuta neisutra I 82, IV 22, VI 56. Aniruddha cita anche la Chando-gya Up. (8. 1. 6): «E come qui sulla terra quanto è stato ac-quistato con le opere perisce, così perisce quanto è statoacquistato per l’altro mondo con i sacrifizi e le altre operebuone commesse in terra».

NOTA. Come si spiegano allora quei passi nei quali le Scritturepromettono l’eterna felicità dalle opere? «I passi che parlanodell’immortalità, come per es. questo: Noi abbiamo bevuto il Soma,noi siamo diventati immortali (R. Veda 8. 48. 3) - indicano solo unalunga durata; come è detto nel Vishnu Purana (2. 8. 96): Immortalitàè detto il persistere fino alla dissoluzione delle cose». (Kaum. 24)Così anche nel S. pr. bh. (21), ove è citato il passo seguente dellaÇvetaçvatara Up. (3, 8 e 6, 15): «Solo colui che conosce il Sè lasciadietro di sè la morte: non v’ è altra via per giungervi». Ma vi sonoanche altri passi nei quali è detto esplicitamente che per coloro iquali compiono certe opere non v’è ritorno. Cosi nella Chand. Up.(4. 15. 6): «Questo è il sentiero dei Devas, il sentiero che conduce aBrahma. Per quelli che procedono su questa via non vi è ritorno allavita umana; no in verità non vi è ritorno». Questi passi secondo Vij-nana si spiegano con ciò che coloro i quali pervengono ad un mon-do sovraumano ordinariamente vi ottengono la conoscenza libera-trice. (S. pr. bh. 261, 361). S. Sutra (I. 83): «I passi (delle Scritture) ri-ferentisi a ciò (alla prescrizione delle opere) sopra il non ritorno (dalcielo di Brahma) valgono per quelli che hanno ottenuto la cono-scenza distintiva». Altrimenti se non si volesse ammettere tale spie-gazione, tali passi sarebbero in contraddizione con altri passi purdelle scritture, nei quali si insegna che vi è ritorno dai cieli. (S. pr. bh.101-102).

NOTA. 2a Perchè si dice che il mondo celeste è perituro in quantoè un prodotto positivo? Per rispondere anticipatamente all’obbie-zione che alcuno potrebbe poi farci dicendo: anche la liberazione

29

Page 30: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

per mezzo della conoscenza è un prodotto della conoscenza. La li-berazione cioè non è nel nostro caso un prodotto come è il fruttodelle opere; essa è per noi un prodotto che si può in certo modochiamar negativo. La liberazione per mezzo della conoscenza è(come si vedrà meglio altrove) l’annientamento dell’esistenza empiri-ca; ma siccome questa non sussiste che per l’ignoranza, è alcunchédi illusorio, così in realtà la conoscenza non fa che constatare la libe-razione già esistente e solo in apparenza non esistente per la non di-stinzione; ma essa non la produce. (Kaum. 82; S. pr. bh. 103). Orasolo i prodotti positivi sono perituri; i prodotti negativi, come la se-parazione dal dolore, non sono tali (Kaum. 24; S. pr. bh. 341). S. Su-tra I 86: «A colui che è liberato per sempre tocca solo l’annienta-mento della schiavitù; perciò il caso non è uguale».

III° Perchè sono imperfetti, ossia perchè il loro fruttonon è mai assoluto. Esso è maggiore o minore secondo lamaggiore o minor quantità di merito; ma non è mai taleche non vi sia o non vi possa essere ancor sempre altri anoi superiore: vi è sempre una meta più alta da raggiunge-re. Ora è naturale che la beatitudine maggiore d’un altro,necessaria conseguenza dell’ineguaglianza nella distribu-zione dei frutti dei sacrifizi, sia sempre causa di dolori inquelli che sono inferiori. (Kaum. 24; Gaud. 14).

Nè i mezzi sensibili dunque, nè i mezzi religiosi valgonoa condurre alla liberazione definitiva dal dolore. Essa è ilfrutto unicamente della conoscenza, che il Sankhya diceconoscenza d istin tiva, perchè essa ci insegna a distingue-re tra il Sè ed i ventiquattro principii a cui secondo esso sipuò ricondurre la realtà empirica e che non sono il Sè.

Ora donde ci viene questa conoscenza? A questa do-manda rispondono i distici 4 -7 nei quali la Karika svolge

30

per mezzo della conoscenza è un prodotto della conoscenza. La li-berazione cioè non è nel nostro caso un prodotto come è il fruttodelle opere; essa è per noi un prodotto che si può in certo modochiamar negativo. La liberazione per mezzo della conoscenza è(come si vedrà meglio altrove) l’annientamento dell’esistenza empiri-ca; ma siccome questa non sussiste che per l’ignoranza, è alcunchédi illusorio, così in realtà la conoscenza non fa che constatare la libe-razione già esistente e solo in apparenza non esistente per la non di-stinzione; ma essa non la produce. (Kaum. 82; S. pr. bh. 103). Orasolo i prodotti positivi sono perituri; i prodotti negativi, come la se-parazione dal dolore, non sono tali (Kaum. 24; S. pr. bh. 341). S. Su-tra I 86: «A colui che è liberato per sempre tocca solo l’annienta-mento della schiavitù; perciò il caso non è uguale».

III° Perchè sono imperfetti, ossia perchè il loro fruttonon è mai assoluto. Esso è maggiore o minore secondo lamaggiore o minor quantità di merito; ma non è mai taleche non vi sia o non vi possa essere ancor sempre altri anoi superiore: vi è sempre una meta più alta da raggiunge-re. Ora è naturale che la beatitudine maggiore d’un altro,necessaria conseguenza dell’ineguaglianza nella distribu-zione dei frutti dei sacrifizi, sia sempre causa di dolori inquelli che sono inferiori. (Kaum. 24; Gaud. 14).

Nè i mezzi sensibili dunque, nè i mezzi religiosi valgonoa condurre alla liberazione definitiva dal dolore. Essa è ilfrutto unicamente della conoscenza, che il Sankhya diceconoscenza d istin tiva, perchè essa ci insegna a distingue-re tra il Sè ed i ventiquattro principii a cui secondo esso sipuò ricondurre la realtà empirica e che non sono il Sè.

Ora donde ci viene questa conoscenza? A questa do-manda rispondono i distici 4 -7 nei quali la Karika svolge

30

Page 31: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

la propria teoria dei mezzi conoscitivi. La conoscenza di-stintiva, dice il Sankhya, non è il prodotto d’una rivelazio-ne divina; essa è un prodotto (ed il prodotto più alto) dellaragione umana. È questa affermazione dei diritti della ra-gione che valse al Sankhya l’appellativo datogli dal Garbedi «razionalismo indiano». E veramente il Sankhya segnaper noi su questo punto un grande rivolgimento nella sto-ria del pensiero indiano; in quanto che esso è (almeno perquanto ci è noto) il primo sistema filosofico che nell’Indiaabbia proclamato l’indipendenza della ragione dall’autoritàreligiosa. Anche i più arditi slanci del pensiero delle Upani-sadi non erano usciti, apparentemente almeno, dalla tradi-zione religiosa. Le Upanisadi avevano il loro addentellatonella tradizione religiosa antecedente, come il Vedanta locercò in seguito nelle Upanisadi. La conquista delle veritàaltissime non apparteneva alla ragione individuale; essa eraun deposito sacro, una tradizione invariabile che si tra-smetteva di maestro in discepolo e che prendeva quasil’aspetto d’una rivelazione. «La conoscenza del Sé non è(dice il Gough. Philosophy of the Upanishads2 p. 98) unacosa privata e personale od ottenibile con l’eserciziodell’intelletto individuale. Dappertutto nelle Upanisadi siinsegna la medesima essere stata rivelata da questo o queldio o semidio, trasmessa per una successione di autorizzatiespositori. E solo da uno di questi si può ricevere la cono-scenza del Sè. Ogni altro insegnamento che si discosti dal-la tradizionale esposizione non è che un’asserzione indivi-duale, puramente umana». Nel Sankhya noi abbiamo inve-ce il primo tentativo di risolvere il problema del mondo e

31

la propria teoria dei mezzi conoscitivi. La conoscenza di-stintiva, dice il Sankhya, non è il prodotto d’una rivelazio-ne divina; essa è un prodotto (ed il prodotto più alto) dellaragione umana. È questa affermazione dei diritti della ra-gione che valse al Sankhya l’appellativo datogli dal Garbedi «razionalismo indiano». E veramente il Sankhya segnaper noi su questo punto un grande rivolgimento nella sto-ria del pensiero indiano; in quanto che esso è (almeno perquanto ci è noto) il primo sistema filosofico che nell’Indiaabbia proclamato l’indipendenza della ragione dall’autoritàreligiosa. Anche i più arditi slanci del pensiero delle Upani-sadi non erano usciti, apparentemente almeno, dalla tradi-zione religiosa. Le Upanisadi avevano il loro addentellatonella tradizione religiosa antecedente, come il Vedanta locercò in seguito nelle Upanisadi. La conquista delle veritàaltissime non apparteneva alla ragione individuale; essa eraun deposito sacro, una tradizione invariabile che si tra-smetteva di maestro in discepolo e che prendeva quasil’aspetto d’una rivelazione. «La conoscenza del Sé non è(dice il Gough. Philosophy of the Upanishads2 p. 98) unacosa privata e personale od ottenibile con l’eserciziodell’intelletto individuale. Dappertutto nelle Upanisadi siinsegna la medesima essere stata rivelata da questo o queldio o semidio, trasmessa per una successione di autorizzatiespositori. E solo da uno di questi si può ricevere la cono-scenza del Sè. Ogni altro insegnamento che si discosti dal-la tradizionale esposizione non è che un’asserzione indivi-duale, puramente umana». Nel Sankhya noi abbiamo inve-ce il primo tentativo di risolvere il problema del mondo e

31

Page 32: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

della nostra esistenza con le sole forze della ragione.(Garbe-Intr. al Kaum. 15). Continuando per proprio con-to l’ardita speculazione delle Upanisadi esso continuò,bensì a porre il problema filosofico negli stessi termini, neiquali era stato posto dal pensiero antecedente; ma d’altraparte lo rinnovò radicalmente sottraendolo al giogo dellatradizione religiosa, affermando che la conoscenza dellecose nella loro essenza, la conoscenza distintiva, è otteni-bile per mezzo della ragione individuale.

I modi, i procedimenti per mezzo dei quali la ragioneumana perviene alla conoscenza delle cose sono, secondoil Sankhya, i tre seguenti: la percezione, il ragionamento, latestimonianza. Questi sono i cosidetti tre mezzi cono-scitiv i ammessi dal Sankhya. Si è per mezzo di essi chel’uomo perviene di conoscenza in conoscenza alla distin-zione suprema (S. pr. bh. 68-69). «Le cose ad essere prova-te sono la natura, l’intelletto, etc. (ossia i 24 principii empi-rici) e l’anima. Di esse alcune sono stabilite dalla percezio-ne, altre dal ragionamento, altre infine dall’autorità».

La percezione è quell’affezione dell’intelletto per cuiquesto, stando in rapporto con un oggetto per mezzo deisensi, ne ritrae la forma. Nella Karika è definita: «La deter-minazione degli oggetti particolari». Essa viene intesacome il fatto della conoscenza degli oggetti sensibili in tut-ta la sua ampiezza, considerato sì dal lato affettivo (piace-re, dolore), come dal lato puramente conoscitivo (Kaum.29). Ed egualmente dal lato puramente conoscitivo essacomprende così la percezione sensibile come la percezio-

32

della nostra esistenza con le sole forze della ragione.(Garbe-Intr. al Kaum. 15). Continuando per proprio con-to l’ardita speculazione delle Upanisadi esso continuò,bensì a porre il problema filosofico negli stessi termini, neiquali era stato posto dal pensiero antecedente; ma d’altraparte lo rinnovò radicalmente sottraendolo al giogo dellatradizione religiosa, affermando che la conoscenza dellecose nella loro essenza, la conoscenza distintiva, è otteni-bile per mezzo della ragione individuale.

I modi, i procedimenti per mezzo dei quali la ragioneumana perviene alla conoscenza delle cose sono, secondoil Sankhya, i tre seguenti: la percezione, il ragionamento, latestimonianza. Questi sono i cosidetti tre mezzi cono-scitiv i ammessi dal Sankhya. Si è per mezzo di essi chel’uomo perviene di conoscenza in conoscenza alla distin-zione suprema (S. pr. bh. 68-69). «Le cose ad essere prova-te sono la natura, l’intelletto, etc. (ossia i 24 principii empi-rici) e l’anima. Di esse alcune sono stabilite dalla percezio-ne, altre dal ragionamento, altre infine dall’autorità».

La percezione è quell’affezione dell’intelletto per cuiquesto, stando in rapporto con un oggetto per mezzo deisensi, ne ritrae la forma. Nella Karika è definita: «La deter-minazione degli oggetti particolari». Essa viene intesacome il fatto della conoscenza degli oggetti sensibili in tut-ta la sua ampiezza, considerato sì dal lato affettivo (piace-re, dolore), come dal lato puramente conoscitivo (Kaum.29). Ed egualmente dal lato puramente conoscitivo essacomprende così la percezione sensibile come la percezio-

32

Page 33: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

ne intellettuale. Questa, che è la conoscenza chiara del suooggetto secondo il suo genere e le sue proprietà, sorgebensì dalla memoria per via del ridestarsi delle percezionisimili antecedentemente avute all’occasione d’un’impres-sione simile (Anir. 51); ma tutto ciò non esce dal campodella percezione. Si cita a questo proposito un antico testo:«Da principio si percepisce l’oggetto oscuramente e con-fusamente, soltanto come una cosa; in seguito poi essoviene determinato secondo la sua natura generale e le sueproprietà particolari». Ed ancora: «La prima impressioneche si ha per mezzo del senso, la quale viene provocatadalla non chiara comprensione d’un oggetto, è non diffe-renziata, simile alle rappresentazioni d’un fanciullo o d’unidiota. Quella comprensione poi per cui l’oggetto vienedeterminato secondo le sue qualità, il suo concetto generi-co, etc. è universalmente considerata (anche) come perce-zione, ma differenziata». (Kaum. 73; Anir. 50-51: S. pr. bh.198).

NOTA. A ragione qui Vijnana riprende Vacaspati il quale conside-ra la percezione non differenziata come prodotto dei sensi soli: per-chè ogni singolo atto percettivo (tanto di percezione sensibile quan-to di percezione intellettiva) risulta dal concorde agire dei sensi edell’organo in terno (che è per la psicologia indiana ciò che pernoi è la parte centrale del sistema nervoso), ed ha la sua sede in que-sto ultimo. La causa diretta della percezione consiste in una certa il-luminazione dell’organo interno all’istante che esso viene posto inrapporto con un oggetto. Questa illuminazione viene occasionatanell’organo interno ordinariamente dall’azione dei sensi per mezzodei quali esso entra in rapporto con gli oggetti attuali; ma può anchevenir occasionata da altre cause, come per esempio dal merito pro-dotto dagli esercizi ascetici, per mezzo del quale esso entra in rap-

33

ne intellettuale. Questa, che è la conoscenza chiara del suooggetto secondo il suo genere e le sue proprietà, sorgebensì dalla memoria per via del ridestarsi delle percezionisimili antecedentemente avute all’occasione d’un’impres-sione simile (Anir. 51); ma tutto ciò non esce dal campodella percezione. Si cita a questo proposito un antico testo:«Da principio si percepisce l’oggetto oscuramente e con-fusamente, soltanto come una cosa; in seguito poi essoviene determinato secondo la sua natura generale e le sueproprietà particolari». Ed ancora: «La prima impressioneche si ha per mezzo del senso, la quale viene provocatadalla non chiara comprensione d’un oggetto, è non diffe-renziata, simile alle rappresentazioni d’un fanciullo o d’unidiota. Quella comprensione poi per cui l’oggetto vienedeterminato secondo le sue qualità, il suo concetto generi-co, etc. è universalmente considerata (anche) come perce-zione, ma differenziata». (Kaum. 73; Anir. 50-51: S. pr. bh.198).

NOTA. A ragione qui Vijnana riprende Vacaspati il quale conside-ra la percezione non differenziata come prodotto dei sensi soli: per-chè ogni singolo atto percettivo (tanto di percezione sensibile quan-to di percezione intellettiva) risulta dal concorde agire dei sensi edell’organo in terno (che è per la psicologia indiana ciò che pernoi è la parte centrale del sistema nervoso), ed ha la sua sede in que-sto ultimo. La causa diretta della percezione consiste in una certa il-luminazione dell’organo interno all’istante che esso viene posto inrapporto con un oggetto. Questa illuminazione viene occasionatanell’organo interno ordinariamente dall’azione dei sensi per mezzodei quali esso entra in rapporto con gli oggetti attuali; ma può anchevenir occasionata da altre cause, come per esempio dal merito pro-dotto dagli esercizi ascetici, per mezzo del quale esso entra in rap-

33

Page 34: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

porto con gli oggetti passati o futuri (percezione soprannaturale).L’azione dei sensi non è dunque che una causa occasionale dell’attopercettivo. Ciò risulta ancora dalla considerazione seguente. Nelsonno profondo e stati analoghi non è più possibile l’atto percettivo.Ora da che deriva ciò? Non da altro che da un certo oscuramentodell’organo interno, per effetto del quale è impedita l’entrata delleaffezioni nel medesimo. Dal che si vede che l’azione dei sensi dasola non può causare alcuna percezione. (Anir. 52. S. pr. bh. 111-112).

La percezione è per la stessa sua natura limitata da cau-se diverse che possono turbarla od anche impedirla. Lecause che producono questo effetto sono enumerate nelseguente ordine nel 7° distico della Karika: l’allontana-mento, la (troppa) vicinanza, i difetti degli organi, l’inat-tenzione, l’estrema finezza, la frapposizione d’un altro og-getto, la predominanza d’un’altra impressione, la mesco-lanza con oggetti simili. Così per esempio un uccello chesi allontani volando nell’aria cessa di essere visibile sebbe-ne realmente ancora esista; l’occhio non vede il collirio cheè stato posto sulla pupilla; il suono non esiste per i sordi,nè la luce per i ciechi; una persona fortemente distrattanon ode le parole che le sono rivolte; le piccole particelledi vapore, di fumo, di polvere, passano inavvertite ai nostrisensi; un oggetto posto dall’altra parte d’un muro non èvisibile; la luce dei pianeti e delle stelle cessa di fare im-pressione sui nostri sensi quando risplende il sole; ed infine un lotus si perde in mezzo a mille altri lotus, un granoin mezzo a mille altri grani. (Gaud. 28: Kaum 40-41).

Nonostante tutte le sue imperfezioni la percezione èperò sempre il fatto fondamentale della conoscenza. An-

34

porto con gli oggetti passati o futuri (percezione soprannaturale).L’azione dei sensi non è dunque che una causa occasionale dell’attopercettivo. Ciò risulta ancora dalla considerazione seguente. Nelsonno profondo e stati analoghi non è più possibile l’atto percettivo.Ora da che deriva ciò? Non da altro che da un certo oscuramentodell’organo interno, per effetto del quale è impedita l’entrata delleaffezioni nel medesimo. Dal che si vede che l’azione dei sensi dasola non può causare alcuna percezione. (Anir. 52. S. pr. bh. 111-112).

La percezione è per la stessa sua natura limitata da cau-se diverse che possono turbarla od anche impedirla. Lecause che producono questo effetto sono enumerate nelseguente ordine nel 7° distico della Karika: l’allontana-mento, la (troppa) vicinanza, i difetti degli organi, l’inat-tenzione, l’estrema finezza, la frapposizione d’un altro og-getto, la predominanza d’un’altra impressione, la mesco-lanza con oggetti simili. Così per esempio un uccello chesi allontani volando nell’aria cessa di essere visibile sebbe-ne realmente ancora esista; l’occhio non vede il collirio cheè stato posto sulla pupilla; il suono non esiste per i sordi,nè la luce per i ciechi; una persona fortemente distrattanon ode le parole che le sono rivolte; le piccole particelledi vapore, di fumo, di polvere, passano inavvertite ai nostrisensi; un oggetto posto dall’altra parte d’un muro non èvisibile; la luce dei pianeti e delle stelle cessa di fare im-pressione sui nostri sensi quando risplende il sole; ed infine un lotus si perde in mezzo a mille altri lotus, un granoin mezzo a mille altri grani. (Gaud. 28: Kaum 40-41).

Nonostante tutte le sue imperfezioni la percezione èperò sempre il fatto fondamentale della conoscenza. An-

34

Page 35: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

che il ragionamento e la testimonianza che esercitano laloro azione in rapporto ad oggetti i quali non sono affer-rabili dai sensi si basano sempre in ultima analisi sulla per-cezione. (Kaum. 31, 34, 75-76).

Il secondo mezzo conoscitivo destinato a supplire lapercezione dove questa non giunge è il ragionamento odinferenza. L’inferenza (anumana; Lassen (21): a prep. anupost, et ma metiri; res emetiri et definire secundum nor-mam quandam, quæ norma, in conclusione, est prædicato-rum convenientia cum eo de quo preedicantur) è, secondola definizione di Aniruddha, la conoscenza di un primotermine, il quale accompagna invariabilmente un secondotermine, procedente dalla conoscenza di questo secondotermine costantemente accompagnato dal primo da partedi colui il quale conosce la costante connessione dei duetermini (Anir. 57-58).

Dalla definizione si vede che l’inferenza presupponesempre: 1° i due termini, il linga ed il lingin ossia il quali-ficante ed il qualificato. Il linga è ciò che è collegato essen-zialmente con una cosa, indipendentemente da tutte le de-terminazioni accidentali; il lingin è ciò a cui una tale con-nessione si riferisce – «Lingin est id de quo aliquid enun-tiatur; linga id quod prædicatur, prædicatum». (Lassen 24).Così nel notissimo sillogismo quinquemembre del fumo edel fuoco (v. Tarkasangraha ed. Ballantyne 44) il fuoco è illingin, il caratterizzato, il fumo è il linga, il segno caratteri-stico. 2° La appartenenza del linga al soggetto dell’inferen-za; che sarebbe in questo caso il monte. In altre parolepossiamo dire con Vacaspati che l’inferenza presuppone

35

che il ragionamento e la testimonianza che esercitano laloro azione in rapporto ad oggetti i quali non sono affer-rabili dai sensi si basano sempre in ultima analisi sulla per-cezione. (Kaum. 31, 34, 75-76).

Il secondo mezzo conoscitivo destinato a supplire lapercezione dove questa non giunge è il ragionamento odinferenza. L’inferenza (anumana; Lassen (21): a prep. anupost, et ma metiri; res emetiri et definire secundum nor-mam quandam, quæ norma, in conclusione, est prædicato-rum convenientia cum eo de quo preedicantur) è, secondola definizione di Aniruddha, la conoscenza di un primotermine, il quale accompagna invariabilmente un secondotermine, procedente dalla conoscenza di questo secondotermine costantemente accompagnato dal primo da partedi colui il quale conosce la costante connessione dei duetermini (Anir. 57-58).

Dalla definizione si vede che l’inferenza presupponesempre: 1° i due termini, il linga ed il lingin ossia il quali-ficante ed il qualificato. Il linga è ciò che è collegato essen-zialmente con una cosa, indipendentemente da tutte le de-terminazioni accidentali; il lingin è ciò a cui una tale con-nessione si riferisce – «Lingin est id de quo aliquid enun-tiatur; linga id quod prædicatur, prædicatum». (Lassen 24).Così nel notissimo sillogismo quinquemembre del fumo edel fuoco (v. Tarkasangraha ed. Ballantyne 44) il fuoco è illingin, il caratterizzato, il fumo è il linga, il segno caratteri-stico. 2° La appartenenza del linga al soggetto dell’inferen-za; che sarebbe in questo caso il monte. In altre parolepossiamo dire con Vacaspati che l’inferenza presuppone

35

Page 36: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sempre: 1° la conoscenza d’un rapporto generale tra lingae lingin; 2° la conoscenza dell’appartenenza del linga alsoggetto dell’inferenza. (Kaum. 31-32).

L’inferenza è secondo il Sankhya di tre specie (Kar. 5).Esse sono secondo qualche commentatore quelle stesseposte innanzi dal Nyaya. La prima va dalla causa all’effet-to, come quando dal sorgere delle nubi si inferisce l’avvici-narsi della pioggia; la seconda va dall’effetto alla causa,come quando dal gonfiarsi d’una riviera s’inferisce che hapiovuto; la terza va dall’analogo all’analogo, come quando,vedendo un albero in fiore, se ne inferisce che anche gli al-tri della stessa specie sono fioriti (Wilson 22-23 e così Co-lebrooke, St. Hilaire etc.).

Vacaspati invece ed i commentatori del Sankhya prava-cana danno delle tre specie di inferenza una spiegazioneche si discosta in parte dalla precedente. L’inferenza si di-stingue secondo essi in diretta ed indiretta. L’inferenza di-retta è quella che procede positivamente, per affermazio-ne; l’inferenza indiretta è quella che procede negativamen-te, per esclusione. Nell’inferenza indiretta la conoscenzadel rapporto generale tra il linga ed il lingin è fatta consi-stere nell’esclusione del linga da tutto ciò che non sia ilsoggetto dell’inferenza, il quale è in questa specie d’infe-renza il lingin stesso. Quando si sa che un carattere non èpresente in un posto od in posti dove con ragionevole pre-sunzione si poteva supporre che esso fosse, si può alloracon tanto maggior sicurezza escluderlo da quei posti per iquali ciò non si poteva ragionevolmente presumere; per ilche, la sua esistenza venendo negata nei posti analoghi a

36

sempre: 1° la conoscenza d’un rapporto generale tra lingae lingin; 2° la conoscenza dell’appartenenza del linga alsoggetto dell’inferenza. (Kaum. 31-32).

L’inferenza è secondo il Sankhya di tre specie (Kar. 5).Esse sono secondo qualche commentatore quelle stesseposte innanzi dal Nyaya. La prima va dalla causa all’effet-to, come quando dal sorgere delle nubi si inferisce l’avvici-narsi della pioggia; la seconda va dall’effetto alla causa,come quando dal gonfiarsi d’una riviera s’inferisce che hapiovuto; la terza va dall’analogo all’analogo, come quando,vedendo un albero in fiore, se ne inferisce che anche gli al-tri della stessa specie sono fioriti (Wilson 22-23 e così Co-lebrooke, St. Hilaire etc.).

Vacaspati invece ed i commentatori del Sankhya prava-cana danno delle tre specie di inferenza una spiegazioneche si discosta in parte dalla precedente. L’inferenza si di-stingue secondo essi in diretta ed indiretta. L’inferenza di-retta è quella che procede positivamente, per affermazio-ne; l’inferenza indiretta è quella che procede negativamen-te, per esclusione. Nell’inferenza indiretta la conoscenzadel rapporto generale tra il linga ed il lingin è fatta consi-stere nell’esclusione del linga da tutto ciò che non sia ilsoggetto dell’inferenza, il quale è in questa specie d’infe-renza il lingin stesso. Quando si sa che un carattere non èpresente in un posto od in posti dove con ragionevole pre-sunzione si poteva supporre che esso fosse, si può alloracon tanto maggior sicurezza escluderlo da quei posti per iquali ciò non si poteva ragionevolmente presumere; per ilche, la sua esistenza venendo negata nei posti analoghi a

36

Page 37: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

quello in cui realmente si trova e nei non analoghi, se nededuce indirettamente che esso è peculiare a quel determi-nato posto, il quale viene così separato e dagli analoghi edai non analoghi. Per esempio dal fatto che la terra (ele-mento terreo) possiede la qualità caratteristica dell’odorepotrebbe alcuno ragionevolmente congetturare che anchele restanti sostanze appartenenti alla stessa categoria, aria,acqua etc. posseggano questa qualità. Ma dal momentoche si acquista la certezza che la qualità in discorso appar-tiene solo ad una delle sostanze della detta categoria, allaterra, e non alle altre, si deve affatto escludere che la stessaqualità possa appartenere a sostanze d’un’altra categoria.Quindi, data l’appartenenza dell’odore alla terra e l’esclu-sione di questo carattere da tutti gli altri elementi, se ne in-ferisce che la terra sola possiede il carattere dell’odore, eche perciò è distinta da tutti gli altri elementi. (Esempiotratto dalla Tarkasangraha p. 50-51). Questa specie d’infe-renza conduce, come si vede, a risultati generali, ma sem-pre nel campo del sensibile; e serve a fissare con precisio-ne i rapporti generali sui quali dovrà basarsi l’inferenza po-sitiva, ossia a determinare le proprietà caratteristiche dellecose e per questo mezzo anche a stabilire l’esistenza di-stinta di alcunché (sensibile) previamente non noto o con-fuso con altro. (S. pr. bh. 122) – L’inferenza diretta si di-stingue in inferenza diretta propriamente detta ed inferen-za induttiva. La prima è quella in cui il rapporto generaletra il linga ed il lingin è già previamente noto ed il caso inquestione non ne è che un’applicazione speciale. Tale infe-renza ha luogo quando si inferisce p. es. dal fumo la pre-

37

quello in cui realmente si trova e nei non analoghi, se nededuce indirettamente che esso è peculiare a quel determi-nato posto, il quale viene così separato e dagli analoghi edai non analoghi. Per esempio dal fatto che la terra (ele-mento terreo) possiede la qualità caratteristica dell’odorepotrebbe alcuno ragionevolmente congetturare che anchele restanti sostanze appartenenti alla stessa categoria, aria,acqua etc. posseggano questa qualità. Ma dal momentoche si acquista la certezza che la qualità in discorso appar-tiene solo ad una delle sostanze della detta categoria, allaterra, e non alle altre, si deve affatto escludere che la stessaqualità possa appartenere a sostanze d’un’altra categoria.Quindi, data l’appartenenza dell’odore alla terra e l’esclu-sione di questo carattere da tutti gli altri elementi, se ne in-ferisce che la terra sola possiede il carattere dell’odore, eche perciò è distinta da tutti gli altri elementi. (Esempiotratto dalla Tarkasangraha p. 50-51). Questa specie d’infe-renza conduce, come si vede, a risultati generali, ma sem-pre nel campo del sensibile; e serve a fissare con precisio-ne i rapporti generali sui quali dovrà basarsi l’inferenza po-sitiva, ossia a determinare le proprietà caratteristiche dellecose e per questo mezzo anche a stabilire l’esistenza di-stinta di alcunché (sensibile) previamente non noto o con-fuso con altro. (S. pr. bh. 122) – L’inferenza diretta si di-stingue in inferenza diretta propriamente detta ed inferen-za induttiva. La prima è quella in cui il rapporto generaletra il linga ed il lingin è già previamente noto ed il caso inquestione non ne è che un’applicazione speciale. Tale infe-renza ha luogo quando si inferisce p. es. dal fumo la pre-

37

Page 38: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

senza del fuoco, perchè si è antecedentemente conosciutoche il fumo è un segno caratteristico del fuoco. Anchequesta specie di inferenza si restringe nel campo del sensi-bile e non conduce che a risultati particolari. – La terzaspecie di inferenza o inferenza induttiva si distingue ap-punto dalle precedenti per ciò che essa si riferisce ad og-getti non sensibili. Essa ha luogo quando si applicano peranalogia ad oggetti non sensibili i risultati ottenuti nelcampo del sensibile, per es. quando dalla percezione delcolore, sapendo che questa percezione è un atto, se ne de-duce l’esistenza dell’agente cioè del senso per via della co-noscenza della connessione necessaria tra atto ed agenteottenuta per via sensibile (S. pr. bh. 122-123). Questa spe-cie d’inferenza è analoga all’inferenza diretta propriamentedetta, perchè in ambo i casi si tratta d’applicare una regolagenerale ad un caso particolare; ne differisce però in quan-to in questa non si esce dal campo della deduzione, laddo-ve nel caso dell’inferenza induttiva si tratta d’un’estensioneper analogia; perchè in quest’ultimo caso il lingin del qualesi deduce l’esistenza è sempre una cosa non percepibilesensibilmente. Ognun vede quindi come questa sia per noila più importante delle tre specie d’inferenza, perchè è so-lamente per mezzo suo che noi possiamo stabilire l’esi-stenza dell’anima, della natura e degli altri principii imma-teriali. (S. Sutra I. 103; Kar. 6 Anir. 58; S. pr. bh. 122 e ss.;Kaum. 32 e ss.)

La validità dell’inferenza venne negata dai Carvakas,l’argomentazione dei quali è riferita da Vijnana (S. pr. bh.278) come segue: «Dicono gli scettici: Non da una sola ap-

38

senza del fuoco, perchè si è antecedentemente conosciutoche il fumo è un segno caratteristico del fuoco. Anchequesta specie di inferenza si restringe nel campo del sensi-bile e non conduce che a risultati particolari. – La terzaspecie di inferenza o inferenza induttiva si distingue ap-punto dalle precedenti per ciò che essa si riferisce ad og-getti non sensibili. Essa ha luogo quando si applicano peranalogia ad oggetti non sensibili i risultati ottenuti nelcampo del sensibile, per es. quando dalla percezione delcolore, sapendo che questa percezione è un atto, se ne de-duce l’esistenza dell’agente cioè del senso per via della co-noscenza della connessione necessaria tra atto ed agenteottenuta per via sensibile (S. pr. bh. 122-123). Questa spe-cie d’inferenza è analoga all’inferenza diretta propriamentedetta, perchè in ambo i casi si tratta d’applicare una regolagenerale ad un caso particolare; ne differisce però in quan-to in questa non si esce dal campo della deduzione, laddo-ve nel caso dell’inferenza induttiva si tratta d’un’estensioneper analogia; perchè in quest’ultimo caso il lingin del qualesi deduce l’esistenza è sempre una cosa non percepibilesensibilmente. Ognun vede quindi come questa sia per noila più importante delle tre specie d’inferenza, perchè è so-lamente per mezzo suo che noi possiamo stabilire l’esi-stenza dell’anima, della natura e degli altri principii imma-teriali. (S. Sutra I. 103; Kar. 6 Anir. 58; S. pr. bh. 122 e ss.;Kaum. 32 e ss.)

La validità dell’inferenza venne negata dai Carvakas,l’argomentazione dei quali è riferita da Vijnana (S. pr. bh.278) come segue: «Dicono gli scettici: Non da una sola ap-

38

Page 39: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

prensione della concomitanza (del linga e del lingin) sideve attendere un’invariabile connessione; e la frequenzad’una tale apprensione non ha un valore assoluto più diquello che lo abbia una sola apprensione: perciò, questainvariabile connessione non potendo essere stabilita, nullapuò essere provato dall’inferenza». (V. anche il Sarvadarça-nasangraha 5-7). Vacaspati nel Kaumudi confuta di pas-saggio i Carvakas con questa argomentazione ad homi-nem: I materialisti (egli dice) negano l’inferenza. Ma comepotranno ancora conoscere essi allora se un uomo sia neldubbio, nell’ignoranza o nell’errore? Perchè noi, uominiordinarii, non possiamo conoscere ciò direttamente permezzo della percezione, nè v’ha secondo essi altro mezzodi conoscenza all’infuori della percezione. Ora se essi, iquali non possono nemmeno conoscere se altri sia neldubbio, dell’ignoranza o nell’errore, si metterranno a di-sputare ed a voler convincere gli altri, non saranno essi de-gni d’essere tenuti per pazzi? Perchè quando alcuno rico-nosce in altri il dubbio etc., ciò fa per inferenza dai loro di-scorsi, dai loro propositi, e simili; e quindi essi pel solo fat-to di disputare con altri ammettono già tacitamente, nelmomento stesso che la negano, la validità dell’inferenza.(Kaum. 30-31. V. inoltre M. Müller nella Z. d. D. M. G.VII 299 e ss.)

La testimonianza, il terzo mezzo conoscitivo, viene de-finito dal Sankhya un legittimo insegnamento (S. Sutra I101). Essa è propriamente non la tradizione o l’insegna-mento stesso, ma il prodursi in noi della conoscenza di ciòche dalla tradizione o dall’insegnamento viene espresso.

39

prensione della concomitanza (del linga e del lingin) sideve attendere un’invariabile connessione; e la frequenzad’una tale apprensione non ha un valore assoluto più diquello che lo abbia una sola apprensione: perciò, questainvariabile connessione non potendo essere stabilita, nullapuò essere provato dall’inferenza». (V. anche il Sarvadarça-nasangraha 5-7). Vacaspati nel Kaumudi confuta di pas-saggio i Carvakas con questa argomentazione ad homi-nem: I materialisti (egli dice) negano l’inferenza. Ma comepotranno ancora conoscere essi allora se un uomo sia neldubbio, nell’ignoranza o nell’errore? Perchè noi, uominiordinarii, non possiamo conoscere ciò direttamente permezzo della percezione, nè v’ha secondo essi altro mezzodi conoscenza all’infuori della percezione. Ora se essi, iquali non possono nemmeno conoscere se altri sia neldubbio, dell’ignoranza o nell’errore, si metterranno a di-sputare ed a voler convincere gli altri, non saranno essi de-gni d’essere tenuti per pazzi? Perchè quando alcuno rico-nosce in altri il dubbio etc., ciò fa per inferenza dai loro di-scorsi, dai loro propositi, e simili; e quindi essi pel solo fat-to di disputare con altri ammettono già tacitamente, nelmomento stesso che la negano, la validità dell’inferenza.(Kaum. 30-31. V. inoltre M. Müller nella Z. d. D. M. G.VII 299 e ss.)

La testimonianza, il terzo mezzo conoscitivo, viene de-finito dal Sankhya un legittimo insegnamento (S. Sutra I101). Essa è propriamente non la tradizione o l’insegna-mento stesso, ma il prodursi in noi della conoscenza di ciòche dalla tradizione o dall’insegnamento viene espresso.

39

Page 40: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

(Kaum. 35: S. pr. bh. 121). Lassen spiega: aptavacana (est)congrua oratio id est affirmatio rerum quas nec sensibuscomprehendimus, neque concludendo evicimus, quarumigitur scientia nobis ab aliis communicari debet, quasque siaffirmamus fidem habeamus necesse est aliorum testimo-nio (Gymnosophista 21).

Essa serve a farci conoscere quegli oggetti che non cisarebbero altrimenti conoscibili, come per esempio «Indrail re degli Dei, il settentrionale Kurus, le ninfe dei cieli»(Gaud. 19); e comprende non solo la rivelazione vedicacon tutto quel complesso di tradizioni che sulla medesimasi fondano, e cioè le sentenze della Tradizione, le leggen-de, i Puranas, ma anche qualunque insegnamento altruipurché autorevole (Kaum. 35: S. T. Pradipa nel Pandit1874 p. 69). Dicendo che la testimonianza deve essere le-gittima, si escludono con ciò tutte le tradizioni delli eretici(Buddisti, Jainas), la cui non autorevolezza viene inferitada ciò che le medesime non hanno buona riputazione, chenon sono fondate su di alcuna solida base, che non si ac-cordano con gli altri mezzi conoscitivi e che sono accoltesolo da popoli barbari «rifiuto dell’umanità, più simili a be-stie che ad uomini» (Kaum. 36).

La testimonianza è senza dubbio nel razionalista San-khya il meno importante dei tre mezzi conoscitivi; nènell’asserzione che la rivelazione vedica faccia parte deimezzi conoscitivi noi dobbiamo vedere altro che una in-novazione od una interpretazione posteriore. Perchè noisappiamo che la filosofia Sankhya era in origine ed è per sèstessa non solo atea, ma ostile ai Veda; e tutte le citazioni

40

(Kaum. 35: S. pr. bh. 121). Lassen spiega: aptavacana (est)congrua oratio id est affirmatio rerum quas nec sensibuscomprehendimus, neque concludendo evicimus, quarumigitur scientia nobis ab aliis communicari debet, quasque siaffirmamus fidem habeamus necesse est aliorum testimo-nio (Gymnosophista 21).

Essa serve a farci conoscere quegli oggetti che non cisarebbero altrimenti conoscibili, come per esempio «Indrail re degli Dei, il settentrionale Kurus, le ninfe dei cieli»(Gaud. 19); e comprende non solo la rivelazione vedicacon tutto quel complesso di tradizioni che sulla medesimasi fondano, e cioè le sentenze della Tradizione, le leggen-de, i Puranas, ma anche qualunque insegnamento altruipurché autorevole (Kaum. 35: S. T. Pradipa nel Pandit1874 p. 69). Dicendo che la testimonianza deve essere le-gittima, si escludono con ciò tutte le tradizioni delli eretici(Buddisti, Jainas), la cui non autorevolezza viene inferitada ciò che le medesime non hanno buona riputazione, chenon sono fondate su di alcuna solida base, che non si ac-cordano con gli altri mezzi conoscitivi e che sono accoltesolo da popoli barbari «rifiuto dell’umanità, più simili a be-stie che ad uomini» (Kaum. 36).

La testimonianza è senza dubbio nel razionalista San-khya il meno importante dei tre mezzi conoscitivi; nènell’asserzione che la rivelazione vedica faccia parte deimezzi conoscitivi noi dobbiamo vedere altro che una in-novazione od una interpretazione posteriore. Perchè noisappiamo che la filosofia Sankhya era in origine ed è per sèstessa non solo atea, ma ostile ai Veda; e tutte le citazioni

40

Page 41: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

delle Scritture nei presenti testi Sankhya non sono che ag-giunte artificiali, le quali possono essere tolte senza chel’esposizione del sistema ne abbia a soffrire.

Tutti gli altri mezzi conoscitivi messi innanzi dalle altrescuole sono contenuti nei tre precedenti e possono essereridotti all’uno od all’altro di essi. I Naiyayikas per es. am-mettono un quarto mezzo: l’analogia. Tale è ad esempiola conoscenza che si acquista d’un Gavaya (Bos Gavæus)sapendo che esso è simile al bue domestico. Ma, dice Va-caspati, tale conoscenza si può benissimo ricondurre inparte alla testimonianza, in parte alla inferenza, in partealla percezione. Quando noi evochiamo in noi stessi l’ima-gine d’un Gavaya in quanto sappiamo da altri che il Gava-ya rassomiglia al bue domestico, tale conoscenza ci pervie-ne per mezzo della testimonianza. Quando in noi ci rap-presentiamo un Gavaya perchè sappiamo che la parola ga-vaya indica alcunché di simile al bue domestico, noi ci ser-viamo dell’inferenza. Ed ecco come Vacaspati ne fa un sil-logismo: 1° Una parola indica solo quell’oggetto a deno-minare il quale è stata usata da uomini competenti; quindinon può avere alcun altro senso. 2° Ma la parola gavaya èstata in tal modo applicata a denominare l’animale simile albue domestico. 3° Quindi questa parola indica alcunché disimile al bue domestico. – La constatazione per ultimodella rassomiglianza del bue domestico col gavaya permezzo della percezione attuale o della memoria si riducealla percezione; perchè non consiste in altro che nel perce-pire nell’uno e nell’altro il complesso delle esteriorità piùimportanti, notandone la somiglianza. Perciò l’analogia

41

delle Scritture nei presenti testi Sankhya non sono che ag-giunte artificiali, le quali possono essere tolte senza chel’esposizione del sistema ne abbia a soffrire.

Tutti gli altri mezzi conoscitivi messi innanzi dalle altrescuole sono contenuti nei tre precedenti e possono essereridotti all’uno od all’altro di essi. I Naiyayikas per es. am-mettono un quarto mezzo: l’analogia. Tale è ad esempiola conoscenza che si acquista d’un Gavaya (Bos Gavæus)sapendo che esso è simile al bue domestico. Ma, dice Va-caspati, tale conoscenza si può benissimo ricondurre inparte alla testimonianza, in parte alla inferenza, in partealla percezione. Quando noi evochiamo in noi stessi l’ima-gine d’un Gavaya in quanto sappiamo da altri che il Gava-ya rassomiglia al bue domestico, tale conoscenza ci pervie-ne per mezzo della testimonianza. Quando in noi ci rap-presentiamo un Gavaya perchè sappiamo che la parola ga-vaya indica alcunché di simile al bue domestico, noi ci ser-viamo dell’inferenza. Ed ecco come Vacaspati ne fa un sil-logismo: 1° Una parola indica solo quell’oggetto a deno-minare il quale è stata usata da uomini competenti; quindinon può avere alcun altro senso. 2° Ma la parola gavaya èstata in tal modo applicata a denominare l’animale simile albue domestico. 3° Quindi questa parola indica alcunché disimile al bue domestico. – La constatazione per ultimodella rassomiglianza del bue domestico col gavaya permezzo della percezione attuale o della memoria si riducealla percezione; perchè non consiste in altro che nel perce-pire nell’uno e nell’altro il complesso delle esteriorità piùimportanti, notandone la somiglianza. Perciò l’analogia

41

Page 42: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

non può essere contata come un mezzo conoscitivo spe-ciale.

I Mimansakas poi ricevono ancora altri quattro mezzi:l’evidenza, la privazione, l’inclusione e la tradizione. L’evi-denza consiste in questo per es. che, quando si vede chealcuno non è in un determinato luogo, se ne inferisce perevidenza che esso è altrove. Ma questo, nota Vacaspati,non è altro che un’inferenza diretta basata sul principio ge-nerale che «ogni corpo spazialmente limitato quando nonè in un determinato luogo è altrove e viceversa». La priva-zione consiste nella constatazione dell’assenza di alcunché,come per es. si constata 1’assenza di fiori nel cielo. Ma qui,nota Vacaspati, non si tratta che d’un caso speciale dellapercezione. L’inclusione si ha quando dall’esistenza d’unacosa si deduce altresì l’esistenza d’altra cosa che è in quellainclusa, e non è che un modo di inferenza. La tradizioneper ultimo è conoscenza avuta per mezzo della tradizioneorale. Ma o essa è degna di fede, ed allora rientra nella le-gittima testimonianza; o non è tale ed allora non è da ac-cogliersi tra i mezzi conoscitivi. (Kaum. 37-39).

NOTA. Il Vedanta riconosce due mezzi conoscitivi: la percezionee l’inferenza; ma li riconosce unicamente come mezzi subordinati esussidiarii, non ad altro atti che a rischiarare e completare la rivela-zione vedica, la quale rimane così sempre per esso l’unica fonte dellaconoscenza liberatrice. (Ved. Sutra II 1, 11; Deussen. Das System d.Vedanta 95-99).

La filosofia ha dunque per oggetto, a voler riassumerein poche parole il concetto del Sankhya, di darci un’espli-cazione razionale dell’un iverso; e questa esplicazione

42

non può essere contata come un mezzo conoscitivo spe-ciale.

I Mimansakas poi ricevono ancora altri quattro mezzi:l’evidenza, la privazione, l’inclusione e la tradizione. L’evi-denza consiste in questo per es. che, quando si vede chealcuno non è in un determinato luogo, se ne inferisce perevidenza che esso è altrove. Ma questo, nota Vacaspati,non è altro che un’inferenza diretta basata sul principio ge-nerale che «ogni corpo spazialmente limitato quando nonè in un determinato luogo è altrove e viceversa». La priva-zione consiste nella constatazione dell’assenza di alcunché,come per es. si constata 1’assenza di fiori nel cielo. Ma qui,nota Vacaspati, non si tratta che d’un caso speciale dellapercezione. L’inclusione si ha quando dall’esistenza d’unacosa si deduce altresì l’esistenza d’altra cosa che è in quellainclusa, e non è che un modo di inferenza. La tradizioneper ultimo è conoscenza avuta per mezzo della tradizioneorale. Ma o essa è degna di fede, ed allora rientra nella le-gittima testimonianza; o non è tale ed allora non è da ac-cogliersi tra i mezzi conoscitivi. (Kaum. 37-39).

NOTA. Il Vedanta riconosce due mezzi conoscitivi: la percezionee l’inferenza; ma li riconosce unicamente come mezzi subordinati esussidiarii, non ad altro atti che a rischiarare e completare la rivela-zione vedica, la quale rimane così sempre per esso l’unica fonte dellaconoscenza liberatrice. (Ved. Sutra II 1, 11; Deussen. Das System d.Vedanta 95-99).

La filosofia ha dunque per oggetto, a voler riassumerein poche parole il concetto del Sankhya, di darci un’espli-cazione razionale dell’un iverso; e questa esplicazione

42

Page 43: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

non è semplicemente fine a se stessa, non è semplicemen-te destinata a soddisfare il bisogno metafisico dell’uomo,ma ha per scopo di condurre gli uomini a lla libera -zione dal dolore. Da essa l’uomo deve apprendere checosa esso non è e che cosa esso è, ossia apprendere a di-stinguere il suo Sè assoluto da quel complesso di principiiesteriori ed interiori che costituiscono il mondo empirico;apprendere come per una fatale concatenazione di cause edi effetti esso sia da tutta l’eternità avvinto all’esistenzaempirica e quindi al dolore; ed infine come esso possarompere questa catena e liberarsi per sempre dalle miseriedell’esistenza.

La nostra esposizione sarà quindi divisa in quattro partile quali avranno rispettivamente per oggetto il mondo em-pirico, il principio assoluto, le leggi della vita empirica, laliberazione.

43

non è semplicemente fine a se stessa, non è semplicemen-te destinata a soddisfare il bisogno metafisico dell’uomo,ma ha per scopo di condurre gli uomini a lla libera -zione dal dolore. Da essa l’uomo deve apprendere checosa esso non è e che cosa esso è, ossia apprendere a di-stinguere il suo Sè assoluto da quel complesso di principiiesteriori ed interiori che costituiscono il mondo empirico;apprendere come per una fatale concatenazione di cause edi effetti esso sia da tutta l’eternità avvinto all’esistenzaempirica e quindi al dolore; ed infine come esso possarompere questa catena e liberarsi per sempre dalle miseriedell’esistenza.

La nostra esposizione sarà quindi divisa in quattro partile quali avranno rispettivamente per oggetto il mondo em-pirico, il principio assoluto, le leggi della vita empirica, laliberazione.

43

Page 44: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Cap. II

La prima questione che ci si presenta relativamente almondo empirico è quello della sua realtà. Osserva il Gar-be che anche in questo il Sankhya si accorda col Buddismoin quanto amendue tengono il mondo empirico per reale.Questo punto merita un esame minuto.

Anzitutto è da chiedersi: Il mondo materiale (vale a direi corpi) è alcunché di esistente indipendentemente dal no-stro intelletto o non è che una rappresentazione illusoriadell’io? Su questo punto così il Buddismo antico ed il San-khya come il Vedanta mantengono la realtà del mondoesteriore contro la setta buddistica dei Yogacaras, i qualidebbono essere considerati come i veri rappresentanti,nell’India, dell’immaterialismo del Berkeley. Secondo iYogacaras (v. Gough Phil. Upan. 191 e ss.; Ved. Sutrastransl. Thibaut I 420 e ss.; Deussen Das System d. Vedan-ta 260 e ss.; Wassilief Le Bouddisme etc. 289 e ss.) la rap-presentazione deve essere considerata come simile ad unsogno. Durante un sogno, un’illusione magica od un mi-raggio le rappresentazioni si presentano al nostro intellettonella duplice forma di oggetto e di soggetto sebbene inrealtà non vi sia neppur per un istante alcunché di esterno;dal che noi concludiamo che anche le rappresentazioni checi occorrono nello stato di veglia sono indipendenti daqualsivoglia cosa esteriore, perchè sono anch’esse pura-

44

Cap. II

La prima questione che ci si presenta relativamente almondo empirico è quello della sua realtà. Osserva il Gar-be che anche in questo il Sankhya si accorda col Buddismoin quanto amendue tengono il mondo empirico per reale.Questo punto merita un esame minuto.

Anzitutto è da chiedersi: Il mondo materiale (vale a direi corpi) è alcunché di esistente indipendentemente dal no-stro intelletto o non è che una rappresentazione illusoriadell’io? Su questo punto così il Buddismo antico ed il San-khya come il Vedanta mantengono la realtà del mondoesteriore contro la setta buddistica dei Yogacaras, i qualidebbono essere considerati come i veri rappresentanti,nell’India, dell’immaterialismo del Berkeley. Secondo iYogacaras (v. Gough Phil. Upan. 191 e ss.; Ved. Sutrastransl. Thibaut I 420 e ss.; Deussen Das System d. Vedan-ta 260 e ss.; Wassilief Le Bouddisme etc. 289 e ss.) la rap-presentazione deve essere considerata come simile ad unsogno. Durante un sogno, un’illusione magica od un mi-raggio le rappresentazioni si presentano al nostro intellettonella duplice forma di oggetto e di soggetto sebbene inrealtà non vi sia neppur per un istante alcunché di esterno;dal che noi concludiamo che anche le rappresentazioni checi occorrono nello stato di veglia sono indipendenti daqualsivoglia cosa esteriore, perchè sono anch’esse pura-

44

Page 45: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

mente rappresentazioni. La varietà attuale delle rappresen-tazioni poi è spiegabile (anziché col vario agire degli og-getti esterni sul senso) col fatto che esse non sono se nonil necessario effetto (in virtù della legge del merito) delleinfinite serie di rappresentazioni che si succedono coneguale varietà da tutta l’eternità.

Contro queste teorie il Sankhya, come il Vedanta, fa ap-pello alla rappresentazione stessa. Anzitutto se non si am-mette che le cose esistano realmente fuori di noi cosìcome noi le percepiamo, non è possibile ammettere nem-meno l’esistenza del pensiero (che è secondo i Yogacarasl’unico reale); perchè come l’unica prova dell’esistenza del-le cose esterne è la rappresentazione che noi ne abbiamo,così l’unica prova dell’esistenza del pensiero è la rappre-sentazione che noi abbiamo del pensiero stesso. (S. Sutra I43; S. pr. bh. 46-47). Ed inoltre: Se le cose esterne non esi-stessero affatto, esse non verrebbero percepite, perchè ciòche non è non può nemmeno essere oggetto di una rap-presentazione. (S. Sutra I 42, V 52). Si confr. i Ved. SutraII 2, 28-29 (v. Thibaut I 418, 424): «La non esistenza (dellecose esterne) non può sostenersi per via della (nostra) co-scienza (della loro esistenza). E per via della loro differen-te natura (le idee nello stato di veglia) non sono comequelle d’un sogno».

La questione precedente non esce dal punto di vistaempirico; e la realtà delle cose vi è puramente affermata inrelazione all’io empirico che è il soggetto percipiente. Conciò non è quindi posta la realtà assoluta delle cose. Lecose esterne sono altrettanto reali quanto gli organi e gli

45

mente rappresentazioni. La varietà attuale delle rappresen-tazioni poi è spiegabile (anziché col vario agire degli og-getti esterni sul senso) col fatto che esse non sono se nonil necessario effetto (in virtù della legge del merito) delleinfinite serie di rappresentazioni che si succedono coneguale varietà da tutta l’eternità.

Contro queste teorie il Sankhya, come il Vedanta, fa ap-pello alla rappresentazione stessa. Anzitutto se non si am-mette che le cose esistano realmente fuori di noi cosìcome noi le percepiamo, non è possibile ammettere nem-meno l’esistenza del pensiero (che è secondo i Yogacarasl’unico reale); perchè come l’unica prova dell’esistenza del-le cose esterne è la rappresentazione che noi ne abbiamo,così l’unica prova dell’esistenza del pensiero è la rappre-sentazione che noi abbiamo del pensiero stesso. (S. Sutra I43; S. pr. bh. 46-47). Ed inoltre: Se le cose esterne non esi-stessero affatto, esse non verrebbero percepite, perchè ciòche non è non può nemmeno essere oggetto di una rap-presentazione. (S. Sutra I 42, V 52). Si confr. i Ved. SutraII 2, 28-29 (v. Thibaut I 418, 424): «La non esistenza (dellecose esterne) non può sostenersi per via della (nostra) co-scienza (della loro esistenza). E per via della loro differen-te natura (le idee nello stato di veglia) non sono comequelle d’un sogno».

La questione precedente non esce dal punto di vistaempirico; e la realtà delle cose vi è puramente affermata inrelazione all’io empirico che è il soggetto percipiente. Conciò non è quindi posta la realtà assoluta delle cose. Lecose esterne sono altrettanto reali quanto gli organi e gli

45

Page 46: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

stati psichici che ce ne danno la rappresentazione; ma con-vien ricordare che e cose esterne e organi e stati psichicifanno un mondo a sè che deve essere distinto da quello alquale solamente abbiamo riconosciuto la esistenza vera esupremamente reale, dall’essere assoluto. Comprendendoquindi sotto il nome di mondo empirico e il mondo este-riore e la nostra coscienza empirica, noi dobbiamo rinno-varci la domanda in questi termini: Il mondo empirico (ilnon io) è alcunché di reale come l’assoluto od è solamentealcunché di illusorio? È facile vedere in che cosa questadomanda differisca dalla precedente; potendo il mondodei corpi essere reale di fronte al soggetto empirico, mad’altro canto come il soggetto stesso irreale di fronteall’assoluto. E questa è appunto la posizione del Vedanta.Dal punto di vista Vedantico Brahma solo è; il mondo èfalso; l’anima è Brahma stesso e null’altro. Brahma, il soloesistente, è intelligenza e beatitudine assoluta (cfr. Deus-sen o. c. 491); esso è destituito d’ogni qualità, d’ogni for-ma, d’ogni distinzione o determinazione; non ha nè volon-tà, nè coscienza; non conosce e non è conosciuto, nonsente e non è sentito; non ha nè principio nè fine; non èsoggetto a mutazioni; in breve è il vero e supremo essere.L’intiero mondo empirico invece è falso; ossia non possie-de una vera esistenza. Esso ha origine dall’ignoranza, laquale fa sì che Brahma appare a noi come il mondo; ap-punto come l’illusione dei sensi può in certe circostanzefar sì che noi scambiamo p. es. una corda per un serpente.Esso non è alcunché di altro da Brahma e nemmeno è unatrasformazione di Brahma; quindi è veramente in sè una

46

stati psichici che ce ne danno la rappresentazione; ma con-vien ricordare che e cose esterne e organi e stati psichicifanno un mondo a sè che deve essere distinto da quello alquale solamente abbiamo riconosciuto la esistenza vera esupremamente reale, dall’essere assoluto. Comprendendoquindi sotto il nome di mondo empirico e il mondo este-riore e la nostra coscienza empirica, noi dobbiamo rinno-varci la domanda in questi termini: Il mondo empirico (ilnon io) è alcunché di reale come l’assoluto od è solamentealcunché di illusorio? È facile vedere in che cosa questadomanda differisca dalla precedente; potendo il mondodei corpi essere reale di fronte al soggetto empirico, mad’altro canto come il soggetto stesso irreale di fronteall’assoluto. E questa è appunto la posizione del Vedanta.Dal punto di vista Vedantico Brahma solo è; il mondo èfalso; l’anima è Brahma stesso e null’altro. Brahma, il soloesistente, è intelligenza e beatitudine assoluta (cfr. Deus-sen o. c. 491); esso è destituito d’ogni qualità, d’ogni for-ma, d’ogni distinzione o determinazione; non ha nè volon-tà, nè coscienza; non conosce e non è conosciuto, nonsente e non è sentito; non ha nè principio nè fine; non èsoggetto a mutazioni; in breve è il vero e supremo essere.L’intiero mondo empirico invece è falso; ossia non possie-de una vera esistenza. Esso ha origine dall’ignoranza, laquale fa sì che Brahma appare a noi come il mondo; ap-punto come l’illusione dei sensi può in certe circostanzefar sì che noi scambiamo p. es. una corda per un serpente.Esso non è alcunché di altro da Brahma e nemmeno è unatrasformazione di Brahma; quindi è veramente in sè una

46

Page 47: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

non entità; Brahma solo è e si presenta a noi come il mon-do. Per usare un’espressione vedantica, l’esistenza delmondo non è sua propria ma di Brahma; Brahma è la cau-sa materiale illusoria del mondo. (Refut. 177-179). Nè per-ciò esso è assolutamente nulla; perché sebbene esso nonsia ciò che appare, almeno in quanto appare è pur qualchecosa. Esso non è quindi nè reale né irreale; è alcunché diinesprimibile che non cade nè sotto l’uno nè sotto l’altrodi questi due concetti.

Per il Sankhya invece non meno che per l’antico Buddi-smo il mondo empirico è altrettanto reale quanto l’essereassoluto. Secondo l’antico Buddismo le cose hanno un’esi-stenza momentanea, ma reale; secondo il Sankhya è falsoche noi partecipiamo all’esistenza empirica, ma il mondoempirico in sè è qualche cosa di assolutamente reale. (S. pr.bh. 46, 98 etc.). Il Sankhya si rifiuta di ammettere qualquid medium tra l’esistenza e la non esistenza che i Vedan-tini attribuiscono al mondo empirico; esso dichiara in piùluoghi che una tale semi-esistenza è inconcepibile e quindiassurda (S. Sutra I 24, V 54 etc.). L’argomentazione che ilSankhya adduce contro l’illusionismo del Vedanta è infondo quella stessa addotta contro i Yogacaras; e consistein un appello alla rappresentazione, che nell’ipotesi del Ve-danta sarebbe radicalmente falsa. Ora dice il Sankhya, nul-la ci prova che la rappresentazione sia falsa in sè stessa ov-vero proceda da uno stato anormale degli organi conosci-tivi (S. S. I 79, VI 52). In quest’ultimo caso (come p. es. nelsogno) così come nelle rappresentazioni false che si hannoquando si scambia un oggetto per un altro la falsità della

47

non entità; Brahma solo è e si presenta a noi come il mon-do. Per usare un’espressione vedantica, l’esistenza delmondo non è sua propria ma di Brahma; Brahma è la cau-sa materiale illusoria del mondo. (Refut. 177-179). Nè per-ciò esso è assolutamente nulla; perché sebbene esso nonsia ciò che appare, almeno in quanto appare è pur qualchecosa. Esso non è quindi nè reale né irreale; è alcunché diinesprimibile che non cade nè sotto l’uno nè sotto l’altrodi questi due concetti.

Per il Sankhya invece non meno che per l’antico Buddi-smo il mondo empirico è altrettanto reale quanto l’essereassoluto. Secondo l’antico Buddismo le cose hanno un’esi-stenza momentanea, ma reale; secondo il Sankhya è falsoche noi partecipiamo all’esistenza empirica, ma il mondoempirico in sè è qualche cosa di assolutamente reale. (S. pr.bh. 46, 98 etc.). Il Sankhya si rifiuta di ammettere qualquid medium tra l’esistenza e la non esistenza che i Vedan-tini attribuiscono al mondo empirico; esso dichiara in piùluoghi che una tale semi-esistenza è inconcepibile e quindiassurda (S. Sutra I 24, V 54 etc.). L’argomentazione che ilSankhya adduce contro l’illusionismo del Vedanta è infondo quella stessa addotta contro i Yogacaras; e consistein un appello alla rappresentazione, che nell’ipotesi del Ve-danta sarebbe radicalmente falsa. Ora dice il Sankhya, nul-la ci prova che la rappresentazione sia falsa in sè stessa ov-vero proceda da uno stato anormale degli organi conosci-tivi (S. S. I 79, VI 52). In quest’ultimo caso (come p. es. nelsogno) così come nelle rappresentazioni false che si hannoquando si scambia un oggetto per un altro la falsità della

47

Page 48: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

rappresentazione ci è provata da rappresentazioni soprav-venienti; laddove nel caso della rappresentazione ordinarianel suo complesso noi non abbiamo nessun’altra rappre-sentazione da cui desumere la falsità della prima. (S. pr.bh. 357). Nè i passi delle Scritture che si sogliono addurrecontro la realtà del mondo hanno per scopo di negare as-solutamente l’esistenza del mondo empirico, perchè altri-menti negherebbero anche la realtà delle Scritture stesse equindi di sè medesimi, e perciò non avrebbero più alcunvalore probante. (S. pr. bh. 358).

Non interamente a torto quindi Vijnana affetta in piùluoghi di confondere i seguaci di Çankara con i Yogacaras(S. pr. bh. 34, 36, 39, 48, 173 etc.); essendo indifferente as-sumere che gli oggetti esistano o non indipendentementedalla rappresentazione, dal momento che e oggetti e rap-presentazione sono nel loro insieme un’illusione ed unanon realtà. Questa diversità di dottrina che separa netta-mente il Sankhya e l’antico Buddismo dal Vedanta e dalneobuddismo si connette con la diversa concezionedell’ignoranza, la quale si può brevemente riassumere inquesto che secondo il Vedanta ed il neobuddismo l’igno-ranza non solo è la causa efficiente, ma è la causa materia-le, il fondo stesso del mondo empirico (che è quindi illu-sorio), laddove secondo il Sankhya e l’antico Buddismoessa non è che la causa efficiente dello svolgersi dell’esi-stenza empirica, la quale è in sè qualche cosa che non èl’ignoranza.

La vita empirica che si svolge attorno a noi e della qualenoi siamo parte non è pertanto nè un miraggio dei sensi,

48

rappresentazione ci è provata da rappresentazioni soprav-venienti; laddove nel caso della rappresentazione ordinarianel suo complesso noi non abbiamo nessun’altra rappre-sentazione da cui desumere la falsità della prima. (S. pr.bh. 357). Nè i passi delle Scritture che si sogliono addurrecontro la realtà del mondo hanno per scopo di negare as-solutamente l’esistenza del mondo empirico, perchè altri-menti negherebbero anche la realtà delle Scritture stesse equindi di sè medesimi, e perciò non avrebbero più alcunvalore probante. (S. pr. bh. 358).

Non interamente a torto quindi Vijnana affetta in piùluoghi di confondere i seguaci di Çankara con i Yogacaras(S. pr. bh. 34, 36, 39, 48, 173 etc.); essendo indifferente as-sumere che gli oggetti esistano o non indipendentementedalla rappresentazione, dal momento che e oggetti e rap-presentazione sono nel loro insieme un’illusione ed unanon realtà. Questa diversità di dottrina che separa netta-mente il Sankhya e l’antico Buddismo dal Vedanta e dalneobuddismo si connette con la diversa concezionedell’ignoranza, la quale si può brevemente riassumere inquesto che secondo il Vedanta ed il neobuddismo l’igno-ranza non solo è la causa efficiente, ma è la causa materia-le, il fondo stesso del mondo empirico (che è quindi illu-sorio), laddove secondo il Sankhya e l’antico Buddismoessa non è che la causa efficiente dello svolgersi dell’esi-stenza empirica, la quale è in sè qualche cosa che non èl’ignoranza.

La vita empirica che si svolge attorno a noi e della qualenoi siamo parte non è pertanto nè un miraggio dei sensi,

48

Page 49: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

nè un’illusione dell’anima, ma è in sè un’assoluta realtà.Questa realità empirica è però diversamente concepita

nel Sankhya e nel Buddismo. Il mondo empirico è ben co-stituito, secondo i Buddisti, di fenomeni sostanziali; maessi non hanno che una durata istantanea e non sorgonoall’istante dal nulla che per precipitarvisi nuovamente nellostesso istante. Gli esseri sono quindi da paragonarsi ad unafiamma; la quale appare identica per tutta la sua durata, main realtà consta del rapidissimo succedersi nella stessa for-ma di minime particelle della sostanza ardente. Così nelconcetto dei Sautrantikas tutti gli esseri sono sottoposti adun flusso continuo: tutti gli elementi così della vita corpo-rea come della vita spirituale non sono che un succedersidi forme e di aggregati di cui l’uno sottentra rapidissima-mente all’altro. Di una sostanza, come substrato perma-nente degli esseri, non è quindi il caso; l’essenza delle coseè nel loro diventare (Old. 271-273. S. Sutra I 34-37). Inve-ce secondo il Sankhya il mondo empirico ha un fondopermanente o, come esso dice, una causa m ateriale. Aldisotto di tutti i fenomeni, di tutte le apparenze mutevolivi è qualche cosa che persiste, alcunché di eterno che si di-spiega in una varietà di forme successive. Secondo il Bud-dismo l’essere (attuale) procede dal non essere e ritornanel non essere; secondo il Sankhya l’essere è eterno edogni essere determinato procede dall’essere e ritornanell’essere.

Il Sankhya prova la sua tesi con tre argomenti, riferitinei sutra I 114 e ss. e nel distico 9 della Karika. È da no-tarsi però che i commentatori più recenti (Kaum. 42-49; S.

49

nè un’illusione dell’anima, ma è in sè un’assoluta realtà.Questa realità empirica è però diversamente concepita

nel Sankhya e nel Buddismo. Il mondo empirico è ben co-stituito, secondo i Buddisti, di fenomeni sostanziali; maessi non hanno che una durata istantanea e non sorgonoall’istante dal nulla che per precipitarvisi nuovamente nellostesso istante. Gli esseri sono quindi da paragonarsi ad unafiamma; la quale appare identica per tutta la sua durata, main realtà consta del rapidissimo succedersi nella stessa for-ma di minime particelle della sostanza ardente. Così nelconcetto dei Sautrantikas tutti gli esseri sono sottoposti adun flusso continuo: tutti gli elementi così della vita corpo-rea come della vita spirituale non sono che un succedersidi forme e di aggregati di cui l’uno sottentra rapidissima-mente all’altro. Di una sostanza, come substrato perma-nente degli esseri, non è quindi il caso; l’essenza delle coseè nel loro diventare (Old. 271-273. S. Sutra I 34-37). Inve-ce secondo il Sankhya il mondo empirico ha un fondopermanente o, come esso dice, una causa m ateriale. Aldisotto di tutti i fenomeni, di tutte le apparenze mutevolivi è qualche cosa che persiste, alcunché di eterno che si di-spiega in una varietà di forme successive. Secondo il Bud-dismo l’essere (attuale) procede dal non essere e ritornanel non essere; secondo il Sankhya l’essere è eterno edogni essere determinato procede dall’essere e ritornanell’essere.

Il Sankhya prova la sua tesi con tre argomenti, riferitinei sutra I 114 e ss. e nel distico 9 della Karika. È da no-tarsi però che i commentatori più recenti (Kaum. 42-49; S.

49

Page 50: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

pr. bh. 130-131; Anir. 65-70) considerano queste argo-mentazioni come rivolte specialmente contro i Naiyayikased i Vaiçeshikas, secondo i quali in ogni entità vi è qualchecosa che nella causa non esisteva e quindi il non esseredeve considerarsi come causa parziale degli esseri. Ciòprocede senza dubbio dal fatto che le dispute con le scuo-le rivali ortodosse richiamavano al loro tempo la loro at-tenzione molto più che le controversie col Buddismo, lequali erano omai prive d’ogni interesse ed attualità.

Le predette argomentazioni sono le seguenti:1° Ciò che non esiste non può venir chiamato all’esi-

stenza. (S. S. I 114). Se il prodotto prima di venire all’esi-stenza fosse irreale, da nessun agente esso potrebbe venirtratto alla realtà; poiché nemmeno mille artefici possonofar diventare giallo ciò che per sua essenza è azzurro. E sealcuno dicesse: «La realtà e la non realtà non sono chequalità successive d’un oggetto: quindi il passaggiodall’una all’altra non è impossibile», noi rispondiamo cheun oggetto irreale non può possedere qualità, e che il con-siderare un oggetto irreale come rivestito successivamentedelle qualità della realtà e dell’irrealtà è un non senso.Come potrebbe un vaso p. es. essere irreale in virtùd’un’irrealtà che non è in connessione con esso nè tantomeno ne costituisce l’essenza? E veramente nella vita ordi-naria noi vediamo che solo ciò che esiste già realmentepuò esser tratto all’esistenza, come per esempio l’olio cheè spremuto dai semi di sesamo dallo strettoio, il latte che èmunto dal seno della vacca, etc. Per contro nessun esem-pio noi abbiamo che alcunché non esistente sorga improv-

50

pr. bh. 130-131; Anir. 65-70) considerano queste argo-mentazioni come rivolte specialmente contro i Naiyayikased i Vaiçeshikas, secondo i quali in ogni entità vi è qualchecosa che nella causa non esisteva e quindi il non esseredeve considerarsi come causa parziale degli esseri. Ciòprocede senza dubbio dal fatto che le dispute con le scuo-le rivali ortodosse richiamavano al loro tempo la loro at-tenzione molto più che le controversie col Buddismo, lequali erano omai prive d’ogni interesse ed attualità.

Le predette argomentazioni sono le seguenti:1° Ciò che non esiste non può venir chiamato all’esi-

stenza. (S. S. I 114). Se il prodotto prima di venire all’esi-stenza fosse irreale, da nessun agente esso potrebbe venirtratto alla realtà; poiché nemmeno mille artefici possonofar diventare giallo ciò che per sua essenza è azzurro. E sealcuno dicesse: «La realtà e la non realtà non sono chequalità successive d’un oggetto: quindi il passaggiodall’una all’altra non è impossibile», noi rispondiamo cheun oggetto irreale non può possedere qualità, e che il con-siderare un oggetto irreale come rivestito successivamentedelle qualità della realtà e dell’irrealtà è un non senso.Come potrebbe un vaso p. es. essere irreale in virtùd’un’irrealtà che non è in connessione con esso nè tantomeno ne costituisce l’essenza? E veramente nella vita ordi-naria noi vediamo che solo ciò che esiste già realmentepuò esser tratto all’esistenza, come per esempio l’olio cheè spremuto dai semi di sesamo dallo strettoio, il latte che èmunto dal seno della vacca, etc. Per contro nessun esem-pio noi abbiamo che alcunché non esistente sorga improv-

50

Page 51: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

visamente all’esistenza. Dunque se il passaggio dalla realtàall’irrealtà è impossibile, ne viene di conseguenza che laproduzione delle cose non è altro che il manifestarsid’alcunché già preesistente nella sua causa; e la distruzioneloro il ritorno delle medesime al loro stato primitivo.(Kaum. 44).

2° La limitazione delle cause materiali. (S. S. I, 115).Ogni causa materiale non produce se non questo o queldeterminato oggetto. Ciò è fatto evidente; perchè se nonvi esistesse questa specie di predeterminazione del prodot-to nella causa, tutto potrebbe sorgere da tutto; non vi sa-rebbe ragione per cui una causa produca questo oquell’oggetto, trovandosi nelle stesse condizioni di fronte aciascuno di essi; il che assolutamente non è. (S. S. I, 116).Ora questa predeterminazione non può essere alcunché digenerico, una facoltà astratta della causa di produrre dalnulla questo o quell’oggetto, perchè allora ci troveremmonuovamente di fronte alla stessa domanda: perchè questafacoltà appartiene a questa causa sola e non a tutte? Quin-di è necessario che esista una connessione tra la causa pro-ducente e l’oggetto non ancora prodotto; e questa connes-sione ci prova appunto la preesistenza del prodotto stessoallo stato di preformazione nella sua causa; perchè del re-sto come potrebbe la causa essere connessa con alcunchéche non esiste? Tutto questo è riassunto in un antico testoSankhya citato dal Kaumudi: «Se (i prodotti prima dellaloro manifestazione) fossero irreali, non si darebbe alcunaconnessione (degli stessi) con le loro cause realmente esi-stenti. E per colui che ammette il sorgere d’un prodotto

51

visamente all’esistenza. Dunque se il passaggio dalla realtàall’irrealtà è impossibile, ne viene di conseguenza che laproduzione delle cose non è altro che il manifestarsid’alcunché già preesistente nella sua causa; e la distruzioneloro il ritorno delle medesime al loro stato primitivo.(Kaum. 44).

2° La limitazione delle cause materiali. (S. S. I, 115).Ogni causa materiale non produce se non questo o queldeterminato oggetto. Ciò è fatto evidente; perchè se nonvi esistesse questa specie di predeterminazione del prodot-to nella causa, tutto potrebbe sorgere da tutto; non vi sa-rebbe ragione per cui una causa produca questo oquell’oggetto, trovandosi nelle stesse condizioni di fronte aciascuno di essi; il che assolutamente non è. (S. S. I, 116).Ora questa predeterminazione non può essere alcunché digenerico, una facoltà astratta della causa di produrre dalnulla questo o quell’oggetto, perchè allora ci troveremmonuovamente di fronte alla stessa domanda: perchè questafacoltà appartiene a questa causa sola e non a tutte? Quin-di è necessario che esista una connessione tra la causa pro-ducente e l’oggetto non ancora prodotto; e questa connes-sione ci prova appunto la preesistenza del prodotto stessoallo stato di preformazione nella sua causa; perchè del re-sto come potrebbe la causa essere connessa con alcunchéche non esiste? Tutto questo è riassunto in un antico testoSankhya citato dal Kaumudi: «Se (i prodotti prima dellaloro manifestazione) fossero irreali, non si darebbe alcunaconnessione (degli stessi) con le loro cause realmente esi-stenti. E per colui che ammette il sorgere d’un prodotto

51

Page 52: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

non connesso (con la sua causa) non può valere la regola-re ripartizione (dei prodotti, ossia la regola che un deter-minato prodotto possa sorgere solo da una determinatacausa)». (Kaum. 45). Questo argomento vale anche controi Vaiçeshikas, secondo i quali la non esistenza è solo unotra i fattori determinanti del prodotto. Notiamo anzituttoche questa teoria pecca di complicazione, perchè dal mo-mento che si hanno sotto gli occhi i fattori determinantimateriali d’un prodotto, a che ricorrere ad un’ipotetica nonesistenza? Ma del resto questa non esistenza o non ha pre-determinazioni speciali ed allora non è fattore determinan-te, come si è ammesso; o ne ha ed allora non è un’irrealtà.Da questo concludiamo che non si può considerare la nonesistenza come fattore determinante (unico o non) dellaproduzione delle cose. (S. pr. bh. 133).

3° L’identità del prodotto e della causa. Il prodotto nonè distinto dalla sua causa perchè: 1° Ciò che non è se nonuna speciale modificazione di alcunché non può essernedistinto, come p. es. un abito non è alcunché di distintodai fili onde esso è composto. 2° Nel caso di due cose di-stinte sono possibili l’unione e la separazione; ora ciò nonè possibile nel caso della causa e del prodotto. 3° Nellaproduzione di alcunché da parte della sua causa (come nelcaso dell’abito e del filo) non vi ha aumento di peso; ciòche noi possiamo verificare con la bilancia. Quindi noi di-ciamo che il prodotto non è se non la causa modificata inquesto o quel modo; data ora la realtà dell’uno come potràl’altra essere irreale? A questa nostra argomentazionemuovono gli avversari quattro difficoltà: se la causa è iden-

52

non connesso (con la sua causa) non può valere la regola-re ripartizione (dei prodotti, ossia la regola che un deter-minato prodotto possa sorgere solo da una determinatacausa)». (Kaum. 45). Questo argomento vale anche controi Vaiçeshikas, secondo i quali la non esistenza è solo unotra i fattori determinanti del prodotto. Notiamo anzituttoche questa teoria pecca di complicazione, perchè dal mo-mento che si hanno sotto gli occhi i fattori determinantimateriali d’un prodotto, a che ricorrere ad un’ipotetica nonesistenza? Ma del resto questa non esistenza o non ha pre-determinazioni speciali ed allora non è fattore determinan-te, come si è ammesso; o ne ha ed allora non è un’irrealtà.Da questo concludiamo che non si può considerare la nonesistenza come fattore determinante (unico o non) dellaproduzione delle cose. (S. pr. bh. 133).

3° L’identità del prodotto e della causa. Il prodotto nonè distinto dalla sua causa perchè: 1° Ciò che non è se nonuna speciale modificazione di alcunché non può essernedistinto, come p. es. un abito non è alcunché di distintodai fili onde esso è composto. 2° Nel caso di due cose di-stinte sono possibili l’unione e la separazione; ora ciò nonè possibile nel caso della causa e del prodotto. 3° Nellaproduzione di alcunché da parte della sua causa (come nelcaso dell’abito e del filo) non vi ha aumento di peso; ciòche noi possiamo verificare con la bilancia. Quindi noi di-ciamo che il prodotto non è se non la causa modificata inquesto o quel modo; data ora la realtà dell’uno come potràl’altra essere irreale? A questa nostra argomentazionemuovono gli avversari quattro difficoltà: se la causa è iden-

52

Page 53: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

tica all’effetto, che cosa significano ancora la produzione,la distruzione di alcunché? perchè chiamiamo con nomidistinti la causa ed il prodotto? perchè nell’uso quotidianosiamo tutt’altro che indifferenti a servirci dell’una piutto-sto chè dell’altro? Alle prime due domande noi rispondia-mo che, come le membra d’una tartaruga scompaionoquando essa le ritira in sè e vengono alla luce quando essale fa uscire, ma nè nel primo caso vengono ridotte al nulla,nè nel secondo sorgono come per incanto dal corpo dellatartaruga, così è per tutti i prodotti relativamente alle lorocause; quando essi vengono fuori ossia vengono alla luce,si dice che essi nascono, sorgono; quando si ritirano, cioèvengono riassorbiti dalla loro causa, si dice che si distrug-gono: ma in fatto non vi è veramente nè produzione dalnulla, né ritorno al nulla. Circa poi al terzo punto, come latartaruga non è punto alcunché d’altro dalle sue membrache ora si distendono, ora si raccolgono, così anche unvaso, un diadema non sono punto alcunché di altrodall’argilla, dall’oro di cui constano. La distinzione nomi-nale ha la sua ragione solo nella manifestazione o non ma-nifestazione; così p. es. se il vaso non è ancora manifesta-to, noi parliamo di esso come di argilla, se è manifestato lochiamiamo col suo proprio nome «vaso». Nè infine la di-versità dello scopo pratico include una distinzione essen-ziale tra la causa ed il prodotto; perchè noi sappiamo cheanche una stessa cosa può servire a più usi, come p. es. ilfuoco che brucia, illumina, cuoce. Inoltre convien consi-derare che altro può essere l’uso d’un tutto, altro l’uso deicomponenti presi ad uno ad uno, senza che per ciò se ne

53

tica all’effetto, che cosa significano ancora la produzione,la distruzione di alcunché? perchè chiamiamo con nomidistinti la causa ed il prodotto? perchè nell’uso quotidianosiamo tutt’altro che indifferenti a servirci dell’una piutto-sto chè dell’altro? Alle prime due domande noi rispondia-mo che, come le membra d’una tartaruga scompaionoquando essa le ritira in sè e vengono alla luce quando essale fa uscire, ma nè nel primo caso vengono ridotte al nulla,nè nel secondo sorgono come per incanto dal corpo dellatartaruga, così è per tutti i prodotti relativamente alle lorocause; quando essi vengono fuori ossia vengono alla luce,si dice che essi nascono, sorgono; quando si ritirano, cioèvengono riassorbiti dalla loro causa, si dice che si distrug-gono: ma in fatto non vi è veramente nè produzione dalnulla, né ritorno al nulla. Circa poi al terzo punto, come latartaruga non è punto alcunché d’altro dalle sue membrache ora si distendono, ora si raccolgono, così anche unvaso, un diadema non sono punto alcunché di altrodall’argilla, dall’oro di cui constano. La distinzione nomi-nale ha la sua ragione solo nella manifestazione o non ma-nifestazione; così p. es. se il vaso non è ancora manifesta-to, noi parliamo di esso come di argilla, se è manifestato lochiamiamo col suo proprio nome «vaso». Nè infine la di-versità dello scopo pratico include una distinzione essen-ziale tra la causa ed il prodotto; perchè noi sappiamo cheanche una stessa cosa può servire a più usi, come p. es. ilfuoco che brucia, illumina, cuoce. Inoltre convien consi-derare che altro può essere l’uso d’un tutto, altro l’uso deicomponenti presi ad uno ad uno, senza che per ciò se ne

53

Page 54: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

possa inferire che sono due cose diverse. Così come i serviche si pigliano per un viaggio singolarmente non compio-no altro ufficio che quello di indicare la via ed invece riu-niti insieme possono portare la lettiga, allo stesso modo ifili ad uno ad uno non coprono il corpo, ma presi colletti-vamente (nello stato d’abito) lo coprono. «Va benissimo,(dirà alcuno), ma la manifestazione è già presente primadel suo sorgere o no? Se no, si deve convenire che vi èproduzione d’alcunché antecedentemente non esistente (lamanifestazione stessa); se sì, che bisogno vi è dell’attivitàproducente della causa? E se poi accettate una manifesta-zione della manifestazione e così via si ha un regressus ininfinitum. Quindi è cosa vuota di senso il dire che la pro-duzione non è che una manifestazione» Noi rispondiamo:Il prodotto esiste già nella causa in quanto manifestato manella condizione di futuro; quindi non vi è creazione dinulla di antecedentemente non esistente. E d’altra partel’attività della causa è appunto necessaria affinchè questoprodotto manifestato passi dallo stato di futuro allo statodi presente ossia si attui. Nè così si può dire che vi sia pas-saggio da una non esistenza all’esistenza; perchè l’esistenzain condizione di futuro e l’esistenza in condizione di pre-sente non sono due opposti contraddicentisi, ma solo duemodi successivi d’un’esistenza continua. E se si persistessead opporre che così si verrebbe pur sempre a porreun’antecedente non esistenza della manifestazione, noi ri-sponderemmo anzitutto che ciò non detrarrebbe puntoall’esistenza eterna del prodotto (del quale solo ora si trat-ta); ed in secondo luogo che nemmeno ciò è vero. Perchè

54

possa inferire che sono due cose diverse. Così come i serviche si pigliano per un viaggio singolarmente non compio-no altro ufficio che quello di indicare la via ed invece riu-niti insieme possono portare la lettiga, allo stesso modo ifili ad uno ad uno non coprono il corpo, ma presi colletti-vamente (nello stato d’abito) lo coprono. «Va benissimo,(dirà alcuno), ma la manifestazione è già presente primadel suo sorgere o no? Se no, si deve convenire che vi èproduzione d’alcunché antecedentemente non esistente (lamanifestazione stessa); se sì, che bisogno vi è dell’attivitàproducente della causa? E se poi accettate una manifesta-zione della manifestazione e così via si ha un regressus ininfinitum. Quindi è cosa vuota di senso il dire che la pro-duzione non è che una manifestazione» Noi rispondiamo:Il prodotto esiste già nella causa in quanto manifestato manella condizione di futuro; quindi non vi è creazione dinulla di antecedentemente non esistente. E d’altra partel’attività della causa è appunto necessaria affinchè questoprodotto manifestato passi dallo stato di futuro allo statodi presente ossia si attui. Nè così si può dire che vi sia pas-saggio da una non esistenza all’esistenza; perchè l’esistenzain condizione di futuro e l’esistenza in condizione di pre-sente non sono due opposti contraddicentisi, ma solo duemodi successivi d’un’esistenza continua. E se si persistessead opporre che così si verrebbe pur sempre a porreun’antecedente non esistenza della manifestazione, noi ri-sponderemmo anzitutto che ciò non detrarrebbe puntoall’esistenza eterna del prodotto (del quale solo ora si trat-ta); ed in secondo luogo che nemmeno ciò è vero. Perchè

54

Page 55: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

da noi a voi (o Naiyayikas), vi è questa differenza, che voiprima e dopo dell’esistenza attuale d’un oggetto ponete ilnon esistere ed identificate l’oggetto stesso con la sua con-dizione di presente; per noi invece prima dell’esistenza at-tuale d’un oggetto vi è la sua esistenza nella condizion difuturo, dopo vi è la sua esistenza nella condizione di pas-sato; e la manifestazione o stato presente del prodotto èuna condizione del prodotto ma non il prodotto stesso.Perciò per il prodotto non v’è nè anteriore nè posteriorenon esistenza, ma esistenza allo stato di futuro ed esisten-za allo stato di passato; e per la condizione di presentenemmeno vi è prima o poi un’assoluta non esistenza, masolo una non esistenza relativa, un’esistenza nella condi-zione di futuro o di passato; cosicché all’atto della manife-stazione o della distruzione non vi è una condizione dipresente che sorga dal nulla o che torni nel nulla, ma unfuturo che si fa presente od un presente che si fa passato.Circa poi all’obbiezione che, affinchè il manifestato nellacondizione di futuro passi alla condizione di presente, èpur necessaria un’altra manifestazione, e dovendo anchequesta sussistere già nella condizione di futuro, è necessa-ria una terza e così via all’infinito, noi rispondiamo che ciònon ci importa nulla, non vedendo noi nulla d’illogiconell’ammettere una serie infinita di manifestazioni che siproducono istantaneamente all’atto della produzione. Ed’altronde la stessa obbiezione potrebbe essere ritortacontro di voi (o Naiyayikas); perché ciò che per noi è lamanifestazione è per voi la produzione (di alcunché finoranon totalmente esistente); e come voi per semplicità non

55

da noi a voi (o Naiyayikas), vi è questa differenza, che voiprima e dopo dell’esistenza attuale d’un oggetto ponete ilnon esistere ed identificate l’oggetto stesso con la sua con-dizione di presente; per noi invece prima dell’esistenza at-tuale d’un oggetto vi è la sua esistenza nella condizion difuturo, dopo vi è la sua esistenza nella condizione di pas-sato; e la manifestazione o stato presente del prodotto èuna condizione del prodotto ma non il prodotto stesso.Perciò per il prodotto non v’è nè anteriore nè posteriorenon esistenza, ma esistenza allo stato di futuro ed esisten-za allo stato di passato; e per la condizione di presentenemmeno vi è prima o poi un’assoluta non esistenza, masolo una non esistenza relativa, un’esistenza nella condi-zione di futuro o di passato; cosicché all’atto della manife-stazione o della distruzione non vi è una condizione dipresente che sorga dal nulla o che torni nel nulla, ma unfuturo che si fa presente od un presente che si fa passato.Circa poi all’obbiezione che, affinchè il manifestato nellacondizione di futuro passi alla condizione di presente, èpur necessaria un’altra manifestazione, e dovendo anchequesta sussistere già nella condizione di futuro, è necessa-ria una terza e così via all’infinito, noi rispondiamo che ciònon ci importa nulla, non vedendo noi nulla d’illogiconell’ammettere una serie infinita di manifestazioni che siproducono istantaneamente all’atto della produzione. Ed’altronde la stessa obbiezione potrebbe essere ritortacontro di voi (o Naiyayikas); perché ciò che per noi è lamanifestazione è per voi la produzione (di alcunché finoranon totalmente esistente); e come voi per semplicità non

55

Page 56: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

ammettete una produzione della produzione e così via,così noi per semplicità possiamo assumere una manifesta-zione sola. (S. pr. bh. 137-139, Kaum. 45-49).

NOTA. Posto che ogni prodotto passa per i tre stati di futuro, pre-sente, passato, ne viene che poiché un prodotto è uscito dall’esisten-za attuale, esso non vi rientrerà più mai. Il presente è come un brevespazio che ha prima di sè l’infinità del futuro, dopo di sè l’infinitàdel passato. Esso vi rientra, è vero, sotto altre forme, in altri aspetti;p. es. «quando un filo scompare si cambia in terra, la terra in piantadi cotone, questa in fiori e frutti e poi nuovamente in filo». (Anir.69); ma l’individualità perduta è una forma scomparsa per sempreed anche sotto le identiche apparenze rinnovantisi continuamente sicelano prodotti sempre diversi. (S. pr. bh 135).

NOTA 2a Come quarta prova dell’esistenza dei prodotti nei tretempi, Vijnana adduce il fatto della percezione sovrannaturale, chesarebbe in caso diverso inspiegabile. Ogni percezione deve avere unoggetto reale; che dal resto se una percezione potesse sussistere sen-za un oggetto reale, perché non potrebbe anche essere ciò nel casodella percezione ordinaria? Poiché adunque la percezione (almenofino a prova contraria) prova l’esistenza dell’oggetto percepito, lapercezione soprannaturale prova l’esistenza del prodotto nel passatoe nel futuro. E che gli asceti percepiscano realmente il passato ed ilfuturo si prova in mille modi per mezzo delle Scritture, della Tradi-zione, delle leggende, etc. (S. pr. bh. 135-136).

Dopo d’aver provato che gli esseri non hanno una real-tà effimera, nè sorgono dal nulla, ma hanno la loro radicein qualche cosa di eterno, resta a vedere in che cosa questoconsista. È esso una sostanza unica da cui tutte le cose im-mediatamente procedono, od è una pluralità di principii?E nel secondo caso sono questi fra di loro isolati ed indi-pendenti, o mutuamente connessi e dipendenti da un prin-

56

ammettete una produzione della produzione e così via,così noi per semplicità possiamo assumere una manifesta-zione sola. (S. pr. bh. 137-139, Kaum. 45-49).

NOTA. Posto che ogni prodotto passa per i tre stati di futuro, pre-sente, passato, ne viene che poiché un prodotto è uscito dall’esisten-za attuale, esso non vi rientrerà più mai. Il presente è come un brevespazio che ha prima di sè l’infinità del futuro, dopo di sè l’infinitàdel passato. Esso vi rientra, è vero, sotto altre forme, in altri aspetti;p. es. «quando un filo scompare si cambia in terra, la terra in piantadi cotone, questa in fiori e frutti e poi nuovamente in filo». (Anir.69); ma l’individualità perduta è una forma scomparsa per sempreed anche sotto le identiche apparenze rinnovantisi continuamente sicelano prodotti sempre diversi. (S. pr. bh 135).

NOTA 2a Come quarta prova dell’esistenza dei prodotti nei tretempi, Vijnana adduce il fatto della percezione sovrannaturale, chesarebbe in caso diverso inspiegabile. Ogni percezione deve avere unoggetto reale; che dal resto se una percezione potesse sussistere sen-za un oggetto reale, perché non potrebbe anche essere ciò nel casodella percezione ordinaria? Poiché adunque la percezione (almenofino a prova contraria) prova l’esistenza dell’oggetto percepito, lapercezione soprannaturale prova l’esistenza del prodotto nel passatoe nel futuro. E che gli asceti percepiscano realmente il passato ed ilfuturo si prova in mille modi per mezzo delle Scritture, della Tradi-zione, delle leggende, etc. (S. pr. bh. 135-136).

Dopo d’aver provato che gli esseri non hanno una real-tà effimera, nè sorgono dal nulla, ma hanno la loro radicein qualche cosa di eterno, resta a vedere in che cosa questoconsista. È esso una sostanza unica da cui tutte le cose im-mediatamente procedono, od è una pluralità di principii?E nel secondo caso sono questi fra di loro isolati ed indi-pendenti, o mutuamente connessi e dipendenti da un prin-

56

Page 57: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

cipio unico supremo? Quest’ultima soluzione è quella acui il Sankhya s’appiglia. Secondo esso tutte le manifesta-zioni così del mondo esteriore come del soggetto empiri-co si possono ricondurre ad un determinato numero diprincipii; e questi stessi alla lor volta procedono, mediata-mente o immediatamente, da un principio supremo unicoche deve essere considerato come l’eterna sorgente di tuttigli esseri finiti.

Il criterio di cui il Sankhya si vale per risalire dai singoliesseri ai loro principii e da questi alla loro causa prima ci èriferito nel distico 15° della Karilca ed è in perfetta con-nessione con quanto precede. Già si è veduto infatti che ilSankhya insegna l’identità fondamentale dell’effetto con lasua causa materiale o, ciò che torna lo stesso, dei prodotticoi principii da cui procedono. L’individuazione dell’effet-to consiste nelle determinazioni (di luogo e di tempo etc.)e specificazioni (nella forma, nell’azione etc.) che limitanola causa. Ciò che è al disopra degli esseri particolari non èquindi la forma (che è considerata come alcunché di es-senzialmente vario e variabile), ma la sostanza, il substratoindistinto, nel quale sono contenute in uno stato di omo-geneità indistinta la loro sostanza, la loro forza, le loroqualità essenziali. Ogni categoria d’esseri presuppone per-ciò una sostanza indistinta dalla quale è sorta per distinzio-ne l’indefinita varietà dei singoli e nella quale essi dovran-no un giorno ridissolversi; ed alla lor volta tutte queste va-rie sostanze o principii, comunque fra di loro connessi, inquanto sono ancora alcunché di relativamente distinto,presuppongono necessariamente alcunché di essenzial-

57

cipio unico supremo? Quest’ultima soluzione è quella acui il Sankhya s’appiglia. Secondo esso tutte le manifesta-zioni così del mondo esteriore come del soggetto empiri-co si possono ricondurre ad un determinato numero diprincipii; e questi stessi alla lor volta procedono, mediata-mente o immediatamente, da un principio supremo unicoche deve essere considerato come l’eterna sorgente di tuttigli esseri finiti.

Il criterio di cui il Sankhya si vale per risalire dai singoliesseri ai loro principii e da questi alla loro causa prima ci èriferito nel distico 15° della Karilca ed è in perfetta con-nessione con quanto precede. Già si è veduto infatti che ilSankhya insegna l’identità fondamentale dell’effetto con lasua causa materiale o, ciò che torna lo stesso, dei prodotticoi principii da cui procedono. L’individuazione dell’effet-to consiste nelle determinazioni (di luogo e di tempo etc.)e specificazioni (nella forma, nell’azione etc.) che limitanola causa. Ciò che è al disopra degli esseri particolari non èquindi la forma (che è considerata come alcunché di es-senzialmente vario e variabile), ma la sostanza, il substratoindistinto, nel quale sono contenute in uno stato di omo-geneità indistinta la loro sostanza, la loro forza, le loroqualità essenziali. Ogni categoria d’esseri presuppone per-ciò una sostanza indistinta dalla quale è sorta per distinzio-ne l’indefinita varietà dei singoli e nella quale essi dovran-no un giorno ridissolversi; ed alla lor volta tutte queste va-rie sostanze o principii, comunque fra di loro connessi, inquanto sono ancora alcunché di relativamente distinto,presuppongono necessariamente alcunché di essenzial-

57

Page 58: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

mente indistinto che deve essere considerato come il prin-cipio ultimo delle cose.

Il distico 15° della Karika scinde questa argomentazio-ne nei quattro punti seguenti:

1° Tutto ciò che è determinato e distinto presupponesempre una causa relativamente ad esso indeterminata edindistinta dalla quale s’isola all’atto della produzione e nel-la quale all’epoca della distruzione si ridissolve completa-mente. Un vaso d’argilla, p. es. come forma determinata edistinta presuppone di necessità una causa materiale che locostituisca e che si considera relativamente ad esso comeun indistinto; ed è l’argilla informe; perchè la produzionedel vaso non è altro che l’isolarsi di esso come distintodall’argilla indistinta. E così dicasi d’ogni altra forma de-terminata e distinta; la quale presuppone sempre la separa-zione di sè stessa da alcunché di indeterminato ed indistin-to. Allo stesso modo quindi possiamo dire che la terra e glialtri elementi grossolani, come prodotti distinti, presup-pongono come loro causa alcunché di indistinto relativa-mente ad essi; che sono appunto gli elementi sottili; questialla lor volta, come distinti, presuppongono un indistintoimmediatamente superiore, che è la Personalità; e così via.È dunque necessario che la causa ultima alla quale ci arre-stiamo sia alcunché di essenzialmente indistinto, perchè seessa fosse ancora un distinto, per ciò medesimo dimostre-rebbe d’essere un prodotto e ci costringerebbe ad ammet-tere un’altra causa immediatamente superiore, indistinta,che sarebbe essa stessa la causa ultima. Allo stesso risulta-to possiamo giungere considerando il processo inverso.

58

mente indistinto che deve essere considerato come il prin-cipio ultimo delle cose.

Il distico 15° della Karika scinde questa argomentazio-ne nei quattro punti seguenti:

1° Tutto ciò che è determinato e distinto presupponesempre una causa relativamente ad esso indeterminata edindistinta dalla quale s’isola all’atto della produzione e nel-la quale all’epoca della distruzione si ridissolve completa-mente. Un vaso d’argilla, p. es. come forma determinata edistinta presuppone di necessità una causa materiale che locostituisca e che si considera relativamente ad esso comeun indistinto; ed è l’argilla informe; perchè la produzionedel vaso non è altro che l’isolarsi di esso come distintodall’argilla indistinta. E così dicasi d’ogni altra forma de-terminata e distinta; la quale presuppone sempre la separa-zione di sè stessa da alcunché di indeterminato ed indistin-to. Allo stesso modo quindi possiamo dire che la terra e glialtri elementi grossolani, come prodotti distinti, presup-pongono come loro causa alcunché di indistinto relativa-mente ad essi; che sono appunto gli elementi sottili; questialla lor volta, come distinti, presuppongono un indistintoimmediatamente superiore, che è la Personalità; e così via.È dunque necessario che la causa ultima alla quale ci arre-stiamo sia alcunché di essenzialmente indistinto, perchè seessa fosse ancora un distinto, per ciò medesimo dimostre-rebbe d’essere un prodotto e ci costringerebbe ad ammet-tere un’altra causa immediatamente superiore, indistinta,che sarebbe essa stessa la causa ultima. Allo stesso risulta-to possiamo giungere considerando il processo inverso.

58

Page 59: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Un vaso d’argilla presuppone un indistinto anteriore nonsolamente perchè come forma distinta ha dovuto sorgereda un indistinto, ma anche perchè deve ritornare nel me-desimo. Ogni cosa determinata per ciò appunto che è de-terminata è destinata a perire, a rientrare nell’esistenza in-distinta. Così noi sappiamo che la terra e gli altri elementigrossolani rientreranno un giorno negli elementi sottili,che sono relativamente ad essi l’indistinto immediatamen-te superiore, gli elementi sottili rientreranno nella Persona-lità etc. Anche a questo modo adunque si vede che se lacausa ultima non fosse alcunché di sommamente indistin-to dovrebbe un giorno risolversi in alcunché di più indi-stinto, nel qual caso questo o sarebbe esso stesso l’indi-stinto supremo ed allora sarebbe la causa ultima, o non sa-rebbe tale ed allora ne presupporrebbe un altro e così viaindefinitamente. (Kaum. 58-59).

2° L’energia o la forza di tutto ciò che è distinto è sem-pre contenuta in alcunché che differisce dalla cosa stessa econtiene questa energia medesima allo stato d’indistinto.Così la forza con cui una catena tiene un elefante è giàcontenuto nel ferro di cui è fatta. Ogni prodotto distintoagisce in virtù d’una forza sua speciale. Ma noi vediamoche questa forza speciale non è altro che la specificazioned’un’energia indistinta la quale è contenuta in alcunché direlativamente indistinto. «La forza risiedente (allo stato la-tente) nella causa non è che la giacenza del prodotto nellostato indistinto» (Kaum. 59). Quindi la causa ultima d’ogniprodotto esclude ogni determinazione ed ogni distinzionenel suo agire; ossia deve essere l’indeterminato per eccel-

59

Un vaso d’argilla presuppone un indistinto anteriore nonsolamente perchè come forma distinta ha dovuto sorgereda un indistinto, ma anche perchè deve ritornare nel me-desimo. Ogni cosa determinata per ciò appunto che è de-terminata è destinata a perire, a rientrare nell’esistenza in-distinta. Così noi sappiamo che la terra e gli altri elementigrossolani rientreranno un giorno negli elementi sottili,che sono relativamente ad essi l’indistinto immediatamen-te superiore, gli elementi sottili rientreranno nella Persona-lità etc. Anche a questo modo adunque si vede che se lacausa ultima non fosse alcunché di sommamente indistin-to dovrebbe un giorno risolversi in alcunché di più indi-stinto, nel qual caso questo o sarebbe esso stesso l’indi-stinto supremo ed allora sarebbe la causa ultima, o non sa-rebbe tale ed allora ne presupporrebbe un altro e così viaindefinitamente. (Kaum. 58-59).

2° L’energia o la forza di tutto ciò che è distinto è sem-pre contenuta in alcunché che differisce dalla cosa stessa econtiene questa energia medesima allo stato d’indistinto.Così la forza con cui una catena tiene un elefante è giàcontenuto nel ferro di cui è fatta. Ogni prodotto distintoagisce in virtù d’una forza sua speciale. Ma noi vediamoche questa forza speciale non è altro che la specificazioned’un’energia indistinta la quale è contenuta in alcunché direlativamente indistinto. «La forza risiedente (allo stato la-tente) nella causa non è che la giacenza del prodotto nellostato indistinto» (Kaum. 59). Quindi la causa ultima d’ogniprodotto esclude ogni determinazione ed ogni distinzionenel suo agire; ossia deve essere l’indeterminato per eccel-

59

Page 60: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

lenza.3° Tutto ciò che è spazialmente limitato procede sem-

pre da una causa materiale che è relativamente ad essomeno distinta e meno limitata. Quindi la causa supremadeve essere sommamente indistinta e ad un tempo illimita-ta. (Kaum. 59-60).

4° L’ultimo punto infine si riferisce alla omogeneità, allacomune natura delle cose. Osservando i distinti il cui com-plesso costituisce l’universo, noi riscontriamo che ciascunodi essi possiede alcune proprietà, le quali sono con essocongiunte essenzialmente e sono comuni anche ad altri di-stinti. Ora tutte quelle cose le quali hanno il comune carat-tere d’essere inseparabilmente connesse con certe qualitàhanno per causa comune alcunché d’indistinto (relativa-mente ad esse) di cui le dette qualità costituiscono l’essen-za. (Kaum. 60). Questa osservazione si applica anche allacausa suprema; perchè, come vedremo, in tutte le cose piùo meno distinte noi riscontriamo alcuni caratteri comuni (itre gunas); dal che ci è forza concludere che tutte le cosehanno una causa comune la cui essenza è costituita dai trecaratteri fondamentali suddetti.

Questa causa è l’indistinto supremo, che il Sankhyachiama col nome di Prakriti (o Pradhanam) e noi diremoNatura. Come il nome stesso indica, essa è ciò che pree-siste alla creazione; ossia è l’indeterminatezza prima laquale produce dal proprio seno la molteplicità delle esi-stenze finite e periture e nella quale le medesime si ridis-solvono nuovamente all’epoca della dissoluzione finale.Essa è la causa materiale (upadanakaranam), il substrato di

60

lenza.3° Tutto ciò che è spazialmente limitato procede sem-

pre da una causa materiale che è relativamente ad essomeno distinta e meno limitata. Quindi la causa supremadeve essere sommamente indistinta e ad un tempo illimita-ta. (Kaum. 59-60).

4° L’ultimo punto infine si riferisce alla omogeneità, allacomune natura delle cose. Osservando i distinti il cui com-plesso costituisce l’universo, noi riscontriamo che ciascunodi essi possiede alcune proprietà, le quali sono con essocongiunte essenzialmente e sono comuni anche ad altri di-stinti. Ora tutte quelle cose le quali hanno il comune carat-tere d’essere inseparabilmente connesse con certe qualitàhanno per causa comune alcunché d’indistinto (relativa-mente ad esse) di cui le dette qualità costituiscono l’essen-za. (Kaum. 60). Questa osservazione si applica anche allacausa suprema; perchè, come vedremo, in tutte le cose piùo meno distinte noi riscontriamo alcuni caratteri comuni (itre gunas); dal che ci è forza concludere che tutte le cosehanno una causa comune la cui essenza è costituita dai trecaratteri fondamentali suddetti.

Questa causa è l’indistinto supremo, che il Sankhyachiama col nome di Prakriti (o Pradhanam) e noi diremoNatura. Come il nome stesso indica, essa è ciò che pree-siste alla creazione; ossia è l’indeterminatezza prima laquale produce dal proprio seno la molteplicità delle esi-stenze finite e periture e nella quale le medesime si ridis-solvono nuovamente all’epoca della dissoluzione finale.Essa è la causa materiale (upadanakaranam), il substrato di

60

Page 61: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

tutte le cose, e come sostanza, e come forza. Ciò che lainduce ad agire, ad evolversi sono, come vedremo, l’igno-ranza (come causa efficiente generale) ed il merito (comecausa specificante); ma nè l’ignoranza, nè il merito aggiun-gono qualche cosa all’attività sua, poiché essa è per sè es-senzialmente attiva, ossia è ad un tempo sostanza e forza.(S. pr. bh. 234; Yogasutra IV 3; v. anche Refut. 39). Essa èuniversale ed eterna, perchè è il substrato di tutte lecose; immobile perchè sebbene sia attiva e capace d’unosviluppo interno non cambia, nè potrebbe cambiare di po-sto; per sé esistente ed indipendente perchè la suaesistenza non dipende da alcunché d’altro e ciò che essaha ha da sè stessa; ed infine supremamente indeterm ina-ta perchè non essendo sorta per distinzione da alcun’altracausa non presenta alcun carattere particolare che sia laspecializzazione d’un carattere più generale appartenentead una causa superiore. (Karika 10).

I nostri sensi che percepiscono a mala pena le formepiù grossolane in cui la Prakriti si manifesta non arrivano apercepirla direttamente perchè essa è alcunché di sovra-sensibile, o, come la Karika si esprime, a causa dell’estre-ma sua finezza-(Kar. 8; S. Sutra I 109). Ma la sua esistenzaci è provata per induzione da quella dei suoi prodotti. (S.Sutra I 110).

La sua essenza ci è rivelata in egual modo dall’esame deisingoli esseri che ne sono la manifestazione. «Noi sappia-mo dall’esperienza, dice il Kaumudi, che le stesse qualitàessenziali le quali appartengono ai prodotti appartengonoall’essenza della causa». Ora noi rivolgendo il nostro

61

tutte le cose, e come sostanza, e come forza. Ciò che lainduce ad agire, ad evolversi sono, come vedremo, l’igno-ranza (come causa efficiente generale) ed il merito (comecausa specificante); ma nè l’ignoranza, nè il merito aggiun-gono qualche cosa all’attività sua, poiché essa è per sè es-senzialmente attiva, ossia è ad un tempo sostanza e forza.(S. pr. bh. 234; Yogasutra IV 3; v. anche Refut. 39). Essa èuniversale ed eterna, perchè è il substrato di tutte lecose; immobile perchè sebbene sia attiva e capace d’unosviluppo interno non cambia, nè potrebbe cambiare di po-sto; per sé esistente ed indipendente perchè la suaesistenza non dipende da alcunché d’altro e ciò che essaha ha da sè stessa; ed infine supremamente indeterm ina-ta perchè non essendo sorta per distinzione da alcun’altracausa non presenta alcun carattere particolare che sia laspecializzazione d’un carattere più generale appartenentead una causa superiore. (Karika 10).

I nostri sensi che percepiscono a mala pena le formepiù grossolane in cui la Prakriti si manifesta non arrivano apercepirla direttamente perchè essa è alcunché di sovra-sensibile, o, come la Karika si esprime, a causa dell’estre-ma sua finezza-(Kar. 8; S. Sutra I 109). Ma la sua esistenzaci è provata per induzione da quella dei suoi prodotti. (S.Sutra I 110).

La sua essenza ci è rivelata in egual modo dall’esame deisingoli esseri che ne sono la manifestazione. «Noi sappia-mo dall’esperienza, dice il Kaumudi, che le stesse qualitàessenziali le quali appartengono ai prodotti appartengonoall’essenza della causa». Ora noi rivolgendo il nostro

61

Page 62: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sguardo al mondo sensibile vediamo che tutti gli oggetti siraggruppano sotto le categorie supreme di oggetti piace-voli, dolorosi, indifferenti. Da questo noi dobbiamo con-cludere che la loro causa, cioè la Natura, deve possedere leessenziali qualità del piacere, del dolore e della indifferen-za, ossia (in virtù del principio di identificazione d’unaqualità essenziale col suo substrato materiale), deve con-stare di tre fondamentali constituenti che portano in sèl’essenza del piacere, del dolore e dell’indifferenza. (Kaum.43, 58; S. pr. bh. 64, 83, 149; Sarvadarçanasangraha 226-227).

Questi tre elementi fondamentali, piacere (sattva), dolo-re (rajas), e indifferenza (tamas) sono detti gunas. La pa-rola «guna» si usa ordinariamente nel senso di qualità. Maconviene guardarsi bene dal considerare i tre gunas cometre attributi o tre qualità della Natura. Essi debbono essereriguardati come tre costituenti sostanziali della medesima;i quali si manifestano bensì a noi con le qualità del piacere,del dolore e dell’indifferenza, ma che non perciò cessanod’essere sostanze (S. pr. bh. 70, 144; Wilson 52-53). Infattiessi hanno la facoltà di separarsi e di unirsi e posseggonole qualità della leggerezza, mobilità, etc. (S. pr. bh. 70);mentre si sa che solo una sostanza può essere dotata diqualità e che non si danno qualità di qualità (Refut. 43).Onde nei Sankhya Sutra (VI 39) è detto: «Il sattva etc. (itre costituenti) non sono qualità della Natura perchè essi lacostituiscono essenzialmente».

Nè l’essere la natura costituita dai tre gunas contraddicealla sua unità; perchè ciascuno di questi tre gunas è omni-

62

sguardo al mondo sensibile vediamo che tutti gli oggetti siraggruppano sotto le categorie supreme di oggetti piace-voli, dolorosi, indifferenti. Da questo noi dobbiamo con-cludere che la loro causa, cioè la Natura, deve possedere leessenziali qualità del piacere, del dolore e della indifferen-za, ossia (in virtù del principio di identificazione d’unaqualità essenziale col suo substrato materiale), deve con-stare di tre fondamentali constituenti che portano in sèl’essenza del piacere, del dolore e dell’indifferenza. (Kaum.43, 58; S. pr. bh. 64, 83, 149; Sarvadarçanasangraha 226-227).

Questi tre elementi fondamentali, piacere (sattva), dolo-re (rajas), e indifferenza (tamas) sono detti gunas. La pa-rola «guna» si usa ordinariamente nel senso di qualità. Maconviene guardarsi bene dal considerare i tre gunas cometre attributi o tre qualità della Natura. Essi debbono essereriguardati come tre costituenti sostanziali della medesima;i quali si manifestano bensì a noi con le qualità del piacere,del dolore e dell’indifferenza, ma che non perciò cessanod’essere sostanze (S. pr. bh. 70, 144; Wilson 52-53). Infattiessi hanno la facoltà di separarsi e di unirsi e posseggonole qualità della leggerezza, mobilità, etc. (S. pr. bh. 70);mentre si sa che solo una sostanza può essere dotata diqualità e che non si danno qualità di qualità (Refut. 43).Onde nei Sankhya Sutra (VI 39) è detto: «Il sattva etc. (itre costituenti) non sono qualità della Natura perchè essi lacostituiscono essenzialmente».

Nè l’essere la natura costituita dai tre gunas contraddicealla sua unità; perchè ciascuno di questi tre gunas è omni-

62

Page 63: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

presente nel senso che non vi è punto dello spazio in cuinon si trovino riuniti (sebbene in varia proporzione) tutti etre i medesimi (S. pr. bh. 144; si confr. la nota del Garbeib. 147): per modo che i tre costituenti non sono da con-cepirsi come tre parti o tre elementi della Natura spazial-mente limitati e limitantisi a vicenda, ma sibbene come treessenze omnipresenti dalla cui intima unione risulta un es-sere unico. Così, dice Gaudapada, il Gange riunisce in unfiume solo le tre correnti che scendono dal capo di Rudra(Gaud. 63). «E così (per riferire un ingegnoso paragonedel Davies) noi percepiamo la luce come una sostanzasemplice ed incolora, sebbene sia formata dall’intimaunione di raggi colorati la cui individualità si perde o rima-ne indistinta in ciò che noi diciamo luce» (Davies 37).

Il sattva è luminoso e lieve (Kar. 13); esso è il substratodi tutto ciò che è buono, bello, lieto, perfetto; alleggerisceed illumina le cose ed è causa del loro perfetto funziona-mento; nei sensi e nella mente è ciò che rende possibile laconoscenza.

Il rajas (dolore, passione) è l’elemento attivo, eccitante;esso è il substrato di tutto ciò che è azione, mobilità, dolo-re; sta come un medio fra il sattva ed il tamas ed eccita glialtri due costituenti, per sè inerti, all’azione.

Il tamas infine è l’elemento più grossolano ed ottuso;esso è il substrato di tutto ciò che è immobile, tenebroso,sonnolento, torpido, abbietto; ottenebra le menti, ritarda ilmoto; induce dappertutto insensibilità ed inerzia (Kaum.55 Gaud. 54-56; cfr. la Maitr. Up. III 5).

Il Markus (Die Yoga Philos. 21-22) così ne descrive la

63

presente nel senso che non vi è punto dello spazio in cuinon si trovino riuniti (sebbene in varia proporzione) tutti etre i medesimi (S. pr. bh. 144; si confr. la nota del Garbeib. 147): per modo che i tre costituenti non sono da con-cepirsi come tre parti o tre elementi della Natura spazial-mente limitati e limitantisi a vicenda, ma sibbene come treessenze omnipresenti dalla cui intima unione risulta un es-sere unico. Così, dice Gaudapada, il Gange riunisce in unfiume solo le tre correnti che scendono dal capo di Rudra(Gaud. 63). «E così (per riferire un ingegnoso paragonedel Davies) noi percepiamo la luce come una sostanzasemplice ed incolora, sebbene sia formata dall’intimaunione di raggi colorati la cui individualità si perde o rima-ne indistinta in ciò che noi diciamo luce» (Davies 37).

Il sattva è luminoso e lieve (Kar. 13); esso è il substratodi tutto ciò che è buono, bello, lieto, perfetto; alleggerisceed illumina le cose ed è causa del loro perfetto funziona-mento; nei sensi e nella mente è ciò che rende possibile laconoscenza.

Il rajas (dolore, passione) è l’elemento attivo, eccitante;esso è il substrato di tutto ciò che è azione, mobilità, dolo-re; sta come un medio fra il sattva ed il tamas ed eccita glialtri due costituenti, per sè inerti, all’azione.

Il tamas infine è l’elemento più grossolano ed ottuso;esso è il substrato di tutto ciò che è immobile, tenebroso,sonnolento, torpido, abbietto; ottenebra le menti, ritarda ilmoto; induce dappertutto insensibilità ed inerzia (Kaum.55 Gaud. 54-56; cfr. la Maitr. Up. III 5).

Il Markus (Die Yoga Philos. 21-22) così ne descrive la

63

Page 64: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

natura: «La prima delle tre essenze è il sattva, cioè l’essen-za ’κατ εξοχήν il vero e proprio essere. La parola sattvaviene generalmente tradotta con «bontà». E veramenteesso è l’incorporazione, la sostanza della bontà, della veri-tà, della perfezione, dell’elevazione morale ed intellettuale.Sereno e radioso, esso è ciò che vi ha di più divino nelmondo della materia;... perciò è nel mondo celeste in deci-sa prevalenza. Da esso sono la fortuna e la beatitudine;quindi anche la felicità dell’amore e la sensibilità per la bel-lezza e la grazia. Esso è in generale l’elemento ideale, lumi-noso; dà all’occhio lo splendore, al linguaggio l’intelligibili-tà; e come specchio dell’anima rende possibili la cono-scenza e l’agire cosciente. Il suo splendore e la sua purezzanon hanno nulla di comune con quella del sole; poichéesso è alcunché di ben più elevato e più nobile che la luceelementare o fisica dalla quale viene espressamente distin-to. Per ultimo s’aggiunga ancora l’alta quiete ed indifferen-za in cui esso tende a permanere; quiete ed indifferenzaper le quali è reso possibile al saggio ed al pio giungere ailimini della liberazione

La seconda delle essenze è il rajas, ossia l’eccitazione,l’impulso, la passione. In luogo di alta quiete e serenità di-vina noi troviamo qui un essere eccitato ed instabile, uncorrere, un precipitarsi, un agitarsi impaziente e senzaposa; in luogo di celeste armonia divisione e disunione; inluogo della stretta affinità ed elezione per ciò che conducee coopera al supremo ed ultimo fine dell’esistenza la ten-denza a mandar tutto ciò in rovina; invece di beatitudinetormentoso e cocente dolore o quanto meno afflizione, in

64

natura: «La prima delle tre essenze è il sattva, cioè l’essen-za ’κατ εξοχήν il vero e proprio essere. La parola sattvaviene generalmente tradotta con «bontà». E veramenteesso è l’incorporazione, la sostanza della bontà, della veri-tà, della perfezione, dell’elevazione morale ed intellettuale.Sereno e radioso, esso è ciò che vi ha di più divino nelmondo della materia;... perciò è nel mondo celeste in deci-sa prevalenza. Da esso sono la fortuna e la beatitudine;quindi anche la felicità dell’amore e la sensibilità per la bel-lezza e la grazia. Esso è in generale l’elemento ideale, lumi-noso; dà all’occhio lo splendore, al linguaggio l’intelligibili-tà; e come specchio dell’anima rende possibili la cono-scenza e l’agire cosciente. Il suo splendore e la sua purezzanon hanno nulla di comune con quella del sole; poichéesso è alcunché di ben più elevato e più nobile che la luceelementare o fisica dalla quale viene espressamente distin-to. Per ultimo s’aggiunga ancora l’alta quiete ed indifferen-za in cui esso tende a permanere; quiete ed indifferenzaper le quali è reso possibile al saggio ed al pio giungere ailimini della liberazione

La seconda delle essenze è il rajas, ossia l’eccitazione,l’impulso, la passione. In luogo di alta quiete e serenità di-vina noi troviamo qui un essere eccitato ed instabile, uncorrere, un precipitarsi, un agitarsi impaziente e senzaposa; in luogo di celeste armonia divisione e disunione; inluogo della stretta affinità ed elezione per ciò che conducee coopera al supremo ed ultimo fine dell’esistenza la ten-denza a mandar tutto ciò in rovina; invece di beatitudinetormentoso e cocente dolore o quanto meno afflizione, in

64

Page 65: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

breve miserie e contrarietà d’ogni specie; in vece della feli-cità dell’amore gli affanni del medesimo e la gelosia. Così èil rajas l’attaccamento al mondo, il motivo impellente diogni vivere e di ogni naturale agire, la potente leva dell’uni-versa miseria del mondo. – La terza essenza, il tamas, è ilcontrario dei due precedenti. Esso significa propriamentel’oscurità, le tenebre. E tenebre e cecità esso è in tutti isensi nei quali abbiamo chiamato luminoso il sattva; quin-di specialmente significa oscuramento spirituale, accieca-mento, traviamento, confusione, follìa; l’impotenza delladistinzione fra dovere e peccato, fra beatitudine e miseria.Alla nobile e divina quiete, all’eccelsa fermezza del sattvaesso si oppone come mollezza ed indolenza; e al rajascome immobilità, impedimento, schiavitù. Il sonno portal’impronta di amendue questi caratteri ad un tempo. Così èil tamas di carattere prevalentemente negativo; ed anche irari tratti positivi sono, per così dire, d’un carattere nihili-stico che si manifesta in quanto ciò che al naturale giudizioappare come desiderabile e pregevole vien fatto oggettod’orrore e di cieco furore, non per convinzione e saggioscelta del meglio (le quali debbono anch’esse certamentecondurre al rinunciamento a tutti i beni terreni), ma pura-mente per cieco fanatismo».

I tre costituenti hanno la proprietà di dominarsi mutua-mente: quando il sattva prevale agli altri due esso imponea questi le sue qualità e si manifesta come gioia e comeluce; e così quando prevale il rajas esso s’impone agli altridue manifestandosi con l’attività e col dolore; e quando iltamas trionfa esso maschera le proprietà degli altri due

65

breve miserie e contrarietà d’ogni specie; in vece della feli-cità dell’amore gli affanni del medesimo e la gelosia. Così èil rajas l’attaccamento al mondo, il motivo impellente diogni vivere e di ogni naturale agire, la potente leva dell’uni-versa miseria del mondo. – La terza essenza, il tamas, è ilcontrario dei due precedenti. Esso significa propriamentel’oscurità, le tenebre. E tenebre e cecità esso è in tutti isensi nei quali abbiamo chiamato luminoso il sattva; quin-di specialmente significa oscuramento spirituale, accieca-mento, traviamento, confusione, follìa; l’impotenza delladistinzione fra dovere e peccato, fra beatitudine e miseria.Alla nobile e divina quiete, all’eccelsa fermezza del sattvaesso si oppone come mollezza ed indolenza; e al rajascome immobilità, impedimento, schiavitù. Il sonno portal’impronta di amendue questi caratteri ad un tempo. Così èil tamas di carattere prevalentemente negativo; ed anche irari tratti positivi sono, per così dire, d’un carattere nihili-stico che si manifesta in quanto ciò che al naturale giudizioappare come desiderabile e pregevole vien fatto oggettod’orrore e di cieco furore, non per convinzione e saggioscelta del meglio (le quali debbono anch’esse certamentecondurre al rinunciamento a tutti i beni terreni), ma pura-mente per cieco fanatismo».

I tre costituenti hanno la proprietà di dominarsi mutua-mente: quando il sattva prevale agli altri due esso imponea questi le sue qualità e si manifesta come gioia e comeluce; e così quando prevale il rajas esso s’impone agli altridue manifestandosi con l’attività e col dolore; e quando iltamas trionfa esso maschera le proprietà degli altri due

65

Page 66: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

con la propria inerzia ed insensibilità. Nello stesso tempoanche essi si completano ossia si sostengono a vicenda: sisostituiscono l’uno all’altro si che sembra che si trasmuti-no l’uno nell’altro; ed essendo omnipresenti permangonosempre fra loro inseparabilmente connessi (Kaum. 54).

Sebbene di natura opposta fra loro nell’agire essi com-binano la loro azione sì da produrre un determinato effet-to; come per esempio fanno l’olio e lo stoppino che, puressendo avversi al fuoco, nondimeno quando, uniti assie-me, entrano con esso in connessione producono nellalampada la luce; o come i tre umori, bilioso, ventoso eflemmatico i quali si avversano mutuamente e produconomalattie se l’uno prevale sull’altro, ma che, equilibratamen-te uniti, sostengono la nostra vita organica (Kaum. 55-56).

Ma anche nel cooperare ad un fine comune l’azioneloro varia continuamente, sì che un istante prevale il sattvaed allora gli oggetti in cui ciò avviene ci sono fonte di gio-ia; in un altro istante prevalgono il rajas od il tamas ed al-lora la gioia si trasmuta per noi in dolore, in eccitamento,in abbiezione, in insensibilità. Così una bella donna che èper chi la possiede fonte di piacere può essere causa di do-lore alle cuncubine di suo marito e causa di abbiezione aldissoluto che inutilmente la desidera. E perchè mai ciò?Perchè nel primo momento prevale in essa la natura delsattva, nel secondo la natura del rajas, nel terzo la naturadel tamas (Gaud. 50; Kaum. 56).

Del resto la loro azione varia può esplicarsi anche in unsolo e medesimo istante; perchè nonostante che nella lororiunione l’intensità di ciascuno varii rapidissimamente ed

66

con la propria inerzia ed insensibilità. Nello stesso tempoanche essi si completano ossia si sostengono a vicenda: sisostituiscono l’uno all’altro si che sembra che si trasmuti-no l’uno nell’altro; ed essendo omnipresenti permangonosempre fra loro inseparabilmente connessi (Kaum. 54).

Sebbene di natura opposta fra loro nell’agire essi com-binano la loro azione sì da produrre un determinato effet-to; come per esempio fanno l’olio e lo stoppino che, puressendo avversi al fuoco, nondimeno quando, uniti assie-me, entrano con esso in connessione producono nellalampada la luce; o come i tre umori, bilioso, ventoso eflemmatico i quali si avversano mutuamente e produconomalattie se l’uno prevale sull’altro, ma che, equilibratamen-te uniti, sostengono la nostra vita organica (Kaum. 55-56).

Ma anche nel cooperare ad un fine comune l’azioneloro varia continuamente, sì che un istante prevale il sattvaed allora gli oggetti in cui ciò avviene ci sono fonte di gio-ia; in un altro istante prevalgono il rajas od il tamas ed al-lora la gioia si trasmuta per noi in dolore, in eccitamento,in abbiezione, in insensibilità. Così una bella donna che èper chi la possiede fonte di piacere può essere causa di do-lore alle cuncubine di suo marito e causa di abbiezione aldissoluto che inutilmente la desidera. E perchè mai ciò?Perchè nel primo momento prevale in essa la natura delsattva, nel secondo la natura del rajas, nel terzo la naturadel tamas (Gaud. 50; Kaum. 56).

Del resto la loro azione varia può esplicarsi anche in unsolo e medesimo istante; perchè nonostante che nella lororiunione l’intensità di ciascuno varii rapidissimamente ed

66

Page 67: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

ora prevalga l’uno, ora l’altro, tuttavia l’azione del gunaprevalente non distrugge per ciò quella degli altri due, laquale può medesimamente, quando l’oggetto ci si presentipiuttosto sotto certi aspetti che sotto certi altri, farcisi sen-tire a preferenza di quella del primo guna. Così è per es.che le nubi nelle quali la oscura natura del tamas prevalepossono coprendo i cieli rallegrare la terra riarsa dal soleed animare con la pioggia il solerte lavoro dei contadini(Gaud. 50).

Dal loro stato di equilibrio perfetto risulta la Naturanella sua fase di indistinto (periodo della dissoluzione uni-versale). In questo stato i tre gunas si trovano dappertuttoin una combinazione perfettamente uniforme ed equilibra-ta; in nessun luogo prevale l’uno o l’altro; e sebbene essisiano per loro natura mobilissimi, in nessun luogo questaloro perfetta uniformità si altera perchè le loro proporzio-ni non si mutano: il sattva si sostituisce sempre al sattva, ilrajas al rajas, il tamas al tamas.

Dalla rottura invece di questo equilibrio risulta la crea-zione. Nella creazione la costituzione perfettamente uni-forme si altera; si formano come dei punti di concentra-mento di ciascuno dei tre elementi i quali si combinano inproporzione varia sottentrando l’uno all’altro e sopraffa-cendosi a vicenda l’un l’altro; e così dalla varietà delle lorocombinazioni risulta la varietà del mondo sensibile. Comel’acqua caduta dalle nubi, dice Vacaspati, che ha un gustosolo, quando cade su questo o su quel punto del terreno simodifica così che essa prende il gusto della noce di cocco,del vino di palma, del «bel» etc. e diventa qui dolce, là aci-

67

ora prevalga l’uno, ora l’altro, tuttavia l’azione del gunaprevalente non distrugge per ciò quella degli altri due, laquale può medesimamente, quando l’oggetto ci si presentipiuttosto sotto certi aspetti che sotto certi altri, farcisi sen-tire a preferenza di quella del primo guna. Così è per es.che le nubi nelle quali la oscura natura del tamas prevalepossono coprendo i cieli rallegrare la terra riarsa dal soleed animare con la pioggia il solerte lavoro dei contadini(Gaud. 50).

Dal loro stato di equilibrio perfetto risulta la Naturanella sua fase di indistinto (periodo della dissoluzione uni-versale). In questo stato i tre gunas si trovano dappertuttoin una combinazione perfettamente uniforme ed equilibra-ta; in nessun luogo prevale l’uno o l’altro; e sebbene essisiano per loro natura mobilissimi, in nessun luogo questaloro perfetta uniformità si altera perchè le loro proporzio-ni non si mutano: il sattva si sostituisce sempre al sattva, ilrajas al rajas, il tamas al tamas.

Dalla rottura invece di questo equilibrio risulta la crea-zione. Nella creazione la costituzione perfettamente uni-forme si altera; si formano come dei punti di concentra-mento di ciascuno dei tre elementi i quali si combinano inproporzione varia sottentrando l’uno all’altro e sopraffa-cendosi a vicenda l’un l’altro; e così dalla varietà delle lorocombinazioni risulta la varietà del mondo sensibile. Comel’acqua caduta dalle nubi, dice Vacaspati, che ha un gustosolo, quando cade su questo o su quel punto del terreno simodifica così che essa prende il gusto della noce di cocco,del vino di palma, del «bel» etc. e diventa qui dolce, là aci-

67

Page 68: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

da, amaro, astringente, etc., così in virtù delle differenticombinazioni dei tre costituenti nei varii punti dello spaziola Natura originariamente omogenea dà origine alle formeindefinitamente varie dell’esistenza (Kaum. 60-61; S. SutraVI 42; S. pr. bh. 352).

NOTA. La teoria Vedantica della causa materiale è rigettata nel Su-tra V 65: «Nè l’Anima, nè l’ignoranza, nè amendue (possono essere)la causa materiale del mondo per via della immutabilità (dell’Anima).Anzitutto il Sankhya esclude in modo assoluto che il mondo si pos-sa concepire come una manifestazione dello Spirito. «L’opinione Ve-dantica che l’intelligente Brahma sia la causa materiale del mondo èinsostenibile perchè il prodotto sarebbe in questo caso d’un caratte-re affatto differente dalla causa. Perchè questo mondo che dal Ve-danta è considerato come il prodotto di Brahma è percepito comenon intelligente ed impuro, per conseguenza d’un carattere diversoda Brahma. Brahma alla sua volta è dichiarato dalle S. Scritture esse-re d’un carattere diverso dal mondo, cioè intelligente e puro. Macose d’un carattere affatto differente non possono stare fra loro nelrapporto di causa materiale e di prodotto. Prodotti come p. es. gio-ielli d’oro non possono aver per causammateriale l’argilla; nè l’oropuò essere causa materiale di vasi d’argilla; ma i prodotti di naturasimile all’argilla originano dall’argilla; i prodotti di natura simileall’oro dall’oro. Nello stesso modo questo mondo che è non intelli-gente e comprende in se piacere, dolore ed indifferenza può essereunicamente il prodotto d’una causa essa stessa non intelligente ecomposta di piacere, dolore ed indifferenza; ma non di Brahma cheè di un carattere affatto diverso.…. Questo mondo non può quindiavere per causa materiale Brahma». (Comment, di Çankara ai Ved:Sutra II 1, 4. Thibaut I 300-302; cfr. anche Sarvadarç. 226). E tuttiquei passi delle Scritture, Vijnana aggiunge, nei quali la produzionedelle cose viene attribuita all’Anima non hanno altro fine che la glo-rificazione dell’Anima stessa, ma non debbono essere presi alla let-tera, perchè altrimenti sarebbero in contraddizione con altri nei qua-

68

da, amaro, astringente, etc., così in virtù delle differenticombinazioni dei tre costituenti nei varii punti dello spaziola Natura originariamente omogenea dà origine alle formeindefinitamente varie dell’esistenza (Kaum. 60-61; S. SutraVI 42; S. pr. bh. 352).

NOTA. La teoria Vedantica della causa materiale è rigettata nel Su-tra V 65: «Nè l’Anima, nè l’ignoranza, nè amendue (possono essere)la causa materiale del mondo per via della immutabilità (dell’Anima).Anzitutto il Sankhya esclude in modo assoluto che il mondo si pos-sa concepire come una manifestazione dello Spirito. «L’opinione Ve-dantica che l’intelligente Brahma sia la causa materiale del mondo èinsostenibile perchè il prodotto sarebbe in questo caso d’un caratte-re affatto differente dalla causa. Perchè questo mondo che dal Ve-danta è considerato come il prodotto di Brahma è percepito comenon intelligente ed impuro, per conseguenza d’un carattere diversoda Brahma. Brahma alla sua volta è dichiarato dalle S. Scritture esse-re d’un carattere diverso dal mondo, cioè intelligente e puro. Macose d’un carattere affatto differente non possono stare fra loro nelrapporto di causa materiale e di prodotto. Prodotti come p. es. gio-ielli d’oro non possono aver per causammateriale l’argilla; nè l’oropuò essere causa materiale di vasi d’argilla; ma i prodotti di naturasimile all’argilla originano dall’argilla; i prodotti di natura simileall’oro dall’oro. Nello stesso modo questo mondo che è non intelli-gente e comprende in se piacere, dolore ed indifferenza può essereunicamente il prodotto d’una causa essa stessa non intelligente ecomposta di piacere, dolore ed indifferenza; ma non di Brahma cheè di un carattere affatto diverso.…. Questo mondo non può quindiavere per causa materiale Brahma». (Comment, di Çankara ai Ved:Sutra II 1, 4. Thibaut I 300-302; cfr. anche Sarvadarç. 226). E tuttiquei passi delle Scritture, Vijnana aggiunge, nei quali la produzionedelle cose viene attribuita all’Anima non hanno altro fine che la glo-rificazione dell’Anima stessa, ma non debbono essere presi alla let-tera, perchè altrimenti sarebbero in contraddizione con altri nei qua-

68

Page 69: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

li l’immaterialità e l’immutabilità dell’Anima sono espressamente in-segnate. (S. pr. bh. 91-92, 348).

Resterebbe che causa materiale delle cose fosse l’ignoranza. Ma oessa è irreale, e non può in tal caso essere causa materiale di ciò chesecondo noi e reale; od è reale, ed allora o è una qualità, o una so-stanza. Se è una qualità, come può una qualità essere causa materialed’alcunché? Ed inoltre, poiché l’Anima non ha qualità ed è immuta-bile, a chi appartiene? Se è una sostanza, allora non differisce dallaNatura, ma ciò è in contraddizione con la dottrina vedanticadell’essere unico. In ogni caso quindi la teoria vedantica relativa allacausa materiale è da rigettarsi. (S. pr. bh. 298-299).

I principii emanati nei quali si distingue l’omogenea in-determinatezza della Natura ed il cui insieme costituisce ilmondo empirico sono in numero di ventitre e l’ordine nelquale essi si producono è il seguente: dalla Natura emanal’Intelligenza; dall’Intelligenza la Personalità; da questa perun lato il manas ed i dieci organi di senso e d’azione; perl’altro i cinque elementi sottili dai quali procedono in ulti-mo i cinque elementi grossolani.

Questi principii sono prodotti; passeggieri, perchè seb-bene l’essenza loro sia eterna, essi nella loro forma di pro-dotti avendo avuto un principio sono pur destinati ad ave-re una fine; limitati perchè nessuno di essi è presente intutti i punti dello Spazio; mobili perchè sotto le moltepliciloro forme migrano, passano continuamente da un luogoall’altro; molteplici perchè diversi gli uni dagli altri; relativiperchè esistono solo in grazia dell’esistenza della causa; di-stintivi perchè essi sono come i segni, le forme che modi-ficano in una varietà indefinita di esistenze la sostanza uni-ca ed omogenea della Natura; mutuamente connessi per-

69

li l’immaterialità e l’immutabilità dell’Anima sono espressamente in-segnate. (S. pr. bh. 91-92, 348).

Resterebbe che causa materiale delle cose fosse l’ignoranza. Ma oessa è irreale, e non può in tal caso essere causa materiale di ciò chesecondo noi e reale; od è reale, ed allora o è una qualità, o una so-stanza. Se è una qualità, come può una qualità essere causa materialed’alcunché? Ed inoltre, poiché l’Anima non ha qualità ed è immuta-bile, a chi appartiene? Se è una sostanza, allora non differisce dallaNatura, ma ciò è in contraddizione con la dottrina vedanticadell’essere unico. In ogni caso quindi la teoria vedantica relativa allacausa materiale è da rigettarsi. (S. pr. bh. 298-299).

I principii emanati nei quali si distingue l’omogenea in-determinatezza della Natura ed il cui insieme costituisce ilmondo empirico sono in numero di ventitre e l’ordine nelquale essi si producono è il seguente: dalla Natura emanal’Intelligenza; dall’Intelligenza la Personalità; da questa perun lato il manas ed i dieci organi di senso e d’azione; perl’altro i cinque elementi sottili dai quali procedono in ulti-mo i cinque elementi grossolani.

Questi principii sono prodotti; passeggieri, perchè seb-bene l’essenza loro sia eterna, essi nella loro forma di pro-dotti avendo avuto un principio sono pur destinati ad ave-re una fine; limitati perchè nessuno di essi è presente intutti i punti dello Spazio; mobili perchè sotto le moltepliciloro forme migrano, passano continuamente da un luogoall’altro; molteplici perchè diversi gli uni dagli altri; relativiperchè esistono solo in grazia dell’esistenza della causa; di-stintivi perchè essi sono come i segni, le forme che modi-ficano in una varietà indefinita di esistenze la sostanza uni-ca ed omogenea della Natura; mutuamente connessi per-

69

Page 70: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

chè sono in relazione continua fra di loro; ed in ultimo di-pendenti perchè le loro proprietà e la loro attività dipen-dono interamente dalle proprietà e dall’attività della Natu-ra che in essi si specifica (Kar. 10).

Il primo dei prodotti della Natura, l’Intelligenza, èquella sostanza od essenza la cui funzione particolare è ladeterminazione distinta, la comprensione delle cose.Come prodotto della Natura essa è naturalmente non spi-rituale ossia inconscia, ma non deve essere consideratacome alcunché di materiale nel vero senso della parola.Essa può in certo modo essere considerata come il Pensie-ro inconscio che il Sankhya pone come fondamento nonsolamente dell’essere nostro, ma di tutto gli esseri corporeied incorporei del mondo empirico. Il nome con cui il San-khya la designa è quello di Buddhi (intelligenza); e di Ma-hat (il grande), perchè essa è il primo ed il più importantedei prodotti della Natura.

Dall’intelligenza procede la Personalità (ahamkara).Essa è al pari della Intelligenza una sostanza, un principiola cui funzione si manifesta nel sentimento dell’io. Permezzo suo l’individuo pensa e pone sè stesso non generi-camente, ma in questo o quel modo, con certi determinatiattributi che ne costituiscono l’individualità. In un sognoquando una persona pensa sè stessa come una tigre, non èpresente allora ad essa il concetto che essa è un uomo;questo porre sè stesso come questo o quel determinato es-sere è appunto la funzione della Personalità (Kusumanjalitr. Cowell p. 17); la quale è, come l’intelligenza un princi-pio inconscio il quale ci si rivela, alla luce dell’anima, nella

70

chè sono in relazione continua fra di loro; ed in ultimo di-pendenti perchè le loro proprietà e la loro attività dipen-dono interamente dalle proprietà e dall’attività della Natu-ra che in essi si specifica (Kar. 10).

Il primo dei prodotti della Natura, l’Intelligenza, èquella sostanza od essenza la cui funzione particolare è ladeterminazione distinta, la comprensione delle cose.Come prodotto della Natura essa è naturalmente non spi-rituale ossia inconscia, ma non deve essere consideratacome alcunché di materiale nel vero senso della parola.Essa può in certo modo essere considerata come il Pensie-ro inconscio che il Sankhya pone come fondamento nonsolamente dell’essere nostro, ma di tutto gli esseri corporeied incorporei del mondo empirico. Il nome con cui il San-khya la designa è quello di Buddhi (intelligenza); e di Ma-hat (il grande), perchè essa è il primo ed il più importantedei prodotti della Natura.

Dall’intelligenza procede la Personalità (ahamkara).Essa è al pari della Intelligenza una sostanza, un principiola cui funzione si manifesta nel sentimento dell’io. Permezzo suo l’individuo pensa e pone sè stesso non generi-camente, ma in questo o quel modo, con certi determinatiattributi che ne costituiscono l’individualità. In un sognoquando una persona pensa sè stessa come una tigre, non èpresente allora ad essa il concetto che essa è un uomo;questo porre sè stesso come questo o quel determinato es-sere è appunto la funzione della Personalità (Kusumanjalitr. Cowell p. 17); la quale è, come l’intelligenza un princi-pio inconscio il quale ci si rivela, alla luce dell’anima, nella

70

Page 71: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

coscienza della nostra individualità. «Ahamkara è il concet-to che io sento, io odo, io vedo, io son ricco, io son dio esimili» (Ballant, p. 9).

L’ahamkara dà origine a due serie di produzioni secon-do che è affetto dal sattva o dal tamas. In quanto prevalein esso la luminosa natura del sattva, dal suo seno scaturi-scono le sostanze che sono gli strumenti della conoscenza,ossia gli undici organi di senso e d’azione; in quanto viprevale la tenebrosa natura del tamas da esso procedono lesostanze materiali (in l. s.), insensibili, ossia i cinque ele-menti sottili. Il rajas non causa direttamente la produzionedi alcunché; ma la sua presenza è richiesta per ambo leproduzioni; chè il sattva ed il tamas sono per sè inattivi enon produrrebbero nulla se il rajas con la sua attività nonli mettesse in movimento eccitandoli alla produzione(Gaud. 93; Kaum. 71-72; Sarvadarç. 222; cfr. Hall Intr. tothe Sankhya Sara 35).

NOTA. Vijnana interpreta invece il sutra II 18 nel senso chedall’ahamkara modificato dal sattva procede il solo manas, laddovegli altri dieci organi procederebbero dall’ahamkara modificato dal ra-jas (S. pr. bh. 188-189). È una differenza, come si vede, di poco mo-mento.

Gli organi di senso e d’azione che in numero di undiciemanano dalla Personalità sono i cinque organi di senso, icinque organi d’azione ed il manas. I cinque organi di sen-so sono l’organo dell’udito, del tatto, della vista, del gusto,dell’odorato. I cinque organi d’azione sono l’organo dellavoce, le mani, i piedi, l’apparato escretore e l’apparato ge-neratore (S. S. II 12; Kar. 26). Il nome comune usato a de-

71

coscienza della nostra individualità. «Ahamkara è il concet-to che io sento, io odo, io vedo, io son ricco, io son dio esimili» (Ballant, p. 9).

L’ahamkara dà origine a due serie di produzioni secon-do che è affetto dal sattva o dal tamas. In quanto prevalein esso la luminosa natura del sattva, dal suo seno scaturi-scono le sostanze che sono gli strumenti della conoscenza,ossia gli undici organi di senso e d’azione; in quanto viprevale la tenebrosa natura del tamas da esso procedono lesostanze materiali (in l. s.), insensibili, ossia i cinque ele-menti sottili. Il rajas non causa direttamente la produzionedi alcunché; ma la sua presenza è richiesta per ambo leproduzioni; chè il sattva ed il tamas sono per sè inattivi enon produrrebbero nulla se il rajas con la sua attività nonli mettesse in movimento eccitandoli alla produzione(Gaud. 93; Kaum. 71-72; Sarvadarç. 222; cfr. Hall Intr. tothe Sankhya Sara 35).

NOTA. Vijnana interpreta invece il sutra II 18 nel senso chedall’ahamkara modificato dal sattva procede il solo manas, laddovegli altri dieci organi procederebbero dall’ahamkara modificato dal ra-jas (S. pr. bh. 188-189). È una differenza, come si vede, di poco mo-mento.

Gli organi di senso e d’azione che in numero di undiciemanano dalla Personalità sono i cinque organi di senso, icinque organi d’azione ed il manas. I cinque organi di sen-so sono l’organo dell’udito, del tatto, della vista, del gusto,dell’odorato. I cinque organi d’azione sono l’organo dellavoce, le mani, i piedi, l’apparato escretore e l’apparato ge-neratore (S. S. II 12; Kar. 26). Il nome comune usato a de-

71

Page 72: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

signare i predetti organi è «indriya» (facoltà). Conviene av-vertire di non cader nell’errore di considerare questi dieciorgani come una cosa sola con gli strumenti materiali delsenso e dell’azione, per es. gli occhi etc., che appartengonoal corpo materiale composto degli elementi grossolani.Essi sono altrettante sostanze o principii sovrasensibili,dotati della facoltà di funzionare in un dato modo. «Il sen-so (è detto nel s. II 23) è alcunché di soprasensibile e sonoin errore coloro che considerano come identici l’organo ela sua sede». Gli occhi, le orecchie etc. non sono che lasede materiale dell’organo della visione dell’audizione etc.;e la visione, l’audizione etc. avvengono propriamente nelrispettivo organo sovrasensibile il quale è la sostanza chesottosta, come causa materiale, a tutti i singoli fenomeni divisione, di audizione etc.

Il manas, il senso interno dei Buddisti, è l’organo la cuifunzione si manifesta nell’attività interiore (ma sempre in-conscia) del nostro io. Esso è ad un tempo organo di sen-so e organo d’azione, e nel suo agire s’identifica in certomodo con ciascuno degli altri dieci organi, pur restandouno in sè stesso (S. pr. bh. 193); perchè sì gli organi di sen-so come quelli d’azione non agiscono in relazione ai lorooggetti se non subordinatamente al manas. In unione conl’intelligenza (la facoltà generica di apprendere le cose) e laPersonalità (il sentimento dell’io) esso costituisce l’organointerno, che è come il centro (inconscio) della vita inte-riore e della vita organica, la sede materiale dell’anima em-pirica. Di esso si tratterà discorrendo della costituzione deisingoli esseri.

72

signare i predetti organi è «indriya» (facoltà). Conviene av-vertire di non cader nell’errore di considerare questi dieciorgani come una cosa sola con gli strumenti materiali delsenso e dell’azione, per es. gli occhi etc., che appartengonoal corpo materiale composto degli elementi grossolani.Essi sono altrettante sostanze o principii sovrasensibili,dotati della facoltà di funzionare in un dato modo. «Il sen-so (è detto nel s. II 23) è alcunché di soprasensibile e sonoin errore coloro che considerano come identici l’organo ela sua sede». Gli occhi, le orecchie etc. non sono che lasede materiale dell’organo della visione dell’audizione etc.;e la visione, l’audizione etc. avvengono propriamente nelrispettivo organo sovrasensibile il quale è la sostanza chesottosta, come causa materiale, a tutti i singoli fenomeni divisione, di audizione etc.

Il manas, il senso interno dei Buddisti, è l’organo la cuifunzione si manifesta nell’attività interiore (ma sempre in-conscia) del nostro io. Esso è ad un tempo organo di sen-so e organo d’azione, e nel suo agire s’identifica in certomodo con ciascuno degli altri dieci organi, pur restandouno in sè stesso (S. pr. bh. 193); perchè sì gli organi di sen-so come quelli d’azione non agiscono in relazione ai lorooggetti se non subordinatamente al manas. In unione conl’intelligenza (la facoltà generica di apprendere le cose) e laPersonalità (il sentimento dell’io) esso costituisce l’organointerno, che è come il centro (inconscio) della vita inte-riore e della vita organica, la sede materiale dell’anima em-pirica. Di esso si tratterà discorrendo della costituzione deisingoli esseri.

72

Page 73: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Dall’ahamkara modificato dal sattva hanno origine iprincipii della soggettività; dall’ahamkara modificato daltamas hanno origine i principii che costituiscono il mondoempirico obbiettivo, ossia i cinque elementi sottili dai qualiderivano successivamente i cinque elementi grossolani.

I cinque elementi grossolani sono l’etere, l’aria, la luce,l’acqua, la terra; che sono gli elementi materiali nel verosenso della parola, ossia percepibili sensibilmente (S. pr.bh. 74). Perciò appunto essi presuppongono l’esistenzadegli elementi sottili. Ogni parte, anche la più minuta, de-gli elementi materiali non cessa d’essere alcunché di mate-riale, ossia percepibile dai sensi esterni; e quindi capace dirisvegliare per mezzo di questi un’indefinita varietà di sen-sazioni piacevoli, dolorose, indifferenti. A questa varietàdeve sottostare come causa materiale un’unità indistinta;che deve quindi essere alcunché di sottile (S. pr. bh. 76);vale a dire alcunché di soprasensibile (S. pr. bh. 128). Incorrelazione alle cinque categorie di impressioni (corri-spondenti ai cinque sensi esterni) devono quindi esisterecinque principii nei quali ciascuna di esse si trova nello sta-to di indistinzione; e sono gli elementi del suono, del colo-re, della tangibilità, del sapore e dell’odore. L’elemento delsuono possiede la qualità del suono in astratto, ma non idifferenti suoni possibili che noi udiamo; l’elemento delcolore possiede la qualità del colore in astratto, ma non idifferenti colori che noi vediamo e che facendo impressio-ne sul nostro senso destano in noi sensazioni piacevoli,dolorose o indifferenti; e così dicasi degli altri, ciascunodei quali possiede la sua qualità caratteristica, ma nella sua

73

Dall’ahamkara modificato dal sattva hanno origine iprincipii della soggettività; dall’ahamkara modificato daltamas hanno origine i principii che costituiscono il mondoempirico obbiettivo, ossia i cinque elementi sottili dai qualiderivano successivamente i cinque elementi grossolani.

I cinque elementi grossolani sono l’etere, l’aria, la luce,l’acqua, la terra; che sono gli elementi materiali nel verosenso della parola, ossia percepibili sensibilmente (S. pr.bh. 74). Perciò appunto essi presuppongono l’esistenzadegli elementi sottili. Ogni parte, anche la più minuta, de-gli elementi materiali non cessa d’essere alcunché di mate-riale, ossia percepibile dai sensi esterni; e quindi capace dirisvegliare per mezzo di questi un’indefinita varietà di sen-sazioni piacevoli, dolorose, indifferenti. A questa varietàdeve sottostare come causa materiale un’unità indistinta;che deve quindi essere alcunché di sottile (S. pr. bh. 76);vale a dire alcunché di soprasensibile (S. pr. bh. 128). Incorrelazione alle cinque categorie di impressioni (corri-spondenti ai cinque sensi esterni) devono quindi esisterecinque principii nei quali ciascuna di esse si trova nello sta-to di indistinzione; e sono gli elementi del suono, del colo-re, della tangibilità, del sapore e dell’odore. L’elemento delsuono possiede la qualità del suono in astratto, ma non idifferenti suoni possibili che noi udiamo; l’elemento delcolore possiede la qualità del colore in astratto, ma non idifferenti colori che noi vediamo e che facendo impressio-ne sul nostro senso destano in noi sensazioni piacevoli,dolorose o indifferenti; e così dicasi degli altri, ciascunodei quali possiede la sua qualità caratteristica, ma nella sua

73

Page 74: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

omogeneità e purezza; onde il loro nome di tanmatra (idsolum) (Kaum. 82). Anch’essi constano, come ogni altroprodotto della Natura, dei tre costituenti, ma siccome nonpossono entrare in contatto con gli organi corporei cosìnon possono causare alcuna sensazione, laddove gli ele-menti grossolani possono essere percepiti dai sensi inquanto in essi i tre elementi fondamentali si distingono esi specificano nella varietà delle impressioni. Per questo laKarika 38 chiama gli elementi sottili le sostanze indistinte(S. pr. bh. 74-85, 206; Gaud. 120; Garbe 236-237).

Dagli elementi sottili procedono i cinque elementi gros-solani; nei quali gli effetti del sattva, del rajas e del tamassono percepibili perchè distinti. Pel sopravvento del sattvasono sereni, piacevoli, luminosi, leggieri; pel sopravventodel rajas sono paurosi, dolorosi, instabili, attivi; pel soprav-vento del tamas sono insensibili, oscuri, stupidi, pesanti (S.S. III 1, S. pr. bh. 206; Kam. 83).

L’ordine secondo il quale essi procedono dagli elementisottili è il seguente: dall’elemento del suono procede l’ete-re, la cui proprietà caratteristica è il suono; dalla combina-zione dell’elemento del suono con l’elemento della tangi-bilità procede l’aria, le cui proprietà caratteristiche sono ilsuono e la tangibilità; dalla combinazione degli elementidel suono e della tangibilità con l’elemento del colore pro-cede la luce, le cui proprietà caratteristiche sono il suono,la tangibilità ed il colore; e così progressivamente perl’acqua ed il sapore, la terra e l’odore (Kaum. 68; si confr.Manu I 20).

L’etere (akaça) è ciò che da luogo, ciò che contiene le

74

omogeneità e purezza; onde il loro nome di tanmatra (idsolum) (Kaum. 82). Anch’essi constano, come ogni altroprodotto della Natura, dei tre costituenti, ma siccome nonpossono entrare in contatto con gli organi corporei cosìnon possono causare alcuna sensazione, laddove gli ele-menti grossolani possono essere percepiti dai sensi inquanto in essi i tre elementi fondamentali si distingono esi specificano nella varietà delle impressioni. Per questo laKarika 38 chiama gli elementi sottili le sostanze indistinte(S. pr. bh. 74-85, 206; Gaud. 120; Garbe 236-237).

Dagli elementi sottili procedono i cinque elementi gros-solani; nei quali gli effetti del sattva, del rajas e del tamassono percepibili perchè distinti. Pel sopravvento del sattvasono sereni, piacevoli, luminosi, leggieri; pel sopravventodel rajas sono paurosi, dolorosi, instabili, attivi; pel soprav-vento del tamas sono insensibili, oscuri, stupidi, pesanti (S.S. III 1, S. pr. bh. 206; Kam. 83).

L’ordine secondo il quale essi procedono dagli elementisottili è il seguente: dall’elemento del suono procede l’ete-re, la cui proprietà caratteristica è il suono; dalla combina-zione dell’elemento del suono con l’elemento della tangi-bilità procede l’aria, le cui proprietà caratteristiche sono ilsuono e la tangibilità; dalla combinazione degli elementidel suono e della tangibilità con l’elemento del colore pro-cede la luce, le cui proprietà caratteristiche sono il suono,la tangibilità ed il colore; e così progressivamente perl’acqua ed il sapore, la terra e l’odore (Kaum. 68; si confr.Manu I 20).

L’etere (akaça) è ciò che da luogo, ciò che contiene le

74

Page 75: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

cose, quindi lo spazio in generale; perchè secondo ilSankhya anche lo spazio è oggetto di percezione e quindimateriale (Anir. 238). In quanto poi esso è specificato edeterminato in questo o quel modo esso è chiamato spa-zio o tempo (Anir. 96).

NOTA. Conformemente alla teoria Vaiçeshika, secondo la quale iltempo e lo spazio sono due sostanze uniche, eterne ed infinite, lequali vengono limitate e determinate per via di connessione con gliaccidenti materiali, Vijnana sembra far distinzione fra il tempo e lospazio puri, eterni, infiniti ed unici, concepiti come qualità dell’eterepuro, ed il tempo e lo spazio limitati, i quali non sarebbero che duequalità dell’etere specializzato per effetto della connessione con gliaggregati materiali (S. pr. bh. 185). Sembra però che la vera dottrinadel Sankhya sia quella superiormente esposta; secondo la quale ac-canto all’etere (concepito come lo spazio puro) non esistono altri-menti un tempo ed uno spazio puro come qualità di esso; sibbenesolamente questo o quello spazio (fisico), questo o quel tempo, iquali non sono altro che l’etere stesso in quanto determinato dagliaccidenti materiali. Il tempo (dice Vacaspati) ha presente, passato edavvenire; ma queste tre rappresentazioni non possono in alcunmodo venir spiegate dal tempo puro quale è ammesso dai Vaiçeshi-kas perchè esso è unico; e tanto è vero ciò che essi ricorrono perspiegarle alla connessione del tempo puro con gli upadhis (aggregatimateriali la cui connessione non è essenziale). A che dunque il tem-po puro? A noi basta considerare il tempo come attributo di questistessi upadhis, risultante dall’ordine che vi è tra essi, attributo molte-plice ed inerente a ciascuno di essi; e non abbiamo punto bisognod’un preteso tempo puro. (Kaum. 78-79).

NOTA 2a. È noto come i Vaiçeshikas asseriscano essere le sostan-ze materiali composte di atomi, ossia di parti infinitamente piccoleed eterne dalla cui aggregazione risulterebbero i corpi. Questa teoriaè combattuta nei sutra V 87-8 8. La tradizione (Manu I 27), ivi è det-

75

cose, quindi lo spazio in generale; perchè secondo ilSankhya anche lo spazio è oggetto di percezione e quindimateriale (Anir. 238). In quanto poi esso è specificato edeterminato in questo o quel modo esso è chiamato spa-zio o tempo (Anir. 96).

NOTA. Conformemente alla teoria Vaiçeshika, secondo la quale iltempo e lo spazio sono due sostanze uniche, eterne ed infinite, lequali vengono limitate e determinate per via di connessione con gliaccidenti materiali, Vijnana sembra far distinzione fra il tempo e lospazio puri, eterni, infiniti ed unici, concepiti come qualità dell’eterepuro, ed il tempo e lo spazio limitati, i quali non sarebbero che duequalità dell’etere specializzato per effetto della connessione con gliaggregati materiali (S. pr. bh. 185). Sembra però che la vera dottrinadel Sankhya sia quella superiormente esposta; secondo la quale ac-canto all’etere (concepito come lo spazio puro) non esistono altri-menti un tempo ed uno spazio puro come qualità di esso; sibbenesolamente questo o quello spazio (fisico), questo o quel tempo, iquali non sono altro che l’etere stesso in quanto determinato dagliaccidenti materiali. Il tempo (dice Vacaspati) ha presente, passato edavvenire; ma queste tre rappresentazioni non possono in alcunmodo venir spiegate dal tempo puro quale è ammesso dai Vaiçeshi-kas perchè esso è unico; e tanto è vero ciò che essi ricorrono perspiegarle alla connessione del tempo puro con gli upadhis (aggregatimateriali la cui connessione non è essenziale). A che dunque il tem-po puro? A noi basta considerare il tempo come attributo di questistessi upadhis, risultante dall’ordine che vi è tra essi, attributo molte-plice ed inerente a ciascuno di essi; e non abbiamo punto bisognod’un preteso tempo puro. (Kaum. 78-79).

NOTA 2a. È noto come i Vaiçeshikas asseriscano essere le sostan-ze materiali composte di atomi, ossia di parti infinitamente piccoleed eterne dalla cui aggregazione risulterebbero i corpi. Questa teoriaè combattuta nei sutra V 87-8 8. La tradizione (Manu I 27), ivi è det-

75

Page 76: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

to, e la ragione convengono nell’asserire che la materia è un prodot-to. Ora è un assioma noto che ciò che è prodotto è perituro; quindigli atomi non sono eterni nè a parte ante nè a parte post (S. pr. bh.308). Di più essendo prodotti, non possono per conseguenza nem-meno essere senza parti, cioè infinitamente piccoli (S. pr. bh. 308-309).

Con la teoria degli elementi si chiude l’esposizione deiprincipii cosmologici del Sankhya. Considerando ora que-sta dottrina nel suo complesso, è impossibile non ricono-scere che essa ha in sè qualche cosa di incompleto e dioscuro; e che è difficile, considerando nudamente i datiprecedenti, formarsi una concezione chiara, sensata, razio-nale dell’essenza e dell’origine delle cose. Prima di proce-dere innanzi ci incombe quindi l’obbligo di completare, seè possibile, la nostra esposizione, ricercando quale sia ilsenso più intelligibile e più logico che queste teorie in sèracchiudono; e di chiederci: Che cosa intende in Sankhyacol far derivare il mondo dalla Natura per mezzo dell’intel-ligenza e della Personalità, e col porre la medesima comecostituita di piacere, dolore ed indifferenza? Ci troviamonoi dinanzi ad una concezione realistica od idealistica?

La prima di queste interpretazioni ha certamente in suofavore l’autorità dei commentatori indiani, la cui esposizio-ne dà a queste dottrine un aspetto decisamente realistico.La Natura, l’Intelligenza e la Personalità sono concepitecome veri esseri cosmici esteriori alla coscienza, come sa-rebbe nel caso degli atomi dei Vaiçeshikas; l’evoluzione deiprincipii dalla Natura come un processo cosmico indipen-dente dal soggetto empirico: l’intelligenza e la personalitàindividuali non esistono che come parti dell’Intelligenza e

76

to, e la ragione convengono nell’asserire che la materia è un prodot-to. Ora è un assioma noto che ciò che è prodotto è perituro; quindigli atomi non sono eterni nè a parte ante nè a parte post (S. pr. bh.308). Di più essendo prodotti, non possono per conseguenza nem-meno essere senza parti, cioè infinitamente piccoli (S. pr. bh. 308-309).

Con la teoria degli elementi si chiude l’esposizione deiprincipii cosmologici del Sankhya. Considerando ora que-sta dottrina nel suo complesso, è impossibile non ricono-scere che essa ha in sè qualche cosa di incompleto e dioscuro; e che è difficile, considerando nudamente i datiprecedenti, formarsi una concezione chiara, sensata, razio-nale dell’essenza e dell’origine delle cose. Prima di proce-dere innanzi ci incombe quindi l’obbligo di completare, seè possibile, la nostra esposizione, ricercando quale sia ilsenso più intelligibile e più logico che queste teorie in sèracchiudono; e di chiederci: Che cosa intende in Sankhyacol far derivare il mondo dalla Natura per mezzo dell’intel-ligenza e della Personalità, e col porre la medesima comecostituita di piacere, dolore ed indifferenza? Ci troviamonoi dinanzi ad una concezione realistica od idealistica?

La prima di queste interpretazioni ha certamente in suofavore l’autorità dei commentatori indiani, la cui esposizio-ne dà a queste dottrine un aspetto decisamente realistico.La Natura, l’Intelligenza e la Personalità sono concepitecome veri esseri cosmici esteriori alla coscienza, come sa-rebbe nel caso degli atomi dei Vaiçeshikas; l’evoluzione deiprincipii dalla Natura come un processo cosmico indipen-dente dal soggetto empirico: l’intelligenza e la personalitàindividuali non esistono che come parti dell’Intelligenza e

76

Page 77: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

della Personalità cosmica (S. pr. bh. 80-81). Allo stessomodo i tre gunas sono pensati come alcunché di realmenteesterno alla coscienza e diverso dal piacere, dolore ed in-differenza della sensazione (S. pr. bh. 83-84). Gli autori re-centi si attengono per la maggior parte fedelmente a que-sta interpretazione; così anche il Garbe il quale afferma ri-solutamente il carattere realistico, quasi materialistico delSankhya (o. c. 197-198).

Occorre però osservare che l’interpretazione del nostrosistema non deve in nessun modo essere cercata nei com-mentatori indiani. La loro esposizione dà a vedere chiara-mente che il Sankhya all’età loro aveva già da lungo tempocessato d’essere un sistema vivente per diventare una dot-trina tradizionale, un assieme di morte formule il cui inti-mo senso non era più inteso. I loro commenti ci rendonoin modo chiaro ed accurato, spesso anche abile, il lato for-male, i contorni esteriori, per così dire, delle singole teorie;ma non ne penetrano lo spirito, non ce ne danno il pro-fondo significato e la connessione logica. Ciò è confessatoda Vijnana nel passo seguente del Sankhya Sara citato dalBhandarkar; «L’unica prova della produzione del Mahatdalla Prakriti e dell’Ahamkara dal Mahat è l’affermazionedel sistema: per inferenza si arriva solo alla generale con-clusione che un effetto ha una causa; ma quanto all’ordinedi produzione non vi può essere inferenza diretta a mo-strare se gli elementi grossolani siano i primi prodotti e daessi gli organi interni (Intelligenza etc.), ovvero se questiultimi sieno prima e da essi derivino gli elementi».

D’altra parte poi questa interpretazione ci avvolge in

77

della Personalità cosmica (S. pr. bh. 80-81). Allo stessomodo i tre gunas sono pensati come alcunché di realmenteesterno alla coscienza e diverso dal piacere, dolore ed in-differenza della sensazione (S. pr. bh. 83-84). Gli autori re-centi si attengono per la maggior parte fedelmente a que-sta interpretazione; così anche il Garbe il quale afferma ri-solutamente il carattere realistico, quasi materialistico delSankhya (o. c. 197-198).

Occorre però osservare che l’interpretazione del nostrosistema non deve in nessun modo essere cercata nei com-mentatori indiani. La loro esposizione dà a vedere chiara-mente che il Sankhya all’età loro aveva già da lungo tempocessato d’essere un sistema vivente per diventare una dot-trina tradizionale, un assieme di morte formule il cui inti-mo senso non era più inteso. I loro commenti ci rendonoin modo chiaro ed accurato, spesso anche abile, il lato for-male, i contorni esteriori, per così dire, delle singole teorie;ma non ne penetrano lo spirito, non ce ne danno il pro-fondo significato e la connessione logica. Ciò è confessatoda Vijnana nel passo seguente del Sankhya Sara citato dalBhandarkar; «L’unica prova della produzione del Mahatdalla Prakriti e dell’Ahamkara dal Mahat è l’affermazionedel sistema: per inferenza si arriva solo alla generale con-clusione che un effetto ha una causa; ma quanto all’ordinedi produzione non vi può essere inferenza diretta a mo-strare se gli elementi grossolani siano i primi prodotti e daessi gli organi interni (Intelligenza etc.), ovvero se questiultimi sieno prima e da essi derivino gli elementi».

D’altra parte poi questa interpretazione ci avvolge in

77

Page 78: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

gravi difficoltà. L’intelligenza e la Personalità esistono, si èdetto, come esseri cosmici per sè stanti, indipendentidall’individuo. Ma come accade allora che, astrazione fattadalle divagazioni mitologiche e dalle arbitrarie esplicazionidi Vijnana, gli altri testi non considerano mai l’Intelligenzae la Personalità che come alcunché d’individuale? Ed inol-tre quale è in questo caso il significato della teoria dei tregunas? Gli inutili tentativi del Markus (p. 22) mostrano chenon è possibile giungere per questa via ad alcun risultatosoddisfacente. Ma la difficoltà maggiore consistenell’impossibilità di attribuire un significato qualsiasi allateoria dei ventitre principii. Qual senso può avere infattiuna dottrina che fa sorgere l’intelletto (sia pure inconscio)dalla materia (in questo senso il Garbe concepisce la Natu-ra) e dall’intelletto la personalità e da questa i sensi e glielementi?

L’interpretazione idealistica ha invece anzitutto il van-taggio di eliminare queste difficoltà; e cioè di permetterefino ad un certo punto di ricavare da queste teorie unaconcezione d’insieme astrusa certamente e straniera al no-stro modo di pensare, ma non illogica nè inintelligibile enello stesso tempo consona all’indole dell’antico pensieroindiano. Ma essa ha di più in suo favore un altro argomen-to che è certamente di grandissimo peso; ed è l’analogiad’un sistema della cui stretta affinità col nostro e comuneorigine se è già altrove discorso, voglio dire dell’anticoBuddismo.

Il riconoscimento della realtà empirica e transcendentedelle cose e della pluralità degli individui non tolgono al

78

gravi difficoltà. L’intelligenza e la Personalità esistono, si èdetto, come esseri cosmici per sè stanti, indipendentidall’individuo. Ma come accade allora che, astrazione fattadalle divagazioni mitologiche e dalle arbitrarie esplicazionidi Vijnana, gli altri testi non considerano mai l’Intelligenzae la Personalità che come alcunché d’individuale? Ed inol-tre quale è in questo caso il significato della teoria dei tregunas? Gli inutili tentativi del Markus (p. 22) mostrano chenon è possibile giungere per questa via ad alcun risultatosoddisfacente. Ma la difficoltà maggiore consistenell’impossibilità di attribuire un significato qualsiasi allateoria dei ventitre principii. Qual senso può avere infattiuna dottrina che fa sorgere l’intelletto (sia pure inconscio)dalla materia (in questo senso il Garbe concepisce la Natu-ra) e dall’intelletto la personalità e da questa i sensi e glielementi?

L’interpretazione idealistica ha invece anzitutto il van-taggio di eliminare queste difficoltà; e cioè di permetterefino ad un certo punto di ricavare da queste teorie unaconcezione d’insieme astrusa certamente e straniera al no-stro modo di pensare, ma non illogica nè inintelligibile enello stesso tempo consona all’indole dell’antico pensieroindiano. Ma essa ha di più in suo favore un altro argomen-to che è certamente di grandissimo peso; ed è l’analogiad’un sistema della cui stretta affinità col nostro e comuneorigine se è già altrove discorso, voglio dire dell’anticoBuddismo.

Il riconoscimento della realtà empirica e transcendentedelle cose e della pluralità degli individui non tolgono al

78

Page 79: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Buddismo il suo carattere idealistico. Come questa plurali-tà sia conciliabile con un sistema che considera il mondointiero come una produzione del pensiero individuale saràfacilmente concepibile quando si pensi che l’antico Buddi-smo non prende in diretta considerazione il mondo, mal’individuo. La sua speculazione, d’un carattere eminente-mente pratico, non si cura delle questioni che, come quelladella pluralità degli individui, dell’eternità o non del mon-do, dell’infinità o non del mondo, non sono in diretto rap-porto con la salute dell’individuo: essa ha per iscopo nondi dare un’esplicazione del problema delle cose, ma dicondurre l’individuo alla liberazione. Il problema che essasi propone è il seguente: Perchè l’individuo soffre la schia-vitù del dolore? «Se questo è anche quello è; se questo sor-ge anche quello sorge: se questo non è anche quello non è;se questo scompare anche quello scompare»: tale è ilmodo d’argomentare che spesso ricorre nei sacri testi delBuddismo e che dovette probabilmente essere proprio an-che a Budda (Old. 212). Il nesso causale ossia la serie suc-cessiva delle cause dell’esistenza, in cui risiede, secondoBudda, l’esplicazione del problema del dolore, è un’appli-cazione ed un risultato di questa dialettica. Quale è la cau-sa della vecchiaia e della morte e di tutte le altre miseriedell’esistenza? La nascita. E la nascita è perchè è l’esi-stenza; ossia è una conseguenza dell’esistenza metafisicadell’individuo anteriormente alla nascita. L’esistenza allasua volta è perchè è l’inerenza all’esistenza; ossia (pertradurre questo concetto in un analogo concetto moder-no), perchè vi è una volontà metafisica d’esistere che è

79

Buddismo il suo carattere idealistico. Come questa plurali-tà sia conciliabile con un sistema che considera il mondointiero come una produzione del pensiero individuale saràfacilmente concepibile quando si pensi che l’antico Buddi-smo non prende in diretta considerazione il mondo, mal’individuo. La sua speculazione, d’un carattere eminente-mente pratico, non si cura delle questioni che, come quelladella pluralità degli individui, dell’eternità o non del mon-do, dell’infinità o non del mondo, non sono in diretto rap-porto con la salute dell’individuo: essa ha per iscopo nondi dare un’esplicazione del problema delle cose, ma dicondurre l’individuo alla liberazione. Il problema che essasi propone è il seguente: Perchè l’individuo soffre la schia-vitù del dolore? «Se questo è anche quello è; se questo sor-ge anche quello sorge: se questo non è anche quello non è;se questo scompare anche quello scompare»: tale è ilmodo d’argomentare che spesso ricorre nei sacri testi delBuddismo e che dovette probabilmente essere proprio an-che a Budda (Old. 212). Il nesso causale ossia la serie suc-cessiva delle cause dell’esistenza, in cui risiede, secondoBudda, l’esplicazione del problema del dolore, è un’appli-cazione ed un risultato di questa dialettica. Quale è la cau-sa della vecchiaia e della morte e di tutte le altre miseriedell’esistenza? La nascita. E la nascita è perchè è l’esi-stenza; ossia è una conseguenza dell’esistenza metafisicadell’individuo anteriormente alla nascita. L’esistenza allasua volta è perchè è l’inerenza all’esistenza; ossia (pertradurre questo concetto in un analogo concetto moder-no), perchè vi è una volontà metafisica d’esistere che è

79

Page 80: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

come il germe dell’esistenza individuale empirica. La vo-lontà metafisica è perchè è il desiderio; ossia è l’effettodelle volizioni e dei desideri concepiti dall’individuo nelleesistenze anteriori. Il desiderio è perché è la sensazione:l’individuo desidera perchè sente piacere e dolore ed amaciò che è fonte di piacere, fugge ciò che è fonte di dolore.La sensazione nasce dal contatto fra i sensi e gli oggettidei sensi. Il contatto nasce dall’esistenza dei sensi e deiloro oggetti . Ma e i sensi e i loro oggetti non sono senon perchè è il nome e la forma; ossia perchè vi èun’individualità (il nome e la forma sono, secondo il Bud-dismo, l’essenza dell’individualità) la quale pone sè stessacome soggetto. E questa individualità è perchè è l’in te lli-genza; in quanto che solo perchè vi è il pensiero può ilsoggetto pensare e porre sè stesso. Ed infine quale è lacausa di tutti questi Sankharas o forme dell’esistenza? El’ignoranza delle sante verità del Buddismo.

Certamente sarebbe un esagerare la portata di questonesso causale il volerne desumere una teoria qualunquedell’origine delle cose od anche solo una teoria della esi-stenza individuale (come ha infruttuosamente tentatol’Oldemberg); ed è anzi difficile vedere in qual rapportoessa stia con la teoria dei cinque Khandas od aggregati checostituiscono l’individuo. Ma in ogni modo pur conside-randolo solamente nel suo ristretto senso di serie logicadelle cause successive del dolore dell’esistenza, si vede cheanch’esso porta l’impronta del carattere idealisticodell’antica speculazione delle Upanisadi. Astrazione facen-do infatti dai due ultimi termini, che, come non connessi

80

come il germe dell’esistenza individuale empirica. La vo-lontà metafisica è perchè è il desiderio; ossia è l’effettodelle volizioni e dei desideri concepiti dall’individuo nelleesistenze anteriori. Il desiderio è perché è la sensazione:l’individuo desidera perchè sente piacere e dolore ed amaciò che è fonte di piacere, fugge ciò che è fonte di dolore.La sensazione nasce dal contatto fra i sensi e gli oggettidei sensi. Il contatto nasce dall’esistenza dei sensi e deiloro oggetti . Ma e i sensi e i loro oggetti non sono senon perchè è il nome e la forma; ossia perchè vi èun’individualità (il nome e la forma sono, secondo il Bud-dismo, l’essenza dell’individualità) la quale pone sè stessacome soggetto. E questa individualità è perchè è l’in te lli-genza; in quanto che solo perchè vi è il pensiero può ilsoggetto pensare e porre sè stesso. Ed infine quale è lacausa di tutti questi Sankharas o forme dell’esistenza? El’ignoranza delle sante verità del Buddismo.

Certamente sarebbe un esagerare la portata di questonesso causale il volerne desumere una teoria qualunquedell’origine delle cose od anche solo una teoria della esi-stenza individuale (come ha infruttuosamente tentatol’Oldemberg); ed è anzi difficile vedere in qual rapportoessa stia con la teoria dei cinque Khandas od aggregati checostituiscono l’individuo. Ma in ogni modo pur conside-randolo solamente nel suo ristretto senso di serie logicadelle cause successive del dolore dell’esistenza, si vede cheanch’esso porta l’impronta del carattere idealisticodell’antica speculazione delle Upanisadi. Astrazione facen-do infatti dai due ultimi termini, che, come non connessi

80

Page 81: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

direttamente col resto della serie, sono perciò nei testibuddistici sovente omessi, e che non significano altro senon che il complesso di tutte queste manifestazioni è per-chè è l’ignoranza individuale delle verità da Budda procla-mate, tolta la quale ignoranza sono tolti tutto i Sankharas equindi tolta tutta la serie che ha inizio dall’intelligenza,come termini fondamentali e cause efficienti di tutta la se-rie (quindi anche dei sensi e del mondo degli oggetti) ri-mangono la personalità e l’intelligenza dell’individuo. Ilmondo esteriore non è considerato pertanto come alcun-ché di assolutamente obbiettivo ed indipendente, ma bensìcome un effetto obbiettivo solo di fronte agli organi dellaconoscenza, come un dispiegamento del pensiero indivi-duale, come una proiezione di forze misteriose il cui cen-tro è nell’individuo stesso. Esso non è, in una parola, cheuna creazione dell’individuo; e nello stesso tempo una par-te dell’individuo stesso. In questo senso così si esprime unpasso d’una scrittura buddistica citato dall’Oldemberg: «Ionon conosco fine al dolore, (dice Budda), se non si è rag-giunta la fine del mondo. Ma io vi dico che in questo cor-po animato alto come una tesa risiede il mondo e l’ori-gine del mondo e l’annientamento del mondo e la viaall’annientamento del mondo» (Old. Buddha etc.2 286).

Considerando ora comparativamente a questo nessocausale la dottrina del Sankhya, è facile riconoscere cheessa non è in certe sue parti se non un’elaborazione più ra-zionale ed uno svolgimento del nesso medesimo. La cau-salità fondamentale dell’ignoranza soggettiva come radiceprima di tutte le manifestazioni dell’esistenza empirica è

81

direttamente col resto della serie, sono perciò nei testibuddistici sovente omessi, e che non significano altro senon che il complesso di tutte queste manifestazioni è per-chè è l’ignoranza individuale delle verità da Budda procla-mate, tolta la quale ignoranza sono tolti tutto i Sankharas equindi tolta tutta la serie che ha inizio dall’intelligenza,come termini fondamentali e cause efficienti di tutta la se-rie (quindi anche dei sensi e del mondo degli oggetti) ri-mangono la personalità e l’intelligenza dell’individuo. Ilmondo esteriore non è considerato pertanto come alcun-ché di assolutamente obbiettivo ed indipendente, ma bensìcome un effetto obbiettivo solo di fronte agli organi dellaconoscenza, come un dispiegamento del pensiero indivi-duale, come una proiezione di forze misteriose il cui cen-tro è nell’individuo stesso. Esso non è, in una parola, cheuna creazione dell’individuo; e nello stesso tempo una par-te dell’individuo stesso. In questo senso così si esprime unpasso d’una scrittura buddistica citato dall’Oldemberg: «Ionon conosco fine al dolore, (dice Budda), se non si è rag-giunta la fine del mondo. Ma io vi dico che in questo cor-po animato alto come una tesa risiede il mondo e l’ori-gine del mondo e l’annientamento del mondo e la viaall’annientamento del mondo» (Old. Buddha etc.2 286).

Considerando ora comparativamente a questo nessocausale la dottrina del Sankhya, è facile riconoscere cheessa non è in certe sue parti se non un’elaborazione più ra-zionale ed uno svolgimento del nesso medesimo. La cau-salità fondamentale dell’ignoranza soggettiva come radiceprima di tutte le manifestazioni dell’esistenza empirica è

81

Page 82: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

mantenuta anche nel Sankhya; sebbene esso, come vedre-mo, intercali tra l’ignoranza e la schiavitù un altro termine,la connessione. La serie subordinata delle cause ossia ilnesso causale che ha inizio pel Buddismo dall’intelligenzasi scinde per il Sankhya conformemente alla sua distinzio-ne fra cause efficienti della schiavitù e cause m aterialio substrati sostanziali in due nessi causali, dei quali l’unocostituisce la cosmologia, l’altro la moirologia o teoria deldestino individuale. Perchè la schiavitù sia possibile è ne-cessario da un canto che la Natura evolva dal proprio senoquel complesso di principii che costituiscono come il fon-do materiale dell’esistenza empirica. Quindi avviene chedall’Indistinto sorge in primo luogo l’Intelligenza; da que-sta la Personalità; da questa gli organi ed i loro oggetti.D’altro canto si svolge, sempre subordinatamente alla cau-salità fondamentale dell’ignoranza, il ciclo delle cause effi-cienti dalle quali risulta l’esistenza individuale. Dal piaceree dal dolore (sensazione) nasce il desiderio (l’agire, il cuielemento essenziale, produttivo di merito è il volere, il de-siderare, si riduce al desiderio); dal desiderio le impressionidel merito, che sono come il ricettacolo materiale della vo-lontà metafisica costitutiva dell’individuo; dalle impressio-ni l’esistenza sotto nuove forme; da queste nuove sensa-zioni, indi nuovi desideri e cosi via.

L’identità delle due serie Sankhya con le due parti delnesso buddistico che sono riunite dal termine del «contat-to» è evidente. La prima parte del nesso buddistico corri-sponde alla serie moirologica del Sankhya; al quale propo-sito, non essendo qui il luogo di trattarne estesamente, ba-

82

mantenuta anche nel Sankhya; sebbene esso, come vedre-mo, intercali tra l’ignoranza e la schiavitù un altro termine,la connessione. La serie subordinata delle cause ossia ilnesso causale che ha inizio pel Buddismo dall’intelligenzasi scinde per il Sankhya conformemente alla sua distinzio-ne fra cause efficienti della schiavitù e cause m aterialio substrati sostanziali in due nessi causali, dei quali l’unocostituisce la cosmologia, l’altro la moirologia o teoria deldestino individuale. Perchè la schiavitù sia possibile è ne-cessario da un canto che la Natura evolva dal proprio senoquel complesso di principii che costituiscono come il fon-do materiale dell’esistenza empirica. Quindi avviene chedall’Indistinto sorge in primo luogo l’Intelligenza; da que-sta la Personalità; da questa gli organi ed i loro oggetti.D’altro canto si svolge, sempre subordinatamente alla cau-salità fondamentale dell’ignoranza, il ciclo delle cause effi-cienti dalle quali risulta l’esistenza individuale. Dal piaceree dal dolore (sensazione) nasce il desiderio (l’agire, il cuielemento essenziale, produttivo di merito è il volere, il de-siderare, si riduce al desiderio); dal desiderio le impressionidel merito, che sono come il ricettacolo materiale della vo-lontà metafisica costitutiva dell’individuo; dalle impressio-ni l’esistenza sotto nuove forme; da queste nuove sensa-zioni, indi nuovi desideri e cosi via.

L’identità delle due serie Sankhya con le due parti delnesso buddistico che sono riunite dal termine del «contat-to» è evidente. La prima parte del nesso buddistico corri-sponde alla serie moirologica del Sankhya; al quale propo-sito, non essendo qui il luogo di trattarne estesamente, ba-

82

Page 83: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sti far notare: 1° Che i due ultimi membri, la nascita; lavecchiaia e la morte, i quali rappresentano nel concettobuddistico il triplice dolore dell’esistenza, rientrano neces-sariamente sotto il termine «sensazione» e si riattaccanoquindi all’ottavo membro, al «desiderio», donde procedeuna non interrotta catena di cause ed effetti come nel San-khya. 2° Che il concetto dell’inerenza (Upadana - ricetta-colo) corrisponde, se non pel vocabolo, certo pel concettoalle impressioni o disposizioni che sono per il Sankhya lapermanenza del desiderio nello stato latente come impres-sione materiale. 3° Che la quadripartizione dell’inerenzanell’inerenza al desiderio, inerenza alla falsa opinione, ine-renza al rinunciamento ascetico e nell’inerenza alle discus-sioni sull’Io (attavad’upadanam) ricorda le quattro speciedi esistenza in cui si manifesta l’effetto delle impressioni eche il Sankhya comprende sotto i nomi di errore, incapaci-tà acquiescenza, conoscenza. La seconda parte corrispon-de alla serie cosmologica; della quale qui appunto è que-stione. Il punto di partenza sono per il Buddismo i sei sen-si (i cinque sensi esterni e il senso interno o manas) ed i seicorrispondenti oggetti (i cinque elementi e, come oggettodel manas, i concetti); per il Sankhya gli undici organi (icinque sensi esterni ed il manas, più i cinque organi d’azio-ne) e gli elementi (sottili e grossolani). I sensi ed i loro og-getti hanno per causa il nome e la forma. Il nome e la for-ma, od anche solo il nome, sono, come s’è detto, nel con-cetto buddistico ciò che costituisce intimamente ed essen-zialmente l’individuo. «Ciò che fa sì che un essere arriva aconoscere sè stesso tale quale è, è il nome e la forma con

83

sti far notare: 1° Che i due ultimi membri, la nascita; lavecchiaia e la morte, i quali rappresentano nel concettobuddistico il triplice dolore dell’esistenza, rientrano neces-sariamente sotto il termine «sensazione» e si riattaccanoquindi all’ottavo membro, al «desiderio», donde procedeuna non interrotta catena di cause ed effetti come nel San-khya. 2° Che il concetto dell’inerenza (Upadana - ricetta-colo) corrisponde, se non pel vocabolo, certo pel concettoalle impressioni o disposizioni che sono per il Sankhya lapermanenza del desiderio nello stato latente come impres-sione materiale. 3° Che la quadripartizione dell’inerenzanell’inerenza al desiderio, inerenza alla falsa opinione, ine-renza al rinunciamento ascetico e nell’inerenza alle discus-sioni sull’Io (attavad’upadanam) ricorda le quattro speciedi esistenza in cui si manifesta l’effetto delle impressioni eche il Sankhya comprende sotto i nomi di errore, incapaci-tà acquiescenza, conoscenza. La seconda parte corrispon-de alla serie cosmologica; della quale qui appunto è que-stione. Il punto di partenza sono per il Buddismo i sei sen-si (i cinque sensi esterni e il senso interno o manas) ed i seicorrispondenti oggetti (i cinque elementi e, come oggettodel manas, i concetti); per il Sankhya gli undici organi (icinque sensi esterni ed il manas, più i cinque organi d’azio-ne) e gli elementi (sottili e grossolani). I sensi ed i loro og-getti hanno per causa il nome e la forma. Il nome e la for-ma, od anche solo il nome, sono, come s’è detto, nel con-cetto buddistico ciò che costituisce intimamente ed essen-zialmente l’individuo. «Ciò che fa sì che un essere arriva aconoscere sè stesso tale quale è, è il nome e la forma con

83

Page 84: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

gl’intelligenza. In una parola, o Ananda, è il nome il qualefa sì che l’individuo conosce sè stesso. Se si tratta in effet-to d’un essere dotato di forma e limitato, il nome rivelan-dogli questa sua personalità gli dà questa nozione: Io houna personalità dotata di forma e limitata. Se si tratta d’unessere dotato di forma ed eterno, il nome rivelandogli que-sta sua personalità gli dà questa nozione: Io ho una perso-nalità dotata di forma ed eterna, etc.» (Mahanid. Sutta tr.Grimblot 272). Così secondo il Sankhya gli organi e glielementi hanno per causa l’ahamkara (facitore dell’io), os-sia la Personalità; la quale è quell’essere che pone sè stessocome soggetto e come centro d’ogni altra cosa e quindipone anche nello stesso tempo i sensi ed i loro oggetti.L’io crea i sensi ed i loro oggetti, dice Vijnana, come coluiche desidera un godimento crea gli strumenti coi qualiprodurlo (S. pr. bh. 188). Il nome e la forma finalmentesono, secondo la serie buddistica, dall’intelligenza (Old.246-247); «perché l’intelligenza è l’elemento che costituisceil nome e la forma» (ib. 248). Ciò significa che la personali-tà è possibile solamente per mezzo del pensiero. Ed analo-gamente il Sankhya fa derivare l’ahamkara dalla buddhi.L’ahamkara pone sè stesso e quindi il resto in rapporto astesso: ma perciò è necessario che concepisca e sè stessoed il resto. Perciò esso presuppone il pensiero (S. pr. bh.81).

Dalle considerazioni precedenti mi sembra quindi risulticon sufficiente chiarezza che l’Intelligenza e la Personalitàdalle quali il Sankhya fa derivare il mondo, non sono da in-tendersi come due principii cosmici, estraindividuali, ma

84

gl’intelligenza. In una parola, o Ananda, è il nome il qualefa sì che l’individuo conosce sè stesso. Se si tratta in effet-to d’un essere dotato di forma e limitato, il nome rivelan-dogli questa sua personalità gli dà questa nozione: Io houna personalità dotata di forma e limitata. Se si tratta d’unessere dotato di forma ed eterno, il nome rivelandogli que-sta sua personalità gli dà questa nozione: Io ho una perso-nalità dotata di forma ed eterna, etc.» (Mahanid. Sutta tr.Grimblot 272). Così secondo il Sankhya gli organi e glielementi hanno per causa l’ahamkara (facitore dell’io), os-sia la Personalità; la quale è quell’essere che pone sè stessocome soggetto e come centro d’ogni altra cosa e quindipone anche nello stesso tempo i sensi ed i loro oggetti.L’io crea i sensi ed i loro oggetti, dice Vijnana, come coluiche desidera un godimento crea gli strumenti coi qualiprodurlo (S. pr. bh. 188). Il nome e la forma finalmentesono, secondo la serie buddistica, dall’intelligenza (Old.246-247); «perché l’intelligenza è l’elemento che costituisceil nome e la forma» (ib. 248). Ciò significa che la personali-tà è possibile solamente per mezzo del pensiero. Ed analo-gamente il Sankhya fa derivare l’ahamkara dalla buddhi.L’ahamkara pone sè stesso e quindi il resto in rapporto astesso: ma perciò è necessario che concepisca e sè stessoed il resto. Perciò esso presuppone il pensiero (S. pr. bh.81).

Dalle considerazioni precedenti mi sembra quindi risulticon sufficiente chiarezza che l’Intelligenza e la Personalitàdalle quali il Sankhya fa derivare il mondo, non sono da in-tendersi come due principii cosmici, estraindividuali, ma

84

Page 85: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

semplicemente come due principii interiori ai quali l’astra-zione psicologica riconduce ogni manifestazione così sog-gettiva come oggettiva dell’esistenza empirica. E con lostesso criterio deve perciò essere interpretato il concettodella Natura. Essa non deve cioè essere considerata comealcunché di esterno e di materiale, ma come l’indistintopsicologico primitivo e supremo nel cui seno giace allostato latente la totalità della nostra esistenza soggettivaempirica, come quel principio misterioso ed oscuro cheesiste da tutta l’eternità accanto all’anima, come essa in-creato ed onnipresente, ma a differenza di essa attivo enon spirituale ossia incapace di elevarsi per sè alla vita co-sciente, e che per effetto dell’ignoranza diventa, alla lucedell’anima, l’essere individuale empirico. La sua essenza ècostituita di piacere, dolore ed indifferenza perchè questisono i tre modi più generali dell’esistenza empirica stessaossia della nostra vita cosciente. Anche nelle scritture bud-diche ricorre spesso la divisione della sensazione nelle trecategorie generali del piacere, dolore ed indifferenza (Old.253 nota 1). Così nel passo seguente del Mahanidana sut-ta: «Esistono tre specie di sensazione: la sensazione piace-vole, la sensazione spiacevole la sensazione nè piacevolenè spiacevole» (Grimblot 274). Queste tre categorie costi-tuiscono secondo il Sankhya l’essenza delle cose, perchè ilmondo non è concepito da esso che per rapporto all’indi-viduo il quale lo crea e ne fruisce. Il sattva è la sensazionepiacevole in astratto: quindi comprende ciò che è fonte digioia, la bellezza, la bontà, la luce, l’armonia; ed inoltre ciòche avvicina al bene supremo come la quiete e l’atto del

85

semplicemente come due principii interiori ai quali l’astra-zione psicologica riconduce ogni manifestazione così sog-gettiva come oggettiva dell’esistenza empirica. E con lostesso criterio deve perciò essere interpretato il concettodella Natura. Essa non deve cioè essere considerata comealcunché di esterno e di materiale, ma come l’indistintopsicologico primitivo e supremo nel cui seno giace allostato latente la totalità della nostra esistenza soggettivaempirica, come quel principio misterioso ed oscuro cheesiste da tutta l’eternità accanto all’anima, come essa in-creato ed onnipresente, ma a differenza di essa attivo enon spirituale ossia incapace di elevarsi per sè alla vita co-sciente, e che per effetto dell’ignoranza diventa, alla lucedell’anima, l’essere individuale empirico. La sua essenza ècostituita di piacere, dolore ed indifferenza perchè questisono i tre modi più generali dell’esistenza empirica stessaossia della nostra vita cosciente. Anche nelle scritture bud-diche ricorre spesso la divisione della sensazione nelle trecategorie generali del piacere, dolore ed indifferenza (Old.253 nota 1). Così nel passo seguente del Mahanidana sut-ta: «Esistono tre specie di sensazione: la sensazione piace-vole, la sensazione spiacevole la sensazione nè piacevolenè spiacevole» (Grimblot 274). Queste tre categorie costi-tuiscono secondo il Sankhya l’essenza delle cose, perchè ilmondo non è concepito da esso che per rapporto all’indi-viduo il quale lo crea e ne fruisce. Il sattva è la sensazionepiacevole in astratto: quindi comprende ciò che è fonte digioia, la bellezza, la bontà, la luce, l’armonia; ed inoltre ciòche avvicina al bene supremo come la quiete e l’atto del

85

Page 86: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

conoscere, nella cui serena obbiettività par che il Sankhyaveda, come Schopenhauer, il contrapposto della cieca edolorosa volontà di esistere che si estrinseca specialmentenel secondo dei costituenti. Il rajas è la sensazione doloro-sa in astratto quindi specialmente l’agire, il voler esistere,l’attività d’ogni specie che ci avvolge in un’infinità di dolo-ri. Il tamas per ultimo è la sensazione indifferente inastratto: quindi ciò che non si manifesta a noi nè comepiacere nè come dolore, come il sonno, l’impotenza intel-lettuale ed in genere tutto ciò che è assenza d’ogni attivitàdolorosa ma anche d’ogni elevazione e perfezione.

Tale è il senso che, secondo il mio avviso, devesi attri-buire alle teorie cosmologiche del Sankhya. Nella sua for-ma originaria la serie delle cause materiali non dovette es-sere altro che, come ci è conservata nel Buddismo, una se-rie di astrazioni procedente dalla ricerca della concatena-zione delle cause soggettive del dolore individuale; ed inquesta forma solamente essa ha un senso ed una connes-sione razionale. La teoria della sostanzialità permanentedelle cose e della gradazione delle cause materiali secondola loro maggiore o minor distinzione alterarono poi la fi-sonomia primitiva di questa serie dialettica; e tanto gli or-gani della soggettività e gli oggetti (dai quali come da fon-damentali dati della rappresentazione o d’un’induzionesemplicissima il Sankhya muove) quanto la Personalità el’Intelligenza furono intesi non come una serie ascendentedi cause soggettive della schiavitù, ma come un’evoluzionedi sostanze; ed a capo di tutta la serie, come causa materia-le prima, fu posta l’indistinzione assoluta, la Natura. Ma in

86

conoscere, nella cui serena obbiettività par che il Sankhyaveda, come Schopenhauer, il contrapposto della cieca edolorosa volontà di esistere che si estrinseca specialmentenel secondo dei costituenti. Il rajas è la sensazione doloro-sa in astratto quindi specialmente l’agire, il voler esistere,l’attività d’ogni specie che ci avvolge in un’infinità di dolo-ri. Il tamas per ultimo è la sensazione indifferente inastratto: quindi ciò che non si manifesta a noi nè comepiacere nè come dolore, come il sonno, l’impotenza intel-lettuale ed in genere tutto ciò che è assenza d’ogni attivitàdolorosa ma anche d’ogni elevazione e perfezione.

Tale è il senso che, secondo il mio avviso, devesi attri-buire alle teorie cosmologiche del Sankhya. Nella sua for-ma originaria la serie delle cause materiali non dovette es-sere altro che, come ci è conservata nel Buddismo, una se-rie di astrazioni procedente dalla ricerca della concatena-zione delle cause soggettive del dolore individuale; ed inquesta forma solamente essa ha un senso ed una connes-sione razionale. La teoria della sostanzialità permanentedelle cose e della gradazione delle cause materiali secondola loro maggiore o minor distinzione alterarono poi la fi-sonomia primitiva di questa serie dialettica; e tanto gli or-gani della soggettività e gli oggetti (dai quali come da fon-damentali dati della rappresentazione o d’un’induzionesemplicissima il Sankhya muove) quanto la Personalità el’Intelligenza furono intesi non come una serie ascendentedi cause soggettive della schiavitù, ma come un’evoluzionedi sostanze; ed a capo di tutta la serie, come causa materia-le prima, fu posta l’indistinzione assoluta, la Natura. Ma in

86

Page 87: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

nessun modo perciò e la Personalità e l’Intelligenza e laNatura vennero ad essere intesi come esseri cosmici este-riori, materiali: e la Natura stessa non venne altrimentipensata che come la coscienza empirica stessa nella sua as-soluta indeterminatezza, come un’indistinta miscela di pia-cere, dolore ed indifferenza destinata a diventare, evolven-dosi, l’io, l’essere empirico individuale nel cui seno sorge ilmondo.

Nè si potrebbe opporre (come il Garbe oppone alla de-nominazione di idealistico data dal St. Hilaire al Sankhya),che, poiché la spiritualità appartiene all’Anima sola, la Na-tura ed il resto sono alcunché di esteso e di materiale.Come si è veduto Vijnana caratterizza assai bene ciò che siintende nel concetto indiano per materiale (che significa«percepibile sensibilmente)»; e la sua definizione esclude laNatura e gli altri principii sovrasensibili: nè l’essere i mede-simi estesi implica materialità, perchè anche l’anima vieneconsiderata come estesa. Non è quindi esatto dire che laNatura del Sankhya sia alcunché di materiale; essa è piut-tosto semplicemente un principio attivo ed inconsciocome l’inconscio di Hartmann o la Volontà di Schopen-hauer. E dalla Volontà di Schopenhauer (con cui lo Scho-penhauer stesso rettamente l’identifica, v. Par. u. Par. II §187) essa differisce in questo solo punto essenziale: che laVolontà obbiettivandosi produce dal proprio seno anchela coscienza (in s. s.), il soggetto vero e proprio della cono-scenza; laddove la Natura è per sua essenza inconscia e lacoscienza (in s. s.) le perviene da un principio superiore lacui essenza non è altro che pura spiritualità, cioè dall’Ani-

87

nessun modo perciò e la Personalità e l’Intelligenza e laNatura vennero ad essere intesi come esseri cosmici este-riori, materiali: e la Natura stessa non venne altrimentipensata che come la coscienza empirica stessa nella sua as-soluta indeterminatezza, come un’indistinta miscela di pia-cere, dolore ed indifferenza destinata a diventare, evolven-dosi, l’io, l’essere empirico individuale nel cui seno sorge ilmondo.

Nè si potrebbe opporre (come il Garbe oppone alla de-nominazione di idealistico data dal St. Hilaire al Sankhya),che, poiché la spiritualità appartiene all’Anima sola, la Na-tura ed il resto sono alcunché di esteso e di materiale.Come si è veduto Vijnana caratterizza assai bene ciò che siintende nel concetto indiano per materiale (che significa«percepibile sensibilmente)»; e la sua definizione esclude laNatura e gli altri principii sovrasensibili: nè l’essere i mede-simi estesi implica materialità, perchè anche l’anima vieneconsiderata come estesa. Non è quindi esatto dire che laNatura del Sankhya sia alcunché di materiale; essa è piut-tosto semplicemente un principio attivo ed inconsciocome l’inconscio di Hartmann o la Volontà di Schopen-hauer. E dalla Volontà di Schopenhauer (con cui lo Scho-penhauer stesso rettamente l’identifica, v. Par. u. Par. II §187) essa differisce in questo solo punto essenziale: che laVolontà obbiettivandosi produce dal proprio seno anchela coscienza (in s. s.), il soggetto vero e proprio della cono-scenza; laddove la Natura è per sua essenza inconscia e lacoscienza (in s. s.) le perviene da un principio superiore lacui essenza non è altro che pura spiritualità, cioè dall’Ani-

87

Page 88: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

ma.

88

ma.

88

Page 89: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Cap. III

L’esistenza a lato del mondo degli esseri empirici d’unprincipio superiore eterno ed immutabile, assolutamentelibero dal dolore, sostanzialmente identico col nostro Ionella sua purezza, termine desiderato della dolorosa pere-grinazione degli esseri è uno dei dommi fondamentali che,come si è veduto, sono il comune presupposto di presso-ché tutte le scuole della filosofia indiana. Senonchè questodualismo dell’esistenza non si rivela negli altri sistemi cosìdistintamente a primo aspetto come nel Sankhya. Nel Ve-danta Brahma è l’essere assoluto ed unico e l’Ignoranzanon è di fronte ad esso che un essere illusorio ed in realtànon esistente: laddove nel Buddismo il mondo dell’assolu-to, il Nirvana, non è che una indeterminata ed indefinibilenegazione di tutto ciò che costituisce il mondo empirico.Il Sankhya invece stabilisce un certo equilibrio fra questidue termini opposti; e come per esso la Natura è un essereper sè esistente ed indipendente di fronte all’Assoluto, cosìl’Anima non è semplicemente l’al di là trascendente ed in-concepibile, destituito d’ogni rapporto con l’esistenza at-tuale, ma è un principio d’un’essenza determinata che,pure permanendo in sè imperturbato ed incontaminato,entra in un certo rapporto con il principio empirico, con laNatura, e, per via appunto di questo rapporto si rivela nel-la spiritualità della nostra vita cosciente.

89

Cap. III

L’esistenza a lato del mondo degli esseri empirici d’unprincipio superiore eterno ed immutabile, assolutamentelibero dal dolore, sostanzialmente identico col nostro Ionella sua purezza, termine desiderato della dolorosa pere-grinazione degli esseri è uno dei dommi fondamentali che,come si è veduto, sono il comune presupposto di presso-ché tutte le scuole della filosofia indiana. Senonchè questodualismo dell’esistenza non si rivela negli altri sistemi cosìdistintamente a primo aspetto come nel Sankhya. Nel Ve-danta Brahma è l’essere assoluto ed unico e l’Ignoranzanon è di fronte ad esso che un essere illusorio ed in realtànon esistente: laddove nel Buddismo il mondo dell’assolu-to, il Nirvana, non è che una indeterminata ed indefinibilenegazione di tutto ciò che costituisce il mondo empirico.Il Sankhya invece stabilisce un certo equilibrio fra questidue termini opposti; e come per esso la Natura è un essereper sè esistente ed indipendente di fronte all’Assoluto, cosìl’Anima non è semplicemente l’al di là trascendente ed in-concepibile, destituito d’ogni rapporto con l’esistenza at-tuale, ma è un principio d’un’essenza determinata che,pure permanendo in sè imperturbato ed incontaminato,entra in un certo rapporto con il principio empirico, con laNatura, e, per via appunto di questo rapporto si rivela nel-la spiritualità della nostra vita cosciente.

89

Page 90: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

L’esistenza d’un principio spirituale, d’un io senzientenon ha bisogno, dice il Sankhya, di essere provata non po-tendo la medesima essere messa in questione (S. S. I 138).Se si negasse lo spirito, il mondo dovrebbe essere cieco eperciò nemmeno i Buddisti si attentano a negare l’esisten-za d’un essere senziente (che è secondo essi l’intelligenza).Quindi accade rispetto allo spirito ciò che per il merito, ilquale non essendo negato da nessuno non richiede d’esse-re provato. Così anche nel sutra VI 1: «L’io esiste perchénon v’è alcuna prova in contrario». L’esistenza d’un io sen-ziente risulta con la massima evidenza dalla rappresenta-zione: «io conosco», e non essendovi argomento in con-trario dev’essere ammessa.

La tesi del Sankhya si riduce pertanto a provare chequesto principio spirituale interno è realmente il principiodell’esistenza assoluta. A questo scopo sono diretti gli ar-gomenti riuniti nella Karika 17 e nei sutra I 140-144, iquali hanno per oggetto di provare che l’io senziente nonè come il corpo e gli altri prodotti, il cui aggregato costi-tuisce la nostra personalità, un derivato della Natura, ma èd’un’essenza affatto distinta e superiore ad essa. Essi sonoi seguenti:

1° S. Sutra I 139: «L’Anima è distinta dal corpo etc.» id140: «Perchè l’aggregato è per fine d’un altro». Tutti icomposti, tutti i prodotti formati per via di aggregazionesono sempre per il fine di alcunché di superiore e di essen-zialmente diverso. «Perchè (dice Çankara in un passo nelquale riferisce l’opinione del Sankhya) la relazione di sub-servienza d’una cosa ad un’altra non è possibile sulla base

90

L’esistenza d’un principio spirituale, d’un io senzientenon ha bisogno, dice il Sankhya, di essere provata non po-tendo la medesima essere messa in questione (S. S. I 138).Se si negasse lo spirito, il mondo dovrebbe essere cieco eperciò nemmeno i Buddisti si attentano a negare l’esisten-za d’un essere senziente (che è secondo essi l’intelligenza).Quindi accade rispetto allo spirito ciò che per il merito, ilquale non essendo negato da nessuno non richiede d’esse-re provato. Così anche nel sutra VI 1: «L’io esiste perchénon v’è alcuna prova in contrario». L’esistenza d’un io sen-ziente risulta con la massima evidenza dalla rappresenta-zione: «io conosco», e non essendovi argomento in con-trario dev’essere ammessa.

La tesi del Sankhya si riduce pertanto a provare chequesto principio spirituale interno è realmente il principiodell’esistenza assoluta. A questo scopo sono diretti gli ar-gomenti riuniti nella Karika 17 e nei sutra I 140-144, iquali hanno per oggetto di provare che l’io senziente nonè come il corpo e gli altri prodotti, il cui aggregato costi-tuisce la nostra personalità, un derivato della Natura, ma èd’un’essenza affatto distinta e superiore ad essa. Essi sonoi seguenti:

1° S. Sutra I 139: «L’Anima è distinta dal corpo etc.» id140: «Perchè l’aggregato è per fine d’un altro». Tutti icomposti, tutti i prodotti formati per via di aggregazionesono sempre per il fine di alcunché di superiore e di essen-zialmente diverso. «Perchè (dice Çankara in un passo nelquale riferisce l’opinione del Sankhya) la relazione di sub-servienza d’una cosa ad un’altra non è possibile sulla base

90

Page 91: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

dell’eguaglianza: due lampade per esempio non possonodirsi servire l’una all’altra» (Thibaut I 301). Ora poiché ilcorpo e gli organi sono per il fine dell’io senziente, questonon può essere che alcunché di essenzialmente diverso daimedesimi e di superiore e non perciò come essi semplice-mente un prodotto della Natura, un aggregato dei tre co-stituenti (S. pr. bh. 123).

2° S. Sutra I 141: «Perchè essa è il contrario di ciò checonsta dei tre costituenti ecc.». Ossia, come spiega Ani-ruddha; perchè i tre costituenti non sono da noi osservatiin essa (Anir. 77). L’osservazione interiore non ci dà innessun modo il nostro io senziente come avente rispetto anoi la natura del sattva, del rajas, del tamas; perchè la puracoscienza non produce in noi, come i fatti che della co-scienza sono oggetto, nè piacere nè dolore nè indifferenza.Quindi il nostro principio spirituale non consta dei tre co-stituenti ed è d’un’essenza diversa dalla Natura. Lo stessoconcetto è variamente ripetuto nel sutra VI 2: «Essa(l’Anima) è alcunché di distinto dal corpo e dalle altre coseper via della sua eterogeneità».

3° S. Sutra I 142: «E perchè essa dirige». La Natura pro-cede alla creazione, agisce e si evolve unicamente pel finedell’Anima. In questo senso il Sankhya dice che l’Animadirige la Natura. Ora se l’Anima fosse essa stessa un pro-dotto della Natura, come potrebbe causarne e dirigernel’attività? Poiché la Natura agisce pel fine dell’Anima esistetra di esse una certa connessione, nè vi può essere connes-sione che fra due entità distinte (S. pr. bh. 152).

4° S. Sutra I 143: «E perchè è l’essere senziente». Og-

91

dell’eguaglianza: due lampade per esempio non possonodirsi servire l’una all’altra» (Thibaut I 301). Ora poiché ilcorpo e gli organi sono per il fine dell’io senziente, questonon può essere che alcunché di essenzialmente diverso daimedesimi e di superiore e non perciò come essi semplice-mente un prodotto della Natura, un aggregato dei tre co-stituenti (S. pr. bh. 123).

2° S. Sutra I 141: «Perchè essa è il contrario di ciò checonsta dei tre costituenti ecc.». Ossia, come spiega Ani-ruddha; perchè i tre costituenti non sono da noi osservatiin essa (Anir. 77). L’osservazione interiore non ci dà innessun modo il nostro io senziente come avente rispetto anoi la natura del sattva, del rajas, del tamas; perchè la puracoscienza non produce in noi, come i fatti che della co-scienza sono oggetto, nè piacere nè dolore nè indifferenza.Quindi il nostro principio spirituale non consta dei tre co-stituenti ed è d’un’essenza diversa dalla Natura. Lo stessoconcetto è variamente ripetuto nel sutra VI 2: «Essa(l’Anima) è alcunché di distinto dal corpo e dalle altre coseper via della sua eterogeneità».

3° S. Sutra I 142: «E perchè essa dirige». La Natura pro-cede alla creazione, agisce e si evolve unicamente pel finedell’Anima. In questo senso il Sankhya dice che l’Animadirige la Natura. Ora se l’Anima fosse essa stessa un pro-dotto della Natura, come potrebbe causarne e dirigernel’attività? Poiché la Natura agisce pel fine dell’Anima esistetra di esse una certa connessione, nè vi può essere connes-sione che fra due entità distinte (S. pr. bh. 152).

4° S. Sutra I 143: «E perchè è l’essere senziente». Og-

91

Page 92: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

getto della sensazione sono il sattva, il rajas ed il tamas neiquali in ultima analisi tutte le cose si risolvono. Ora il sog-getto senziente dev’essere alcunché di distinto da tutti icomposti dei tre costituenti; perchè se fosse uno di essi, sefosse per es. l’Intelligenza, vi sarebbe contraddizione inquanto l’oggetto ed il soggetto della sensazione non sareb-bero che una cosa sola. Dal che ci è necessario concludereche l’Anima non è un aggregato di sattva, rajas etc. (Kaum63; S. pr. bh. 88, 151, 153).

5° S. Sutra I 144: «E perchè vi è una tendenza all’isola-mento». L’uomo aspira a sopprimere in sè stesso il dolore,a separare sè stesso dalla causa del dolore. Ma il dolore,noi sappiamo, appartiene all’essenza stessa della Natura edei suoi prodotti. Come sarebbe dunque possibile tale se-parazione se l’Anima constasse essa stessa del sattva, rajas,tamas? Converrebbe che si separasse dalla medesima suaessenza; ciò che non è possibile. Invece la separazione deldolore dall’Anima considerato come principio distinto nelquale esso non è che un’affezione sovrappositizia non hanulla di assurdo. Dunque anche questo induce a credereche l’Anima sia d’un’essenza diversa dalla Natura (Kaum.64; S. pr. bh. 153).

NOTA. Nei sutra III 20-22 e V 129 si respinge la teoria dei mate-rialisti (Carvakas) secondo i quali il pensiero non sarebbe che unafunzione risultante dall’organizzamento della materia. Ecco comequesta teoria viene esposta da Madhavacarya (Sarvadarçanasangrahap. 2-5): «Secondo questa scuola principii delle cose sono i quattroelementi, la terra, il fuoco, l’acqua e l’aria: e solo da questi quattroelementi aggregati nella forma di corpo è prodotto il pensiero, comeil potere inebriante è prodotto dalla miscela di certi ingredienti; e

92

getto della sensazione sono il sattva, il rajas ed il tamas neiquali in ultima analisi tutte le cose si risolvono. Ora il sog-getto senziente dev’essere alcunché di distinto da tutti icomposti dei tre costituenti; perchè se fosse uno di essi, sefosse per es. l’Intelligenza, vi sarebbe contraddizione inquanto l’oggetto ed il soggetto della sensazione non sareb-bero che una cosa sola. Dal che ci è necessario concludereche l’Anima non è un aggregato di sattva, rajas etc. (Kaum63; S. pr. bh. 88, 151, 153).

5° S. Sutra I 144: «E perchè vi è una tendenza all’isola-mento». L’uomo aspira a sopprimere in sè stesso il dolore,a separare sè stesso dalla causa del dolore. Ma il dolore,noi sappiamo, appartiene all’essenza stessa della Natura edei suoi prodotti. Come sarebbe dunque possibile tale se-parazione se l’Anima constasse essa stessa del sattva, rajas,tamas? Converrebbe che si separasse dalla medesima suaessenza; ciò che non è possibile. Invece la separazione deldolore dall’Anima considerato come principio distinto nelquale esso non è che un’affezione sovrappositizia non hanulla di assurdo. Dunque anche questo induce a credereche l’Anima sia d’un’essenza diversa dalla Natura (Kaum.64; S. pr. bh. 153).

NOTA. Nei sutra III 20-22 e V 129 si respinge la teoria dei mate-rialisti (Carvakas) secondo i quali il pensiero non sarebbe che unafunzione risultante dall’organizzamento della materia. Ecco comequesta teoria viene esposta da Madhavacarya (Sarvadarçanasangrahap. 2-5): «Secondo questa scuola principii delle cose sono i quattroelementi, la terra, il fuoco, l’acqua e l’aria: e solo da questi quattroelementi aggregati nella forma di corpo è prodotto il pensiero, comeil potere inebriante è prodotto dalla miscela di certi ingredienti; e

92

Page 93: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

quando i detti elementi si disaggregano, perisce anche il pensiero.....Assumendo l’anima essere identica al corpo, le espressioni come:«Io sono sottile, io son nero» diventono intelligibili in quanto questiattributi (e cioè da un lato la personalità espressa con la parola «io»,dall’altro la qualità della sottigliezza ecc.) risiedono nello stesso sog-getto; e tali frasi come «il mio corpo, etc.» hanno solo un senso me-taforico». Il Sankhya oppone (S. Sutra III 20): «Il pensiero non ap-partiene essenzialmente al corpo perchè non si trova che esso sia neisingoli componenti del medesimo». Il pensiero non appartiene es-senzialmente ad alcuno degli elementi che costituiscono il corpopresi separatamente; quindi non può nemmeno appartenere al cor-po. Inoltre se il corpo fosse essenzialmente pensante non dovrebbeesservi nè sonno nè morte, perchè l’essenza d’una cosa permanetanto quanto la cosa stessa (S. Sutra III 21; S. pr. bh. 217).

Alcuno obbietterà: «Ma il pensiero può essere una risultante dellaaggregazione degli elementi come accade per es. nelle sostanze ve-nefiche composte d’ingredienti che presi ad uno ad uno non hannotal potere». Si risponde: il potere venefico esiste già in simili casi neisingoli ingredienti allo stato latente ed in occasione della miscela deimedesimi non fa che manifestarsi: ma perchè ciò fosse nel caso del-lo spirito e del corpo occorrerebbe che quello esistesse almeno giàallo stato latente nei singoli componenti del corpo medesimo: il chenon è provato (S. pr. bh. 216-218).

L’essenza di questo principio senziente è spiritualitàpura, coscienza pura (S. Sutra I 145; S. pr. bh. 153-154,356; Anir. 290; Markus 10-11, 17-18). L’argomentazione dicui il Sankhya si vale per stabilire l’essenza dell’Anima ri-posa come quella diretta a stabilire l’essenza della Naturasul principio di identificazione d’una qualità essenziale colsuo substrato. Poiché l’Anima ci si rivela nella spiritualitàdella vita cosciente, per il Sankhya è evidente che essa nonè altro che spiritualità pura. Essa non è quindi un principio

93

quando i detti elementi si disaggregano, perisce anche il pensiero.....Assumendo l’anima essere identica al corpo, le espressioni come:«Io sono sottile, io son nero» diventono intelligibili in quanto questiattributi (e cioè da un lato la personalità espressa con la parola «io»,dall’altro la qualità della sottigliezza ecc.) risiedono nello stesso sog-getto; e tali frasi come «il mio corpo, etc.» hanno solo un senso me-taforico». Il Sankhya oppone (S. Sutra III 20): «Il pensiero non ap-partiene essenzialmente al corpo perchè non si trova che esso sia neisingoli componenti del medesimo». Il pensiero non appartiene es-senzialmente ad alcuno degli elementi che costituiscono il corpopresi separatamente; quindi non può nemmeno appartenere al cor-po. Inoltre se il corpo fosse essenzialmente pensante non dovrebbeesservi nè sonno nè morte, perchè l’essenza d’una cosa permanetanto quanto la cosa stessa (S. Sutra III 21; S. pr. bh. 217).

Alcuno obbietterà: «Ma il pensiero può essere una risultante dellaaggregazione degli elementi come accade per es. nelle sostanze ve-nefiche composte d’ingredienti che presi ad uno ad uno non hannotal potere». Si risponde: il potere venefico esiste già in simili casi neisingoli ingredienti allo stato latente ed in occasione della miscela deimedesimi non fa che manifestarsi: ma perchè ciò fosse nel caso del-lo spirito e del corpo occorrerebbe che quello esistesse almeno giàallo stato latente nei singoli componenti del corpo medesimo: il chenon è provato (S. pr. bh. 216-218).

L’essenza di questo principio senziente è spiritualitàpura, coscienza pura (S. Sutra I 145; S. pr. bh. 153-154,356; Anir. 290; Markus 10-11, 17-18). L’argomentazione dicui il Sankhya si vale per stabilire l’essenza dell’Anima ri-posa come quella diretta a stabilire l’essenza della Naturasul principio di identificazione d’una qualità essenziale colsuo substrato. Poiché l’Anima ci si rivela nella spiritualitàdella vita cosciente, per il Sankhya è evidente che essa nonè altro che spiritualità pura. Essa non è quindi un principio

93

Page 94: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

di cui la spiritualità sia un attributo o, come i Vaiçeshikainsegnano, un principio cieco, non spirituale in cui in se-guito alla connessione con l’organo interno sorge quellaluce spirituale che diciamo coscienza. Questa teoria pare alSankhya un’inutile complicazione. Dicendo che l’Animasecondo la sua essenza è pura spiritualità tutti i singoli fattispirituali possono essere spiegati semplicemente mediantela connessione della loro sede materiale, dell’organo inter-no con l’Anima; e quindi è inutile il porre l’Anima comealcunché d’altro a cui si debba attribuire una qualità mani-festantesi come spiritualità. Nè il paragone col fuoco è cal-zante; perchè dal fatto che esso può sussistere anche senzache nello stesso tempo si percepisca la sua proprietà parti-colare che noi diciamo luce si inferisce che la luce ed ilfuoco sono cose distinte; ma siccome per contro l’Animanon è percepibile in noi in nessun modo quando non per-cepiamo nello stesso tempo la luce che significa conoscere(ossia quando il lume interno della coscienza è assente)così noi per semplicità ammettiamo una sostanza spiritua-le che è per sua essenza luce (ossia coscienza) senza ricor-rere al rapporto di qualità e soggetto della qualità. In sensoconforme la Tradizione dice: «Il conoscere non è in alcunmodo una proprietà dell’Anima nè una sua qualità: l’Ani-ma è il conoscere stesso ed è eterna, omnipresente, imper-turbata» (S. pr. bh. 154-155).

L’essere l’Anima pura coscienza non implica che essasia un principio conscio. «(Le anime) nell’estasi, nel sonnoprofondo e nella liberazione hanno la natura di Brahma»(S. Sutra V 116). Il che significa che lo stato dell’Anima

94

di cui la spiritualità sia un attributo o, come i Vaiçeshikainsegnano, un principio cieco, non spirituale in cui in se-guito alla connessione con l’organo interno sorge quellaluce spirituale che diciamo coscienza. Questa teoria pare alSankhya un’inutile complicazione. Dicendo che l’Animasecondo la sua essenza è pura spiritualità tutti i singoli fattispirituali possono essere spiegati semplicemente mediantela connessione della loro sede materiale, dell’organo inter-no con l’Anima; e quindi è inutile il porre l’Anima comealcunché d’altro a cui si debba attribuire una qualità mani-festantesi come spiritualità. Nè il paragone col fuoco è cal-zante; perchè dal fatto che esso può sussistere anche senzache nello stesso tempo si percepisca la sua proprietà parti-colare che noi diciamo luce si inferisce che la luce ed ilfuoco sono cose distinte; ma siccome per contro l’Animanon è percepibile in noi in nessun modo quando non per-cepiamo nello stesso tempo la luce che significa conoscere(ossia quando il lume interno della coscienza è assente)così noi per semplicità ammettiamo una sostanza spiritua-le che è per sua essenza luce (ossia coscienza) senza ricor-rere al rapporto di qualità e soggetto della qualità. In sensoconforme la Tradizione dice: «Il conoscere non è in alcunmodo una proprietà dell’Anima nè una sua qualità: l’Ani-ma è il conoscere stesso ed è eterna, omnipresente, imper-turbata» (S. pr. bh. 154-155).

L’essere l’Anima pura coscienza non implica che essasia un principio conscio. «(Le anime) nell’estasi, nel sonnoprofondo e nella liberazione hanno la natura di Brahma»(S. Sutra V 116). Il che significa che lo stato dell’Anima

94

Page 95: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

nell’esistenza assoluta ci si rivela, oltreché nella liberazio-ne, nell’estasi (incosciente) e nel sonno profondo, ossia èperfetta ed assoluta incoscienza. Ciò autorizza quindi incerto modo la spiegazione che dà Aniruddha nel com-mento al sutra VI 50 circa l’essenza dell’Anima. L’Anima,secondo Aniruddha, è detta essere di natura spirituale,constare di spiritualità perchè ci si rivela nella vita spiritua-le, ossia perchè quando i prodotti della Natura si aggrega-no nella forma di essere umano sorge in essi per virtùdell’Anima la conoscenza di ciò che non è l’Anima, la rap-presentazione degli esseri empirici. Ma definendo l’Animacome la spiritualità, la pura coscienza noi non diciamo al-tro che essa è ciò per cui questa rappresentazione sorge,non facciamo che distinguerla essenzialmente da tutti gliesseri che costituiscono il contenuto della rappresentazio-ne. Quindi la nostra definizione è una determinazione pu-ramente negativa la quale non attinge in alcun modol’essenza dell’Anima che rimane sempre per noi alcunchéd’indefinibile e d’inconcepibile.

A maggior ragione non appartengono all’Anima le per-cezioni, i desiderî, in una parola i fatti della vita interiore.L’Anima rispande la sua luce spirituale sui processidell’organo interno e li trasmuta in rappresentazioni, insentimenti, insomma in atti coscienti, ma questi non ap-partengono in nessun modo all’Anima. La ragione che ilSankhya ne adduce è duplice. In primo luogo sarebbe unacomplicazione inutile l’assumere anche l’Anima come cau-sa materiale di tali affezioni dal momento che noi ponia-mo già l’organo interno come substrato materiale delle

95

nell’esistenza assoluta ci si rivela, oltreché nella liberazio-ne, nell’estasi (incosciente) e nel sonno profondo, ossia èperfetta ed assoluta incoscienza. Ciò autorizza quindi incerto modo la spiegazione che dà Aniruddha nel com-mento al sutra VI 50 circa l’essenza dell’Anima. L’Anima,secondo Aniruddha, è detta essere di natura spirituale,constare di spiritualità perchè ci si rivela nella vita spiritua-le, ossia perchè quando i prodotti della Natura si aggrega-no nella forma di essere umano sorge in essi per virtùdell’Anima la conoscenza di ciò che non è l’Anima, la rap-presentazione degli esseri empirici. Ma definendo l’Animacome la spiritualità, la pura coscienza noi non diciamo al-tro che essa è ciò per cui questa rappresentazione sorge,non facciamo che distinguerla essenzialmente da tutti gliesseri che costituiscono il contenuto della rappresentazio-ne. Quindi la nostra definizione è una determinazione pu-ramente negativa la quale non attinge in alcun modol’essenza dell’Anima che rimane sempre per noi alcunchéd’indefinibile e d’inconcepibile.

A maggior ragione non appartengono all’Anima le per-cezioni, i desiderî, in una parola i fatti della vita interiore.L’Anima rispande la sua luce spirituale sui processidell’organo interno e li trasmuta in rappresentazioni, insentimenti, insomma in atti coscienti, ma questi non ap-partengono in nessun modo all’Anima. La ragione che ilSankhya ne adduce è duplice. In primo luogo sarebbe unacomplicazione inutile l’assumere anche l’Anima come cau-sa materiale di tali affezioni dal momento che noi ponia-mo già l’organo interno come substrato materiale delle

95

Page 96: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

medesime. In secondo luogo esse sono alcunché di pro-dotto, di passeggero, di mutabile: attribuire questi fattiall’Anima sarebbe introdurre nell’Assoluto il concetto delmutabile, del perituro che contraddice alla sua essenza. Vi-jnana ne adduce ancora un’altra ragione attinta all’autoritàdelle Scritture. Nel Bhagavadgitam (3. 27) ed altrove è det-to che causa della schiavitù è la rappresentazione: «Iosono, io agisco, io percepisco». Ora dacché, nell’ipotesiche i fatti interiori appartengano all’anima, tali rappresen-tazioni non sarebbero punto erronee, ne verrebbe non es-ser vero che la schiavitù sia distrutta dalla vera conoscen-za. Inoltre nella Svetasv. Up. (6. 11) l’Anima è chiamata «iltestimonio, il veggente, per sé esistente, senza qualità». Enella Nris. Up. (2, 1, 7, 8 ): «Lo spirito che è puro pensieronon agisce». È vero che vi sono dei passi nei quali si parladello spirito come conoscente tutto; ma tali passi sonoespressioni positive inadeguate e le Scritture stesse c’inse-gnano che le espressioni negative sono sempre le più vere:«Esso (lo spirito) non è così, non è così; perchè di più altoche questo «non è così» non vi è nulla» (Brihad. Up. 2. 5.6). Le espressioni: «io penso, io percepisco etc.» per quan-to sembrino dimostrare che è realmente l’io che pensa, chepercepisce etc. non debbono quindi avere alcun peso. Per-chè del resto se queste semplici espressioni basate sull’illu-sione avessero per noi maggior valore che non le argo-mentazioni o le testimonianze delle Scritture, allora perchèdall’espressione: «io sono giallo» non si dedurrebbe ancheche l’Anima è gialla? (S. pr. bh. 156-157).

Perciò errano anche i Vedantini i quali attribuiscono

96

medesime. In secondo luogo esse sono alcunché di pro-dotto, di passeggero, di mutabile: attribuire questi fattiall’Anima sarebbe introdurre nell’Assoluto il concetto delmutabile, del perituro che contraddice alla sua essenza. Vi-jnana ne adduce ancora un’altra ragione attinta all’autoritàdelle Scritture. Nel Bhagavadgitam (3. 27) ed altrove è det-to che causa della schiavitù è la rappresentazione: «Iosono, io agisco, io percepisco». Ora dacché, nell’ipotesiche i fatti interiori appartengano all’anima, tali rappresen-tazioni non sarebbero punto erronee, ne verrebbe non es-ser vero che la schiavitù sia distrutta dalla vera conoscen-za. Inoltre nella Svetasv. Up. (6. 11) l’Anima è chiamata «iltestimonio, il veggente, per sé esistente, senza qualità». Enella Nris. Up. (2, 1, 7, 8 ): «Lo spirito che è puro pensieronon agisce». È vero che vi sono dei passi nei quali si parladello spirito come conoscente tutto; ma tali passi sonoespressioni positive inadeguate e le Scritture stesse c’inse-gnano che le espressioni negative sono sempre le più vere:«Esso (lo spirito) non è così, non è così; perchè di più altoche questo «non è così» non vi è nulla» (Brihad. Up. 2. 5.6). Le espressioni: «io penso, io percepisco etc.» per quan-to sembrino dimostrare che è realmente l’io che pensa, chepercepisce etc. non debbono quindi avere alcun peso. Per-chè del resto se queste semplici espressioni basate sull’illu-sione avessero per noi maggior valore che non le argo-mentazioni o le testimonianze delle Scritture, allora perchèdall’espressione: «io sono giallo» non si dedurrebbe ancheche l’Anima è gialla? (S. pr. bh. 156-157).

Perciò errano anche i Vedantini i quali attribuiscono

96

Page 97: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

all’Anima la beatitudine. Anzitutto la beatitudine non èidentica col pensiero: perchè quando si sente dolore ilpensiero sussiste, non la beatitudine: e perciò sono duecose distinte. Nè si può dire che la beatitudine ed il pensie-ro siano una cosa sola ma che nel dolore questo perman-ga, quella venga sopraffatta, perchè a causa dell’indivisibileunità dell’Anima dovrebbero o scomparire amendue opermanere amendue. Ed inoltre: la beatitudine sarebbesentita nel tempo della liberazione o non? Nel primo casoda chi sarebbe sentita? Non dall’Anima perchè questa nonpuò essere ad un tempo soggetto ed oggetto, E nel secon-do caso qual senso avrebbe ancora l’espressione che il Sè èessenzialmente beato? Noi dobbiamo dunque ritenere chel’Anima non è nè beata nè non beata; e quanto a quei passidelle Scritture che attribuiscono all’Anima la beatitudinenoi dobbiamo riguardarli o come riferentisi all’organo in-terno, o come espressioni inadeguate per disegnare la ces-sazione del dolore, o infine come espressioni usate a bellaposta per adattarsi alla mente del volgare (Anir. 218-221;291-292; S. pr. bh. 299-301; Markus 16).

«Le Anime, dice il sutra I 160, sono molte e tutte ugua-li».

La ragione che il Sankhya adduce della pluralità delleAnime è in fondo lo stesso argomento che da Alberto Ma-gno e Tommaso d’Aquino viene opposto ad Averroe econsiste in ultima analisi nella asserzione dell’indivisibilitàdella coscienza. «La molteplicità delle Anime conseguedalla scompartizione della nascita, della morte e degli or-gani, dal non identico agire non meno che dalle differenti

97

all’Anima la beatitudine. Anzitutto la beatitudine non èidentica col pensiero: perchè quando si sente dolore ilpensiero sussiste, non la beatitudine: e perciò sono duecose distinte. Nè si può dire che la beatitudine ed il pensie-ro siano una cosa sola ma che nel dolore questo perman-ga, quella venga sopraffatta, perchè a causa dell’indivisibileunità dell’Anima dovrebbero o scomparire amendue opermanere amendue. Ed inoltre: la beatitudine sarebbesentita nel tempo della liberazione o non? Nel primo casoda chi sarebbe sentita? Non dall’Anima perchè questa nonpuò essere ad un tempo soggetto ed oggetto, E nel secon-do caso qual senso avrebbe ancora l’espressione che il Sè èessenzialmente beato? Noi dobbiamo dunque ritenere chel’Anima non è nè beata nè non beata; e quanto a quei passidelle Scritture che attribuiscono all’Anima la beatitudinenoi dobbiamo riguardarli o come riferentisi all’organo in-terno, o come espressioni inadeguate per disegnare la ces-sazione del dolore, o infine come espressioni usate a bellaposta per adattarsi alla mente del volgare (Anir. 218-221;291-292; S. pr. bh. 299-301; Markus 16).

«Le Anime, dice il sutra I 160, sono molte e tutte ugua-li».

La ragione che il Sankhya adduce della pluralità delleAnime è in fondo lo stesso argomento che da Alberto Ma-gno e Tommaso d’Aquino viene opposto ad Averroe econsiste in ultima analisi nella asserzione dell’indivisibilitàdella coscienza. «La molteplicità delle Anime conseguedalla scompartizione della nascita, della morte e degli or-gani, dal non identico agire non meno che dalle differenti

97

Page 98: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

condizioni dei tre costituenti» (Kar. 18; cfr. S. Sutra I 149,VI 45). Se non vi fosse che un’Anima sola, quando alcunonasce tutti nascerebbero, quando alcuno muore tutti mor-rebbero, quando alcuno diventa cieco, sordo, ecc. tutti do-vrebbero risentirsene ugualmente; quando alcuno agisce inquesto o quel modo tutti dovrebbero contemporaneamen-te agire nello stesso modo; quando alcuno è beato tuttidovrebbero egualmente essere beati, ecc. La nascita, lamorte, gli organi, l’agire, le differenti condizioni dei tre co-stituenti sebbene non appartengano realmente all’Animavengono però alla coscienza per mezzo dell’Anima ed invirtù, anzi nel seno stesso, per così dire, della sua spiritua-lità; ed è evidente che la stessa Anima non potrebbe ri-specchiare in sè, ossia avvolgere della sua luce coscienteche è una affezioni contemporaneamente diverse anzi op-poste (S.pr.bh. 160-161,164-165). Nè varrebbe all’uopo dispiegare la pluralità delle coscienze ammettere la distinzio-ne delle coscienze dell’Anima unica tra sè stesse e tra sè el’anima; perchè allora essendo le singole coscienze alcun-ché di diverso dall’Anima, non si spiegherebbe come maipossano essere alcunché di spirituale (S. pr. bh. 163). Sefosse vero inoltre che un’Anima sola esiste e che la diversi-tà delle anime empiriche non si fonda che sulla diversifica-zione dell’Anima unica nei vari aggregati materiali, po-tremmo domandare: Le anime empiriche sono per voi al-cunché di realmente distinto fra loro o no? Se sono distin-te si ammette la pluralità delle anime; se non sono tali, os-sia se la diversità delle anime riposa unicamente sulla di-versità degli organi interni, cessando questi di esistere nel

98

condizioni dei tre costituenti» (Kar. 18; cfr. S. Sutra I 149,VI 45). Se non vi fosse che un’Anima sola, quando alcunonasce tutti nascerebbero, quando alcuno muore tutti mor-rebbero, quando alcuno diventa cieco, sordo, ecc. tutti do-vrebbero risentirsene ugualmente; quando alcuno agisce inquesto o quel modo tutti dovrebbero contemporaneamen-te agire nello stesso modo; quando alcuno è beato tuttidovrebbero egualmente essere beati, ecc. La nascita, lamorte, gli organi, l’agire, le differenti condizioni dei tre co-stituenti sebbene non appartengano realmente all’Animavengono però alla coscienza per mezzo dell’Anima ed invirtù, anzi nel seno stesso, per così dire, della sua spiritua-lità; ed è evidente che la stessa Anima non potrebbe ri-specchiare in sè, ossia avvolgere della sua luce coscienteche è una affezioni contemporaneamente diverse anzi op-poste (S.pr.bh. 160-161,164-165). Nè varrebbe all’uopo dispiegare la pluralità delle coscienze ammettere la distinzio-ne delle coscienze dell’Anima unica tra sè stesse e tra sè el’anima; perchè allora essendo le singole coscienze alcun-ché di diverso dall’Anima, non si spiegherebbe come maipossano essere alcunché di spirituale (S. pr. bh. 163). Sefosse vero inoltre che un’Anima sola esiste e che la diversi-tà delle anime empiriche non si fonda che sulla diversifica-zione dell’Anima unica nei vari aggregati materiali, po-tremmo domandare: Le anime empiriche sono per voi al-cunché di realmente distinto fra loro o no? Se sono distin-te si ammette la pluralità delle anime; se non sono tali, os-sia se la diversità delle anime riposa unicamente sulla di-versità degli organi interni, cessando questi di esistere nel

98

Page 99: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

tempo della liberazione cesserebbe di esistere anche l’ani-ma: e quindi a che fine la liberazione? (S. pr. bh. 162).

Ma si obbietterà, ammessa la pluralità delle Anime, poi-ché un gran numero di queste è pervenuta nel passato allaliberazione ed un gran numero vi perviene continuamente,non finirà per esservi un vuoto universale? No, risponde ilsutra I 158; perchè dal momento che ciò non è accadutonella infinità del passato non avrà luogo nemmeno nel fu-turo a causa del numero infinito delle Anime. «Sebbenequelli (dice un passo della Tradizione citato da Aniruddha)che giungono alla verità siano continuamente liberati nonvi sarà il vuoto perchè il numero degli esseri che sono nelmondo è infinito» (Anir. 85-86).

NOTA. Vijnana si preoccupa anche di riattaccare la dottrina dellapluralità delle Anime alle Scritture dicendo che i passi di queste iquali parlano dell’unità dell’Anima non alludono che all’unità generi-ca, non all’unità numerica (S. pr. bh. 166-172). Oppure essi si espri-mono così imperfettamente per adattarsi alla mente del volgare, nondal punto di vista assoluto (S. pr. bh. 297-298, 357).

I caratteri che il Sankhya attribuisce all’Anima sono,astrazion fatta dalla molteplicità, quelli stessi che la specu-lazione indiana comunemente annette al concettodell’Assoluto.

Essa è im perturbata e pura ossia non affetta da al-cunché di esterno ad essa, perchè se essa potesse andarsoggetta a perturbazioni, non si vede ragione per cui nonpotrebbe, anche dopo la liberazione, essere nuovamenteoppressa dal dolore (S. Sutra I 12-18). Essa è im mutabileperchè se fosse mutabile la sua spiritualità dovrebbe andar

99

tempo della liberazione cesserebbe di esistere anche l’ani-ma: e quindi a che fine la liberazione? (S. pr. bh. 162).

Ma si obbietterà, ammessa la pluralità delle Anime, poi-ché un gran numero di queste è pervenuta nel passato allaliberazione ed un gran numero vi perviene continuamente,non finirà per esservi un vuoto universale? No, risponde ilsutra I 158; perchè dal momento che ciò non è accadutonella infinità del passato non avrà luogo nemmeno nel fu-turo a causa del numero infinito delle Anime. «Sebbenequelli (dice un passo della Tradizione citato da Aniruddha)che giungono alla verità siano continuamente liberati nonvi sarà il vuoto perchè il numero degli esseri che sono nelmondo è infinito» (Anir. 85-86).

NOTA. Vijnana si preoccupa anche di riattaccare la dottrina dellapluralità delle Anime alle Scritture dicendo che i passi di queste iquali parlano dell’unità dell’Anima non alludono che all’unità generi-ca, non all’unità numerica (S. pr. bh. 166-172). Oppure essi si espri-mono così imperfettamente per adattarsi alla mente del volgare, nondal punto di vista assoluto (S. pr. bh. 297-298, 357).

I caratteri che il Sankhya attribuisce all’Anima sono,astrazion fatta dalla molteplicità, quelli stessi che la specu-lazione indiana comunemente annette al concettodell’Assoluto.

Essa è im perturbata e pura ossia non affetta da al-cunché di esterno ad essa, perchè se essa potesse andarsoggetta a perturbazioni, non si vede ragione per cui nonpotrebbe, anche dopo la liberazione, essere nuovamenteoppressa dal dolore (S. Sutra I 12-18). Essa è im mutabileperchè se fosse mutabile la sua spiritualità dovrebbe andar

99

Page 100: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

soggetta ad offuscamenti o anche ad un oscuramento to-tale; per cui, pur permanendo l’organo interno nelle con-dizioni normali, dovrebbe sorgere in noi il dubbio: Cono-sco io o non? Gioisco io o non? oppure tali affezioni do-vrebbero passare affatto inosservate. Ora noi vediamo cheper tutto il tempo che la connessione dura le affezionidell’organo interno si ripercuotono sempre d’un modo co-stante ed uguale nell’anima perchè tutte pervengono uni-formemente alla coscienza. Quindi da ciò noi deduciamoche essa è immutabile, che essa permane sempre uguale asè stessa come una luce serena e tranquilla il cui splendorenon si offusca nè si altera mai (S. pr. bh. 94-95, 334; Mar-kus 9-10). Essa è eterna perchè non avendo avuto princi-pio non avrà mai fine; ed onnipresente ossia illimitataperché se fosse limitata sarebbe spazialmente estesa, es-sendo estesa consterebbe di parti, constando di parti sa-rebbe un prodotto e perciò sarebbe peritura (S. pr. bh. 52).Bhag. Gita (2 24): «Essa (l’Anima) è eterna, omnipresente,invariabile».

Essendo assolutamente straniera al dolore, alla gioia eda tutte le altre affezioni l’Anima è eternamente libera; èso litaria perchè nella sua esistenza impersonale ogni cosaè per lei come se non esistesse: quindi è anche inattivanon essendovi per lei nè ragione, nè possibilità di agire. Leimagini delle cose per mezzo delle impressioni materiali siriflettono tranquillamente in lei come in uno specchio sen-za offuscarne la limpidezza; tutte le forme dell’esistenza siagitano intorno a lei travolte dal loro destino nel turbinedoloroso delle esistenze: ma la loro miseria non la tange;

100

soggetta ad offuscamenti o anche ad un oscuramento to-tale; per cui, pur permanendo l’organo interno nelle con-dizioni normali, dovrebbe sorgere in noi il dubbio: Cono-sco io o non? Gioisco io o non? oppure tali affezioni do-vrebbero passare affatto inosservate. Ora noi vediamo cheper tutto il tempo che la connessione dura le affezionidell’organo interno si ripercuotono sempre d’un modo co-stante ed uguale nell’anima perchè tutte pervengono uni-formemente alla coscienza. Quindi da ciò noi deduciamoche essa è immutabile, che essa permane sempre uguale asè stessa come una luce serena e tranquilla il cui splendorenon si offusca nè si altera mai (S. pr. bh. 94-95, 334; Mar-kus 9-10). Essa è eterna perchè non avendo avuto princi-pio non avrà mai fine; ed onnipresente ossia illimitataperché se fosse limitata sarebbe spazialmente estesa, es-sendo estesa consterebbe di parti, constando di parti sa-rebbe un prodotto e perciò sarebbe peritura (S. pr. bh. 52).Bhag. Gita (2 24): «Essa (l’Anima) è eterna, omnipresente,invariabile».

Essendo assolutamente straniera al dolore, alla gioia eda tutte le altre affezioni l’Anima è eternamente libera; èso litaria perchè nella sua esistenza impersonale ogni cosaè per lei come se non esistesse: quindi è anche inattivanon essendovi per lei nè ragione, nè possibilità di agire. Leimagini delle cose per mezzo delle impressioni materiali siriflettono tranquillamente in lei come in uno specchio sen-za offuscarne la limpidezza; tutte le forme dell’esistenza siagitano intorno a lei travolte dal loro destino nel turbinedoloroso delle esistenze: ma la loro miseria non la tange;

100

Page 101: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

essa vi assiste spettatrice impassibile «come un asceta cherimane astratto e solitario mentre intorno a lui ferve l’ope-ra dei contadini intenti ai loro lavori».

Poiché l’Anima è e permane eternamente pura, libera,illimitata, immutabile, è evidente che essa non è il soggettodella schiavitù del dolore. Questa impossibilità di attribuireall’Anima il dolore, oltre che dal concetto dell’Assolutoquale è stato posto fin da principio, risulta, secondo il San-khya, dalle considerazioni seguenti. L’Anima non può ave-re come qualità essenziale il dolore perchè ciò che è essen-ziale ad alcunché non può esserne disgiunto e dura finchédura la cosa stessa. Può forse il fuoco essere liberato dalcalore che gli è essenzialmente connesso? «Se il Sè (dice unpasso del Kurma Purana) fosse nella sua essenza macchia-to, impuro, soggetto ad alterazione non vi sarebbe peresso liberazione anche dopo centinaia di rinascite». (Anir.93; S. Sutra I 7, S. pr. bh. 21-24, 338). E nemmeno il dolo-re può esservi causato da alcuna delle cause esternamenteagenti, perchè in tal caso l’Anima sarebbe eternamente inbalia dei loro dolorosi effetti. Il tempo p. es. condizionabensì i rapporti sotto cui la schiavitù sussiste; ma non puòessere causa diretta di dolore all’Anima perchè il tempoche è eterno ed omnipresente affetta tutte le cose e perciòè connesso con tutte le Anime, liberate e non liberate. Seesso causasse la schiavitù dell’Anima, questa sussisterebbein eterno. Lo stesso si dica dello spazio che è in rapportoegualmente con tutte le anime, liberate e non liberate (S. S.I 12-13; S. pr. bh. 25-26). E nemmeno può la schiavitùprocedere da una qualunque condizion materiale o dalle

101

essa vi assiste spettatrice impassibile «come un asceta cherimane astratto e solitario mentre intorno a lui ferve l’ope-ra dei contadini intenti ai loro lavori».

Poiché l’Anima è e permane eternamente pura, libera,illimitata, immutabile, è evidente che essa non è il soggettodella schiavitù del dolore. Questa impossibilità di attribuireall’Anima il dolore, oltre che dal concetto dell’Assolutoquale è stato posto fin da principio, risulta, secondo il San-khya, dalle considerazioni seguenti. L’Anima non può ave-re come qualità essenziale il dolore perchè ciò che è essen-ziale ad alcunché non può esserne disgiunto e dura finchédura la cosa stessa. Può forse il fuoco essere liberato dalcalore che gli è essenzialmente connesso? «Se il Sè (dice unpasso del Kurma Purana) fosse nella sua essenza macchia-to, impuro, soggetto ad alterazione non vi sarebbe peresso liberazione anche dopo centinaia di rinascite». (Anir.93; S. Sutra I 7, S. pr. bh. 21-24, 338). E nemmeno il dolo-re può esservi causato da alcuna delle cause esternamenteagenti, perchè in tal caso l’Anima sarebbe eternamente inbalia dei loro dolorosi effetti. Il tempo p. es. condizionabensì i rapporti sotto cui la schiavitù sussiste; ma non puòessere causa diretta di dolore all’Anima perchè il tempoche è eterno ed omnipresente affetta tutte le cose e perciòè connesso con tutte le Anime, liberate e non liberate. Seesso causasse la schiavitù dell’Anima, questa sussisterebbein eterno. Lo stesso si dica dello spazio che è in rapportoegualmente con tutte le anime, liberate e non liberate (S. S.I 12-13; S. pr. bh. 25-26). E nemmeno può la schiavitùprocedere da una qualunque condizion materiale o dalle

101

Page 102: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

opere; perchè così le condizioni esteriori come le opereappartengono esclusivamente alla nostra personalità empi-rica e non si riferiscono in nessun modo direttamenteall’Anima. «L’Anima permane imperturbata» dice il Sutra I15 ripetendo un passo della Brihad. Up. (4, 3, 16). Nessu-na cosa la tocca, l’affetta realmente; essa è come una fogliadi loto che non si bagna anche se è immersa nell’acqua (S.pr. bh. 26-27). Se la schiavitù potesse sorgere nell’Animada condizioni appartenenti al mondo empirico, non sivede ragione per cui essa non potrebbe in qualunqueistante essere oppressa dal dolore. Inoltre (salvo che si vo-lesse ammettere che l’efficacia delle opere si riversi senzadistinzione sulle Anime di tutti), la schiavitù dovrebbe es-sere prodotta direttamente in ogni Anima per le opere delrispettivo organo interno. Ma allora come mai nel sonnoprofondo e nel deliquio (duranti i quali l’organo internopersiste) e nel periodo della dissoluzione universale (du-rante il quale l’organo interno persiste nello stato di indi-stinto) l’Anima non è soggetta alla schiavitù del dolore? (S.S. I 16; S. pr. bh. 27, Anir. 11-12). Nè infine può l’Animaessere affetta direttamente dal principio generale della vitaempirica, ossia dalla Natura; perchè questa, essendo eternaed omnipresente, dovrebbe causare una schiavitù eterna atutte le Anime; schiavitù che dovrebbe persistere anchedurante il sonno e stati analoghi nei quali pur sappiamol’Anima essere libera dal dolore (S. S. I 18; S. pr. bh. 28-29).

Ciò nonostante, sebbene il dolore non esista nella suaoggettiva realtà nell’Anima, questa non è destituita d’ogni

102

opere; perchè così le condizioni esteriori come le opereappartengono esclusivamente alla nostra personalità empi-rica e non si riferiscono in nessun modo direttamenteall’Anima. «L’Anima permane imperturbata» dice il Sutra I15 ripetendo un passo della Brihad. Up. (4, 3, 16). Nessu-na cosa la tocca, l’affetta realmente; essa è come una fogliadi loto che non si bagna anche se è immersa nell’acqua (S.pr. bh. 26-27). Se la schiavitù potesse sorgere nell’Animada condizioni appartenenti al mondo empirico, non sivede ragione per cui essa non potrebbe in qualunqueistante essere oppressa dal dolore. Inoltre (salvo che si vo-lesse ammettere che l’efficacia delle opere si riversi senzadistinzione sulle Anime di tutti), la schiavitù dovrebbe es-sere prodotta direttamente in ogni Anima per le opere delrispettivo organo interno. Ma allora come mai nel sonnoprofondo e nel deliquio (duranti i quali l’organo internopersiste) e nel periodo della dissoluzione universale (du-rante il quale l’organo interno persiste nello stato di indi-stinto) l’Anima non è soggetta alla schiavitù del dolore? (S.S. I 16; S. pr. bh. 27, Anir. 11-12). Nè infine può l’Animaessere affetta direttamente dal principio generale della vitaempirica, ossia dalla Natura; perchè questa, essendo eternaed omnipresente, dovrebbe causare una schiavitù eterna atutte le Anime; schiavitù che dovrebbe persistere anchedurante il sonno e stati analoghi nei quali pur sappiamol’Anima essere libera dal dolore (S. S. I 18; S. pr. bh. 28-29).

Ciò nonostante, sebbene il dolore non esista nella suaoggettiva realtà nell’Anima, questa non è destituita d’ogni

102

Page 103: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

rapporto col mondo del dolore. La necessità di questaconnessione dell’Anima coll’esistenza empirica appare alSankhya come un’evitabile conseguenza del principiodell’indivisibilità della coscienza. Se l’Anima fosse assolu-tamente straniera alla vita empirica dell’individuo, essendoinconcepibile che nel seno della Natura unica si producauna pluralità di coscienze, la molteplicità del sentire neivari individui sarebbe inspiegabile. (S. Sutra I 17: «La mol-teplicità del sentire sarebbe inspiegabile se (la schiavitù)appartenesse ad un altro (cioè al solo principio empirico,alla sola parte materiale del nostro essere)».

Resta quindi che dopo d’aver trattato dell’Anima in sénoi trattiamo dell’Anima nei suoi rapporti con l’esistenzaattuale e dell’io empirico che è il prodotto della connessio-ne dell’Anima con i principii empirici. Noi lascieremo daparte per ora ogni questione sulla causa di questi rapporti,ne ci fermeremo a ricercare perchè accanto all’Anima sus-sista l’io empirico; ma ci occuperemo unicamente di ri-spondere alle due seguenti domande: Come è costituito laparte materiale della nostra personalità empirica? Quale èil rapporto che è stabilito tra essa e l’Anima ed in qualmodo dalla loro, unione sorge il nostro io attuale?

Tutti gli individui che vivono nel mondo empirico con-stano secondo il Sankhya di tre parti; il corpo materiale (ins. s.), il corpo sottile, l’Anima.

Il corpo materiale è il corpo generato e perituro costi-tuito dagli elementi grossolani che noi designiamo ordina-riamente con la parola «corpo».

Secondo alcuni esso consta di tutti e cinque gli elemen-

103

rapporto col mondo del dolore. La necessità di questaconnessione dell’Anima coll’esistenza empirica appare alSankhya come un’evitabile conseguenza del principiodell’indivisibilità della coscienza. Se l’Anima fosse assolu-tamente straniera alla vita empirica dell’individuo, essendoinconcepibile che nel seno della Natura unica si producauna pluralità di coscienze, la molteplicità del sentire neivari individui sarebbe inspiegabile. (S. Sutra I 17: «La mol-teplicità del sentire sarebbe inspiegabile se (la schiavitù)appartenesse ad un altro (cioè al solo principio empirico,alla sola parte materiale del nostro essere)».

Resta quindi che dopo d’aver trattato dell’Anima in sénoi trattiamo dell’Anima nei suoi rapporti con l’esistenzaattuale e dell’io empirico che è il prodotto della connessio-ne dell’Anima con i principii empirici. Noi lascieremo daparte per ora ogni questione sulla causa di questi rapporti,ne ci fermeremo a ricercare perchè accanto all’Anima sus-sista l’io empirico; ma ci occuperemo unicamente di ri-spondere alle due seguenti domande: Come è costituito laparte materiale della nostra personalità empirica? Quale èil rapporto che è stabilito tra essa e l’Anima ed in qualmodo dalla loro, unione sorge il nostro io attuale?

Tutti gli individui che vivono nel mondo empirico con-stano secondo il Sankhya di tre parti; il corpo materiale (ins. s.), il corpo sottile, l’Anima.

Il corpo materiale è il corpo generato e perituro costi-tuito dagli elementi grossolani che noi designiamo ordina-riamente con la parola «corpo».

Secondo alcuni esso consta di tutti e cinque gli elemen-

103

Page 104: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

ti; secondo altri di tutti eccetto l’etere; secondo altri infineesso consterebbe d’un solo elemento (S. Sutra III 17-19).L’ultimo asserto può ancora essere interpretato in duemodi: o nel senso che l’elemento costitutivo del corpo siauno degli elementi senza specificare quale; potendosi direche il corpo degli animali e degli uomini sia composto diterra perché in esso le particelle terree sovrabbondano eche invece quello degli dei celesti, aerei, acquei etc. constidi luce, d’aria, d’acqua etc. prevalendo in essi le parti lumi-nose, acquee, aeree etc.; o invece nel senso che l’elementocostitutivo di tutti i corpi sia la terra e che gli altri elementivi entrino solo secondariamente. A questa opinione si ac-costa l’autore dei Sutra nel secolo V 112: «In tutti i corpi laterra è l’elemento costitutivo per le sue particolari proprie-tà». Le quali consistono secondo Vijnana nella maggiorquantità e nella capacità di ricettare in sè gli altri elementi.Con ciò non viene però escluso il concorso degli altri ele-menti nella formazione del corpo; ma essi non fanno checooperare alla stabilità del medesimo (S. pr. bh. 316 enota; S. Sutra V 102, Gaudap. 123).

I modi di generazione o meglio di produzione del cor-po materiale sono sei. Possono essere prodotti dal calore,come quello delle zanzare e simili; dall’uovo come quellodegli uccelli e dei rettili; dal seno materno come quello de-gli uomini; del seme come quello delle piante; dalla volon-tà come quello di Saunaka (figlio del dio Brahma il qualevenne all’esistenza in forza del puro volere di suo padre); einfine dalla forza sovrannaturale come quelli che sonoprodotti dagli scongiuri, dalla potenza degli asceti etc. (S.

104

ti; secondo altri di tutti eccetto l’etere; secondo altri infineesso consterebbe d’un solo elemento (S. Sutra III 17-19).L’ultimo asserto può ancora essere interpretato in duemodi: o nel senso che l’elemento costitutivo del corpo siauno degli elementi senza specificare quale; potendosi direche il corpo degli animali e degli uomini sia composto diterra perché in esso le particelle terree sovrabbondano eche invece quello degli dei celesti, aerei, acquei etc. constidi luce, d’aria, d’acqua etc. prevalendo in essi le parti lumi-nose, acquee, aeree etc.; o invece nel senso che l’elementocostitutivo di tutti i corpi sia la terra e che gli altri elementivi entrino solo secondariamente. A questa opinione si ac-costa l’autore dei Sutra nel secolo V 112: «In tutti i corpi laterra è l’elemento costitutivo per le sue particolari proprie-tà». Le quali consistono secondo Vijnana nella maggiorquantità e nella capacità di ricettare in sè gli altri elementi.Con ciò non viene però escluso il concorso degli altri ele-menti nella formazione del corpo; ma essi non fanno checooperare alla stabilità del medesimo (S. pr. bh. 316 enota; S. Sutra V 102, Gaudap. 123).

I modi di generazione o meglio di produzione del cor-po materiale sono sei. Possono essere prodotti dal calore,come quello delle zanzare e simili; dall’uovo come quellodegli uccelli e dei rettili; dal seno materno come quello de-gli uomini; del seme come quello delle piante; dalla volon-tà come quello di Saunaka (figlio del dio Brahma il qualevenne all’esistenza in forza del puro volere di suo padre); einfine dalla forza sovrannaturale come quelli che sonoprodotti dagli scongiuri, dalla potenza degli asceti etc. (S.

104

Page 105: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Sutra V 111; S. pr. bh. 321-322).La vita organica del corpo materiale è sostenuta dai cin-

que spiriti vitali i quali procedono dall’organo interno o,secondo Gaudapada, da tutti e tredici gli organi. Essi eb-bero il nome di spiriti vitali probabilmente dalla superficia-le analogia che l’osservazione volgare riscontra fra il modod’agire delle sostanze aeree ed i fenomeni in cui si estrinse-cano le più importanti funzioni della vita organica (come ilrespiro, la pulsazione delle arterie etc.), ma non sono vera-mente, nota Vijnana, che le cinque funzioni in cui si speci-fica l’attività fisiologica dell’organo interno (S. pr. bh. 196-197; Wilson 103).

Il corpo so ttile o linga è un particolare corpo o vei-colo impalpabile, invisibile, sottilissimo, che per così direavviluppa l’Anima in ogni stadio dell’esistenza e l’accom-pagna fino alla sua separazione della Natura, laddove ilcorpo materiale ad ogni migrazione si dissolve e perisce.Questa specie di corpo astrale o perispirito è compostodei prodotti più sottili della Natura, dell’intelletto, dell’aha-mkara, del manas, dei dieci organi e dei cinque elementisottili; è intimamente connesso con l’Anima di cui è il mi-nistro, ma separato dal corpo che è prodotto nel seno del-la madre; ed accompagna l’Anima in tutte le sue migrazio-ni dal cielo d’Indra fino alle forme più vili dell’esistenza.Anzi si può dire che esso è il vero corpo, perchè esso è lasede della sensazione (Karika 40); e il vocabolo «corpo»non viene applicato al corpo materiale se non perchè è ilricettacolo di quello (S. pr. bh. 210, 211, 212). Esso attra-versa i mondi delle esistenze invariato nella sua essenza (S.

105

Sutra V 111; S. pr. bh. 321-322).La vita organica del corpo materiale è sostenuta dai cin-

que spiriti vitali i quali procedono dall’organo interno o,secondo Gaudapada, da tutti e tredici gli organi. Essi eb-bero il nome di spiriti vitali probabilmente dalla superficia-le analogia che l’osservazione volgare riscontra fra il modod’agire delle sostanze aeree ed i fenomeni in cui si estrinse-cano le più importanti funzioni della vita organica (come ilrespiro, la pulsazione delle arterie etc.), ma non sono vera-mente, nota Vijnana, che le cinque funzioni in cui si speci-fica l’attività fisiologica dell’organo interno (S. pr. bh. 196-197; Wilson 103).

Il corpo so ttile o linga è un particolare corpo o vei-colo impalpabile, invisibile, sottilissimo, che per così direavviluppa l’Anima in ogni stadio dell’esistenza e l’accom-pagna fino alla sua separazione della Natura, laddove ilcorpo materiale ad ogni migrazione si dissolve e perisce.Questa specie di corpo astrale o perispirito è compostodei prodotti più sottili della Natura, dell’intelletto, dell’aha-mkara, del manas, dei dieci organi e dei cinque elementisottili; è intimamente connesso con l’Anima di cui è il mi-nistro, ma separato dal corpo che è prodotto nel seno del-la madre; ed accompagna l’Anima in tutte le sue migrazio-ni dal cielo d’Indra fino alle forme più vili dell’esistenza.Anzi si può dire che esso è il vero corpo, perchè esso è lasede della sensazione (Karika 40); e il vocabolo «corpo»non viene applicato al corpo materiale se non perchè è ilricettacolo di quello (S. pr. bh. 210, 211, 212). Esso attra-versa i mondi delle esistenze invariato nella sua essenza (S.

105

Page 106: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

pr. bh. 321), assumendo la forma ora d’una pianta, orad’un animale, ora d’un uomo, ora d’un dio, come un attoreche assume diverse parti l’una dopo l’altra (Haum. 86).Esso è primitivo, ossia sbocciato dal seno della Natura perogni singola Anima fin dal principio di ogni creazione; co-stante, ossia duraturo fino alla dissoluzione finale chechiude ognuno dei periodi dell’esistenza universale: non li-mitato, ossia non impedito a causa della sua estrema sotti-gliezza da alcuna sostanza materiale. Esso non è tuttaviaomnipresente come l’Anima. Perchè noi apprendiamo dal-le Scritture che esso migra: ora se fosse omnipresente nonpotrebbe migrare. S. Sutra III 14: «Esso è di limitata esten-sione perchè le Scritture parlano del suo migrare» (Anir.117, S. pr. bh. 214-302). Inintelligente, straniero alla gioiaed al dolore, esso è tuttavia la sede della sensazione, il ri-cettacolo della gioia e del dolore che in esso solo realmen-te esistono, ma che l’Anima sola sente. «La sensazione chenoi diciamo piacere o dolore appartiene al linga e non alcorpo grossolano: perchè tutti convengono in ciò che inun corpo morto non hanno più luogo nè piacere nè dolo-re» (S. pr. bh. 209). Il merito ed il demerito delle azionicommesse si imprimono in lui e ne predeterminano fatal-mente il futuro cammino, lo dirigono nelle sue migrazioniverso uno stato od un altro delle esistenze. Le une lo ele-vano ai mondi superiori, le altre lo abbassano e lo allonta-nano dalla liberazione (S. pr. bh. 201, 207).

Esso è sostenuto in tutte le sue migrazioni dal corpomateriale perchè di per sè solo non potrebbe sussistere.Essendo di natura luminosa (perchè vi predomina il satt-

106

pr. bh. 321), assumendo la forma ora d’una pianta, orad’un animale, ora d’un uomo, ora d’un dio, come un attoreche assume diverse parti l’una dopo l’altra (Haum. 86).Esso è primitivo, ossia sbocciato dal seno della Natura perogni singola Anima fin dal principio di ogni creazione; co-stante, ossia duraturo fino alla dissoluzione finale chechiude ognuno dei periodi dell’esistenza universale: non li-mitato, ossia non impedito a causa della sua estrema sotti-gliezza da alcuna sostanza materiale. Esso non è tuttaviaomnipresente come l’Anima. Perchè noi apprendiamo dal-le Scritture che esso migra: ora se fosse omnipresente nonpotrebbe migrare. S. Sutra III 14: «Esso è di limitata esten-sione perchè le Scritture parlano del suo migrare» (Anir.117, S. pr. bh. 214-302). Inintelligente, straniero alla gioiaed al dolore, esso è tuttavia la sede della sensazione, il ri-cettacolo della gioia e del dolore che in esso solo realmen-te esistono, ma che l’Anima sola sente. «La sensazione chenoi diciamo piacere o dolore appartiene al linga e non alcorpo grossolano: perchè tutti convengono in ciò che inun corpo morto non hanno più luogo nè piacere nè dolo-re» (S. pr. bh. 209). Il merito ed il demerito delle azionicommesse si imprimono in lui e ne predeterminano fatal-mente il futuro cammino, lo dirigono nelle sue migrazioniverso uno stato od un altro delle esistenze. Le une lo ele-vano ai mondi superiori, le altre lo abbassano e lo allonta-nano dalla liberazione (S. pr. bh. 201, 207).

Esso è sostenuto in tutte le sue migrazioni dal corpomateriale perchè di per sè solo non potrebbe sussistere.Essendo di natura luminosa (perchè vi predomina il satt-

106

Page 107: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

va) deve come il sole trovarsi in stretta connessione conuna massa materiale (S. Sutra III, 13). Il corpo materiale èinoltre necessario al linga per manifestarsi e per agire. Illinga è soggetto alla gioia ed al dolore solo in quanto èconnesso con il corpo materiale; non perchè esso non siain astratto capace di gioia e di dolore (che anzi esso solo èla sede dell’uno e dell’altro); ma perchè è necessario il cor-po materiale affinchè esso possa trovarsi in queste o quellecircostanze che saranno per lui fonte di piacere e di dolore(Kaum. 84). Vijnana osserva anzi che nel breve tratto checorre tra un’esistenza e la successiva non si può dare sen-sazione alcuna non esistendovi corpo materiale; e chequando le Scritture parlano dei dolori che l’anima soffresulla via dell’inferno è a credersi che allora le anime si rive-stano temporaneamente d’un corpo aereo (S. pr. bh. 208-209).

NOTA. Gaudapada interpretando erroneamente il distico 39 dellaKarika pone accanto al corpo sottile o linga ed al corpo materialeuna terza specie di corpo, il corpo generato dal padre e dalla madre,il quale sarebbe come un quid medium tra i corpi sottili e la materiaorganizzata, quasi destinato a facilitarne il collegamento. Esso costi-tuisce per così dire l’embrione; formato nel ventre della madre pereffetto della mescolanza del sangue e dell’umor seminale esso avvol-ge il corpo sottile e si aggrega gli elementi materiali che per mezzodel cordone umbilicale il corpo della madre gli fornisce; e così dalsuo svolgersi, dall’accedere ad esso degli elementi grossolani risultail corpo materiale propriamente detto; per modo che l’individuo vie-ne all’esistenza costituito da tre specie di corpi: il corpo sottile, il suoimmediato rivestimento (il corpo generato), il corpo materiale pro-priamente detto (Gaud. 123). A ragione osserva Wilson che questadistinzione è lungi dall’essere giustificata; in quanto che anche la se-

107

va) deve come il sole trovarsi in stretta connessione conuna massa materiale (S. Sutra III, 13). Il corpo materiale èinoltre necessario al linga per manifestarsi e per agire. Illinga è soggetto alla gioia ed al dolore solo in quanto èconnesso con il corpo materiale; non perchè esso non siain astratto capace di gioia e di dolore (che anzi esso solo èla sede dell’uno e dell’altro); ma perchè è necessario il cor-po materiale affinchè esso possa trovarsi in queste o quellecircostanze che saranno per lui fonte di piacere e di dolore(Kaum. 84). Vijnana osserva anzi che nel breve tratto checorre tra un’esistenza e la successiva non si può dare sen-sazione alcuna non esistendovi corpo materiale; e chequando le Scritture parlano dei dolori che l’anima soffresulla via dell’inferno è a credersi che allora le anime si rive-stano temporaneamente d’un corpo aereo (S. pr. bh. 208-209).

NOTA. Gaudapada interpretando erroneamente il distico 39 dellaKarika pone accanto al corpo sottile o linga ed al corpo materialeuna terza specie di corpo, il corpo generato dal padre e dalla madre,il quale sarebbe come un quid medium tra i corpi sottili e la materiaorganizzata, quasi destinato a facilitarne il collegamento. Esso costi-tuisce per così dire l’embrione; formato nel ventre della madre pereffetto della mescolanza del sangue e dell’umor seminale esso avvol-ge il corpo sottile e si aggrega gli elementi materiali che per mezzodel cordone umbilicale il corpo della madre gli fornisce; e così dalsuo svolgersi, dall’accedere ad esso degli elementi grossolani risultail corpo materiale propriamente detto; per modo che l’individuo vie-ne all’esistenza costituito da tre specie di corpi: il corpo sottile, il suoimmediato rivestimento (il corpo generato), il corpo materiale pro-priamente detto (Gaud. 123). A ragione osserva Wilson che questadistinzione è lungi dall’essere giustificata; in quanto che anche la se-

107

Page 108: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

conda specie di corpi si riduce in fondo ad elementi materiali. Ed inciò conviene lo stesso Gaudapada quando asserisce che per la morteil corpo nato dal padre e dalla madre separato dal linga cessa di esi-stere e si dissolve nella terra e negli altri elementi grossolani (Gaud.121).

Il distico 41 porge occasione ad un’altra varietà d’interpretazionealla quale s’accosta Vijnana e, fra i recenti espositori, il Lassen. Se-condo Vijnana i cinque elementi sottili non offrono un sostegno ab-bastanza materiale agli organi nell’intervallo tra un’esistenza e l’altra:quindi la necessità d’un terzo corpo intermedio fra i due, compostodelle parti più sottili dei cinque elementi grossolani. Conforme a ciòla Karika 39 sarebbe da interpretarsi come la interpreta il Lassen:«Vi sono tre specie di corpi distinti (o materiali): i corpi (materiali)sottili, i corpi materiali animati generati dal padre e dalla madre, icorpi materiali inanimati»; e per corpo materiale sottile s’intendereb-be appunto il secondo corpo composto bensì dei cinque elementigrossolani, ma sottile in paragone a quello generato. E la Karika 41avrebbe questo senso: «Il linga non può sussistere da sè; nella vita èsostenuto dal corpo materiale; ma oltre a questo esso è ancora rive-stito d’un altro corpo (il corpo materiale sottile), il quale, quando lamorte costringe il linga ad abbandonare il corpo sensibile, gli servedi sostegno nelle sue migrazioni ad altri mondi» (S. pr. bh. 212-213,317). Vijnana non nasconde che la Tradizione e le Scritture non par-lano che di due corpi; ma egli spiega ciò col dire che in esse vengo-no identificati il linga ed il corpo materiale sottile perchè mutuamen-te si presuppongono e sono amendue sottili (S. pr. bh. 212). Anziegli crede di trovare nelle Scritture stesse la conferma delle sue teo-rie (S. pr. bh. 317-318); ma la sua interpretazione è affatto arbitraria.

NOTA 2a Come appresso si vedrà, sebbene il Sankhya ponga ilmondo come eterno, anche ad esso è comune la teoria dei Kalpas operiodi mondani alla fine di ciascuno dei quali il mondo intiero sidissolve per dispiegarsi quindi nuovamente nella varietà infinita dellesue forme al principio d’un altro Kalpa. All’inizio di ciascuno diquesti grandi anni mondani i linga individuali risorgono dal seno

108

conda specie di corpi si riduce in fondo ad elementi materiali. Ed inciò conviene lo stesso Gaudapada quando asserisce che per la morteil corpo nato dal padre e dalla madre separato dal linga cessa di esi-stere e si dissolve nella terra e negli altri elementi grossolani (Gaud.121).

Il distico 41 porge occasione ad un’altra varietà d’interpretazionealla quale s’accosta Vijnana e, fra i recenti espositori, il Lassen. Se-condo Vijnana i cinque elementi sottili non offrono un sostegno ab-bastanza materiale agli organi nell’intervallo tra un’esistenza e l’altra:quindi la necessità d’un terzo corpo intermedio fra i due, compostodelle parti più sottili dei cinque elementi grossolani. Conforme a ciòla Karika 39 sarebbe da interpretarsi come la interpreta il Lassen:«Vi sono tre specie di corpi distinti (o materiali): i corpi (materiali)sottili, i corpi materiali animati generati dal padre e dalla madre, icorpi materiali inanimati»; e per corpo materiale sottile s’intendereb-be appunto il secondo corpo composto bensì dei cinque elementigrossolani, ma sottile in paragone a quello generato. E la Karika 41avrebbe questo senso: «Il linga non può sussistere da sè; nella vita èsostenuto dal corpo materiale; ma oltre a questo esso è ancora rive-stito d’un altro corpo (il corpo materiale sottile), il quale, quando lamorte costringe il linga ad abbandonare il corpo sensibile, gli servedi sostegno nelle sue migrazioni ad altri mondi» (S. pr. bh. 212-213,317). Vijnana non nasconde che la Tradizione e le Scritture non par-lano che di due corpi; ma egli spiega ciò col dire che in esse vengo-no identificati il linga ed il corpo materiale sottile perchè mutuamen-te si presuppongono e sono amendue sottili (S. pr. bh. 212). Anziegli crede di trovare nelle Scritture stesse la conferma delle sue teo-rie (S. pr. bh. 317-318); ma la sua interpretazione è affatto arbitraria.

NOTA 2a Come appresso si vedrà, sebbene il Sankhya ponga ilmondo come eterno, anche ad esso è comune la teoria dei Kalpas operiodi mondani alla fine di ciascuno dei quali il mondo intiero sidissolve per dispiegarsi quindi nuovamente nella varietà infinita dellesue forme al principio d’un altro Kalpa. All’inizio di ciascuno diquesti grandi anni mondani i linga individuali risorgono dal seno

108

Page 109: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

della Natura che si ridesta in condizioni varie per effetto delle opereantecedenti le quali si sono perpetuate allo stato latente attraverso allungo sonno della Natura. Vijnana invece introduce nel Sankhya ilconcetto vedantico del creatore delle cose che sorge dalla natura inprincipio dell’anno mondano e che forma tutte le cose con la suaonnipotenza. Secondo lui quindi all’origine esiste un solo linga,quello dell’essere divino il quale col processo del tempo si scinde inuna molteplicità d’individui in seguito alla necessità che le anime go-dano il frutto delle opere antecedentemente connesse (S. pr. bh.209, 211).

Poiché il corpo materiale non è che un ricettacolo inerteche riceve movimento e vita dal linga, questo solo è la verasede della nostra personalità empirica. L’attività, che essopossiede e che lo incalza nel suo fatale andare non gli vie-ne dall’Anima, nè da alcunché altro di esterno, ma è insitain esso medesimo, poiché non è che una specificazionedella forza cieca della Natura la quale conduce l’individuoattraverso le esistenze per toglierlo all’illusione innata ondel’esistenza stessa procede (Karika 42; Gaudap. 138, S. Su-tra III, 16). Quindi esso non è alcunché di inattivo, un ef-fetto delle azioni e reazioni esteriori, ma è il principio atti-vo di tutta la nostra esistenza, il punto onde si dispieganotutte le varie attività dell’essere nostro. I singoli organipossedono un’energia propria ed un agire proprio: gli stes-si organi di senso non sono considerati come alcunchéd’inerte destinato a ricevere passivamente le impressioniesteriori, ma come altrettanti principii attivi i quali proiet-tano la loro funzione fuori della loro sede come una lam-pada proietta attorno a sè la sua luce ed entrano così inconnessione coi loro oggetti che si trovano nella rispettiva

109

della Natura che si ridesta in condizioni varie per effetto delle opereantecedenti le quali si sono perpetuate allo stato latente attraverso allungo sonno della Natura. Vijnana invece introduce nel Sankhya ilconcetto vedantico del creatore delle cose che sorge dalla natura inprincipio dell’anno mondano e che forma tutte le cose con la suaonnipotenza. Secondo lui quindi all’origine esiste un solo linga,quello dell’essere divino il quale col processo del tempo si scinde inuna molteplicità d’individui in seguito alla necessità che le anime go-dano il frutto delle opere antecedentemente connesse (S. pr. bh.209, 211).

Poiché il corpo materiale non è che un ricettacolo inerteche riceve movimento e vita dal linga, questo solo è la verasede della nostra personalità empirica. L’attività, che essopossiede e che lo incalza nel suo fatale andare non gli vie-ne dall’Anima, nè da alcunché altro di esterno, ma è insitain esso medesimo, poiché non è che una specificazionedella forza cieca della Natura la quale conduce l’individuoattraverso le esistenze per toglierlo all’illusione innata ondel’esistenza stessa procede (Karika 42; Gaudap. 138, S. Su-tra III, 16). Quindi esso non è alcunché di inattivo, un ef-fetto delle azioni e reazioni esteriori, ma è il principio atti-vo di tutta la nostra esistenza, il punto onde si dispieganotutte le varie attività dell’essere nostro. I singoli organipossedono un’energia propria ed un agire proprio: gli stes-si organi di senso non sono considerati come alcunchéd’inerte destinato a ricevere passivamente le impressioniesteriori, ma come altrettanti principii attivi i quali proiet-tano la loro funzione fuori della loro sede come una lam-pada proietta attorno a sè la sua luce ed entrano così inconnessione coi loro oggetti che si trovano nella rispettiva

109

Page 110: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sfera d’azione, accogliendone in sè una specie d’immagine(Anir. 251, S. pr. bh. 318-319: cfr. Markus 30). Inoltre que-sta stessa energia che ogni singolo organo possiede non èmossa nè dipende da alcun altro principio, o da alcuno de-gli altri organi, ma procede nel suo svolgersi in virtù d’unainiziativa spontanea e tutta propria; e l’armonia che è nelfunzionamento concorde dei varii organi non è se non ilrisultato d’una specie di coordinazione inconscia di questeattività indipendenti procedente da una necessità predeter-minata e fatale (Karika 31).

Gli elementi sottili non entrano nella composizione dellinga se non per dare al medesimo una certa stabilità, perservire come di sostegno agli organi che sono veramentela parte attiva ed essenziale del linga. Di questi una parte, idieci organi di senso e d’azione, esercita l’attività propriain relazione al mondo esteriore, i rimanenti e cioè il manasl’ahamkara e la buddhi godono d’un’attività puramente in-teriore, centralizzatrice, in quanto ricevono ed elaboranole impressioni sorgenti dall’agire degli organi per trasmet-terle all’Anima.

Questi tre ultimi principii considerati come un tuttoprendono il nome di organo interno. Esso è non sola-mente il centro della vita organica, ma anche della vita psi-chica; e perciò è dalla Karika paragonato ad un portinaio,laddove i dieci organi sono come le porte (Kar. 35). A dif-ferenza di questi ultimi i quali non si riferiscono che aglioggetti attuali e presenti, esso abbraccia anche il futuro edil passato: perchè esso è la sede della memoria e delle fun-zioni intellettuali più alte (Kar. 33). Nonostante la sua uni-

110

sfera d’azione, accogliendone in sè una specie d’immagine(Anir. 251, S. pr. bh. 318-319: cfr. Markus 30). Inoltre que-sta stessa energia che ogni singolo organo possiede non èmossa nè dipende da alcun altro principio, o da alcuno de-gli altri organi, ma procede nel suo svolgersi in virtù d’unainiziativa spontanea e tutta propria; e l’armonia che è nelfunzionamento concorde dei varii organi non è se non ilrisultato d’una specie di coordinazione inconscia di questeattività indipendenti procedente da una necessità predeter-minata e fatale (Karika 31).

Gli elementi sottili non entrano nella composizione dellinga se non per dare al medesimo una certa stabilità, perservire come di sostegno agli organi che sono veramentela parte attiva ed essenziale del linga. Di questi una parte, idieci organi di senso e d’azione, esercita l’attività propriain relazione al mondo esteriore, i rimanenti e cioè il manasl’ahamkara e la buddhi godono d’un’attività puramente in-teriore, centralizzatrice, in quanto ricevono ed elaboranole impressioni sorgenti dall’agire degli organi per trasmet-terle all’Anima.

Questi tre ultimi principii considerati come un tuttoprendono il nome di organo interno. Esso è non sola-mente il centro della vita organica, ma anche della vita psi-chica; e perciò è dalla Karika paragonato ad un portinaio,laddove i dieci organi sono come le porte (Kar. 35). A dif-ferenza di questi ultimi i quali non si riferiscono che aglioggetti attuali e presenti, esso abbraccia anche il futuro edil passato: perchè esso è la sede della memoria e delle fun-zioni intellettuali più alte (Kar. 33). Nonostante la sua uni-

110

Page 111: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

tà l’attività dei tre organi che lo compongono rimane di-stinta e può essere simultanea o consecutiva. Il manas ela-bora per mezzo del lavorio interiore della coscienza le im-pressioni degli organi; l’ahamkara dà loro l’impronta dellapersonalità; l’intelligenza concepisce in modo determinato,distinto, conclusivo ciò che gli è trasmesso per presentarlocosì all’Anima (Kaum. 68). Il fatto psicologico si compieperciò veramente solo nell’intelligenza, nella quale esso as-sume la sua forma definitiva e diventa per virtù dell’Animaun fatto cosciente (Kaum. 81). Di qui la preminenza cheviene attribuita fra gli organi all’intelligenza: in quanto essaè lo strumento immediato dell’Anima, paragonabile ad unprimo ministro al quale si riferiscono tutti gli ufficiali su-bordinati e che solo è col monarca in diretta comunicazio-ne (Kaum. 81).

Esaminata così la struttura dell’aggregato materiale dal-la cui unione con l’Anima risulta il nostro io attuale ci ri-mane a vedere in qual modo l’Anima sia connessa conquesto aggregato ed in qual modo dalla detta connessionerisulti la nostra esistenza cosciente.

Tutti i fatti della vita cosciente si riducono in estremaanalisi, secondo il Sankhya, ad affezioni dell’organo inter-no. Nel caso della sensazione precede una affezione degliorgani esterni; nel caso del pensiero astratto o del volereprecede un’affezione del manas (S. pr. bh. 188); ma in ognimodo quest’affezione procedente dallo spontaneo agiredell’uno o dell’altro delli organi viene quindi trasmessa dalmanas all’ahamkara ed alla buddhi per essere poi comuni-cata all’Anima. Ora ogni affezione dell’organo interno, co-

111

tà l’attività dei tre organi che lo compongono rimane di-stinta e può essere simultanea o consecutiva. Il manas ela-bora per mezzo del lavorio interiore della coscienza le im-pressioni degli organi; l’ahamkara dà loro l’impronta dellapersonalità; l’intelligenza concepisce in modo determinato,distinto, conclusivo ciò che gli è trasmesso per presentarlocosì all’Anima (Kaum. 68). Il fatto psicologico si compieperciò veramente solo nell’intelligenza, nella quale esso as-sume la sua forma definitiva e diventa per virtù dell’Animaun fatto cosciente (Kaum. 81). Di qui la preminenza cheviene attribuita fra gli organi all’intelligenza: in quanto essaè lo strumento immediato dell’Anima, paragonabile ad unprimo ministro al quale si riferiscono tutti gli ufficiali su-bordinati e che solo è col monarca in diretta comunicazio-ne (Kaum. 81).

Esaminata così la struttura dell’aggregato materiale dal-la cui unione con l’Anima risulta il nostro io attuale ci ri-mane a vedere in qual modo l’Anima sia connessa conquesto aggregato ed in qual modo dalla detta connessionerisulti la nostra esistenza cosciente.

Tutti i fatti della vita cosciente si riducono in estremaanalisi, secondo il Sankhya, ad affezioni dell’organo inter-no. Nel caso della sensazione precede una affezione degliorgani esterni; nel caso del pensiero astratto o del volereprecede un’affezione del manas (S. pr. bh. 188); ma in ognimodo quest’affezione procedente dallo spontaneo agiredell’uno o dell’altro delli organi viene quindi trasmessa dalmanas all’ahamkara ed alla buddhi per essere poi comuni-cata all’Anima. Ora ogni affezione dell’organo interno, co-

111

Page 112: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

munque sia essa prodotta, è fatta consistere in una modifi-cazione dell’organo medesimo che si trasmuta secondo laforma dell’oggetto cui la detta affezione si riferisce. «Dalcontatto (dice Vijnana) con gli oggetti per mezzo degli or-gani esterni (nel caso della sensazione) o dalla considera-zione d’un segno caratteristico (nel caso dell’induzione)etc. sorge dapprima nell’organo interno un’affezione checorrisponde alla forma dell’oggetto» (S. pr. bh. 105). Edaltrove: «Sentire equivale ad accogliere in sè piacere o do-lore, e sentire piacere o dolore equivale ad accogliere in sèla forma (dell’oggetto piacevole, doloroso etc.)» (S. pr. bh.15). Ora l’Anima che è immutabile, perennemente liberada ogni diretta azione esterna come potrebbe modificarsi?È evidente che la comprensione spirituale degli oggettinon può da parte dell’Anima importare alcuna recezionereale delle loro forme. È quindi forza ammettere (poichéquanto alla sua partecipazione alle affezioni non cade dub-bio), che essa accolga le affezioni piacevoli e dolorose solocome forme sovrappositizie, come impressioni che arriva-no fino a lei senza modificarla menomamente, simili alleimagini che gli oggetti producono nello specchio (S. pr.bh. 15, 105-106, 118, 119, 124, 129 etc.) Onde nel sutra VI28 è detto: «Come nel caso del fiore Hibiscus e del cristal-lo (non vi è reale colorazione del cristallo da parte del fio-re, così nel caso dell’Anima e dell’organo interno) non vi èun vero influsso ma un’illusione». Cioè come nel caso delriflettersi del fiore Hibiscus in un cristallo questo apparecolorato in rosso, sebbene tale non sia, per una fugace edillusoria apparenza, così l’Anima non è realmente impres-

112

munque sia essa prodotta, è fatta consistere in una modifi-cazione dell’organo medesimo che si trasmuta secondo laforma dell’oggetto cui la detta affezione si riferisce. «Dalcontatto (dice Vijnana) con gli oggetti per mezzo degli or-gani esterni (nel caso della sensazione) o dalla considera-zione d’un segno caratteristico (nel caso dell’induzione)etc. sorge dapprima nell’organo interno un’affezione checorrisponde alla forma dell’oggetto» (S. pr. bh. 105). Edaltrove: «Sentire equivale ad accogliere in sè piacere o do-lore, e sentire piacere o dolore equivale ad accogliere in sèla forma (dell’oggetto piacevole, doloroso etc.)» (S. pr. bh.15). Ora l’Anima che è immutabile, perennemente liberada ogni diretta azione esterna come potrebbe modificarsi?È evidente che la comprensione spirituale degli oggettinon può da parte dell’Anima importare alcuna recezionereale delle loro forme. È quindi forza ammettere (poichéquanto alla sua partecipazione alle affezioni non cade dub-bio), che essa accolga le affezioni piacevoli e dolorose solocome forme sovrappositizie, come impressioni che arriva-no fino a lei senza modificarla menomamente, simili alleimagini che gli oggetti producono nello specchio (S. pr.bh. 15, 105-106, 118, 119, 124, 129 etc.) Onde nel sutra VI28 è detto: «Come nel caso del fiore Hibiscus e del cristal-lo (non vi è reale colorazione del cristallo da parte del fio-re, così nel caso dell’Anima e dell’organo interno) non vi èun vero influsso ma un’illusione». Cioè come nel caso delriflettersi del fiore Hibiscus in un cristallo questo apparecolorato in rosso, sebbene tale non sia, per una fugace edillusoria apparenza, così l’Anima non è realmente impres-

112

Page 113: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sionata dalle affezioni dell’organo interno, ma le ricevesoltanto come un riflesso e l’attribuire alla medesima unreale influsso da parte delle affezioni è un’illusione (S. pr.bh. 200, 345). E Narayana (citato in Wilson 23) dice: «Gliorgani non apprendono da sè stessi gli oggetti, ma sonounicamente gli strumenti per mezzo dei quali quelli sonoavvicinati all’intelligenza; nè l’intelligenza apprende quelli(spiritualmente) essendo, come derivato della Natura, inca-pace di sentire; ma le inconscie impressioni o modificazio-ni dell’intelligenza prodotte per mezzo dei sensi sono co-municate all’Anima che, riflettendole mentre esse sonopresenti nell’intelligenza, appare per tal riflessione effetti-vamente affetta dalle medesime». E Vyasa nel suo com-mentario agli Yoga sutra (II 17): «Quando il sattvadell’organo interno prova un turbamento allora pare chenell’Anima sorga un turbamento corrispondente; perchéquesta riflette le forme di quello».

L’Anima è da riguardarsi come uno specchio nel qualele affezioni dell’organo interno si riflettono e riflettendosidiventano coscienti. In questo senso la Tradizione dice:«In questo grande specchio (l’Anima) cadono le imaginidelle cose: esse si riflettono in lei come gli alberi della rivain uno stagno». E nel Yogavasishta lo stato dell’Animapura (cioè non più connessa con l’organo interno) è para-gonato ad uno specchio nel quale non cade alcuna imma-gine dall’esterno (S. pr. bh. 200).

La partecipazione dell’Anima all’esistenza empirica si ri-duce quindi semplicemente a ciò, che in virtù della con-nessione con l’aggregato materiale corrispondente essa co-

113

sionata dalle affezioni dell’organo interno, ma le ricevesoltanto come un riflesso e l’attribuire alla medesima unreale influsso da parte delle affezioni è un’illusione (S. pr.bh. 200, 345). E Narayana (citato in Wilson 23) dice: «Gliorgani non apprendono da sè stessi gli oggetti, ma sonounicamente gli strumenti per mezzo dei quali quelli sonoavvicinati all’intelligenza; nè l’intelligenza apprende quelli(spiritualmente) essendo, come derivato della Natura, inca-pace di sentire; ma le inconscie impressioni o modificazio-ni dell’intelligenza prodotte per mezzo dei sensi sono co-municate all’Anima che, riflettendole mentre esse sonopresenti nell’intelligenza, appare per tal riflessione effetti-vamente affetta dalle medesime». E Vyasa nel suo com-mentario agli Yoga sutra (II 17): «Quando il sattvadell’organo interno prova un turbamento allora pare chenell’Anima sorga un turbamento corrispondente; perchéquesta riflette le forme di quello».

L’Anima è da riguardarsi come uno specchio nel qualele affezioni dell’organo interno si riflettono e riflettendosidiventano coscienti. In questo senso la Tradizione dice:«In questo grande specchio (l’Anima) cadono le imaginidelle cose: esse si riflettono in lei come gli alberi della rivain uno stagno». E nel Yogavasishta lo stato dell’Animapura (cioè non più connessa con l’organo interno) è para-gonato ad uno specchio nel quale non cade alcuna imma-gine dall’esterno (S. pr. bh. 200).

La partecipazione dell’Anima all’esistenza empirica si ri-duce quindi semplicemente a ciò, che in virtù della con-nessione con l’aggregato materiale corrispondente essa co-

113

Page 114: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

munica a questo la luce della spiritualità onde l’attività delmedesimo diventa un’attività cosciente. La nostra esistenzapuò in certo modo essere concepita come il risultatodell’unione d’una volontà inconscia ed attiva (il linga) conun intelletto imperturbato ed immobile (l’Anima) per virtùdel quale i moti della prima pervengono alla coscienza dise stessi.

Tutto ciò che vi è in essa di attivo appartiene al linga.Tutt’al più in questo senso si potrebbe dire che l’Anima èil principio attivo della vita spirituale: nello stesso sensocioè in cui si potrebbe dire che l’Anima è la creatricedell’universo, perchè è solo in grazia della medesima cheha luogo lo svolgimento delle cose. Poiché l’organo inter-no agisce in virtù dell’Anima duplicemente: anzitutto inquanto solamente perchè esiste la luce dello spirito la ma-teria è tratta a fruirne, ad organizzarsi sotto forma d’orga-no interno per esistere coscientemente ed agire; in secon-do luogo in quanto tutta l’attività della Natura ha luogounicamente (come si vedrà oltre) pel fine di liberare l’ani-ma empirica dal dolore. Così è che si può dire che il vede-re, il parlare etc. sono opera dell’Anima (S. Sutra II 29, S.pr. bh. 194). L’Anima causa questi atti solo per mezzo del-la connessione senza agire direttamente essa stessa, comeè l’azione della calamita che fa muovere il ferro. Quando sidice che l’Anima compie le funzioni di vedere, parlare etc.si deve intendere che essa è la causa di queste funzioni nelloro complesso; quando si nega che l’Anima senta, veda,oda, parli etc. si deve intendere essere falso che essa com-pia i singoli atti, che ad essa direttamente appartengano

114

munica a questo la luce della spiritualità onde l’attività delmedesimo diventa un’attività cosciente. La nostra esistenzapuò in certo modo essere concepita come il risultatodell’unione d’una volontà inconscia ed attiva (il linga) conun intelletto imperturbato ed immobile (l’Anima) per virtùdel quale i moti della prima pervengono alla coscienza dise stessi.

Tutto ciò che vi è in essa di attivo appartiene al linga.Tutt’al più in questo senso si potrebbe dire che l’Anima èil principio attivo della vita spirituale: nello stesso sensocioè in cui si potrebbe dire che l’Anima è la creatricedell’universo, perchè è solo in grazia della medesima cheha luogo lo svolgimento delle cose. Poiché l’organo inter-no agisce in virtù dell’Anima duplicemente: anzitutto inquanto solamente perchè esiste la luce dello spirito la ma-teria è tratta a fruirne, ad organizzarsi sotto forma d’orga-no interno per esistere coscientemente ed agire; in secon-do luogo in quanto tutta l’attività della Natura ha luogounicamente (come si vedrà oltre) pel fine di liberare l’ani-ma empirica dal dolore. Così è che si può dire che il vede-re, il parlare etc. sono opera dell’Anima (S. Sutra II 29, S.pr. bh. 194). L’Anima causa questi atti solo per mezzo del-la connessione senza agire direttamente essa stessa, comeè l’azione della calamita che fa muovere il ferro. Quando sidice che l’Anima compie le funzioni di vedere, parlare etc.si deve intendere che essa è la causa di queste funzioni nelloro complesso; quando si nega che l’Anima senta, veda,oda, parli etc. si deve intendere essere falso che essa com-pia i singoli atti, che ad essa direttamente appartengano

114

Page 115: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

queste funzioni. Per questo Vijnana dice che l’Anima pos-siede le qualità di agente e di non agente; essa è non agen-te in virtù della sua immutabilità; essa è agente in virtù del-la connessione (S. pr. bh. 194-195).

Ciò che vi è di sp irituale invece appartiene all’Anima.Il che deve essere inteso non nel senso che l’Anima vera-mente senta, ma che è per l’Anima sola che le affezioni dellinga sono sentite. Ciò che sente è l’affezione stessa, o me-glio quell’essere fittizio che sorge dal continuarsi della me-desima luce cosciente attraverso alla indefinita serie di fattiche si succedono in un medesimo aggregato. Quindi è chenel sutra I 107 è detto: «Nè l’uno nè l’altro (il piacere ed ildolore) esistono ancora quando si è pervenuti alla cono-scenza». Distrutta la nostra illusoria personalità empiricaper mezzo della conoscenza, che cosa può ancora esseresede del piacere e del dolore? Non la Natura che è incon-scia; non l’Anima che è inaccessibile ad ogni modificazio-ne.

Questo essere fittizio, questo insieme di fatti successiviinsieme collegati dalla unità di coscienza costituisce la no-stra anima em pirica. Essa è il nostro io quale ci è pre-sentato dall’osservazione interiore, la personalità finita,mutabile, soggetta al dolore, peritura, che ognuno di noi,fino a che rimane dal punto di vista dell’illusione, ritieneper il proprio Sè in luogo dell’Anima purissima.

Essa è alcunché di illusorio, perchè in realtà non è il no-stro Sè, nè è ciò che a noi appare vale a dire alcunché dispirituale, di attivo e di mutabile; ma è semplicementel’insieme dei nostri fatti interiori, un succedersi di fatti co-

115

queste funzioni. Per questo Vijnana dice che l’Anima pos-siede le qualità di agente e di non agente; essa è non agen-te in virtù della sua immutabilità; essa è agente in virtù del-la connessione (S. pr. bh. 194-195).

Ciò che vi è di sp irituale invece appartiene all’Anima.Il che deve essere inteso non nel senso che l’Anima vera-mente senta, ma che è per l’Anima sola che le affezioni dellinga sono sentite. Ciò che sente è l’affezione stessa, o me-glio quell’essere fittizio che sorge dal continuarsi della me-desima luce cosciente attraverso alla indefinita serie di fattiche si succedono in un medesimo aggregato. Quindi è chenel sutra I 107 è detto: «Nè l’uno nè l’altro (il piacere ed ildolore) esistono ancora quando si è pervenuti alla cono-scenza». Distrutta la nostra illusoria personalità empiricaper mezzo della conoscenza, che cosa può ancora esseresede del piacere e del dolore? Non la Natura che è incon-scia; non l’Anima che è inaccessibile ad ogni modificazio-ne.

Questo essere fittizio, questo insieme di fatti successiviinsieme collegati dalla unità di coscienza costituisce la no-stra anima em pirica. Essa è il nostro io quale ci è pre-sentato dall’osservazione interiore, la personalità finita,mutabile, soggetta al dolore, peritura, che ognuno di noi,fino a che rimane dal punto di vista dell’illusione, ritieneper il proprio Sè in luogo dell’Anima purissima.

Essa è alcunché di illusorio, perchè in realtà non è il no-stro Sè, nè è ciò che a noi appare vale a dire alcunché dispirituale, di attivo e di mutabile; ma è semplicementel’insieme dei nostri fatti interiori, un succedersi di fatti co-

115

Page 116: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

scienti nei quali la parte attiva e mutabile, il fatto materialeappartiene non a noi ma alla Natura, e la parte spirituale,la coscienza è un’irradiazione del Sè immutabile. Nonper-tanto in essa risiedono veramente il piacere e il dolore;poiché nè la Natura nè l’Anima sono per sè stesse suscetti-bili dell’uno o dell’altro. Quindi essa è anche il vero sog-getto della schiavitù e della liberazione. La schiavitù consi-ste nel perpetuarsi accanto all’Anima di questa individuali-tà fittizia e dolorosa: la liberazione nel suo annientamentoeterno.

Vijnana si preoccupa anche di esplicarci in qual modonoi acquistiamo la rappresentazione di questo nostro ioempirico. È evidente (egli dice) che essa deve, come tuttele altre rappresentazioni, essere l’effetto della riflessionenell’Anima d’un’affezione dell’organo interno; perchè se siassumesse essere la medesima un semplice ripiegarsi dellacoscienza spirituale su di sè stessa, darebbe in tal caso lastessa cosa fungere da oggetto e da soggetto ad un tempo,il che è assurdo (S. pr. bh. 118). Ecco quindi la necessità diun’altra riflessione, della riflessione dell’Anima nell’organointerno, dalla quale è causata in questo l’affezione corri-spondente alla rappresentazione dell’io. L’organo interno,dice Aniruddha (p. 301) è lucido come uno specchio, ondeil Sè vi si riflette. Il Sè riflettendosi nell’organo interno visi riflette con tutte le sue affezioni riflessionali, provocan-dovi così la rappresentazione di queste. Questa seconda ri-flessione è un’affezione (non però ancora conscia)dell’organo interno, nella forma di coscienza riflessa delleprime affezioni del l’organo interno. Detta riflessione poi

116

scienti nei quali la parte attiva e mutabile, il fatto materialeappartiene non a noi ma alla Natura, e la parte spirituale,la coscienza è un’irradiazione del Sè immutabile. Nonper-tanto in essa risiedono veramente il piacere e il dolore;poiché nè la Natura nè l’Anima sono per sè stesse suscetti-bili dell’uno o dell’altro. Quindi essa è anche il vero sog-getto della schiavitù e della liberazione. La schiavitù consi-ste nel perpetuarsi accanto all’Anima di questa individuali-tà fittizia e dolorosa: la liberazione nel suo annientamentoeterno.

Vijnana si preoccupa anche di esplicarci in qual modonoi acquistiamo la rappresentazione di questo nostro ioempirico. È evidente (egli dice) che essa deve, come tuttele altre rappresentazioni, essere l’effetto della riflessionenell’Anima d’un’affezione dell’organo interno; perchè se siassumesse essere la medesima un semplice ripiegarsi dellacoscienza spirituale su di sè stessa, darebbe in tal caso lastessa cosa fungere da oggetto e da soggetto ad un tempo,il che è assurdo (S. pr. bh. 118). Ecco quindi la necessità diun’altra riflessione, della riflessione dell’Anima nell’organointerno, dalla quale è causata in questo l’affezione corri-spondente alla rappresentazione dell’io. L’organo interno,dice Aniruddha (p. 301) è lucido come uno specchio, ondeil Sè vi si riflette. Il Sè riflettendosi nell’organo interno visi riflette con tutte le sue affezioni riflessionali, provocan-dovi così la rappresentazione di queste. Questa seconda ri-flessione è un’affezione (non però ancora conscia)dell’organo interno, nella forma di coscienza riflessa delleprime affezioni del l’organo interno. Detta riflessione poi

116

Page 117: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

dell’Anima nell’organo interno si riflette nuovamentenell’Anima e di qui nasce la coscienza riflessa, l’immaginedel nostro io empirico (cfr. Refut. 56, nota).

È in questo modo che noi abbiamo una rappresentazio-ne della nostra personalità empirica. L’Anima si riflettecon tutte le sue affezioni riflessionali nell’organo interno;e questa nuova affezione dell’organo interno passa cometutte le altre e per il solito processo nel dominio della co-scienza. Cosi l’ignorante, colui che non sa distinguerel’Anima dalla Natura, comprendendo in un concetto solol’Anima e l’organo interno in essa riflesso, ne fa una cosasola (l’anima empirica), cui egli attribuisce la spiritualità(che è proprio solamente dell’Anima) e l’attività (che èproprio solo dell’organo interno). «Così (dice la Karika 20)per effetto della connessione con l’Anima (è conseguentedoppia riflessione) il corpo sottile che è materiale apparspirituale e l’Anima che è inattiva appare attiva».

NOTA. La teoria della riflessione è concepita diversamente nelKaumudi. L’intelligenza, dice Vacaspati, è cosa materiale, non spiri-tuale: quindi anche le sue affezioni sono non spirituali. L’Anima in-vece è spirito puro. Ora questo si riflette nell’intelligenza e vi proiet-ta una sua imagine; dal che nascono due effetti: 1. che le affezioniinconscie dell’intelligenza diventano spirituali, conscie; 2. che lo spi-rito stesso viene percepito come senziente etc. La differenza tra ledue vedute consiste quindi in questo che Vacaspati ammette unasola riflessione, quella dell’Anima nell’organo interno, per mezzodella quale l’Anima illumina i processi materiali dell’organo interno enel tempo stesso proietta in questo l’imagine che dà origine al con-cetto empirico dell’io; Vijnana invece ammette due riflessioni, quelladell’organo interno nell’Anima che è causa della spiritualizzazionedel primo, e quella dell’Anima nell’organo interno che è causa della

117

dell’Anima nell’organo interno si riflette nuovamentenell’Anima e di qui nasce la coscienza riflessa, l’immaginedel nostro io empirico (cfr. Refut. 56, nota).

È in questo modo che noi abbiamo una rappresentazio-ne della nostra personalità empirica. L’Anima si riflettecon tutte le sue affezioni riflessionali nell’organo interno;e questa nuova affezione dell’organo interno passa cometutte le altre e per il solito processo nel dominio della co-scienza. Cosi l’ignorante, colui che non sa distinguerel’Anima dalla Natura, comprendendo in un concetto solol’Anima e l’organo interno in essa riflesso, ne fa una cosasola (l’anima empirica), cui egli attribuisce la spiritualità(che è proprio solamente dell’Anima) e l’attività (che èproprio solo dell’organo interno). «Così (dice la Karika 20)per effetto della connessione con l’Anima (è conseguentedoppia riflessione) il corpo sottile che è materiale apparspirituale e l’Anima che è inattiva appare attiva».

NOTA. La teoria della riflessione è concepita diversamente nelKaumudi. L’intelligenza, dice Vacaspati, è cosa materiale, non spiri-tuale: quindi anche le sue affezioni sono non spirituali. L’Anima in-vece è spirito puro. Ora questo si riflette nell’intelligenza e vi proiet-ta una sua imagine; dal che nascono due effetti: 1. che le affezioniinconscie dell’intelligenza diventano spirituali, conscie; 2. che lo spi-rito stesso viene percepito come senziente etc. La differenza tra ledue vedute consiste quindi in questo che Vacaspati ammette unasola riflessione, quella dell’Anima nell’organo interno, per mezzodella quale l’Anima illumina i processi materiali dell’organo interno enel tempo stesso proietta in questo l’imagine che dà origine al con-cetto empirico dell’io; Vijnana invece ammette due riflessioni, quelladell’organo interno nell’Anima che è causa della spiritualizzazionedel primo, e quella dell’Anima nell’organo interno che è causa della

117

Page 118: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

formazione del concetto dell’io empirico (Kaum. 30; cfr. Markus13-14). Vijnana cerca di confutare questa opinione nel commento alsutra I 87. E però facile vedere che si tratta unicamente d’una diffe-renza verbale la quale non tocca punto all’essenza della cosa. I voca-boli di «connessione, riflessione, etc.» non sono che vocaboli simbo-lici usati per esprimere che, come per la vicinanza della calamita alferro si produce in questo il movimento, così sotto l’influssodell’Anima si svolge nei processi dell’organo interno la spiritualità.Quale sia poi l’imagine simbolica usata a rappresentare sensibilmen-te questo concetto, ciò è indifferente.

La riflessione delle affezioni dell’organo internonell’Anima ha luogo durante lo stato di veglia, la quale ècaratterizzata da ciò che durante la medesima l’organo in-terno può essere modificato mediante l’azione dei sensi edil sogno, durante il quale le modificazioni dell’organo in-terno sono provocate solo dalle impressioni preesistenti.

Nel sonno profondo invece e nell’estasi (come purenegli altri stati d’incoscienza) la riflessione delle affezioninell’Anima è sospesa e perciò la vita empirica subisce incerto modo un’interruzione. Quindi il sutra V 116 dice:«Nell’estasi, nel sonno profondo e nella liberazione le ani-me hanno la natura di Brahma (cioè vivono dell’esistenzaassoluta)» (S. pr. bh. 158-159; Garbe 276). Senonchènell’estasi e nel sonno profondo l’Anima, per quanto nellapienezza della sua natura, è pur sempre connessa con ilgerme delle rinascite future (le impressioni delle opere e lanon distinzione) che, inerendo all’organo interno, nel tem-po dell’estasi e del sonno senza sogni non si riflettenell’Anima e quindi non la limita. Ciò è dovuto nell’estasiall’indifferenza suprema che in quel momento raggiunge il

118

formazione del concetto dell’io empirico (Kaum. 30; cfr. Markus13-14). Vijnana cerca di confutare questa opinione nel commento alsutra I 87. E però facile vedere che si tratta unicamente d’una diffe-renza verbale la quale non tocca punto all’essenza della cosa. I voca-boli di «connessione, riflessione, etc.» non sono che vocaboli simbo-lici usati per esprimere che, come per la vicinanza della calamita alferro si produce in questo il movimento, così sotto l’influssodell’Anima si svolge nei processi dell’organo interno la spiritualità.Quale sia poi l’imagine simbolica usata a rappresentare sensibilmen-te questo concetto, ciò è indifferente.

La riflessione delle affezioni dell’organo internonell’Anima ha luogo durante lo stato di veglia, la quale ècaratterizzata da ciò che durante la medesima l’organo in-terno può essere modificato mediante l’azione dei sensi edil sogno, durante il quale le modificazioni dell’organo in-terno sono provocate solo dalle impressioni preesistenti.

Nel sonno profondo invece e nell’estasi (come purenegli altri stati d’incoscienza) la riflessione delle affezioninell’Anima è sospesa e perciò la vita empirica subisce incerto modo un’interruzione. Quindi il sutra V 116 dice:«Nell’estasi, nel sonno profondo e nella liberazione le ani-me hanno la natura di Brahma (cioè vivono dell’esistenzaassoluta)» (S. pr. bh. 158-159; Garbe 276). Senonchènell’estasi e nel sonno profondo l’Anima, per quanto nellapienezza della sua natura, è pur sempre connessa con ilgerme delle rinascite future (le impressioni delle opere e lanon distinzione) che, inerendo all’organo interno, nel tem-po dell’estasi e del sonno senza sogni non si riflettenell’Anima e quindi non la limita. Ciò è dovuto nell’estasiall’indifferenza suprema che in quel momento raggiunge il

118

Page 119: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

suo culmine ed oppone quindi come un ostacolo invinci-bile all’attività delle affezioni, cioè alla loro riflessionenell’Anima; nel sonno profondo al prevalere del tamas, ilquale produce nell’organo interno un oscuramento il qualeimpedisce che le affezioni si riflettano nell’Anima. Ma inambo i casi cessate le cause impedienti le affezioni si riflet-tono nuovamente nell’Anima e l’individuo riprende la suaesistenza ordinaria. Invece nella liberazione la riflessionenon è più solo temporaneamente impedita da cause pas-seggiere, ma è definitivamente soppressa per la definitivadistruzione dell’organo interno; e quindi ogni ritornoall’esistenza finita è reso impossibile (S. Sutra V 119; S. pr.bh. 326-327).

119

suo culmine ed oppone quindi come un ostacolo invinci-bile all’attività delle affezioni, cioè alla loro riflessionenell’Anima; nel sonno profondo al prevalere del tamas, ilquale produce nell’organo interno un oscuramento il qualeimpedisce che le affezioni si riflettano nell’Anima. Ma inambo i casi cessate le cause impedienti le affezioni si riflet-tono nuovamente nell’Anima e l’individuo riprende la suaesistenza ordinaria. Invece nella liberazione la riflessionenon è più solo temporaneamente impedita da cause pas-seggiere, ma è definitivamente soppressa per la definitivadistruzione dell’organo interno; e quindi ogni ritornoall’esistenza finita è reso impossibile (S. Sutra V 119; S. pr.bh. 326-327).

119

Page 120: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

CAP. IV

Lo svolgersi dell’esistenza empirica individuale è consi-derato dal Sankhya come un processo meccanico, fatale,rinnovantesi incessantemente da tutta l’eternità per effettod’un principio attivo, l’Ignoranza, che pur essendo essomedesimo una manifestazione dell’esistenza, è ad un tem-po causa del manifestarsi della stessa.

Per «ignoranza» intende il Sankhya quel modo specialeed innato dell’intelletto individuale che persiste finoall’apparire della conoscenza liberatrice e per cui l’indivi-duo è istintivamente tratto a formarsi una certa intuizione,un certo concetto dell’essere proprio e del mondo dal qua-le è guidato nei suoi sentimenti, nei suoi desiderii, nellesue azioni.

Essa si traduce per la maggior parte degli uomini in as-senza della riflessione filosofica nella superstizione religio-sa; per i pochi i quali sono pervenuti ad un concetto filo-sofico delle cose si risolve in varie specie d’errori i qualiconsistono nell’identificazione dell’Anima con la Natura ocon l’Intelligenza o con la Personalità o con alcun altro deiprincipii prodotti (Kaum. 87-88). In ogni caso però l’erro-re essenziale è sempre il medesimo: e consiste nell’ignora-re la distinzione dell’Anima e della Natura, nel sostituirealla concezione vera quella qualsivoglia altra concezione laquale toglie di vedere in tutta la sua chiarezza la distinzio-

120

CAP. IV

Lo svolgersi dell’esistenza empirica individuale è consi-derato dal Sankhya come un processo meccanico, fatale,rinnovantesi incessantemente da tutta l’eternità per effettod’un principio attivo, l’Ignoranza, che pur essendo essomedesimo una manifestazione dell’esistenza, è ad un tem-po causa del manifestarsi della stessa.

Per «ignoranza» intende il Sankhya quel modo specialeed innato dell’intelletto individuale che persiste finoall’apparire della conoscenza liberatrice e per cui l’indivi-duo è istintivamente tratto a formarsi una certa intuizione,un certo concetto dell’essere proprio e del mondo dal qua-le è guidato nei suoi sentimenti, nei suoi desiderii, nellesue azioni.

Essa si traduce per la maggior parte degli uomini in as-senza della riflessione filosofica nella superstizione religio-sa; per i pochi i quali sono pervenuti ad un concetto filo-sofico delle cose si risolve in varie specie d’errori i qualiconsistono nell’identificazione dell’Anima con la Natura ocon l’Intelligenza o con la Personalità o con alcun altro deiprincipii prodotti (Kaum. 87-88). In ogni caso però l’erro-re essenziale è sempre il medesimo: e consiste nell’ignora-re la distinzione dell’Anima e della Natura, nel sostituirealla concezione vera quella qualsivoglia altra concezione laquale toglie di vedere in tutta la sua chiarezza la distinzio-

120

Page 121: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

ne dei due principii. Perciò il Sankhya chiama l’Ignoranzaanche col nome di non distinzione.

NOTA. Essa non deve quindi essere intesa nel senso puramentenegativo di assenza della conoscenza. «L’ignoranza non è (dice Vya-sa nel commento alli Yoga sutra II, 5) una semplice negazione, ma èuna intuizione di natura positiva, opposta alla vera conoscenza». Edin più luoghi Vijnana definisce l’ignoranza come quel modo di con-cepire l’Anima e la Natura nel quale la distinzione dell’una edell’altra rimane ignorata (S. pr. bh. 58-59. 339).

E nemmeno essa è (come nel Vedanta e nel neobuddismo) unprincipio cosmico, una misteriosa potenza esistente antecedente-mente e separatamente dagli esseri empirici (S. Sutra I, 20). Dire chel’ignoranza è la causa efficiente della mia esistenza attuale significasemplicemente che nel tempo passato esistette in qualche parte osulla terra o in cielo un essere così reale come io sono attualmente, ilquale non possedette la conoscenza e perciò avvolto nelle spire dellatrasmigrazione produsse necessariamente l’esistenza mia presente(Old.2 261-262).

Ora l’esistenza non è altro, secondo il Sankhya, che iltradursi in atto della concezione erronea dell’individuocon tutti i suoi effetti. La confusione soggettiva dell’Ani-ma e della Natura da parte dell’individuo ha cioè la poten-za di creare fra i due principii quel reale rapporto che è laconnessione. Come poi dall’ignoranza procedono i deside-rii, le azioni, etc. così dalla connessione procede la creazio-ne specificantesi in corrispondenza alla varietà dei deside-rii e delle azioni in un’indefinita varietà di condizioni mate-riali. L’ ignoranza è quindi causa dell’esistenza sotto que-sto primo punto di vista: che l’esistenza nel suo complessonon è che il realizzarsi del voler essere dell’individuo (inquesta espressione comprendendo e l’ignoranza fonda-

121

ne dei due principii. Perciò il Sankhya chiama l’Ignoranzaanche col nome di non distinzione.

NOTA. Essa non deve quindi essere intesa nel senso puramentenegativo di assenza della conoscenza. «L’ignoranza non è (dice Vya-sa nel commento alli Yoga sutra II, 5) una semplice negazione, ma èuna intuizione di natura positiva, opposta alla vera conoscenza». Edin più luoghi Vijnana definisce l’ignoranza come quel modo di con-cepire l’Anima e la Natura nel quale la distinzione dell’una edell’altra rimane ignorata (S. pr. bh. 58-59. 339).

E nemmeno essa è (come nel Vedanta e nel neobuddismo) unprincipio cosmico, una misteriosa potenza esistente antecedente-mente e separatamente dagli esseri empirici (S. Sutra I, 20). Dire chel’ignoranza è la causa efficiente della mia esistenza attuale significasemplicemente che nel tempo passato esistette in qualche parte osulla terra o in cielo un essere così reale come io sono attualmente, ilquale non possedette la conoscenza e perciò avvolto nelle spire dellatrasmigrazione produsse necessariamente l’esistenza mia presente(Old.2 261-262).

Ora l’esistenza non è altro, secondo il Sankhya, che iltradursi in atto della concezione erronea dell’individuocon tutti i suoi effetti. La confusione soggettiva dell’Ani-ma e della Natura da parte dell’individuo ha cioè la poten-za di creare fra i due principii quel reale rapporto che è laconnessione. Come poi dall’ignoranza procedono i deside-rii, le azioni, etc. così dalla connessione procede la creazio-ne specificantesi in corrispondenza alla varietà dei deside-rii e delle azioni in un’indefinita varietà di condizioni mate-riali. L’ ignoranza è quindi causa dell’esistenza sotto que-sto primo punto di vista: che l’esistenza nel suo complessonon è che il realizzarsi del voler essere dell’individuo (inquesta espressione comprendendo e l’ignoranza fonda-

121

Page 122: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

mentale e i suoi effetti), ed il fatto primo ed irreducibile diquesto voler essere è l’ignoranza.

Ma il desiderio di esistere, l’allettatrice speranza che colmiraggio di beni illusorii induce l’anima a voler fruire dellavita cosciente non hanno in realtà altro effetto che quellodi trascinarla in un mare di dolori senza fine. Il dolore èinseparabile dall’esistenza e l’accompagna in tutte le sueforme. Quindi sorge nell’anima il desiderio di sfuggire aldolore; e per questo erra di forma in forma finché nonsorge in essa la conoscenza che il dolore è essenzialeall’esistenza e che per sopprimere il dolore è necessariosopprimere la coscienza, separare il proprio Sè dalla Natu-ra cui il dolore appartiene. Acciocché sia soddisfatto que-sto secondo desiderio che nella sua più comune espressio-ne si traduce nell’universale desiderio di rimuovere il dolo-re, ma importa in fondo il desiderio di separare l’Animadalla Natura, è necessario che l’Anima fruisca, l’una dopol’altra, di tutte le forme di questa, e contempli la Natura inogni sua parte abbracciando in tutta la sua pienezza la pro-fonda miseria dell’esistenza. Quindi l’ignoranza è causadell’esistenza anche sotto questo secondo punto di vista:che affinchè sia tolta l’ignoranza (e con essa l’esistenza) ènecessario che l’anima passi di forma in forma onde, ve-dendo nel succedersi delle esistenze che il dolore è inevita-bile, essa prenda in orrore l’esistenza e se ne separi (Anir.119).

Questo esprime in breve la Karika 21: «L’ unione deidue, simile a quella d’uno zoppo (simbolo dell’Anima cheè spirituale ma inattiva) è d’un cieco (simbolo della Natura

122

mentale e i suoi effetti), ed il fatto primo ed irreducibile diquesto voler essere è l’ignoranza.

Ma il desiderio di esistere, l’allettatrice speranza che colmiraggio di beni illusorii induce l’anima a voler fruire dellavita cosciente non hanno in realtà altro effetto che quellodi trascinarla in un mare di dolori senza fine. Il dolore èinseparabile dall’esistenza e l’accompagna in tutte le sueforme. Quindi sorge nell’anima il desiderio di sfuggire aldolore; e per questo erra di forma in forma finché nonsorge in essa la conoscenza che il dolore è essenzialeall’esistenza e che per sopprimere il dolore è necessariosopprimere la coscienza, separare il proprio Sè dalla Natu-ra cui il dolore appartiene. Acciocché sia soddisfatto que-sto secondo desiderio che nella sua più comune espressio-ne si traduce nell’universale desiderio di rimuovere il dolo-re, ma importa in fondo il desiderio di separare l’Animadalla Natura, è necessario che l’Anima fruisca, l’una dopol’altra, di tutte le forme di questa, e contempli la Natura inogni sua parte abbracciando in tutta la sua pienezza la pro-fonda miseria dell’esistenza. Quindi l’ignoranza è causadell’esistenza anche sotto questo secondo punto di vista:che affinchè sia tolta l’ignoranza (e con essa l’esistenza) ènecessario che l’anima passi di forma in forma onde, ve-dendo nel succedersi delle esistenze che il dolore è inevita-bile, essa prenda in orrore l’esistenza e se ne separi (Anir.119).

Questo esprime in breve la Karika 21: «L’ unione deidue, simile a quella d’uno zoppo (simbolo dell’Anima cheè spirituale ma inattiva) è d’un cieco (simbolo della Natura

122

Page 123: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

che è non spirituale ma attiva), ha luogo affinchè l’animaveda la Natura (ossia fruisca dell’esistenza) e ne venga se-parata (per via dell’esperienza del dolore). Da essa la crea-zione».

Così l’esistenza è ad un tempo un effetto dell’illusioneinnata che eccita l’individuo a fruirne ed un’esperienza, undoloroso ammaestramento che ha per iscopo di distrugge-re quell’ignoranza funesta. Nè nel fatto che l’esistenza pre-suppone l’ignoranza e l’ignoranza alla sua volta presuppo-ne un’antecedente esistenza vede il Sankhya alcun assurdo;in quanto così l’ignoranza come l’esistenza durano da tuttal’eternità causandosi reciprocamente in modo alternocome la pianta ed il seme (Kaum. 67). L’ignoranza precedel’esistenza solo logicamente (e perciò le è attribuito il ca-rattere di causa); in quanto essa è il fatto fondamentaledell’esistenza tolto il quale è tolta anche l’esistenza (S. pr.bh. 57).

NOTA. La teoria dell’ignoranza non ha evidentemente per fine didare un’esplicazione dell’esistenza in sè stessa, la quale è considerataanche dal Sankhya come un processo doloroso e fatale del qualenon è possibile o non è necessario ricercare la ragione ultima. Essadice semplicemente che vi è da tutta l’eternità accanto alla Natura edall’Anima un essere fittizio (anzi una molteplicità infinita di esserifittizi) la cui esistenza si può ricondurre al voler essere causatodall’ignoranza, e che una provvida fatalità conduce per la via doloro-sa dell’esistenza alla quiete del nulla per mezzo del non voler essere;ma non dice perchè quell’ignoranza e quel voler essere siano. Que-sto non può infatti ricondursi a nessuna proprietà essenziale dellaNatura e dell’Anima, perchè in tal caso la schiavitù sarebbe eterna,nè ad alcun proposito dell’una o dell’altra perchè l’una e l’altra nesono incapaci (la prima perchè inconscia, l’altra perchè inattiva) e

123

che è non spirituale ma attiva), ha luogo affinchè l’animaveda la Natura (ossia fruisca dell’esistenza) e ne venga se-parata (per via dell’esperienza del dolore). Da essa la crea-zione».

Così l’esistenza è ad un tempo un effetto dell’illusioneinnata che eccita l’individuo a fruirne ed un’esperienza, undoloroso ammaestramento che ha per iscopo di distrugge-re quell’ignoranza funesta. Nè nel fatto che l’esistenza pre-suppone l’ignoranza e l’ignoranza alla sua volta presuppo-ne un’antecedente esistenza vede il Sankhya alcun assurdo;in quanto così l’ignoranza come l’esistenza durano da tuttal’eternità causandosi reciprocamente in modo alternocome la pianta ed il seme (Kaum. 67). L’ignoranza precedel’esistenza solo logicamente (e perciò le è attribuito il ca-rattere di causa); in quanto essa è il fatto fondamentaledell’esistenza tolto il quale è tolta anche l’esistenza (S. pr.bh. 57).

NOTA. La teoria dell’ignoranza non ha evidentemente per fine didare un’esplicazione dell’esistenza in sè stessa, la quale è considerataanche dal Sankhya come un processo doloroso e fatale del qualenon è possibile o non è necessario ricercare la ragione ultima. Essadice semplicemente che vi è da tutta l’eternità accanto alla Natura edall’Anima un essere fittizio (anzi una molteplicità infinita di esserifittizi) la cui esistenza si può ricondurre al voler essere causatodall’ignoranza, e che una provvida fatalità conduce per la via doloro-sa dell’esistenza alla quiete del nulla per mezzo del non voler essere;ma non dice perchè quell’ignoranza e quel voler essere siano. Que-sto non può infatti ricondursi a nessuna proprietà essenziale dellaNatura e dell’Anima, perchè in tal caso la schiavitù sarebbe eterna,nè ad alcun proposito dell’una o dell’altra perchè l’una e l’altra nesono incapaci (la prima perchè inconscia, l’altra perchè inattiva) e

123

Page 124: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

perchè anche ammettendo un tale proposito esso condurrebbe adassurdi (Cfr. Çankara nel comm. ai Ved. Sutra II, 2, 6). Da rigettarsiè quindi l’opinione che pare adottata da Vacaspati (Kaum. 67, 107;cfr. Çankara ib. II, 2, 10) secondo la quale nell’Anima esisterebberealmente una facoltà, anzi una tendenza a sentire, ad esistere co-scientemente e nella Natura una tendenza ad essere sentita (e quindia liberare l’Anima); perchè, come Vijnana oppone, non si vede comela conoscenza potrebbe distruggere tali tendenze; ed ove si assum-messe l’esistenza essere causata dal tem poraneo attuarsi di tali ten-denze (e questo attuarsi essere a sua volta condizionato dalla non di-stinzione), non si vede che cosa questa spiegazione verrebbe ad ag-giungere (S. pr. bh. 34). Cosi anche le frequenti espressioni e dellaKarika e dei Sutra e dei commentatori nelle quali è apparentementeattribuito alla Natura il proposito di liberare l’anima debbono essereintese come espressioni figurate dell’immutabile e cieca necessità percui l’esistenza corre fatalmente alla liberazione e non s’arresta fino ache non vi è giunta; se non si vuole del resto cadere in contraddizio-ne con altri passi (p. es. S. Sutra III, 60, etc.) nei quali l’agire dellaNatura è detto essere affatto inintelligente, meccanico, fatale come iltempo.

L’ignoranza come ogni altro modo dell’intelletto ineri-sce all’intelletto stesso, ma tutto il linga ne è penetrato;essa accompagna (in colui che ne è vincolato), anima, co-lora, per cosi dire, ogni atto dell’esistenza, si imprimecome un carattere nelle singole azioni e quindi nelle im-pressioni materiali che ogni azione lascia come residuo nellinga, in queste impressioni persiste e vive quando l’esi-stenza sensibile è temporaneamente interrotta e da esse ri-sorge nell’esistenza novella dispiegandosi in nuove illusio-ni ed in nuovi errori. Quindi l’ignoranza è, come la catenadelle esistenze, senza principio e si perpetua ininterrotta-mente dall’eternità nella forma di successione alterna di

124

perchè anche ammettendo un tale proposito esso condurrebbe adassurdi (Cfr. Çankara nel comm. ai Ved. Sutra II, 2, 6). Da rigettarsiè quindi l’opinione che pare adottata da Vacaspati (Kaum. 67, 107;cfr. Çankara ib. II, 2, 10) secondo la quale nell’Anima esisterebberealmente una facoltà, anzi una tendenza a sentire, ad esistere co-scientemente e nella Natura una tendenza ad essere sentita (e quindia liberare l’Anima); perchè, come Vijnana oppone, non si vede comela conoscenza potrebbe distruggere tali tendenze; ed ove si assum-messe l’esistenza essere causata dal tem poraneo attuarsi di tali ten-denze (e questo attuarsi essere a sua volta condizionato dalla non di-stinzione), non si vede che cosa questa spiegazione verrebbe ad ag-giungere (S. pr. bh. 34). Cosi anche le frequenti espressioni e dellaKarika e dei Sutra e dei commentatori nelle quali è apparentementeattribuito alla Natura il proposito di liberare l’anima debbono essereintese come espressioni figurate dell’immutabile e cieca necessità percui l’esistenza corre fatalmente alla liberazione e non s’arresta fino ache non vi è giunta; se non si vuole del resto cadere in contraddizio-ne con altri passi (p. es. S. Sutra III, 60, etc.) nei quali l’agire dellaNatura è detto essere affatto inintelligente, meccanico, fatale come iltempo.

L’ignoranza come ogni altro modo dell’intelletto ineri-sce all’intelletto stesso, ma tutto il linga ne è penetrato;essa accompagna (in colui che ne è vincolato), anima, co-lora, per cosi dire, ogni atto dell’esistenza, si imprimecome un carattere nelle singole azioni e quindi nelle im-pressioni materiali che ogni azione lascia come residuo nellinga, in queste impressioni persiste e vive quando l’esi-stenza sensibile è temporaneamente interrotta e da esse ri-sorge nell’esistenza novella dispiegandosi in nuove illusio-ni ed in nuovi errori. Quindi l’ignoranza è, come la catenadelle esistenze, senza principio e si perpetua ininterrotta-mente dall’eternità nella forma di successione alterna di

124

Page 125: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

predisposizioni all’ignoranza e di forme specifiche d’igno-ranza (S. Sutra VI, 12).

Essa causa direttamente soltanto la connessionedell’Anima con la Natura, ossia quel determinato rapportotra i due principii il quale si rivela nel fatto della coscienza.Per virtù poi della connessione la Natura è meccanicamen-te tratta ad evolversi, a produrre dal proprio seno i ventitreprincipii della creazione e ad organizzarsi in modo chel’anima possa fruirne; quindi per questo riguardo l’igno-ranza è anche causa (sebbene indiretta) dell’attività dellaNatura traducentesi nelle condizioni d’esistenza e nelle af-fezioni materiali del linga.

Ma, si dirà, poiché la Natura è unica, perchè non sievolve essa in modo identico per tutte le Anime causandoa tutte una schiavitù identica? Onde nasce la varietà dellecondizioni materiali? Questo ci conduce a trattare della se-conda causa dell’esistenza, cioè del m erito.

NOTA. L’opinione di Aniruddha che identifica l’ignoranza con laconnessione è evidentemente errata. A ragione oppone Vijnana laconcorde affermazione dei testi che l’ignoranza è causa della con-nessione ed obbietta il persistere della coscienza (è però della con-nessione) nel liberato vivente nel quale pure ogni traccia d’ignoranzaè scomparsa (S. pr. bh. 32-33, 56-57).

NOTA 2a Nei sutra 13-19 del libro V è confutato l’opinione ve-dantica la quale fa procedere la schiavitù immediatamente dalla for-za dell’Illusione. Si confr. Çankara II, 1, 9-10.

Ogni atto umano lascia, secondo il Sankhya, dietro di sèuna traccia, un residuo, un’impressione materiale la qualein fondo non è altro che una lievissima, inapprezzabile

125

predisposizioni all’ignoranza e di forme specifiche d’igno-ranza (S. Sutra VI, 12).

Essa causa direttamente soltanto la connessionedell’Anima con la Natura, ossia quel determinato rapportotra i due principii il quale si rivela nel fatto della coscienza.Per virtù poi della connessione la Natura è meccanicamen-te tratta ad evolversi, a produrre dal proprio seno i ventitreprincipii della creazione e ad organizzarsi in modo chel’anima possa fruirne; quindi per questo riguardo l’igno-ranza è anche causa (sebbene indiretta) dell’attività dellaNatura traducentesi nelle condizioni d’esistenza e nelle af-fezioni materiali del linga.

Ma, si dirà, poiché la Natura è unica, perchè non sievolve essa in modo identico per tutte le Anime causandoa tutte una schiavitù identica? Onde nasce la varietà dellecondizioni materiali? Questo ci conduce a trattare della se-conda causa dell’esistenza, cioè del m erito.

NOTA. L’opinione di Aniruddha che identifica l’ignoranza con laconnessione è evidentemente errata. A ragione oppone Vijnana laconcorde affermazione dei testi che l’ignoranza è causa della con-nessione ed obbietta il persistere della coscienza (è però della con-nessione) nel liberato vivente nel quale pure ogni traccia d’ignoranzaè scomparsa (S. pr. bh. 32-33, 56-57).

NOTA 2a Nei sutra 13-19 del libro V è confutato l’opinione ve-dantica la quale fa procedere la schiavitù immediatamente dalla for-za dell’Illusione. Si confr. Çankara II, 1, 9-10.

Ogni atto umano lascia, secondo il Sankhya, dietro di sèuna traccia, un residuo, un’impressione materiale la qualein fondo non è altro che una lievissima, inapprezzabile

125

Page 126: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

modificazione nelle proporzioni dei tre gunas costituentil’intelletto. Nell’intelletto risiedono quindi un grandissimonumero di queste impressioni o disposizioni; le qualispecificandosi in un’indefinita varietà corrispondenteall’indefinita varietà delle azioni sono la causa dell’estremadiversità che noi osserviamo nel carattere, nelle tendenze,nell’agire e nel destino degli individui. Esse vi permango-no fuori del dominio della coscienza senza dar segno dellaloro esistenza; ma quando il loro tempo è giunto (il cheaccade ordinariamente nelle esistenze successive, ma puòaver luogo anche nella medesima esistenza), germinano, sisvolgono, fruttificano. Ed il loro frutto è duplice: da unaparte si dispiegano nelle condizioni individuali d’esistenzacreando così il destino dei singoli individui; dall’altra si ri-producono in novelle azioni onde poi nuove disposizioni ecosì indefinitamente (Markus o. c. 37 e ss.)

Le disposizioni, sebbene per sè innumerevoli, vengonodal Sankhya raggruppate sotto quattro categorie, che sonocome i quattro modi fondamentali in cui l’intelletto puòper effetto delle azioni modificarsi. Ciascuno di essi poipuò ancora svolgersi, secondo che è in prevalenza il sattvaod il tamas, in due opposte direzioni; per cui noi abbiamogli otto modi seguenti dell’intelletto: conoscenza ed igno-ranza, impassibilità e passione, virtù e vizio, potenza edimpotenza (Karika 23, 43).

L’ intelletto nell’assoluta sua purezza possiede natural-mente la conoscenza, l’impassibilità, la virtù, la potenzasoprannaturale. Ma Kapila solo, il gran saggio, venneall’esistenza con questi quattro modi in tutta la loro perfe-

126

modificazione nelle proporzioni dei tre gunas costituentil’intelletto. Nell’intelletto risiedono quindi un grandissimonumero di queste impressioni o disposizioni; le qualispecificandosi in un’indefinita varietà corrispondenteall’indefinita varietà delle azioni sono la causa dell’estremadiversità che noi osserviamo nel carattere, nelle tendenze,nell’agire e nel destino degli individui. Esse vi permango-no fuori del dominio della coscienza senza dar segno dellaloro esistenza; ma quando il loro tempo è giunto (il cheaccade ordinariamente nelle esistenze successive, ma puòaver luogo anche nella medesima esistenza), germinano, sisvolgono, fruttificano. Ed il loro frutto è duplice: da unaparte si dispiegano nelle condizioni individuali d’esistenzacreando così il destino dei singoli individui; dall’altra si ri-producono in novelle azioni onde poi nuove disposizioni ecosì indefinitamente (Markus o. c. 37 e ss.)

Le disposizioni, sebbene per sè innumerevoli, vengonodal Sankhya raggruppate sotto quattro categorie, che sonocome i quattro modi fondamentali in cui l’intelletto puòper effetto delle azioni modificarsi. Ciascuno di essi poipuò ancora svolgersi, secondo che è in prevalenza il sattvaod il tamas, in due opposte direzioni; per cui noi abbiamogli otto modi seguenti dell’intelletto: conoscenza ed igno-ranza, impassibilità e passione, virtù e vizio, potenza edimpotenza (Karika 23, 43).

L’ intelletto nell’assoluta sua purezza possiede natural-mente la conoscenza, l’impassibilità, la virtù, la potenzasoprannaturale. Ma Kapila solo, il gran saggio, venneall’esistenza con questi quattro modi in tutta la loro perfe-

126

Page 127: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

zione. Gli altri uomini nascono con l’intelletto più o menooffuscato dal tamas e perciò in essi le quattro sopradetteperfezioni sono non innate ma acquisite (Kaum. 86-87).Questi otto modi appartengono propriamente all’intellettosolo, ma tutto il linga ne è penetrato e dominato; come unabito che quando è posto in contatto con un fiore odoro-so s’ imbeve tutto del suo profumo (Kaum. 84).

Il primo di questi modi è la conoscenza. L’intellettopenetrato dalla conoscenza perviene alla distinzione e peressa alla liberazione. Quando essa domina l’intelletto an-che gli altri modi si subordinano ad essa; la virtù cessad’essere uno stimolo all’agire pio e si manifesta negli eser-cizi ascetici (Kaum. 69, Gaud. 83); l’impassibilità si rivelain quella indifferenza interiore suprema che è come il pre-ludio immediato della liberazione. L’individuo il cui intel-letto è giunto alla acquisizione della conoscenza è un per-fetto (Kaum. 89).

Ma all’infuori del caso di colui che giunge alla perfezio-ne la conoscenza è solitamente oscurata nell’intelletto dalprevalere del tamas e si volge nel suo contrario che èl’ignoranza. Essa è, come abbiamo veduto, il modo checausa il perpetuarsi dell’esistenza determinando il conti-nuarsi della connessione dell’Anima con la Natura. Gli al-tri sei modi specificano poi variamente la sua efficienzagenerica.

L’im passib ilità è quel modo dell’intelletto che nascedalla negazione del desiderio. Essa è di due specie: interio-re ed esteriore. La prima è quella che accompagna la cono-scenza. La seconda è quella di colui che disprezza gli og-

127

zione. Gli altri uomini nascono con l’intelletto più o menooffuscato dal tamas e perciò in essi le quattro sopradetteperfezioni sono non innate ma acquisite (Kaum. 86-87).Questi otto modi appartengono propriamente all’intellettosolo, ma tutto il linga ne è penetrato e dominato; come unabito che quando è posto in contatto con un fiore odoro-so s’ imbeve tutto del suo profumo (Kaum. 84).

Il primo di questi modi è la conoscenza. L’intellettopenetrato dalla conoscenza perviene alla distinzione e peressa alla liberazione. Quando essa domina l’intelletto an-che gli altri modi si subordinano ad essa; la virtù cessad’essere uno stimolo all’agire pio e si manifesta negli eser-cizi ascetici (Kaum. 69, Gaud. 83); l’impassibilità si rivelain quella indifferenza interiore suprema che è come il pre-ludio immediato della liberazione. L’individuo il cui intel-letto è giunto alla acquisizione della conoscenza è un per-fetto (Kaum. 89).

Ma all’infuori del caso di colui che giunge alla perfezio-ne la conoscenza è solitamente oscurata nell’intelletto dalprevalere del tamas e si volge nel suo contrario che èl’ignoranza. Essa è, come abbiamo veduto, il modo checausa il perpetuarsi dell’esistenza determinando il conti-nuarsi della connessione dell’Anima con la Natura. Gli al-tri sei modi specificano poi variamente la sua efficienzagenerica.

L’im passib ilità è quel modo dell’intelletto che nascedalla negazione del desiderio. Essa è di due specie: interio-re ed esteriore. La prima è quella che accompagna la cono-scenza. La seconda è quella di colui che disprezza gli og-

127

Page 128: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

getti sensibili osservando i loro difetti, la inquietudine checagiona il loro acquisto e la loro conservazione, l’inconve-nienza di attaccarvi il proprio cuore, etc. Essa è già un altogrado di perfezione; ma nondimeno se è disgiunta dallaconoscenza l’individuo non riconosce la distinzionedell’Anima e della Natura, scambia la Natura od una dellesue forme per il Sè ed immergendosi in questa contempla-zione che lo conduce alla quiete suprema non riesce ad al-tro che ad effettuare l’annegamento della propria indivi-dualità nella Natura. Il suo corpo sottile ed i suoi elementisono riassorbiti; ma ciò non equivale alla liberazione e nonè che il termine d’una serie di migrazioni, poiché l’animaviene nuovamente dotata d’un altro linga che ricomincia ilcorso delle esistenze (per effetto delle disposizioni poste-riori che non sono state annullate) fino a che ottenga laconoscenza (Kaum. 88) S. Sutra III, 54: «Con l’assorbi-mento nella causa non è ottenuto il fine dell’Anima; per-chè di nuovo si ritorna come nel caso d’un uomo che sisommerge (e che ritorna tosto a galla)». Vijnana commen-ta: «Come un uomo che si è sommesso ritorna a galla, così(al principio d’un nuovo anno mondano) le anime assorbi-te nella materia ritornano elevate alla dignità divina; poiché(in tal caso) nè le impressioni lasciate dietro a sè, nè (laforza della retribuzione delle opere, cioè del merito) sonostate distrutte dalla conoscenza. Quindi etc.». La naturatende ciecamente ad operare la liberazione dell’anima permezzo della conoscenza; questa non essendo stata effet-tuata, essa ritorna ad agire e ricomincia il corso interrottodelle migrazioni (S. pr. bh. 233-234).

128

getti sensibili osservando i loro difetti, la inquietudine checagiona il loro acquisto e la loro conservazione, l’inconve-nienza di attaccarvi il proprio cuore, etc. Essa è già un altogrado di perfezione; ma nondimeno se è disgiunta dallaconoscenza l’individuo non riconosce la distinzionedell’Anima e della Natura, scambia la Natura od una dellesue forme per il Sè ed immergendosi in questa contempla-zione che lo conduce alla quiete suprema non riesce ad al-tro che ad effettuare l’annegamento della propria indivi-dualità nella Natura. Il suo corpo sottile ed i suoi elementisono riassorbiti; ma ciò non equivale alla liberazione e nonè che il termine d’una serie di migrazioni, poiché l’animaviene nuovamente dotata d’un altro linga che ricomincia ilcorso delle esistenze (per effetto delle disposizioni poste-riori che non sono state annullate) fino a che ottenga laconoscenza (Kaum. 88) S. Sutra III, 54: «Con l’assorbi-mento nella causa non è ottenuto il fine dell’Anima; per-chè di nuovo si ritorna come nel caso d’un uomo che sisommerge (e che ritorna tosto a galla)». Vijnana commen-ta: «Come un uomo che si è sommesso ritorna a galla, così(al principio d’un nuovo anno mondano) le anime assorbi-te nella materia ritornano elevate alla dignità divina; poiché(in tal caso) nè le impressioni lasciate dietro a sè, nè (laforza della retribuzione delle opere, cioè del merito) sonostate distrutte dalla conoscenza. Quindi etc.». La naturatende ciecamente ad operare la liberazione dell’anima permezzo della conoscenza; questa non essendo stata effet-tuata, essa ritorna ad agire e ricomincia il corso interrottodelle migrazioni (S. pr. bh. 233-234).

128

Page 129: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

L’opposto dell’impassibilità è la passione, il desiderio,il cui effetto è di dirigere in questo o quel senso l’attivitàdella Natura mossa dall’ignoranza, conducendo a determi-nate condizioni d’esistenza (Kar. 45). «Colui che concepi-sce in cuor suo desiderii, nasce fatalmente qua o là (in queiluoghi e in quelle condizioni che erano state oggetto deisuoi desiderii)» (S. Sara cap. I).

La virtù è quel modo dell’intelletto che è causato dalleopere pie e dai sacrifizi ed ha per effetto di elevare l’indivi-duo alla beatitudine celeste (Kaum. 69). Questa non èperò nè assoluta nè eterna e non dura se non fino a tantoche la relativa disposizione ha pienamente prodotto il suofrutto; dopo di che sottentrando l’effetto di nuove disposi-zioni l’esistenza ricomincia sotto nuove forme.

Il v izio che è la modificazione dell’intelletto proceden-te dalle male azioni causa il decadimento dell’individuonella scala delle esistenze e la rinascita sotto forma di ani-male o di vegetale (Gaud. 143).

La potenza (soprannaturale) è quella modificazionedell’intelletto che è causata dalla contemplazione estatica(S. Sutra III, 29). Essa appartiene del resto naturalmente(come le altre perfezioni, la conoscenza etc.) all’intelletto;se non che nella maggior parte degli uomini è annullata dalsopravvento del rajas o del tamas (S. pr. bh. 186). Per ef-fetto di questo modo l’individuo perviene all’acquisto del-le otto facoltà soprannaturali, ossia all’onnipotenza dellapropria volontà. Per quanto meravigliosi siano gli effettiche la potenza produce, non conviene però dimenticareche in essa non è il fine dell’anima. Anche i suoi effetti,

129

L’opposto dell’impassibilità è la passione, il desiderio,il cui effetto è di dirigere in questo o quel senso l’attivitàdella Natura mossa dall’ignoranza, conducendo a determi-nate condizioni d’esistenza (Kar. 45). «Colui che concepi-sce in cuor suo desiderii, nasce fatalmente qua o là (in queiluoghi e in quelle condizioni che erano state oggetto deisuoi desiderii)» (S. Sara cap. I).

La virtù è quel modo dell’intelletto che è causato dalleopere pie e dai sacrifizi ed ha per effetto di elevare l’indivi-duo alla beatitudine celeste (Kaum. 69). Questa non èperò nè assoluta nè eterna e non dura se non fino a tantoche la relativa disposizione ha pienamente prodotto il suofrutto; dopo di che sottentrando l’effetto di nuove disposi-zioni l’esistenza ricomincia sotto nuove forme.

Il v izio che è la modificazione dell’intelletto proceden-te dalle male azioni causa il decadimento dell’individuonella scala delle esistenze e la rinascita sotto forma di ani-male o di vegetale (Gaud. 143).

La potenza (soprannaturale) è quella modificazionedell’intelletto che è causata dalla contemplazione estatica(S. Sutra III, 29). Essa appartiene del resto naturalmente(come le altre perfezioni, la conoscenza etc.) all’intelletto;se non che nella maggior parte degli uomini è annullata dalsopravvento del rajas o del tamas (S. pr. bh. 186). Per ef-fetto di questo modo l’individuo perviene all’acquisto del-le otto facoltà soprannaturali, ossia all’onnipotenza dellapropria volontà. Per quanto meravigliosi siano gli effettiche la potenza produce, non conviene però dimenticareche in essa non è il fine dell’anima. Anche i suoi effetti,

129

Page 130: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

quando essa non è accompagnata dalla conoscenza, sonotransitorii come ogni altra cosa al mondo (S. Sutra V, 82-83).

L’impotenza è causa invece del non adempimento del-le nostre volontà; e quindi fonte di miseria senza fine.

NOTA. Secondo il Sankhya le opere virtuose (in esse compren-dendo anche i sacrifizi e le cerimonie religiose) hanno il solo effettodi perpetuare la schiavitù e non hanno nessun rapporto nè direttonè indiretto con la liberazione. Esso esclude quindi assolutamenteche il saggio sia legato all’osservanza dei precetti della morale e dellareligione, i quali non rappresentano per esso che un punto di vistainferiore e connesso con l’ignoranza, di nessuna efficacia per il fineultimo dell’uomo. S. Sutra III, 25: «Poiché la liberazione è un effettodella sola conoscenza, la combinazione (della medesima con le ope-re) e la sostituzione (di queste a quella) sono escluse». Ib. 26: «Comedalla combinazione d’alcunché d’illusorio visto in sogno con alcun-ché di reale visto nello stato di veglia (non procede nulla), così nonpuò procedere la liberazione da amendue». Cioè come al compi-mento d’un lavoro materiale non si possono far concorrere duestrumenti dei quali l’uno sia alcunché d’illusorio e l’altro sia alcunchédi reale, così è assurdo credere che le opere, le quali relativamenteall’Anima sono come un’illusione passeggiera basata sulla non di-stinzione, e la conoscenza, che è l’essenza vera dell’Anima e quindialcunché di eterno e di supremamente reale, possano concorrere in-sieme a produrre la liberazione. Per questo errano coloro i quali cre-dono che l’uomo possa contribuire al prodursi della liberazione congli esercizi ascetici (Kaum. 92); i quali secondo il nostro sistemahanno l’unico fine di purificare l’intelletto, di impedire che il deside-rio e le altre impurità soffochino il germe della conoscenza, ma persè stessi non hanno nè direttamente nè indirettamente alcun’effica-cia positiva.

Egualmente inefficaci sono le opere prima della conoscenza. Siache esse siano compiute col desiderio di ricompensa, sia che siano

130

quando essa non è accompagnata dalla conoscenza, sonotransitorii come ogni altra cosa al mondo (S. Sutra V, 82-83).

L’impotenza è causa invece del non adempimento del-le nostre volontà; e quindi fonte di miseria senza fine.

NOTA. Secondo il Sankhya le opere virtuose (in esse compren-dendo anche i sacrifizi e le cerimonie religiose) hanno il solo effettodi perpetuare la schiavitù e non hanno nessun rapporto nè direttonè indiretto con la liberazione. Esso esclude quindi assolutamenteche il saggio sia legato all’osservanza dei precetti della morale e dellareligione, i quali non rappresentano per esso che un punto di vistainferiore e connesso con l’ignoranza, di nessuna efficacia per il fineultimo dell’uomo. S. Sutra III, 25: «Poiché la liberazione è un effettodella sola conoscenza, la combinazione (della medesima con le ope-re) e la sostituzione (di queste a quella) sono escluse». Ib. 26: «Comedalla combinazione d’alcunché d’illusorio visto in sogno con alcun-ché di reale visto nello stato di veglia (non procede nulla), così nonpuò procedere la liberazione da amendue». Cioè come al compi-mento d’un lavoro materiale non si possono far concorrere duestrumenti dei quali l’uno sia alcunché d’illusorio e l’altro sia alcunchédi reale, così è assurdo credere che le opere, le quali relativamenteall’Anima sono come un’illusione passeggiera basata sulla non di-stinzione, e la conoscenza, che è l’essenza vera dell’Anima e quindialcunché di eterno e di supremamente reale, possano concorrere in-sieme a produrre la liberazione. Per questo errano coloro i quali cre-dono che l’uomo possa contribuire al prodursi della liberazione congli esercizi ascetici (Kaum. 92); i quali secondo il nostro sistemahanno l’unico fine di purificare l’intelletto, di impedire che il deside-rio e le altre impurità soffochino il germe della conoscenza, ma persè stessi non hanno nè direttamente nè indirettamente alcun’effica-cia positiva.

Egualmente inefficaci sono le opere prima della conoscenza. Siache esse siano compiute col desiderio di ricompensa, sia che siano

130

Page 131: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

compiute senza desiderio, il loro frutto è sempre il medesimo, quellocioè di prolungare l’esistenza, non di condurre alla conoscenza (S.Sutra I, 84-85). Quindi l’opinione di Vijnana e di Aniruddha che leopere suscitino la conoscenza (S. pr. bh. 103, 179, 260-261; Anir.47-48, 122) è da considerarsi come un’aggiunta arbitraria precedentedal desiderio di conciliare le dottrine del sistema con i precetti dellamorale religiosa.

Il primo degli effetti in cui si dispiegano le disposizioniè la creazione del linga, vale a dire la produzione diquel complesso di condizioni materiali in cui si rinasce pereffetto dell’agire antecedente.

La trasmigrazione consiste appunto nel successivo pas-saggio del linga da un complesso di condizioni ad un altro.Fino a che rimane un residuo delle disposizioni che hannocominciato a recare il loro frutto nell’esistenza presente,questa continua; allorché esse si sono dispiegate intera-mente la vita si spegne per rinnovarsi in quelle condizioniche saranno state determinate dalle disposizioni sottentra-te a quelle che hanno esaurite il loro frutto. Soggetto dellemigrazioni è il linga; l’anima omnipresente non può migra-re (S. S. III, 3).

La migrazione può avvenire tanto in una nuova esisten-za umana quanto in uno dei mondi superiori od inferioriall’umanità. I mondi superiori sono otto e comprendonogli otto mondi divini a cominciare da quello di Brahma edegli dei altissimi a venire a quello dei Piçacas (demoni),che è il più vicino all’umanità. I mondi inferiori sono cin-que e comprendono quelli degli animali domestici, deglianimali selvaggi, degli uccelli, dei rettili, delle piante. Neimondi superiori prevale il sattva; nei mondi inferiori il ta-

131

compiute senza desiderio, il loro frutto è sempre il medesimo, quellocioè di prolungare l’esistenza, non di condurre alla conoscenza (S.Sutra I, 84-85). Quindi l’opinione di Vijnana e di Aniruddha che leopere suscitino la conoscenza (S. pr. bh. 103, 179, 260-261; Anir.47-48, 122) è da considerarsi come un’aggiunta arbitraria precedentedal desiderio di conciliare le dottrine del sistema con i precetti dellamorale religiosa.

Il primo degli effetti in cui si dispiegano le disposizioniè la creazione del linga, vale a dire la produzione diquel complesso di condizioni materiali in cui si rinasce pereffetto dell’agire antecedente.

La trasmigrazione consiste appunto nel successivo pas-saggio del linga da un complesso di condizioni ad un altro.Fino a che rimane un residuo delle disposizioni che hannocominciato a recare il loro frutto nell’esistenza presente,questa continua; allorché esse si sono dispiegate intera-mente la vita si spegne per rinnovarsi in quelle condizioniche saranno state determinate dalle disposizioni sottentra-te a quelle che hanno esaurite il loro frutto. Soggetto dellemigrazioni è il linga; l’anima omnipresente non può migra-re (S. S. III, 3).

La migrazione può avvenire tanto in una nuova esisten-za umana quanto in uno dei mondi superiori od inferioriall’umanità. I mondi superiori sono otto e comprendonogli otto mondi divini a cominciare da quello di Brahma edegli dei altissimi a venire a quello dei Piçacas (demoni),che è il più vicino all’umanità. I mondi inferiori sono cin-que e comprendono quelli degli animali domestici, deglianimali selvaggi, degli uccelli, dei rettili, delle piante. Neimondi superiori prevale il sattva; nei mondi inferiori il ta-

131

Page 132: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

mas; e nel mondo umano il rajas (Karika 54, S. Sutra III,48-50).

In ciascuno di essi il linga si riveste d’un corpo materia-le e gode o soffre secondo il suo destino. Quindi anche ivegetali che a noi sembrano inanimati sono in realtà ani-mati; perchè in ognuno d’essi risiede come in noi un linga;e sebbene non posseggano la facoltà di percepire le coseesterne, hanno una certa coscienza interna e sono capacidi piacere e di dolore. «Quando l’anima abbandona uncorpo animale questo si corrompe: la pianta, quando l’ani-ma l’abbandona, si dissecca» (S. pr. bh. 328-329; S. Sutra V,121-122).

Il secondo degli effetti delle disposizioni è l’agire (crea-zione delle disposizioni). Non però l’agire è propriodi tutti i gradi dell’esistenza; perchè in alcuni di essi, comeper esempio nel mondo dei vegetali, il linga non fa chesopportare le conseguenze del suo agire passato (S. SutraV 123).

L’agire individuale è classificato dal Sankhya, secondoche esso è più o meno vicino alla liberazione, in quattrocategorie che sono l’errore, l’impotenza, la quiete, la perfe-zione.

L’errore e l’impotenza comprendono l’attività del gran-dissimo numero di coloro i quali per l’acciecamento in essiprodotto dalle passioni e dallo sfrenato desiderio dei pia-ceri del senso o dalla superstizione, ovvero per l’impoten-za del loro intelletto ad elevarsi alla concezione filosoficadella verità suprema sono impediti di pervenire alla cono-scenza. La Karika divide l’errore in cinque specie che

132

mas; e nel mondo umano il rajas (Karika 54, S. Sutra III,48-50).

In ciascuno di essi il linga si riveste d’un corpo materia-le e gode o soffre secondo il suo destino. Quindi anche ivegetali che a noi sembrano inanimati sono in realtà ani-mati; perchè in ognuno d’essi risiede come in noi un linga;e sebbene non posseggano la facoltà di percepire le coseesterne, hanno una certa coscienza interna e sono capacidi piacere e di dolore. «Quando l’anima abbandona uncorpo animale questo si corrompe: la pianta, quando l’ani-ma l’abbandona, si dissecca» (S. pr. bh. 328-329; S. Sutra V,121-122).

Il secondo degli effetti delle disposizioni è l’agire (crea-zione delle disposizioni). Non però l’agire è propriodi tutti i gradi dell’esistenza; perchè in alcuni di essi, comeper esempio nel mondo dei vegetali, il linga non fa chesopportare le conseguenze del suo agire passato (S. SutraV 123).

L’agire individuale è classificato dal Sankhya, secondoche esso è più o meno vicino alla liberazione, in quattrocategorie che sono l’errore, l’impotenza, la quiete, la perfe-zione.

L’errore e l’impotenza comprendono l’attività del gran-dissimo numero di coloro i quali per l’acciecamento in essiprodotto dalle passioni e dallo sfrenato desiderio dei pia-ceri del senso o dalla superstizione, ovvero per l’impoten-za del loro intelletto ad elevarsi alla concezione filosoficadella verità suprema sono impediti di pervenire alla cono-scenza. La Karika divide l’errore in cinque specie che

132

Page 133: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sono: l’oscurità, l’illusione, la grande illusione, le tenebre,le fitte tenebre. L’oscurità consiste nell’identificare l’Animacon la Natura o con uno dei suoi sette primi prodotti (in-telligenza, personalità, i cinque elementi sottili) ed è quindidi otto specie. L’illusione consiste nell’egoismo direttoall’acquisto delle otto facoltà soprannaturali. Gli dei p. es.che hanno ottenuto le otto facoltà suddette sono nell’illu-sione che esse non siano periture e si lusingano che lestesse siano inerenti al loro Sè e perciò di durata eterna; inconseguenza di che non pervengono alla liberazione(Kaum. 90, Gaud. 149). L’estrema illusione consistenell’amore smoderato dei cinque oggetti del senso: sicco-me però questi sono terreni o celesti, così l’estrema illusio-ne è di dieci specie. Le tenebre comprendono tutte quellecondizioni mentali d’agitazione, di impazienza, d’odio chesono causate in noi dalla ricerca affannosa dei dieci piaceridel senso e degli otto modi di potenza sovrannaturale; edè perciò di diciotto specie. Le fitte tenebre consistono nelfolle timore di perdere il godimento dei dieci piaceri delsenso o l’esercizio delle otto facoltà sovrannaturali: ed è didiciotto specie. Per gli dei è la paura di perdere il loro gra-do, per gli uomini il terrore della morte e della sventura.

L’impotenza è divisa in ventotto specie secondochè ri-sulta dall’imperfezione di alcuno degli undici organi (im-perfezione del manas o imbecillità: cecità, sordità etc.), ov-vero da una delle diciasette affezioni dell’intelletto chesono il contrario delle nove specie di acquiescenza e delleotto specie di perfezione le quali verranno ora enumerate.

La quiete comprende l’attività di coloro che, pur non

133

sono: l’oscurità, l’illusione, la grande illusione, le tenebre,le fitte tenebre. L’oscurità consiste nell’identificare l’Animacon la Natura o con uno dei suoi sette primi prodotti (in-telligenza, personalità, i cinque elementi sottili) ed è quindidi otto specie. L’illusione consiste nell’egoismo direttoall’acquisto delle otto facoltà soprannaturali. Gli dei p. es.che hanno ottenuto le otto facoltà suddette sono nell’illu-sione che esse non siano periture e si lusingano che lestesse siano inerenti al loro Sè e perciò di durata eterna; inconseguenza di che non pervengono alla liberazione(Kaum. 90, Gaud. 149). L’estrema illusione consistenell’amore smoderato dei cinque oggetti del senso: sicco-me però questi sono terreni o celesti, così l’estrema illusio-ne è di dieci specie. Le tenebre comprendono tutte quellecondizioni mentali d’agitazione, di impazienza, d’odio chesono causate in noi dalla ricerca affannosa dei dieci piaceridel senso e degli otto modi di potenza sovrannaturale; edè perciò di diciotto specie. Le fitte tenebre consistono nelfolle timore di perdere il godimento dei dieci piaceri delsenso o l’esercizio delle otto facoltà sovrannaturali: ed è didiciotto specie. Per gli dei è la paura di perdere il loro gra-do, per gli uomini il terrore della morte e della sventura.

L’impotenza è divisa in ventotto specie secondochè ri-sulta dall’imperfezione di alcuno degli undici organi (im-perfezione del manas o imbecillità: cecità, sordità etc.), ov-vero da una delle diciasette affezioni dell’intelletto chesono il contrario delle nove specie di acquiescenza e delleotto specie di perfezione le quali verranno ora enumerate.

La quiete comprende l’attività di coloro che, pur non

133

Page 134: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

essendo più impediti dalle passioni, nè dalla superstizione,nè dall’impotenza, non hanno ancora potuto elevarsi allaperfezione e si sono arrestati in una specie di indifferenzaapatica, la quale è certo di gran lunga preferibile allo statodi colui che giace nell’errore o nell’impotenza, ma è ancoraun’imperfezione perchè la disposizione dell’impassibilità(procedente dalla quiete) conduce alla soppressione tem-poranea dell’esistenza, non alla liberazione eterna. La quie-te è suddivisa in nove specie, delle quali cinque sono este-riori, quattro interiori. Le prime cinque diconsi esteriori odoggettive perchè partono non dall’io, ma dalle cose este-riori ed hanno luogo prima che l’individuo sia pervenutoall’acquisizione della conoscenza. Esse riposano quindinon sull’apprezzamento filosofico che degli oggetti delsenso fa l’uomo giunto alla conoscenza, ma come su d’unacerta stanchezza, sullo scoraggiamento che gli oggetti delsenso producono in chi ne ha tristemente esperimentato lafallacia e la miseria. La prima risulta dalla considerazionedel dolore che è inerente all’acquisizione degli oggetti desi-derati. La seconda dalla considerazione del dolore risultan-te dalla affannosa conservazione dei beni sensibili acqui-stati. La terza dalla considerazione del dolore che risultadal carattere eminentemente passeggero e transitorio deibeni sensibili il cui acquisto ha costato tanti dolori e tantefatiche. La quarta dalla considerazione del dolore prodottodalla insaziabilità dei desideri che tanto più crescono quan-to più si crede di soddisfarli. L’ ultima infine dalla conside-razione del dolore che non può non sorgere in noi quandosi pensi che non è possibile alcun nostro godimento senza

134

essendo più impediti dalle passioni, nè dalla superstizione,nè dall’impotenza, non hanno ancora potuto elevarsi allaperfezione e si sono arrestati in una specie di indifferenzaapatica, la quale è certo di gran lunga preferibile allo statodi colui che giace nell’errore o nell’impotenza, ma è ancoraun’imperfezione perchè la disposizione dell’impassibilità(procedente dalla quiete) conduce alla soppressione tem-poranea dell’esistenza, non alla liberazione eterna. La quie-te è suddivisa in nove specie, delle quali cinque sono este-riori, quattro interiori. Le prime cinque diconsi esteriori odoggettive perchè partono non dall’io, ma dalle cose este-riori ed hanno luogo prima che l’individuo sia pervenutoall’acquisizione della conoscenza. Esse riposano quindinon sull’apprezzamento filosofico che degli oggetti delsenso fa l’uomo giunto alla conoscenza, ma come su d’unacerta stanchezza, sullo scoraggiamento che gli oggetti delsenso producono in chi ne ha tristemente esperimentato lafallacia e la miseria. La prima risulta dalla considerazionedel dolore che è inerente all’acquisizione degli oggetti desi-derati. La seconda dalla considerazione del dolore risultan-te dalla affannosa conservazione dei beni sensibili acqui-stati. La terza dalla considerazione del dolore che risultadal carattere eminentemente passeggero e transitorio deibeni sensibili il cui acquisto ha costato tanti dolori e tantefatiche. La quarta dalla considerazione del dolore prodottodalla insaziabilità dei desideri che tanto più crescono quan-to più si crede di soddisfarli. L’ ultima infine dalla conside-razione del dolore che non può non sorgere in noi quandosi pensi che non è possibile alcun nostro godimento senza

134

Page 135: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

che ne risulti dolore ad altri esseri viventi. – Le quattrospecie di quiete soggettiva od interiore hanno luogo inve-ce quando colui che pur ha già appreso la distinzionedell’Anima e della Natura più non si cura mediante la me-ditazione di arrivare alla intuizione immediata della distin-zione, ma s’acquieta in qualche falsa opinione o speranza.La prima è quando l’uomo si acquieta nella considerazioneseguente: «La intuizione immediata della distinzione è ve-ramente una modificazione della Natura (perchè è un attodell’intelligenza) e solo la Natura può effettuarla. A chedunque la meditazione ed il resto? Basta che io mi rimangainerte e passivo aspettando». La seconda risulta dalla con-siderazione seguente: «La intuizione della distinzione perquanto consti d’un processo materiale non può procederedalla Natura sola: a ciò sono indispensabili le pratichedell’ascetismo ed il rinunciamento al mondo: appigliamocidunque a questi mezzi». La terza è dalla riflessione seguen-te: Anche l’ascetismo non ha la forza di condurre alla salu-te: ma è necessario attendere che venga il suo tempo. Colprocesso del tempo la salute verrà: non preoccupiamocioltre». L’ultima è dalla considerazione seguente: «Anchecol tempo non avviene necessariamente la liberazione, masolo col favore di qualche buona occasione. Perciò bastaattendere la fortuna e non v’è bisogno d’altro» (Kaum. 92-93, S. pr. bh. 228-229, Anir. 131-134).

NOTA. Per i nomi mistici delle nove specie d’acquiescenza si con-fr. il Kaumudi p. 93-94 e Gaudap. in Wilson 155. Sotto le quattrospecie di quiete interiore si nascondono molto probabilmente le opi-nioni di antiche scuole affini al nostro sistema, nelle quali esso ravvi-

135

che ne risulti dolore ad altri esseri viventi. – Le quattrospecie di quiete soggettiva od interiore hanno luogo inve-ce quando colui che pur ha già appreso la distinzionedell’Anima e della Natura più non si cura mediante la me-ditazione di arrivare alla intuizione immediata della distin-zione, ma s’acquieta in qualche falsa opinione o speranza.La prima è quando l’uomo si acquieta nella considerazioneseguente: «La intuizione immediata della distinzione è ve-ramente una modificazione della Natura (perchè è un attodell’intelligenza) e solo la Natura può effettuarla. A chedunque la meditazione ed il resto? Basta che io mi rimangainerte e passivo aspettando». La seconda risulta dalla con-siderazione seguente: «La intuizione della distinzione perquanto consti d’un processo materiale non può procederedalla Natura sola: a ciò sono indispensabili le pratichedell’ascetismo ed il rinunciamento al mondo: appigliamocidunque a questi mezzi». La terza è dalla riflessione seguen-te: Anche l’ascetismo non ha la forza di condurre alla salu-te: ma è necessario attendere che venga il suo tempo. Colprocesso del tempo la salute verrà: non preoccupiamocioltre». L’ultima è dalla considerazione seguente: «Anchecol tempo non avviene necessariamente la liberazione, masolo col favore di qualche buona occasione. Perciò bastaattendere la fortuna e non v’è bisogno d’altro» (Kaum. 92-93, S. pr. bh. 228-229, Anir. 131-134).

NOTA. Per i nomi mistici delle nove specie d’acquiescenza si con-fr. il Kaumudi p. 93-94 e Gaudap. in Wilson 155. Sotto le quattrospecie di quiete interiore si nascondono molto probabilmente le opi-nioni di antiche scuole affini al nostro sistema, nelle quali esso ravvi-

135

Page 136: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sava bensì una certa perfezione, ma una perfezione inferiore ed in-completa. Dal Samannaphala sutta (tr. Grimblot 199) si vede infattiche la dottrina del fatalismo assoluto non era ignota alle scuole con-temporanee di Budda.

La perfezione infine comprende l’attività di coloro iquali sono prossimi alla liberazione suprema, ed è di ottospecie. Secondo Vacaspati le tre prime specie di perfezione(allontanamento del triplice dolore) si riferiscono a coloroche sono già pervenuti alla liberazione. Le altre cinque in-vece si riferiscono a coloro che sono già pervenuti bensìall’acquisizione della conoscenza, ma ancor hanno da tra-sformare tal conoscenza (che è ancora puramente esterio-re ed inefficace) nell’intuizione immediata della distinzio-ne. Le cinque attività che costituiscono queste cinque ulti-me specie di perfezione sono lo studio, l’insegnamento, lameditazione, la conversazione con amici, la purificazionedell’intelletto. Esse rivestono il carattere di causa perchèconducono alle tre prime. Lo studio è semplicementel’atto di raccogliere dalla bocca del maestro le parole nellequali è contenuta la dottrina filosofica. L’insegnamento èla conoscenza del senso delle parole, l’effetto prodottonell’intelligenza del discente dallo studio. La meditazione èla prova del contenuto dell’insegnamento secondo un me-todo logico. La conversazione è la comunicazione con imaestri ed i discepoli che ci conferma nella nostra opinio-ne. La purificazione finalmente consiste nel rimuovere dalnostro intelletto ogni traccia d’errore o di dubbio (Kaum.95-96). Secondo Gaudapada invece la prima delle ottoperfezioni è quella di colui che perviene da sè stesso medi-

136

sava bensì una certa perfezione, ma una perfezione inferiore ed in-completa. Dal Samannaphala sutta (tr. Grimblot 199) si vede infattiche la dottrina del fatalismo assoluto non era ignota alle scuole con-temporanee di Budda.

La perfezione infine comprende l’attività di coloro iquali sono prossimi alla liberazione suprema, ed è di ottospecie. Secondo Vacaspati le tre prime specie di perfezione(allontanamento del triplice dolore) si riferiscono a coloroche sono già pervenuti alla liberazione. Le altre cinque in-vece si riferiscono a coloro che sono già pervenuti bensìall’acquisizione della conoscenza, ma ancor hanno da tra-sformare tal conoscenza (che è ancora puramente esterio-re ed inefficace) nell’intuizione immediata della distinzio-ne. Le cinque attività che costituiscono queste cinque ulti-me specie di perfezione sono lo studio, l’insegnamento, lameditazione, la conversazione con amici, la purificazionedell’intelletto. Esse rivestono il carattere di causa perchèconducono alle tre prime. Lo studio è semplicementel’atto di raccogliere dalla bocca del maestro le parole nellequali è contenuta la dottrina filosofica. L’insegnamento èla conoscenza del senso delle parole, l’effetto prodottonell’intelligenza del discente dallo studio. La meditazione èla prova del contenuto dell’insegnamento secondo un me-todo logico. La conversazione è la comunicazione con imaestri ed i discepoli che ci conferma nella nostra opinio-ne. La purificazione finalmente consiste nel rimuovere dalnostro intelletto ogni traccia d’errore o di dubbio (Kaum.95-96). Secondo Gaudapada invece la prima delle ottoperfezioni è quella di colui che perviene da sè stesso medi-

136

Page 137: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

tando, indipendentemente da ogni tradizione o insegna-mento, alla conoscenza liberatrice. La seconda è quella dicolui che vi perviene per avere udito da altri l’esposizionedella dottrina. La terza quella di colui che vi perviene permezzo dello studio dei libri sacri. La quarta, quinta e sestasono costituite dalla acquisizione della conoscenza occa-sionata dal triplice dolore. La settima è quella che procededalla conversazione con amici. L’ ultima infine è quella cheprocede dalla liberalità verso i santi personaggi, i quali vicomunicano in cambio la scienza ch’essi posseggono(Gaudap. 156). Secondo Aniruddha le otto specie di perfe-zione sono l’applicazione dell’animo alla filosofia, lo stu-dio della filosofia, la meditazione, il conversare con i saggi,la purificazione interiore, l’allontanamento (sebbene nonassoluto) del triplice dolore (Anir. 135).

NOTA. Poiché non solo le condizioni materiali d’esistenza ma an-che gli atti sono necessariamente predeterminati dalle disposizioni, èchiaro che il Sankhya esclude il libero arbitrio. Ciò che agisce infattiè il linga; il quale, come abbiamo veduto, è mosso da un’attivitàspontanea e cieca, diretta e predeterminata in ogni minima sua partedalla legge del merito. Come poi con questa concezione determini-stica debbano conciliarsi le prescrizioni relative all’acquisizione dellaconoscenza il nostro sistema non dice; veggasi a questo propositol’esposizione dei Yoga di P. Markus p. 58 -59.

Così dalle azioni procedono le disposizioni, da questenuove condizioni di esistenza e nuove azioni, da questenuove disposizioni; così è da tutta l’eternità e così indefini-tamente nell’avvenire. La diversità delle condizioni in cui sispecifica la schiavitù per i diversi individui ha quindi la suaragione nella sua esistenza ab æterno e nel suo ininterrotto

137

tando, indipendentemente da ogni tradizione o insegna-mento, alla conoscenza liberatrice. La seconda è quella dicolui che vi perviene per avere udito da altri l’esposizionedella dottrina. La terza quella di colui che vi perviene permezzo dello studio dei libri sacri. La quarta, quinta e sestasono costituite dalla acquisizione della conoscenza occa-sionata dal triplice dolore. La settima è quella che procededalla conversazione con amici. L’ ultima infine è quella cheprocede dalla liberalità verso i santi personaggi, i quali vicomunicano in cambio la scienza ch’essi posseggono(Gaudap. 156). Secondo Aniruddha le otto specie di perfe-zione sono l’applicazione dell’animo alla filosofia, lo stu-dio della filosofia, la meditazione, il conversare con i saggi,la purificazione interiore, l’allontanamento (sebbene nonassoluto) del triplice dolore (Anir. 135).

NOTA. Poiché non solo le condizioni materiali d’esistenza ma an-che gli atti sono necessariamente predeterminati dalle disposizioni, èchiaro che il Sankhya esclude il libero arbitrio. Ciò che agisce infattiè il linga; il quale, come abbiamo veduto, è mosso da un’attivitàspontanea e cieca, diretta e predeterminata in ogni minima sua partedalla legge del merito. Come poi con questa concezione determini-stica debbano conciliarsi le prescrizioni relative all’acquisizione dellaconoscenza il nostro sistema non dice; veggasi a questo propositol’esposizione dei Yoga di P. Markus p. 58 -59.

Così dalle azioni procedono le disposizioni, da questenuove condizioni di esistenza e nuove azioni, da questenuove disposizioni; così è da tutta l’eternità e così indefini-tamente nell’avvenire. La diversità delle condizioni in cui sispecifica la schiavitù per i diversi individui ha quindi la suaragione nella sua esistenza ab æterno e nel suo ininterrotto

137

Page 138: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

perpetuarsi attraverso le esistenze in virtù della legge delmerito (S. Sutra III, 62).

Perciò questo può essere definito: quella forza invisibileper effetto della quale la varietà delle condizioni e delleazioni di ciascuna esistenza è invariabilmente predetermi-nata per mezzo delle disposizioni dalla varietà delle azionidelle esistenze antecedenti. Come è facile vedere esso nonè nè una legge morale, nè un ordine morale imposto allecose da un essere superiore: è una potenza cieca ed ineso-rabile, una legge naturale dell’esistenza, una forza creatriceinerente ai desiderii ed alle azioni dell’individuo, alla qualel’individuo stesso non può sottrarsi. La sua ferrea necessi-tà cui nessuno sfugge nè in cielo nè in terra si estende tan-to quanto si estende l’attività della Natura: esso determinae regge non solamente gli accidenti della vita umana, maanche i più insignificanti fenomeni naturali (Anir. 185).

A quel modo però che nell’ordine degli effetti la multi-forme ed incessante attività della Natura dipende da unfatto primo ed essenziale che è la connessione, cosìnell’ordine delle cause la forza del merito specificante inun’infinita varietà l’attività unica della Natura è interamen-te subordinata all’ignoranza. Finché l’ignoranza persiste,persiste anche l’efficacia del merito e l’esistenza continua;ma quando l’ignoranza si è dissipata, allora le azioni cessa-no di produrre impressioni attive, le disposizioni cessanodi produrre i loro effetti e la catena delle esistenze è rottaper sempre.

Poiché la serie delle esistenze è senza principio ed il nu-mero delle anime che attendono la liberazione è infinito,

138

perpetuarsi attraverso le esistenze in virtù della legge delmerito (S. Sutra III, 62).

Perciò questo può essere definito: quella forza invisibileper effetto della quale la varietà delle condizioni e delleazioni di ciascuna esistenza è invariabilmente predetermi-nata per mezzo delle disposizioni dalla varietà delle azionidelle esistenze antecedenti. Come è facile vedere esso nonè nè una legge morale, nè un ordine morale imposto allecose da un essere superiore: è una potenza cieca ed ineso-rabile, una legge naturale dell’esistenza, una forza creatriceinerente ai desiderii ed alle azioni dell’individuo, alla qualel’individuo stesso non può sottrarsi. La sua ferrea necessi-tà cui nessuno sfugge nè in cielo nè in terra si estende tan-to quanto si estende l’attività della Natura: esso determinae regge non solamente gli accidenti della vita umana, maanche i più insignificanti fenomeni naturali (Anir. 185).

A quel modo però che nell’ordine degli effetti la multi-forme ed incessante attività della Natura dipende da unfatto primo ed essenziale che è la connessione, cosìnell’ordine delle cause la forza del merito specificante inun’infinita varietà l’attività unica della Natura è interamen-te subordinata all’ignoranza. Finché l’ignoranza persiste,persiste anche l’efficacia del merito e l’esistenza continua;ma quando l’ignoranza si è dissipata, allora le azioni cessa-no di produrre impressioni attive, le disposizioni cessanodi produrre i loro effetti e la catena delle esistenze è rottaper sempre.

Poiché la serie delle esistenze è senza principio ed il nu-mero delle anime che attendono la liberazione è infinito,

138

Page 139: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

anche il mondo delle esistenze empiriche deve essere,come la Natura e l’Anima, infinito ed eterno. La sua dura-ta è però distinta in un infinito numero di di creazioni suc-cessive, alla fine di ciascuna delle quali l’universo ritornaalla sua causa ed alla varietà delle singole esistenze suben-tra la vita immobile ed uniforme dell’indistinto primitivonel cui seno riposano le anime non liberate. Ma al princi-pio del nuovo periodo d’esistenza l’attività sterminata dellaNatura si ridesta, i prodotti si sviluppano nuovamente dal-le loro cause ed una nuova creazione incomincia.

Durante il tempo della gran dissoluzione le disposizionidei linga persistono allo stato latente ed ineriscono al satt-va che è come il germe dal quale al principio della nuovacreazione si svolgerà la prima delle produzioni della Natu-ra, l’intelligenza; e da esse risorgono poi al principio delnuovo Kalpa (periodo d’esistenza) i corpi sottili per rico-minciare, a quel modo che dalle rispettive impressioni saràdeterminato, la serie delle esistenze e delle migrazioni (S.Sutra III, 5-6; Anir. 111-113; S. pr. bh. 186-187).

NOTA. La dottrina delle successive creazioni e distruzioni dell’uni-verso, che è comune a tutte le scuole filosofiche dell’india non è chel’elaborazione filosofica d’un’antica tradizione cosmogonica. Cfr. Ia-cobi n. Gött. Gel. Anz. 1895 p. 210 e la breve trattaz. del Garbe (ap-parsa durante la stampa del presente lavoro) «Sankhya und Yoga»nel Grundr. d. Indoar. Philologie etc. III, 4, Strassburg 1896, a p. 16,20. L’analogia che esso presenta con la corrispondente teoria deglistoici è veramente singolare.

139

anche il mondo delle esistenze empiriche deve essere,come la Natura e l’Anima, infinito ed eterno. La sua dura-ta è però distinta in un infinito numero di di creazioni suc-cessive, alla fine di ciascuna delle quali l’universo ritornaalla sua causa ed alla varietà delle singole esistenze suben-tra la vita immobile ed uniforme dell’indistinto primitivonel cui seno riposano le anime non liberate. Ma al princi-pio del nuovo periodo d’esistenza l’attività sterminata dellaNatura si ridesta, i prodotti si sviluppano nuovamente dal-le loro cause ed una nuova creazione incomincia.

Durante il tempo della gran dissoluzione le disposizionidei linga persistono allo stato latente ed ineriscono al satt-va che è come il germe dal quale al principio della nuovacreazione si svolgerà la prima delle produzioni della Natu-ra, l’intelligenza; e da esse risorgono poi al principio delnuovo Kalpa (periodo d’esistenza) i corpi sottili per rico-minciare, a quel modo che dalle rispettive impressioni saràdeterminato, la serie delle esistenze e delle migrazioni (S.Sutra III, 5-6; Anir. 111-113; S. pr. bh. 186-187).

NOTA. La dottrina delle successive creazioni e distruzioni dell’uni-verso, che è comune a tutte le scuole filosofiche dell’india non è chel’elaborazione filosofica d’un’antica tradizione cosmogonica. Cfr. Ia-cobi n. Gött. Gel. Anz. 1895 p. 210 e la breve trattaz. del Garbe (ap-parsa durante la stampa del presente lavoro) «Sankhya und Yoga»nel Grundr. d. Indoar. Philologie etc. III, 4, Strassburg 1896, a p. 16,20. L’analogia che esso presenta con la corrispondente teoria deglistoici è veramente singolare.

139

Page 140: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Cap. V.

Dopo d’avere nei precedenti capitoli tolto in esame idue principii irreduttibili in cui la realtà si risolve e d’averricercato come e perchè si uniscano a produrre l’esistenzaempirica, rimane ora che noi trattiamo di quello che ècome lo scopo e la conclusione naturale di tutto il sistema,vale a dire della liberazione.

Già si è veduto che la liberazione non è altro per il San-khya che il termine naturale e necessario dell’esistenza,l’effetto meccanico e fatale del vario agire della Natura. LaNatura (esso dice), possiede un’energia ed un’attività pro-pria per cui contiene già in sè in potenza tutte le forme ele esistenze dell’universo. Ma per sè essa è incapace d’agi-re, perchè è inintelligente e non può avere una volontàpropria. Ciò che la spinge ad agire è la connessione creatadall’ignoranza. La connessione con l’anima ridesta in leil’attività produttrice che giaceva latente e determina il suc-cessivo sviluppo dall’indistinto primitivo del complessodei distinti onde è costituito l’universo. Il moto della Natu-ra, è paragonato dai Sutra al moto del ferro in vicinanzadella calamita immobile. L’Anima immobile ed inerte ecci-ta l’agire della Natura come la calamita, nella quale non ènè moto nè volontà, causa il moto del ferro (S. pr. bh.115).

Quindi la creazione delle cose avviene da parte della

140

Cap. V.

Dopo d’avere nei precedenti capitoli tolto in esame idue principii irreduttibili in cui la realtà si risolve e d’averricercato come e perchè si uniscano a produrre l’esistenzaempirica, rimane ora che noi trattiamo di quello che ècome lo scopo e la conclusione naturale di tutto il sistema,vale a dire della liberazione.

Già si è veduto che la liberazione non è altro per il San-khya che il termine naturale e necessario dell’esistenza,l’effetto meccanico e fatale del vario agire della Natura. LaNatura (esso dice), possiede un’energia ed un’attività pro-pria per cui contiene già in sè in potenza tutte le forme ele esistenze dell’universo. Ma per sè essa è incapace d’agi-re, perchè è inintelligente e non può avere una volontàpropria. Ciò che la spinge ad agire è la connessione creatadall’ignoranza. La connessione con l’anima ridesta in leil’attività produttrice che giaceva latente e determina il suc-cessivo sviluppo dall’indistinto primitivo del complessodei distinti onde è costituito l’universo. Il moto della Natu-ra, è paragonato dai Sutra al moto del ferro in vicinanzadella calamita immobile. L’Anima immobile ed inerte ecci-ta l’agire della Natura come la calamita, nella quale non ènè moto nè volontà, causa il moto del ferro (S. pr. bh.115).

Quindi la creazione delle cose avviene da parte della

140

Page 141: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Natura in virtù d’una forza propria, ma d’una maniera af-fatto meccanica, senza intelligenza nè volontà. Questo suoagire cieco e necessario ha nondimeno l’effetto di condur-re per successivi gradi l’anima alla liberazione. S. Sutra III,59: «Sebbene non intelligente, essa (la Natura) agisce comeil latte». Il seno secerne il latte per un proposito di cui essoè ignaro, il nutrimento del giovane animale ed inconscia-mente cessa quando quel proposito si è effettuato. Così laNatura, sebbene irrazionale, si svolge nell’universo effet-tuando la liberazione dell’anima e quando questa è avve-nuta cessa d’agire. Lo stesso paragone è ripetuto nella Kar.57: «Come l’effluire del latte che è per sè inconsapevole èla causa dello sviluppo del vitello, così l’agire della Naturaè la causa della liberazione delle anime». Essa effettua la li-berazione dell’anima disvelandosi tutta innanzi a lei sottole molteplici sue forme ed operando in lei la distinzionesuprema: ma in tutto ciò non agisce nè per una volontàpropria, nè per un fine intrinseco. Perciò la Karika la chia-ma generosa: in quanto non essendo intelligente non puòné aver coscienza, nè gioire dell’opera sua. «L’attività crea-trice della Natura per quanto spontanea ha luogo in graziad’un altro, perchè essa non ne gioisce: come il cammelloche trasporta lo zafferano e non è destinato a gioirne» (S.Sutra III, 35; Kaum. 102).

Ed una volta pervenuta l’anima alla liberazione, l’attivitàsua meccanicamente cessa. Dissipata l’ignoranza dall’intel-letto, la distinzione opera la separazione dei due principii:cessata la connessione, cessa per la Natura ogni stimolo adagire. La Karika ed i Sutra esprimono figuratamente que-

141

Natura in virtù d’una forza propria, ma d’una maniera af-fatto meccanica, senza intelligenza nè volontà. Questo suoagire cieco e necessario ha nondimeno l’effetto di condur-re per successivi gradi l’anima alla liberazione. S. Sutra III,59: «Sebbene non intelligente, essa (la Natura) agisce comeil latte». Il seno secerne il latte per un proposito di cui essoè ignaro, il nutrimento del giovane animale ed inconscia-mente cessa quando quel proposito si è effettuato. Così laNatura, sebbene irrazionale, si svolge nell’universo effet-tuando la liberazione dell’anima e quando questa è avve-nuta cessa d’agire. Lo stesso paragone è ripetuto nella Kar.57: «Come l’effluire del latte che è per sè inconsapevole èla causa dello sviluppo del vitello, così l’agire della Naturaè la causa della liberazione delle anime». Essa effettua la li-berazione dell’anima disvelandosi tutta innanzi a lei sottole molteplici sue forme ed operando in lei la distinzionesuprema: ma in tutto ciò non agisce nè per una volontàpropria, nè per un fine intrinseco. Perciò la Karika la chia-ma generosa: in quanto non essendo intelligente non puòné aver coscienza, nè gioire dell’opera sua. «L’attività crea-trice della Natura per quanto spontanea ha luogo in graziad’un altro, perchè essa non ne gioisce: come il cammelloche trasporta lo zafferano e non è destinato a gioirne» (S.Sutra III, 35; Kaum. 102).

Ed una volta pervenuta l’anima alla liberazione, l’attivitàsua meccanicamente cessa. Dissipata l’ignoranza dall’intel-letto, la distinzione opera la separazione dei due principii:cessata la connessione, cessa per la Natura ogni stimolo adagire. La Karika ed i Sutra esprimono figuratamente que-

141

Page 142: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

sto concetto con paragoni diversi. «Come gli uomini nelleopere loro non agiscono che allo scopo di soddisfare iloro desideri (e, questi soddisfatti, si arrestano), così la Na-tura non agisce che per la liberazione dell’anima (e, questacompiuta, desiste dall’agire)» «Kar. 58; Gaud. 169-70; S.Sutra VI, 43).» S. Sutra III, 63: «In seguito alla conoscenzadistintiva l’attività creatrice della Natura cessa come il cuo-co dopo d’aver cucinato». Lo stesso paragone nel Kaumu-di (p. 100) S. Sutra III, 69: «Come una danzatrice essa (laNatura) sebbene attiva cessa di agire quando ha raggiuntoil suo scopo». E più ampiamente nella Karika 59: «Comeuna danzatrice cessa di danzare quando essa si è mostrataagli spettatori (ed ha finito la sua parte), così cessa la Na-tura di agire quando essa, si è rivelata all’anima». E nellaKarika 61: «Niente vi è di più timido al parer mio che laNatura, la quale una volta che si è accorta di essere stataveduta non si espone più allo sguardo dell’anima». Vaca-spati commenta: «Come una donna di buona famiglia riti-rata e pudica quando le avvenga di cadere sotto lo sguardod’un estraneo per esserle inavvertentemente caduto giù illembo del velo si prende cura di non essere più così sor-presa un’altra volta, così anche la Natura che è di sentirdelicato quant’altri mai poiché è stata veduta per la cono-scenza distintiva non si lascia più vedere un’altra volta»(Kaum. 103). Nei Sutra si ripiglia lo stesso paragone macon un’intonazione diversa. S. Sutra III, 70: «Egualmentela Natura più non si avvicina quando il suo fallo è stato ri-conosciuto, come una donna di buona famiglia». Quandola Natura si è svelata ad un’anima e quindi sa che l’anima

142

sto concetto con paragoni diversi. «Come gli uomini nelleopere loro non agiscono che allo scopo di soddisfare iloro desideri (e, questi soddisfatti, si arrestano), così la Na-tura non agisce che per la liberazione dell’anima (e, questacompiuta, desiste dall’agire)» «Kar. 58; Gaud. 169-70; S.Sutra VI, 43).» S. Sutra III, 63: «In seguito alla conoscenzadistintiva l’attività creatrice della Natura cessa come il cuo-co dopo d’aver cucinato». Lo stesso paragone nel Kaumu-di (p. 100) S. Sutra III, 69: «Come una danzatrice essa (laNatura) sebbene attiva cessa di agire quando ha raggiuntoil suo scopo». E più ampiamente nella Karika 59: «Comeuna danzatrice cessa di danzare quando essa si è mostrataagli spettatori (ed ha finito la sua parte), così cessa la Na-tura di agire quando essa, si è rivelata all’anima». E nellaKarika 61: «Niente vi è di più timido al parer mio che laNatura, la quale una volta che si è accorta di essere stataveduta non si espone più allo sguardo dell’anima». Vaca-spati commenta: «Come una donna di buona famiglia riti-rata e pudica quando le avvenga di cadere sotto lo sguardod’un estraneo per esserle inavvertentemente caduto giù illembo del velo si prende cura di non essere più così sor-presa un’altra volta, così anche la Natura che è di sentirdelicato quant’altri mai poiché è stata veduta per la cono-scenza distintiva non si lascia più vedere un’altra volta»(Kaum. 103). Nei Sutra si ripiglia lo stesso paragone macon un’intonazione diversa. S. Sutra III, 70: «Egualmentela Natura più non si avvicina quando il suo fallo è stato ri-conosciuto, come una donna di buona famiglia». Quandola Natura si è svelata ad un’anima e quindi sa che l’anima

142

Page 143: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

ha scoperto a lei essere dovute tutte le miserie della migra-zione, essa non si avvicina più all’anima; come una donnadi buona famiglia si vergogna quando pensa essere nota almarito la propria colpa e più non gli s’avvicina (Anir. 150;S. pr. bh. 242).

NOTA. Ma si domanderà, se l’attività creatrice della Natura cessaper virtù del sorgere della conoscenza distintiva in un’anima, perchènon ne segue la liberazione di tutte le anime? Perchè la Natura cessad’agire solo relativamente a quelle anime che hanno ottenuto la co-noscenza, non per le altre. Come la rappresentazione d’un serpentesebbene cessi di produrre i suoi effetti in coloro i quali si sono ac-corti d’aver scambiato una corda per un serpente, pure non cessa diagitare coloro che non ne hanno ancor compresa la vera natura su-scitando in essi timore ed altri simili sentimenti, così la Natura quan-tunque abbia cessato d’agire per quelle anime che sono giunte allaconoscenza non cessa tuttavia d’agire per le altre creando l’intelli-genza etc. (S. Sutra III, 66; S. pr. bh. 240). La causa determinantedella creazione è in primo luogo, come si è detto, la connessionedella Natura con l’Anima sorta per via della non distinzione, in se-condo luogo il merito. Ora nel liberato cessata la non distinzione equindi la connessione, abbruciato dal fuoco della conoscenza il frut-to delle opere, non vi è più motivo per cui la natura leghi l’anima permezzo dell’intelligenza e degli altri principii. Negli altri invece persi-ste la non distinzione, persiste il frutto delle opere: quindi la creazio-ne continua perchè ne persistono le cause determinanti (S. S. III, 66-67).

Al Sankhya si oppone in questo punto la teoria delYoga che riconosce nella creazione e nel camminodell’anima verso la liberazione l’opera della provvidenzad’un essere divino (içvara). Tale ipotesi (v. Markus o. c. 3-7) è combattuta nei sutra V, 2-9. Gli stessi argomenti ivi

143

ha scoperto a lei essere dovute tutte le miserie della migra-zione, essa non si avvicina più all’anima; come una donnadi buona famiglia si vergogna quando pensa essere nota almarito la propria colpa e più non gli s’avvicina (Anir. 150;S. pr. bh. 242).

NOTA. Ma si domanderà, se l’attività creatrice della Natura cessaper virtù del sorgere della conoscenza distintiva in un’anima, perchènon ne segue la liberazione di tutte le anime? Perchè la Natura cessad’agire solo relativamente a quelle anime che hanno ottenuto la co-noscenza, non per le altre. Come la rappresentazione d’un serpentesebbene cessi di produrre i suoi effetti in coloro i quali si sono ac-corti d’aver scambiato una corda per un serpente, pure non cessa diagitare coloro che non ne hanno ancor compresa la vera natura su-scitando in essi timore ed altri simili sentimenti, così la Natura quan-tunque abbia cessato d’agire per quelle anime che sono giunte allaconoscenza non cessa tuttavia d’agire per le altre creando l’intelli-genza etc. (S. Sutra III, 66; S. pr. bh. 240). La causa determinantedella creazione è in primo luogo, come si è detto, la connessionedella Natura con l’Anima sorta per via della non distinzione, in se-condo luogo il merito. Ora nel liberato cessata la non distinzione equindi la connessione, abbruciato dal fuoco della conoscenza il frut-to delle opere, non vi è più motivo per cui la natura leghi l’anima permezzo dell’intelligenza e degli altri principii. Negli altri invece persi-ste la non distinzione, persiste il frutto delle opere: quindi la creazio-ne continua perchè ne persistono le cause determinanti (S. S. III, 66-67).

Al Sankhya si oppone in questo punto la teoria delYoga che riconosce nella creazione e nel camminodell’anima verso la liberazione l’opera della provvidenzad’un essere divino (içvara). Tale ipotesi (v. Markus o. c. 3-7) è combattuta nei sutra V, 2-9. Gli stessi argomenti ivi

143

Page 144: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

addotti sono pur riferiti ed in ordine migliore da Vacaspatinel suo commento alla Karika 59 (Kaum. 100-101) comesegue: «(Si obbietterà): Benissimo! È vero che un essereintelligente può agire per sè o per altri; ma questo non valeper la Natura che è un principio non intelligente. Quindi ènecessario che vi sia un principio intelligente che guidi laNatura. Le Anime non possono, sebbene tali, guidar laNatura perchè esse non ne conoscono l’essenza. Perciòdeve esservi un principio omniveggente che diriga la crea-zione e questo è Dio. (Ma noi rispondiamo): Si vede cheanche l’inconscio opera relativamente ad un fine: comeper esempio il latte della vacca che inconsciamente efflui-sce allo scopo di attivare lo sviluppo del vitello; ed è inquesto modo che la Natura sebbene inintelligente agisce invista della liberazione delle anime. Contrapporrà alcunoche anche l’effluire del latte (appartiene all’ordine dei fattinaturali il cui complesso) è sotto la sovrintendenza di Dioe che quindi è anch’esso compreso in quello che si trattaora di provare (Cfr. Çankara Ved. Sutra II, 2-3). Ma noi di-ciamo l’attività è un’intelligenza non può essere diretta cheal bene di sè od al bene di altri. Ma nè l’uno nè l’altro pos-sono aver dato occasione alla creazione dell’universo: per-ciò noi dobbiamo negare che la creazione abbia per suoantecedente l’attività d’un’intelligenza. Un creatore che hagià tutto quanto può desiderare non può avere alcun inte-resse personale nella creazione: quindi questa non procededall’egoismo. Nemmeno può l’impulso alla creazione pro-cedere dalla bontà. Perchè dal momento che prima dellacreazione non poteva esservi infelicità, non essendovi per

144

addotti sono pur riferiti ed in ordine migliore da Vacaspatinel suo commento alla Karika 59 (Kaum. 100-101) comesegue: «(Si obbietterà): Benissimo! È vero che un essereintelligente può agire per sè o per altri; ma questo non valeper la Natura che è un principio non intelligente. Quindi ènecessario che vi sia un principio intelligente che guidi laNatura. Le Anime non possono, sebbene tali, guidar laNatura perchè esse non ne conoscono l’essenza. Perciòdeve esservi un principio omniveggente che diriga la crea-zione e questo è Dio. (Ma noi rispondiamo): Si vede cheanche l’inconscio opera relativamente ad un fine: comeper esempio il latte della vacca che inconsciamente efflui-sce allo scopo di attivare lo sviluppo del vitello; ed è inquesto modo che la Natura sebbene inintelligente agisce invista della liberazione delle anime. Contrapporrà alcunoche anche l’effluire del latte (appartiene all’ordine dei fattinaturali il cui complesso) è sotto la sovrintendenza di Dioe che quindi è anch’esso compreso in quello che si trattaora di provare (Cfr. Çankara Ved. Sutra II, 2-3). Ma noi di-ciamo l’attività è un’intelligenza non può essere diretta cheal bene di sè od al bene di altri. Ma nè l’uno nè l’altro pos-sono aver dato occasione alla creazione dell’universo: per-ciò noi dobbiamo negare che la creazione abbia per suoantecedente l’attività d’un’intelligenza. Un creatore che hagià tutto quanto può desiderare non può avere alcun inte-resse personale nella creazione: quindi questa non procededall’egoismo. Nemmeno può l’impulso alla creazione pro-cedere dalla bontà. Perchè dal momento che prima dellacreazione non poteva esservi infelicità, non essendovi per

144

Page 145: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

le anime nè mondo, nè sensi, nè corpi esterni, da che po-teva la divina bontà desiderare di liberar le anime? E se voidite che il demiurgo pose rimedio alle sofferenze delle ani-me dopo la creazione, questa ipotesi vi intrica in un circo-lo vizioso, facendosi procedere la creazione dalla bontà di-vina e questa dalla creazione. Di più un demiurgo mossoda bontà non creerebbe gli esseri senzienti in condizioniineguali ma in uno stato di piena ed eguale felicità. Ma,dirà alcuno, l’ineguaglianza delle condizioni procede dallaineguaglianza delle opere antecedenti. Ed allora, rispondia-mo noi, non è più necessario ammettere la dipendenzadella creazione da un’intelligenza suprema, potendosi pie-namente spiegare l’efficienza cieca e fatale delle opere, no-nostante l’assenza di intelligenza, anche senza la sovrinten-denza del demiurgo, e potendosi egualmente spiegare lacessazione del dolore dalla cessazione di quell’efficienza ede’ suoi effetti, cioè dei sensi, dei corpi e dei loro oggetti».

Argomenti contro l’esistenza d’un essere divino ricorro-no anche altrove. Nei sutra 10-12 del libro V (che fannoseguito alle argomentazioni sovraesposte) si nega che l’esi-stenza di Dio possa essere provata con alcun mezzo diprova. Della percezione sensibile non può essere caso.Nemmeno può parlarsi di ragionamento perchè manca laconnessione. L’affermazione d’una connessione invariabile(tra i due membri dell’inferenza) ci basa sempre sulla per-cezione. Ora nel caso nostro tale percezione non esiste:quindi donde l’apprensione della connessione invariabileche è la base necessaria dell’inferenza? Di più l’oggetto inquestione è unico: quindi anche l’inferenza induttiva è resa

145

le anime nè mondo, nè sensi, nè corpi esterni, da che po-teva la divina bontà desiderare di liberar le anime? E se voidite che il demiurgo pose rimedio alle sofferenze delle ani-me dopo la creazione, questa ipotesi vi intrica in un circo-lo vizioso, facendosi procedere la creazione dalla bontà di-vina e questa dalla creazione. Di più un demiurgo mossoda bontà non creerebbe gli esseri senzienti in condizioniineguali ma in uno stato di piena ed eguale felicità. Ma,dirà alcuno, l’ineguaglianza delle condizioni procede dallaineguaglianza delle opere antecedenti. Ed allora, rispondia-mo noi, non è più necessario ammettere la dipendenzadella creazione da un’intelligenza suprema, potendosi pie-namente spiegare l’efficienza cieca e fatale delle opere, no-nostante l’assenza di intelligenza, anche senza la sovrinten-denza del demiurgo, e potendosi egualmente spiegare lacessazione del dolore dalla cessazione di quell’efficienza ede’ suoi effetti, cioè dei sensi, dei corpi e dei loro oggetti».

Argomenti contro l’esistenza d’un essere divino ricorro-no anche altrove. Nei sutra 10-12 del libro V (che fannoseguito alle argomentazioni sovraesposte) si nega che l’esi-stenza di Dio possa essere provata con alcun mezzo diprova. Della percezione sensibile non può essere caso.Nemmeno può parlarsi di ragionamento perchè manca laconnessione. L’affermazione d’una connessione invariabile(tra i due membri dell’inferenza) ci basa sempre sulla per-cezione. Ora nel caso nostro tale percezione non esiste:quindi donde l’apprensione della connessione invariabileche è la base necessaria dell’inferenza? Di più l’oggetto inquestione è unico: quindi anche l’inferenza induttiva è resa

145

Page 146: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

impossibile (Anir. 183). Resta la testimonianza. Ma anchele Scritture confermano il mondo essere un prodotto dellanatura. Quei passi poi che parlano d’uno spirito creatoredel mondo sono da intendersi non come riferentisi ad unospirito eterno ed increato, ma (secondo Vijnana) al de-miurgo che sorge in principio della creazione dal senostesso della Natura; oppure come riferentisi figuratamentealla stessa Natura. Del resto le Scritture, le quali altrove di-chiarano espressamente che lo spirito, il quale è puro co-noscere, è immutabile, sarebbero in contraddizione con sèstesse (S. pr. bh. 270). Ed ancora: Sutra I, 92: «L’esistenzadi Dio non è provata». Sutra I,93: «Dio non può essereprovato perchè non può essere nè schiavo, nè liberato». SeDio fosse, come le anime, schiavo dell’illusione, non sa-rebbe più Dio; se fosse liberato non creerebbe l’universo,non essendo più possibili in lui nè percezione, nè deside-rio, nè attività. Ora all’infuori di queste due classi d’esserispirituali non se ne danno altre (S. Sutra I, 94). Tutti queiluoghi delle Scritture nei quali si parla di Dio non sonoche glorificazioni dell’anima liberata o di colui che è per-venuto con la devozione al possesso della potenza sopran-naturale (S. Sutra I, 95; S. pr. bh. 114).

In che la liberazione consiste risulta abbastanza chiara-mente da ciò che si è detto intorno all’Anima ed ai suoirapporti con l’io empirico. Noi abbiamo infatti veduto chel’Anima in sè non è soggetta al dolore, che ciò che soffre emigra è il linga reso cosciente dall’illuminazione interiore,e che ciò che noi volgarmente diciamo anima non è senon una fittizia personalità generata dall’ignoranza.

146

impossibile (Anir. 183). Resta la testimonianza. Ma anchele Scritture confermano il mondo essere un prodotto dellanatura. Quei passi poi che parlano d’uno spirito creatoredel mondo sono da intendersi non come riferentisi ad unospirito eterno ed increato, ma (secondo Vijnana) al de-miurgo che sorge in principio della creazione dal senostesso della Natura; oppure come riferentisi figuratamentealla stessa Natura. Del resto le Scritture, le quali altrove di-chiarano espressamente che lo spirito, il quale è puro co-noscere, è immutabile, sarebbero in contraddizione con sèstesse (S. pr. bh. 270). Ed ancora: Sutra I, 92: «L’esistenzadi Dio non è provata». Sutra I,93: «Dio non può essereprovato perchè non può essere nè schiavo, nè liberato». SeDio fosse, come le anime, schiavo dell’illusione, non sa-rebbe più Dio; se fosse liberato non creerebbe l’universo,non essendo più possibili in lui nè percezione, nè deside-rio, nè attività. Ora all’infuori di queste due classi d’esserispirituali non se ne danno altre (S. Sutra I, 94). Tutti queiluoghi delle Scritture nei quali si parla di Dio non sonoche glorificazioni dell’anima liberata o di colui che è per-venuto con la devozione al possesso della potenza sopran-naturale (S. Sutra I, 95; S. pr. bh. 114).

In che la liberazione consiste risulta abbastanza chiara-mente da ciò che si è detto intorno all’Anima ed ai suoirapporti con l’io empirico. Noi abbiamo infatti veduto chel’Anima in sè non è soggetta al dolore, che ciò che soffre emigra è il linga reso cosciente dall’illuminazione interiore,e che ciò che noi volgarmente diciamo anima non è senon una fittizia personalità generata dall’ignoranza.

146

Page 147: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

Da questo possiamo anzitutto dedurre che per l’Animain sè non v’è realmente nè schiavitù, nè liberazione; e checiò che col linguaggio dell’illusione noi diciamo animaschiava non è se non l’anima empirica, essere fittizio chescompare all’atto della liberazione, e che ciò che noi dicia-mo anima liberata non è se non l’Anima per sè esistente laquale non è mai in realtà nè schiava, nè liberata, ma per-mane in eterno omnipresente, impassibile, inattiva. «Essa(l’Anima) è eternamente libera» dice il sutra I, 162. E nellaKarika 62 è detto: «Nessun’Anima in realtà è schiava, è li-berata o trasmigra: la sola Natura che è in rapporto con lediverse Anime migra, è schiava, è liberata». E nel sutra I,58: «Questo (cioè l’attribuzione della schiavitù e della libe-razione all’Anima) non è che un’espressione senza realtà,giacché queste risiedono nell’organo interno». «L’Anima èper sua natura libera (dice Gaudapada) ed omnipresente equindi come potrebbe essa migrare? Perciò le frasi: l’Ani-ma è legata, migra, è liberata hanno origine dall’ignoranzadella natura vera della migrazione etc.». Espressioni diquesto genere si trovano anche nelle Scritture: ma ciò nonprova altro se non che le Scritture si sono servite in talicasi dell’inesatta espressione comune. «Come lo Spazioche è incluso in un vaso (secondo l’opinione comune simuove) quando il vaso è trasportato da un luogo all’altro,laddove (in realtà solo) il vaso è portato e non lo spazio,così è dell’Anima che è paragonabile allo spazio infinito»(Brahmab. Up. 13 in S. pr. bh. 361). La schiavitù, le migra-zioni, la liberazione vengono attribuite metaforicamenteall’Anima come le vittorie e le sconfitte, le quali pure ap-

147

Da questo possiamo anzitutto dedurre che per l’Animain sè non v’è realmente nè schiavitù, nè liberazione; e checiò che col linguaggio dell’illusione noi diciamo animaschiava non è se non l’anima empirica, essere fittizio chescompare all’atto della liberazione, e che ciò che noi dicia-mo anima liberata non è se non l’Anima per sè esistente laquale non è mai in realtà nè schiava, nè liberata, ma per-mane in eterno omnipresente, impassibile, inattiva. «Essa(l’Anima) è eternamente libera» dice il sutra I, 162. E nellaKarika 62 è detto: «Nessun’Anima in realtà è schiava, è li-berata o trasmigra: la sola Natura che è in rapporto con lediverse Anime migra, è schiava, è liberata». E nel sutra I,58: «Questo (cioè l’attribuzione della schiavitù e della libe-razione all’Anima) non è che un’espressione senza realtà,giacché queste risiedono nell’organo interno». «L’Anima èper sua natura libera (dice Gaudapada) ed omnipresente equindi come potrebbe essa migrare? Perciò le frasi: l’Ani-ma è legata, migra, è liberata hanno origine dall’ignoranzadella natura vera della migrazione etc.». Espressioni diquesto genere si trovano anche nelle Scritture: ma ciò nonprova altro se non che le Scritture si sono servite in talicasi dell’inesatta espressione comune. «Come lo Spazioche è incluso in un vaso (secondo l’opinione comune simuove) quando il vaso è trasportato da un luogo all’altro,laddove (in realtà solo) il vaso è portato e non lo spazio,così è dell’Anima che è paragonabile allo spazio infinito»(Brahmab. Up. 13 in S. pr. bh. 361). La schiavitù, le migra-zioni, la liberazione vengono attribuite metaforicamenteall’Anima come le vittorie e le sconfitte, le quali pure ap-

147

Page 148: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

partengono ai soggetti, vengono attribuite ai loro capi.L’Anima partecipa in certo modo alla schiavitù ed alla li-berazione, perchè, sebbene relativamente ad essa questenon esistano, tuttavia senza essa non esisterebbero nem-meno nell’io empirico; ed è per questo che la schiavitù e laliberazione le vengono attribuite: ma in realtà è il linga cheè schiavo, che migra, che è liberato. (S. pr. bh. 65-66, 243-244; Kaum. 103-104).

Questo non significa però che la liberazione sia alcun-ché di puramente illusorio. Come la schiavitù pur non ine-rendo all’Anima è alcunché di assolutamente reale, così laliberazione, pur non affettando in nessun modo l’Anima, èanche dal punto di vista assoluto alcunché di reale (S. Su-tra VI, 21). «Essa non è che il dileguarsi dell’impedimento»dice il sutra VI, 20. Il dileguarsi d’un’oscura nube che citolga i raggi del sole nulla aggiunge allo splendore del me-desimo che rimane, prima come dopo, inalterato. Ma non-dimeno esso è, anche relativamente al sole, un fatto reale;il quale per noi siamo sulla terra importa il reale ritornodella luce e del calore solare. Così relativamente all’Animail dileguarsi delle concrezioni materiali che costituiscono ilsubstrato della nostra personalità nulla le aggiunge, nulla letoglie, perchè essa tale permane dopo la liberazione qualeera prima: ma per l’individuo empirico non è perciò menoun fatto reale in virtù del quale cessa la dolorosa serie delleesistenze empiriche e comincia la sola esistenza vera, su-premamente reale, l’esistenza assoluta.

Infine, poiché la schiavitù consiste essenzialmente nella

148

partengono ai soggetti, vengono attribuite ai loro capi.L’Anima partecipa in certo modo alla schiavitù ed alla li-berazione, perchè, sebbene relativamente ad essa questenon esistano, tuttavia senza essa non esisterebbero nem-meno nell’io empirico; ed è per questo che la schiavitù e laliberazione le vengono attribuite: ma in realtà è il linga cheè schiavo, che migra, che è liberato. (S. pr. bh. 65-66, 243-244; Kaum. 103-104).

Questo non significa però che la liberazione sia alcun-ché di puramente illusorio. Come la schiavitù pur non ine-rendo all’Anima è alcunché di assolutamente reale, così laliberazione, pur non affettando in nessun modo l’Anima, èanche dal punto di vista assoluto alcunché di reale (S. Su-tra VI, 21). «Essa non è che il dileguarsi dell’impedimento»dice il sutra VI, 20. Il dileguarsi d’un’oscura nube che citolga i raggi del sole nulla aggiunge allo splendore del me-desimo che rimane, prima come dopo, inalterato. Ma non-dimeno esso è, anche relativamente al sole, un fatto reale;il quale per noi siamo sulla terra importa il reale ritornodella luce e del calore solare. Così relativamente all’Animail dileguarsi delle concrezioni materiali che costituiscono ilsubstrato della nostra personalità nulla le aggiunge, nulla letoglie, perchè essa tale permane dopo la liberazione qualeera prima: ma per l’individuo empirico non è perciò menoun fatto reale in virtù del quale cessa la dolorosa serie delleesistenze empiriche e comincia la sola esistenza vera, su-premamente reale, l’esistenza assoluta.

Infine, poiché la schiavitù consiste essenzialmente nella

148

Page 149: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

connessione, in quanto la coscienza del dolore è perchèl’Anima è connessa con l’organo interno e per mezzo diquesto con la Natura, è ovvio che la cessazione del doloreossia la liberazione deve consistere nella separazione deidue principii. S. Sutra I, 11: «L’Anima che è per sua essen-za un essere intelligente, eternamente puro e libero non èschiava del dolore (o più precisamente: non determina ilsorgere dell’io empirico, sede del dolore) se non quando èconnessa con la Natura». Cessata la connessione, cessa ildolore. Onde la tradizione dice: «Come una casa che è at-taccata ad un’altra casa che arde può essere salvata sepa-randola da questa, così l’Anima può essere salvata dal fuo-co (del dolore) separandola dalla materia che è la sededell’imperfezione». E nel sutra III, 65: «Per l’isolamentodei due (la Natura e l’Anima) o dell’uno dei due (cioèl’Anima, perchè realmente lo scopo della creazione non èl’isolamento dalla Natura, ma quello dell’Anima) vi è la li-berazione».

La liberazione si può quindi definire: la cessazione dellanostra personalità empirica. E questa cessazione risultadalla distruzione del rapporto che esiste fra la Natura, os-sia fra i costituenti materiali ed inconsci della nostra perso-nalità e l’Anima; e dalla identificazione del nostro vero es-sere con l’Anima, con lo spirito immutabile e perfettoonde la nostra vita spirituale origina.

NOTA. La liberazione non consiste quindi nè nel m anifestarside lla beatitud ine (come i Mimansakas vogliono); nè nella di-struzione di speciali qualità dell’A nim a (intelligenza, deside-rio etc. cornei Vaiçeshikas ed i Naiyayikas sostengono); nè in una

149

connessione, in quanto la coscienza del dolore è perchèl’Anima è connessa con l’organo interno e per mezzo diquesto con la Natura, è ovvio che la cessazione del doloreossia la liberazione deve consistere nella separazione deidue principii. S. Sutra I, 11: «L’Anima che è per sua essen-za un essere intelligente, eternamente puro e libero non èschiava del dolore (o più precisamente: non determina ilsorgere dell’io empirico, sede del dolore) se non quando èconnessa con la Natura». Cessata la connessione, cessa ildolore. Onde la tradizione dice: «Come una casa che è at-taccata ad un’altra casa che arde può essere salvata sepa-randola da questa, così l’Anima può essere salvata dal fuo-co (del dolore) separandola dalla materia che è la sededell’imperfezione». E nel sutra III, 65: «Per l’isolamentodei due (la Natura e l’Anima) o dell’uno dei due (cioèl’Anima, perchè realmente lo scopo della creazione non èl’isolamento dalla Natura, ma quello dell’Anima) vi è la li-berazione».

La liberazione si può quindi definire: la cessazione dellanostra personalità empirica. E questa cessazione risultadalla distruzione del rapporto che esiste fra la Natura, os-sia fra i costituenti materiali ed inconsci della nostra perso-nalità e l’Anima; e dalla identificazione del nostro vero es-sere con l’Anima, con lo spirito immutabile e perfettoonde la nostra vita spirituale origina.

NOTA. La liberazione non consiste quindi nè nel m anifestarside lla beatitud ine (come i Mimansakas vogliono); nè nella di-struzione di speciali qualità dell’A nim a (intelligenza, deside-rio etc. cornei Vaiçeshikas ed i Naiyayikas sostengono); nè in una

149

Page 150: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

speciale m ig razione di c iò che è im m obile (cioè nel dipartir-si dell’Anima dal corpo, come vogliono i Jainas); nè nella d istr u-zione degli in f lussi d e lle forme esterio ri (come insegnal’antico buddismo); nè nella d istruzione d’ogni cosa (eccettoche del Sè, come sostiene la scuola dei Yogacaras); nè nel nu lla(come vuole la scuola buddistica dei Madhyamikas); nè nel conse-guim ento di cer te posiz ion i (ossia dei beni materiali, come èopinione dei materialisti); nè nella riun ione de lle parti al tu tto(a Brahma, come i Vedantini pensano); nè nell’acqu isto de lla po-tenza soprannaturale ; nè per ultimo (come i volgari credono)nel conseguim ento de lla d ign ità d iv ina (S. Sutra V, 74-83).

Ora dal momento che, come si è stabilito nel capitoloprecedente, causa diretta della connessione (e per essa ditutto il resto) è la nostra illusione innata che il Sankhya de-signa col nome di non distinzione, non v’è altro mezzo disopprimere l’esistenza dolorosa che quello di sopprimerequest’illusione. E come sopprimere quest’illusione? Con laconoscenza distintiva. Come per chi scambia un pezzo dimadreperla per argento o commette altro simile errorenon vi è altro mezzo di togliere tale illusione che quellodell’immediata distinzione tra i due oggetti, così nel casodella non distinzione della Natura e dell’Anima l’unica luceche possa dissipare le tenebre di tale illusione è quella dellaconoscenza distintiva (S. pr. bh. 60-61). Onde Patanjalidice (Yoga sutra II, 26): «L’ininterrotta intuizione della di-stinzione è il mezzo che conduce alla liberazione».

Ma questa distruzione dell’Anima dalla Natura, si notibene, non è (come d’altronde può già desumersi da quantosi è detto precedentemente) la semplice acquisizione d’ungiudizio teorico non esistente antecedentemente; essa è

150

speciale m ig razione di c iò che è im m obile (cioè nel dipartir-si dell’Anima dal corpo, come vogliono i Jainas); nè nella d istr u-zione degli in f lussi d e lle forme esterio ri (come insegnal’antico buddismo); nè nella d istruzione d’ogni cosa (eccettoche del Sè, come sostiene la scuola dei Yogacaras); nè nel nu lla(come vuole la scuola buddistica dei Madhyamikas); nè nel conse-guim ento di cer te posiz ion i (ossia dei beni materiali, come èopinione dei materialisti); nè nella riun ione de lle parti al tu tto(a Brahma, come i Vedantini pensano); nè nell’acqu isto de lla po-tenza soprannaturale ; nè per ultimo (come i volgari credono)nel conseguim ento de lla d ign ità d iv ina (S. Sutra V, 74-83).

Ora dal momento che, come si è stabilito nel capitoloprecedente, causa diretta della connessione (e per essa ditutto il resto) è la nostra illusione innata che il Sankhya de-signa col nome di non distinzione, non v’è altro mezzo disopprimere l’esistenza dolorosa che quello di sopprimerequest’illusione. E come sopprimere quest’illusione? Con laconoscenza distintiva. Come per chi scambia un pezzo dimadreperla per argento o commette altro simile errorenon vi è altro mezzo di togliere tale illusione che quellodell’immediata distinzione tra i due oggetti, così nel casodella non distinzione della Natura e dell’Anima l’unica luceche possa dissipare le tenebre di tale illusione è quella dellaconoscenza distintiva (S. pr. bh. 60-61). Onde Patanjalidice (Yoga sutra II, 26): «L’ininterrotta intuizione della di-stinzione è il mezzo che conduce alla liberazione».

Ma questa distruzione dell’Anima dalla Natura, si notibene, non è (come d’altronde può già desumersi da quantosi è detto precedentemente) la semplice acquisizione d’ungiudizio teorico non esistente antecedentemente; essa è

150

Page 151: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

qualche cosa di più, è la distruzione d’alcunchè di positivo,è l’annientamento di un modo dell’intelletto, di quel modoche abbiamo veduto essere la radice di tutta la nostra vitaempirica.

Quindi distinguere l’Anima dalla Natura non vuol diresolo riconoscere la differenza che intercede fra l’una el’altra, ma significa distinguere profondamente il proprioSè puro, spirituale, immutabile di tutto ciò che non è lui eche per l’illusione soggettiva noi concepivamo come no-stro, vale a dire dal corpo, dai sensi, dall’organo interno, si-gnifica riconoscere profondamente la serenità imperturba-ta del nostro vero io e respingere da noi come cose nonnostre il desiderio, la passione, il piacere, il dolore, l’attivi-tà, che appartengono alla materia sola; significa in una pa-rola comprendere le cose nella loro verità ed attuare in sèla distinzione che esiste nella realtà delle cose (S. Sutra I,87). Ciò è espresso nel seguente passo della Tradizione:«Se si abbandona la tela sulla quale è dipinto il quadro, silascia con essa il quadro; così è nel caso della separazionedalla materia; che cosa possono ancora essere l’amore(l’odio, il desiderio etc.) per coloro che intuiscono la di-stinzione suprema?».

L’acquisizione della conoscenza liberatrice comprendeperciò due parti, l’una delle quali si potrebbe dire la teoriadella distinzione dei due principii, l’altra la pratica, l’attua-zione interiore della distinzione.

La teoria non basta a produrre la liberazione. La schia-vitù non è tolta per il semplice atto d’udire le altissime ve-rità del Sankhya. L’enunciazione di queste produce in colui

151

qualche cosa di più, è la distruzione d’alcunchè di positivo,è l’annientamento di un modo dell’intelletto, di quel modoche abbiamo veduto essere la radice di tutta la nostra vitaempirica.

Quindi distinguere l’Anima dalla Natura non vuol diresolo riconoscere la differenza che intercede fra l’una el’altra, ma significa distinguere profondamente il proprioSè puro, spirituale, immutabile di tutto ciò che non è lui eche per l’illusione soggettiva noi concepivamo come no-stro, vale a dire dal corpo, dai sensi, dall’organo interno, si-gnifica riconoscere profondamente la serenità imperturba-ta del nostro vero io e respingere da noi come cose nonnostre il desiderio, la passione, il piacere, il dolore, l’attivi-tà, che appartengono alla materia sola; significa in una pa-rola comprendere le cose nella loro verità ed attuare in sèla distinzione che esiste nella realtà delle cose (S. Sutra I,87). Ciò è espresso nel seguente passo della Tradizione:«Se si abbandona la tela sulla quale è dipinto il quadro, silascia con essa il quadro; così è nel caso della separazionedalla materia; che cosa possono ancora essere l’amore(l’odio, il desiderio etc.) per coloro che intuiscono la di-stinzione suprema?».

L’acquisizione della conoscenza liberatrice comprendeperciò due parti, l’una delle quali si potrebbe dire la teoriadella distinzione dei due principii, l’altra la pratica, l’attua-zione interiore della distinzione.

La teoria non basta a produrre la liberazione. La schia-vitù non è tolta per il semplice atto d’udire le altissime ve-rità del Sankhya. L’enunciazione di queste produce in colui

151

Page 152: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

che semplicemente le ode la soppressione della rappresen-tazione: «l’Anima è schiava, etc.» ma non già l’immediataintuizione dello spirito (S. pr. bh. 67-68). La liberazionenon ha luogo se non quando lo spirito si separa definitiva-mente dalla materia; ossia quando il fuoco della verità hadistrutto quella cieca illusione che sospinge il nostro io avoler esistere. E questa cieca tendenza non può esseresoppressa se non con la meditazione, il raccoglimento, lepratiche costanti, l’indifferenza, etc. (S. Sutra VI, 29). Os-sia in una parola: per conoscenza liberatrice non si deveintendere il mero apprendimento della verità, ma bensìl’intuizione diretta di essa, la quale intuizione è prodottadalla meditazione. L’apprendimento materiale della veritàe la meditazione sono come i due fattori della conoscenzadistintiva. Senza la conoscenza della verità la mente delsaggio si perderebbe in una falsa quiete: senza la medita-zione il seme della verità non germoglia perchè è soffoca-to dalle passioni (S. Sutra IV, 29; VI, 30). S. Sara cap. XI,5-6: «Allorché nel cuore infiniti crescono i semi del deside-rio – ivi come in una foresta non cresce la messe della co-noscenza e del merito; ma nel cuore ove il seme del desi-derio è stato arso dal fuoco della conoscenza della miseria(dell’esistenza) e che, come un buon campo, è stato solca-to dall’aratro (degli insegnamenti) del maestro e del codice(della dottrina) ivi essa prosperamente cresce». (K mab jā ī ā-nyant ni samprarohanti yaddhridi ā – tatr ’tav nibhe jn napunyaā ī ā -sasyam na vardhate – dosadristyagnisandagdhe k mab je tu cetasiā ī– guruçastrahalaih kriste suksetre tadvivardhate). E nel Kaumu-di (p. 25): «Poiché dalle Scritture, dalla Tradizione etc. si è

152

che semplicemente le ode la soppressione della rappresen-tazione: «l’Anima è schiava, etc.» ma non già l’immediataintuizione dello spirito (S. pr. bh. 67-68). La liberazionenon ha luogo se non quando lo spirito si separa definitiva-mente dalla materia; ossia quando il fuoco della verità hadistrutto quella cieca illusione che sospinge il nostro io avoler esistere. E questa cieca tendenza non può esseresoppressa se non con la meditazione, il raccoglimento, lepratiche costanti, l’indifferenza, etc. (S. Sutra VI, 29). Os-sia in una parola: per conoscenza liberatrice non si deveintendere il mero apprendimento della verità, ma bensìl’intuizione diretta di essa, la quale intuizione è prodottadalla meditazione. L’apprendimento materiale della veritàe la meditazione sono come i due fattori della conoscenzadistintiva. Senza la conoscenza della verità la mente delsaggio si perderebbe in una falsa quiete: senza la medita-zione il seme della verità non germoglia perchè è soffoca-to dalle passioni (S. Sutra IV, 29; VI, 30). S. Sara cap. XI,5-6: «Allorché nel cuore infiniti crescono i semi del deside-rio – ivi come in una foresta non cresce la messe della co-noscenza e del merito; ma nel cuore ove il seme del desi-derio è stato arso dal fuoco della conoscenza della miseria(dell’esistenza) e che, come un buon campo, è stato solca-to dall’aratro (degli insegnamenti) del maestro e del codice(della dottrina) ivi essa prosperamente cresce». (K mab jā ī ā-nyant ni samprarohanti yaddhridi ā – tatr ’tav nibhe jn napunyaā ī ā -sasyam na vardhate – dosadristyagnisandagdhe k mab je tu cetasiā ī– guruçastrahalaih kriste suksetre tadvivardhate). E nel Kaumu-di (p. 25): «Poiché dalle Scritture, dalla Tradizione etc. si è

152

Page 153: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

imparato a distinguere la Natura e l’Anima ed a stabilirnecon filosofici argomenti l’essenza distinta, si ottiene la veraconoscenza in seguito al merito che procede dalla medita-zione, quando questa è stata effettuata per lungo tempo,fermamente, senza interruzioni e con attenzione».

L’apprendimento materiale della verità segna il primopasso nella perfezione: esso è il principio della conoscen-za. Non si deve però rigorosamente considerare lo studioe la meditazione come due periodi susseguenti, di cui ilprimo preceda sempre necessariamente la seconda: perchèla liberazione può sopravvenire a colui che già anteceden-temente era pervenuto all’indifferenza suprema anche solodopo aver udito una volta le verità essenziali (Anir. 160).La verità può essere appresa da un maestro, da un amico,da qualunque uomo che vi sia già pervenuto; e, si noti, adessa può accedere qualunque persona senza distinzione disesso, di razza, di casta (Gaudap. 1). «Non vi è restrizionecirca i maestri per quanto riguarda questa conoscenza: essapuò venir insegnata da chiunque è uscito dall’errore ed ilfrutto della medesima può essere ottenuto da chiunque nesia degno» (Anir. 161). Le parole del maestro debbonoquindi per il discepolo essere oggetto di studio e di rifles-sione (S. Sutra IV, 17); senza i quali la conoscenza della ve-rità non potrebbe radicarsi nell’animo nostro (S. pr. bh.259). Si ponga mente nondimeno a non esaurire la propriaattività col voler spaziare per tutto il campo dello scibilefermandosi ad ogni punto anche di meschina importanza:si percorrano pure più dottrine, si odano più maestri, masi curi solamente sempre ciò che è essenziale (S. Sutra IV,

153

imparato a distinguere la Natura e l’Anima ed a stabilirnecon filosofici argomenti l’essenza distinta, si ottiene la veraconoscenza in seguito al merito che procede dalla medita-zione, quando questa è stata effettuata per lungo tempo,fermamente, senza interruzioni e con attenzione».

L’apprendimento materiale della verità segna il primopasso nella perfezione: esso è il principio della conoscen-za. Non si deve però rigorosamente considerare lo studioe la meditazione come due periodi susseguenti, di cui ilprimo preceda sempre necessariamente la seconda: perchèla liberazione può sopravvenire a colui che già anteceden-temente era pervenuto all’indifferenza suprema anche solodopo aver udito una volta le verità essenziali (Anir. 160).La verità può essere appresa da un maestro, da un amico,da qualunque uomo che vi sia già pervenuto; e, si noti, adessa può accedere qualunque persona senza distinzione disesso, di razza, di casta (Gaudap. 1). «Non vi è restrizionecirca i maestri per quanto riguarda questa conoscenza: essapuò venir insegnata da chiunque è uscito dall’errore ed ilfrutto della medesima può essere ottenuto da chiunque nesia degno» (Anir. 161). Le parole del maestro debbonoquindi per il discepolo essere oggetto di studio e di rifles-sione (S. Sutra IV, 17); senza i quali la conoscenza della ve-rità non potrebbe radicarsi nell’animo nostro (S. pr. bh.259). Si ponga mente nondimeno a non esaurire la propriaattività col voler spaziare per tutto il campo dello scibilefermandosi ad ogni punto anche di meschina importanza:si percorrano pure più dottrine, si odano più maestri, masi curi solamente sempre ciò che è essenziale (S. Sutra IV,

153

Page 154: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

3). Fermandosi alle minuzie le reciproche contraddizioniimpedirebbero di concentrare la propria attenzione su ciòche veramente importa. «Si abbia la mente solo alla cono-scenza essenziale (dice il Markandeya Purana) che conduceal proprio fine perchè la molteplicità degli argomenti con-siderati impedisce la concentrazione. Colui che avido erraor su questo or su quello dicendo: questo dev’essere sapu-to, questo dev’essere saputo, costui non arriverà mai a co-noscere ciò che veramente deve essere conosciuto anchedopo migliaia di Kalpas». Si confronti un analogo precettobuddistico: «Non occupatevi, o discepoli, dei pensieri deiquali il mondo si occupa: il mondo è eterno, il mondo nonè eterno, il mondo è infinito, il mondo non è infinito. Cheil vostro pensiero sia sempre rivolto alle grandi verità es-senziali: Questo è dolore! Questo è la causa del dolore!Questo è l’allontanamento del dolore! Questo conduceall’allontanamento del dolore!» (Old.2 273-274).

La meditazione ha per oggetto di trasformare la cono-scenza semplice della distinzione nella intuizione immedia-ta della medesima (S. pr. bh. 221). Essa è, dice il sutra VI,25, «l’organo interno senza oggetti». «Nello stato ordina-rio, dice il Gough (Phil. of. Up. 110-111), la mente è offu-scata da desideri, da avversioni, da passioni relative allecose esterne, e come uno specchio irrugginito o comeun’acqua increspata essa è incapace di ricevere in sèl’immagine pura dello Spirito sempre presente. È necessa-rio comprimere i sensi, schiacciare il desiderio, acciocchél’impurità e la torbidezza dell’intelletto scompaiano e que-sto diventi come una superficie lucida ed uniforme capace

154

3). Fermandosi alle minuzie le reciproche contraddizioniimpedirebbero di concentrare la propria attenzione su ciòche veramente importa. «Si abbia la mente solo alla cono-scenza essenziale (dice il Markandeya Purana) che conduceal proprio fine perchè la molteplicità degli argomenti con-siderati impedisce la concentrazione. Colui che avido erraor su questo or su quello dicendo: questo dev’essere sapu-to, questo dev’essere saputo, costui non arriverà mai a co-noscere ciò che veramente deve essere conosciuto anchedopo migliaia di Kalpas». Si confronti un analogo precettobuddistico: «Non occupatevi, o discepoli, dei pensieri deiquali il mondo si occupa: il mondo è eterno, il mondo nonè eterno, il mondo è infinito, il mondo non è infinito. Cheil vostro pensiero sia sempre rivolto alle grandi verità es-senziali: Questo è dolore! Questo è la causa del dolore!Questo è l’allontanamento del dolore! Questo conduceall’allontanamento del dolore!» (Old.2 273-274).

La meditazione ha per oggetto di trasformare la cono-scenza semplice della distinzione nella intuizione immedia-ta della medesima (S. pr. bh. 221). Essa è, dice il sutra VI,25, «l’organo interno senza oggetti». «Nello stato ordina-rio, dice il Gough (Phil. of. Up. 110-111), la mente è offu-scata da desideri, da avversioni, da passioni relative allecose esterne, e come uno specchio irrugginito o comeun’acqua increspata essa è incapace di ricevere in sèl’immagine pura dello Spirito sempre presente. È necessa-rio comprimere i sensi, schiacciare il desiderio, acciocchél’impurità e la torbidezza dell’intelletto scompaiano e que-sto diventi come una superficie lucida ed uniforme capace

154

Page 155: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

di riflettere lo Spirito». E nel S. T. Pradipa è detto: «La pri-ma liberazione si acquista mediante la conoscenza (in s. s.ossia l’acquisizione materiale della verità); la secondamediante la distruzione del le passioni; la terza (cheè quella dopo la morte) mediante la distruzione di tutto».La riflessione delle dolorose affezioni dell’organo internonell’Anima impedisce l’intuizione immediata della diffe-renza tra l’Anima e la Natura che si ottiene mediante la ri-flessione dell’Anima nell’organo interno scevro di affezio-ni: quindi è necessario togliere questo impedimento colsopprimere le affezioni; e questa soppressione si ottieneper mezzo della concentrazione più profonda, per mezzodella meditazione (S. Sutra III, 30-31; S. pr. bh. 222, 344-346). «Per mezzo della concentrazione cosciente, dice Vij-nana, cioè per mezzo della compressione di tutte le affe-zioni salvo quella che è in rapporto con l’oggetto della me-ditazione (con l’Anima), sorge il più alto grado della medi-tazione che è come la base della liberazione finale».

La soppressione delle affezioni dell’organo interno siottiene col rinunciare assolutamente a tutte le cose delmondo, ossia con l’impassibilità e l’indifferenza assoluta difronte agli oggetti sensibili e con lo sforzo di concentrareper quanto è possibile il nostro pensiero sullo Spirito (S.pr. bh. 346-347). A questo scopo è utile fissare la propriamente tanto sulla caducità e sulle altre dolorose imperfe-zioni degli oggetti sensibili, quanto sulla insaziabilità deinostri desiderii (S. Sutra IV, 27-28). Anche gli asceti dotatidel potere sovrannaturale non possono estinguere appienoi loro desiderii: che dire degli altri? «Il desiderio, dice Saub-

155

di riflettere lo Spirito». E nel S. T. Pradipa è detto: «La pri-ma liberazione si acquista mediante la conoscenza (in s. s.ossia l’acquisizione materiale della verità); la secondamediante la distruzione del le passioni; la terza (cheè quella dopo la morte) mediante la distruzione di tutto».La riflessione delle dolorose affezioni dell’organo internonell’Anima impedisce l’intuizione immediata della diffe-renza tra l’Anima e la Natura che si ottiene mediante la ri-flessione dell’Anima nell’organo interno scevro di affezio-ni: quindi è necessario togliere questo impedimento colsopprimere le affezioni; e questa soppressione si ottieneper mezzo della concentrazione più profonda, per mezzodella meditazione (S. Sutra III, 30-31; S. pr. bh. 222, 344-346). «Per mezzo della concentrazione cosciente, dice Vij-nana, cioè per mezzo della compressione di tutte le affe-zioni salvo quella che è in rapporto con l’oggetto della me-ditazione (con l’Anima), sorge il più alto grado della medi-tazione che è come la base della liberazione finale».

La soppressione delle affezioni dell’organo interno siottiene col rinunciare assolutamente a tutte le cose delmondo, ossia con l’impassibilità e l’indifferenza assoluta difronte agli oggetti sensibili e con lo sforzo di concentrareper quanto è possibile il nostro pensiero sullo Spirito (S.pr. bh. 346-347). A questo scopo è utile fissare la propriamente tanto sulla caducità e sulle altre dolorose imperfe-zioni degli oggetti sensibili, quanto sulla insaziabilità deinostri desiderii (S. Sutra IV, 27-28). Anche gli asceti dotatidel potere sovrannaturale non possono estinguere appienoi loro desiderii: che dire degli altri? «Il desiderio, dice Saub-

155

Page 156: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

hari nel Vishnu Purana, non conosce limiti fino alla morte.Questo ho io oggi conosciuto. Colui che tutto si dà a sod-disfare i propri desiderii, colui veramente non raggiungeràmai il fine supremo». Ed il re Yayati dopo mille anni dipiaceri d’ogni sorta, stanco, non senza ragione esclama nelMahabharata (tr. fr. I, 334): «Il desiderio non si sazia colsoddisfacimento: esso anzi aumenta, come il fuoco sacropel burro liquefatto che vi si spande. La terra riempita dipietre preziose, l’oro, i greggi, le donne tutto ciò non è ab-bastanza per uno solo! Che questo pensiero conduca dun-que all’assenza di ogni desiderio!». «Veggendo nelle cosevere tanta parte di falso (dice il Sankhya Sara cap. IX) ecosi nelle cose piacevoli tanto disgusto e nelle cose lietetanta parte di miseria, il saggio diviene indifferente. Ancheil cielo di Brahma è un inferno pieno dell’impurità dellamorte: anche colui che è superiore agli altri è per i tre gunasoggetto al dolore. Anche i celesti atterriti dalla trasmigra-zione anelano alla liberazione: di qui in breve si vede chetutti i mondi sono soggetti al dolore». (Satyesvasatt m pracuā -r m tath ramyesvaramyat m ā ā ā – sukhesu pracuram duhkhampaçyan dh ro virajyate ī – brahmaloko pi narako vin ç medhyapā ā ū-ritah – yuktaçca sv dhikairanyaistraiguny dapi duhkhayuk ā ā – ta-tratyairapi suktyartham yatyate janmabh rubhih ī – ato jneyah sa-m sena lokah sarvo ‘pi duhkhayukā ).

Quindi ogni minimo desiderio, ogni minima speranza-deve essere respinta. La speranza, dice il Mahabharata, è ilpiù grande dei mali, l’assenza di ogni speranza il più gran-de dei beni. L’uomo profondamente saggio è colui chevive noncurante di ciò che non si riferisce alla perfezione

156

hari nel Vishnu Purana, non conosce limiti fino alla morte.Questo ho io oggi conosciuto. Colui che tutto si dà a sod-disfare i propri desiderii, colui veramente non raggiungeràmai il fine supremo». Ed il re Yayati dopo mille anni dipiaceri d’ogni sorta, stanco, non senza ragione esclama nelMahabharata (tr. fr. I, 334): «Il desiderio non si sazia colsoddisfacimento: esso anzi aumenta, come il fuoco sacropel burro liquefatto che vi si spande. La terra riempita dipietre preziose, l’oro, i greggi, le donne tutto ciò non è ab-bastanza per uno solo! Che questo pensiero conduca dun-que all’assenza di ogni desiderio!». «Veggendo nelle cosevere tanta parte di falso (dice il Sankhya Sara cap. IX) ecosi nelle cose piacevoli tanto disgusto e nelle cose lietetanta parte di miseria, il saggio diviene indifferente. Ancheil cielo di Brahma è un inferno pieno dell’impurità dellamorte: anche colui che è superiore agli altri è per i tre gunasoggetto al dolore. Anche i celesti atterriti dalla trasmigra-zione anelano alla liberazione: di qui in breve si vede chetutti i mondi sono soggetti al dolore». (Satyesvasatt m pracuā -r m tath ramyesvaramyat m ā ā ā – sukhesu pracuram duhkhampaçyan dh ro virajyate ī – brahmaloko pi narako vin ç medhyapā ā ū-ritah – yuktaçca sv dhikairanyaistraiguny dapi duhkhayuk ā ā – ta-tratyairapi suktyartham yatyate janmabh rubhih ī – ato jneyah sa-m sena lokah sarvo ‘pi duhkhayukā ).

Quindi ogni minimo desiderio, ogni minima speranza-deve essere respinta. La speranza, dice il Mahabharata, è ilpiù grande dei mali, l’assenza di ogni speranza il più gran-de dei beni. L’uomo profondamente saggio è colui chevive noncurante di ciò che non si riferisce alla perfezione

156

Page 157: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

spirituale; egli è nel tempo stesso il più beato (S. Sutra VI,11). Anche un solo pensiero, il più innocente, che non siadiretto alle cose essenziali, può impedire l’avvento della li-berazione (S. Sutra IV, 8); perchè «se la mente abbandonaanche solo per un istante il suo stato di purezza e di quie-te, allora il senso è risospinto (verso il mondo esterno) dalresiduo delle impressioni sensibili» (S. Sara IX, 70: svarū-pam nirmalam ç ntam manastyajati cet ksanam ā – tadaiva driçya-samsk raçes t sanksubhyatindriyam).ā ā

A questo fine pertanto il saggio deve cercare la solitudi-ne e fuggire la compagnia di altri od anche solo d’un altro,perchè distrae la mente ed impedisce la concentrazione (S.Sutra IV, 9-10). Solo è da ammettersi la comunicazionecon perfetti (S. pr. bh. 262). Quanto al luogo (dice il sutraIV, 31) non vi è alcuna regola. La perfezione dell’intellettonon sorge dal dimorare nelle selve, sui monti o nelle spe-lonche: questi sono unicamente mezzi esteriori diretti aprocurare la quiete interna. «A che la foresta (è detto nelMahabharata) quando i sensi sono domi? Ed a che la fore-sta quando i medesimi non sono domi? Qualunque sia illuogo che si abita dopo aver domato i sensi, esso è una fo-resta ed un eremitaggio». Anche riguardo alla posizionedel corpo basta che essa sia immobile e conveniente (S.Sutra III, 34; VI, 24). Ad ottenere il raccoglimento giova-no molte pratiche artificiali, come il fissare la propria at-tenzione su d’un punto, per es. sull’ombelico (Anir. 126), ilregolare il respiro il modo da renderlo lento ed uniforme(S. Sutra III, 33), etc.

Così immersa nella più profonda contemplazione, non

157

spirituale; egli è nel tempo stesso il più beato (S. Sutra VI,11). Anche un solo pensiero, il più innocente, che non siadiretto alle cose essenziali, può impedire l’avvento della li-berazione (S. Sutra IV, 8); perchè «se la mente abbandonaanche solo per un istante il suo stato di purezza e di quie-te, allora il senso è risospinto (verso il mondo esterno) dalresiduo delle impressioni sensibili» (S. Sara IX, 70: svarū-pam nirmalam ç ntam manastyajati cet ksanam ā – tadaiva driçya-samsk raçes t sanksubhyatindriyam).ā ā

A questo fine pertanto il saggio deve cercare la solitudi-ne e fuggire la compagnia di altri od anche solo d’un altro,perchè distrae la mente ed impedisce la concentrazione (S.Sutra IV, 9-10). Solo è da ammettersi la comunicazionecon perfetti (S. pr. bh. 262). Quanto al luogo (dice il sutraIV, 31) non vi è alcuna regola. La perfezione dell’intellettonon sorge dal dimorare nelle selve, sui monti o nelle spe-lonche: questi sono unicamente mezzi esteriori diretti aprocurare la quiete interna. «A che la foresta (è detto nelMahabharata) quando i sensi sono domi? Ed a che la fore-sta quando i medesimi non sono domi? Qualunque sia illuogo che si abita dopo aver domato i sensi, esso è una fo-resta ed un eremitaggio». Anche riguardo alla posizionedel corpo basta che essa sia immobile e conveniente (S.Sutra III, 34; VI, 24). Ad ottenere il raccoglimento giova-no molte pratiche artificiali, come il fissare la propria at-tenzione su d’un punto, per es. sull’ombelico (Anir. 126), ilregolare il respiro il modo da renderlo lento ed uniforme(S. Sutra III, 33), etc.

Così immersa nella più profonda contemplazione, non

157

Page 158: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

più legata da verun attaccamento al mondo sensibile, l’ani-ma del saggio si isolerà sempre più completamente daogni cosa per affisarsi unicamente nella luce interiore delloSpirito finché l’intelletto nella sua concentrazione profon-da non veda più null’altro nè dentro di sè nè fuori di sè,l’oscurità interiore si dissipi e sorga l’intuizione luminosa,immediata, diretta dello Spirito: «Così sorge dalla cono-scenza dei principii la conoscenza assoluta: Io non sono(cioè la personalità finita che io credevo a me appartenerenon è il vero essere mio); niente è mio (io non sono con-nesso con nessuna cosa); questo non è l’Anima (gli oggettie le affezioni dolorose appartengono alla Natura, nonall’Anima)» (Karika 64).

Allorché questa conoscenza dello Spirito è stata portataal punto culminante della sua perfezione, l’intelletto com-pie l’ultimo atto e l’individuo passa allo stato di liberatovivente (Kaum. 108).

L’anima dopo d’aver contemplato immobile e tranquillacome uno spettatore la Natura che, avendo raggiunto ilsuo fine, ha cessato di produrre ed ha rigettato da sè lesette forme (ignoranza, impassibilità, desiderio, virtù, etc.)se ne volge con disprezzo. In tutto il suo agire, in tutte lesue forme la Natura non aveva avuto che un fine solo: laliberazione dell’anima: compiuto ora il suo ufficio, checosa potrebbe ancor nascere dalla sua unione con l’Ani-ma? La Natura cessa d’agire pensando: Io sono stata vedu-ta; l’Anima cessa di riguardare pensando: Io l’ho veduta(Karika 66).

Ma allora, si dirà, perchè la vita continua? Perchè la

158

più legata da verun attaccamento al mondo sensibile, l’ani-ma del saggio si isolerà sempre più completamente daogni cosa per affisarsi unicamente nella luce interiore delloSpirito finché l’intelletto nella sua concentrazione profon-da non veda più null’altro nè dentro di sè nè fuori di sè,l’oscurità interiore si dissipi e sorga l’intuizione luminosa,immediata, diretta dello Spirito: «Così sorge dalla cono-scenza dei principii la conoscenza assoluta: Io non sono(cioè la personalità finita che io credevo a me appartenerenon è il vero essere mio); niente è mio (io non sono con-nesso con nessuna cosa); questo non è l’Anima (gli oggettie le affezioni dolorose appartengono alla Natura, nonall’Anima)» (Karika 64).

Allorché questa conoscenza dello Spirito è stata portataal punto culminante della sua perfezione, l’intelletto com-pie l’ultimo atto e l’individuo passa allo stato di liberatovivente (Kaum. 108).

L’anima dopo d’aver contemplato immobile e tranquillacome uno spettatore la Natura che, avendo raggiunto ilsuo fine, ha cessato di produrre ed ha rigettato da sè lesette forme (ignoranza, impassibilità, desiderio, virtù, etc.)se ne volge con disprezzo. In tutto il suo agire, in tutte lesue forme la Natura non aveva avuto che un fine solo: laliberazione dell’anima: compiuto ora il suo ufficio, checosa potrebbe ancor nascere dalla sua unione con l’Ani-ma? La Natura cessa d’agire pensando: Io sono stata vedu-ta; l’Anima cessa di riguardare pensando: Io l’ho veduta(Karika 66).

Ma allora, si dirà, perchè la vita continua? Perchè la

158

Page 159: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

morte non segue immediatamente la liberazione? «Sebbe-ne per il conseguimento della conoscenza perfetta il meri-to (e l’ignoranza) cessino di causare il corpo del liberato,questo continua a sussistere in virtù dell’impulso prima ri-cevuto, come è nel caso del girar della ruota» (Kar. 67).Come anche quando il vasaio ha interrotto l’opera sua, laruota continua ancora a girare per qualche tempo da sèstessa in seguito all’impulso ricevuto, così la vita corporeadel liberato si continua ancora dopo la conoscenza in virtùdell’impulso delle opere antecedenti, le quali hanno co-minciato a portare il loro frutto (S. Sutra III, 82; S. pr. bh.248).

In seguito al sorgere della conoscenza la forza del meri-to è distrutta: le disposizioni accumulate che da tempo at-tendevano di portare il loro frutto cessano di causare per-chè la loro forza germinativa è stata arsa dal fuoco dellaconoscenza. «Quando il terreno dell’organo interno è inaf-fiato dall’acqua dei cinque viparyaya (le cinque specied’errore di cui nel cap. precedente) allora i germi delleopere germogliano; ma su di un terreno infecondo nelquale tutta l’acqua dei viparyayas è stata assorbita dallavampa della conoscenza come potrebbero ancora germo-gliare?» (Kaum. 109). Solo persiste l’effetto di quelle opereche già hanno cominciato a fruttificare ed il cui effetto sitraduce appunto nella continuazione delle condizioni cor-porali sotto cui il liberato continua ad esistere. La cono-scenza, dice il Sankhya Sara, distrugge il frutto delle azionieccetto quelle essenzialmente connesse con lo stato cor-poreo del liberato. «Le opere (è detto nella Rational Refu-

159

morte non segue immediatamente la liberazione? «Sebbe-ne per il conseguimento della conoscenza perfetta il meri-to (e l’ignoranza) cessino di causare il corpo del liberato,questo continua a sussistere in virtù dell’impulso prima ri-cevuto, come è nel caso del girar della ruota» (Kar. 67).Come anche quando il vasaio ha interrotto l’opera sua, laruota continua ancora a girare per qualche tempo da sèstessa in seguito all’impulso ricevuto, così la vita corporeadel liberato si continua ancora dopo la conoscenza in virtùdell’impulso delle opere antecedenti, le quali hanno co-minciato a portare il loro frutto (S. Sutra III, 82; S. pr. bh.248).

In seguito al sorgere della conoscenza la forza del meri-to è distrutta: le disposizioni accumulate che da tempo at-tendevano di portare il loro frutto cessano di causare per-chè la loro forza germinativa è stata arsa dal fuoco dellaconoscenza. «Quando il terreno dell’organo interno è inaf-fiato dall’acqua dei cinque viparyaya (le cinque specied’errore di cui nel cap. precedente) allora i germi delleopere germogliano; ma su di un terreno infecondo nelquale tutta l’acqua dei viparyayas è stata assorbita dallavampa della conoscenza come potrebbero ancora germo-gliare?» (Kaum. 109). Solo persiste l’effetto di quelle opereche già hanno cominciato a fruttificare ed il cui effetto sitraduce appunto nella continuazione delle condizioni cor-porali sotto cui il liberato continua ad esistere. La cono-scenza, dice il Sankhya Sara, distrugge il frutto delle azionieccetto quelle essenzialmente connesse con lo stato cor-poreo del liberato. «Le opere (è detto nella Rational Refu-

159

Page 160: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

tation) sono di tre specie; accumulate, correnti, frutescenti.Le prime sono quelle commesse nelle esistenze anteceden-ti, che non hanno ancora prodotto il loro frutto: e perl’acquisizione della retta conoscenza queste sono arse, os-sia rese inefficaci. Le seconde sono quelle che si commet-tono nell’esistenza attuale: esse non hanno più alcun effet-to per colui che è giunto alla conoscenza. Le ultime sonoquelle commesse nelle esistenze antecedenti che hannodato origine al corpo attualmente posseduto ed hanno de-terminato la durata del medesimo ed ogni cosa ches’appartenga all’esistenza presente.....… Solo queste operefrutescenti non possono essere rese inefficaci dalla cono-scenza: ed è per esaurire il frutto delle medesime che ilperfetto (il quale però, essendo giunto all’impassibilità per-fetta, non è più capace nè di piacere nè di dolore e nonvede nel perpetuarsi della propria esistenza altro che ilsuccedersi di affezioni materiali indifferenti,) rimane anco-ra nella vita corporea esperimentando gioie e dolori» (p.30-31).

Vacaspati pare opini essere ancora necessario, affinchèle opere frutescenti continuino il loro frutto, un residuod’ignoranza. Egli supporrebbe cioè che in questa vita nonsia possibile la perfezione assoluta: secondo lui vi è pursempre un minimo residuo d’ignoranza che perpetua l’esi-stenza: allorché anche quest’ultimo resto d’ignoranzascompare, cessa contemporaneamente l’esistenza. Ma a ra-gione Vijnana (S. pr. bh. 249-250) riprende tale opinione.L’ignoranza non ha altro effetto che quello di far sì che leopere comincino a produrre i loro effetti, essa non dà

160

tation) sono di tre specie; accumulate, correnti, frutescenti.Le prime sono quelle commesse nelle esistenze anteceden-ti, che non hanno ancora prodotto il loro frutto: e perl’acquisizione della retta conoscenza queste sono arse, os-sia rese inefficaci. Le seconde sono quelle che si commet-tono nell’esistenza attuale: esse non hanno più alcun effet-to per colui che è giunto alla conoscenza. Le ultime sonoquelle commesse nelle esistenze antecedenti che hannodato origine al corpo attualmente posseduto ed hanno de-terminato la durata del medesimo ed ogni cosa ches’appartenga all’esistenza presente.....… Solo queste operefrutescenti non possono essere rese inefficaci dalla cono-scenza: ed è per esaurire il frutto delle medesime che ilperfetto (il quale però, essendo giunto all’impassibilità per-fetta, non è più capace nè di piacere nè di dolore e nonvede nel perpetuarsi della propria esistenza altro che ilsuccedersi di affezioni materiali indifferenti,) rimane anco-ra nella vita corporea esperimentando gioie e dolori» (p.30-31).

Vacaspati pare opini essere ancora necessario, affinchèle opere frutescenti continuino il loro frutto, un residuod’ignoranza. Egli supporrebbe cioè che in questa vita nonsia possibile la perfezione assoluta: secondo lui vi è pursempre un minimo residuo d’ignoranza che perpetua l’esi-stenza: allorché anche quest’ultimo resto d’ignoranzascompare, cessa contemporaneamente l’esistenza. Ma a ra-gione Vijnana (S. pr. bh. 249-250) riprende tale opinione.L’ignoranza non ha altro effetto che quello di far sì che leopere comincino a produrre i loro effetti, essa non dà

160

Page 161: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

loro che la forza produttiva: ma non è punto necessariaperché l’individuo continui a godere il frutto di quelle ope-re il cui effetto ha cominciato a dispiegarsi. D’altronde sesi volesse ammettere nel liberato vivente un residuod’ignoranza, questo continuerebbe a mantenere l’efficaciadelle opere accumulate e quindi non vi sarebbe vera libera-zione. Ora che la liberazione nella vita attuale esista si pro-va dalle Scritture nelle quali si parla di liberati viventi; siprova in secondo luogo dall’insegnamento tradizionaledella verità. Perchè se coloro che trasmettono la conoscen-za assoluta, non fossero già essi stessi pervenuti alla cono-scenza assoluta, perfetta (senza alcun residuo di errore od’ignoranza), i loro discepoli riceverebbero la verità offu-scata in questo od in quel punto in corrispondenza al resi-duo d’ignoranza che è nel maestro; i discepoli alla lor voltaoffuscherebbero sempre più per via del residuo d’ignoran-za loro proprio la dottrina ricevuta, e si avrebbe cosi nonuna trasmissione fedele della verità, ma una tradizione si-mile ad una fila di ciechi (S. Sutra III, 79-81).

Il saggio pervenuto alla liberazione continua così a vive-re nel corpo materiale, ma libero da ogni ulteriore incor-porazione, non più soggetto nè al merito nè al demerito,nè alla gioia nè al dolore (Anir. 264). Egli è veramente aldi là del bene e del male: egli non appartiene più anessuna casta, a nessuna setta, a nessun ordine; non ha piùdoveri, non riconosce più nè codici religiosi, nè formule,nè opere meritorie (S. Sara 169-170); egli è un essere a par-te distinto da tutti gli esseri viventi (S. Sutra V, 26).

Quando poi anche gli ultimi residui del frutto delle ope-

161

loro che la forza produttiva: ma non è punto necessariaperché l’individuo continui a godere il frutto di quelle ope-re il cui effetto ha cominciato a dispiegarsi. D’altronde sesi volesse ammettere nel liberato vivente un residuod’ignoranza, questo continuerebbe a mantenere l’efficaciadelle opere accumulate e quindi non vi sarebbe vera libera-zione. Ora che la liberazione nella vita attuale esista si pro-va dalle Scritture nelle quali si parla di liberati viventi; siprova in secondo luogo dall’insegnamento tradizionaledella verità. Perchè se coloro che trasmettono la conoscen-za assoluta, non fossero già essi stessi pervenuti alla cono-scenza assoluta, perfetta (senza alcun residuo di errore od’ignoranza), i loro discepoli riceverebbero la verità offu-scata in questo od in quel punto in corrispondenza al resi-duo d’ignoranza che è nel maestro; i discepoli alla lor voltaoffuscherebbero sempre più per via del residuo d’ignoran-za loro proprio la dottrina ricevuta, e si avrebbe cosi nonuna trasmissione fedele della verità, ma una tradizione si-mile ad una fila di ciechi (S. Sutra III, 79-81).

Il saggio pervenuto alla liberazione continua così a vive-re nel corpo materiale, ma libero da ogni ulteriore incor-porazione, non più soggetto nè al merito nè al demerito,nè alla gioia nè al dolore (Anir. 264). Egli è veramente aldi là del bene e del male: egli non appartiene più anessuna casta, a nessuna setta, a nessun ordine; non ha piùdoveri, non riconosce più nè codici religiosi, nè formule,nè opere meritorie (S. Sara 169-170); egli è un essere a par-te distinto da tutti gli esseri viventi (S. Sutra V, 26).

Quando poi anche gli ultimi residui del frutto delle ope-

161

Page 162: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

re hanno esaurito la loro efficacia allora esso perviene allaliberazione assoluta (Kar. 68, Kaum. 108-109). In che cosaessa consiste? Noi l’abbiamo veduto: nel ritorno alla quie-te eterna dell’incoscienza, nell’annientamento totale edeterno della individualità empirica. La sua personalità fini-ta e dolorosa si dissolve; la sua coscienza si spegne persempre. La Natura rimane immobile e cessa di riflettere insè la luce dello Spirito. L’Anima continua imperturbata lasua esistenza impersonale e rimane sola; rimane come unvento calmo, come uno specchio che ha cessato di riflette-re le forme esteriori e conserva inalterato il suo splendore(S. Sara 171; S. pr. bh. 200).

162

re hanno esaurito la loro efficacia allora esso perviene allaliberazione assoluta (Kar. 68, Kaum. 108-109). In che cosaessa consiste? Noi l’abbiamo veduto: nel ritorno alla quie-te eterna dell’incoscienza, nell’annientamento totale edeterno della individualità empirica. La sua personalità fini-ta e dolorosa si dissolve; la sua coscienza si spegne persempre. La Natura rimane immobile e cessa di riflettere insè la luce dello Spirito. L’Anima continua imperturbata lasua esistenza impersonale e rimane sola; rimane come unvento calmo, come uno specchio che ha cessato di riflette-re le forme esteriori e conserva inalterato il suo splendore(S. Sara 171; S. pr. bh. 200).

162

Page 163: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

RIASSUNTO SINTETICO

I principii sostanziali d’ogni realtà sono due: la Natura,le Anime. La Natura può definirsi: il contenuto della co-scienza empirica nello stato di indistinzione assoluta. Essaè un principio inconscio nel cui seno si agitano confusa-mente le sensazioni piacevoli, dolorose, indifferenti onde ècostituita l’esistenza; reale, supremamente indistinto, uni-versale, eterno, attivo.

Le Anime sono in numero infinito e tutte fra lorouguali. La loro esistenza eterna, impersonale, inattiva, pe-rennemente uguale a sè stessa, inaccessibile ad ogni per-turbazione e ad ogni alterazione si rivela nel fatto della co-scienza, la quale non è se non una specie di luminosità spi-rituale che in determinate condizioni l’Anima suscita nelseno della Natura.

Questa unione della Natura con le singole Anime nelfatto della coscienza non avverrebbe mai se non interve-nisse un impulso esteriore, straniero all’essenza dell’uno edell’altro principio. Quest’impulso è dato da un infinitonumero di volontà individuali d’esistere incausate ed abæterno esistenti, le quali da tutta l’eternità causano perun’inesplicabile fatalità in modo affatto meccanico l’unio-ne della Natura con le Anime. Così si produce dall’eternitànel seno della Natura un infinito numero di centri di co-scienza; in corrispondenza a ciascuno dei quali essa evol-

163

RIASSUNTO SINTETICO

I principii sostanziali d’ogni realtà sono due: la Natura,le Anime. La Natura può definirsi: il contenuto della co-scienza empirica nello stato di indistinzione assoluta. Essaè un principio inconscio nel cui seno si agitano confusa-mente le sensazioni piacevoli, dolorose, indifferenti onde ècostituita l’esistenza; reale, supremamente indistinto, uni-versale, eterno, attivo.

Le Anime sono in numero infinito e tutte fra lorouguali. La loro esistenza eterna, impersonale, inattiva, pe-rennemente uguale a sè stessa, inaccessibile ad ogni per-turbazione e ad ogni alterazione si rivela nel fatto della co-scienza, la quale non è se non una specie di luminosità spi-rituale che in determinate condizioni l’Anima suscita nelseno della Natura.

Questa unione della Natura con le singole Anime nelfatto della coscienza non avverrebbe mai se non interve-nisse un impulso esteriore, straniero all’essenza dell’uno edell’altro principio. Quest’impulso è dato da un infinitonumero di volontà individuali d’esistere incausate ed abæterno esistenti, le quali da tutta l’eternità causano perun’inesplicabile fatalità in modo affatto meccanico l’unio-ne della Natura con le Anime. Così si produce dall’eternitànel seno della Natura un infinito numero di centri di co-scienza; in corrispondenza a ciascuno dei quali essa evol-

163

Page 164: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

vendosi svolge dal proprio seno un organismo psicologicocomposto dell’intelligenza e della personalità, il quale creaa sè stesso da una parte gli organi di senso, dall’altra glielementi sensibili, indi con questi compone a sè stesso uncorpo materiale per mezzo del quale fruisce delle sensa-zioni che provoca il contatto dei sensi con i relativi ogget-ti.

Queste volontà individuali d’esistere non sono però al-cunché di sostanzialmente distinto dagli esseri che ne sonola manifestazione e che sono costituiti dai prodotti dellaNatura. Esse non sono altro anzi che l’espressione astrattadegli innumerevoli atti concreti di volontà degli esseri stes-si; i quali continuamente mossi da un impulso interioreloro proprio, non essenziale alla Natura che li costituisce(il quale impulso è in sè alcunché di meccanico e di incon-scio), desiderano, agiscono, in una parola vogliono esisteree con questo causano per quella misteriosa forza, insupe-rabile all’individuo stesso, chè è inerente alla volontà, ilcontinuarsi dell’esistenza voluta. Questo continuarsidell’esistenza avviene per mezzo delle disposizioni o im-pressioni materiali prodotte nell’intelletto dall’agire indivi-duale, che sono come altrettanti germi, i quali quandogiunge il tempo voluto si sviluppano e fruttificano causan-do nuove esistenze. Insieme alle nuove esistenze poi rina-scono dalle disposizioni e con la stessa meccanica necessi-tà nuovi impulsi, nuovi desiderii, nuove azioni; da questenuove esistenze e con esse altri impulsi, desiderii, azioni;così indefinitamente e nel passato e nell’avvenire.

Il fatto essenziale e fondamentale di tutto questo com-

164

vendosi svolge dal proprio seno un organismo psicologicocomposto dell’intelligenza e della personalità, il quale creaa sè stesso da una parte gli organi di senso, dall’altra glielementi sensibili, indi con questi compone a sè stesso uncorpo materiale per mezzo del quale fruisce delle sensa-zioni che provoca il contatto dei sensi con i relativi ogget-ti.

Queste volontà individuali d’esistere non sono però al-cunché di sostanzialmente distinto dagli esseri che ne sonola manifestazione e che sono costituiti dai prodotti dellaNatura. Esse non sono altro anzi che l’espressione astrattadegli innumerevoli atti concreti di volontà degli esseri stes-si; i quali continuamente mossi da un impulso interioreloro proprio, non essenziale alla Natura che li costituisce(il quale impulso è in sè alcunché di meccanico e di incon-scio), desiderano, agiscono, in una parola vogliono esisteree con questo causano per quella misteriosa forza, insupe-rabile all’individuo stesso, chè è inerente alla volontà, ilcontinuarsi dell’esistenza voluta. Questo continuarsidell’esistenza avviene per mezzo delle disposizioni o im-pressioni materiali prodotte nell’intelletto dall’agire indivi-duale, che sono come altrettanti germi, i quali quandogiunge il tempo voluto si sviluppano e fruttificano causan-do nuove esistenze. Insieme alle nuove esistenze poi rina-scono dalle disposizioni e con la stessa meccanica necessi-tà nuovi impulsi, nuovi desiderii, nuove azioni; da questenuove esistenze e con esse altri impulsi, desiderii, azioni;così indefinitamente e nel passato e nell’avvenire.

Il fatto essenziale e fondamentale di tutto questo com-

164

Page 165: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

plesso di atti, desiderii, impulsi che noi comprendiamocon la generica denominazione di volontà d’esistere, è,come risulta anche dalla più superficiale osservazionedell’attività individuale, l’ignoranza, l’erronea concezioneche i singoli individui hanno dell’esistenza. Questo fatto siriproduce come ogni altro per le disposizioni: ma le dispo-sizioni dell’ignoranza non hanno come le altre per effettodi condurre a questa od a quella esistenza, bensì causanosemplicemente l’unione della Natura e dell’Anima, per laquale unione la Natura procede meccanicamente alla crea-zione. Esse causano quindi l’esistenza intiera nel suo com-plesso, ma in modo affatto generico, rendendo così possi-bile lo svolgersi delle altre disposizioni in cui si specializzal’attività individuale mossa dall’ignoranza, le quali specifi-cano l’evolversi meccanico della Natura in una varietà in-definita di produzioni traducentesi in una corrispondentevarietà delle condizioni d’esistenza e dell’agire individuale.Questa varietà delle condizioni d’esistenza e dell’agire è uneffetto della varietà delle disposizioni causanti: questa uneffetto della varietà dell’agire anteriore: così si perpetua daogni tempo con una ferrea necessità la varietà delle esi-stenze, perchè la catena delle disposizioni e dei loro effettiè, come si è veduto, senza principio.

A questo modo per l’effetto combinato dell’ignoranzae delle altre disposizioni l’individuo attraversa l’una dopol’altra innumerevoli esistenze passando per tutti i mondi,per tutte le condizioni, per tutti gli stadii dell’esistenza,dall’essere divino al vegetale. In tutti però lo attende unasorte unica: soffrire. Invano egli tenta, acciecato dall’errore

165

plesso di atti, desiderii, impulsi che noi comprendiamocon la generica denominazione di volontà d’esistere, è,come risulta anche dalla più superficiale osservazionedell’attività individuale, l’ignoranza, l’erronea concezioneche i singoli individui hanno dell’esistenza. Questo fatto siriproduce come ogni altro per le disposizioni: ma le dispo-sizioni dell’ignoranza non hanno come le altre per effettodi condurre a questa od a quella esistenza, bensì causanosemplicemente l’unione della Natura e dell’Anima, per laquale unione la Natura procede meccanicamente alla crea-zione. Esse causano quindi l’esistenza intiera nel suo com-plesso, ma in modo affatto generico, rendendo così possi-bile lo svolgersi delle altre disposizioni in cui si specializzal’attività individuale mossa dall’ignoranza, le quali specifi-cano l’evolversi meccanico della Natura in una varietà in-definita di produzioni traducentesi in una corrispondentevarietà delle condizioni d’esistenza e dell’agire individuale.Questa varietà delle condizioni d’esistenza e dell’agire è uneffetto della varietà delle disposizioni causanti: questa uneffetto della varietà dell’agire anteriore: così si perpetua daogni tempo con una ferrea necessità la varietà delle esi-stenze, perchè la catena delle disposizioni e dei loro effettiè, come si è veduto, senza principio.

A questo modo per l’effetto combinato dell’ignoranzae delle altre disposizioni l’individuo attraversa l’una dopol’altra innumerevoli esistenze passando per tutti i mondi,per tutte le condizioni, per tutti gli stadii dell’esistenza,dall’essere divino al vegetale. In tutti però lo attende unasorte unica: soffrire. Invano egli tenta, acciecato dall’errore

165

Page 166: Il sistema Sankhya - Liber Liber...Il sistema Sankhya viene generalmente considerato come il più antico dei sistemi filosofici indiani; ed è real-mente il solo sistema che come tale

o dall’impotenza del suo intelletto, di porre rimedio al do-lore con i godimenti sensibili o con le vane opere religiose:invano egli rinuncia al godimento rinserrandosi in unaspecie d’apatia indifferente verso le cose del senso. Nessu-no di questi mezzi sopprime il dolore, perchè il dolore èinseparabile dall’esistenza. Così sorge a poco a poco in luil’amara esperienza che esistere è soffrire e l’intelletto suoliberato dal cieco e doloroso desiderio dell’esistenza diven-ta degno di accogliere in sè la sublime saggezza che il divi-no Kapila impietosito dalle miserie umane rivelò agli uo-mini. Per mezzo di essa egli giunge alfine a comprenderela vera natura dell’esistenza e vede che il dolore appartienealla Natura e può essere soppresso separando la Naturadall’Anima; per mezzo di essa egli apprende a negare pro-fondamente la propria personalità fittizia, a ricondurremediante la più profonda concentrazione quel raggio dispiritualità perduto nella materia che è la propria coscienzafinita, alla sua fonte infinita, all’Anima.

Allorché l’individuo è pervenuto a questo alto grado diperfezione le disposizioni del suo intelletto sono distrutte:all’ignoranza sottentra la conoscenza liberatrice. Egli con-tinua ad esistere perchè l’effetto delle disposizioni chehanno prodotto la sua esistenza presente continua a svol-gersi, come per legge d’inerzia, fino a che il frutto ne siaesaurito: ma questo compiuto, l’esistenza sua cessa defini-tivamente. La Natura, pur continuando ad essere attiva pergli altri individui, cessa per lui d’agire e si separa dall’Ani-ma: la sua volontà e la sua coscienza sono annullate persempre: la sua individualità entra nella quiete del nulla.

166

o dall’impotenza del suo intelletto, di porre rimedio al do-lore con i godimenti sensibili o con le vane opere religiose:invano egli rinuncia al godimento rinserrandosi in unaspecie d’apatia indifferente verso le cose del senso. Nessu-no di questi mezzi sopprime il dolore, perchè il dolore èinseparabile dall’esistenza. Così sorge a poco a poco in luil’amara esperienza che esistere è soffrire e l’intelletto suoliberato dal cieco e doloroso desiderio dell’esistenza diven-ta degno di accogliere in sè la sublime saggezza che il divi-no Kapila impietosito dalle miserie umane rivelò agli uo-mini. Per mezzo di essa egli giunge alfine a comprenderela vera natura dell’esistenza e vede che il dolore appartienealla Natura e può essere soppresso separando la Naturadall’Anima; per mezzo di essa egli apprende a negare pro-fondamente la propria personalità fittizia, a ricondurremediante la più profonda concentrazione quel raggio dispiritualità perduto nella materia che è la propria coscienzafinita, alla sua fonte infinita, all’Anima.

Allorché l’individuo è pervenuto a questo alto grado diperfezione le disposizioni del suo intelletto sono distrutte:all’ignoranza sottentra la conoscenza liberatrice. Egli con-tinua ad esistere perchè l’effetto delle disposizioni chehanno prodotto la sua esistenza presente continua a svol-gersi, come per legge d’inerzia, fino a che il frutto ne siaesaurito: ma questo compiuto, l’esistenza sua cessa defini-tivamente. La Natura, pur continuando ad essere attiva pergli altri individui, cessa per lui d’agire e si separa dall’Ani-ma: la sua volontà e la sua coscienza sono annullate persempre: la sua individualità entra nella quiete del nulla.

166