Il sistema bancario italiano: territori, attività e...

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http://etudes-economiques.credit-agricole.com HORIZONS BANCAIRES NUMERO 340 - NOVEMBRE 2010 Il sistema bancario italiano: territori, attività e sfide

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Il sistema bancario italiano:territori, attività e sfide

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EDITORIALE .............................................................................................................................................................................................. 3JEAN-PAUL CHIFFLET, direttore generale, Crédit Agricole S.A.

Le grandi tendenzeLe caratteristiche del sistema bancario italiano: evoluzione dell’attivitàe delle performance .................................................................................................................................................................................................. 5MARCELLO MESSORI, professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”

Il consolidamento del mercato bancario italiano: evoluzioni e prospettive ............................... 11ILARIA ROMAGNOLI, managing director, Head of FIG Italy, Rothschild

Banche e antitrust: le specificità italiane ................................................................................................................................... 20SERGIO EREDE, socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo

E MASSIMO MEROLA, responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede Pappalardo; professore, Collegio d’Europa

Il mercato bancario italiano e l’evoluzione normativa di Basilea 3 ........................................................ 26ANDREA FERRETTI, executive director, Ernst & Young

E GIUSEPPE QUAGLIA, partner, Ernst & Young

Banche e territori Il rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009 ............................................. 37GIOVANNI FERRI, professore ordinario, Università di Bari

Il ruolo delle banche del territorio nel sistema bancario italiano ............................................................... 44GIAMPIERO MAIOLI, amministratore delegato e direttore generale, Gruppo Cariparma Friuladria

Il ruolo delle fondazioni come investitori istituzionali delle banche ...................................................... 49CARLO GABBI, presidente, Fondazione Cariparma

I problemi di finanziamento delle PMI e il loro accesso ai mercati esteri ..................................... 53GIAMMARCO BOCCIA, responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE

Le attività bancarie Il mercato immobiliare in Italia .................................................................................................................................................................. 56DANIELA PERCOCO, head of real estate, Nomisma

E LUCA DONDI, economista, Nomisma

E GUALTIERO TAMBURINI, presidente, Assoimmobiliare

La distribuzione bancaria in italia: trend in atto,scenari evolutivi e possibili strategie competitive ......................................................................................................... 62VITTORIO RATTO, partner, Bain & Company, Milano

E ALESSANDRO GERALDI, manager, Bain & Company, Milano

Il credito al consumo in Italia ..................................................................................................................................................................... 68Tre domande a UMBERTO FILOTTO, segretario generale, Assofin; professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”

Il risparmio gestito in Italia ............................................................................................................................................................................. 70GINO GANDOLFI, professore ordinario, Università di Parma

E GIACOMO NERI, partner, PricewaterhouseCoopers

Il gruppo Crédit Agricole in Italia .......................................................................................................................................................... 81ARIBERTO FASSATI, direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppo Crédit Agricole S.A., presidente di Cariparma

Servizio ai lettori .......................................................................................................................................................................................................... 84

I l s is tema bancar io i ta l iano:ter r i tor i , a t t i v i tà e s f ide

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E D I T O R I A L E

JEAN-PAUL CHIFFLET

DIRETTORE GENERALE, CRÉDIT AGRICOLE S.A.

Crédit Agricole ha scelto ormai da tempo l’Italia come suo secondo mercato dome-

stico. Dal 2007 ad oggi, questa evoluzione si è consolidata mediante l’acquisizione

di Cariparma e di Friuladria, la creazione di potenti partnership nel settore credito

al consumo in collaborazione con player di primo piano del mondo economico italiano

e il crescente livello d’integrazione della struttura a cui appartengono le linee di busi-

ness specializzate del Gruppo già presenti nel Paese.

Una scelta strategica che è basata su varie motivazioni. La vicinanza geografica,

culturale e commerciale con la Francia costituisce ovviamente una condizione

essenziale per il successo. L’Italia presenta inoltre una configurazione unica nell’area

Euro grazie alle sue caratteristiche di mercato maturo a forte potenziale, sia in termini

di sviluppo che di livello di sofisticazione dei prodotti bancari e assicurativi, o alle sue

prospettive di consolidamento. Il forte radicamento a livello regionale, la prossimi-

tà delle banche alla clientela, lo sviluppo di rapporti di lungo termine e il ruolo spe-

cifico delle fondazioni richiamano infine i valori cooperativi di Crédit Agricole.

Crédit Agricole è oggi il 7° gruppo bancario italiano e il 1° gruppo finanziario

straniero della Penisola. La banca si è assicurata posizioni di leader in determinate

regioni e nei settori del retail banking, dei servizi finanziari specializzati, dell’asset

management, delle assicurazioni e del corporate & investment banking.

È nostra intenzione continuare a svilupparci al servizio di tutti i nostri clienti, ai quali

vogliamo fornire, grazie alla nostra costante attenzione alla prossimità e ai vantaggi

offerti dalla dimensione mondiale del Gruppo, una qualità di servizio esemplare

abbinata a soluzioni innovative e adeguate alle loro esigenze. L’estensione della nostra

rete di retail banking, con l’acquisizione di Cassa di Risparmio della Spezia e di 96

nuove agenzie, rappresenta un ulteriore passo in questa direzione.

Le collaboratrici e i collaboratori italiani di Crédit Agricole possono quindi essere

orgogliosi dello sviluppo e dei risultati del Gruppo nel loro Paese e rivendicare gli

impegni e i valori di Crédit Agricole. ◗

Questo numero di Horizons Bancaires è dedicato all’Italia. Nella prima parte, centrata sulle principali tendenze del sistema ban-cario della Penisola, vengono esaminate le conseguenze della recente crisi e viene riservato ampio spazio alle prospettive peril futuro. La seconda parte è dedicata al tema del radicamento nel territorio, di cui vengono individuati i fondamenti e descrit-te le pratiche. Una terza ed ultima parte analizza alcuni temi di attualità: la solidità del mercato immobiliare residenziale, le carat-teristiche specifiche della distribuzione, della gestione del risparmio e del credito al consumo.

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Le grandi tendenze

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Le caratteristiche del sistemabancario italiano: evoluzionedell’attività e delle performance

Anche se è stato relativamente pococolpito dalla crisi finanziaria del 2007-2009, il sistema bancario italianoresta soggetto a forti pressioni intermini di redditività. Questo articolo neanalizza le cause e propone alcunesoluzioni strutturali.

PremessaNell’ambito dei paesi economicamente avanzati, il set-

tore bancario italiano è stato – insieme a quello cana-

dese - fra i meno colpiti dalla crisi finanziaria del 2007-

09. Nel caso italiano, nessun intermediario finanziario

ha dovuto ricorrere ad aiuti pubblici in funzione di sal-

vataggio, solo quattro gruppi bancari hanno trovato

conveniente rafforzare la propria capitalizzazione

mediante limitate emissioni di strumenti ibridi sottoscritti

dal Ministero dell’economia (i cosiddetti “Tremonti

bond”), solo uno dei maggiori gruppi bancari ha pro-

ceduto a ricapitalizzazioni di mercato. Eppure, negli ulti-

mi due anni, il settore bancario italiano ha subito un dra-

stico ridimensionamento della propria redditività e i

gruppi quotati hanno sopportato gravi cadute nei loro

valori azionari; e anche le previsioni più ottimistiche sot-

tolineano che, nei prossimi anni, in Italia la ripresa degli

utili bancari (ROE) sarà graduale e inferiore a quella dei

settori bancari più colpiti dalla crisi.

Queste evidenze, apparentemente contraddittorie, tro-

vano un’interpretazione coerente alla luce delle molte

peculiarità che continuano a caratterizzare il settore ban-

cario italiano e che sono uno dei lasciti dei pur positivi

processi di aggregazione e di riassetto proprietario

realizzati fra i primi anni Novanta e il 2007. In quanto

segue, si richiameranno alcune di tali peculiarità al fine

di porre in evidenza tre aspetti: (i) la maggiore solidità,

manifestata rispetto alla crisi finanziaria, dipende da vari

fattori (per esempio, una più attenta vigilanza) ma

soprattutto dalla specializzazione dei gruppi bancari e

delle banche italiane in attività retail e di corporate tra-

dizionale anziché in attività di investment; (ii) tale spe-

MARCELLO MESSORI

Professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”

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cializzazione implica che i gruppi e le banche italiane

traggano una parte significativa dei loro profitti dai

finanziamenti alle imprese e – soprattutto – dai servizi

di allocazione della ricchezza finanziaria delle famiglie

e che, quindi, siano particolarmente vulnerabili rispet-

to alle crisi ‘reali’; (iii) la recente crisi (finanziaria e reale)

è stata così profonda da determinare forti aumenti

nell’avversione al rischio dei detentori di ricchezza e da

imporre, quindi, una revisione dei meccanismi di allo-

cazione dei patrimoni finanziari delle famiglie.

Alcune peculiaritàdelle banche italianeIl processo di aggregazione e di riassetto proprietario,

che ha caratterizzato il settore bancario italiano dall’i-

nizio degli anni Novanta al 2007, è stato il più rapido e

pervasivo fra quelli attuati nei grandi paesi europei

durante lo stesso periodo. Basti considerare, al riguar-

do, due indicatori: se nei primi anni Novanta il peso della

proprietà pubblica nel settore bancario sfiorava in Italia

il 75% e superava così di più di 20 punti percentuali

quello tedesco e di quasi 40 punti percentuali quello

francese, all’inizio degli anni Duemila in Italia la presenza

statale nelle banche era pressoché azzerata; se nel

1990 il grado di concentrazione del mercato bancario

era pari in Italia a poco più della metà della media

dell’Unione europea, già intorno al 2005 le distanze si

erano annullate (cfr. per esempio: Messori 2002 e

2007). Per giunta, questo processo di consolidamen-

to è sfociato nella costruzione di due fra i maggiori grup-

pi bancari europei (Unicredit e Intesa-San Paolo) e di

un sottoinsieme di gruppi di dimensione nazionale col-

locati nelle aree più ‘forti’ del paese.

Tali profonde trasformazioni non hanno, però, modificato

il fattore di vantaggio comparato dell’attività bancaria

in Italia: il radicamento territoriale che ha permesso di

costruire rapporti di lunga durata (seppure con diffuse

pratiche di multiaffidamento) nei confronti delle piccole

e medie imprese e di far prevalere l’amministrazione

bancaria per l’allocazione della ricchezza finanziaria

delle famiglie. Basti fare riferimento a tre indicatori:

l’Italia è stato uno dei pochi paesi europei ad aumentare

il numero degli sportelli bancari fino ad anni recenti (cfr.

Affinito et al. 2006); nel confronto internazionale, in

Italia il peso del risparmio amministrato rispetto a quel-

lo gestito è molto elevato (cfr. Lusignani 2010); alle

soglie della crisi finanziaria, mentre gli attivi di bilancio

delle altre grandi banche europee e di varie banche

regionali non italiane erano dominati da servizi finanziari

spesso a rischio molto elevato, gli attivi dei maggiori

gruppi bancari italiani (anche di quelli con proiezione

europea) riservavano il peso prevalente ai servizi tra-

dizionali (cfr. Pierobon 2009).

A fronte di una simile specializzazione, nel 2007 il set-

tore bancario italiano soddisfaceva i requisiti patrimo-

niali regolamentari ma aveva un coefficiente di capita-

lizzazione inferiore a quello medio europeo. Anche in

questo caso, si è trattato – almeno in parte – di un lasci-

to del processo di consolidamento: specie fra la secon-

da metà del 1997 e il 2007, le aggregazioni si sono lar-

gamente fondate su scambi azionari che non hanno

rafforzato il patrimonio dei nuovi gruppi; e una parte

significativa delle limitate risorse aggiuntive, inserite

nel settore nel corso degli anni Novanta, sono servite

per interventi di salvataggio. Fatto è che, già nella

prima fase della crisi finanziaria (inizio del 2008), l’in-

sieme del settore bancario italiano faceva registrare un

coefficiente Tier 1 inferiore di circa mezzo punto per-

centuale rispetto al valore medio europeo; e tale diva-

rio si è accentuato (fino a superare i due punti per-

centuali) fra l’autunno del 2008 e la primavera del

2009, allorché gli altri grandi paesi dell’Unione europea

hanno varato piani di ricapitalizzazione statale a favo-

re dei loro intermediari finanziari anche in stato di sol-

vibilità (cfr. Banca d’Italia 2009 e 2010). Solo negli ulti-

mi trimestri i gruppi bancari e le banche italiane hanno

incrementato i loro coefficienti patrimoniali più della

media europea. In ogni caso, in termini di leva finan-

ziaria, la vocazione tradizionale ha più che compensato

la minore capitalizzazione: fin dal 2008, il grado medio

di leverage del settore bancario italiano è stato inferiore

a quello caratterizzante gli altri principali paesi

dell’Unione europea (cfr. Draghi 2010; Sironi 2010).

La redditività delle banche italianeLe precedenti considerazioni possono, forse, giusti-

ficare la relativa solidità del settore bancario italiano

rispetto al l ’ impatto del la cr is i f inanziar ia del

2007-09; esse non sono, però, sufficienti per dar

conto della possibile evoluzione di questo settore

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nel dopo-crisi. Al riguardo, è necessario richiamare

altre due peculiarità: la dinamica della profittabilità

del settore fra la fine degli anni Novanta e i primi anni

del Duemila; il connesso ruolo, svolto dall’interme-

diazione bancaria, per l’allocazione della ricchezza

finanziaria delle famiglie italiane.

Superata la lunga crisi di metà degli anni Novanta, fra

il 1998 e il 2000 il settore bancario italiano ha ottenu-

to valori crescenti del ROE netto (da 7,4 a 11,6) e si è

così avvicinato alla profittabilità media europea. Seppure

in un quadro macroeconomico meno favorevole, fra il

2001 e il 2003 esso ha mantenuto i valori del ROE netto

fra il 6,2 e lo 8,8; e, dal 2004 al 2007, ha realizzato ROE

netti oscillanti intorno al valore di 10 (arrivando alla

soglia dello 11,8 nel 2006) (cfr. Banca d’Italia, vari

anni). Tali dati indicano che, pur senza aver mai rag-

giunto i massimi livelli della redditività bancaria inter-

nazionale, fra la fine degli anni Novanta e il 2006 il

settore bancario italiano si è – dapprima – avvicinato e

– poi – ha tenuto il passo con la profittabilità media delle

banche europee. Ne deriva un ovvio interrogativo:

come è stato possibile, per l’insieme delle banche ita-

liane, recuperare i divari di redditività mantenendo una

specializzazione tradizionale?

Per rispondere a questo interrogativo, è necessario con-

siderare che: il processo di consolidamento del perio-

do 1990-2007 ha accresciuto il grado di concorrenza

bancaria nei servizi alle imprese e ha, così, compres-

so i margini di interesse; dalla seconda metà degli

anni Novanta, in Italia il rapporto prestiti bancari/depo-

siti bancari è stato ampiamente superiore a 1 e più ele-

vato di quello medio nell’area dell’euro e – a maggior

ragione – di quello negli Stati Uniti (cfr. Messori 2009,

pp. 81-2); dall’inizio degli anni Duemila, in Italia l’an-

damento di tale rapporto ha fatto sì che il capitale

proprio non fosse sufficiente per compensare i divari fra

le voci tradizionali dell’attivo e del passivo dei bilanci

bancari; pertanto, l’insieme delle banche italiane è

diventato un debitore netto nei mercati interbancari

internazionali e, rafforzando la propria precedente fun-

zione di riallocazione della ricchezza finanziaria delle

famiglie dai titoli del debito pubblico a portafogli più arti-

colati, ha collocato un elevato ammontare di obbliga-

zioni (plain vanilla e strutturate) nei mercati finanziari

nazionali; per di più, dato lo scarso peso degli investi-

tori istituzionali italiani (fondi pensione e prodotti assi-

curativi “ramo vita”), a differenza che negli altri paesi

europei queste obbligazioni sono state largamente

vendute nel mercato retail ossia inserite nei portafogli

delle famiglie (cfr. Banca d’Italia, vari anni).

Se si aggiunge che l’Italia vanta il più alto rapporto fra

ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil rispetto ai

maggiori paesi dell’Europa continentale (cfr. Banca

d’Italia 2010, p. 167), le precedenti considerazioni

indicano che la redditività del settore bancario italiano

fra la fine degli anni Novanta e il 2006 ha tenuto il

passo con quella media europea soprattutto grazie

alla gestione e all’amministrazione della ricchezza finan-

ziaria delle famiglie (ossia grazie al “risparmio gestito”,

prima, e al “risparmio amministrato”, poi). Mentre i

grandi gruppi bancari europei e alcune banche regio-

nali specie tedesche reagivano alla calante redditività

delle loro attività tradizionali e aumentavano anzi il pro-

prio ROE grazie all’espansione di lucrose ma rischio-

se attività di investimento, il settore bancario italiano

sfruttava il proprio radicamento territoriale e la debolezza

degli investitori istituzionali per assumere il quasi-mono-

polio nella gestione e nella amministrazione della ric-

chezza finanziaria delle famiglie e per estrarne le rela-

tive rendite. Ciò ha, però, determinato un’allocazione

inefficiente di tale ricchezza. Prova ne sia che: negli anni

Duemila precedenti lo scoppio della crisi finanziaria

(maggio 2007), il rendimento medio di un ampio spet-

tro di obbligazioni bancarie strutturate non è stato

maggiore di quello dei titoli del debito pubblico italia-

no con analoga scadenza e non ha, quindi, corrispo-

sto alcun premio per la sua maggiore rischiosità e la sua

minore liquidità; in quegli stessi anni, il tasso di crescita

della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è stato

inferiore a quello di paesi con più bassa propensione

al risparmio.

Le prospettive delle banche italianeLe molte peculiarità degli assetti finanziari e bancari ita-

liani, sopra esaminati, sapranno offrire – nel futuro

prossimo – performance del settore soddisfacenti

anche se inferiori a quelle pre-crisi? I dati e le previsioni

indicano che, rispetto ad altri sistemi bancari, il setto-

re italiano ha subito con ritardo l’impatto della crisi

ma rischia di recuperare con ancora maggiore ritardo �

Le ca ra t te r i s t i che de l s i s tema bancar io i t a l i ano : evo luz ione de l l ’ a t t i v i t à e de l l e pe r fo rmanceM A R C E L L O M E S S O R I

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sufficienti livelli di redditività. Infatti nel 2008, pur segnan-

do una significativa caduta, il ROE netto medio delle

banche italiane si è mantenuto al valore di 4,5 mentre

è sceso a 3,6 nel 2009; e l’aspettativa è che il ROE

netto raggiunga solo nel 2012 valori non lontani da 5

(cfr. AFO 2010).

Queste previsioni non sorprendono e appaiono persi-

no troppo ottimistiche. Specie per l’Europa, il quadro

macroeconomico per i prossimi anni non è incorag-

giante. Vi è una probabilità non bassa che, a causa dei

vincoli posti dalla dinamica dei debiti sovrani e dal

conseguente mancato rilancio della domanda interna,

i paesi dell’area euro puntino su una crescita export led.

Se però la stessa strategia verrà perseguita anche

dagli Stati Uniti e dai paesi emergenti, la somma delle

parti non potrà essere coerente con il tutto (problema

di “fallacia dell’aggregazione”); e le aree sottoposte ai

maggiori vincoli, come l’area dell’euro, non potranno

realizzare i loro obiettivi di crescita e si condanneran-

no a una fase di stagnazione. Una situazione del gene-

re prolungherebbe la politica dei bassi tassi di interes-

se, ma minerebbe anche la solvibilità di molte piccole

e medie imprese e aggraverebbe la disoccupazione. In

un tale quadro i detentori di ricchezza troverebbero

buone giustificazioni per rafforzare l’avversione al

rischio, già accresciuta durante la crisi finanziaria, e per

interrompere così i cauti processi di riallocazione dei loro

portafogli verso scadenze di più lungo periodo.

Rispetto al settore bancario europeo, ciò implichereb-

be una riduzione dei già bassi ricavi sui servizi tradizionali

offerti alle imprese, un peggioramento nella dinamica

dei crediti incagliati o in sofferenza e una caduta nei pro-

venti derivanti dall’amministrazione della ricchezza

delle famiglie a causa della loro fuga verso la liquidità

o verso investimenti di breve termine. Per giunta, non

sussistendo problemi di reperimento di liquidità priva-

ta da parte delle banche europee, la BCE potrebbe

decidere di proseguire il graduale processo di steriliz-

zazione delle generose politiche di “mercato aperto”,

varate durante la crisi finanziaria, per concentrarsi sul

sostegno alla domanda dei titoli di debito sovrano; il che

prosciugherebbe una fonte di facile guadagno per il set-

tore bancario europeo. Quest’ultimo avrebbe così un

incentivo, rafforzato dalla mancata riforma delle rego-

le e della vigilanza europea sui mercati finanziari, per

espandere nuovamente quelle rischiose attività di inve-

stimento che ne hanno sostenuto la redditività fino a

metà del 2007 ma che sono anche state un fattore

determinante della crisi del 2007-09.

Data la sua specializzazione tradizionale, il settore

bancario italiano sarebbe particolarmente colpito da

un’evoluzione così negativa del quadro macroecono-

mico e dell’attività bancaria europee. Per giunta, rispetto

al periodo pre-crisi, esso potrebbe incontrare maggiori

difficoltà a salvaguardare performance soddisfacenti

grazie ai proventi dall’amministrazione della ricchezza

finanziaria delle famiglie. Nel recente passato la forte

avversione al rischio, che ha caratterizzato in media le

scelte finanziarie delle famiglie italiane, ha probabilmente

facilitato il collocamento di obbligazioni bancarie (anche

strutturate) che offrivano, alla scadenza, rendimenti

minimi garantiti. Prova ne sia che, come già accenna-

to, le banche italiane non hanno incontrato difficoltà nel

collocare tali attività a condizioni allineate a quelle dei

meno rischiosi titoli del debito pubblico. Combinandosi

con gli insegnamenti più evidenti della crisi finanziaria,

un ulteriore rafforzamento dell’avversione al rischio

potrebbe però spingere le famiglie italiane a meglio

apprezzare i rischi di liquidità e di controparte delle

obbligazioni bancarie che, in molti casi, sono attività

finanziarie complesse o non negoziabili su mercati

‘spessi’. In questo senso è interessante notare che, nel

dopo crisi, le condizioni di collocamento delle obbli-

gazioni bancarie italiane sono avvenute a condizioni rela-

tivamente più favorevoli per i sottoscrittori.

Qualche conclusioneNei prossimi anni il settore bancario italiano si trove-

rà, quindi, a fronteggiare una nuova e difficile sfida.

Anche a causa della nuova regolamentazione inter-

nazionale dei mercati finanziari, esso sarà costretto a

proseguire nel proprio rafforzamento patrimoniale; il che

richiederà di realizzare un’adeguata redditività per

accrescere le risorse interne e per assicurare una

remunerazione attraente agli investitori di mercato.

D’altro canto però, nel dopo-crisi, i grandi gruppi ban-

cari e le altre banche italiane dovranno finanziare

mutuatari più rischiosi e collocare le proprie passività

finanziarie presso risparmiatori più tutelati e più avver-

si al rischio; il che ridurrà la fonte di quei facili, anche

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se distorsivi, guadagni nell’amministrazione della ric-

chezza finanziaria delle famiglie che hanno contribui-

to alle buone performance di tali gruppi bancari e

banche nel decennio 1998-2007.

La soluzione, caldeggiata in varie occasioni dal gover-

natore della Banca d’Italia (cfr. per esempio: Draghi

2009), si fonda su un miglioramento nella qualità dei ser-

vizi offerti e su un aumento dell’efficienza. All’apparenza,

si tratta di un percorso simile a quello avviato con

successo nel corso degli anni Novanta. Vari indicato-

ri mostrano, infatti, che i consolidamenti e i riassetti pro-

prietari di quegli anni hanno rafforzato il grado di effi-

cienza e hanno migliorato i servizi retail e di corporate

tradizionale offerti alle imprese nazionali (cfr. Panetta

2004). Oggi, pare necessario proseguire nei processi

di riorganizzazione aziendale e di miglioramento dei ser-

vizi retail offerti soprattutto alle famiglie, senza recedere

dai progressi compiuti nei servizi offerti alle imprese. Il

problema è che, a differenza degli anni Novanta, all’i-

nizio del secondo decennio del Duemila il settore ban-

cario italiano non può contare su un preminente fatto-

re propulsivo di trasformazione. Vi è forse spazio per

limitate aggregazioni e riassetti proprietari nell’ambito

dei grandi gruppi bancari popolari che, pur conti-

nuando a riferirsi alla forma cooperativa, sono quota-

te in mercati regolamentati; tuttavia la stessa specia-

lizzazione del settore bancario italiano impone che,

accanto a pochi grandi gruppi di dimensione euro-

pea o nazionale, trovi spazio un insieme di banche

locali con legami di lunga durata nei confronti delle pic-

cole imprese dell’area. Inoltre, almeno nel breve perio-

do, il miglioramento nei servizi retail offerti alle famiglie

promette di ridurre le aree di rendita bancaria piuttosto

che di accrescerne i profitti; e la continuità nei servizi

offerti alle imprese, che pure ha evitato in Italia il dif-

fondersi del credit crunch anche nelle fasi più acute della

crisi, accresce i prestiti bancari dubbi e spinge – di con-

seguenza – le banche ad aumentare costosi accan-

tonamenti che hanno effetti negativi sui loro bilanci.

In linea di principio questi problemi del settore banca-

rio italiano, acuiti ma non generati dalla crisi finanziaria

del 2007-09, hanno due possibili soluzioni strutturali.

Una prima soluzione poggia sul ridimensionamento

dell’attività bancaria nel mercato finanziario italiano:

anziché continuare a detenere il quasi-monopolio nel-

l’offerta di servizi alle imprese e alle famiglie, le banche

italiane potrebbero lasciare spazio ad attori specializ-

zati e indipendenti nella gestione del risparmio e nei ser-

vizi finanziari sofisticati. La debolezza degli investitori isti-

tuzionali italiani e la path dependence rendono, però,

la realizzazione di tale prima alternativa irta di ostaco-

li. Una seconda soluzione poggia, invece, sulla riduzione

del richiamato squilibrio fra prestiti e depositi bancari in

modo da allentare la necessità, per le banche italiane,

di collocare un elevato ammontare di proprie passivi-

tà finanziarie nel mercato retail. Questa alternativa

rischia, però, di sanare le distorsioni nell’amministrazione

bancaria della ricchezza finanziaria delle famiglie al

prezzo di imporre vincoli stringenti all’offerta di presti-

ti bancari alle imprese. Per evitare di “cadere dalla

padella nella brace”, sarebbe quindi necessario alleg-

gerire l’attivo di bilancio bancario senza ridurre l’am-

montare dei prestiti erogati. Ciò è possibile mediante

le cartolarizzazioni. Un aspetto rilevante dell’evoluzio-

ne del settore bancario italiano dipende, quindi, dalla

risposta al seguente interrogativo: è possibile attuare

processi di cartolarizzazione che non sfocino nella

piramide di prodotti strutturati, nelle opacità e nell’in-

stabilità proprie al modello “originate to distribuite” alla

base della crisi finanziaria recente? ◗

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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M É R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

11

Il consolidamento del mercatobancario italiano: evoluzioni eprospettive

Attraverso le fasi di privatizzazione econsolidamento, il sistema bancarioitaliano ha conosciuto profonde erapide trasformazioni negli ultimi ventianni. Un’ulteriore fase diconcentrazione potrebbe esserepossibile, ma con ritmi più lentie dimensioni più contenute rispetto alrecente passato.

Il consolidamento del mercatobancario italiano negli ultimi anniL’attuale fisionomia del sistema bancario italiano è il risul-

tato di un lungo processo di modernizzazione che lo ha

condotto ad una piena integrazione nel mercato euro-

peo e mondiale. I cardini fondamentali di questo per-

corso, iniziato con gli anni ’90, sono stati:

• la riforma della normativa di settore e le seguenti pri-

vatizzazioni;

• un’intensa fase di consolidamento tra il 1993 e il

2002;

• la progressiva apertura all’estero del sistema e un’ul-

teriore fase di consolidamento nel periodo 2005-2007.

Evoluzione della normativa

La legge bancaria del 1936 rappresenta la prima rifor-

ma organica dell’attività creditizia in Italia in risposta alle

crisi che avevano minato l’attività delle banche dalla fine

del XIX secolo. Tale riforma prevedeva la specializzazione

temporale del credito1 e quella territoriale o settoriale.

Fino ad inizio anni ’90 le aziende di credito italiane

erano suddivise tra:

• Istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli,

Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Bancario San

Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di

Siena e Banco di Sardegna).

ILARIA ROMAGNOLI

Managing Director, Head of FIG Italy, Rothschild

1. Gli istituti si suddividevano tra quelli che dovevano gestire il credito a breve scadenza (entro 18 mesi) e quelli focalizzati sul medio e lungo termine.

12

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

• Banche di interesse nazionale (Banca Commerciale

italiana, Credito Italiano, Banco di Roma) possedute

dall’IRI.

• Casse di Risparmio.

• Monti di credito su pegno.

• Banche Popolari.

• Casse Rurali e Artigiane.

• Banche private, le uniche di fatto di matrice non

pubblica.

Circa l’80% dei fondi intermediati dal sistema bancario

era riconducibile a banche a controllo pubblico

(cfr. tavola 1).

La legge n.218 del 30 luglio 1990, detta anche “legge

Amato”, ha rappresentato una tappa fondamentale

nel processo di riassetto del sistema bancario italiano.

La “legge Amato” ha permesso la trasformazione degli

istituti di credito di diritto pubblico in società per azio-

ni e la nascita di fondazioni bancarie, azioniste delle ban-

che, a cui sono state trasferite tutte quelle attività non

tipiche dell’impresa.

L’evoluzione normativa di riferimento per il sistema

bancario è stata poi completata con il “Testo Unico delle

leggi in materia bancaria e creditizia (TUB)” del 1993 e

il “Testo Unico della Finanza (TUF)” del 1998 che hanno

rimosso le segmentazioni nell’operatività degli inter-

mediari e introdotto le forme giuridiche attualmente

adottabili dalle banche: società per azioni e coopera-

tive (banche popolari e banche di credito cooperativo)

Privatizzazioni e prima fase di

consolidamento (1993 – 2002)

Oltre alle modifiche normative degli anni ’90, un’altra

spinta fondamentale nell’evoluzione del sistema ban-

cario italiano è stata rappresentata dal processo di

privatizzazione delle “banche di interesse nazionale”

possedute dall’IRI.

Nel 1993 l’IRI mise in vendita il 67% del capitale del

Credito Italiano, il 40% attraverso un’Offerta Pubblica

di Vendita (“OPV”, ovvero vendita al pubblico di titoli) e

la quota rimanente attraverso un collocamento priva-

to. Grandi azionisti del Credito Italiano privatizzato

furono la Famiglia Pesenti, Allianz – Ras, Commercial

Union, Société Générale, Natwest, i l gruppo

Caltagirone, i Benetton, i fondi Fininvest, Toro

Assicurazioni e SAI.

Nel 1994 fu la volta della privatizzazione della Banca

Commerciale Italiana (“Comit”) attraverso un’OPV. Tra

gli azionisti di comando della banca post privatizzazione

spiccano le Assicurazioni Generali, Commerzbank,

Paribas e, con quote minori, Lucchini, Pirelli, Della

Valle e Stefanel.

La privatizzazione del Banco di Roma seguì invece

un percorso differente: nel 1992 l’IRI e l’Ente Cassa di

Risparmio di Roma conferirono le loro partecipazioni di

controllo rispettivamente in Banco di Roma e Banca di

Santo Spirito (che negli anni precedenti aveva ricevu-

to in conferimento l’attività bancaria di Cassa di

Risparmio di Roma) in una holding denominata Società

Italiana di Partecipazioni Bancarie (“SIPBA”) che risul-

tò detenuta al 65% dall’Ente Cassa di Risparmio di

Roma e al 35% dall’IRI. Successivamente alla fusione

tra Banco di Roma e Banca di Santo Spirito (la nuova

realtà fu denominata Banca di Roma S.p.A.), nel 1997

si diede luogo all’effettiva privatizzazione tramite (i)

scioglimento di SIPBA e trasferimento delle azioni in

Banca di Roma direttamente ai soci e (ii) un’operazio-

Categoria di banche N. di banche N. di sportelli % su totale attivoIstituti di credito di diritto pubblico 6 2 449 20,1Banche di interesse nazionale 3 1 459 12,9Casse di risparmio e Monti di credito 84 4 695 24,2Banche “pubbliche” 93 8 603 57,2Banche di credito ordinario 106 3 981 20,5 Istituti centrali di categoria 5 5 2,4Banche popolari 108 3 290 14,2Casse rurali e artigiane 715 1 792 4,3Succursali di banche estere 37 50 1,6Totale 1 064 17 721 100

TAVOLA 1. Dati sistema bancario Italiano - 1990

13

ne di collocamento di azioni e obbligazioni che portò

l’Ente Cassa di Risparmio di Roma a scendere sotto il

30% del capitale di Banca di Roma e all’uscita dell’IRI

dall’azionariato della banca.

Il processo di dismissione della proprietà statale si

completò nel periodo 1997 -2001 attraverso la cessione

delle quote detenute dal Ministero del Tesoro nel Banco

di Napoli e nella Banca Nazionale del Lavoro (“BNL”).

Contemporaneamente alle privatizzazioni, tra il 1993 e

il 2002 ha avuto luogo un intenso processo di conso-

lidamento delle banche che si indirizzava alla creazio-

ne di gruppi bancari dotati di maggiore capacità com-

petitiva e che ha portato alla nascita, tra le altre, di:

• Unicredito: nata dall’aggregazione nel tempo tra il

Credito Italiano, Cassa di Risparmio di Torino, Cassa

di Risparmio di Verona, Cassa Marca Trevigina, Credito

Romagnolo, Cassa di Risparmio di Trieste, Carimonte

e Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.

• Banca Intesa: nata dall’integrazione nel tempo tra

Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (“Cariplo”),

Banco Ambrosiano Veneto e Comit.

• Sanpaolo IMI: nato dalla fusione tra l’Istituto Bancario

Sanpaolo di Torino e l’IMI (primaria banca d’affari e inve-

stimento), ente di diritto pubblico fondato nel 1931

per sostenere la ricostruzione del sistema industriale

nazionale.

• Capitalia: nata dall’aggregazione tra (i) la Banca di

Roma post privatizzazione e acquisizione di Banco di

Sicilia e Mediocredito Centrale e (ii) la Bipop – Carire,

entità risultante dalla precedente fusione tra Bipop –

Banca Popolare di Brescia (società per azioni) e la

Cassa di Risparmio di Reggio Emilia.

Il consolidamento descritto ha riguardato per lo più le

ex banche nazionali di matrice pubblica, gli istituti di cre-

dito speciale e le casse di risparmio. Le banche popo-

lari vennero toccate meno dal processo in atto, fon-

damentalmente a causa della loro forma giuridica di

“cooperativa”, eccezioni in tal senso sono state la

Banca Antonveneta e la Banca Popolare di Brescia che

si sono trasformate in società per azioni e la Banca

Agricola Mantovana che fu acquisita dal Monte dei

Paschi di Siena dopo l’abolizione del voto capitario.

Le banche popolari hanno seguito comunque pro-

cessi di sviluppo, seppur meno intensi, che hanno

portato a realizzare aggregazioni all’interno dello stes-

so settore quali quella tra Banca Popolare di Verona e

Banca Popolare di Novara (creando Banca Popolare di

Verona e Novara – BPVN) e quella tra Banca Popolare

Commercio e Industria e Banca Popolare di Bergamo

– Credito Varesino che ha dato vita al Gruppo Banche

Popolari Unite (“BPU”).

Dal 1990 all’ottobre 2002 si sono registrate comples-

sivamente 566 operazioni di aggregazione con un

picco nel 2002, anno nel quale si contano 77 opera-

zioni di M&A

Il biennio 2003 – 2004 ha registrato invece un ral-

lentamento della fase di consolidamento principal-

mente legato all’atteggiamento di Banca d’Italia che

considerava necessaria una fase di assestamento

dopo una stagione di grandi aggregazioni tra grup-

pi bancari.

La seconda fase di consolidamento del

sistema bancario: dal 2005 ad oggi

A seguito del processo di privatizzazione e conse-

guente maggiore apertura del capitale delle banche al

mercato, ad inizio 2005 molte delle principali banche

italiane annoveravano banche straniere tra i propri

azionisti di riferimento, ma in nessun caso le banche

estere avevano il controllo dei principali istituti di credito

italiani. Le partecipazioni delle banche straniere

confluivano normalmente in patti di sindacato all’interno

dei quali erano presenti fondazioni bancarie o azionisti

privati di origine italiana.

La tavola 2 riporta gli azionariati delle prime 10 banche

italiane a fine 2004.

Nel corso del 2005 aumentò l’interesse delle banche

straniere sugli istituti italiani: buona parte degli azio-

nisti esteri delle banche italiane manifestarono in

modo più o meno velato la loro intenzione di incre-

mentare la propria influenza, se non addirittura di

acquisire il controllo delle banche in cui detenevano

partecipazioni rilevanti.

Fu così che a fine marzo del 2005 ABN Amro e BBVA

promossero un’offerta pubblica di acquisto rispettiva-

mente su Banca Antonveneta e BNL. Le due offerte fal-

lirono anche per via della costituzione di due cordate

italiane capeggiate da Banca Popolare Italiana (“BPI”) �

I l c o n s o l i d a m e n t o d e l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o : e v o l u z i o n i e p r o s p e t t i v eI L A R I A R O M A G N O L I

14

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

(già Banca Popolare di Lodi) per Banca Antonveneta e

Unipol per BNL, che comprarono azioni sul mercato e

a loro volta lanciarono delle offerte pubbliche di acqui-

sto sulle due banche.

Nel maggio 2005, tuttavia, la Procura di Milano aprì un

fascicolo contro ignoti per la scalata di Banca

Antonveneta ipotizzando il reato di aggiotaggio volto a

far fallire l’offerta di ABN Amro.

Il 25 luglio 2005 la Procura di Milano dispose il seque-

stro delle azioni che BPI e i suoi alleati detenevano in

Banca Antonveneta: questo fu l’inizio di una serie di

inchieste che riguardarono i vertici di BPI e che porta-

rono alla cessione da BPI ad ABN Amro del 25,9% di

Banca Antonveneta. La banca olandese venne così a

detenere il 55,8% di Banca Antonveneta e lanciò suc-

cessivamente l’opa obbligatoria.

I vertici di Unipol vennero a loro volta coinvolti nell’in-

chiesta su BPI e il 10 gennaio 2006 Banca d’Italia

bloccò l’offerta Unipol su BNL. Nel febbraio 2006,

BNP Paribas ha acquisito il 48% di BNL da Unipol e i

suoi alleati ed ha successivamente lanciato l’opa obbli-

gatoria su tutto il capitale di BNL alla quale aderì anche

il BBVA.

Sempre nel corso del 2005, a fronte di istituti stranie-

ri che cercavano di crescere in Italia, vi erano banche

italiane che guardavano ad uno sviluppo internazionale:

è il caso di Unicredito che nel giugno 2005 annunciò

la fusione con la tedesca HVB.

Gli avvenimenti dell’estate 2005 spinsero molte banche

italiane a interrogarsi su eventuali operazioni di M&A alla

luce di (i) crescente interesse delle banche estere per

il mercato italiano, (ii) necessità di avere una massa cri-

tica sufficiente per competere nel mercato domestico

in considerazione dei cambiamenti in atto e (iii) voglia

delle principali banche italiane di giocare un ruolo rile-

vante anche nel panorama europeo.

In questo contesto nell’estate del 2006 fu annuncia-

ta la fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI che

diede vita a Intesa Sanpaolo, prima banca italiana

per numero di sportelli (circa 6.200). Tale operazione

comportò una diluizione degli azionisti esteri delle due

banche: Santander (azionista Sanpaolo IMI) decise

di uscire dal capitale della nuova banca, mentre a

Crédit Agricole SA (azionista Banca Intesa) fu propo-

sta la possibilità di acquisire due banche (Cariparma

e Friuladria) e alcuni sportelli bancari ottenendo così

una presenza diretta nel mercato italiano. La fusione

tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI ha rappresentato

anche il primo caso italiano di adozione del sistema di

governance duale (consiglio di gestione e consiglio di

sorveglianza) in sostituzione del più classico schema

che prevedeva il consiglio di amministrazione e il col-

legio sindacale.

Precedentemente alla nascita di Intesa Sanpaolo, per

alcuni mesi si erano diffuse voci su una possibile ope-

razione tra Banca Intesa e Capitalia. Tali voci furono sem-

Banche N. di sportelli Principali azionistiSanPaolo IMI 3,205 Compagnia San Paolo (14,27%); Fondazione CR di Padova e Rovigo (10,65%);

Banco Santander Central Hispano (8,49%); Fondazione CR di Bologna (7,58%).Unicredito 3,137 Fondazione CR di Torino (8,74%); Fondazione CR di Verona, Vicenza, Belluno e

Ancona (7,59%); Carimonte Holding (7,14%) ; Allianz (4,94%).Banca Intesa 3,080 Crédit Agricole SA (15,00%); Fondazione Cariplo (9,92%); Assicurazioni Generali

(6,35%); Commerzbank (4,29%).Capitalia 1,950 ABN Amro (7,91%); Fondazione CR di Roma (5,19%); Fondazione Manodori

(4,00%); Lehman Brothers International Europe (3,66%).MPS 1,824 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (58,58%); Caltagirone Francesco Gaetano

(3,81%); Hopa Spa (2,44%); Premafin Finanziaria (2,10%).BP U 1,204 Banca popolare: azionariato diffuso.BP VN 1,172 Banca popolare: azionariato diffuso.BP ER 1,105 Banca popolare: azionariato diffuso.Antonveneta 1,000 BPI (29,5%); ABN Amro (18,12%); Magiste International (4,99%); Fingruppo

Holding (4,92%).BPI 970 Banca popolare: azionariato diffuso.

TAVOLA 2. Dati sistema bancario italiano - 2004

15

I l c o n s o l i d a m e n t o d e l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o : e v o l u z i o n i e p r o s p e t t i v eI L A R I A R O M A G N O L I

pre smentite dal management di Banca Intesa, anche

se è possibile che il tentativo di aggregazione sia stato

in effetti frenato dalla mossa “difensiva” (acquisto del 2%

di Banca Intesa) voluta dall’allora amministratore dele-

gato di Capitalia. Nella primavera 2007 sono quindi

iniziati i colloqui tra Capitalia e Unicredit che sono cul-

minati con l’approvazione in data 20 maggio 2007

della fusione per incorporazione di Capitalia in Unicredito.

Tra le grandi banche italiane l’unico istituto che, non-

ostante varie speculazioni di mercato su possibili aggre-

gazioni, fino al novembre 2007 non fu toccato dal risi-

ko bancario era il Monte dei Paschi di Siena (“MPS”).

Tuttavia in uno scenario in cui le principali banche ita-

liane si rafforzavano significativamente sul territorio

generando importanti economie di scala e le banche

estere cominciavano a radicarsi in Italia, al fine di poter

continuare ad avere un ruolo primario nel mercato

domestico, MPS annunciò l’acquisizione di Banca

Antonveneta da Santander (che ne aveva acquisito il

controllo nell’ambito delle vicissitudini che portarono allo

smembramento di ABN Amro), potendo in questo

modo contare su una rete distributiva del gruppo di oltre

3.000 sportelli.

L’onda lunga dell’estate 2005 ha poi toccato anche il

settore delle banche popolari coinvolgendo in opera-

zioni (o tentativi) di aggregazione i principali istituti

popolari italiani.

BPI, uscita malconcia dalla vicenda Antonveneta e

dai suoi strascichi giudiziari, avviò la ricerca di un part-

ner per un’aggregazione, ricerca che culminò ad inizio

2007 con la fusione tra Banca Popolare di Verona e

Novara e BPI e la creazione del gruppo bancario

Banco Popolare.

Più o meno nello stesso periodo ebbe luogo anche l’al-

tra grande aggregazione che riguardò il mondo delle ban-

che popolari; BPU e Banca Lombarda si fusero crean-

do il nuovo gruppo UBI Banca. L’operazione rappresentò

il primo caso di fusione tra una banca popolare e una

banca SpA (Banca Lombarda) con mantenimento dello

status di popolare da parte dell’entità risultante: tale

transazione fu possibile data l’elevata frammentazione

dell’azionariato di Banca Lombarda che in qualche

modo la avvicinava al mondo delle popolari.

Il primo semestre 2007 vide inoltre intense discussio-

ni per una fusione tra Banca Popolare dell’Emilia

Romagna (“BPER”) e Banca Popolare di Milano

(“BPM”), rispettivamente la terza e la quarta banca

popolare in Italia per dimensioni. L’aggregazione non

andò poi a buon fine prevalentemente per l’opposizione

dei sindacati interni a BPM.

La tavola 3 riporta una sintesi degli elementi chiave delle

principali fusioni che hanno interessato il mercato ita-

liano nel periodo 2006 – 2007 (dati all’annuncio del-

l’operazione).

Attese di sviluppo per i prossimi anniIl sistema bancario italiano attuale si presenta dun-

que molto più concentrato rispetto a alcuni anni fa. Nel

mercato italiano esistono ad oggi circa 90 gruppi ban-

cari/banche indipendenti (escludendo il credito coo-

perativo) attive nel retail banking di cui 36 di matrice

“popolare”. Le casse di risparmio in cui la fondazione

detiene ancora il controllo sono circa 19.

La tavola 4 riporta i principali gruppi bancari italiani per

sportelli in Italia e il relativo azionariato.

Le banche presenti oggi in Italia possono essere sud-

divise da un punto di vista operativo nelle seguenti

categorie:

• Grandi banche Spa con copertura capillare di tutto

il territorio nazionale (UniCredit, Intesa Sanpaolo e

MPS) e in taluni casi forte vocazione europea.

• Banche popolari “nazionali”, fortemente radicate nelle

aree territoriali storiche, ma con una buona copertura

di quasi tutte le regioni italiane: Banco Popolare e UBI.

• Banche estere che vedono nell’Italia un mercato di

riferimento: BNP Paribas (tramite BNL), Crédit Agricole

(tramite Cariparma/Fruladria), Barclays (presente diret-

tamente tramite sportelli bancari) e Deutsche Bank.

Altre Banche SpA con forte presenza nel territorio di rife-

rimento ed, in alcuni casi, buona copertura di altre

regioni italiane: tra queste Carige e Credem rappre-

sentano gli istituti principali.

• Banche popolari di dimensione media, con forte

presenza nel territorio di riferimento ed, in alcuni casi,

buona copertura di altre regioni italiane: tra queste le

principali sono BPER, BPM, BP Vicenza, Veneto

Banca, Credito Valtellinese e BP Sondrio, a cui si

16

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

aggiungono alcuni gruppi minori dislocati in varie

regioni italiane.

• 16 Casse di risparmio locali (escludendo MPS, Carige

e Banca delle Marche) controllate dalle rispettive fon-

dazioni bancarie.

In aggiunta sono presenti sul territorio italiano 426

banche di credito cooperativo.

La crisi economica iniziata nella seconda metà del

2008 se da un lato ha decisamente raffreddato l’atti-

vità di M&A nel settore bancario, dall’altro ha anche

Fusione Progetto industriale Sinergie annunciate GovernanceBanca Intesa Creazione di un gruppo bancarioSanpaolo IMI (2006) leader in Italia con il Network

distributivo più esteso(QdM di c. 20%).

Rafforzamento della posizioneinternazionale con focus su CEE.

Banche Popolari Unite - Creazione di un top player a livelloBanca Lombarda (2007)nazionale con elevatacomplementarit territoriale.

Forte leadership nel nord Italia conQdM superiore al 15% in Lombardia.

Primo esempio di fusione tra bancapopolare e Spa con mantenimentodello status giuridico di bancapopolare.

Banca Popolare di Creazione del terzo gruppoVerona e Novara - bancario in Italia per sportelliBanca Popolare e capitalizzazione di mercato.Italiana (2007)

Prima banca popolare del paese.

Unicredit- Capitalia Creazione di un gruppo di(2007) dimensione europea.

Leader in 4 mercati domestici (Italia, Germania, Austria,Europa Centro Orientale).

#1 Area Euro, #3 in Europa, #7 nelmondo per capitalizzazione.

TAVOLA 3. Itala: principali fusioni 2006-2007

€1,3mld di sinergielorde entro il 2009

• di cui sinergie dicosto : €1,0mld

• di cui sinergie diricavo : €0,3mld.

€365mln di sinergielorde entroil 2010

• di cui sinergie dicosto: €225mln

• di cui sinergie diricavo: €140mln.

€0,5mld di sinergielorde entro il 2010• di cui sinergie dicosto: €0,2mld

• di cui sinergie diricavo: €0,3mld.

€1,2mld di sinergielorde entro il 2010

• di cui sinergie dicosto: €0,8mld;

• di cui sinergie diricavo: €0,4mld.

Introduzione del modello dualistico(consiglio di gestione e consiglio disorveglianza).Nomina del presidente del consigliodi sorveglianza da parte di Banca Intesae del presidente del consiglio di gestioneda parte di Sanpaolo IMI.Consiglio di sorveglianza composto da19 membri.

Introduzione del modello dualistico

Nomine consiglio di sorveglianza:23 membri di cui 11 di espressione di BPU, 11 di BancaLombarda e 1 delle liste di minoranza.

Primo presidente del consiglio disorveglianza espressione di BancaLombarda mentre il presidente vicarioespressione di BPU.

Nomine consiglio di gestione: per i primi3 anni 10 membri di cui 5 nominati daBPU e 5 da Banca Lombarda. Ilpresidente del consiglio di gestionenominato da BPU.

Introduzione del modello dualistico

Nomine consiglio di sorveglianza• Anno 1: 10 membri di cui 4 diespressione BPI e 6 di espressioneBPVN.• Anno 2: 15 membri di cui 6 BPI e9 BPVN.• Anno 3: 20 membri di 8 BPI e12 BPVN.

Il presidente del consiglio disorveglianza nominato da BPVN e ilpresidente del consiglio di gestionenominato da BPI.

4 rappresentanti di Capitalia co-optatinel CdA di Unicredit, su un totale di 23membri.

Il presidente di Capitalia sarà vicepresidente vicario di Unicredit eresponsabile per la gestione dellepartecipazioni in Mediobanca, Generali,RCS e Pirelli, nonché presidente delcomitato esecutivo di Unicredit.

Banca Lombarda(2007)

17

posto alcuni interrogativi su quale possa essere l’ef-

fettiva redditività e sostenibilità degli istituti bancari nel

tempo in uno scenario in cui gli spread si sono contratti,

le commissioni applicate alla clientela sono sempre

più oggetto di attenzione da parte delle autorità di

vigilanza, le sofferenze sono in aumento e la richiesta

di patrimonializzazione delle banche è crescente.

Tali interrogativi potrebbero portare ulteriori “scosse

di assestamento” (seppur in misura molto più limitata

che in passato) nel sistema bancario italiano nei pros-

simi anni alla luce di:

• Necessità di raggiungere economie di scala suffi-

cienti a competere sul mercato: gli azionisti di alcune

banche di medio - piccole dimensioni potrebbero valu-

tare aggregazioni o cessioni al fine di incrementare la

massa critica; tale processo potrà essere in parte

frenato da poteri locali che non vorranno perdere il

controllo del territorio di riferimento.

• Volontà di alcune banche italiane di ricoprire un ruolo

sempre più di primo piano a livello europeo.

• Interesse delle banche straniere a continuare il pro-

cesso di crescita della propria presenza in Italia.

In aggiunta un ruolo importante in un’eventuale nuova fase

di consolidamento potrà essere giocato dalle fondazio-

ni bancarie che stanno sempre di più cercando di diver-

sificare il proprio patrimonio riducendo il peso del proprio

investimento nel capitale delle banche di riferimento.

Le varie tipologie di banche potranno quindi essere

coinvolte in operazioni di M&A che avranno sottostanti

motivazioni differenti. �

I l c o n s o l i d a m e n t o d e l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o : e v o l u z i o n i e p r o s p e t t i v eI L A R I A R O M A G N O L I

Banca Sportelli Totale attivo Principali azionisti(2009) (2009, €mln)

Intesa Sanpaolo 6,041 624,844 Compagnia di San Paolo (9,89%); Crédit Agricole SA (5,49%);Assicurazioni Generali (4,97%); Fondazione Cariplo (4,68%).

UniCredit 4,696 928,760 Mediobanca (6,76%); Fondazione Cassa di Risparmio diVerona Vicenza Belluno e Ancona (4,98%); Central Bank ofLibya (4,61%); Blackrock Ine. (3,8%).

MPS 3,001 224,815 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (55,49%); JP MorganChase & co. Corporation (4,66 %); Catalgirone FrancescoGaetano (3,92%); Unicoop Firenze soc. Coop.va (2,43%).

Banco Popolare 2,166 135,709 Banca popolare – Azionariato diffuso.UBI 1,955 122,313 Banca popolare – Azionariato diffuso.BPER 1,292 59,589 Banca popolare – Azionariato diffuso.Cariparma 901 40,773 Crédit Agricole SA (75,00%) ; Fondazione Cariparma

(15,00 %) ; Sacam International (Gruppo Crédit Agricole).BNL 821 96,343 BNP Paribas (100 %).BPM 793 44,281 Banca popolare – Azionariato diffuso.Carige 644 36,299 Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (43,37%);

Caisses d’Epargne Participations (11,02 %) ; Assicurazioni.BP Vicenza 638 30,964 Banca popolare – Azionariato diffuso.Credem 575 26,439 Credito Emiliano Holding Spa (76,87 %) – società controllata

dalla Famiglia Maramotti.Creval 515 24,896 Banca popolare – Azionariato diffuso.Veneto Banca 479 29,139 Banca popolare – Azionariato diffuso.Banca Sella 334 13,424 Famiglia Sella tramite le società Sofise (46,1 %) e Finanziaria

1900 (45,09%).Banca delle Marche 324 19,606 Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata (22,4%) ;

Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (22,4%) ;Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (10,0%).

UGF Banca 299 10,545 UGF (100%).Deutsche Bank 294 26,201 Deutsche Bank (100 %).BP Sondrio 278 23,455 Banca popolare – Azionariato diffuso.Banca Popolare di Bari 254 7,010 Banca popolare – Azionariato diffuso.Barclays Bank PLC 200 n.d. Filiale italiana del Gruppo Barclays

TAVOLA 4. Numero di sportelli e azionariato delle banche

18

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Intesa Sanpaolo e UniCredit potrebbero guardare a

operazioni internazionali che consolidino la propria

presenza in Europa. Le fondazioni bancarie azioniste

saranno probabilmente interessate ad operazioni che

consentano loro di mantenere comunque una certa

influenza sul gruppo risultante. Difficilmente tali banche

potranno crescere ulteriormente in Italia (limiti anti-

trust) se non in regioni specifiche e con acquisizioni di

dimensione limitata.

Le banche estere e alcune banche italiane di medie

dimensioni (Carige, Credem) potrebbero invece rap-

presentare i catalizzatori di una fase di consolidamen-

to delle casse di risparmio e delle banche private mino-

ri. Molte fondazioni locali si stanno già interrogando sulla

sostenibilità del modello della banca locale e una even-

tuale ripresa dei mercati azionari potrebbe favorire l’in-

contro sul prezzo tra domanda e offerta.

Eventuali operazioni di M&A tra istituti di medie dimen-

sioni potrebbero avvenire qualora qualche banca stra-

niera ritenesse di voler uscire dall’Italia non avendo

raggiunto una massa critica sufficiente ovvero qualche

azionista privato decidesse di monetizzare il proprio

investimento.

Il settore delle banche popolari è stato quello meno

toccato dalla fase di forte consolidamento che ha

riguardato il mercato italiano negli ultimi 15 anni e per

questo rappresenta uno degli ambiti verso cui si

guarda maggiormente per future operazioni di con-

solidamento.

Le attese di consolidamento sono soprattutto focaliz-

zate sul settore delle banche di medie dimensioni che

già in passato avevano avviato discussioni tra loro poi

non andate a buon fine. Il tempo potrebbe smussare

gli ostacoli del passato e permettere di definire asset-

ti industriali, di governance e di rappresentanza del ter-

ritorio soddisfacenti per tutte le parti, dando

vita a una nuova fase di concentrazione che potrà

portare alla creazione di istituti popolari in grado di

Settore 2005 – oggi ProspettivaAsset Management Al di là di alcune eccezioni (acquisto di Anima SGR

da parte di BP Milano, acquisto di Prima SGR daparte di Clessidra) le operazioni di concentrazioneavvenute sono state per lo più conseguenza dellefusioni tra gruppi bancari.

Credito al consumo Fase di concentrazione dovuta sia alle fusionibancarie che alla crescita per linee esterne(aggregazione Agos - Ducato, acquisizione di Lineada parte di Compass, acquisizione di Findomesticda parte di BNP Paribas) di alcuni operatori. Tra iprimi 6 player del settore, 4 sono controllati dabanche straniere. Attività attualmente penalizzatadalla necessità di funding.

Leasing Attività attualmente penalizzata dagli spread e dallanecessità di funding. Limitate operazioni di M&Anel recente passato.

Bancassurance • Creazione di numerose JV nel vita: tra i principaligruppi bancari solamente Intesa Sanpaolo e Carigenon hanno attualmente un partner assicurativo vita.

• Le banche italiane hanno iniziato recentemente aguardare con interesse al bancassurance danniattraverso la creazione di partnership con operatorispecializzati.

Banca depositaria Numerose operazioni di M&A che hanno portatoall’ingresso/rafforzamento dei grandi operatoriinternazionali (State Street, BNP Paribas, SociétéGénérale, RBC Dexia).

Probabile fase di concentrazione con unincremento della presenza degli operatorispecializzati (molte banche italiane sia di grandiche di medio - piccole dimensioni stannovalutando le alternative strategiche nel settore).Possibili operazioni di M&A con riferimento aglioperatori di medie dimensioni.

Eventuali operazioni guidate dalla necessità diottenere una elevata massa critica per generareredditività.

• Possibile ricerca di un partner vita da parte diIntesa Sanpaolo e Carige. Eventuali operazioni disostituzione dei partner esistenti alla scadenzadegli accordi distributivi.

• Continuo sviluppo del bancassurance danniattraverso creazione di partnership strategiche daparte delle banche che non hanno ancoraimplementato JV.

Alcune operazioni di M&A sono ancora possibilicon riferimento alle banche popolari e ad alcunebanche di medie dimensioni.

TAVOLA 5. Prospetive di consolidamento per settore di attività

19

competere dimensionalmente con UBI e Banco

Popolare.

Le banche popolari con dimensioni apprezzabili potran-

no inoltre svolgere un ruolo acquisitivo nei confronti delle

piccole banche indipendenti.

Oltre ad eventuali ulteriori concentrazioni tra gruppi

bancari, nel prossimo futuro il mercato dell’M&A potrà

essere interessato da operazioni relative alle fabbriche

prodotto, continuando un trend che per alcuni settori

è già iniziato negli anni passati.

La necessità per le banche di avere una patrimonializ-

zazione adeguata (anche in vista dell’introduzione di

Basilea III) e l’esigenza di competenze specifiche e/o

dimensioni rilevanti per competere nei segmenti com-

plementari al retail banking, spingerà ancor di più molte

banche italiane a focalizzarsi prevalentemente sulla

distribuzione realizzando partnership di prodotto o

uscendo definitivamente da alcuni settori di business

(cfr. tavola 5).

La storia degli ultimi 20 anni ha dunque cambiato pro-

fondamente il sistema bancario italiano. Un’ulteriore fase

di concentrazione è possibile, ma con ritmi più cauti e

dimensioni del fenomeno più contenute rispetto al

passato; tuttavia i postumi della crisi economica, la glo-

balizzazione dei mercati e l’introduzione di nuove rego-

le sul capitale potrebbero ancora riservare qualche

sorpresa per il futuro. ◗

I l c o n s o l i d a m e n t o d e l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o : e v o l u z i o n i e p r o s p e t t i v eI L A R I A R O M A G N O L I

20

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Chapo à venir

Banche e antitrust: le specificitàitaliane

I legami fra concorrenti possono inteoria influenzare gli incentivi delleimprese interessate a farsi concorrenza.Pur essendo universalmentericonosciuto che tali legami noncostituiscono praticheanticoncorrenziali di per sé, le loroconseguenze sul gioco dellaconcorrenza devono essere esaminatecon attenzione.

OBIETTIVO PRINCIPALE DELLE POLITICHE della

concorrenza è garantire che le normali dinamiche dei

mercati non siano falsate da imprese che agiscono di

concerto, che sfruttano abusivamente la loro posizio-

ne dominante o che acquistano un eccessivo potere di

mercato mediante operazioni di fusione o acquisizio-

ne. L’obiettivo di tali politiche è promuovere un fun-

zionamento più efficiente dei mercati, una migliore dis-

tribuzione delle risorse e, in ultima analisi, un maggiore

benessere per il consumatore. 

Braccio “armato” di tali politiche, il diritto della con-

correnza riguarda tutti i settori economici, ivi compre-

so il settore bancario. Rispetto alle altre imprese, le ban-

che presentano tuttavia alcune specificità evidenti,

legate alla loro missione sociale ed economica ma

anche ai rischi sistemici legati alla loro attività.

In Italia, il legislatore ha inizialmente riconosciuto la spe-

cificità del settore bancario, il quale ha, pertanto,

goduto per qualche tempo di un trattamento specia-

le nell’applicazione del diritto della concorrenza. Questo

articolo analizzerà succintamente la genesi della disci-

plina della concorrenza applicabile alle banche e il

fenomeno, particolarmente sviluppato in Italia, delle

partecipazioni e del cumulo di incarichi in società

concorrenti (interlocking directorates), per cercare di

determinarne l’incidenza concreta in termini di effi-

cienza e di stabilità del settore, in particolare in que-

sto periodo di crisi.

SERGIO EREDE

Socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo

MASSIMO MEROLA

Responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede PappalardoProfessore, Collegio d’Europa

21

B a n c h e e a n t i t r u s t : l e s p e c i f i c i t à i t a l i a n eS E R G I O E R E D E & M A S S I M O M E R O L A

L’era della Banca d’ItaliaLa prima legge italiana sulla tutela della concorrenza del

1990 stabiliva un regime speciale per il settore bancario.

La legge interveniva in una fase di transizione per il siste-

ma bancario italiano, appena uscito da una prima

ondata di liberalizzazioni, ma che restava soggetto, in

termini operativi, a pesanti vincoli legislativi e normati-

vi. Poiché all’epoca l’opinione dominante, o almeno

quella del legislatore, era che la stabilità del sistema

dovesse prevalere sulla sua efficienza, l’applicazione

delle nuove regole della concorrenza doveva essere affi-

data necessariamente ad un’istituzione specializzata in

questioni bancarie e monetarie, in grado di operare con

la necessaria competenza. Indipendente e dotata di una

reputazione inattaccabile, la Banca d’Italia assumeva

quindi la responsabilità della supervisione delle regole

della concorrenza nel settore bancario, al posto del-

l’autorità della concorrenza appena costituita, l’Autorità

Garante della Concorrenza e del Mercato o AGCM, la

cui competenza in questo settore si limitava alla pos-

sibilità di emettere un parere non vincolante sui casi esa-

minati dalla Banca d’Italia.

Come era prevedibile, l’applicazione delle regole della

concorrenza da parte di un’autorità non specializzata

in questo campo si traduceva in un controllo meno

penetrante sugli istituti bancari. L’AGCM, dal canto

suo, maturava forse una certa frustrazione per l’im-

possibilità d’intervenire in un settore che non appariva

particolarmente dinamico e concorrenziale, soprattut-

to a fronte del fenomeno crescente di despecializza-

zione che portava le banche ad allargare il proprio

raggio d’azione a servizi non tradizionali e non più

necessariamente legati all’interesse generale. In que-

sto quadro, l’AGCM cercava pertanto di allargare la pro-

pria competenza alle attività che esulavano dai servizi

tradizionalmente riservati per legge alle banche.

L’entrata in campo dell’AGCMConfrontato al rischio crescente di conflitti di compe-

tenze fra l’AGCM e la Banca d’Italia e di fronte alla crisi

d’immagine di quest’ultima, causata della sua opposi-

zione all’acquisizione di grandi banche italiane da parte

di istituti esteri – si pensi soprattutto alle vendite

AntonVeneta e BNL –, il legislatore ha modificato nel

2005 la legislazione sulla concorrenza, riattribuendo

all’AGCM il controllo dell’applicazione delle regole della

concorrenza agli istituti bancari. La legge italiana si è così

allineata alla normativa europea. Alcune disposizioni, tut-

tavia, testimoniano tuttora l’attenzione particolare del

legislatore italiano per il settore bancario: su richiesta

della Banca d’Italia, per motivi legati rispettivamente

all’efficienza dei pagamenti e alla stabilità dei mercati

monetari, l’AGCM può infatti autorizzare accordi anche

restrittivi dal punto di vista della concorrenza o con-

centrazioni che creino o rafforzino una posizione domi-

nante, a condizione che tali restrizioni siano necessa-

rie per conseguire l’obiettivo prefissato. Tali disposizioni

non sono ancora mai state utilizzate, nemmeno duran-

te la crisi, il che non è però sorprendente se si consi-

dera che, a seguito della riforma, la Banca d’Italia si è

concentrata sulla supervisione prudenziale degli istitu-

ti bancari e ha adottato un atteggiamento molto rispet-

toso nei confronti delle competenze tecniche dell’AGCM

in materia di concorrenza. D’altra parte quest’ultima, da

quando le è stato affidato il controllo del settore ban-

cario, ha dato prova di grande rigore nell’applicazione

agli istituti delle regole della concorrenza e i suoi rap-

presentanti hanno più volte dichiarato che non sareb-

be stata concessa alcuna deroga, anche durante la crisi,

per non indebolire il settore nel lungo termine.

L’AGCM ha in particolare chiaramente privilegiato la

“regolamentazione” del settore, attraverso l’imposizio-

ne in capo alle imprese di obblighi di rimediare alle dis-

torsioni della concorrenza da esse provocate con con-

dotte positive, rispetto ad interventi puramente

sanzionatori. In questo senso basterà ricordare, per

citare solo qualche esempio, le iniziative dell’AGCM

nei confronti dell’associazione bancaria italiana (ABI), con

particolare riferimento alla modifica unilaterale delle

condizioni dei conti correnti bancari, alle tariffe di inter-

connessione per i prelievi di contanti ed ai costi e con-

dizioni interbancarie relativi al trattamento degli assegni.

Nell’ambito della politica di controllo delle concentrazioni

tra imprese, i suoi interventi hanno riguardato princi-

palmente la cessione di sportelli in aree in cui le fusio-

ni creavano sovrapposizioni eccessive, la riduzione di

alcuni costi legati ai prelievi di contanti e la rimozione dei

legami fra concorrenti, attraverso la cessione di parte-

cipazioni nel capitale di altre banche concorrenti o lo

scioglimento di società compartecipate.

22

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� La “crociata” contro i legamifra concorrenti I legami fra concorrenti sono stati, in particolare, ogget-

to di un’azione molto intensa dell’AGCM, che ha inol-

tre dedicato al tema un intero capitolo di un’inchiesta set-

toriale effettuata a fine 2008 (“Inchiesta sulla corporate

governance delle banche e delle compagnie di assicu-

razioni”): secondo tale studio, negli organi di gover-

nance dell’80% delle banche, società di assicurazioni

e società di gestione del risparmio quotate alla Borsa

italiana siedono membri che cumulano mandati di que-

sto tipo in altre società dello stesso settore. Questa per-

centuale è nettamente superiore a quella registrata

nelle altre piazze finanziarie europee (rispettivamente in

Euronext, Deutsche Börse e LSE solo il 26,7%, 43,8%

e 47,1% di banche, compagnie di assicurazioni o socie-

tà di gestione del risparmio contano “interlocking direc-

torate”). Inoltre, 27 banche, compagnie di assicurazio-

ne o società di gestione patrimoniale italiane, che

rappresentano da sole il 42,3% delle masse finanziarie

delle società analizzate, contano fra i loro azionisti diret-

ti di un’altra società appartenente alle stesse categorie.

Nel suo rapporto, l’AGCM constata che né la legislazione

applicabile (ad esempio, sul conflitto d’interessi), né

l’autoregolamentazione da parte delle imprese del set-

tore sono sufficienti a limitare il fenomeno del cumulo di

mandati e delle partecipazioni incrociate.

In assenza d’interventi di carattere normativo, l’AGCM

ha colto l’occasione dell’ultima ondata di consolidamenti

nel sistema bancario italiano per affrontare diretta-

mente il problema. Nell’ambito delle sue competenze

di controllo delle concentrazioni, l’Autorità ha consi-

derato che i legami fra i concorrenti avrebbero potuto

aggravare gli effetti restrittivi derivanti dalle operazioni

prese in esame. Sono state così previste misure cor-

rettive al fine di evitare che questi legami privassero le

imprese degli stimoli necessari a svolgere una con-

correnza effettiva. Nell’ambito della sua analisi delle prin-

cipali fusioni bancarie italiane degli ultimi anni (Banca

Intesa/Sanpaolo, Unicredit/Capitalia, Banche Popolari

Unite/Banca Lombarda, Monte dei Paschi di

Siena/Banca Antonveneta), l’AGCM ha sempre impo-

sto come condizione la dissoluzione dei legami di azio-

nariato e personali esistenti tra i partecipanti alla con-

centrazione e i loro concorrenti.

Queste condizioni si sono in particolare tradotte nella

cessione di partecipazioni, nella scissione di joint-ven-

ture specializzate (ad esempio nel settore della

bancassurance o del credito al consumo), nel divieto

di partecipare a patti di azionariato e in generale di man-

tenere un ruolo nella governance dei concorrenti, nel

divieto del cumulo dei mandati di consigliere di ammi-

nistrazione, nel divieto di partecipare alle assemblee o

di esercitare i diritti di voto inerenti alle azioni di socie-

tà concorrenti.

Allo stesso modo, l’AGCM ha sistematicamente impo-

sto che le cessioni di agenzie avvenissero a favore di

terzi non solo indipendenti secondo i normali criteri del

diritto della concorrenza, ma anche e soprattutto non

collegati tramite partecipazioni o in altro modo alla

banca cedente. Così è stato in particolare per la ces-

sione della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza e

di Banca Friuladria a Crédit Agricole, che era stata

proposta come impegno da parte di Banca Intesa e

Sanpaolo al momento della loro fusione, al fine di risol-

vere i problemi di concentrazione di quote di mercato

in alcune aree.

Le iniziative intraprese dall’AGCM contro i legami fra

concorrenti si fondano su una teoria economica ben

consolidata, secondo la quale il possesso di parteci-

pazioni di minoranza in un’impresa concorrente può

rimettere in causa la naturale tendenza delle imprese

interessate ad elaborare ed applicare strategie con-

correnziali. Secondo questa teoria, tali legami posso-

no ad esempio spingere i concorrenti ad adottare un

comportamento di ottimizzazione comune degli utili,

equivalente ad un patto di non concorrenza. Le impre-

se legate da partecipazioni di minoranza possono così

ridurre unilateralmente la loro produzione e/o aumen-

tare i loro prezzi a danno dei consumatori, poiché

sono in grado di recuperare le perdite in termini di

vendite e ricavi attraverso gli utili generati dall’impresa

collegata (meccanismo, quest’ultimo, attuabile senza

necessità di coordinare l’azione delle imprese collegate).

Si parla in tal caso di effetti “unilaterali” derivanti da lega-

mi azionari. Questo tipo di relazioni può inoltre agevo-

lare lo scambio d’informazioni riservate o permettere ad

un’impresa di influenzare la condotta di un’altra, con l’ef-

fetto di provocare comportamenti collusivi miranti ad

ottenere il mantenimento di prezzi o condizioni sovra-

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B a n c h e e a n t i t r u s t : l e s p e c i f i c i t à i t a l i a n eS E R G I O E R E D E & M A S S I M O M E R O L A

concorrenziali. Si parla allora di effetti “coordinati”, i quali

si manifestano tanto più frequentemente quanto più le

partecipazioni sono incrociate e multiple in uno stesso

settore, in presenza di un mercato oligopolistico o che

presenta notevoli barriere all’ingresso. Il rischio è mag-

giore in caso di cumulo di mandati, che possono con-

sentire allo stesso soggetto di assumere decisioni

all’interno di un’impresa alla luce delle informazioni

acquisite nell’ambito di organi sociali di un’impresa

concorrente.

Il pregiudizio negativo causato dal cumulo di mandati

in società concorrenti si fonda su solide basi teoriche

e giurisprudenziali. Il giudice Brandeis della Corte

Suprema degli Stati Uniti definiva con grande enfasi

questo fenomeno già quasi un secolo1 fa:

“The practice of interlocking directors is the practice of

many evils. It offends laws, both human and divine.

Applied to rival corporations, it tends to the suppres-

sion of competition... applied to corporations which deal

with each other, it tends to disloyalty and violation of the

fundamental law that no man can serve two masters.

In either event, it tends to inefficiency for it removes

incentives and destroys soundness of judgment...”.

Sarebbe tuttavia errato ritenere che i legami fra con-

correnti siano oggi necessariamente dannosi per la

concorrenza, soprattutto nelle complesse situazioni

sociali che caratterizzano il capitalismo odierno. L’analisi

degli effetti derivanti dalla detenzione di una parteci-

pazione di minoranza in un concorrente o di un cumu-

lo di mandati deve infatti tener conto di fattori di varia

natura, che possono influenzare le motivazioni del-

l’impresa a tenere comportamenti concorrenziali. Una

partecipazione di minoranza permette di acquisire, in

genere, solo informazioni frammentarie, che non con-

sentono di per sé di prevedere la domanda o il com-

portamento degli operatori del mercato. Allo stesso

modo, possono sussistere motivazioni esterne, per

gli stessi titolari di più cariche sociali, che giustificano

il mantenimento di una strategia basata sulla concor-

renza nonostante l’esistenza di un legame con un

concorrente. O ancora, l’influenza di un azionista può

in certi casi essere esclusa a causa del funzionamen-

to stesso degli organi decisionali o di supervisione di

una società, i quali possono ad esempio essere com-

posti da un numero molto elevato di membri e retti da

regole miranti ad assicurare l’indipendenza di giudizio

di questi ultimi. D’altra parte, i dirigenti che non siano

nominati da un concorrente non hanno alcun interes-

se a favorire tale azionista di minoranza e, in ogni

caso, potrebbero seguire una politica imprevedibile

sul piano commerciale così come, ad esempio, nella

distribuzione degli utili (la quale, come si è visto, può

rivestire un ruolo determinante nel comportamento

del concorrente azionista).

In questo contesto, occorre anche sottolineare che una

parte sempre più importante della teoria economica e

la stessa Commissione europea considerano che gli

scambi d’informazioni possono, in alcune circostanze,

consentire una più efficiente allocazione delle risorse e

avere quindi influssi benefici sul mercato. Non è pertanto

possibile affermare, senza ulteriori e specifiche analisi

da condurre caso per caso, che l’accesso alle infor-

mazioni di un concorrente sia anticoncorrenziale per

definizione.

Proprio a causa della difficoltà di individuare e di dimo-

strare un legame diretto e accertato fra la detenzione

di una partecipazione di minoranza e un comporta-

mento concorrenziale, il possesso di tali partecipazio-

ni è stato raramente sanzionato dalle autorità della

concorrenza, essendo piuttosto oggetto di impegni

presi dalle imprese al fine di dissipare i dubbi manife-

stati dalle autorità della concorrenza rispetto alla strut-

tura di alcuni mercati.

Italia v. EuropaA differenza di quanto avviene altrove, come negli Stati

Uniti o in Germania, dove l’acquisizione di quote di par-

tecipazione di minoranza è soggetta al preventivo nul-

laosta dell’autorità della concorrenza, le regole europee

ed italiane sono applicabili solo alle acquisizioni di par-

tecipazioni che conferiscono il controllo della società tar-

get. È opinione comune delle autorità della concorrenza,

1. Rapporto del Comitato Pujo (1914). Il comitato aveva condotto un’inchiesta sul “money trust”, un gruppo di banchieri di Wall Street che cumulava mandati in piùsocietà, soprattutto banche, assicurazioni e società di settori strategici (come ferrovie e public utilities) esercitando un esteso controllo su vari settori. Il rapporto haanticipato l’introduzione del Clayton Act e di una norma specifica che vietava il cumulo dei mandati.

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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� infatti, che le acquisizioni di partecipazioni di mino-

ranza non siano di per sé assimilabili a pratiche restrit-

tive della concorrenza2. Nonostante ciò, il controllo

delle concentrazioni è stato utilizzato dalla Commissione

europea e dall’AGCM come strumento per contrasta-

re il fenomeno delle partecipazioni di minoranza incro-

ciate fra concorrenti, in particolare nel settore banca-

rio. L’approccio delle due autorità al riguardo non è però

del tutto uniforme, probabilmente a causa delle incer-

tezze che sussistono riguardo agli effetti concreti deri-

vanti da questo tipo di legami.

Nei casi citati, l’AGCM ha costantemente adottato la

posizione secondo la quale un’impresa o un gruppo

con cui esistono legami di azionariato o personali

non possa essere considerato come una terza parte

indipendente. Per considerare due gruppi come indi-

pendenti, l’AGCM ha infatti sistematicamente richie-

sto l’eliminazione delle partecipazioni incrociate nella

loro interezza o, quanto meno, la loro riduzione al di

sotto di una soglia piuttosto bassa – di solito il 2% -

unitamente alla rinuncia ai diritti amministrativi colle-

gati a questa partecipazione. Con riferimento alle

banche, gli sforzi operati dall’AGCM per obbligare le

società interessate alla cessione delle partecipazioni

incrociate hanno tuttavia incontrato notevoli difficol-

tà, durante la crisi finanziaria, a causa del crollo delle

quotazioni. L’AGCM ha dovuto prenderne atto e ha

concesso la proroga dei termini di vendita, accom-

pagnata tuttavia da misure volte ad assicurare la

neutralità di tali partecipazioni sotto il profilo della

concorrenza.

Il comportamento della Commissione in questo ambi-

to sembra più ricco di sfumature. Nella sua comuni-

cazione del 2008 sulle misure correttive nell’ambito del

controllo delle concentrazioni, la Commissione indi-

ca che, in presenza di una partecipazione di mino-

ranza di una delle parti in un concorrente o in una joint-

venture con un concorrente, sarà normalmente

necessaria la cessione della partecipazione. Se que-

st’ultima viene conservata, la Commissione esige la

rinuncia ai diritti che danno un’influenza sul compor-

tamento concorrenziale dell’impresa partecipata, in

particolare la rappresentazione nel consiglio di ammi-

nistrazione, i diritti di veto e i diritti all’informazione.

Nella pratica, la Commissione si mostra più flessibile

nella formulazione di misure correttive.

Nel caso Generali/INA (2000), la Commissione ha

adottato un orientamento molto severo, spingendo le

parti alla fusione ad impegnarsi non solo a sbarazzar-

si di una partecipazione minoritaria in Fondiaria ma

anche a fare in modo che nessuno dei membri del loro

comitato esecutivo o degli organi amministrativi dell’INA

assumesse in seguito la stessa funzione in altre com-

pagnie di assicurazione. In occasione delle fusioni

Nordbanken/Postgirot e Allianz/Dresdner del 2001, la

stessa Commissione ha mostrato invece minori riser-

ve in merito a partecipazioni di minoranza detenute in

un concorrente, accettando che venissero mantenute

partecipazioni rispettivamente del 10% e del 20,5%, a

patto che i rappresentanti negli organi sociali rasse-

gnassero le proprie dimissioni. Allo stesso modo, con

riferimento alla concentrazione Santander/Abbey

National del 2004, la Commissione ha accettato alle

stesse condizioni il mantenimento di una partecipazione

incrociata fra l’impresa acquirente e Royal Bank of

Scotland (RBS) del 2,5% e del 2,8%.

Ma soprattutto, nell’ultima decisione importante rela-

tiva al settore bancario, BNP Paribas/Fortis, adottata

appena dopo la Comunicazione sulle misure correttive,

la Commissione non ha considerato necessario imporre

misure relative alla partecipazione incrociata fra BNP

Paribas e AXA (BNPP deteneva il 6,1% di AXA, che a

sua volta deteneva il 5,9% nella banca), o alla parteci-

pazione comune di queste ultime a joint-venture e ad

accordi di cooperazione, considerando che il carattere

limitato di questi legami non era sufficiente per ridurre

la pressione concorrenziale sul mercato. È legittimo

chiedersi se la crisi dei mercati finanziari, che ha fatto

da sfondo all’operazione, abbia rivestito un ruolo deter-

minante in queste considerazioni.

ConclusioniI legami fra concorrenti possono in teoria influenzare

gli incentivi delle imprese interessate a farsi concor-

renza. Pur essendo universalmente riconosciuto che

questi legami non costituiscono, di per sé, pratiche

2. Rapporto 2008 dell’OCSE sulle partecipazioni di minoranza fra concorrenti.

25

B a n c h e e a n t i t r u s t : l e s p e c i f i c i t à i t a l i a n eS E R G I O E R E D E & M A S S I M O M E R O L A

anticoncorrenziali, le loro conseguenze sul gioco della

concorrenza devono essere esaminate con attenzio-

ne alla luce della loro frequenza, delle caratteristiche

strutturali e normative dei mercati interessati nonché

di tutti gli altri fattori che possono concretamente

compensare questi eventuali incentivi a non “aggredire”

il concorrente.

In questo contesto, la particolare attenzione prestata

dall’AGCM al settore bancario e in special modo alla

problematica dei legami fra concorrenti, seppur giu-

stificata e perseguita con coerenza, deve necessaria-

mente tener conto della crisi economica e della fragi-

lità dei mercati. Si dovrebbe evitare ad ogni costo che

le iniziative intraprese per contrastare il fenomeno delle

partecipazioni di minoranza in questo settore sfocino

in posizioni talmente rigide da compromettere le più

generali condizioni di stabilità dei mercati. Le ultime

misure adottate dall’AGCM vanno nella giusta dire-

zione ed è auspicabile che questa tendenza continui,

tenendo conto delle specificità di ogni situazione e

dell’impatto della crisi sul comportamento degli ope-

ratori. ◗

26

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Chapo à venir

Il mercato bancario italiano el’evoluzione normativa di Basilea 3

L’ articolo presenta le principalicaratteristiche della nuovaregolamentazione del Comitato di Basilea,con un approfondimento specifico sugliaspetti riguardanti i criteri di definizione delcapitale e la gestione della liquidità. Inconclusione vengono evidenziati i possibiliimpatti dell’applicazione del nuovopacchetto regolamentare sul mercatobancario italiano.

Overview sulla nuovaregolamentazioneIl Comitato di Basilea ha pubblicato lo scorso dicem-

bre 2009 due documenti di consultazione su proposte

di modifica alla regolamentazione prudenziale inter-

nazionale in materia di capitale e liquidità delle banche

(cd Basilea 3)1, che intendono dare attuazione alle

raccomandazioni approvate dal Financial Stability

Board e dal G20. La nuova proposta di regolamenta-

zione nasce dall’esigenza di armonizzare le regola-

mentazioni dei vari Paesi sulla stabilità dei sistemi ban-

cari e creditizi attraverso la definizione di criteri omogenei

maggiormente restrittivi rispetto ai precedenti, in tema

di assunzione dei rischi e di copertura degli stessi con

il capitale. Parallelamente alla fase di consultazione, nel

corso del primo semestre del 2010 è stato svolto un

articolato studio di impatto - QIS2 (coordinato dalle

Banche Centrali dei singoli Paesi) sulla base di dati e

informazioni raccolte dalle stesse banche, al fine di

valutare l’efficacia delle proposte regolamentari e di defi-

nire il livello di capitale che le banche saranno chiamate

a detenere nei prossimi anni.

ANDREA FERRETTI

Executive Director, Ernst & Young

GIUSEPPE QUAGLIA

Partner, Ernst & Young

1. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Consultative Document Strengthening the resilience of the banking sector” e “International framework for liquidityrisk measurement, standards and monitoring”, December 2009.2. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Instructions for the comprehensive quantitative impact study”, February 2010.

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I l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o e l ’ e v o l u z i o n e n o r m a t i v a d i B a s i l e a 3A N D R E A F E R R E T T I & G I U S E P P E Q U A G L I A

La nuova proposta di regolamentazione si pone in

particolare i seguenti obiettivi3:

• Innalzamento della qualità del patrimonio di vigilan-

za, al fine di aumentare la capacità delle banche di

assorbire le perdite (derivanti dai rischi).

• Maggiore copertura dei rischi complessivi assunti dalle

banche: viene proposto un rafforzamento dei requisi-

ti patrimoniali a fronte del rischio di controparte, con

incentivi per favorire la concentrazione degli scambi

presso controparti centrali.

• Contenimento del grado di leva finanziaria del sistema

mediante l’introduzione di un indicatore che vincoli l’e-

spansione delle attività complessive, anche fuori bilan-

cio, alla disponibilità di un’adeguata base patrimoniale.

• Riduzione della “prociclicità” della regolamentazione

prudenziale attuale (Basilea 2), mediante l’introduzione

dell’obbligo per le banche di accantonare durante le fasi

espansive del ciclo economico risorse patrimoniali da

utilizzare durante i periodi di crisi (il Comitato sta inol-

tre promuovendo l’adozione di metodologie di calco-

lo degli accantonamenti per il rischio di credito basa-

te sulla stima delle perdite attese4).

• Rafforzamento dei presidi a fronte del rischio di liqui-

dità; mediante l’introduzione di due indicatori volti a

garantire livelli di liquidità a breve, in condizione di

instabilità dei mercati, e a medio-lungo termine.

Focus su patrimonio e liquidità

Qualità del Capitale

Le principali innovazioni introdotte nella definizione del

Patrimonio di Vigilanza riguardano i seguenti aspetti:

• Viene definito il Common Equity, con l’esclusione dal

capitale delle azioni di risparmio e delle azioni privile-

giate. Nel Patrimonio di Vigilanza potranno quindi esse-

re computate senza limiti solo le azioni “ordinarie” o

azioni che attribuiscano un limitato privilegio nella dis-

tribuzione degli utili.

• Relativamente agli strumenti innovativi e non innovativi

di capitale5:

– ne viene rafforzata la qualità patrimoniale, soprattut-

to in termini di flessibilità dei pagamenti e di capacità

di assorbimento delle perdite;

– vengono innalzati i limiti di computabilità per gli stru-

menti privi di incentivi al rimborso anticipato e viene

introdotta una nuova categoria di strumenti computa-

bili che prevedano la conversione obbligatoria in azio-

ni ordinarie in caso di emergenza (mancato rispetto del

requisito patrimoniale minimo) o su richiesta della

Banca d’Italia;

– la normativa prevede comunque un articolato regi-

me transitorio (grandfathering) di durata trentennale,

che dispone la riduzione progressiva della computa-

bilità degli strumenti (azioni e strumenti innovativi e non

innovativi) compresi nel patrimonio di vigilanza prima

del 31.12.2010 che non rispettano i nuovi criteri di

ammissibilità.

• Deduzione integrale dal Common Equity delle par-

tecipazioni in enti finanziari e creditizi che superano il

10% del capitale dell’ente partecipato6.

• Deduzione dal Common Equity delle Deferred Tax

Asset - DTA nette (deduzione delle Attività per imposte

anticipate al netto delle Passività per imposte differite).

L’iscrizione nei bilanci delle DTA è influenzata dalle

normative fiscali nazionali. Con riferimento alla situazione

italiana, sono evidenti alcune peculiarità della norma-

tiva fiscale che tendono ad amplificare le differenze tra

l’utile contabile e la base imponibile, con conseguen-

te iscrizione di rilevanti importi di DTA. Tra le più signi-

ficative, come identificate dall’ABI7, si citano le rettifiche

di valore su crediti non deducibili nell’anno, gli accan-

tonamenti a fondi rischi e oneri non deducibili e l’af-

francamento dell’avviamento.

Con riferimento alle deduzione delle DTA nette ed alle

partecipazioni significative detenute in banche, socie-

tà finanziarie ed assicurative, negli ultimi giorni del

3. Rif. Comunicato Stampa di Banca d’Italia del 17.12.2009.4. Tale tematica è anche all’attenzione dello IASB che, nel mese di novembre del 2009, ha pubblicato un Exposure Draft, nel quale viene proposto un nuovo modellodi impairment, fondato sul concetto di “Expected Loss” (in luogo dell’attuale modello contenuto nello IAS39, fondato sul concetto di “Incurred Loss”), in base alquale la stima iniziale delle perdite attese deve confluire nella determinazione del tasso di interesse effettivo dell’attività finanziaria.5. Per la definizione e le attuali modalità di computabilità nel Patrimonio di Vigilanza di tali «preferred shares» si faccia riferimento alla Circolare 263 (Tit. I, Cap. 2) diBanca d’Italia.6. Per le Banche che hanno adottato approcci IRB, la deduzione riguarda anche le eccedenze della perdita attesa rispetto alle rettifiche di valore complessive (ledisposizioni correnti prevedono invece una deduzione al 50% dal Tier 1 e al 50% dal Tier 2).7. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “Il dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europa”, 14 maggio 2010.

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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� mese di luglio, il Comitato di Basilea8 ha apportato

una modifica sostanziale alla proposta di deduzione

integrale dal Common Equity inizialmente prevista.

Tale modifica, prevede che il valore da dedurre di tali

componenti sia subordinato al superamento di un

valore di “franchigia” definito in funzione del common

equity e delle componenti oggetto di deduzione. In par-

ticolare, dovrà essere dedotto dal patrimonio di base

l’importo che, alternativamente:

• per ciascuna componente oggetto di deduzione

eccede il 10% del Common Equity;

• aggregando tutte le componenti oggetto di deduzione

eccede il 15% del Common Equity.

La gestione della Liquidità

Le principali innovazioni riguardano l’introduzione di due

nuovi indicatori relativi ai livelli di liquidità da mantene-

re, la cui composizione viene descritta di seguito e

schematizzata in figura 1.

Il Liquidity Coverage Ratio confronta il buffer di attivi-

tà liquide a disposizione dell’intermediario (numerato-

re) con i flussi di cassa attesi in condizioni di stress su

un orizzonte temporale molto breve di 30 giorni (deno-

minatore). In particolare:

• il numeratore è composto da risorse liquide di “ele-

vata qualità”, anche in una situazione di stress, che

sono composte da Cassa, riserve presso la Banca

Centrale, titoli di Stato e da Corporate Bond e Covered

Bond di “elevata qualità”;

• il denominatore, invece, è rappresentato dai deflus-

si di cassa attesi netti (flussi out – flussi in), sempre su

un orizzonte temporale di 30 giorni e sottoposti ad uno

scenario di stress predefinito dall’Autorità di Vigilanza9.

Il Net Stable Funding stima gli eventuali squilibri strut-

turali nella composizione delle attività e passività di

bilancio oltre l’orizzonte temporale dell’anno. In questo

caso:

• il numeratore rappresenta l’insieme delle fonti di

finanziamento stabili, ed è composto dalla somma di

fondi propri (Tier 1 e Tier 2), dei depositi a vista entro

l’anno (la raccolta residuale con scadenza entro l’an-

no, tra cui quella proveniente da controparti bancarie,

non viene considerata una fonte stabile e pertanto

viene esclusa dal computo) e delle fonti di provvista con

scadenza residua oltre l’anno;

• il denominatore annovera invece le componenti meno

liquide dell’attivo, che approssimano la necessità di

funding stabile, i cui elementi principali sono azioni e

obbligazioni con scadenza oltre l’anno, prestiti erogati

con scadenza residua entro e oltre l’anno, a prescindere

dalla controparte finanziata, immobili e partecipazioni,

asset intangibles (es. avviamenti) e fuori bilancio (mar-

gini irrevocabili).

La limitazione di non poter considerare come funding

stabile la raccolta presso banche con scadenza resi-

dua entro l’anno appare coerente, seppur restrittiva, con

l’operatività degli istituti creditizi laddove è possibile

attuare una diversificazione delle modalità di finanzia-

mento tramite la raccolta di depositi presso il pubbli-

co, ma produce un forte impatto negativo per altri

intermediari non bancari (in Italia ad esempio gli inter-

mediari ex-art. 107 del Testo Unico Bancario) le cui fonti

8. BIS: “Review of the Basel Committee’s capital and liquidity reform package - Annex Amendment Basel 3”, 26 July 2010.9. Lo scenario di stress ipotizzato dal Comitato simula una crisi di mercato cui si aggiungono difficoltà di tipo idiosincratico. A titolo esemplificativo si citano: la“chiusura” del mercato interbancario con deflusso di depositi al 100%, un deflusso completo del funding secured – pronti contro termine – per transazioni aventicome sottostanti titoli non governativi, un tiraggio completo dei margini irrevocabili per linee di liquidità concesse ad imprese corporate e clientela Financial, ecc.

FIGURA 1. Nuovi indicatori di controllo del livello di liquidità secondo le regole di Basilea 3

LIQUIDITY COVERASE RATIO =LIQUIDITY BUFFER

NET FLOWS (OUT-IN)≥ 100 %

WITH STRESS WITHIN 30 DAYS

NET STABLE FUNDING =STABLE FUNDING

ILLIQUID ASSETS≥ 100 %

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di finanziamento sono costituite prevalentemente da

linee di liquidità bancarie. Un possibile approccio alter-

nativo potrebbe consistere nella trasformazione delle

scadenze del funding con controparti bancarie, por-

tando tutte le maturity residue oltre l’anno: questo

comporterebbe però una gestione non ottimale della

liquidità in ottica ALM, dovendo trovare un matching tra

liabilities con maturity oltre l’anno ed asset aventi matu-

rity sia entro sia oltre l’anno.

Le indicazioni di Banca d’Italia10

La Banca d’Italia ha sottolineato che la nuova propo-

sta del Comitato di Basilea va nella direzione di sem-

plificare la definizione di capitale, renderla più chiara e

trasparente per il mercato (focus sul Common Equity

e maggiore rigore nelle caratteristiche degli altri stru-

menti patrimoniali) ed eliminare divergenze applicative.

In tale ambito, fa notare Banca d’Italia, ciò che serve

non è semplicemente più capitale ma è “più capitale di

migliore qualità” e qualità del capitale vuol dire:

• disponibilità delle risorse patrimoniali in ogni momen-

to (permanenza);

• piena o elevata capacità di assorbimento delle per-

dite sia attraverso la cancellazione di interessi o dividendi

(flessibilità nei pagamenti) sia attraverso il valore nomi-

nale degli strumenti.

L’obiettivo deve essere quello di disegnare un regime

prudenziale che sia coerente al proprio interno e che

raggiunga un equilibrio fra la finalità di ridurre i rischi di

instabilità sistemica e quella di sostenere la crescita del-

l’economia.

La Banca d’Italia ha evidenziato tuttavia che alcuni

profili della definizione di capitale regolamentare potreb-

bero risultare effettivamente troppo penalizzanti. In

particolare, con riferimento alla deduzione dal patrimonio

delle attività per imposte anticipate, la deduzione inte-

grale creerebbe incentivi distorti alle banche sul piano

prudenziale, in quanto finirebbe per disincentivare

un’adeguata politica degli accantonamenti e genere-

rebbe forti disparità fra Paesi in ragione delle diversità

nei regimi fiscali. In Italia, inoltre, si avrebbero effetti più

rilevanti rispetto ad altri Paesi europei dato l’elevato valo-

re di tali poste, a causa di inusuali vincoli alla deduci-

bilità fiscale delle perdite su crediti. La Banca d’Italia ha

sostenuto nelle diverse sedi internazionali istituziona-

li, in coerenza con questa considerazione, che la dedu-

zione dovrebbe riguardare l’importo che ecceda una

determinata percentuale delle azioni ordinarie e delle

riserve. Infine, il Governatore stesso ha posto l’atten-

zione sul fatto che il Legislatore, se lo riterrà opportu-

no al fine di evitare una ulteriore penalizzazione degli

intermediari italiani, potrebbe valutare l’eliminazione

dei limiti alla deducibilità delle perdite su crediti, con

un’imposta equivalente in termini di gettito che abbia

effetti meno distorsivi.

Per quanto concerne le altre principali deduzioni dal

Patrimonio di Vigilanza previste da Basilea 3, Banca

d’Italia ritiene siano necessari ulteriori approfondimenti,

ed in particolare invita ad una maggiore riflessione sul-

l’opportunità della deduzione integrale dal Core Tier 1

degli interessi di minoranza e delle partecipazioni ban-

carie, finanziarie e assicurative.

La previsione di un grandfathering della durata di 30

anni (con limiti di computabilità decrescenti dopo i

primi 10 anni) secondo Banca d’Italia consentirà

alle banche di gestire in modo ordinato la transizio-

ne al nuovo regime, per quanto riguarda sia le azio-

ni sia gli strumenti ibridi emessi in base alla norma-

tiva vigente.

Sulla gestione della liquidità, Banca d’Italia riconosce

che la definizione della natura delle attività, che possono

essere incluse nel buffer di attività liquide, rappresenta

un tema rilevante, infatti la maggiore o minore esten-

sione del novero delle attività ammissibili può deter-

minare conseguenze importanti sulle politiche delle

banche. È necessario dunque trovare il giusto equilibrio

10. In questo paragrafo vengono riportate sinteticamente alcune considerazioni espresse dalla Banca d’Italia in sedi pubbliche riguardo a taluni aspetti affrontatidalla nuova proposta di regolamentazione prudenziale. Riferimenti:• Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,Roma, 4-5 maggio 2010.• Giuseppe De Martino, Servizio Normativa e Politiche di Vigilanza di Banca d’Italia: “Qualità del capitale: principali novità e questioni aperte. Alcune riflessioni”,Convegno ABI “Basilea 3 - Banche e imprese verso il 2012”, Roma, 4-5 maggio 2010.• Stefano Mieli, Direttore Centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia: “La revisione delle regole prudenziali sul capitale delle banche”, ConvegnoABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.• Intervento del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi all’Assemblea Ordinaria dell’ABI, Roma, 15 luglio 2010.

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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� tra la necessità che gli intermediari mantengano profili

di liquidità sufficientemente prudenti e quella di garan-

tire adeguati flussi di credito verso la clientela. In que-

sto senso, Banca d’Italia ritiene condivisibili le propo-

ste avanzate dalle banche nel corso della consultazione

volte, al fine di tener conto delle specificità dei merca-

ti europei e italiani, a considerare nella definizione del

buffer di liquidità anche i corporate e covered bonds di

migliore qualità senza particolari restrizioni. Inoltre, in tale

contesto operativo, secondo Banca d’Italia è importante

che alle banche sia consentito di utilizzare nei momen-

ti di maggiore difficoltà le risorse liquide accumulate: la

soluzione proposta dalla Commissione europea, che

ammette il temporaneo allontanamento dai requisiti

imposti dai due nuovi indicatori in condizioni di mercato

sfavorevoli, introduce elementi di flessibilità nella gestio-

ne dei buffer.

Infine, si noti che Banca d’Italia ha recentemente ema-

nato due disposizioni in consultazione che già recepi-

scono alcune delle nuove proposte del Comitato di

Basilea per quanto concerne la disciplina del Patrimonio

di Vigilanza e la gestione del rischio di liquidità11.

La posizione dell’AssociazioneBancaria ItalianaL’Associazione Bancaria Italiana – ABI ritiene che sia

necessaria un’attenta valutazione dell’impatto delle

nuove proposte non solo sulla stabilità e redditività

dei singoli intermediari, ma anche sul quadro macroe-

conomico nazionale e internazionale. Particolare atten-

zione dovrà essere prestata al trade-off tra la volontà

di omogeneizzare la normativa e l’esigenza di tenere in

adeguata considerazione, in fase di definizione della

regolamentazione internazionale, le peculiarità nazionali.

Di seguito si riporta una sintesi dei punti di attenzione

rilevati dall’ABI in considerazione delle peculiarità del

mercato bancario italiano, con focus sugli aspetti

riguardanti il capitale e la liquidità12:

• Appare necessario che le nuove proposte portino ad

una migliore qualità del capitale senza necessaria-

mente imporre penalizzazioni su strumenti che nella

realtà italiana sono sostanzialmente equiparabili agli ele-

menti indicati come computabili (es. azioni di risparmio,

azioni privilegiate e azioni delle banche di credito coo-

perativo).

• Appare necessaria la modifica di alcuni criteri consi-

derati nel documento di consultazione per gli stru-

menti finanziari che rientrano nel Tier 1 (additional

going concern capital) al fine di mantenere l’appetibi-

lità degli strumenti per gli investitori “fixed income”.

Infatti il profilo tipico degli investitori in strumenti di

Tier 1 è generalmente rappresentato da investitori in

strumenti di debito.

• Per quanto riguarda la deduzione delle DTA nette, si

propone lo stralcio integrale di tale previsione, anche in

considerazione del fatto che le attività per imposte

anticipate sono sottoposte periodicamente ad un spe-

cifico test (probability test) volto a verificarne la soste-

nibilità in relazione alla capacità della banca di produrre

redditi imponibili nel futuro e che la normativa civilisti-

ca considera le DTA componenti del patrimonio dis-

ponibile e non prevede alcun vincolo di distribuzione per

gli utili ad esse riferiti.

• La deduzione dal Common Equity degli interessi di

minoranza e delle partecipazioni in banche, finanziarie

e assicurazioni appare particolarmente penalizzante

e comporterebbe, altresì, effetti distorsivi sulla

concorrenza tra conglomerati finanziari e, all’interno dei

gruppi bancari, possibili inefficienze nell’allocazione

del capitale.

• Il nuovo framework sulla gestione della liquidità por-

terà ad una accresciuta domanda per quegli asset, in

particolare titoli di debito pubblico, idonei a costituire

i buffer di liquidità. Ciò verosimilmente ridurrà in modo

sensibile la domanda per strumenti emessi dal settore

privato, perché saranno rimossi gli incentivi alla loro

detenzione. Il funding, pertanto, potrebbe risultare for-

temente influenzato dall’introduzione di nuovi vincoli

sugli strumenti di raccolta con riverberi sul pricing dei

finanziamenti. In tale quadro, pur ritenendo corretta

11. Banca d’Italia, Documento per la consultazione: “Disposizioni di Vigilanza Prudenziale per le Banche. Recepimento delle modifiche alle Direttive 2006/48/CE e2006/49/CE (cd CRD II)”, Giugno 2010 e Banca d’Italia, Documento per la consultazione “Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità dellebanche e dei gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale”, Giugno 2010.12. Rif. ABI Comments on consultative documents issued by Basel Committee on Banking Supervision “Strengthening the resilience of the banking sector” and“International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring”, 19 Aprile 2010.

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I l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o e l ’ e v o l u z i o n e n o r m a t i v a d i B a s i l e a 3A N D R E A F E R R E T T I & G I U S E P P E Q U A G L I A

l’introduzione dei due indicatori, si ritiene opportuno

rivederne le modalità di costruzione rilasciando alcuni

vincoli per mitigare la restrizione degli assets costituti-

vi del buffer di liquidità.

• Al fine di agevolare l’efficacia e l’efficienza nella

gestione del rischio di liquidità si dovrà permettere

l’applicazione dei nuovi buffer unicamente a livello

consolidato.

L’ABI, al fine di rivedere l’impostazione normativa, con-

siderata troppo penalizzante e non adeguata a valutare

le peculiarità della struttura del mercato bancario ita-

liano, propone il seguente approccio, da un punto di

vista di metodo, nella definizione della nuova regola-

mentazione13:

• Valutazione di impatto (risultati QIS).

• Seconda consultazione.

• Implementazione generalizzata del nuovo framework

secondo un calendario armonizzato e condiviso.

• Level playing field tra soggetti (intermediari finanziari)

e tra giurisdizioni.

• Allineamento alla normativa contabile.

Le analisi di impattoSi riportano di seguito alcuni commenti degli operato-

ri del settore circa i possibili impatti delle nuove rego-

le sul mercato italiano: sebbene non ancora definite in

modo completo e dettagliato, le proposte appaiono,

avere implicazioni di rilievo per le banche ed il sistema

economico.

L’impatto a livello di sistema bancario italiano, secon-

do una recente ricerca presentata ad un convegno

ABI14, si aggirerebbe sui 20-25 miliardi di euro (pari al

1,3%-1,6% del PIL nominale 2009). Tale impatto

sulle banche italiane risulta prevalentemente legato agli

effetti derivanti dalle deduzioni delle DTA, degli interessi

di minoranza e delle partecipazioni. Se questi para-

metri verranno ricalibrati al ribasso (ovvero non dedotti

integralmente) l’effetto di Basilea 3 sul sistema

bancario italiano potrebbe ridursi a soli 6-10 miliardi

di euro.

In via generale, se confrontato con il resto d’Europa,

l’impatto sul sistema italiano appare comunque mino-

re: gli istituti di credito spagnoli potrebbero avere una

incidenza simile in valori assoluti, 20-25 miliardi, ma

maggiore sul PIL (1,9%-2,4%); ben più elevati, invece,

sono stimati i costi a cui si andrà incontro in Germania

(30-50 miliardi, l’1,2-2,1% del PIL) e soprattutto in

Gran Bretagna e Francia, dove l’ammontare potrà

sfiorare e forse anche superare i 100 miliardi di euro,

pari a oltre il 5% del PIL.

Tra i motivi dell’impatto relativamente più limitato della

nuova regolamentazione nei confronti delle banche

italiane figurano senz’altro elementi strutturali, come l’u-

tilizzo più limitato della leva finanziaria e l’elevata liqui-

dità dell’intero sistema.

In un recente intervento, il prof. Sironi15 della SDA

Bocconi ha rilevato come non saranno trascurabili i

potenziali impatti sulla redditività del capitale delle ban-

che che un significativo rafforzamento, seppure ancora

non precisamente quantificato, del requisito minimo

associato alla componente core (Upper TIER 1) inevi-

tabilmente comporta. Tali conseguenze andranno

attentamente considerate, specie nell’attuale contesto

di bassi tassi di interesse e di elevati tassi di sofferen-

za, che già influenza negativamente la redditività delle

imprese bancarie. Esiste infatti il rischio che questa

restrizione sul fronte dei requisiti patrimoniali venga

dalle banche traslata sul mercato del credito median-

te un innalzamento degli spread creditizi o una

restrizione dell’offerta di credito. Per quanto concerne

la liquidità, inoltre, si fa notare come i nuovi requisiti rap-

presentino strumenti efficaci per garantire che le ban-

che conservino un’adeguata liquidità e siano dunque

capaci di affrontare eventuali situazioni simili a quella

verificatasi nel corso della crisi finanziaria recente.

Entrambi gli indicatori proposti influiscono però in misu-

ra significativa sulla gestione di una banca e, in parti-

colare, sulla relativa capacità di trasformazione delle

scadenze, ed avranno dunque un impatto rilevante

sulla redditività.

Sulla stessa linea appare la posizione di Confindustria

che, attraverso il suo Direttore Generale16, denuncia

13. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “Il dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europ”», 14 maggio 2010.14. Studio Oliver & Wyman presentato al Convegno ABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.15. Rif. Andrea Sironi: “Crisi finanziaria e riforma delle regole: quali implicazioni per le Banche e il Sistema Economico?”, Economia & Management, n.3 2010.16. Rif. Il Sole 24 Ore del 13.04.10.

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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� che i criteri di maggiore allocazione di capitale a fronte

dei rischi assunti dalle banche, previsti dalla nuova nor-

mativa, impatteranno sul credito con una restrizione dei

flussi creditizi verso le imprese. Infatti tale sistema di rego-

le, pur non essendo ancora applicate, sta già impattando

sul credito bancario alle imprese: già oggi mercati ed

agenzie di rating valutano gli istituti di credito sulla loro

capacità di aumentare la patrimonializzazione rispetto

all’attivo rischioso, di conseguenza le banche stanno già

riducendo gli attivi a rischio e quindi riducendo i credi-

ti. Tale posizione è stata confermata dal Presidente17

della Confindustria, che ha sottolineato come la riforma

costerà alle banche europee 244 miliardi di euro e ciò

di certo non favorirà i prestiti: “Basilea 3 rischia di toglie-

re altro ossigeno alle imprese e di soffocarle” è il moni-

to lanciato dagli industriali italiani.

Una simulazione EY

È stato effettuato un esercizio simulativo volto a stimare,

a livello macro e sotto una serie di assunzioni sempli-

ficative, l’impatto sul Patrimonio di Base e sul Patrimonio

di Vigilanza a livello18 aggregato delle prime cinque

Banche italiane19 derivante dall’applicazione delle nuove

regole riguardanti il capitale.

In particolare l’analisi ha preso in considerazione le

seguenti assunzioni:

• deduzione del capitale riconducibile alle azioni di

risparmio e alle azioni privilegiate;

• deduzione delle Attività per imposte anticipate al

netto delle Passività per imposte differite;

• deduzione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni

detenute in altre banche, società finanziarie ed assi-

curative nonché, delle eccedenze della perdita attesa

rispetto alle rettifiche di valore complessive, che l’attuale

disciplina prevede come elementi da dedurre per il

50% dal Tier 1 e per il 50% dal Tier 2;

• deduzione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni in

assicurazioni che l’attuale disciplina prevede come

elementi da dedurre dal Patrimonio di Base e dal

Patrimonio Supplementare;

• ripresa del valore di affrancamento fiscale sull’avvia-

mento in deduzione dal Patrimonio di Vigilanza tra i fil-

tri prudenziali in deduzione al Tier 1 (per evitare il dou-

ble counting con le DTA relative all’avviamento);

• tutti gli strumenti ibridi di capitale sono stati considerati

in ipotesi di grandfathering.

I risultati delle analisi, data la bassa granularità dei

dati a disposizione, non vogliono essere esaustivi e rap-

presentano, pertanto, solo degli ordini di grandezza di

riferimento al fine di fornire ulteriori elementi di rifles-

sione, a titolo esemplificativo, sui potenziali impatti

delle nuove regole sul capitale dei principali Gruppi ban-

cari italiani.

I grafici seguenti (figura 2) illustrano l’impatto sul PV

(Patrimonio di Vigilanza) e sul Tier 1 dell’applicazione

delle regole di Basilea 3 sul capitale a livello aggrega-

to, stimato sulla base delle assunzioni in precedenza illu-

strate (i dati di patrimonio sono stati normalizzati

base 100), evidenziando il contributo delle compo-

nenti sulla diminuzione del Tier 1.

A seguito di tali elaborazioni, risulta un impatto medio

ponderato sul capitale aggregato dei prime cinque

Gruppi bancari di circa il 25% per il Tier 1 e del 10% sul

Patrimonio di Vigilanza. Si noti che l’abbassamento

medio del Tier 1 pari al 25% è spiegato in larghissima

parte dalla deduzione integrale delle DTA (53% circa).

Infine, rielaborando le analisi con riferimento all’Annex

BIS di Luglio (considerando la franchigia del 10%

sulla sola componente riferibile alla DTA), l’impatto

medio sul capitale risulterebbe minore e pari rispetti-

vamente al 22% sul Tier 1 e al 9% sul Patrimonio di

Vigilanza.

Considerazioni conclusiveIl sistema bancario italiano è caratterizzato dalla pre-

valenza dell’attività creditizia a favore di famiglie e

imprese, dal radicamento sul territorio, da una leva

finanziaria contenuta e da una struttura di bilancio

nel complesso equilibrata20. Tale configurazione, basa-

17. Rif. Il Sole 24 Ore del 01.06.10.18. Sono stati considerati i dati e le informazioni presenti nei documenti di Informativa al Pubblico (Pillar 3) e nei Bilanci consolidati al 31.12.09, pubblicati sui sitiinternet dei Gruppi Bancari oggetto di analisi.19. I primi cinque Gruppi Bancari italiani rappresentano, per attivi complessivi al 31.12.09, circa il 53% dell’intero settore. Fonte: Relazione Annuale della Bancad’Italia, 31 maggio 2010.20. Rif. Relazione Annuale del Governato della Banca d’Italia, 31 maggio 2010.

33

I l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o e l ’ e v o l u z i o n e n o r m a t i v a d i B a s i l e a 3A N D R E A F E R R E T T I & G I U S E P P E Q U A G L I A

ta su un modello di intermediazione tradizionale e

sostenuta da un quadro regolamentare e da una vigi-

lanza prudenti, ha di fatto permesso un impatto meno

forte degli effetti della crisi internazionale sul sistema

bancario.

In tale quadro, la selettività della Banca d’Italia nel-

l’ammettere forme ibride nel calcolo del Patrimonio di

Vigilanza si è riflessa in una qualità del capitale delle ban-

che italiane comparativamente elevata, che potrebbe

facilitare l’adattamento ai nuovi e più stringenti standard

di Basilea. Occorre tuttavia evidenziare come le pro-

poste del Comitato, prevedendo un significativo raf-

forzamento dei requisiti di capitale, potrebbero comun-

que incidere in misura più rilevante sulle banche

attualmente meno capitalizzate.

Appare chiaro che il nuovo framework di valutazione

dell’adeguatezza patrimoniale disegnato da Basilea 3

va nella direzione di definire ed implementare misure più

efficaci nel tutelare maggiormente la solvibilità e la

liquidità delle banche e pertanto la stabilità del sistema

finanziario, e, seppur passibile di modifiche ed aggiu-

stamenti per rendere meno restrittivi certi criteri. Tale

nuovo quadro regolamentare presenterà comunque

costi rilevanti per la gestione bancaria, come eviden-

ziato dalle stime emerse dalle analisi di impatto.

La stessa Banca d’Italia21 riconosce che le modifiche

regolamentari proposte dal Comitato di Basilea richie-

deranno alle banche italiane adeguamenti non

trascurabili e potrà determinare una contrazione dei

profitti, sottolineando che i livelli di redditività registrati

in passato, superiori a quelli degli altri settori produttivi

(molto spesso dovuti all’esposizione a rischi troppo ele-

vati, non adeguatamente coperti da risorse patrimoniali

e di liquidità), potranno difficilmente ripetersi in futuro.

Tuttavia viene enfatizzato il fatto che l’insieme dei

provvedimenti in discussione comporterà anche un

positivo contenimento dei rischi assunti, contribuen-

do in modo rilevante alla stabilità finanziaria del siste-

ma economico e creando i presupposti perché gli

operatori siano in condizione di affrontare possibili

crisi future con maggiore solidità, riducendone i costi

per la collettività.

Stante tale quadro, si ritiene fondamentale che le ban-

che approccino le nuove regole con un atteggiamen-

21. Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,Roma, 4-5 maggio 2010.

FIGURA 2. Stima impatti sul Tier 1 e sul PV (base 100) delle regole di Basilea 3 al 31.12.09

B2 B3

10060

50

40

30

20

10

0

9080706050403020100

Patrimonio di vigilanzaB2 B3

Tier 1

Deduzione azioniprivilegiatee di risparmio

Deduzione delle DTA

Deduzione delleeccedenze del patr.supplementare

Deduzione delleeccedenze del patr. dibase e supplementare

Ripresa affrancamentofiscale sull'avviamento

5 %

53 %

18 % 18 %

6 %

10 %

25 %

34

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� to proattivo cercando di fare leva sugli investimenti

necessari ad adeguarsi alla normativa per rivedere a

livello organizzativo ed ottimizzare a livello operativo le

proprie attività di intermediazione creditizia e finanzia-

ria. Questo potrebbe significare, ad esempio22:

• definire chiare politiche di gestione dei rischi (propen-

sione al rischio, modalità di controllo e gestione, ecc.);

• integrare le analisi e le valutazioni sui rischi e sul

capitale nei processi di budgeting e pianificazione

strategica;

• utilizzare le prove di stress e le analisi di sensitività e

di scenario come strumenti per la valutazione dell’e-

voluzione dell’esposizione ai rischi e dell’adeguatezza

del capitale, al fine di stimarne gli impatti e pianificare

eventuali interventi correttivi/migliorativi di natura gestio-

nale e patrimoniale,

• rivedere le politiche di gestione della liquidità al fine

di trovare nuovi equilibri tra funding ed impieghi;

• pianificare per il medio-lungo termine una struttura di

funding in coerenza con la nuova regolamentazione;

• approcciare i clienti e le politiche commerciali di svi-

luppo dei prodotti/servizi in un ottica di creazione di

valore corretta per il rischio;

• valutare possibili integrazioni con altre banche (simili

per dimensione e standing) in modo da generare

masse critiche e sfruttare economie di scopo e di

scala, che soprattutto per realtà medio-piccole potreb-

be risultare una opzione strategica rilevante.

Aggiornamento Settembre 2010

Il Comitato dei Governatori delle Banche Centrali ha

approvato il 12.09.10 il framework regolamentare di

Basilea 323, prevedendo che l’entrata in vigore sia

fatta in modo graduale, dal 1 gennaio 2013 per arri-

vare alla piena attuazione al primo gennaio 2019. Il

testo, dopo essere stato presentato allo Steering

Committee del Financial Stability Board, verrà ratificato

dal G20 di Seul il prossimo Novembre 2010. Nel

documento vengono anche definiti i requisiti minimi

regolamentari secondo lo seguente schema presen-

tato in tavola 1.

In tale contesto, l’ABI24 ha commentato che “[...] man-

cano ancora le disposizioni di dettaglio per definire il cal-

colo del patrimonio di vigilanza e non è quindi ancora

possibile valutare con precisione l’effettivo impatto dei

nuovi standard, sia a livello macro che a livello di sin-

golo paese e operatore. A fronte dei potenziali benefici

che deriveranno da un maggior presidio della stabilità

delle banche non mancheranno impatti sull’economia

reale in aree geografiche, come l’Italia e in generale

l’Europa continentale, dove la spinta allo sviluppo è

strettamente collegata all’azione delle banche in par-

ticolare attraverso il credito”, ribadendo la propria posi-

zione sugli aspetti che appaiono critici: “[…] il periodo

transitorio previsto per l’effettiva applicazione della

nuova normativa può rappresentare un elemento di

supporto alla capacità di adeguamento alle nuove

regole; ciò tanto più se prima che la nuova regola-

mentazione diventi vigente, sia possibile un confronto

con le Istituzioni nazionali ed europee, che porti ad

individuare soluzioni alle specificità delle imprese ban-

carie italiane; […] per le banche italiane, in particolare,

è fondamentale che siano previste soluzioni che con-

sentano, ai fini del computo del patrimonio di vigilanza,

un equo trattamento degli avviamenti e delle imposte

differite attive. Queste ultime in particolare non derivano

da perdite di bilancio ma da un penalizzante regime

fiscale degli accantonamenti su crediti [...]”. ◗Redatto il 16/09/2010

22. Rif. G. Quaglia, Partner Ernst & Young, “Basilea 3: possibili impatti operativi per le banche”, presentazione alla sessione plenaria finale del Convegno ABI: Basilea3 - Banche e imprese verso il 2012, Roma 4-5 maggio 2010.23. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Press release - Group of Governors and Heads of Supervision announces higher global minimum capitalstandards”, 12 September 2010.24. Rif. ABI Comunicati Stampa del 06.09.10 e del 13.09.10.

35

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Ambito di intervento 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019

Coefficenti di leva finanziara Monitoraggio Sviluppo parallelo Migra-A (Leverage Ratio) autorità annuncio del parametro – zione –

di vigilanza previsto per il 01/01/2015 al Pillar 1B Coefficiente minimo di patrimonio di – – 3,5 4,0 4,5 4,5 4,5 4,5 4,5

prima qualità

CCuscinetto di conservazione delcapitale – – – – – 0,625 1,25 1,875 2,50

D B + C – – 3,5 4,0 4,5 5,125 5,75 6,375 7,0

EDeduzioni dal patrimonio primario – – – 20 40 60 80 100 100(Tier 1)

F Coefficiente minimo di patrimonio – – 4,5 5,5 6,0 6,0 6,0 6,0 6,0primario (Tier 1 Ratio)

G Coefficiente patrimoniale totale – – 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0(Total Capital Ratio)

H C + G – – 8,0 8,0 8,0 8,625 9,25 9,875 10,5

Strumenti di capitale cui viene toltaI la qualifica di patrimonio primario – – Eliminati in dieci anni a partire dal 2013

principale

L Coefficiente di liquidità di breve (1) – – – (2) – – – –termine (Liquidity Coverage Ratio)Coefficiente di finanziamento stabile

M nel medio-lungo termine – (1) – – – – – (2) –(Net Stable Funding Ratio)

Note : L’entrata in vigore delle misure è fissata per ogni anno all’1° gennaio (in grigio i periodi di transizione).(1) Inizio del perlado di osservazione(2) Introduzione standard minimo.

TAVOLA 1. Nuovi standard (%) e timeline di basilea 3 (BIS, annex 2 - 12 sett. 2010)

Fonte : Il Sole 24 Ore, rielaborazione EYBIS Press release 12.09.10, Annex 2 “Phase-in arrangements”

36

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Banche e territori

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

37

Il rapporto tra banche e territori dopola Grande Crisi del 2007-2009

Grazie al suo ancoraggio forte alterritorio ed anche al ruolo importantedelle banche cooperative, il sistemabancario italiano ha resistitoparticolarmente bene alla crisi finanziariatra il 2007 e il 2009. Questa crisi haposto le basi per un ripensamentodell’impostazione, precedentementenegativa, adottata nei confronti dellebanche stakeholder value.

IntroduzioneNei decenni precedenti la Grande Crisi del 2007-2009

il sistema bancario si era profondamente trasformato dis-

taccandosi progressivamente da un tipo di banking

imperniato sul rapporto personale per incardinarsi su

rapporti più standardizzati e impersonali. Tale trasfor-

mazione, permessa dagli sviluppi della ICT, rispondeva

al desiderio, da parte delle banche, di cogliere le oppor-

tunità loro offerte dalla liberalizzazione finanziaria e dalla

necessità di ridurre i costi di gestione, contribuendo così

a innalzare i rendimenti del capitale verso i livelli, un

tempo impensabili per le banche, loro richiesti da inve-

stitori sempre più esigenti. Così, il sistema bancario

dall’essere il settore più regolato e tradizionale era

diventato uno dei più attraenti. E il mestiere del ban-

chiere, che una volta veniva etichettato come quello sicu-

ro ma noioso dei tre tre – il tasso sui mutui è al 3%, lo

spread tra tassi attivi e passivi è al 3% e alle 3 del

pomeriggio il banchiere va a giocare a golf (o a bowling

se preferite) – si era convertito in uno dei più dinamici

con banchieri remunerati sempre di più ma con sempre

meno tempo libero. Il mutamento che doveva portare

le istituzioni finanziarie nell’empireo degli alti rendimen-

ti, teorizzato dalle grandi agenzie di consulenza ameri-

cane, prescriveva di innervare le banche nei mercati

finanziari modificandone il modello di business.

Anche il rapporto delle banche con i territori serviti

era perciò cambiato. La liberalizzazione, il desiderio di

grandezza dei manager, la percezione (poi rivelatasi in

gran parte infondata) di grandi vantaggi dalle economie

di scala e forse anche la moda avevano prodotto un

processo molto intenso di consolidamento bancario.

GIOVANNI FERRI

Professore ordinario, Università di Bari(1)

L’autore è membro fondatore del Think Tank per lo studio del credito cooperativo creato nel 2008 presso la European Association of Co-operative Banks.

38

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Le banche si aggregavano in entità sempre più gran-

di, talora gigantesche e con attività totali maggiori dei

bilanci pubblici degli Stati da cui promanavano. I loro

centri decisionali si allontanavano dai territori serviti. La

sostituzione del rapporto personale con quello media-

tico – ATM, internet banking ecc. – si spingeva molto

in avanti. Le persone a contatto con la clientela si

riducevano a vantaggio del back-office e dei centri

direzionali e il loro turnover si intensificava. Così, per il

cliente minuto diveniva sempre più difficile identificare

una persona che fungesse da interlocutore stabile alle

sue esigenze bancarie.

In verità, non tutte le banche seguivano quel trend o,

quantomeno, non tutte correvano in quella direzione alla

stessa velocità. In particolare, le banche cooperative

erano meno coinvolte nella trasformazione. Esse erano

ancorate al territorio dal permanere di specifiche rego-

lamentazioni e, fors’anche di più, dal desiderio dei

soci. Non sempre la loro partecipazione alle assemblee

era assidua, ma la gran parte dei soci si sarebbe

opposta a trasformazioni che avrebbero portato via la

“loro” banca. Però, le banche cooperative venivano

generalmente giudicate arcaiche e ormai inadatte alle

nuove e più sofisticate esigenze della clientela. Di più,

anche da parte delle Autorità, le banche cooperative

venivano guardate con sufficienza, se non con un

certo pregiudizio negativo. In vari Paesi, anche risen-

tendo del contesto, molte di esse venivano demutua-

lizzate. Putroppo, si è capito solo dopo come la demu-

tualizzazione non ponesse solo problemi di equità

intergenerazionale – né le generazioni passate, che

hanno contribuito a costruirla, né quelle future, che si

ritroveranno senza quella banca cooperativa, votava-

no – ma anche, troppo spesso, aprisse la strada a

gestioni disinvolte, foriere di fragilità e di crisi (cfr.

OCMEB, 2009, per il caso del Regno Unito).

Ma questo accadeva prima. Dopo la Grande Crisi del

2007-2009 molto sta cambiando. Sembra che molte

forze confluiscano a spingere le banche a un ritorno

verso il modello di business tradizionale. Vi è un dra-

stico ripensamento sulle virtù del consolidamento, con

molti Paesi che valutano se smembrare i colossi finan-

ziari formatisi in precedenza, al fine di ridurre il rischio

sistemico. La regolamentazione si sta inasprendo sui

contratti finanziari più complessi e opachi, richiedendo

di riportare su mercati regolamentati quello che veniva

scambiato su mercati Over The Counter (OTC). Viene

fortemente limitato, se non impedito, il proprietary

trading (cioè il trading delle banche sui mercati finan-

ziari in conto proprio). Gli schemi di remunerazione

del top management delle banche sono sotto osser-

vazione, per evitare le connesse distorsioni degli incen-

tivi all’assunzione di rischi esagerati. Si va diffondendo

la percezione che nel futuro della banca ci debbano

essere più finanziamenti all’economia reale e meno

coinvolgimento nei mercati finanziari e che i rendimenti

del capitale debbano tornare per le banche ai livelli sto-

rici precedenti alla metamorfosi del loro modello di

business. Taluni mettono in discussione l’opportunità

di livelli di concorrenza elevata – che potrebbero spin-

gere all’assunzione eccessiva di rischio – nel settore

bancario. Insomma, con tutta probabilità, molto cam-

bierà per le banche.

Se le banche torneranno verso il modello d’affari tra-

dizionale, una delle conseguenze sarà che esse tor-

neranno a intessere rapporti più stretti con i propri

territori, investendo maggiormente in questi rapporti e

valorizzandone le potenzialità. Sarà interessante osser-

vare questa evoluzione.

Ma, prima che ciò si realizzi, è ancora oggi opportuno

riflettere a fondo sugli errori che avevano portato ai

mutamenti all’origine della crisi. In particolare, affron-

teremo questo tema dal particolare angolo visuale che

giustappone le banche recanti l’obiettivo della massi-

mizzazione del valore per gli azionisti – che chiamere-

mo banche shareholder value –, soggetti resi omoge-

nei dal privilegiare l’interesse per il valore dell’azione, a

quelle che si pongono l’obiettivo di massimizzare il

valore per una più ampia e composita platea di soggetti

– che chiameremo banche stakeholder value (in primis

le banche cooperative) – soggetti portatori di interes-

si tra di loro differenziati e che, perciò, vantano rapporti

più stretti col territorio. In linea di massima, le prime sono

approssimabili con le banche commerciali e d’investi-

mento – prioritariamente, se non esclusivamente, orien-

tate alla ricerca del profitto – costituite nella forma

della società per azioni, mentre le banche stakeholder

value sono identificabili con gli istituti di credito

cooperativi e con gli altri intermediari con caratteristiche

mutualistiche – per i quali la massimizzazione del pro-

39

fitto non è né l’unico fine né, generalmente, quello

prioritario.

In effetti, a nostro modo di vedere, la spinta all’enfasi

esasperata del profitto di breve periodo per le banche

commerciali e quella alla diffusa trasformazione di ban-

che stakeholder value in banche shareholder value – es.

attraverso i processi di “demutualizzazione” – sono

state due forze determinanti nella genesi dei problemi

poi sfociati nella crisi finanziaria.

Per sintetizzare, ci sono tre aspetti principali connes-

si alla questione. In primo luogo, come detto, si è

avuto un mutamento nel modello di affari bancario.

Inoltre, come testé accennato, i sistemi bancari hanno

sperimentato sostanziali ondate di demutualizzazio-

ne, in cui ampi segmenti del sistema bancario sono stati

trasformati da uno status mutualistico o cooperativo in

banche shareholder value. Da ultimo, la percezione che

il rischio di credito potesse essere scomposto ha

determinato una mancanza di considerazione – o,

quantomeno, una sottostima – del grado in cui rom-

pendo relazioni finanziarie complesse in contratti seg-

mentati si sarebbe indebolita la capacità delle banche

di valutare e governare la dimensione complessiva di

quel rischio. Dal canto loro, del resto, la teoria econo-

mica prevalente e la regolamentazione bancaria hanno

contribuito a diffondere questa visione erronea. Vi sono

ovvie conseguenze sul rapporto tra banche e territorio.

Nel resto del contributo, la seconda parte è dedicata alla

doppia subordinazione delle banche stakeholder value:

esse, in quanto banche, hanno condiviso con le altre

banche la subordinazione della banca alle logiche del

mercato finanziario e, inoltre, sono state insidiate da un

orientamento prevalente in base al quale anch’esse

sarebbero dovute convergere verso il modello della

società per azioni. Nella terza parte si osserva e si svol-

gono alcune riflessioni sul fatto che la crisi finanziaria ha

generato maggiore instabilità per le banche shareholder

value rispetto a quelle stakeholder value. La quarta

parte trae le principali lezioni della crisi per il tema onde

trattasi e raccoglie le considerazioni conclusive.

L’impostazione teorica:la doppia subordinazione dellebanche stakeholder value2

Subordinazione della banca

al mercato finanziario

Le teorie di riferimento del sistema finanziario si sud-

dividono in due rami principali: la teoria dei mercati finan-

ziari e la teoria della banca. La prima si basa su ipote-

si di mercati completi e di informazione perfetta3. In

particolare, se vale l’ipotesi dei mercati efficienti i prez-

zi delle attività finanziarie dovrebbero riflettere tutte le

informazioni pubblicamente disponibili (Fama, 1970). Se

le informazioni correnti e passate sono immediata-

mente incorporate nei prezzi correnti, allora solamen-

te nuove informazioni potranno causare un cambia-

mento nei prezzi, i quali fanno riferimento sempre al

funzionamento del meccanismo della domanda e del-

l’offerta.

Dall’altro lato, la teoria della banca si basa su ipotesi di

mercati incompleti e di informazione imperfetta.

Dall’intuizione originaria di Stiglitz e Weiss (1981) la

teoria degli intermediari evolve verso il monitoring sui

debitori, delegato alle banche da parte dei risparmia-

tori/depositanti (Diamond, 1984). Ne segue che le

banche svolgono una funzione essenziale di rimedio al

fallimento del mercato del credito, dato che, accumu-

lando informazioni sui debitori, possono ridurre il grado

di asimmetria informativa e impartire a questi ultimi gli

incentivi corretti temperando i problemi di selezione

avversa e di azzardo morale.

Di conseguenza, sembra mancare un ponte tra le due

teorie: quella delle banche, che ci dice che esse esi-

stono per rimediare a un fallimento del mercato, e

quella dei mercati finanziari, che postula l’assenza di fal-

limenti del mercato4.

Si è così generata un’incoerenza teorica di fondo

quando, in seguito alla deregolamentazione e alla

liberalizzazione finanziarie, prassi e regolamentazione

bancarie si sono via via mosse verso modalità operative

tipiche dei mercati finanziari. Le banche che fanno �

I l r a p p o r t o t r a b a n c h e e t e r r i t o r i d o p o l a G r a n d e C r i s i d e l 2 0 0 7 - 2 0 0 9G I O V A N N I F E R R I

2. Per una più diffusa trattazione, si rimanda a Coco e Ferri (2010).3. Questo nonostante una crescente parte della letteratura abbia messo in discussione l’efficienza dei mercati finanziari in termini generali (es. Grossman e Stiglitz,1980) o ipotizzando che nel mercato operino soggetti disinformati, i cosiddetti noise traders (es. Delong e altri, 1990; Shleifer e Summers, 1990).4. Fanno eccezione alcuni autori (es. Allen e Gale, 2000) che hanno lavorato alla costruzione di questo ponte, concludendo che tra banche e mercati esistono forticomplementarità, piuttosto che sostituibilità. Ma tale opera è ampiamente incompleta e, per di più, non ha avuto – almeno fino a prima della crisi – successo neldeterminare l’impostazione delle prassi e della regolamentazione delle banche.

40

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

sempre più finanza, che sono incoraggiate ad accre-

scere la propria redditività diversificando la propria

offerta fuori dal credito tradizionale e verso le attività di

finanza strutturata, l’affermarsi nella regolamentazione

della logica del marking to market delle attività banca-

rie – logica alla base sia degli International Accounting

Standards (IAS) che di Basilea 2: tutti questi elementi

sono estrinsecazioni concrete di una subordinazione

delle banche ai mercati finanziari.

L’incarnazione più plastica dell’assoggettamento della

banca al mercato finanziario la si ritrova nel teorizzare

– come fa Bryan (1988), persona assai influente in

quanto patron del tempo della McKinsey Consulting

– che il modello bancario si deve trasformare dal

desueto tradizionale originate to hold (OTH) al nuovo

modello originate to distribute (OTD, fai il prestito e

vendilo ai mercati finanziari). Nel modello OTH la

banca fa il prestito e lo tiene in bilancio fino alla

scadenza, mentre nel modello OTD appena la banca

fa il prestito lo vende immediatamente mediante una

cartolarizzazione.

Vi sono importanti implicazioni del passaggio da OTH

a OTD per il rapporto tra banca e territorio. Nel model-

lo OTH la banca aveva forti incentivi a tenere rapporti

stretti col territorio, perché l’attività di screening e

monitoring le era essenziale, ma quegli incentivi cado-

no quando la banca si struttura sul modello OTD: essa

si spossesserà subito del rischio di credito e i costosi

investimenti per sapere vita morte e miracoli della

clientela affidata non servono più.

Subordinazione del modello bancario

stakeholder value a quello shareholder value

Inoltre, si fa strada la convinzione che il modello socie-

tario più appropriato per favorire lo sviluppo finanzia-

rio sia quello della banca shareholder value, la quale,

mirando alla massimizzazione del profitto di breve

periodo, sarebbe meglio in grado di cogliere le oppor-

tunità insite nella trasformazione del modello banca-

rio da OTH a OTD. Viene perciò rappresentato come

desueto il modello della banca cooperativa – il proto-

tipo della banca stakeholder value – che, assegnan-

do valore (anche) a obiettivi diversi dalla massimizza-

zione del profitto di breve periodo e equiparando

(almeno sulla carta) – specie attraverso il principio

“una testa un voto”, a prescindere dall’entità del pos-

sesso azionario – il peso nelle scelte aziendali di tutti

gli azionisti, anche quelli minori, permette la rappre-

sentanza di una più ampia platea di detentori d’inte-

resse nella banca.

Viene spesso messa in discussione la corporate

governance delle banche cooperative che, si dice,

contribuisce a generare una dirigenza pressoché ina-

movibile e che, perciò, corre il rischio di essere auto-

referenziale. Sebbene nell’addebito di autoreferen-

zia l i tà c i s iano degl i e lement i concret i , ta le

ragionamento trascura la possibilità che questo sia

proprio un prezzo inevitabile da pagare per consen-

tire la rappresentanza degli stakeholders e il mante-

nimento di un focus localistico e al servizio delle pic-

cole e medie imprese (De Bruyn e Ferri, 2005),

intensamente basato sulle relazioni con la clientela (il

c.d. relationship banking).

Ne consegue che, in quanto maggiormente devote al

relationship banking e dunque più idonee a ridurre le

asimmetrie informative nei confronti dei debitori, le

banche stakeholder value sarebbero quelle più capaci

di rimediare al fallimento del mercato che è all’origine

della nascita della banca. Ma, lungi dal riconoscere ciò,

per molti anni si è assistito a una sorta di disfavor nei

loro confronti da parte del legislatore. Ciò determinava

una doppia subordinazione delle banche stakeholder

value: al pari delle banche shareholder value venivano

ad essere sempre più subordinate ai mercati finanziari

ma, in aggiunta, esse erano anche subordinate rispetto

a quest’ultime nel modello societario.

A testimoniare gli effetti concreti dell’impostazione che

subordinava il modello bancario stakeholder value a

quello shareholder value, la trasformazione di banche

cooperative e mutualistiche – la c.d. demutualization –

è stata una pratica molto diffusa, particolarmente negli

USA e nel Regno Unito. Negli Stati Uniti, le Thrift

Institutions – Savings Banks e Savings and Loans

Banks – a partire dagli anni Ottanta vennero pressoché

interamente trasformate in banche commerciali nella

forma della società per azioni. Nel Regno Unito, al

contempo, subirono la stessa sorte quasi tutte le

Building Societies. Inoltre, anche nell’Europa conti-

nentale – ove la tendenza alla demutualizzazione era

meno intensa – si sono avuti vari casi di trasformazio-

41

ne (es. alcune ex banche popolari in Italia). La trasfor-

mazione ha ovunque modificato profondamente gli

incentivi per gli amministratori di quelle banche.

Generalmente ne è risultato un accorciamento nell’o-

rizzonte temporale se non addirittura un mutamento nel

modello d’affari.

La crisi finanziaria:maggiore instabilità per lebanche shareholder valueLa crisi finanziaria ha colpito i sistemi bancari in tutto il

mondo. Ma, quello che qui più rileva, a essere colpite

di meno dalla crisi sono state proprio le banche che

meno si erano adeguate alla subordinazione richiama-

ta al par. precedente. Analizzando la performance di

Borsa di 226 banche quotate si nota che vi è una cor-

relazione negativa e statisticamente significativa tra la

dimensione e i rendimenti anormali medi sperimentati

dall’azione della banca in due cruciali eventi della crisi:

il 9 agosto 2007, giorno in cui le principali Banche

Centrali furono costrette a intervenire per fornire liquidità

per evitare il collasso del mercato interbancario

conseguente all’esplodere della crisi subprime, e il

15 settembre 2008, giorno in cui il fallimento di Lehman

Brothers impartì un secondo shock negativo su scala

globale5. Inoltre, è per noi ancor più interessante nota-

re come la penalizzazione, in termini di rendimenti anor-

mali, inflitta dai mercati alle banche quotate sia stata

maggiore per le banche che più si erano distaccate dal

modello OTH per andare verso quello OTD. Sebbene

misurare un tale attributo sia piuttosto complesso, una

proxy del fenomeno ci è offerta da un rapporto tra due

voci di conto economico: il rapporto tra margine di

interesse e margine di intermediazione. Dal momento

che il divario tra margine di intermediazione e margine

di interesse tende ad ampliarsi allorché crescono i rica-

vi netti non derivanti dall’attività di intermediazione cre-

ditizia tradizionale, va da sé che valori più elevati del rap-

porto tendono a identificare banche le quali si sono più

spostate verso il modello OTD e, viceversa, valori infe-

riori del rapporto a indicare banche rimaste più anco-

rate al modello OTH.

Ebbene, come mostrano Bongini e altri (2009), vi è una

correlazione positiva – e statisticamente significativa –

tra i rendimenti anormali medi e il rapporto margine di

interesse/margine di intermediazione. Ciò pare con-

fermare che nei momenti decisivi della crisi i mercati

hanno penalizzato di più chi si era maggiormente avvi-

cinato al modello OTD e di meno le banche rimaste più

fedeli al modello OTH. In altri termini, i mercati aziona-

ri sembrano aver premiato il relationship banking, con-

traddicendo palesemente la subordinazione della banca

ai mercati finanziari, orientamento che aveva prevalso

negli scorsi decenni.

E, non a caso, prendendo i valori medi per paese (per

i paesi con almeno 5 banche quotate) ponderati in

base alla dimensione dell’attivo delle singole banche,

si nota che la penalizzazione in termini di rendimenti

anormali è stata minima per l’Italia e la Spagna –

paesi per i quali il rapporto margine di interesse/mar-

gine di intermediazione segnalava un minore allonta-

namento dal modello OTH – e ben maggiore per la

Francia e la Germania, le cui banche quotate si erano

invece avvicinate di più al modello d’affari OTD

(cfr. figura 1)6.

Dunque, anche per la seconda subordinazione, i dati

disponibili paiono contraddire quello che era stato

’orientamento degli anni prima della crisi.

A ulteriore suffragio di ciò, va anche ricordato che le

banche cooperative sono state pressoché ovunque

oggetto di una sorta di “ricerca della fiducia” da parte

dei depositanti che, specie nel dopo Lehman Brothers,

a frotte hanno fatto confluire grandi quantitativi di

depositi verso le banche stakeholder value. Infine, va

osservato che, forse non a caso, alcuni dei più note-

voli casi di bancarotta degli intermediari finanziari hanno

riguardato banche demutualizzate: ad esempio, per

citare solo i casi più noti, Northern Rock e Halifax

Bank of Scotland nel Regno Unito; Washington Mutual

negli USA. �

5. I dati qui ripresi sono stati calcolati, mediante la tecnica dell’event study, da Bongini e altri (2009) sull’insieme di tutte le 226 banche quotate per le quali è statopossibile reperire le informazioni rilevanti. L’insieme include 4 banche della regione baltica/scandinava, 2 del Belgio, 7 della Francia, 8 della Germania, 15 dell’Italia,91 del Giappone, 2 dei Paesi Bassi, 9 della Spagna, 6 del Regno Unito e 82 degli Stati Uniti.6. Questa indicazione non è però confermata per il Giappone, probabilmente in ragione di effetti specifici nazionali in un paese ove il sistema bancario ha sofferto alungo della crisi deflazionistica avviatasi ai primi anni Novanta.

I l r a p p o r t o t r a b a n c h e e t e r r i t o r i d o p o l a G r a n d e C r i s i d e l 2 0 0 7 - 2 0 0 9G I O V A N N I F E R R I

42

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Lezioni della crisi e conclusioniIl modello bancario basato sul relationship banking –

tipico, sebbene non esclusivo, delle banche coopera-

tive e caratteristico di più stretti rapporti banca-territorio

– è il vero vincitore in seguito alla profonda instabilità

finanziaria del 2007-09. Oggi, con il beneficio dell’in-

ventario, è chiaro che il diffuso utilizzo del modello

OTD è stato uno dei fattori fondamentali dietro alla

perdita generalizzata di comportamenti responsabili

da parte delle banche. In particolare, è abbastanza logi-

co che, quando la banca sa ex ante che – mediante le

cartolarizzazioni – venderà subito quei prestiti che si

appresta erogare, per essa vengono meno gli appro-

priati incentivi a esercitare diligentemente le sue funzioni

di selezione (screening) e controllo (monitoring) sugli affi-

dati. Perciò, sarà molto probabile un generale abbas-

samento degli standard creditizi, un fenomeno parti-

colarmente preoccupante in contesti nei quali il rischio

di default dei debitori è assai alto, così come nel caso

del segmento dei mutui subprime. Ma, come si è

argomentato, la crisi deriva anche da errori teorici più

profondi.

La percezione che i rischi potessero essere seg-

mentati – in primis con le cartolarizzazioni – trascurava

il problema che parcellizzare relazioni finanziarie com-

plesse in contratti segmentati determina, con tutta

probabilità, un indebolimento della capacità degli

intermediari di giudicare e governare la dimensione

complessiva di quei rischi. Infatti, se un debitore affi-

da tutti i suoi affari finanziari a una sola banca con-

troparte, quella banca (mediante il relationship ban-

king: Boot, 2000) potrà avere accesso a informazioni

privilegiate (soft information), che andranno invece

perse quando quel cliente ripartisca i suoi affari con

diverse banche controparti. Al tempo stesso, nel-

l’ambito di una relazione bancaria singola, la banca ha

gli incentivi appropriati a svolgere lo screening e il

monitoring dei debitori, così acquisendo informazio-

ni private su di essi.

Dal canto suo, la regolamentazione ha contribuito a pla-

smare un sistema bancario meno sicuro, ad esempio

attraverso gli IAS e Basilea 2, che hanno introdotto un

incentivo regolamentare a usare tecnologie di

rating/scoring. Limitiamoci a considerare gli andamenti

prociclici potenzialmente indotti dalla diffusione del

credit rating/scoring e disseminati ai requisiti di capitale

attraverso i modelli di rating interni delle banche. Questo

può essere etichettato come il `lato oscuro’ del credit

rating/scoring (Ferri, 2001). Essendo legato alla situa-

zione corrente piuttosto che alle prospettive future, il

credit rating/scoring può indurre fluttuazioni procicliche

nel costo e nella disponibilità di credito, il che potreb-

be amplificare le fluttuazioni nell’offerta di credito e, quin-

di, nell’attività economica.

FIGURA 1. Propensione al modello OTH e rendimenti anormali

- 5

- 4

- 3

- 2

- 1

0

10,503 0,353 0,351

0,567 0,643 0,563 0,484 0,482 0,488

- 0,358

Regione Baltica

MINS/MITD ponderato

Francia Germania Italia Giappone Spagna Regno-Unito USA Totale

- 2,266

- 4,227

- 0,143

- 1,795

- 0,102

- 0,965- 0,637

- 1,549

AR medio ponderato (%)

43

La crisi segna l’esigenza di un ripensamento anche per

l’impostazione (in precedenza) negativa nei confronti

delle banche stakeholder value che, non a caso, si sono

comportate meglio dei quelle shareholder value. In

particolare va ribadito che gli intermediari del primo tipo

paiono maggiormente propensi a seguire modelli d’af-

fari più orientati al lungo periodo e, pertanto, idonei a

rafforzare il relationship banking, a favorire così com-

portamenti responsabili, in luogo di quelli irresponsa-

bili all’origine della crisi e a mantenere solide radici nel

territorio.

Il compito è difficile – perché occorre correggere molte

credenze erronee – ma non impossibile e, soprattutto,

è importante. ◗

I l r a p p o r t o t r a b a n c h e e t e r r i t o r i d o p o l a G r a n d e C r i s i d e l 2 0 0 7 - 2 0 0 9G I O V A N N I F E R R I

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44

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M É R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Il ruolo delle banche del territorio nelsistema bancario italiano

Cariparma e Friuladria per loro natura estoria si sono sempre caratterizzatecome Banche del Territorio. EssereBanca del Territorio è un’attitudine; nonsi tratta solo di vicinanza territoriale, masoprattutto di un approccio verso ilterritorio inteso in senso ampio. EssereBanca del Territorio significa esserevicini al mondo del cliente.

Banca del territorio come “attitudine”La crisi economica in atto ha riportato al centro del-

l’attenzione il tema della vicinanza al territorio da parte

delle banche. Il concetto di Banca del Territorio è stato

a volte utilizzato più come uno slogan che per gli effet-

tivi contenuti. In realtà, l’attualità di questi argomenti deri-

va dall’esplicita esigenza della clientela di interfacciar-

si con una banca che gli sia vicina; esigenza che non

sempre ha trovato una risposta.

Il concetto di Banca del Territorio non è un concetto

geografico né un fatto dimensionale ma è un’attitudine;

non si tratta solo di vicinanza territoriale, ma soprattutto

di un approccio verso il territorio inteso in senso

ampio. Un rapporto continuo con i diversi stakeholders

che genera un circolo “virtuoso”. In questo senso,

Cariparma e Friuladria per loro natura e storia si sono

sempre caratterizzate come Banche del Territorio.

Fare banca come Banca del Territorio significa plasmare

la propria azione e la propria struttura sulle esigenze e

sulle caratteristiche dei soggetti con cui si interagi-

sce, siano essi imprese, famiglie o istituzioni.

Il contesto economico italiano si caratterizza per un tes-

suto produttivo con una componente di piccole e

medie imprese superiore rispetto alla media dei paesi

più avanzati: 3,7 milioni di imprese (2,2 milioni in

Francia) che generano quasi due terzi del PIL italiano

(51% del PIL in Francia). La dimensione media delle

imprese italiane risulta pari a 4 addetti contro i

6,4 addetti dell’Unione Europea, 12,2 della Germania,

5,9 per la Francia. A questa frammentazione e capillarità

hanno fatto però da contraltare alcune caratteristiche

tipiche delle imprese: flessibilità, velocità e reattività ai

GIAMPIERO MAIOLI

Amministratore delegato e direttore generale,Gruppo Cariparma Friuladria

45

I l r u o l o d e l l e b a n c h e d e l t e r r i t o r i o n e l s i s t e m a b a n c a r i o i t a l i a n oG I A M P I E R O M A I O L I

mutevoli contesti economici, in un mercato del lavoro

ancora rigido e condizionato da regimi fiscali non favo-

revoli (l’Italia figura al primo posto nell’Unione Europea

per tassazione del lavoro dipendente con il 43% con-

tro il 34,4% della Unione Europea). Inoltre, la specia-

lizzazione di gruppi di imprese in determinate aree

geografiche ha dato vita ai distretti industriali: fare

impresa in alcune aree del Paese è cosa diversa dal-

l’esercitare attività economica in altre aree.

L’evoluzione e la sopravvivenza dei distretti industriali

post crisi è peraltro legata in maniera indissolubile alla

capacità degli stessi di reinventarsi in termini di inter-

nazionalizzazione e di ricerca di nuovi mercati. In que-

sto senso il processo si è già innescato: nel primo tri-

mestre 2010, rispetto allo stesso trimestre dell’anno

precedente, si è registrata una variazione positiva delle

esportazioni (+6,6%), ponendo fine a quasi due anni di

andamenti negativi.

Inoltre, ci sono le famiglie che rappresentano una risor-

sa inestimabile per l’intero sistema Paese, sia sotto il

profilo economico e del risparmio, che per i valori di cui

sono portatrici. La loro propensione al risparmio rima-

ne tra le più alte in Europa con una percentuale del 14%

contro una media dell’Unione Europea del 13,3%,

anche se risulta in progressiva riduzione.

In quest’ottica, fare banca significa essere radicati for-

temente sul territorio, sviluppare esperienza nel for-

nire prodotti e servizi a misura del cliente e avere la

necessaria solidità patrimoniale per affrontare i

momenti di crisi. In altre parole, essere vicini al

mondo del cliente. Gli elementi che qualificano tutto

ciò sono ben chiari. Si tratta soprattutto di consen-

tire una più facile accessibilità al credito anche per la

creazione di nuove imprese, con i poteri di decisio-

ne nell’erogazione dei finanziamenti collocati più in

basso. Va garantito un rapporto di fiducia duraturo e

personalizzato con la clientela, anche attraverso la

maggiore permanenza dello staff operativo e il pre-

sidio degli sportelli nei piccoli comuni. La banca così

interpretata crea uno stretto legame con le sorti eco-

nomiche della comunità in cui opera, diventando

motore attivo di sviluppo. Il tutto viene sostenuto

da forme societarie diversificate (società cooperati-

ve, banche popolari, società per azioni), dalle carat-

teristiche dei propri soci, e da entità importanti quali

le fondazioni bancarie. Queste ultime hanno un rile-

vante ruolo nella vita sociale ed economica del Paese

sia per finalità sociali e di promozione dello sviluppo

economico, sia nella veste di investitori istituzionali.

Con gli utili derivanti dalla gestione dei loro patrimo-

ni, traggono le risorse per sostenere attività d’inte-

resse collettivo.

Questo modo di vedere il sistema bancario è importante

anche alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi due

anni sui mercati finanziari internazionali.

L’innovazione finanziaria e la deregolamentazione

hanno cambiato il ruolo svolto da molte banche, il loro

stesso modello di business. Le Banche del Territorio,

intese nel senso che abbiamo visto, non l’hanno

fatto. Sono rimaste fedeli alla loro mission. Sono

rimaste vicine alle imprese, hanno continuato a fornire

il proprio sostegno all’economia reale impegnata a

resistere ai contraccolpi della crisi internazionale.

L’andamento dei prestiti bancari negli ultimi anni lo

conferma: in un contesto economico che ha visto un

calo del PIL del 5% nel 2009, c’è stata una crescita

nelle erogazioni da parte delle banche con forte voca-

zione territoriale (banche piccole e di credito coope-

rativo) e un ritmo molto più contenuto da parte dei

primi cinque gruppi bancari.

CARTA 1. Distribuzione dei distretti industriali in Italia

46

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� In particolare, il Gruppo Cariparma Friuladria nel 2009

ha registrato una crescita degli impieghi alla clientela del

5,5%, contro una crescita a livello di sistema intorno al

2%. La sola Cariparma ha stipulato, nel 2009, circa

14.500 mutui (+78% rispetto all’anno precedente) e ha

incrementato del 15,1% i prestiti alle imprese. Gli

accordi con le associazioni di categoria e con i Consorzi

di garanzia fidi (Confidi) sono aumentati, per garantire

i finanziamenti erogati alle piccole e medie imprese. A

questi vanno aggiunti interventi di natura “sociale” con

una vasta gamma di soluzioni per rispondere effica-

cemente ai bisogni contingenti di famiglie e imprese.

Questi dati confermano che un contesto produttivo con

relazioni e valori non standardizzabili ha difficoltà a

ritrovarsi a pieno nei modelli organizzativi dei grandi

gruppi bancari. Per questa ragione è cresciuto il ruolo

delle Banche del Territorio che associano una profon-

da conoscenza delle realtà dove sono insediate con la

disponibilità di risorse, di strumenti innovativi e maga-

ri anche di una proiezione internazionale, grazie all’in-

serimento in reti di maggiori dimensioni, come è il

caso di Cariparma e Friuladria in Crédit Agricole.

Un modello organizzativo perminimizzare le distanzeIl legame fra banche, territorio e cliente si concretizza

in un modello organizzativo che incarna “l’approccio”

e “l’attitudine” verso il territorio. Lo scopo è quello di

creare i presupposti organizzativi che minimizzino le

distanze operative e funzionali. Per distanza inten-

diamo lo spazio che separa i clienti dalla banca e,

come detto, si esplica su due ambiti. Da un lato c’è la

distanza “operativa”, fisica, che è influenzata dalla dis-

tribuzione degli sportelli bancari, dalle scelte di pene-

trazione in un determinato territorio. Dall’altro lato c’è

la distanza “funzionale”, che separa i centri decisionali

delle banche dai sistemi locali: tanto più accentuata è

questa distanza, minore sarà la sensibilità verso le

richieste differenziate della clientela e minore sarà l’of-

ferta “su misura” del servizio. Quindi, organizzazioni

snelle, leve decisionali corte e strutture sempre più

focalizzate sulla clientela.

Sono queste le caratteristiche del Gruppo Cariparma

Friuladria che ha modulato le sue strutture sui territo-

ri di riferimento, recependo le esigenze dei propri sta-

keholders, facendo leva su quei valori di solidità, fidu-

cia e flessibilità che rappresentano il tratto distintivo di

quei territori. L’inserimento in un primario gruppo ban-

cario mondiale quale il Gruppo Crédit Agricole con-

sente poi di sviluppare la capacità di innovare, la soli-

dità patrimoniale e l’apertura internazionale necessaria

per rispondere alle crescenti esigenze di una cliente-

la sempre più attenta. Una banca “corta” forte-

mente radicata nell’economia e nel contesto socia-

le dei territori in cui opera: questo in sintesi il Gruppo

Cariparma Friuladria.

FIGURA 1. Prestiti bancari per gruppo dimensionale di banca (dati mensili)

Fonte: Relazione Annuale Banca d’Italia 2009 – segnalazioni di vigilanza

20

15

10

5

0

- 5

20

15

10

5

0

- 52004 2005 2006 2007 2008 2009 10

Variazioni percentuali sui 12 mesi

Primi 5 gruppiAltre banche grandiBenche piccoleBenche di credito cooperativoTotale

47

I l r u o l o d e l l e b a n c h e d e l t e r r i t o r i o n e l s i s t e m a b a n c a r i o i t a l i a n oG I A M P I E R O M A I O L I

Tre drivers strategici:responsabilità sociale, “fare utilisostenibili” e “fare sviluppo”Le Banche del Territorio si trovano oggi ad interpreta-

re il ruolo di motori propulsivi per la crescita della

comunità di riferimento. Come detto, per fare questo

bisogna conoscere in modo adeguato i propri clienti.

Non è facile e forse oggi è diventato ancora più diffici-

le, in particolare con le imprese, perché è il mondo eco-

nomico che ha aumentato la propria complessità.

L’acronimo “glocal” (globalizzazione/localismo) sintetizza

i nuovi scenari:

• globalizzazione, con mercati finanziari e reali sempre

più ampi e informazione standardizzata e diffusa;

• localismo, con la valorizzazione delle peculiarità dei

diversi assetti sociali, organizzativi e produttivi che

caratterizzano i sistemi locali.

Le Banche del Territorio, in particolare, hanno il diffici-

le ma ineludibile compito di capire le imprese conci-

liando questi due aspetti. L’apertura ai mercati globali

può servire da stimolo a superare barriere protettive ed

inefficienze dei sistemi locali. La valorizzazione dei

punti di forza del localismo può fornire elementi com-

petitivi per operare sui mercati globali. Solo creando i

presupposti per rivitalizzare il territorio, inteso nel senso

in cui l’abbiamo descritto, saremo in grado di rilancia-

re la produttività e la crescita del Paese.

Sintetizzando, quindi, per le Banche del Territorio si

esplicitano tre diversi ordini di responsabilità:

• La responsabilità sociale, che vede la banca come

un sistema aperto che interagisce con una molteplici-

tà di “portatori di interesse” (individui e Gruppi) che con-

corrono ai suoi risultati e ne ricavano dei benefici. Negli

ultimi anni un numero sempre crescente di aziende,

compreso il Gruppo Cariparma Friuladria, ha realizza-

to bilanci sociali, codici etici ed altri strumenti di attua-

zione della Responsabilità sociale d’Impresa (CSR).

L’integrazione volontaria di istanze etiche, sociali ed

ambientali dentro le attività commerciali dell’impresa e

nei suoi rapporti con gli stakeholders è fondamentale.

Questo vale per qualsiasi tipo di impresa evoluta ed è

particolarmente significativo per un’impresa come la

banca che fonda la sua attività sulla fiducia. Il Gruppo

Cariparma Friuladria è da sempre attento alle comunità

in cui opera. A conferma di ciò basti pensare che nel-

l’ultimo triennio sono state effettuate più di 1.000

assunzioni e che nel solo 2009 sono stati erogati quasi

5 milioni di euro per iniziative di welfare locale, realizzate

con il coinvolgimento di enti ed associazioni.

• La responsabilità dell’efficienza gestionale, che

pone al centro dell’attenzione l’azienda come soggetto

che deve scegliere le soluzioni organizzative e operative

più efficienti in termini di redditività (“fare utili”), ma

anche di sicurezza, di capacità innovativa, di qualità del

Il capitale sociale Il capitale economico Distribuzione territoriale filialiGruppo Cariparma Friuladria

Fino a 75,075,1 - 100,0100,1 - 125,0125,1 e oltre

variazione negativa0,0 - 0,730,74 - 0,991,00 e oltre

Quota di mercato (agenzie) > 9%Quota di mercato (agenzie) 3,5 - 9%Quota di mercato (agenzie) < 3,5% Prossimi distaccamenti CRP

FIG

UR

A2

Popolazione residenteTasso di variazione medio annuo 2001-2008.

PIL pro capite (Italia = 100) dati 2008 Numero di agenzie per provincia

48

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� capitale umano. In definitiva, si tratta di percorrere un

sentiero di crescita sostenibile privilegiando la redditi-

vità e la permanenza di lungo periodo della relazione

bancaria (evitando i guadagni facili e di breve termine).

• la responsabilità dello sviluppo territoriale, che

valorizza le diverse potenzialità dei sistemi locali (“fare

sviluppo”), dove le banche concorrono con una pluralità

di altri attori a determinare la crescita. Non si tratta sem-

plicemente di quantità di credito erogato e di condizioni

applicate, ma anche di capacità di selezionare progetti,

di incentivare le innovazioni, di valutare le potenzialità

delle imprese locali, di affermare i principi di trasparenza,

di fiducia e di merito professionale. Le banche assu-

mono il ruolo strategico di agente di sviluppo che non

si limita a finanziare le imprese, ma soprattutto contri-

buisce a far maturare una cultura dello sviluppo e a for-

mare una classe dirigente locale di imprenditori, di

professionisti, di amministratori.

I gruppi bancari di maggiori dimensioni che agiscono

prevalentemente sui grandi circuiti di intermediazio-

ne, tendono a privilegiare l’efficienza gestionale rispet-

to a quella territoriale. Le banche locali realizzano un

legame più solido con il territorio di appartenenza e risul-

tano più direttamente coinvolte nel suo sviluppo, senza

perdere di vista l’efficienza e la creazione di valore.

Promuovere cultura in un contestofavorevoleRiassumendo, la missione delle Banche del Territorio

è quella di promuovere una nuova cultura impren-

ditoriale, tenendo bene in mente quali sono le

responsabilità e i compiti che sono chiamate a

svolgere.

Solo così può essere supportato e favorito lo svi-

luppo del capitale sociale del nostro Paese. Creare

capitale sociale significa creare le premesse per

lo sviluppo economico. Il primo è il prerequisito per-

ché il secondo possa esistere e la compresenza

dei due crea contesti favorevoli e di benessere col-

lettivo.

Il modello di Banca del Territorio è stato un modello vin-

cente fino ad oggi ma non può permettersi di restare

un modello statico e consolidato di fronte alle nuove

sfide che l’attendono. Il mondo delle famiglie e delle

imprese sta reagendo alla crisi con modalità diversifi-

cate che richiedono ancora maggiore “prossimità” per

essere colte. Quindi, è necessario essere sempre più

vicini al mondo del cliente, cosa su cui Cariparma e

Friuladria, in linea con i valori del Gruppo Crédit Agricole,

hanno sempre creduto e da cui deriva una parte impor-

tante della loro legittimazione. ◗

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

49

Il ruolo delle Fondazioni comeinvestitori istituzionali delle banche

Le Fondazioni costituiscono unelemento di stabilità degli assettiproprietari delle banche. Esse ricopronopositivamente quel ruolo di soci stabiliche, nella realtà italiana, altri investitoriistituzionali non sarebbero in grado disvolgere.

CARLO GABBI

Presidente, Fondazione Cariparma

Un investitore stabile con losguardo al lungo periodoAd oltre dieci anni dalla legge sulle Fondazioni banca-

rie del 1999, si può affermare senza ombra di dubbio

che il progetto che ne stava alla base è stato sostan-

zialmente attuato: il sistema bancario italiano ha con-

tinuato la profonda trasformazione avviata negli anni

’90 con il contributo essenziale delle Fondazioni, dimo-

stratesi capaci di interpretare in maniera costruttiva

ed efficace il proprio particolare ruolo in un contesto nor-

mativo e finanziario profondamente mutato.

Intervenendo nell’ottobre 2009 alla Giornata Mondiale

del Risparmio, nel momento più acuto e incerto dallo

scoppio della crisi, il Governatore della Banca d’Italia

Mario Draghi richiamava le Fondazioni a continuare a

svolgere il proprio ruolo di azionisti delle banche con lun-

gimiranza e dinamismo.

Significativo, in un periodo di notevoli difficoltà dei

mercati finanziari, è stato l’importante riconoscimento

del ruolo delle Fondazioni espresso dal Governatore in

M. Drophi la quale ha evidenziato che “le Fondazioni

sono state un’ancora per le banche italiane. Le hanno

accompagnate, anche nella fase più tempestosa della

crisi finanziaria, nel rafforzamento patrimoniale; le stan-

no accompagnando ora nella debole ripresa che si pro-

spetta. Molte hanno accettato sacrifici nell’immediato,

contribuendo alla solidità del sistema, alla capacità

delle banche di fare credito all’economia, alla valoriz-

50

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

zazione di lungo termine del proprio stesso investi-

mento. La crisi ha mostrato come le Fondazioni pos-

sano andare al di là della funzione che ci si attende da

un investitore istituzionale: questi ha una voce autore-

vole fintantoché i suoi clienti gli affidano i loro risparmi

da gestire; si affievolisce e muore quando essi li ritirano.

La voce delle Fondazioni non segue le alterne vicende

dei mercati, il loro sguardo tende al periodo medio-

lungo. Il sistema bancario italiano, dopo le grandi fusio-

ni di due anni fa, ha bisogno di stabilità per affrontare

le sfide gestionali e strategiche che l’uscita dalla crisi

richiede. Ha bisogno che le Fondazioni continuino ad

accompagnarne il rafforzamento patrimoniale e per-

severino in quel ruolo, di azionista presente ma non

intrusivo nella gestione, che è stato negli ultimi anni alla

base del loro successo”.

Favorite dalle politiche condotte negli ultimi anni e

dalle regole contabili di settore, le Fondazioni hanno

infatti costituito un elemento di stabilità degli assetti pro-

prietari in momenti di turbolenza dei mercati; hanno

contribuito a sostenere la capitalizzazione dei principali

gruppi bancari, con apporti diretti e rinunce sul versante

dei dividendi.

Più di recente, in occasione delle “Considerazioni fina-

li” lette il 31 maggio 2010, il Governatore ha infine

ribadito che il ruolo delle Fondazioni come azionisti

delle banche non può che essere quello stabilito dalla

legge: investitori il cui unico obiettivo sta nel valore

economico dell’investimento.

Le fondazioni bancarie tra passato,presente e futuroIn un’ottica di lungo periodo tipica degli investitori isti-

tuzionali, le Fondazioni hanno svolto un ruolo positi-

vo nell’accompagnare, a partire dagli anni ’90, il pro-

cesso di privatizzazione, la ristrutturazione e il

rafforzamento del s istema bancario i ta l iano.

L’allentamento della presenza nel capitale delle ban-

che è avvenuto in maniera ordinata e nel rispetto dei

vincoli legislativi.

Secondo dati riferiti a settembre 2009, 18 enti hanno

scelto di non detenere più direttamente partecipazio-

ni nelle società conferitarie (erano 9 nel 1999) e 15

detengono una partecipazione superiore al 50 per

cento del capitale (44 nel 1999); dei rimanenti 55

detentori di partecipazioni di minoranza (36 nel 1999),

solo 23 detengono più del 20 per cento.

Rispetto a dieci anni fa, la presa delle fondazioni sul

sistema bancario è quindi certamente meno diretta e

l’entità della loro partecipazione è certamente diminuita,

anche in conseguenza dei processi aggregativi che il

nostro sistema ha vissuto negli ultimi anni. Le fonda-

zioni hanno acquisito un loro statuto articolato, hanno

visto riconosciuta la loro natura privata e hanno cer-

tamente potenziato la loro capacità di operare per il

conseguimento dei fini sociali che ne giustificano l’e-

sistenza.

Le partecipazioni bancarie continuano comunque a

costituire una parte importante degli attivi delle

Fondazioni, mentre la presenza di altri investitori isti-

tuzionali nel capitale delle banche è ancora limitata.

Resta da chiedersi se, anche rispetto alla ratio della rifor-

ma del 1999, la situazione presente, che vede le fon-

dazioni in una posizione eminente, ma non di control-

lo, nei maggiori gruppi bancari italiani, possa

considerarsi un punto di arrivo o solo una tappa di un

processo in ulteriore evoluzione.

Ciò equivale a chiedersi, in altre parole, se la struttura

proprietaria dei maggiori gruppi bancari italiani, che vede

in posizione eminente le Fondazioni, sia ottimale per il

sistema bancario, soprattutto in relazione alla possibi-

lità teorica che le Fondazioni non siano in grado di

assicurare, in futuro, un adeguato flusso di capitale pro-

prio alle banche partecipate.

In proposito, a me sembra di poter affermare che oggi,

in un periodo in cui sono sentite fortemente le esi-

genze di stabilità proprietaria delle banche, e tenuto

conto dell’inesistenza di alternative nazionali per rilevare

le quote delle Fondazioni, queste sono viste quali inter-

preti di un ruolo di supplenza degli altri “investitori isti-

tuzionali”.

Queste riflessioni si ricollegano, del resto, al dibattito che

ha accompagnato il processo di privatizzazione del

sistema bancario italiano ed il passaggio dagli enti

conferenti alle fondazioni, dibattito che, fin dall’origine,

è stato contrassegnato da una netta contrapposizio-

ne tra i sostenitori della necessità di affrancare le ban-

che da ogni influenza da parte delle fondazioni e colo-

ro che valutavano in termini positivi la permanenza

delle Fondazioni nel capitale delle banche, non più

51

nella veste di controllanti, ma quali soci istituzionali di

lungo termine, interessati ad una crescita di valore

dell’investimento sostenibile nel tempo.

La partecipazione delle Fondazionial capitale delle banche e gli effettisulla corporate governancePrima che la legge Ciampi prevedesse l’obbligatoria dis-

missione del controllo delle banche e, nel contempo,

riconoscesse la natura privatistica delle fondazioni

bancarie, la presenza di queste ultime, in qualità di con-

trollanti, era considerata un elemento di anomalia

nella corporate governance delle banche, in quanto

espressione di quella proprietà “pubblica” cui veniva

attribuita la principale responsabilità dell’arretratezza

e dell’inefficienza del nostro sistema bancario e il cui

superamento veniva invocato come condizione indi-

spensabile a consentirne un allineamento alle logi-

che di mercato e alle regole di efficienza, competitivi-

tà e creazione di valore per gli azionisti che ne

conseguono.

Più di recente, una parte della dottrina ha ritenuto di

estendere alle partecipazioni “influenti” nelle banche,

ancorché non di controllo, quelle stesse ragioni di

opportunità che avevano indotto il legislatore ad impor-

re la dismissione del controllo: osterebbero, a giudizio

di tale dottrina, la natura delle fondazioni bancarie che,

nonostante la formale qualifica di “persone giuridiche

private”, continuerebbero a conservare significativi

connotati pubblicistici; il rapporto con gli enti locali

che le renderebbe particolarmente permeabili ad influen-

ze di natura politica; il rischio di una ingessatura degli

assetti proprietari che sarebbe di ostacolo ad una

maggiore contendibilità ed efficienza delle banche.

Non mancano, per contro, sostenitori dell’opportuni-

tà del mantenimento della presenza delle fondazioni nel

capitale delle banche quali soci stabili, orientati ad

uno sviluppo sostenibile e quindi più affidabili, come

investitori di medio e lungo periodo, della gran parte dei

possibili azionisti di riferimento degli istituti di credito.

La partecipazione delle Fondazioni al capitale delle

banche continua, pertanto, ad essere oggetto di un

acceso dibattito che coinvolge, da un lato, la natura

stessa e il ruolo delle fondazioni bancarie, quali pecu-

liari investitori istituzionali o enti votati esclusivamente

al perseguimento di finalità sociali e, dall’altro, il tema

degli assetti proprietari, dello sviluppo e dell’efficienza

del sistema bancario.

In proposito, a me pare di poter affermare, condividendo

in ciò le autorevoli opinioni di più illustri commentatori,

che le fondazioni bancarie sono state tra i pochi

investitori che, come soci istituzionali delle banche

partecipate, hanno svolto un ruolo attivo nella gover-

nance, indotto dal convincimento che la presenza nelle

banche non costituisce un puro investimento finanziario,

ma risponde anche a quella finalità di “promozione

dello sviluppo economico” dei territori di riferimento che

l’art. 2, comma 1°, D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153 indi-

ca tra gli scopi della fondazione.

Il giudizio specifico sull’operato delle fondazioni bancarie

quali soci istituzionali non può, certamente, essere

univoco e generalizzato, senza tener conto cioè delle

diverse situazioni che vedono, in taluni casi, una pre-

senza maggioritaria nel capitale di una o più fondazioni,

in altri una maggioranza relativa molto elevata, in altri

ancora una presenza minoritaria rilevante di una sola

fondazione o di più fondazioni; situazioni che nel loro

diverso dispiegarsi a volte hanno concretamente ali-

mentato il dibattito sopra accennato.

Ma ugualmente, a mio avviso, non si può negare il ruolo

positivo svolto in generale dalle fondazioni nel pro-

cesso di rapida evoluzione in senso privatistico e di

apertura al mercato del nostro sistema bancario1, che

ne ha certamente migliorato l’efficienza e la competi-

tività molto di più di quanto non sia avvenuto in altri

paesi europei, dove la presenza pubblica è ancora

molto rilevante.

Naturalmente, come è inevitabile in un processo di

cambiamento cosí rapido, questa evoluzione non è

avvenuta senza resistenze, tensioni e qualche com-

portamento contradditorio e discutibile, ma, nel com-

plesso, le fondazioni hanno saputo, sino ad ora, ope- �

I l r u o l o d e l l e f o n d a z i o n i c o m e i n v e s t i t o r i i s t i t u z i o n a l i d e l l e b a n c h eC A R L O G A B B I

1. Dalla ricerca congiunta di Banca d’Italia e Consob su: The evolution of ownership and control structure in Italy in the last 15 years coordinata da M. Bianco eM. Bianchi e pubblicata nel dicembre 2008 si ricava che, tra le società quotate italiane, le banche sono nettamente quelle che presentano il più basso grado diconcentrazione della proprietà, mentre la presenza pubblica nel capitale è completamente sparita.

52

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

rare nel rispetto di obiettivi di efficienza e di crescita del

valore e della redditività dell’investimento, traendone

significativi benefici economici in termini di incremen-

to patrimoniale e di disponibilità delle risorse da desti-

nare ai propri fini istituzionali.

La mia opinione è dunque che, se sul piano teorico

potrebbe forse legittimamente ritenersi che le

Fondazioni non debbano rimanere l’unico esempio

così diffuso di investitore istituzionale nel capitale delle

banche, sul piano pratico è difficile, ad oggi, immagi-

nare un soggetto effettivamente alternativo alle

Fondazioni.

Un socio stabile ed orientato allosviluppo del territorioLe fondazioni bancarie hanno ricoperto positivamente

quel ruolo di soci stabili che, nella realtà italiana, altri

investitori istituzionali non sono in grado di svolgere.

Altre possibili alternative, quali le partecipazioni di

imprese industriali o di imprese assicurative, non

potrebbero assumere il medesimo rilievo senza gravi

rischi di conflitti di interesse.

Giova ricordare, al riguardo, come la disciplina che

regola l’attività delle fondazioni bancarie contenga un

aspetto saliente, che valorizza il ruolo dalle stesse

assunto nel mercato finanziario e caratterizza il loro agire

come investitori istituzionali.

Tale aspetto saliente va identificato nel riferimento fatto

dal Legislatore (art. 7, comma 1, del D.Lgs. 153/99) alle

“finalità istituzionali ed in particolare allo sviluppo del ter-

ritorio” come principio guida di impiego del patrimonio;

tale riferimento, da un lato, ribadisce il principio per cui

il patrimonio deve essere gestito “in modo coerente con

la natura delle Fondazioni quali enti senza scopi di

lucro” enunciato dal 1° comma dell’art. 5 (il che impe-

disce che la fondazione possa gestire la propria finan-

za come un fondo speculativo o proporsi obiettivi di

massimizzazione della redditività degli investimenti ai

quali si accompagni l’assunzione di rischi molto elevati),

dall’altro, indica un criterio preferenziale, in presenza di

un adeguato ritorno economico, per quegli investi-

menti che possono fornire un supporto alle altre attività

rientranti nei fini istituzionali delle fondazioni e allo svi-

luppo del territorio.

Questa, oggettivamente, mi pare sia la logica che ispi-

ra la partecipazione delle fondazioni alle banche. Da un

lato è un investimento che ha consentito di realizzare

una notevole valorizzazione del patrimonio ed una

adeguata redditività, dall’altro, ha dato l’opportunità di

presidiare, quali soci stabili e influenti, l’interesse a che

le banche partecipate, in un quadro di efficienza gestio-

nale, non facciano venire meno il sostegno allo sviluppo

dell’economia dei territori di riferimento.

Le fondazioni bancarie non sono forse i soci stabili ideali

(sul piano teorico) di una banca e non è detto che in

futuro siano in grado di mantenere questo ruolo assi-

curando il necessario sostegno finanziario alla cresci-

ta delle banche partecipate, ma sembrano oggi deci-

samente migliori di altri che potrebbero prendere il

loro posto.

Non è nell’interesse delle Fondazioni, e tantomeno

del sistema bancario, tornare a quando la maggio-

ranza di turno nominava gli amministratori delle banche

e suggeriva i clienti di riguardo, ed in ciò le Fondazioni

hanno svolto al meglio un ruolo di “diaframma” tra la

politica e le banche, contribuendo alla stabilità del

sistema nella convinzione che una cosa è il rispetto del

territorio, altra è il legame con la politica. ◗

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

53

I problemi di finanziamento delle PMIe il loro accesso ai mercati esteri

Una dimensione modesta e una fortedipendenza dal credito bancariorendono talvolta difficile l’operativitàdelle PMI italiane nei mercati esteri.Tuttavia, una collaborazione tra bancapresente sul territorio eassicuratore può contribuire adampliare la disponibilità di credito dellePMI e sostenerle nei loro progetti dicrescita.

IN UN’ECONOMIA ITALIANA caratterizzata da impre-

se di piccole e medie dimensioni, tipicamente dipen-

denti dal canale bancario, la contrazione del credito

indotta dalla crisi economica internazionale e l’au-

mento del costo della liquidità hanno fatto emergere

situazioni di squilibrio nel rapporto tra imprenditori e

sistema finanziario.

In particolare la struttura del passivo delle PMI italiane,

caratterizzata mediamente da un’incidenza dei debiti

finanziari sul patrimonio netto significativamente più

elevata rispetto agli altri paesi europei, e la restrizione

delle politiche di selezione del credito a causa del

deterioramento della qualità degli attivi, hanno deter-

minato un inasprimento delle condizioni di accesso al

credito.

In questo contesto, una collaborazione di sistema che

coniughi la presenza stabile sul territorio del sistema

bancario con l’intervento di assicuratori del rischio di

credito quali Export Credit Agencies (ECAs) e Confidi,

può contribuire ad ampliare la disponibilità di credito per

le imprese e in particolare per le PMI, limitando la

richiesta di garanzie collaterali. Attraverso il trasferimento

del rischio di credito all’assicuratore, la banca libera

risorse per ulteriori impieghi a favore del sistema (“effet-

to volano”), grazie ai minori accantonamenti prudenziali.

Tale collaborazione viene generalmente definita nel-

l’ambito di accordi quadro tra banca ed ECA che

disciplinano la tipologia dei finanziamenti assicurabili

(spesso nell’ambito di programmi di sostegno all’in-

ternazionalizzazione), le modalità di analisi del merito

creditizio e di definizione del pricing.

Oltre ai benefici per le imprese, anche tra banca ed assi-

curatore si realizzano sinergie:

• L’assicuratore (i) è un operatore unfunded e, al di fuori

del credito commerciale (tipicamente a breve termine),

GIAMMARCO BOCCIA

Responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE

54

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

deve collaborare con un soggetto finanziario che eroghi

il credito ii) non avendo una rete distributiva propria

comparabile a quella bancaria, deve avvalersi della

collaborazione di partner presenti capillarmente sul

territorio.

• La banca fa leva sul rapporto di credito con l’azienda

per promuovere business ancillare a maggiore redditività

e limita la propria esposizione trasferendo parte del

rischio all’assicuratore, con cui peraltro non è in diretta

competizione.

Al tempo stesso, la collaborazione presenta alcuni

elementi di potenziale contrapposizione: i) qualora la

banca non consideri la relazione in una prospettiva di

lungo termine tenderà a proporre in garanzia le ope-

razioni più rischiose/meno redditizie (moral hazard); ii)

sebbene la distribuzione del premio per il rischio avven-

ga pro-quota, la redditività complessiva della posizio-

ne per la banca è legata anche al business ancillare, e

può causare asimmetrie tra le parti.

Inoltre l’assicuratore è soggetto al rischio di non accu-

mulare un portafoglio crediti granulare e diversificato,

nel caso in cui la banca non promuova adeguatamente

l’accordo quadro presso la propria rete commerciale.

La crisi che ha colpito l’economia mondiale negli ultimi

anni ed in modo particolarmente pesante quella italiana

ha messo in evidenza le conseguenze di tali rischi,

con un livello di sinistri più elevato rispetto alle previsioni

risultanti dai modelli statistici di default: per l’assicuratore

i rischi economico-finanziari non sono “attuariali” e

prevedere i default sulla base delle serie storiche lascia

margini di incertezza molto elevati, con possibili riflessi

sul costo dell’assicurazione.

La ripresa dell’economia globale unita ad un migliore

allineamento degli interessi delle controparti consenti-

ranno di rafforzare una collaborazione capace di favorire

l’assunzione di rischi nei momenti in cui il mercato si

ripiega su sé stesso, giocando un ruolo anti-ciclico

ma sostenibile nel tempo. ◗

55

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Le attività bancarie

56

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Il mercato immobiliare in Italia

Le specificità strutturali del mercatoimmobiliare italiano hanno attenuatogli effetti negativi della recente crisifinanziaria. Tuttavia, l’attuale quadromacroeconomico condizionanegativamente le aspettative sulmercato che non potrà riavviarsi eri-sperimentare i tassi di crescita delrecente passato senza un’ auspicatanormalizzazione del contesto.

Un impatto limitato della crisifinanziaria per il settore in ItaliaLa recente crisi finanziaria, scaturita dall’accumularsi di

eccessi speculativi, ha pesantemente condizionato le

dinamiche immobiliari di tutte le economie occidenta-

li. La dimensione globale della finanza e l’ormai evidente

integrazione ed interdipendenza dei mercati hanno,

infatti, determinato inevitabili ricadute su un settore

che già mostrava segnali di fragilità.

Spinto da un quadro macroeconomico di evidente

favore, l’immobiliare aveva visto gonfiare quotazioni e

transazioni per circa un decennio, archiviando di fatto

la pesante fase recessiva che lo aveva caratterizzato per

gran parte degli anni ’90. Proprio quando erano già

apprezzabili le avvisaglie di un imminente epilogo della

fase espansiva e i più ottimisti preconizzavano l’ap-

prossimarsi di un soft landing per un mercato ormai

saturo, si è abbattuto sul settore il ciclone finanziario,

che ha avuto nella vicenda dei mutui subprime ameri-

cani niente più che un innesco in un contesto eviden-

temente esplosivo.

L’identificazione dei mutui come causa del crollo, asso-

ciata all’indissolubile legame stabilitosi negli anni del

boom dell’indebitamento ed espansione immobiliare,

ha finito per rinsaldare il legame tra le dinamiche di set-

tore e la congiuntura economica generale.

Si tratta di un fenomeno globale a cui neanche i Paesi

connotati da una finanziarizzazione relativamente blan-

da hanno potuto in qualche modo sottrarsi. Di conse-

guenza, realtà come l’Italia, pur forti di una posizione soli-

da in materia di crediti immobiliari e teoricamente al riparo

da una crisi endogena e strutturale, sono risultate evi-

dentemente esposte al tracollo finanziario statunitense.

Vero è che le specificità strutturali e congiunturali del mer-

cato immobiliare italiano lo hanno preservato dai crolli che

si sono abbattuti altrove. Tra i principali elementi che

hanno attutito i colpi della crisi in Italia vi è da addurre il

fatto che le famiglie italiane non sono molto indebitate (è

DANIELA PERCOCO

Head of Real Estate, Nomisma

LUCA DONDI

Economista, Nomisma

GUALTIERO TAMBURINI

Presidente, Assoimmobiliare

57

I l m e r c a t o i m m o b i l i a r e i n I t a l i aD A N I E L A P E R C O C O & L U C A D O N D I & G U A L T I E R O T A M B U R I N I

aumentato il debito, ma è sempre inferiore al livello di

indebitamento delle famiglie nel resto d’Europa). Pertanto

le “frugali” famiglie italiane non hanno avuto bisogno di

vendere/svendere l’abitazione in tempi brevi per poter

ripagare rate del mutuo come, al contrario, è avvenuto

ad esempio negli Stati Uniti o nel Regno Unito.

Inoltre i prezzi in Italia non erano cresciuti così tanto

come era avvenuto altrove e così il ribasso nei valori non

è stato così violento.

Infine, in Italia non si è avuta una massiccia costruzio-

ne di immobili così come all’estero (ad esempio in

Spagna ogni anno si costruivano case pari a circa tre

volte il numero delle nuove famiglie) complici un atteg-

giamento piuttosto restrittivo delle nostre amministra-

zioni locali nel rilascio dei permessi da costruire oltre ad

una erogazione del credito bancario più restrittivo

rispetto all’estero.

In ogni caso, seppure, con i distinguo sopra enuncia-

ti, la percezione di rischiosità degli impieghi interban-

cari ha enormemente accresciuto l’onerosità dei finan-

ziamenti, imponendo politiche di razionamento del

credito, che non potevano non avere pesanti riflessi sul

mercato immobiliare (cfr. figura 1).

Se dal punto di vista dei livelli di attività le conseguen-

ze sono risultate da subito eclatanti, da quello dei

prezzi la rigidità dell’offerta e la modesta diffusione di

eccessi hanno rallentato l’avvio delle spirali recessive

che hanno, invece, interessato molti Paesi occidentali

(Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Spagna e, in misura

minore, Francia e Danimarca). La progressiva atte-

nuazione di tale rigidità ha portato a flessioni importanti

sul fronte dei prezzi residenziali superiori talora al 20-

25% negli ultimi due anni.

Dopo la recente crisi ilmercato immobiliare mostrasegnali di ripresa in EuropaNella prima parte del 2010 l’economia mondiale è

cresciuta ad un tasso annualizzato superiore al 5%,

migliorando le aspettative soprattutto in ragione di una

più rapida ascesa delle economie asiatiche. Anche in

corrispondenza delle realtà più avanzate si sono

comunque evidenziati incoraggianti segnali sul fronte

della domanda privata, con indicatori robusti relativa-

mente all’attività economica reale (produzione indu-

striale, scambi commerciali, fiducia dei consumatori,

tasso di occupazione). Nella prima parte dell’anno,

l’evoluzione delle grandezze macroeconomiche globali

ha, ovunque, evidenziato una modesta, ma salda,

ripresa delle economie più avanzate ed una forte

crescita di quelle emergenti.

Le recenti turbolenze sui mercati finanziari – riflesso di

una flessione brusca della fiducia su sostenibilità fisca-

le, indirizzi di politica economica e prospettive generali

di crescita – hanno, tuttavia, contribuito ad acuire

l’incertezza sulle previsioni future.

FIGURA 1. Prezzi delle abitazioni durante la crisi in alcuni mercati internazionali (numeri indice, IV Trimestre 2007 = 100)

Fonte: The Economist

IV 07

Italia

105

100

95

90

85

80

75

70I 08 II 08 III 08 IV 08 I 09 II 09 III 09 IV 09 I 10 II 10

FranciaSpagnaIrlanda

Stati Uniti (Case Shiller)Gran Bretagna

58

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� Il clima di preoccupazione sul rischio sovrano ha, in

particolare, contagiato nuovamente il settore bancario,

rialimentando, in tal modo, la pressione sulla restrizio-

ne del credito nei mercati interbancari, al punto da

minare i presupposti della ripresa economica.

Se l’economia mondiale è destinata a crescere di

quasi cinque punti nel 2010, dopo la flessione di qual-

che decimo di punto registrata lo scorso anno, per

l’Area Euro è previsto uno sviluppo in misura di un

punto nel 2010 e dell’1,3% nel 2011 (con performan-

ce piuttosto variegate a seconda dei Paesi), non molto

diversamente dalle previsioni per l’Italia che si atte-

stano rispettivamente allo 0,9% e 1,1%.

In tale contesto l’investimento immobiliare in Europa ha

raggiunto nel primo trimestre 2010 quota 23,5 miliar-

di di euro, segnando un incremento dell’80% rispetto

allo stesso periodo del 2009, a conferma di un generale

ritorno di interesse per il settore real estate, che porterà

a raggiungere a fine 2010 un volume complessivo di

circa 100-110 miliardi di euro, a fronte dei 73 miliardi

di Euro del 2009.

Nei primi mesi di quest’anno si è confermato il buon

interesse degli investitori per alcuni mercati, quali

Regno Unito, Germania, penisola iberica e paesi scan-

dinavi, incentrato primariamente sul settore commer-

ciale, che in tali mercati ha rappresentato oltre la metà

degli investimenti complessivi.

In termini generali, nella prima parte del 2010 si è assi-

stito sui mercati europei ad un miglioramento diffuso

delle aspettative degli investitori immobiliari. E’ però vero

che tale tendenza è riscontrabile limitatamente alla

fascia prime del mercato e per lo più circoscritta a

coloro che investono con prevalenza di capitale proprio.

Con riferimento alla stretta creditizia, va tuttavia segna-

lato che ben poco è cambiato rispetto alla seconda

parte del 2009, se si eccettuano piccoli incrementi

nei livelli massimi di LTV per gli investimenti in corri-

spondenza di immobili prime, per i quali nei principali

mercati europei ci si attesta al 65% o poco al di sopra

di tale soglia (cfr. tavola 1).

Relativamente alla redditività degli investimenti immo-

biliari, nel 2009 si è registrato a livello globale un Total

Return negativo, pari a -7,3% misurato in valuta loca-

le. Una perdita imputabile alla flessione in conto capi-

tale (-12,8%), non pienamente assorbita dall’Income

Return (6,2%). Se l’Eurozona ha garantito un risultato

sostanzialmente neutro (+0,2%), il “resto dell’Europa”,

che costituisce la quota più esigua di capitale investi-

ta nel real estate, ha invece fornito un contributo posi-

tivo all’esito complessivo. Ne deriva che il risultato

negativo dell’anno sia imputabile alla combinazione

della performance fortemente negativa, associata ad un

peso in valore piuttosto rilevante, registrata nel resto del

mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone.

Con riferimento al contesto europeo, l’indice Pan-

europeo costituito da 16 mercati nazionali, mostra un

Total Return dell’1,4% (è dello 0,2% per l’Area Euro),

composto da un Income Return del 5,9% e da una

Capital Growth del -4,3% (per l’Area Euro tali indicatori

si attestano rispettivamente a 5,6% e -5,1%).

Come è possibile osservare dal grafico (cfr. figura 2), la

variabilità fra le performance dei vari Paesi è notevole,

mentre a livello settoriale (cfr. figura 3) sono il retail ed

il residenziale ad essere risultati quelli più premianti.

La fragilità della ripresa economicarallenta la crescita del settore in ItaliaIn tale contesto l’Italia ha sottoperformato il mercato

europeo garantendo un esiguo 0,8% (5,7% Income

Return e -4,6% Capital Growth), con gli uffici che si sono

Paese Dimensione massima prestito (mil €) Massimo LTV (%)Francia 75 65Germania 50 70 Italia 50 65Paesi Bassi 40 70Spagna 50 65Regno-Unito 75 (mil £) 70Trend europeo Stabile Crescita

Fonte: CB Richard Ellis

TAVOLA 1. Condizioni di finanziamento per immobili e tenant prime, Marzo 2010

59

I l m e r c a t o i m m o b i l i a r e i n I t a l i aD A N I E L A P E R C O C O & L U C A D O N D I & G U A L T I E R O T A M B U R I N I

confermati il settore più performante (Total Return 1,5%).

A livello di mercato italiano retail, la domanda di immo-

bili si sta tendenzialmente stabilizzando solamente per

il settore delle abitazioni, mentre la richiesta di spazi per

le attività di impresa è tuttora carente, complice la len-

tezza della ripresa economica e la perdurante incertezza

sulla evoluzione della congiuntura. Le conseguenze

sono piuttosto evidenti, anche in ragione di una crescita

diffusa dell’offerta.

Le transazioni sono cresciute rispetto all’inizio dell’an-

no scorso solo in corrispondenza delle abitazioni

(+4,2%), mentre per gli immobili non residenziali si

registrano ancora diminuzioni nei volumi scambiati,

ancorché contenute (intorno ad un punto percentua-

le) rispetto al ritmo di caduta che per tutto il 2009 è stato

in doppia cifra. Si resta, comunque, lontani dai livelli

record del 2007.

Il mercato si conferma, dunque, sostanzialmente inges-

sato, connotato da tempi di vendita che si sono stabi-

lizzati poco al di sopra dei 6 mesi per le abitazioni ma che

superano i 7 per i negozi ed anche i 7 e mezzo per il set-

tore direzionale. La lieve contrazione degli sconti che si

FIGURA 2. Total Return degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009 misurato in valuta locale (valori percentuali)

Fonte: IPD

SvizzeraNorvegia

DanimarcaAustria

FinlandiaGran Bretagna

BelgioGermania

IPD PAN-EuropeanSviezia

ItaliaPortogallo

OlandaFranciaPoloniaSpagnaIrlanda

- 25 % - 20 % - 15 % - 10 % - 5 % 0 % 5 % 10 %

FIGURA 3. Performance degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009in base al settore e misurato in valuta locale

Fonte: IPD

8 %

1,4 2,00,7

- 0,1

2,0

6 %4 %2 %0 %

- 2 %- 4 %- 6 %- 8 %

Tutti gliimmobili

Retail

Total Return

Uffici Industriale Residenziale

Income Return Capital Growth

60

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� registrano nelle compravendite al momento della trans-

azione (rappresentati dal divario tra prezzo inizialmente

richiesto e prezzo effettivo), dopo aver comunque rag-

giunto livelli record, testimonia l’accresciuta consape-

volezza dell’offerta rispetto alle difficoltà congiunturali.

In evidente impasse si conferma anche il mercato della

locazione, con canoni in riduzione e tempi di locazio-

ne in progressivo aumento, che non riesce evidente-

mente a trarre vantaggio dalla congiuntura negativa

attraversata dal mercato della compravendita.

Con riferimento alle modalità di acquisto, continua a

crescere la quota di transazioni residenziali attraverso l’u-

tilizzo di capitale proprio, a conferma dell’interesse per il

settore degli investitori dotati di liquidità anche in ragio-

ne dello scarso appeal degli impieghi alternativi. Il basso

costo del denaro non riesce a compensare le difficoltà

incontrate dalle famiglie nell’accesso al credito bancario.

Si tratta di un fenomeno significativo se si considera che

nel periodo 2001-2009 i mutui erogati per l’acquisto di

immobili sono cresciuti del 69%, passando dai 30,1

miliardi di euro del 2001 ai 50,8 miliardi erogati nel

2009, a fronte di una flessione delle transazioni da

681 mila a 609 mila.

Dopo il crollo delle compravendite assistite da mutuo,

avvenuto nel 2008 (-27% rispetto al 2007), anche nel

2009-2010 questa modalità di acquisto dell’abitazione

fa registrare una flessione lievemente superiore rispet-

to al calo complessivo, a conferma della perdurante

selettività del sistema creditizio (cfr. figura 4).

Le perduranti difficoltà sul fronte della domanda hanno

determinato ancora un ulteriore flessione per quanto

riguarda i prezzi e, in misura più accentuata, i canoni

di locazione per tutte le tipologie immobiliari. I primi flet-

tono di circa un punto percentuale rispetto alla fine del

2009, mentre i secondi si riducono fra il punto e mezzo

ed i due punti. Il ridimensionamento registrato nella

prima parte dell’anno risulta, in ogni caso, il più

contenuto dell’ultimo biennio, facendo prefigurare un

percorso di graduale stabilizzazione che, tuttavia, non

porterà ad aumenti dei valori prima del 2012.

Dall’inizio della fase negativa del mercato, nelle gran-

di città italiane si è registrata una flessione dei prezzi del

FIGURA 4. Variazioni annue delle erogazioni di mutui per acquisto di abitazioni da parte delle famiglie (valori %)

Fonte: Elaborazioni Nomisma su dati Banca d’Italia

- 10,7

- 9,2

- 0,7

11,7

15,3

13,9

21,3

17,6

2009

2008

2007

2006

2005

2004

2003

2002

Variazioni % semestrali (I 10/II 09) Variazioni % annuali (I 10/I 09)Abitazioni -1,0 -2,6Uffici -1,2 -2,8Negozi -0,8 -2,3Box auto/Garage – -0,8

Fonte: Nomisma

TAVOLA 2. Media 13 grandi città – Variazioni % semestrali ed annuali dei prezzi degli immobili

61

I l m e r c a t o i m m o b i l i a r e i n I t a l i aD A N I E L A P E R C O C O & L U C A D O N D I & G U A L T I E R O T A M B U R I N I

5% in sede nominale e di circa il 7% dei canoni, ripor-

tando i valori reali sui livelli di 5 anni fa (cfr. figura 5).

Previsioni positive per ilsettore in Italia ma in un’otticadi medio periodo Riguardo all’evoluzione del mercato nel breve-medio

periodo, le risultanze dei modelli previsionali volti ad inter-

pretare la dinamica della media dei prezzi in funzione di

alcune variabili esogene fortemente correlate con le

dinamiche del settore (tassi di interesse, spesa per

consumi delle famiglie italiane, investimenti in costruzioni,

ecc.), confermano il superamento della fase più acuta

della crisi anche sul versante dei valori.

Dall’esame della serie storica dei tassi di variazione

annuali dei prezzi correnti delle abitazioni nuove, a

partire dal 1992 si può rilevare che, dopo aver raggiunto

nel 2009 punte negative solo lievemente meno marcate

rispetto a quelle sperimentate durante la pesante crisi

del mercato immobiliare dei primi anni ’90, i tassi di

variazione hanno invertito la tendenza, confermando

l’avvenuto superamento della fase recessiva, sebbene

per una ripresa vera e propria del mercato occorrerà

ancora attendere almeno 12-18 mesi. ◗

FIGURA 5. Media 13 grandi città – Prezzi reali degli immobili (numeri indice, 1992 = 100)

Fonte: Nomisma

130 %

120 %

110 %

100 %

90 %

80 %

70 %

60 %

I 92 II 93 I 95 I II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10

Abitazioni Uffici Negozi

FIGURA 6. Abitazioni nuove - Serie storica delle variazioni medie annuali dei prezzi correnti nelle 13 grandi città

Fonte: Elaborazioni Nomisma su fonti varie

(valori percentuali)

- 10

- 5

0

5

10

15

Previsione

SemestriI 92 II 93 I 95 II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10 II 11

62

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

NOM AUTEUR Fonction à venir

La distribuzione bancaria in italia:trend in atto, scenari evolutivi epossibili strategie competitive

Negli ultimi anni la struttura distributivabancaria è profondamente cambiatasulla spinta dei processi diaggregazione, liberalizzazione e diespansione territoriale. Differenticambiamenti strutturali globali e localistanno spingendo le banche aripensare ed innovare i modellidistributivi consolidati.

NEL 1992, L’ALLORA PRESIDENTE DEL

CONSIGLIO GIULIANO AMATO descrisse il sistema

bancario italiano come “una foresta pietrificata”, un’e-

spressione che attecchì subito. Indubbiamente qualche

ragione era dalla sua parte: il sistema bancario rispon-

deva a regole di competizione e controllo che vinco-

lavano in modo forte la possibilità delle banche di

competere imprenditorialmente. Lo Stato era proprie-

tario in modo diretto o indiretto della più parte delle ban-

che: dalle Casse di Risparmio locali fino alle Banche di

Interesse Nazionali (BIN); il sistema distributivo stesso

era ingessato, risultando estremamente complesso

attivare la crescita organica attraverso l’apertura di

filiali al di fuori delle zone storiche di ogni banca.

Tra il 1990 e il 1993, l’opera congiunta di Amato e di

Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia

e futuro Presidente della Repubblica, pose le basi del-

l’apertura e privatizzazione del mercato bancario, attra-

verso la creazione delle Fondazioni e la quotazione sul

mercato delle BIN. Ci si muoveva in un contesto pro-

fondamente diverso rispetto ad oggi, basti pensare

che il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia variò

tra l’11% ed il 15% tra il 1992 e 1993; quelle prime inno-

vazioni legislative innescarono un processo di profon-

do cambiamento, modernizzazione e creazione di valo-

re che è proseguito sino ad oggi e che si è riflesso nella

articolazione ed evoluzione delle strutture distributive.

Se guardiamo, infatti, il sistema nel suo complesso

possiamo dire che, pur con qualche scossone, sono

stati raggiunti importanti traguardi che hanno consen-

tito di costruire un sistema bancario solido e compe-

titivo, aperto agli investimenti esterni, in grado di espri-

VITTORIO RATTO

Partner, Bain & Company, Milano

ALESSANDRO GERALDI

Manager, Bain & Company, Milano

63

La d ist r ibuz ione bancar ia in i ta l ia : t rend in at to , scenar i evo lut iv i e poss ib i l i s t rateg ie compet i t iveV I T T O R I O R A T T O & A L E S S A N D R O G E R A L D I

mere più di un operatore di livello europeo, che ha retto

la crisi mondiale senza necessità di salvataggi strutturali

e che, su molti assi, è in grado di esprimere delle

punte di eccellenza a livello europeo.

Dal punto di vista della struttura distributiva i cambia-

menti che hanno accompagnato questo percorso

sono stati profondi e tuttora in corso. E’ possibile indi-

viduare alcuni trend legati sia ai cambiamenti strutturali

dal lato dell’offerta che della domanda, che influenzano

le scelte di assetto e di presidio della clientela degli

operatori bancari. L’attuale crisi finanziaria ed econo-

mica e la conseguente riduzione dei margini e della

redditività complessiva ha dato una ulteriore spinta di

accelerazione ai processi di revisione degli attuali

assetti distributivi.

Razionalizzazione ed aperturadel mercato bancarioIl processo di razionalizzazione e di aggregazione, che

ha coinvolto i principali gruppi bancari italiani, ha avuto

come conseguenza una redistribuzione e concentra-

zione delle quote di mercato per sportello: i primi dieci

gruppi hanno conseguito una quota di mercato cre-

scente, passando dal 34% del 1995 al 64% del 2009.

In parallelo al processo di concentrazione e di creazione

di campioni nazionali, il mercato italiano si è anche

aperto ai grandi istituti stranieri (Crédit Agricole, BNPP,

Barclays, Deutsche Bank) che rappresentano ad oggi

oltre il 6% del mercato complessivo, rispetto ad una

posizione di fatto marginale solo 5-10 anni fa. Questo

fenomeno è di sicuro beneficio per il mercato nel suo

complesso in quanto consente alle famiglie e alle

imprese di poter accedere a piattaforme di prodotto /

servizio di scala europea.

Crescita del numero di filiali:la “corsa allo sportello” La filiale bancaria è il perno della struttura distributiva:

il numero complessivo negli ultimi anni è cresciuto evi-

denziando di fatti una sorta di “corsa allo sportello” da

parte delle banche. Al crescere della concentrazione

delle quote distributive, non ha seguito una razionaliz-

zazione delle reti ma, al contrario, un’ulteriore attività di

espansione dei network distributivi, perseguita con

l’obiettivo di rinforzare i presidi territoriali attraverso un

modello a maglie strette.

Si è passati da c.a 23.000 filiali nel 1994 a oltre 34.000

nel 2008, con un incremento del 48% rispetto ad una

crescita del PIL in termini reali nel corso dello stesso

periodo di c.a il 20% (nello stesso periodo raccolta

diretta +28% e impieghi +104%). L’incremento del

numero di filiali per abitante ha registrato un allinea-

mento con i valori degli altri paesi europei comparabi-

li, soprattutto se si considera anche la penetrazione

degli sportelli BancoPosta.

Il modello di presenza territoriale capillare è stato, di

fatto, anche la scelta che più ha premiato gli operatori

esteri che l’hanno perseguita come strategia d’ingresso

sul mercato italiano.

Omogeneità dei modelli distributiviDal punto di vista delle dinamiche competitive, si è assi-

stito allo sviluppo di modelli distributivi con un ridotto

livello di differenziazione, soprattutto in termini di modelli

gestionali (modello di servizio, segmentazione e por-

tafogliazione) e di moduli di filiale Retail.

Il maggior focus di fatto è stato sull’integrazione delle

nuove entità e sull’implementazione di modelli replicabili

in modo da massimizzare le sinergie di costo legate ai

processi d’integrazione.

Le maggiori banche hanno sostanzialmente adottato

una segmentazione omogenea guidata dall’ottimiz-

zazione del cost to serve, più che da una lettura

sofisticata dei bisogni dei clienti1. A ogni segmento

è associata una modalità di gestione mediante

la costituzione di portafogli assegnati a gestori

commerciali dedicati, con dimensione del numero di

clienti per portafoglio2 definita in funzione della capa-

cità di ripagare i costi del servizio. In considerazione dei

numeri in gioco si è assistito spesso ad una gestione

reattiva del rapporto. Si è di fatto confuso il canale con

il segmento.

1. Per quanto riguarda il mercato retail, la tipica classificazione prevede: Mass market fino a 50-100K euro di patrimonio presso la banca; Affuent fino a 500-1000Keuro di patrimonio e Private per soglie superiori; Small Business clienti imprese con fatturato fino a 1,5-5 mln di fatturato.2. c.a 200-300 clienti per i gestori Affluent / Small Business e c.a 1000-2000 clienti Mass Market per addetto commerciale.

64

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� La differenziazione dei modelli di filiale è rimasta rele-

gata alla costituzione di modelli distinti in funzione

della dimensione della filiale e quindi di popolamento

con figure commerciali.

Sul fronte del modello di servizio la sperimentazione è

stata poca e sporadica, limitata per esempio a: esten-

sioni degli orari di apertura (sperimentata da alcuni

gruppi, ma di fatti non perseguita con costanza) e alla

vendita di servizi non bancari (es. biglietti di eventi,

consulenza fiscale...).

Dal lato dell’offerta è necessario anche fronteggiare

la crescente pressione dei category killer che si sono

focalizzati su singoli bisogni / servizi e attorno a que-

sti hanno costruito un’offerta specializzata (es. lan-

cio di mutui low cost, prodotti di raccolta ad alto ren-

dimento), spesso antieconomica per le banche

generaliste, anche alla luce del possibile effetto can-

nibalizzazione sui propri ricavi. Nei fatti i category kil-

ler hanno parzialmente disintermediato le filiali tradi-

zionali.

Crescita dei canali alternativiSe dal lato dell’offerta si è assistito alla cosiddetta

corsa allo sportello, dal lato della domanda emerge

chiaro un trend di progressivo maggior utilizzo dei

canali alternativi.

Nel dichiarato i clienti continuano a privilegiare la prossi-

mità come uno dei maggiori fattori di scelta della Banca

(e questo è vero sempre negli ultimi 10 anni, sulla base

delle ricerche Eurisko), ma i dati evidenziano un pro-

gressivo maggior peso nell’utilizzo dei canali alternativi.

I clienti mostrano di essere più propensi ed in grado di

interagire con canali remoti (soprattutto ATM, internet

e call center) e di fatti stanno spostando il loro canale

di interazione dalla Filiale ad altre modalità (cfr. tavola 1).

Allo stesso tempo molte ricerche testimoniano una

riduzione dei tempo libero che i clienti possono dedi-

care alla filiale3. In sostanza: i clienti hanno meno

tempo libero da dedicare alle attività bancarie e quel-

lo che hanno preferiscono impiegarlo su canali diver-

si dalla filiale.

Le sfide competitive: possibili scenariper l’evoluzione degli assetti distributiviAlla luce dei trend sopra evidenziati il Retail Banking

deve rispondere alla sfida di trasformare i modelli dis-

tributivi attuali e tradizionali per poter meglio rispondere

all’evoluzione del contesto competitivo.

TAVOLA 1. Evoluzione livello di utilizzo della filiale

Fonte: elaborazione su dati: Finalta 2009, Osservatorio E-Committee 2009, ABI;E-Retail Finance KPMG 2008, Assofin, analisi Bain

Perdita importanza contatto con la clientela

% di vendite per canale

90 %

2000

10 %

85 %

2005

15 %

75 %

2010F

25 %

60 %

2015F

40 %Altro(1)

(1) Internet, ATM, call center e IVR, altri canali distributivi diversi dagli sportelli bancari.

Filiale

% di transazioni dispositive per canale

50 %2000

50 %

40%2005

60%

30%2010F

70%

10%2015F

90%Altro(1)

Filiale

Visite medie mensili in filiale per cliente

2000

2,0

2005

1,8

2010F

1,6

2015F

1,0

3. Cfr. Special Focus: Measuring Leisure in OECD Countries – OECD 2009.

65

La d ist r ibuz ione bancar ia in i ta l ia : t rend in at to , scenar i evo lut iv i e poss ib i l i s t rateg ie compet i t iveV I T T O R I O R A T T O & A L E S S A N D R O G E R A L D I

Tuttavia il mercato italiano presenta delle opportunità di

crescita, legate sia all’incremento della penetrazione dei

prodotti esistenti (si rileva un gap di penetrazione

rispetto agli altri paesi europei comparabili sulle principali

aree di bisogno: mutui, credito al consumo, carte di cre-

dito, fondi, prodotti previdenziali ed assicurativi –

cfr. tavola 2), sia alla nascita di nuovi bisogni (legati alla

crisi, quali protezione e sicurezza) e di nuove fasce di

clientela. In questo senso i forti investimenti effettuati in

aperture di filiali per potenziare la capillarità distributi-

va potranno essere un fattore di successo nonostan-

te una prevista persistenza di pressioni sui margini e

sulla redditività.

La redditività sul margine di interesse potrebbe bene-

ficiare della ripresa attesa dei tassi di mercato, con

effetto benefico sul mark down, rimarranno però le

pressioni sui margini commissionali unitari dei pro-

dotti, anche per effetto di interventi legislativi, quali (a

titolo di esempio):

• la portabilità dei mutui;

• la revisione delle commissioni di massimo scoperto;

• la calmierazione dei prezzi sul credito al consumo

(come sta avvenendo sulla Cessione del Quinto dello

Stipendio);

• la possibile revisione della modalità di definizione

dei regimi commissionali sul wealth management, che

saranno sempre meno basati sui c.d up-front.

Il costo della liquidità a regime rimane un punto di

incertezza, potrebbe mitigarsi come effetto di un ritor-

no alla “nuova normalità”, senza però arrivare ai livelli

pre-crisi.

ll costo del rischio rimarrà una priorità ma sarà meno

pressante rispetto alla crescita registrata nel corso del

2009, per effetto della ripresa dell’economia.

Il costo del capitale rimarrà invece una priorità per

effetto degli impatti di Basilea 3.

La somma di questi effetti avrà un’incidenza diretta sugli

economics di base dei sottosegmenti retail, imponendo

scelte di revisione del cost to serve e di conseguenza

degli assetti distributivi.

In relazione alla struttura distributiva nascono pertan-

to alcuni importanti punti di domanda:

• come sfruttare al meglio il patrimonio di filiali / per-

sonale ottimizzando il costo dell’investimento e del

servizio per ottenere un adeguato ritorno a fronte di

margini più contenuti, ottimizzando il cost to serve

per segmento?

• come innovare a partire dagli attuali modelli di filiale

per rispondere meglio ai bisogni di una clientela più

frammentata?

• come integrare l’attuale modello di filiale con i canali

alternativi per rispondere a segmenti di clientela che

utilizzeranno meno il canale tradizionale (es. generazione

digitale)?

TAVOLA 2. Benchmark penetrazione principali prodotti

Fonte: OECD, Banca Italia (relazione Annuale 2008-2009)

Indicatore

Mutual funds share of HHassets(2)

Insurance and pensionfunds share of HH assets (%)(2)

Payment cardstransactions per capita per year

Consumer Credit/GDP

Mortgage/GDP

Italia 2008

4,8

12,3

24,5

4 %

21 %

Francia 2008

8,4

39,1

102,5

11 %

48 %

Germania 2008

11,5

34,4

27,9

9 %

50 %

Spagna 2008

8,7

14,9

46,0

11 %

68 %

Media2008(1)

(escluso Italia)

9,5

29,5

58,8

10 %

55 %

Upsidepotenziale

(media vs Italia)

2,0x

2,4x

2,4x

2,7x

2,9x

(1) Media 2008 per Francia, Germania, Spagna, esclusa Italia (2) Incidenza dei fondi sul totale attività finanziarie delle famiglie.

66

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� Possibili strategie per il futuro:qualche riflessioneNon è ambizione di questo articolo definire in modo

definitivo le strategie possibili, ma illustrare alcune

aree di riflessione, attorno alle quali costruire delle

risposte differenzianti. Rimaniamo convinti che il

modello territoriale sia ancora vincente nel lungo

periodo sul mercato italiano, e che se correttamente

interpretato e innovato possa rappresentare un motore

di crescita.

Tre sono le linee di azioni prioritarie.

Ripensare il modello distributivo adottando le logi-

che del c.d. “Light Retail”. Si tratta di fatti di rivedere

e semplificare il modello di filiale, implementando

modalità di interrelazione con il cliente che portino a

ridurre significativamente la struttura di costo (cfr. tavo-

la 3); quali:

• Filiali leggere con operatività a 360 gradi:

– con personale ridotto (massimo 4 FTE) prevalente-

mente a focalizzazione commerciale;

– presenza di ATM evoluti,

– con vendita di prodotti semplici e di facile attivazione;

• Filiali leggere specializzate (es su clientela Affluent):

– personale ridotto (2 FTE);

– possibilità di accedere a relationship manager e spe-

cialisti di prodotto via remoto in video conference;

– sottoscrizione dei contratti via remoto – paperless (con

firma digitale);

– assenza della cassa grazie agli ATM evoluti e con-

cierge a supporto dell’interazione cliente – ATM (alla

stregua di quanto è avvenuto nel self check-in aero-

portuali).

La sfida sarà quella di ridurre i costi, provando a tenere

a livelli costanti i ricavi.

Adottare un approccio al cliente in ottica “New

Retail”. Semplificare la struttura di costo non basterà:

sarà comunque necessario “deliziare” il cliente e

adottare approcci commerciali che si rifanno al mondo

distributivo tipico dei beni di consumo, mutuando

tecniche e modalità di gestione tipiche del mondo

consumer (per esempio su: gestione della customer

experience, evoluzione del layout di filiale, gestione

della loyalty) e definendo format specialistici per

sotto-segmenti rilevanti.

In tale ambito occorrerà passare da una logica di seg-

mentazione della clientela basata su parametri semplici

a logiche più articolate che rimettano il cliente al centro

delle decisioni strategiche. Questo vuol dire rileggere la

clientela non solo in termini di ricchezza detenuta ma

attraverso una interpretazione vera dei bisogni e una

lettura delle modalità di acquisizione e la ridefinizione

del modello di servizio. La sfida si giocherà sulla

capacità di combinare:

• un’offerta semplice e da scaffale, centrata su

singoli bisogni / prodotti, dove è il cliente che si

autosegmenta;

TAVOLA 3. Sviluppo di filiali a basso costo ed alta innovazionePossibile impatto della filiale leggera o virtuale

Fonte: Analisi Bain

Modello di funzionamento Potenziale impatto economico

Filialeleggera

"affluent"(age &flow)

Filialeleggera"Mass"

• Sizing 4 FTE• ATM evoluto (con funzionalità di: bonifici,pagamenti utenze e bolette, depositoassegni e contanti…)• Concierge a supporto delle attività "fai da te"del cliente• Prevalenza di personale con focus commerciale(75% FTE)• Specialisti di prodotto raggiungibili via video conference• Orario di apertura modulato sulle esigenze dei clienti(es orario continuato)

Costo medio per filiale

Base 100

• Sizing 2 FTE• Presenza di personale esclusivamente commercialeper la sottoscrizione dei pro dotti base (depositi, conti,monetica, finanziamenti, …) e relationship manager especialisti di prodotto accessibile via remotoe video conference• ATM evoluto e concierge• Sottoscrizionica (anche via Internet)• Orario di apertura modulato sulle esigenze dei clienti(es chiusura il lunedi e apertura il sabato)

-35%100

Filialetradizionale

Ribaltati

Filialeleggera

Filiale leggeraaffluent

(Age & flow)

2012 65

30

20 55

20

3568

-70%

Diretti

Personale

67

La d ist r ibuz ione bancar ia in i ta l ia : t rend in at to , scenar i evo lut iv i e poss ib i l i s t rateg ie compet i t iveV I T T O R I O R A T T O & A L E S S A N D R O G E R A L D I

• un’offerta di consulenza / supporto evoluto, per i seg-

menti con maggiore complessità di bisogni e redditività,

con un approccio modulare in funzione delle fasi del

ciclo di vita e della sofisticazione dei bisogni.

Cogliere le opportunità per servire al meglio la c.d.

“generazione digitale”. Si tratta della fascia giovane

della popolazione “sempre connessa”, con un rap-

porto di assoluta dimistichezza con le nuove tecnolo-

gie ma con una sorta di insofferenza nell’uso della

filiale tradizionale.

Bisognerà prepararsi a servire al meglio i bisogni di que-

sta generazione, sviluppando:

– nuovi servizi finanziari veicolati per il tramite delle

nuove tecnologie (es pagamenti contactless via mobi-

le phone);

– nuove modalità di erogazione dei servizi esistenti

(utilizzo dei canali di interazione innovativi);

– nuovi processi interni (uso dei social network interni

per abilitare il knowledge sharing e il senso di appar-

tenenza). ◗

68

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Il credito al consumo in Italia:tre domande a Umberto Filotto

Dopo una fase di adattamento allenuove regole, i grandi attori del creditoal consumo avranno l'opportunità direinventare il business senza subire ilcondizionamento di operatori di tipomarginale di cui il mercato avrà avutoragione.

Quali sono stati gli effetti della crisi finanziaria sul

settore del credito al consumo in Italia?

Nel 2009 e nei primi mesi del 2010 il settore del credito

al consumo in Italia evidenzia il consolidarsi di alcuni

fenomeni strutturali e il manifestarsi di alcuni profili

congiunturali relativamente nuovi e che segnano

comunque un punto di discontinuità rispetto al passato.

Partendo da questi ultimi il dato più evidente è che dopo

oltre quindici anni di crescita ininterrotta il mercato

chiude in flessione di oltre l’11% in termini di erogazioni.

Le ragioni di questo trend sono in gran parte ovvie e

riconducibili alla crisi economica che, ci si augura

abbia termine quanto prima, ma merita comunque sot-

tolineare che gli effetti sulla struttura dell’industry e

sulle caratteristiche degli operatori sono destinati ad

essere permanenti. Infatti una condizione di maggior dif-

ficoltà di mercato innesca da un lato fenomeni signifi-

cativi di consolidamento nel comparto e di razionaliz-

zazione tra gli operatori, dall’altro determina lo svilup-

po di una cultura più attenta all’efficienza dei proces-

si, al presidio dei rischi, allo sviluppo di modelli distri-

butivi capaci di coniugare efficacia commerciale

redditività specifica e tutela dei consumatori.

Quale potrà essere l’impatto dei recenti sviluppi

regolamentari?

L’approvazione del Decreto Legislativo 141/2010

costituisce un vero e proprio spartiacque per il mer-

cato. Accanto al recepimento della direttiva sul cre-

dito ai consumatori, che introduce novità assolute per

il mercato italiano come il diritto di ripensamento, la

responsabilità del creditore per l’inadempimento grave

del commerciante e così via, la norma disciplina in

modo radicalmente innovativo gli intermediari del

credito, definisce in modo molto più severo le carat-

teristiche degli operatori ammessi a concedere cre-

UMBERTO FILOTTO

Segretario generale, AssofinProfessore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”

69

I l c r e d i t o a l c o n s u m o i n I t a l i aU M B E R T O F I L O T T O

dito, introduce nuove regole di trasparenza. Per quan-

to riguarda la distribuzione dei finanziamenti, ferma

restando la possibilità di distribuire credito finalizza-

to presso i punti di vendita (possibilità che durante il

dibattito svoltosi nella fase di definizione della nor-

mativa era sta messa in dubbio), dobbiamo registra-

re un significativo innalzamento dei requisiti profes-

sionali e di onorabilità di agenti e mediatori creditizi.

Ugualmente la riforma degli intermediari finanziari

non bancari uniforma il sistema dei controlli abolen-

do l’anomalia per la quale sul mercato potevano ope-

rare soggetti vigilati, accanto a soggetti non vigilati; la

sottoposizione di tutti gli operatori all’attività di super-

visione della Banca d’Italia garantisce maggiormen-

te la clientela ma elimina anche evidenti disparità

competitive. Parallelamente alla disciplina sin qui

ricordata vengono riformate le norme di trasparenza

per adeguarle ai più recenti sviluppi anche di prassi e

per favorire la loro “fruibilità” rendendo le norme più

efficienti e meno formalistiche.

Come potrebbe evolvere il settore in Italia?

L’evoluzione del settore a valle della crisi economica e

dell’approvazione della nuova normativa sarà prevedi-

bilmente distinta in due fasi: nella prima la necessità di

adeguarsi ad un nuovo mercato ed alle nuove regole

costringerà gli operatori ad un pesante sforzo di ade-

guamento delle loro strutture, delle loro procedure ma,

più ancora, delle loro culture. In questa fase, sicura-

mente le difficoltà della transizione tenderanno a met-

tere in secondo piano le opportunità che offre un

nuovo mercato. Nella seconda fase saranno invece le

nuove possibilità offerte da uno scenario non più cri-

stallizzato a emergere in modo evidente. Per gli ope-

ratori di maggiori dimensioni vi saranno opportunità di

reinventare il business senza subire il condizionamen-

to di operatori di tipo marginale di cui il mercato avrà

avuto ragione. Non vi è quindi dubbio che in uno sce-

nario come questo gli operatori come quelli che fanno

capo al Gruppo Crédit Agricole abbiano ben più di una

carta da giocare. ◗

70

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

Chapo à venir

Il risparmio gestito in Italia

L’articolo presenta un’analisi del settoredel risparmio gestito italiano, definitonella maniera più ampia possibile,comprendendo un’analisi del contestomacroeconomico e dell’ambientecompetitivo, le caratteristiche ed i trenddella domanda e dell’offerta, un focussul private banking e alcune conclusionisull’ evoluzione del settore.

Analisi dello scenario di riferimentoIl settore del risparmio gestito si sta muovendo in un

contesto ancora fortemente instabile dal punto di vista

economico e sempre più complesso dal punto di vista

regolamentare.

Dal punto di vista economico, l’economia italiana nel

2008 e nel 2009 è stata caratterizzata da una forte ridu-

zione del PIL e da un’instabilità dei mercati finanziari

sulla scia della crisi internazionale. Se da un lato il

sistema bancario italiano ha risentito meno della crisi

rispetto agli altri paesi europei, il sistema produttivo sta

ancora soffrendo della crisi dell’economia reale, a

causa di una struttura medio piccola delle imprese

italiane che si caratterizzano, peraltro, per una minor

produttività ed efficienza del lavoro rispetto ai paesi

europei.

Il settore del risparmio gestito è stato chiaramente

influenzato anche da una crisi dei mercati finanziari

senza precedenti nel 2008; la volatilità dei mercati ha

raggiunto livelli che non aveva mai raggiunto negli ulti-

mi 60 anni e ad esso si è associato un significativo crol-

lo dei corsi azionari, talmente rilevante che nemmeno

i recuperi del 2009 sono stati sufficienti per ritornare ai

livelli precedenti alla crisi del 2008. La crisi iniziata a

GINO GANDOLFI1

Professore ordinario, Università di Parma

GIACOMO NERI2

Partner, PricewaterhouseCoopers

1. Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma e docente senior presso la SDA Bocconi.Cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.2. Partner in Charge Financial Services e Strategy Leader PricewaterhouseCoopers Advisory; Professore di Strategia e Politica Aziendale Università Cattolica delSacro Cuore Milano; Consigliere di Amministrazione AIPB, AICIB, ASAM, cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.

71

I l r i s p a r m i o g e s t i t o i n I t a l i aG I N O G A N D O L F I & G I A C O M O N E R I

causa del crollo dei mutui subprime americani ed

aggravata dal fallimento di Lehman Brothers ha, dap-

prima, colpito le banche di investimento e, in particolare,

il modello di intermediazione originate-to-distribute e,

successivamente, ha coinvolto in maniera significativa

tutti gli intermediari finanziari, quelli americani ed europei

su tutti.

Per quanto riguarda gli aspetti politici e normativi, il mer-

cato sta vivendo una fase di adeguamento a diversi

regolamenti emanati a livello europeo (si pensi, a puro

titolo d’esempio, alla MiFID, alla UCITS IV) e italiano

(quali la legge 262, legge 231, Regolamenti vari emanati

dai Regulators italiani, ecc).

È probabile che una delle conseguenze della crisi sarà

un ulteriore innalzamento del livello di regolamentazione

del sistema finanziario, risparmio gestito compreso;

gli operatori dovranno quindi essere pronti a cogliere le

opportunità e ad anticipare e prevenire le minacce

derivanti dal probabile nuovo contesto normativo.

Dal punto di vista politico e fiscale sono attese da

parte dei governi manovre finalizzate a reperire risorse

finanziarie a causa della citata crisi. In effetti, i sostan-

ziosi interventi dei governi finalizzati a ridurre gli impat-

ti della crisi hanno avuto un costo significativo ed è

indubbio che la società dovrà sopportare il costo di que-

sti interventi attraverso una crescita della pressione

fiscale. Alternativamente i governi hanno iniziato una

ricerca di risorse senza confine. Le nazioni del G8 e del

G20 hanno intrapreso una attività di cooperazione sul

tema della lotta ai paradisi fiscali al fine di attivare san-

zioni coordinate e multilaterali.

Coerentemente con questa linea politica il governo

italiano ha introdotto lo scudo fiscale. Il procedimento

ha consentito un rientro di capitali complessivo tra il

2009 ed il 2010 di quasi 100 miliardi di euro. Asset

finanziari che, in tale situazione di mercato, sono anco-

ra detenuti dalla clientela prevalentemente sotto forma

di liquidità e depositi ma, presumibilmente, nei prossi-

mi mesi verranno in parte spostati verso asset class e

prodotti differenti, fornendo una boccata di ossigeno

non solo alle banche private, ma anche agli operatori

del risparmio gestito. Nel corso del 2011 assisteremo,

probabilmente, ad un riallineamento dei capitali scudati

verso l’asset mix tipico della clientela private, con uno

spostamento di ricchezza finanziaria verso prodotti di

risparmio gestito. In particolare, ci aspettiamo che

circa 30 dei 100 miliardi rientrati verranno veicolati

verso prodotti obbligazionari dove la parte del leone la

faranno senz’altro le obbligazioni bancarie, una parte

rilevante, circa 20 miliardi, verrà invece veicolata verso

prodotti di risparmio gestito, dove ci aspettiamo che un

ruolo rilevante, circa 15 miliardi, sarà ricoperto dai pro-

dotti core del private banking, fondi comuni d’investi-

mento, SICAV e gestioni patrimoniali. I prodotti assi-

curativi, infine, si presume attireranno circa 4 miliardi3.

Dal punto di vista fiscale è opportuno ricordare come

il settore italiano del risparmio gestito risenta di uno

svantaggio fiscale derivante dalla diversa modalità di

applicazione delle aliquote rispetto al contesto inter-

nazionale. In effetti, si ricorda che l’attuale disciplina

legislativa prevede che i redditi dei fondi comuni italia-

ni siano tassati per “maturazione”, con imposta annua-

le del 12,5% sul risultato maturato di gestione (incre-

mento di valore registrato dalle attività finanziarie gestite

nell’anno solare) direttamente a carico dello stesso

fondo e, quindi, a prescindere dal fatto che i sotto-

scrittori li abbiano o meno percepiti. Al contrario, i red-

diti dei fondi comunitari armonizzati sono tassati per

cassa e a carico dei partecipanti, ossia solo al momen-

to in cui vengono effettivamente percepiti da parte di

questi ultimi; il prelievo dell’imposta è quindi differito fino

al momento del riscatto delle quote di partecipazione

e i rendimenti dei fondi resi pubblici sono lordi.

I fondi italiani, inoltre, in caso di riduzione di valore

della massa gestita, contabilizzano un “risparmio d’im-

posta”, che può essere compensato con le imposte che

il fondo dovrà pagare nei periodi successivi ovvero

con quelle dovute da altri fondi gestiti dalla medesima

SGR.

Detto risparmio d’imposta, che viene rilevato nell’attivo

patrimoniale, incrementa il valore della quota, ma ne

rappresenta una posta immobilizzata e infruttifera,

ricollegabile ai risultati negativi di gestione accumulati

nel passato. L’ammontare dei relativi rendimenti resi

pubblici è sempre al netto dell’imposta.

Tale differenza di trattamento risulta penalizzante per i

3. Osservatorio Private Banking 2010, PricewaterhouseCoopers Advisory.

72

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� prodotti dell’industria “domestica” da almeno due

diversi punti di vista:

• non comparabilità (in assenza di condizioni univoche)

dei rendimenti offerti rispetto ai fondi armonizzati di altri

Paesi UE;

• difficoltà di gestione (a causa della questione del

“risparmio d’imposta” sopraccitata) di portafogli gravati

da una posta dell’attivo illiquida e infruttifera.

Dal punto di vista politico e normativo è da segnalare

inoltre la spinta del Regolatore ad una separazione

tra distribuzione e produzione, separazione che

contribuirà alla ridefinizione degli equilibri dell’arena

competitiva.

Per quanto riguarda i fattori sociali ed ambientali, si ritie-

ne opportuno segnalare la crisi di fiducia della clientela

verso le banche e la crescente percezione di insicurezza

verso tutti i prodotti finanziari. Dopo le “scottature del

mercato” non stupisce la conseguente ricerca da parte

della clientela di prodotti poco rischiosi, “plan vanilla”,

semplici e trasparenti.

Dall’ultima relazione annuale della Banca d’Italia risul-

ta in crescita lo stock di ricchezza finanziaria delle

famiglie anche se aumenta la concentrazione della

ricchezza e dei redditi. Aumenta la distribuzione della

ricchezza a favore delle famiglie più “ricche”, mentre il

potere d’acquisto segue un trend negativo da cui deri-

va una diminuzione del risparmio che impatta soprat-

tutto le famiglie di reddito medio e medio-basso.

Dal punto di vista tecnologico risulta evidente il miglio-

ramento della gestione degli scambi grazie all’utilizzo

di piattaforme più avanzate, all’incremento degli

strumenti informatici a presidio del rischio e della

gestione di strumenti finanziari complessi, allo svilup-

po di strumenti di Personal Financial Planning sempre

più completi e coerenti con le esigenze della clientela.

L’innovazione tecnologica sta inoltre sicuramente gio-

cando un ruolo fondamentale nel permettere un incre-

mento della trasparenza informativa richiesta anche

dalla regolamentazione.

A conclusione dell’analisi, si ritiene opportuno evi-

denziare come il sentiment degli operatori dell’Asset

Management risulti ancora poco favorevole in termi-

ni di aspettative per il 2011, a causa della generale

instabilità economica e finanziaria globale ma soprat-

tutto a causa delle difficoltà strutturali dell’industria in

Italia e ciò nonostante l’atteso aumento della ric-

chezza e del risparmio complessivo, guidato dal rien-

tro di capitali.

Analisi dell’ambiente competitivo

I potenziali entranti

In Italia le maggiori barriere all’ingresso per i potenziali

entranti si identificano nell’accesso alla rete distributiva

e nell’identità di brand. Il peso del canale bancario nella

distribuzione di prodotti bancari è preponderante. La

necessità di disporre di una rete distributiva diventa

quindi fondamentale. Nessuno dei primi 10 player del

settore risulta essere indipendente da un gruppo

Bancario/Assicurativo: a dicembre 2008 gli attori

indipendenti si contendevano, infatti, poco meno del 5%

dell’AuM4 e nel 2009 la situazione non appare cambiata.

È quindi la commercializzazione dei prodotti lo scoglio

più diff ici le da superare nel l’attuale contesto

dell’Investment Management italiano. La tipicità del

settore, che vede i prodotti “captive” farla da padrone,

rende molto difficile, di fatto, l’ingresso di potenziali nuovi

competitors sul mercato.

La scarsa minaccia di nuovi potenziali entranti nel

mercato dell’Investment Management ha un impatto

molto positivo sull’attrattività del mercato stesso.

Essendo molto difficile l’ingresso di nuovi player in

grado di modificare gli assetti già consolidati del set-

tore, la situazione competitiva non viene modificata,

creando di fatto un vantaggio per la redditività degli

insiders.

I prodotti sostitutivi

Nei prodotti sostitutivi, la minaccia maggiore arriva dai

prodotti canalizzati verso il cliente finale (retail/

institutional) dalla rete bancaria. Sono, quindi, i prodotti

tipicamente bancari (obbligazioni/certificati) e quelli di

bancassurance (polizze assicurative di ramo I, unit/index

linked) i maggiori indiziati come capacità sostitutiva,

soprattutto in termini di volumi di sostituzione.

Non va sottovalutata, però, la crescita dei prodotti

4. Fonte: ORFEO - Osservatorio sui risparmi delle famiglie – Il settore del risparmio gestito in Italia, 2009.

73

I l r i s p a r m i o g e s t i t o i n I t a l i aG I N O G A N D O L F I & G I A C O M O N E R I

ETF/ETC che, per i minori costi di gestione e per la

maggior trasparenza, risultano essere dei forti

concorrenti “interni” ai fondi tradizionali così come i

conti di deposito online che, pur presentando una

redditività modesta, hanno il pregio di essere liquidi,

trasparenti e di essere percepiti come sicuri dalla

clientela.

La minaccia di prodotti sostitutivi ha un impatto molto

negativo sull’attrattività del settore. Per il distributore,

infatti, i prodotti bancari (obbligazioni proprie, etc.)

garantiscono una redditività maggiore e, di conse-

guenza, possono costituire un pericolo per la redditi-

vità attuale e futura del settore.

I fornitori

Nel panorama italiano dell’Investment Management si

ritiene che i fornitori (broker, technology provider,

outsourcer, gestori terzi, head hunter ecc.) non siano

in grado di esercitare una forza tale da avere impatti

sulla redditività dei players del settore e ciò in ragione

soprattutto della numerosità/concorrenzialità degli

stessi rispetto agli acquirenti (società di gestione del

risparmio).

I bassi costi di intermediazione e la forte concorrenzialità

dei brokers, la bassa propensione negli investimenti IT,

la quota residuale gestita in delega da gestori esteri e,

per ultimo, il ricorso residuale a servizi di outsourcing

depongono tutti a favore della tesi di cui sopra.

Clienti e canali distributivi

Nel contesto italiano, ma non solo, il potere contrattuale

dei clienti aumenta all’aumentare della loro fascia di ric-

chezza/capacità di investimento. L’attuale target di

clientela del settore vede la clientela retail prevalere su

quella istituzionale e private, sia in termini di numerosità

e di AuM (la quota media del retail, per operatore in

Italia, si aggira intorno all’80%) sia in termini di redditività.

La clientela retail ha un basso potere contrattuale e, di

conseguenza, subisce le politiche di pricing e di

prodotto delle banche distributrici, mentre la clientela

private ed istituzionale, grazie ad un maggior potere

contrattuale, riesce talvolta ad incidere sulle politiche di

prodotto e di prezzo degli operatori.

Ad onor del vero, però, il vero cliente dell’asset manager

italiano è la distribuzione. Molto forte risulta il potere

contrattuale del distributore con cui il cliente finale si

interfaccia. La rete distributiva ha una forza contrattuale

altissima nei confronti degli operatori del settore, cui pra-

ticamente drena tutti gli utili sotto forma di retrocessioni

e dividendi.

L’impatto andrebbe quindi considerato nell’ottica di

una strategia comune “fabbrica-distributore” che la

struttura proprietaria di gruppo pone in essere, strategia

che pone la redditività del canale distributivo ad un livello

di importanza superiore rispetto alla redditività della

singola fabbrica prodotto.

Incumbents

I players presenti nel contesto italiano dell’Investment

Management sono caratterizzati da entità legali diffe-

renti: SGR, Sicav, Gestori Esteri, SIM, Banche, Società

Assicurative.

Nonostante la numerosità e l’eterogeneità del gruppo

individuato, che dovrebbe far pensare ad un mercato

aperto e concorrenziale, la tipicità del contesto italiano,

che vede i diversi operatori identificati in precedenza non

operare in modo indipendente ma, al contrario, nel

contesto di un gruppo Bancario/Assicurativo “con-

glomerato”, fa sì che il mercato diventi chiuso, molto

concentrato e di conseguenza poco concorrenziale.

La concentrazione5 e la chiusura del mercato associata

alla bassa concorrenzialità hanno un impatto sulla red-

ditività degli operatori.

La valutazione complessiva evidenzia una situazione

reddituale del settore poco attrattiva in ragione della

forza espressa dai canali distributivi e della minaccia

esercitata dai prodotti sostitutivi.

Infatti, nonostante il settore sia in grado di produrre nel

2009 circa 13 mld. € di ricavi 6, gli stessi – al netto dei

costi, pari a circa 2,9 mld. € – sono “drenati” dalla rete

distributiva bancaria sotto forma di commissioni di

retrocessione (7,7 mld. €) e dividendi.

5. I primi 10 player gestiscono circa l’80% del patrimonio promosso complessivo, fonte dati societari aggiornati a ottobre 2009. Elaborazione ORFEO - Osservatoriosui risparmi delle famiglie – Il settore del risparmio gestito in Italia, 2009.6. Fonte: elaborazione PwC Advisory su dati societari.

74

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� La ricchezza delle famiglie in ItaliaIn Italia la ricchezza delle famiglie, da sempre fortemente

legata alle attività reali e in particolare al patrimonio

immobiliare, dopo il declino registrato nel 2008 è tor-

nata a crescere nel 2009 raggiungendo il massimo

storico di 9.480 Miliardi di Euro. Come mostrano i

grafici sottostanti, la crescita media annua dal 2003-

2009 è stata del 4,5%.

Analizzando in particolare i dati di Banca d’Italia riferi-

ti alla composizione del portafoglio delle famiglie, emer-

ge il grande peso dell’investimento immobiliare in cre-

scita e la cui incidenza risulta superiore in Italia rispetto

a quello di altri Paesi europei (cfr. figura 1)7.

Il peso delle attività finanziarie nel portafoglio delle

famiglie italiane è, invece, calato del 5%, (passando dal

42% del 2003 al 37% del 2009), attestandosi a

FIGURA 1. Ricchezza delle famiglie italiane

Fonte: ORFEO, Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, il settore del Risparmio gestito in Italia, 2009

Totale patrimonio immobiliare Totale attività reali Totale attività finanzianie

10 0009 0008 0007 0006 0005 0004 0003 0002 0001 000

02003 2004 2005 2006 2007 2008 2009

+ 4,5 %

7 260

Totale ricchezza delle famiglie

7 7498 287

8 818 9 227 9 088 9 480

3 769

413

3 079

4 036

432

3 280

4 364

436

3 487

4 743

442

3 633

5 089

461

3 678

5 240

475

3 374

5 508

492

3 480

mld di €

CAGR%

FIGURA 2. Andamento della ricchezza finanziaria delle famiglie

Fonte: ORFEO, 2009

Totale

2 952 2 927 2 9663 079

3 2803 487

3 633 3 678

3 3743 480

Prestiti e altri crediti,CAGR 1,9 % Titoli, CAGR 4,4 %

Moneta e depositi,CAGR 5,3 % Azioni e partecipazioni,CAGR - 1,9 % Fondi comuni,CAGR - 9,7 % Assicurazioni e fondipensione, CAGR 7,2 %

2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 20090

5001 0001 5002 000

2 5003 0003 500

4 000

86

562

370

388

815

707

91

622

413

327

784

730

94

624

468

338

787

768

100

674

521

321

858

806

111

642

578

331

972

853

109

667

611

302

1 025

921

112

726

607

264

1 008

962

114

766

587

164

717

1 026

110

745

619

181

761

1 064

94

504

330

454

904

667

+ 1,8%

CAGR 2000-2009%

mld di €

7. Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi bancari, risparmio postale, monete, prestiti dei soci alle cooperative, titoli pubblici italiani ed esteri, riservetecniche di assicurazione, fondi comuni di investimento, azioni e partecipazioni in società di capitali e quasi-società, altri conti attivi), attività reali (Oggetti di valore,impianti, macchinari, attrezzature, scorte e avviamenti) e patrimonio immobiliare (abitazioni, fabbricati non residenziali, terreni).

75

I l r i s p a r m i o g e s t i t o i n I t a l i aG I N O G A N D O L F I & G I A C O M O N E R I

3.480 miliardi di Euro. Questa ricchezza è riconducibile

per il 27% in prodotti di risparmio gestito e per il 73%

in risparmio amministrato e circolante.

In particolare, l’Italia presenta un livello di ricchezza

finanziaria, in proporzione al valore delle attività pro-

duttive, relativamente elevato (pari a circa tre volte il PIL)

e superiore ai principali Paesi escluso il Regno Unito

che, insieme con Svizzera e Stati Uniti, risulta tra i

Paesi con il maggiore tasso di finanziarizzazione del-

l’economia in Occidente

Il trend della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane

mostra, inoltre, come a fronte di un incremento medio

della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane pari

all’1,8% nel periodo 2000-2009, le attività investite in

fondi comuni hanno fornito un contributo negativo in ter-

mini di crescita media (-9,7%). Nello stesso periodo i

prodotti assicurativi (riserve tecniche) e fondi pensione

sono stati caratterizzati da un netto rialzo (+7.2%). E’

importante rilevare come a seguito della crisi occorsa

nel 2008 il livello di ricchezza finanziaria sia tornato ai

dati del 2005 (cfr. figura 2).

Nel 2009 il settore del risparmio gestito ha raggiunto un

valore del patrimonio promosso complessivo pari a

1.466 mld di euro. Si può stimare che i prodotti siano

destinati per circa il 35% alla clientela istituzionale

(circa 517 miliardi) e per il restante 65% alle famiglie

italiane (circa 949 miliardi), di cui 238 riconducibili alla

clientela private e 711 miliardi riconducibile alla clien-

tela retail e small business8 (cfr. figura 3).

Da evidenziare come, in realtà, una gran parte della

ricchezza finanziaria delle famiglie italiane sia in real-

tà “immobilizzata”. Se analizziamo in dettaglio i dati

Banca d’Italia emerge che gli investimenti azionari

includono anche le partecipazioni industriali e le quote

delle S.r.l. che nella percezione delle famiglie italiane

non rappresentano sicuramente un investimento

finanziario.

Andamento storico e trend

del Risparmio Gestito

L’evoluzione storica del settore evidenzia che, dopo un

biennio di crescita del patrimonio gestito complessivo

(2005-2006), nel 2007 il trend si è invertito portando una

riduzione del patrimonio nel 2008 di circa il 21%.

Secondo le stime effettuate, si rileva una ripresa nel

2009 (+16%) e si prevede per il 2011 il ritorno ai livelli

FIGURA 3. Segmentazione della ricchezza delle famiglie italiane (mld di €)

Fonte: ORFEO, 2009

Risparmio Gestito

1 466

2 531

3 480

2 598882

1 887644

711238

517

RisparmioAmministrato

+ Circolante

private retail + small business

Ricchezzadelle famiglie

italiane

Istituzionali

Investitori IstituzionaliRichezza famiglie privateRichezza altre famiglieRisparmio Gestito

Elaborazione PwC Advisory – Stime 2009su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009–Dati espressi in mld di Euro

8. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Stime 2009 su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009.

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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� di picco del 2006. Considerando invece un arco

temporale di sette anni, dal 2005 al 2011, si stima un

tasso medio di crescita positivo del patrimonio gestito

complessivo pari a circa lo 0,8%9.

Nel biennio 2005-2006 l’andamento del patrimonio

promosso, scomposto nelle 5 principali macrocategorie

di prodotto, evidenzia un andamento positivo destinato

ad arrestarsi a partire dall’anno successivo per il calo

dei fondi comuni d’investimento e delle gestioni

patrimoniali. A partire dal 2007, le gestioni collettive e

individuali subiscono una sensibile riduzione, mentre i

Fondi Pensione presentano un incremento di oltre il 6%

(cfr. figura 4).

Nel triennio 2005-2007 il peso dei diversi prodotti

del risparmio gestito sull’AuM non ha subìto rilevan-

ti cambiamenti; le variazioni, infatti, sono state di

circa l’1% tra un anno e l’altro. A partire dal 2008, i

Fondi Comuni riducono sensibilmente il loro peso

percentuale, mentre si affermano prodotti di tipo

assicurativo come unit/index l inked e polizze

assicurative tradizionali.

In termini assoluti, si osserva come, dal 2006 ad oggi,

l’andamento degli investimenti in prodotti obbligazio-

nari ed azionari ha registrato un costante calo, mentre

gli investimenti in altri prodotti, quali hedge, immobiliari

e “non classificati”, hanno mostrato una crescita

costante nel triennio 2005-2007. Nel 2008, si assiste

ad una riduzione del patrimonio promosso per tutte le

tipologie di prodotti; per il triennio 2009-2011 si stima

una lieve ripresa dello stesso, in termini assoluti, per

alcune tipologie di prodotto obbligazionari e monetari

in particolare10 (cfr. figura 5).

I canali distributivi del Risparmio Gestito

L’analisi conferma la prevalenza del canale bancario per

la distribuzione dei prodotti di risparmio gestito: nel 2008

quasi il 70% delle masse promosse è stato intermediato

attraverso sportelli bancari. L’analisi svolta mostra,

però, come la quota percentuale di AuM riferita al

canale bancario sia diminuita nell’arco temporale 2005-

2008 e, secondo le stime effettuate, diminuirà nei

prossimi anni. La ridistribuzione è dovuta principalmente

all’aumento di quota di mercato di altri canali quali

agenti/broker assicurativi – anche per la crescita della

presenza di Gruppi Assicurativi nel settore del risparmio

gestito – reti di promotori finanziari e consulenti

indipendenti nonché dei canali alternativi (Poste Italiane)

(cfr. figura 6).

FIGURA 4. L’industria del risparmio gestito - Segmentazione per prodotti

Fonte: ORFEO, 2009

Unit/Index Linked, CAGR 4,8%

Polizze assicurative, CAGR 4,1%

Fondi Pensione, CAGR 12,7%

Gestioni individuali, CAGR 0,8%

Gestioni collettive, CAGR -4,7%

Forecast

1 5591 642 1 605

1 265

1 466

1 637

+ 0,8%CAGR 2005-2011

Totale AUMQM prodotti Assicurativi

%

624 646 612400 446 467

318 353 339

246288 333

4652 58

6175

94

247259 251

241

284314

323332 345

317

373428

60,4% 60,9%59,3%

51,1%

50,1% 48,9%

39,6% 39,1%

40,7% 48,9%

49,9% 51,1%

0%

10%

20%

30%

40%

50%

60%

70%

0200400600800

1 0001 2001 4001 6001 800

2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011Elaborazione PwC Advisory su dati Assogestioni e dati societari -Dati espressi in mld di Euro

QM prodotti Bancari

mld di €

9. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie su dati societari.10. Dati del grafico in milioni di euro. Ns elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.

77

I l r i s p a r m i o g e s t i t o i n I t a l i aG I N O G A N D O L F I & G I A C O M O N E R I

Domanda ed offerta e business arena

In generale, la domanda degli investitori risulta pola-

rizzata tra esigenze primarie della clientela retail ed

esigenze avanzate della clientela private ed istituzionale.

A tale polarizzazione fa fronte una diversa offerta di pro-

dotti (standardizzazione Vs specializzazione) e differenti

player di mercato.

Analizzando nel loro complesso le principali variabili

utilizzate per l’analisi dei poli produttivi del settore11 e

il range di prodotti offerti per ciascuna tipologia di

player, risulta che i prodotti bancari e quelli assicurativi

si spartiscono più o meno equamente il mercato

(51% bancari e 49% assicurativi).

FIGURA 6. L’industria del risparmio gestito – Canali distributivi

Fonte: ORFEO, 2009

0 %

10 %

20 %

30 %

40 %

50 %

60 %

70 %

80 %

0200400600800

1 000 1 2001 4001 6001 800

2005 2006 2007 2008 2009 2011437078

203

1 164

507086

218

1 217

526894

227

1 165

486497

173

883

5674

120

210

1 007

7991

178

239

1 049

5,0 %

13,0 %

74,7 %

5,3 %

13,3 %

74,1 %

5,9 %

14,2 %

72,5 %

7,7 %

13,7 %

69,8 %

8,2 %

14,3 %

68,7 %

10,9 %

14,6 %

64,1 %

1 559 1 642 1 605 1 265 1 466 1 637

Canale bancario, CAGR - 2%

Promotori/IFA/SIM, CAGR 3%

Agenti/broker, CAGR 4%

Canale diretto, CAGR 15%

Altro, CAGR 11%

Forecast

Total AUM

QM canale bancario

QM promotori/IFA/SIM

QM Agenti/broker

+ 0,8 % CAGR 2005-2011%mld di €

11. Fonte: Ns. elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.

FIGURA 5. L’industria del risparmio gestito - Segmentazione per asset class

Fonte: ORFEO, 2009

Obbligazionari

Azionari

Fondi di Liquidità

Real Estate

Hedge

1 5591 641

1 605

1 265

1 4651 549

1 637

+ 0,8%1 8001 6001 4001 2001 000

800600400200

02005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

CGAR%

5128

182

342

956

4541

182

385

989

6157

219

365

904

3464205

178

783

3972

237

215

903

4075

249

225

959

4277

261

236

1 019

mld di €

78

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

� I poli assicurativi presentano una redditività lorda più alta,

ma sono i poli bancari ad avere la redditività netta e la

marginalità migliori; i poli di asset management risultano

essere i meno efficienti (cfr. figura 7).

I clienti High Net Worth

Una parte ri levante della ricchezza finanziaria

delle famiglie italiane (pari a circa il 25%)12 è detenuta

dalle famiglie più ricche, che rientrano nel novero

FIGURA 7. Principali economics business arena

Fonte: ORFEO, 2009

Poli di Asset Mngt

- 0,5 %

- 1,9 %

- 0,8 %

Tot.AuM 1.466

Poli Bancari

Poli Assicurativi

AuM Ricavi UtiliRedd.Lorda (bps)

Redd.Netta (bps)

Margi-nalità

(%)

85 0,7 0,4 85 43 50 %

4,8 %460 368 71282 CAGR AuM

2005 - 2009 285

31,4 % 19,3 % 25,1 % 19,5 %

AuM Ricavi UtiliRedd.Lorda (bps)

Redd.Netta (bps)

Margi-nalità

(%)

1005 8,1 1,3

AuM Ricavi UtiliRedd.Lorda (bps)

Redd.Netta (bps)

Margi-nalità

(%)

375 4,1 1,2 109 33 30 %

AuM perprodotto

Gest

ioni

Col

letti

ve

Gest

ioni

Indi

vidu

ali

% AuMsul tot.

Prod. Bancari(742mln€ - 51 %)

Prod. Assicurativi(724mln€ – 49 %)

Best Worst1 466 13 2,9 88 20 23 %Totale

81 13 16 %

mld €

Unite

Inde

x Lin

ked

Fond

i Pen

sione

Poliz

ze A

ssicu

rativ

e Vi

ta

FIGURA 8. Gli High Net Worth Individuals in Italia

Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC

670

2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 E

n.a. 646 692 703 694 586 640

4,7 %

710786 818 829

740

882

6,0 % 10,7 % 4,1 % 1,3 % - 10,7 % 19,2 % 5,3 %

n.a. 1,10 1,14 1,16 1,19 1,26 1,38

n.a.

CAGR(2003-2009)

YoY

YoY7,1 % 1,6 % - 1,3 % - 15,6 % 9,1 %

929stime

Ricchezzafinanziaria

(mld €)

N famiglie('000)

Portafogliomedio (mln €)

Forecast

Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi e liquidità, titoli obbligazionari, azioni quotate, fondi comuni, polizze vita e fondipensioni) detenute de famiglie con patrimoni superiori a 500.000 euro. 2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico,finanziario al 31 gennaio 2010.

12. Osservatorio Private Banking, PwC Advisory.

79

I l r i s p a r m i o g e s t i t o i n I t a l i aG I N O G A N D O L F I & G I A C O M O N E R I

della clientela cosiddetta private o High Net Worth.

Questo segmento di clientela è oggetto di particolare

attenzione da parte dei players del Settore del

Risparmio Gestito sia per l’elevata dimensione media

del patrimonio di ogni cliente, sia per l’opportunità di

offrire prodotti e servizi dedicati che non potrebbero

essere collocati presso la clientela retail, quali prodot-

ti speculativi e fondi chiusi, servizi di ottimizzazione

fiscale, sviluppo di family office, fondi di private equity,

eccetera.

L’aumento di redditività del segmento (+1,2 miliardi di

Euro di ricavi e un +0,4 degli utili) stimato in seguito allo

scudo e quindi all’ampliamento della base cliente (da

586 mila a 640 mila famiglie) e delle masse (aumento

del portafoglio medio da 1,26 a 1,38 milioni) fa del pri-

vate banking un notevole punto di interesse da parte

degli operatori di asset management.

L’analisi dell’AuM della clientela private mostra che

dopo una sostanziale diminuzione avvenuta nel corso

del 2008, nel 2009 si segnala un incremento del 19,2%

della ricchezza nel mercato italiano degli High Net

Worth Individual (HNWI), con una stima di circa 882

miliardi di euro detenuti da circa 640 mila famiglie

HNW.

Tale incremento è riconducibile per 54 mld alla perfor-

mance (+7,3%), per 3 mld a nuovi conferimenti (+0,4%)

e per circa 85 miliardi (+11,5%) allo scudo fiscale. Gli

effetti dello scudo 2010, sono stimabili, ad oggi, in

circa 10 mld (+1,1%) (cfr. figura 8, 9).

Nel mercato del private banking un ruolo decisivo lo ha

sicuramente ricoperto lo scudo fiscale.

Circa 100 miliardi sono rientrati tra il 2009 ed il 2010.

Da segnalare che una gran parte di questi capitali

(circa il 50%) sono detenuti in liquidità, circostanza

che rappresenta una grande opportunità per le banche

private ma anche per gli asset managers. Si stima

che, a partire dai prossimi mesi (probabilmente dal

2011), la componente liquida dei capitali rimpatriati

verranno destinati verso prodotti di risparmio gestito

attraverso intermediari specializzati non generalisti

(private banking) ed asset managers che detengono il

know-how, le competenze e le risorse necessarie per

gestirli. ◗

FIGURA 9. Evoluzione degli asset detenuti dagli High Net Worth Individuals in Italia

Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC

2005 2006 2007 2008 2009 2010 E

stime

Effettoperformance

Var % vsanno prec. + 2,9 % + 1,1 % + 1,0 % + 1,1 % + 7,3 % + 0,4 % + 11,5 % + 5,7 % -1,5 % +1,1 %+ 0,3 % - 11,3 %+ 4,1 % + 1,3 % -10,7 % +19,2 % +5,3 %

Netinflow

Effettoperformance

Netinflow*

Effettoperformance

Netinflow Effetto

performanceNetinflow

Scudo2009

Scudo2010

Effettoperformance

Netinflow

Forecast

786

+23 +9+8

+3

-98+9

+54+3

+85

+50 -13+10

818 829 740 882 929

2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico, finanziario al 31 gennaio 2010.(*): Raccolta 2010: raccolta negativa influenzata da un consistente spostamento di parte del patrimonio finanziario scudato nel corsodel 2009 da parte della clientela private da attività finanziarie verso attività reali (immobili/aziende), solo parzialmente compensa-to da una crescita della raccolta positiva derivante da ricchezza reale.

80

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

BIBLIOGRAFIAAssogestioni – Annuario, vari anni.

Banca d’Italia, intervento del Dott. Carosio, Assemblea Annuale Assogestioni, “Fondi Comuni e Crisi dei Mercati –L’impatto della crisi finanziaria sui fondi comuni” 18 marzo 2010.

Banca d’Italia - Supplementi al Bollettino Statistico - Conti Finanziari 2010.

Banca d’Italia - Relazione Annuale– Roma, 31 maggio 2010 - Considerazioni finali del Governatore.

F. M. De Rossi, D. Gariboldi, G. Leggieri, A. Russo, Consob, QdF – “Il marketing dei Fondi comuni italiani” –Gennaio 2008.

IMF - World Economic Outlook - Financial Stress, Downturns, and Recoveries, IMF October 2008.

IMRE Advisory – Market turmoil – issues and challenges for asset managers – December 2008.

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, Focus Paper - Global Fund Distribution 2009 e posizionamento dell’Italia,Ottobre 2009.

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie - “Il risparmio delle famiglie italiane: una risorsa strategica per il Paese ele opportunità dello scudo fiscale”, 8 marzo 2010.

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Relazione al seminario “La Gestione del Risparmio delle Famiglie oltrela Crisi” – Parma, 30 Giugno 2009.

Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Il settore del Risparmio Gestito in Italia, 2009.

PricewaterhouseCoopers, “L’industria del risparmio gestito e del private banking : evoluzione e cambiamenti incorso”, Convegno ABI-AIPB-Assogestioni, 27 febbraio 2009.

PricewaterhouseCoopers - “Financial Crisis of 2008: Navigating and Mitigating Risks”, PwC Banking & CapitalMarkets November 2008.

PricewaterhouseCoopers - DAVOS - World Economic Forum Annual Meeting 2010. Materiale preparato da PwC peril World Economic Forum.

PricewaterhouseCoopers - The day after tomorrow – Presente e futuro della gestione del risparmio, Ottobre 2009.

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

81

Il gruppo Crédit Agricole in Italia

Il gruppo Crédit Agricole sviluppa in Italial’insieme delle sue attività, talvolta condelle posizioni tra i leader del mercato.Queste attività beneficiano di marchimolto forti e riconosciuti. Esse possonoavvalersi al tempo stesso di partneritaliani di alta qualità e della competenzache può fornire uno dei primi gruppifinanziari europei. L’Italia è il secondomercato del gruppo dopo la Francia.

Una presenza di lunga durata Il Gruppo Crédit Agricole è presente in Italia da oltre

40 anni.

La sua crescita è avvenuta sia in modo organico sia

come conseguenza delle diverse acquisizioni fatte

dalla Casa Madre. La Banque Indosuez, il Crédit

Lyonnais, Sofinco avevano tutte una presenza opera-

tiva nel paese che si è sviluppata sia in modo autono-

mo, sia integrandosi con le altre attività del Gruppo.

Il primo investimento diretto del gruppo Crédit Agricole

in Italia è stata l’acquisizione del 30% del Banco

Ambrosiano nel 1989. La piccola banca privata in dif-

ficoltà è stata risanata e con continui successivi aumen-

ti di capitale sempre sottoscritti dal Gruppo, per la

sua quota, è diventata Banca Intesa, prima banca ita-

liana. In questo periodo, vista l’opposizione delle

Autorità Monetarie a che importanti banche italiane

fossero acquisite da gruppi esteri, la strategia di Crédit

Agricole era di sviluppare joint-ventures di dimensione

europea con Banca Intesa in diversi settori quali l’asset

management, il credito al consumo e la banca privata

ecc.

La fusione tra Banca Intesa e Istituto San Paolo di

Torino ha comportato per il gruppo Crédit Agricole un

cambio di strategia anche per rispettare le indicazioni

date dall’Antitrust. Il gruppo Crédit Agricole, pur aven-

done la facoltà, non si è opposto alla nascita di que-

sta grande banca italiana considerando legittima l’a-

spirazione del Paese di avere una grande banca

nazionale di dimensione europea. Ha però chiesto in

cambio la creazione di una propria banca che si è

concretizzata all’inizio del 2007 con l’acquisto da

Banca Intesa del Gruppo Cariparma Friuladria com-

posto da oltre 700 filiali localizzate nelle zone più ricche

del Paese.

Al momento della creazione di questa nuova banca il

management ha comunicato gli obbiettivi principali di

questo investimento. Il primo era di raggiungere una

dimensione di circa 1000 sportelli. Il secondo, pur

creando con Cariparma Crédit Agricole la capogruppo

ARIBERTO FASSATI

Direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppoCrédit Agricole S.A.Presidente di Cariparma

82

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

del nuovo gruppo bancario, di mantenere l’autonomia

della Banca Popolare Friuladria ricreando così, sull’e-

sempio delle Caisses régionales in Francia, un model-

lo bancario composto da banche fortemente radicate

al territorio.

In questi ultimi mesi è stato raggiunto il primo obbiet-

tivo con la firma dell’accordo di acquisizione della

Cassa di Risparmio Della Spezia e di ulteriori 100 spor-

telli che saranno ripartiti tra Cariparma e Friuladria. Al ter-

mine dell’operazione, la presenza bancaria del Crédit

Agricole in Italia sarà composta quindi da Cariparma,

che controlla la maggioranza assoluta di Friuladria, e da

CR della Spezia per un totale, compresi i centri impre-

sa corporate e private, che si avvicina ai 1000 punti ven-

dita divenendo così la settima banca italiana per nume-

ro di agenzie. Il Gruppo bancario avrà oltre 9000

dipendenti, impieghi per circa 33.000 mln di euro, una

raccolta diretta di circa 35.000 mln di euro, un Tier 1

intorno all’8% ed un indice di liquidità tra i migliori

d’Italia, intorno a 0,93. Il Gruppo Cariparma Friuladria

è stato inoltre la migliore banca italiana per costo del cre-

dito nel 2009 e con 311 mln di euro di utile netto si è

posizionata al terzo posto tra le banche italiane.

La presenza del gruppo CréditAgricole in Italia si estende oltre labanca commercialeNel Credito al Consumo la joint venture Agos Ducato

controllata al 60% dal gruppo Crédit Agricole, con il

Banco Popolare al 40%, è di gran lunga il leader italiano

con una quota di mercato del 16% mentre il secondo

concorrente ha meno del 10%. Agos Ducato dispone

di oltre 250 agenzie proprie e può contare su una rete

di circa 3000 agenzie per distribuire i suoi prodotti.

Sempre nel settore del credito al consumo, il gruppo

Crèdit Agricole è socio al 50% con Fiat in FGA, socie-

tà leader in Europa nel credito automobilistico. La

società che è presente in diciotto paesi europei opera

per tutto il gruppo Fiat e recentemente si sono aggiun-

ti i marchi Jaguar, Rover e il gruppo Chrysler.

Nel settore delle assicurazioni il gruppo è presente

con Crédit Agricole Vita, ottava compagnia del mercato

italiano di bancassicurazione e con CA Assicurazioni di

recente costituzione che, adattando il modello di

Pacifica alle caratteristiche del mercato italiano, ha

riscosso nel primo anno di attività risultati migliori alle

aspettat ive nel l ’assicurazione auto e casa.

Nell’assicurazione crediti con CACI il gruppo é tra i lea-

der del mercato.

Nel settore del Coporate & Investment Banking da più

di quaranta anni il Gruppo è un attore tra i più impor-

tanti e qualificati del mercato con Crédit Agricole

Corporate & Investiment Banking (ex Indosuez e Calyon)

ed esercita tre tipi di attività:

• Il Capital Market nelle sue diverse funzioni: nel fixed

income, dal forex ai bonds pubblici e privati, alla car-

tolarizzazione e nel mercato azionario con Cheuvreux

una delle principali case di ricerca e brokeraggio sulla

borsa italiana.

• La banca di finanziamento, rivolta ai grandi gruppi

italiani con specialisti nel project financing, e l’acquisition

finance, il credito all’esportazione, il credito immobilia-

re e lo shipping.

• L’acquisizione e la ristrutturazione di non performing

loans dove la banca è presente da diversi anni sul

mercato dei mutui.

Di più recente creazione sono Crédit Agricole Leasing

ed Eurofactor che grazie alle reti bancarie hanno già

acquisito posizioni rilevanti nei rispettivi mercati del

Leasing e del Factoring. Infine, nell’asset manage-

ment, Amundi è l’ottava società di gestione del rispar-

mio in Italia con 25 mld di euro di masse amministra-

te. La società é il braccio operativo in Italia di Amundi

SA, controllata al 75% dal gruppo Crédit Agricole, che

con 680 Mld di asset è uno dei leader europei del

risparmio gestito.

Maggiore integrazione nel tessutoeconomico grazie a partnershipsstrategicheOltre alla rete bancaria la società, grazie alla qualità e

alle capacità innovative dei suoi prodotti, opera anche

con investitori istituzionali nel paese. Una delle carat-

teristiche che differenziano il gruppo Crédit Agricole dagli

altri gruppi esteri presenti in Italia è la grande capaci-

tà di stringere alleanze e operare con partners.

Dopo un’alleanza durata venti anni con Banca Intesa,

il Gruppo è oggi socio di Fondazione Cariparma che

detiene il 15% di Cariparma. Con la Fondazione che

ha voluto reinvestire nella propria banca al momento

83

del passaggio da Banca Intesa a Crédit Agricole i

rapporti sono particolarmente solidi. La joint-venture

riesce ad abbinare le tecnologie di un grande gruppo

bancario internazionale come Crédit Agricole alla forte

presenza ed influenza locale della Fondazione. Questa

positiva esperienza andrà ripetuta con la Cassa di

Risparmio Della Spezia dove la Fondazione della

Cassa di Risparmio Della Spezia detiene il 20% del

capitale. Nel capitale di Banca Popolare Friuladria

hanno investito oltre 12.000 azionisti privati che sono

spesso soci/clienti e quindi nostri ambasciatori sul

territorio. La joint-venture con Fiat abbina la forza

finanziaria e la tecnologia nel credito al consumo del

gruppo Crédit Agricole alla potenza commerciale e

industriale di uno dei principali operatori automobilistici

europei. L’alleanza con Banco Popolare permette ad

Agos Ducato di utilizzare la rete della quarta banca

italiana.

Questa capacità di operare con partner italiani fa del

gruppo Crédit Agricole non solo la più importante

banca estera in Italia ma anche la più integrata nel

tessuto economico e sociale del paese. ◗

I l g r u p p o C r é d i t A g r i c o l e i n I t a l i aA R I B E R T O F A S S A T I

84

H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0

325 À nos marques !

326 Agriculture et ruralité dans les pays en développement

327 Banque de financement et d’investissement : modèles et développements

328 Face aux risques extrêmes : banques et assurances

329 Conformité : pourquoi et comment

330 Les services à la personne

331 Le Financement des PME en France

332 Des PME et des territoires

333 Banque privée : mutations et défis

334 La microfinance au carrefour du social et de la finance

335 Dynamiques démographiques : une révolution socioéconomique

336 Dynamiques démographiques : quelles stratégies bancaires ?

337 Partenariats public-privé : un nouvel élan pour la commande publique

338 Les moyens de paiement, pierre angulaire de l’intermédiation financière

339 Banque de détail et innovations technologiques

340 Il sistema bancario italiano : territori, attività e sfide

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