Il sistema bancario italiano: territori, attività e...
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H O R I Z O N S B A N C A I R E S N U M E R O 3 4 0 - N O V E M B R E 2 0 1 0
Il sistema bancario italiano:territori, attività e sfide
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EDITORIALE .............................................................................................................................................................................................. 3JEAN-PAUL CHIFFLET, direttore generale, Crédit Agricole S.A.
Le grandi tendenzeLe caratteristiche del sistema bancario italiano: evoluzione dell’attivitàe delle performance .................................................................................................................................................................................................. 5MARCELLO MESSORI, professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”
Il consolidamento del mercato bancario italiano: evoluzioni e prospettive ............................... 11ILARIA ROMAGNOLI, managing director, Head of FIG Italy, Rothschild
Banche e antitrust: le specificità italiane ................................................................................................................................... 20SERGIO EREDE, socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo
E MASSIMO MEROLA, responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede Pappalardo; professore, Collegio d’Europa
Il mercato bancario italiano e l’evoluzione normativa di Basilea 3 ........................................................ 26ANDREA FERRETTI, executive director, Ernst & Young
E GIUSEPPE QUAGLIA, partner, Ernst & Young
Banche e territori Il rapporto tra banche e territori dopo la Grande Crisi del 2007-2009 ............................................. 37GIOVANNI FERRI, professore ordinario, Università di Bari
Il ruolo delle banche del territorio nel sistema bancario italiano ............................................................... 44GIAMPIERO MAIOLI, amministratore delegato e direttore generale, Gruppo Cariparma Friuladria
Il ruolo delle fondazioni come investitori istituzionali delle banche ...................................................... 49CARLO GABBI, presidente, Fondazione Cariparma
I problemi di finanziamento delle PMI e il loro accesso ai mercati esteri ..................................... 53GIAMMARCO BOCCIA, responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE
Le attività bancarie Il mercato immobiliare in Italia .................................................................................................................................................................. 56DANIELA PERCOCO, head of real estate, Nomisma
E LUCA DONDI, economista, Nomisma
E GUALTIERO TAMBURINI, presidente, Assoimmobiliare
La distribuzione bancaria in italia: trend in atto,scenari evolutivi e possibili strategie competitive ......................................................................................................... 62VITTORIO RATTO, partner, Bain & Company, Milano
E ALESSANDRO GERALDI, manager, Bain & Company, Milano
Il credito al consumo in Italia ..................................................................................................................................................................... 68Tre domande a UMBERTO FILOTTO, segretario generale, Assofin; professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”
Il risparmio gestito in Italia ............................................................................................................................................................................. 70GINO GANDOLFI, professore ordinario, Università di Parma
E GIACOMO NERI, partner, PricewaterhouseCoopers
Il gruppo Crédit Agricole in Italia .......................................................................................................................................................... 81ARIBERTO FASSATI, direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppo Crédit Agricole S.A., presidente di Cariparma
Servizio ai lettori .......................................................................................................................................................................................................... 84
I l s is tema bancar io i ta l iano:ter r i tor i , a t t i v i tà e s f ide
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E D I T O R I A L E
JEAN-PAUL CHIFFLET
DIRETTORE GENERALE, CRÉDIT AGRICOLE S.A.
Crédit Agricole ha scelto ormai da tempo l’Italia come suo secondo mercato dome-
stico. Dal 2007 ad oggi, questa evoluzione si è consolidata mediante l’acquisizione
di Cariparma e di Friuladria, la creazione di potenti partnership nel settore credito
al consumo in collaborazione con player di primo piano del mondo economico italiano
e il crescente livello d’integrazione della struttura a cui appartengono le linee di busi-
ness specializzate del Gruppo già presenti nel Paese.
Una scelta strategica che è basata su varie motivazioni. La vicinanza geografica,
culturale e commerciale con la Francia costituisce ovviamente una condizione
essenziale per il successo. L’Italia presenta inoltre una configurazione unica nell’area
Euro grazie alle sue caratteristiche di mercato maturo a forte potenziale, sia in termini
di sviluppo che di livello di sofisticazione dei prodotti bancari e assicurativi, o alle sue
prospettive di consolidamento. Il forte radicamento a livello regionale, la prossimi-
tà delle banche alla clientela, lo sviluppo di rapporti di lungo termine e il ruolo spe-
cifico delle fondazioni richiamano infine i valori cooperativi di Crédit Agricole.
Crédit Agricole è oggi il 7° gruppo bancario italiano e il 1° gruppo finanziario
straniero della Penisola. La banca si è assicurata posizioni di leader in determinate
regioni e nei settori del retail banking, dei servizi finanziari specializzati, dell’asset
management, delle assicurazioni e del corporate & investment banking.
È nostra intenzione continuare a svilupparci al servizio di tutti i nostri clienti, ai quali
vogliamo fornire, grazie alla nostra costante attenzione alla prossimità e ai vantaggi
offerti dalla dimensione mondiale del Gruppo, una qualità di servizio esemplare
abbinata a soluzioni innovative e adeguate alle loro esigenze. L’estensione della nostra
rete di retail banking, con l’acquisizione di Cassa di Risparmio della Spezia e di 96
nuove agenzie, rappresenta un ulteriore passo in questa direzione.
Le collaboratrici e i collaboratori italiani di Crédit Agricole possono quindi essere
orgogliosi dello sviluppo e dei risultati del Gruppo nel loro Paese e rivendicare gli
impegni e i valori di Crédit Agricole. ◗
Questo numero di Horizons Bancaires è dedicato all’Italia. Nella prima parte, centrata sulle principali tendenze del sistema ban-cario della Penisola, vengono esaminate le conseguenze della recente crisi e viene riservato ampio spazio alle prospettive peril futuro. La seconda parte è dedicata al tema del radicamento nel territorio, di cui vengono individuati i fondamenti e descrit-te le pratiche. Una terza ed ultima parte analizza alcuni temi di attualità: la solidità del mercato immobiliare residenziale, le carat-teristiche specifiche della distribuzione, della gestione del risparmio e del credito al consumo.
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Le caratteristiche del sistemabancario italiano: evoluzionedell’attività e delle performance
Anche se è stato relativamente pococolpito dalla crisi finanziaria del 2007-2009, il sistema bancario italianoresta soggetto a forti pressioni intermini di redditività. Questo articolo neanalizza le cause e propone alcunesoluzioni strutturali.
PremessaNell’ambito dei paesi economicamente avanzati, il set-
tore bancario italiano è stato – insieme a quello cana-
dese - fra i meno colpiti dalla crisi finanziaria del 2007-
09. Nel caso italiano, nessun intermediario finanziario
ha dovuto ricorrere ad aiuti pubblici in funzione di sal-
vataggio, solo quattro gruppi bancari hanno trovato
conveniente rafforzare la propria capitalizzazione
mediante limitate emissioni di strumenti ibridi sottoscritti
dal Ministero dell’economia (i cosiddetti “Tremonti
bond”), solo uno dei maggiori gruppi bancari ha pro-
ceduto a ricapitalizzazioni di mercato. Eppure, negli ulti-
mi due anni, il settore bancario italiano ha subito un dra-
stico ridimensionamento della propria redditività e i
gruppi quotati hanno sopportato gravi cadute nei loro
valori azionari; e anche le previsioni più ottimistiche sot-
tolineano che, nei prossimi anni, in Italia la ripresa degli
utili bancari (ROE) sarà graduale e inferiore a quella dei
settori bancari più colpiti dalla crisi.
Queste evidenze, apparentemente contraddittorie, tro-
vano un’interpretazione coerente alla luce delle molte
peculiarità che continuano a caratterizzare il settore ban-
cario italiano e che sono uno dei lasciti dei pur positivi
processi di aggregazione e di riassetto proprietario
realizzati fra i primi anni Novanta e il 2007. In quanto
segue, si richiameranno alcune di tali peculiarità al fine
di porre in evidenza tre aspetti: (i) la maggiore solidità,
manifestata rispetto alla crisi finanziaria, dipende da vari
fattori (per esempio, una più attenta vigilanza) ma
soprattutto dalla specializzazione dei gruppi bancari e
delle banche italiane in attività retail e di corporate tra-
dizionale anziché in attività di investment; (ii) tale spe-
MARCELLO MESSORI
Professore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”
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cializzazione implica che i gruppi e le banche italiane
traggano una parte significativa dei loro profitti dai
finanziamenti alle imprese e – soprattutto – dai servizi
di allocazione della ricchezza finanziaria delle famiglie
e che, quindi, siano particolarmente vulnerabili rispet-
to alle crisi ‘reali’; (iii) la recente crisi (finanziaria e reale)
è stata così profonda da determinare forti aumenti
nell’avversione al rischio dei detentori di ricchezza e da
imporre, quindi, una revisione dei meccanismi di allo-
cazione dei patrimoni finanziari delle famiglie.
Alcune peculiaritàdelle banche italianeIl processo di aggregazione e di riassetto proprietario,
che ha caratterizzato il settore bancario italiano dall’i-
nizio degli anni Novanta al 2007, è stato il più rapido e
pervasivo fra quelli attuati nei grandi paesi europei
durante lo stesso periodo. Basti considerare, al riguar-
do, due indicatori: se nei primi anni Novanta il peso della
proprietà pubblica nel settore bancario sfiorava in Italia
il 75% e superava così di più di 20 punti percentuali
quello tedesco e di quasi 40 punti percentuali quello
francese, all’inizio degli anni Duemila in Italia la presenza
statale nelle banche era pressoché azzerata; se nel
1990 il grado di concentrazione del mercato bancario
era pari in Italia a poco più della metà della media
dell’Unione europea, già intorno al 2005 le distanze si
erano annullate (cfr. per esempio: Messori 2002 e
2007). Per giunta, questo processo di consolidamen-
to è sfociato nella costruzione di due fra i maggiori grup-
pi bancari europei (Unicredit e Intesa-San Paolo) e di
un sottoinsieme di gruppi di dimensione nazionale col-
locati nelle aree più ‘forti’ del paese.
Tali profonde trasformazioni non hanno, però, modificato
il fattore di vantaggio comparato dell’attività bancaria
in Italia: il radicamento territoriale che ha permesso di
costruire rapporti di lunga durata (seppure con diffuse
pratiche di multiaffidamento) nei confronti delle piccole
e medie imprese e di far prevalere l’amministrazione
bancaria per l’allocazione della ricchezza finanziaria
delle famiglie. Basti fare riferimento a tre indicatori:
l’Italia è stato uno dei pochi paesi europei ad aumentare
il numero degli sportelli bancari fino ad anni recenti (cfr.
Affinito et al. 2006); nel confronto internazionale, in
Italia il peso del risparmio amministrato rispetto a quel-
lo gestito è molto elevato (cfr. Lusignani 2010); alle
soglie della crisi finanziaria, mentre gli attivi di bilancio
delle altre grandi banche europee e di varie banche
regionali non italiane erano dominati da servizi finanziari
spesso a rischio molto elevato, gli attivi dei maggiori
gruppi bancari italiani (anche di quelli con proiezione
europea) riservavano il peso prevalente ai servizi tra-
dizionali (cfr. Pierobon 2009).
A fronte di una simile specializzazione, nel 2007 il set-
tore bancario italiano soddisfaceva i requisiti patrimo-
niali regolamentari ma aveva un coefficiente di capita-
lizzazione inferiore a quello medio europeo. Anche in
questo caso, si è trattato – almeno in parte – di un lasci-
to del processo di consolidamento: specie fra la secon-
da metà del 1997 e il 2007, le aggregazioni si sono lar-
gamente fondate su scambi azionari che non hanno
rafforzato il patrimonio dei nuovi gruppi; e una parte
significativa delle limitate risorse aggiuntive, inserite
nel settore nel corso degli anni Novanta, sono servite
per interventi di salvataggio. Fatto è che, già nella
prima fase della crisi finanziaria (inizio del 2008), l’in-
sieme del settore bancario italiano faceva registrare un
coefficiente Tier 1 inferiore di circa mezzo punto per-
centuale rispetto al valore medio europeo; e tale diva-
rio si è accentuato (fino a superare i due punti per-
centuali) fra l’autunno del 2008 e la primavera del
2009, allorché gli altri grandi paesi dell’Unione europea
hanno varato piani di ricapitalizzazione statale a favo-
re dei loro intermediari finanziari anche in stato di sol-
vibilità (cfr. Banca d’Italia 2009 e 2010). Solo negli ulti-
mi trimestri i gruppi bancari e le banche italiane hanno
incrementato i loro coefficienti patrimoniali più della
media europea. In ogni caso, in termini di leva finan-
ziaria, la vocazione tradizionale ha più che compensato
la minore capitalizzazione: fin dal 2008, il grado medio
di leverage del settore bancario italiano è stato inferiore
a quello caratterizzante gli altri principali paesi
dell’Unione europea (cfr. Draghi 2010; Sironi 2010).
La redditività delle banche italianeLe precedenti considerazioni possono, forse, giusti-
ficare la relativa solidità del settore bancario italiano
rispetto al l ’ impatto del la cr is i f inanziar ia del
2007-09; esse non sono, però, sufficienti per dar
conto della possibile evoluzione di questo settore
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nel dopo-crisi. Al riguardo, è necessario richiamare
altre due peculiarità: la dinamica della profittabilità
del settore fra la fine degli anni Novanta e i primi anni
del Duemila; il connesso ruolo, svolto dall’interme-
diazione bancaria, per l’allocazione della ricchezza
finanziaria delle famiglie italiane.
Superata la lunga crisi di metà degli anni Novanta, fra
il 1998 e il 2000 il settore bancario italiano ha ottenu-
to valori crescenti del ROE netto (da 7,4 a 11,6) e si è
così avvicinato alla profittabilità media europea. Seppure
in un quadro macroeconomico meno favorevole, fra il
2001 e il 2003 esso ha mantenuto i valori del ROE netto
fra il 6,2 e lo 8,8; e, dal 2004 al 2007, ha realizzato ROE
netti oscillanti intorno al valore di 10 (arrivando alla
soglia dello 11,8 nel 2006) (cfr. Banca d’Italia, vari
anni). Tali dati indicano che, pur senza aver mai rag-
giunto i massimi livelli della redditività bancaria inter-
nazionale, fra la fine degli anni Novanta e il 2006 il
settore bancario italiano si è – dapprima – avvicinato e
– poi – ha tenuto il passo con la profittabilità media delle
banche europee. Ne deriva un ovvio interrogativo:
come è stato possibile, per l’insieme delle banche ita-
liane, recuperare i divari di redditività mantenendo una
specializzazione tradizionale?
Per rispondere a questo interrogativo, è necessario con-
siderare che: il processo di consolidamento del perio-
do 1990-2007 ha accresciuto il grado di concorrenza
bancaria nei servizi alle imprese e ha, così, compres-
so i margini di interesse; dalla seconda metà degli
anni Novanta, in Italia il rapporto prestiti bancari/depo-
siti bancari è stato ampiamente superiore a 1 e più ele-
vato di quello medio nell’area dell’euro e – a maggior
ragione – di quello negli Stati Uniti (cfr. Messori 2009,
pp. 81-2); dall’inizio degli anni Duemila, in Italia l’an-
damento di tale rapporto ha fatto sì che il capitale
proprio non fosse sufficiente per compensare i divari fra
le voci tradizionali dell’attivo e del passivo dei bilanci
bancari; pertanto, l’insieme delle banche italiane è
diventato un debitore netto nei mercati interbancari
internazionali e, rafforzando la propria precedente fun-
zione di riallocazione della ricchezza finanziaria delle
famiglie dai titoli del debito pubblico a portafogli più arti-
colati, ha collocato un elevato ammontare di obbliga-
zioni (plain vanilla e strutturate) nei mercati finanziari
nazionali; per di più, dato lo scarso peso degli investi-
tori istituzionali italiani (fondi pensione e prodotti assi-
curativi “ramo vita”), a differenza che negli altri paesi
europei queste obbligazioni sono state largamente
vendute nel mercato retail ossia inserite nei portafogli
delle famiglie (cfr. Banca d’Italia, vari anni).
Se si aggiunge che l’Italia vanta il più alto rapporto fra
ricchezza finanziaria netta delle famiglie e Pil rispetto ai
maggiori paesi dell’Europa continentale (cfr. Banca
d’Italia 2010, p. 167), le precedenti considerazioni
indicano che la redditività del settore bancario italiano
fra la fine degli anni Novanta e il 2006 ha tenuto il
passo con quella media europea soprattutto grazie
alla gestione e all’amministrazione della ricchezza finan-
ziaria delle famiglie (ossia grazie al “risparmio gestito”,
prima, e al “risparmio amministrato”, poi). Mentre i
grandi gruppi bancari europei e alcune banche regio-
nali specie tedesche reagivano alla calante redditività
delle loro attività tradizionali e aumentavano anzi il pro-
prio ROE grazie all’espansione di lucrose ma rischio-
se attività di investimento, il settore bancario italiano
sfruttava il proprio radicamento territoriale e la debolezza
degli investitori istituzionali per assumere il quasi-mono-
polio nella gestione e nella amministrazione della ric-
chezza finanziaria delle famiglie e per estrarne le rela-
tive rendite. Ciò ha, però, determinato un’allocazione
inefficiente di tale ricchezza. Prova ne sia che: negli anni
Duemila precedenti lo scoppio della crisi finanziaria
(maggio 2007), il rendimento medio di un ampio spet-
tro di obbligazioni bancarie strutturate non è stato
maggiore di quello dei titoli del debito pubblico italia-
no con analoga scadenza e non ha, quindi, corrispo-
sto alcun premio per la sua maggiore rischiosità e la sua
minore liquidità; in quegli stessi anni, il tasso di crescita
della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane è stato
inferiore a quello di paesi con più bassa propensione
al risparmio.
Le prospettive delle banche italianeLe molte peculiarità degli assetti finanziari e bancari ita-
liani, sopra esaminati, sapranno offrire – nel futuro
prossimo – performance del settore soddisfacenti
anche se inferiori a quelle pre-crisi? I dati e le previsioni
indicano che, rispetto ad altri sistemi bancari, il setto-
re italiano ha subito con ritardo l’impatto della crisi
ma rischia di recuperare con ancora maggiore ritardo �
Le ca ra t te r i s t i che de l s i s tema bancar io i t a l i ano : evo luz ione de l l ’ a t t i v i t à e de l l e pe r fo rmanceM A R C E L L O M E S S O R I
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sufficienti livelli di redditività. Infatti nel 2008, pur segnan-
do una significativa caduta, il ROE netto medio delle
banche italiane si è mantenuto al valore di 4,5 mentre
è sceso a 3,6 nel 2009; e l’aspettativa è che il ROE
netto raggiunga solo nel 2012 valori non lontani da 5
(cfr. AFO 2010).
Queste previsioni non sorprendono e appaiono persi-
no troppo ottimistiche. Specie per l’Europa, il quadro
macroeconomico per i prossimi anni non è incorag-
giante. Vi è una probabilità non bassa che, a causa dei
vincoli posti dalla dinamica dei debiti sovrani e dal
conseguente mancato rilancio della domanda interna,
i paesi dell’area euro puntino su una crescita export led.
Se però la stessa strategia verrà perseguita anche
dagli Stati Uniti e dai paesi emergenti, la somma delle
parti non potrà essere coerente con il tutto (problema
di “fallacia dell’aggregazione”); e le aree sottoposte ai
maggiori vincoli, come l’area dell’euro, non potranno
realizzare i loro obiettivi di crescita e si condanneran-
no a una fase di stagnazione. Una situazione del gene-
re prolungherebbe la politica dei bassi tassi di interes-
se, ma minerebbe anche la solvibilità di molte piccole
e medie imprese e aggraverebbe la disoccupazione. In
un tale quadro i detentori di ricchezza troverebbero
buone giustificazioni per rafforzare l’avversione al
rischio, già accresciuta durante la crisi finanziaria, e per
interrompere così i cauti processi di riallocazione dei loro
portafogli verso scadenze di più lungo periodo.
Rispetto al settore bancario europeo, ciò implichereb-
be una riduzione dei già bassi ricavi sui servizi tradizionali
offerti alle imprese, un peggioramento nella dinamica
dei crediti incagliati o in sofferenza e una caduta nei pro-
venti derivanti dall’amministrazione della ricchezza
delle famiglie a causa della loro fuga verso la liquidità
o verso investimenti di breve termine. Per giunta, non
sussistendo problemi di reperimento di liquidità priva-
ta da parte delle banche europee, la BCE potrebbe
decidere di proseguire il graduale processo di steriliz-
zazione delle generose politiche di “mercato aperto”,
varate durante la crisi finanziaria, per concentrarsi sul
sostegno alla domanda dei titoli di debito sovrano; il che
prosciugherebbe una fonte di facile guadagno per il set-
tore bancario europeo. Quest’ultimo avrebbe così un
incentivo, rafforzato dalla mancata riforma delle rego-
le e della vigilanza europea sui mercati finanziari, per
espandere nuovamente quelle rischiose attività di inve-
stimento che ne hanno sostenuto la redditività fino a
metà del 2007 ma che sono anche state un fattore
determinante della crisi del 2007-09.
Data la sua specializzazione tradizionale, il settore
bancario italiano sarebbe particolarmente colpito da
un’evoluzione così negativa del quadro macroecono-
mico e dell’attività bancaria europee. Per giunta, rispetto
al periodo pre-crisi, esso potrebbe incontrare maggiori
difficoltà a salvaguardare performance soddisfacenti
grazie ai proventi dall’amministrazione della ricchezza
finanziaria delle famiglie. Nel recente passato la forte
avversione al rischio, che ha caratterizzato in media le
scelte finanziarie delle famiglie italiane, ha probabilmente
facilitato il collocamento di obbligazioni bancarie (anche
strutturate) che offrivano, alla scadenza, rendimenti
minimi garantiti. Prova ne sia che, come già accenna-
to, le banche italiane non hanno incontrato difficoltà nel
collocare tali attività a condizioni allineate a quelle dei
meno rischiosi titoli del debito pubblico. Combinandosi
con gli insegnamenti più evidenti della crisi finanziaria,
un ulteriore rafforzamento dell’avversione al rischio
potrebbe però spingere le famiglie italiane a meglio
apprezzare i rischi di liquidità e di controparte delle
obbligazioni bancarie che, in molti casi, sono attività
finanziarie complesse o non negoziabili su mercati
‘spessi’. In questo senso è interessante notare che, nel
dopo crisi, le condizioni di collocamento delle obbli-
gazioni bancarie italiane sono avvenute a condizioni rela-
tivamente più favorevoli per i sottoscrittori.
Qualche conclusioneNei prossimi anni il settore bancario italiano si trove-
rà, quindi, a fronteggiare una nuova e difficile sfida.
Anche a causa della nuova regolamentazione inter-
nazionale dei mercati finanziari, esso sarà costretto a
proseguire nel proprio rafforzamento patrimoniale; il che
richiederà di realizzare un’adeguata redditività per
accrescere le risorse interne e per assicurare una
remunerazione attraente agli investitori di mercato.
D’altro canto però, nel dopo-crisi, i grandi gruppi ban-
cari e le altre banche italiane dovranno finanziare
mutuatari più rischiosi e collocare le proprie passività
finanziarie presso risparmiatori più tutelati e più avver-
si al rischio; il che ridurrà la fonte di quei facili, anche
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se distorsivi, guadagni nell’amministrazione della ric-
chezza finanziaria delle famiglie che hanno contribui-
to alle buone performance di tali gruppi bancari e
banche nel decennio 1998-2007.
La soluzione, caldeggiata in varie occasioni dal gover-
natore della Banca d’Italia (cfr. per esempio: Draghi
2009), si fonda su un miglioramento nella qualità dei ser-
vizi offerti e su un aumento dell’efficienza. All’apparenza,
si tratta di un percorso simile a quello avviato con
successo nel corso degli anni Novanta. Vari indicato-
ri mostrano, infatti, che i consolidamenti e i riassetti pro-
prietari di quegli anni hanno rafforzato il grado di effi-
cienza e hanno migliorato i servizi retail e di corporate
tradizionale offerti alle imprese nazionali (cfr. Panetta
2004). Oggi, pare necessario proseguire nei processi
di riorganizzazione aziendale e di miglioramento dei ser-
vizi retail offerti soprattutto alle famiglie, senza recedere
dai progressi compiuti nei servizi offerti alle imprese. Il
problema è che, a differenza degli anni Novanta, all’i-
nizio del secondo decennio del Duemila il settore ban-
cario italiano non può contare su un preminente fatto-
re propulsivo di trasformazione. Vi è forse spazio per
limitate aggregazioni e riassetti proprietari nell’ambito
dei grandi gruppi bancari popolari che, pur conti-
nuando a riferirsi alla forma cooperativa, sono quota-
te in mercati regolamentati; tuttavia la stessa specia-
lizzazione del settore bancario italiano impone che,
accanto a pochi grandi gruppi di dimensione euro-
pea o nazionale, trovi spazio un insieme di banche
locali con legami di lunga durata nei confronti delle pic-
cole imprese dell’area. Inoltre, almeno nel breve perio-
do, il miglioramento nei servizi retail offerti alle famiglie
promette di ridurre le aree di rendita bancaria piuttosto
che di accrescerne i profitti; e la continuità nei servizi
offerti alle imprese, che pure ha evitato in Italia il dif-
fondersi del credit crunch anche nelle fasi più acute della
crisi, accresce i prestiti bancari dubbi e spinge – di con-
seguenza – le banche ad aumentare costosi accan-
tonamenti che hanno effetti negativi sui loro bilanci.
In linea di principio questi problemi del settore banca-
rio italiano, acuiti ma non generati dalla crisi finanziaria
del 2007-09, hanno due possibili soluzioni strutturali.
Una prima soluzione poggia sul ridimensionamento
dell’attività bancaria nel mercato finanziario italiano:
anziché continuare a detenere il quasi-monopolio nel-
l’offerta di servizi alle imprese e alle famiglie, le banche
italiane potrebbero lasciare spazio ad attori specializ-
zati e indipendenti nella gestione del risparmio e nei ser-
vizi finanziari sofisticati. La debolezza degli investitori isti-
tuzionali italiani e la path dependence rendono, però,
la realizzazione di tale prima alternativa irta di ostaco-
li. Una seconda soluzione poggia, invece, sulla riduzione
del richiamato squilibrio fra prestiti e depositi bancari in
modo da allentare la necessità, per le banche italiane,
di collocare un elevato ammontare di proprie passivi-
tà finanziarie nel mercato retail. Questa alternativa
rischia, però, di sanare le distorsioni nell’amministrazione
bancaria della ricchezza finanziaria delle famiglie al
prezzo di imporre vincoli stringenti all’offerta di presti-
ti bancari alle imprese. Per evitare di “cadere dalla
padella nella brace”, sarebbe quindi necessario alleg-
gerire l’attivo di bilancio bancario senza ridurre l’am-
montare dei prestiti erogati. Ciò è possibile mediante
le cartolarizzazioni. Un aspetto rilevante dell’evoluzio-
ne del settore bancario italiano dipende, quindi, dalla
risposta al seguente interrogativo: è possibile attuare
processi di cartolarizzazione che non sfocino nella
piramide di prodotti strutturati, nelle opacità e nell’in-
stabilità proprie al modello “originate to distribuite” alla
base della crisi finanziaria recente? ◗
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11
Il consolidamento del mercatobancario italiano: evoluzioni eprospettive
Attraverso le fasi di privatizzazione econsolidamento, il sistema bancarioitaliano ha conosciuto profonde erapide trasformazioni negli ultimi ventianni. Un’ulteriore fase diconcentrazione potrebbe esserepossibile, ma con ritmi più lentie dimensioni più contenute rispetto alrecente passato.
Il consolidamento del mercatobancario italiano negli ultimi anniL’attuale fisionomia del sistema bancario italiano è il risul-
tato di un lungo processo di modernizzazione che lo ha
condotto ad una piena integrazione nel mercato euro-
peo e mondiale. I cardini fondamentali di questo per-
corso, iniziato con gli anni ’90, sono stati:
• la riforma della normativa di settore e le seguenti pri-
vatizzazioni;
• un’intensa fase di consolidamento tra il 1993 e il
2002;
• la progressiva apertura all’estero del sistema e un’ul-
teriore fase di consolidamento nel periodo 2005-2007.
Evoluzione della normativa
La legge bancaria del 1936 rappresenta la prima rifor-
ma organica dell’attività creditizia in Italia in risposta alle
crisi che avevano minato l’attività delle banche dalla fine
del XIX secolo. Tale riforma prevedeva la specializzazione
temporale del credito1 e quella territoriale o settoriale.
Fino ad inizio anni ’90 le aziende di credito italiane
erano suddivise tra:
• Istituti di credito di diritto pubblico (Banco di Napoli,
Banca Nazionale del Lavoro, Istituto Bancario San
Paolo di Torino, Banco di Sicilia, Monte dei Paschi di
Siena e Banco di Sardegna).
ILARIA ROMAGNOLI
Managing Director, Head of FIG Italy, Rothschild
�
1. Gli istituti si suddividevano tra quelli che dovevano gestire il credito a breve scadenza (entro 18 mesi) e quelli focalizzati sul medio e lungo termine.
12
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• Banche di interesse nazionale (Banca Commerciale
italiana, Credito Italiano, Banco di Roma) possedute
dall’IRI.
• Casse di Risparmio.
• Monti di credito su pegno.
• Banche Popolari.
• Casse Rurali e Artigiane.
• Banche private, le uniche di fatto di matrice non
pubblica.
Circa l’80% dei fondi intermediati dal sistema bancario
era riconducibile a banche a controllo pubblico
(cfr. tavola 1).
La legge n.218 del 30 luglio 1990, detta anche “legge
Amato”, ha rappresentato una tappa fondamentale
nel processo di riassetto del sistema bancario italiano.
La “legge Amato” ha permesso la trasformazione degli
istituti di credito di diritto pubblico in società per azio-
ni e la nascita di fondazioni bancarie, azioniste delle ban-
che, a cui sono state trasferite tutte quelle attività non
tipiche dell’impresa.
L’evoluzione normativa di riferimento per il sistema
bancario è stata poi completata con il “Testo Unico delle
leggi in materia bancaria e creditizia (TUB)” del 1993 e
il “Testo Unico della Finanza (TUF)” del 1998 che hanno
rimosso le segmentazioni nell’operatività degli inter-
mediari e introdotto le forme giuridiche attualmente
adottabili dalle banche: società per azioni e coopera-
tive (banche popolari e banche di credito cooperativo)
Privatizzazioni e prima fase di
consolidamento (1993 – 2002)
Oltre alle modifiche normative degli anni ’90, un’altra
spinta fondamentale nell’evoluzione del sistema ban-
cario italiano è stata rappresentata dal processo di
privatizzazione delle “banche di interesse nazionale”
possedute dall’IRI.
Nel 1993 l’IRI mise in vendita il 67% del capitale del
Credito Italiano, il 40% attraverso un’Offerta Pubblica
di Vendita (“OPV”, ovvero vendita al pubblico di titoli) e
la quota rimanente attraverso un collocamento priva-
to. Grandi azionisti del Credito Italiano privatizzato
furono la Famiglia Pesenti, Allianz – Ras, Commercial
Union, Société Générale, Natwest, i l gruppo
Caltagirone, i Benetton, i fondi Fininvest, Toro
Assicurazioni e SAI.
Nel 1994 fu la volta della privatizzazione della Banca
Commerciale Italiana (“Comit”) attraverso un’OPV. Tra
gli azionisti di comando della banca post privatizzazione
spiccano le Assicurazioni Generali, Commerzbank,
Paribas e, con quote minori, Lucchini, Pirelli, Della
Valle e Stefanel.
La privatizzazione del Banco di Roma seguì invece
un percorso differente: nel 1992 l’IRI e l’Ente Cassa di
Risparmio di Roma conferirono le loro partecipazioni di
controllo rispettivamente in Banco di Roma e Banca di
Santo Spirito (che negli anni precedenti aveva ricevu-
to in conferimento l’attività bancaria di Cassa di
Risparmio di Roma) in una holding denominata Società
Italiana di Partecipazioni Bancarie (“SIPBA”) che risul-
tò detenuta al 65% dall’Ente Cassa di Risparmio di
Roma e al 35% dall’IRI. Successivamente alla fusione
tra Banco di Roma e Banca di Santo Spirito (la nuova
realtà fu denominata Banca di Roma S.p.A.), nel 1997
si diede luogo all’effettiva privatizzazione tramite (i)
scioglimento di SIPBA e trasferimento delle azioni in
Banca di Roma direttamente ai soci e (ii) un’operazio-
�
Categoria di banche N. di banche N. di sportelli % su totale attivoIstituti di credito di diritto pubblico 6 2 449 20,1Banche di interesse nazionale 3 1 459 12,9Casse di risparmio e Monti di credito 84 4 695 24,2Banche “pubbliche” 93 8 603 57,2Banche di credito ordinario 106 3 981 20,5 Istituti centrali di categoria 5 5 2,4Banche popolari 108 3 290 14,2Casse rurali e artigiane 715 1 792 4,3Succursali di banche estere 37 50 1,6Totale 1 064 17 721 100
TAVOLA 1. Dati sistema bancario Italiano - 1990
13
ne di collocamento di azioni e obbligazioni che portò
l’Ente Cassa di Risparmio di Roma a scendere sotto il
30% del capitale di Banca di Roma e all’uscita dell’IRI
dall’azionariato della banca.
Il processo di dismissione della proprietà statale si
completò nel periodo 1997 -2001 attraverso la cessione
delle quote detenute dal Ministero del Tesoro nel Banco
di Napoli e nella Banca Nazionale del Lavoro (“BNL”).
Contemporaneamente alle privatizzazioni, tra il 1993 e
il 2002 ha avuto luogo un intenso processo di conso-
lidamento delle banche che si indirizzava alla creazio-
ne di gruppi bancari dotati di maggiore capacità com-
petitiva e che ha portato alla nascita, tra le altre, di:
• Unicredito: nata dall’aggregazione nel tempo tra il
Credito Italiano, Cassa di Risparmio di Torino, Cassa
di Risparmio di Verona, Cassa Marca Trevigina, Credito
Romagnolo, Cassa di Risparmio di Trieste, Carimonte
e Cassa di Risparmio di Trento e Rovereto.
• Banca Intesa: nata dall’integrazione nel tempo tra
Cassa di Risparmio delle Province Lombarde (“Cariplo”),
Banco Ambrosiano Veneto e Comit.
• Sanpaolo IMI: nato dalla fusione tra l’Istituto Bancario
Sanpaolo di Torino e l’IMI (primaria banca d’affari e inve-
stimento), ente di diritto pubblico fondato nel 1931
per sostenere la ricostruzione del sistema industriale
nazionale.
• Capitalia: nata dall’aggregazione tra (i) la Banca di
Roma post privatizzazione e acquisizione di Banco di
Sicilia e Mediocredito Centrale e (ii) la Bipop – Carire,
entità risultante dalla precedente fusione tra Bipop –
Banca Popolare di Brescia (società per azioni) e la
Cassa di Risparmio di Reggio Emilia.
Il consolidamento descritto ha riguardato per lo più le
ex banche nazionali di matrice pubblica, gli istituti di cre-
dito speciale e le casse di risparmio. Le banche popo-
lari vennero toccate meno dal processo in atto, fon-
damentalmente a causa della loro forma giuridica di
“cooperativa”, eccezioni in tal senso sono state la
Banca Antonveneta e la Banca Popolare di Brescia che
si sono trasformate in società per azioni e la Banca
Agricola Mantovana che fu acquisita dal Monte dei
Paschi di Siena dopo l’abolizione del voto capitario.
Le banche popolari hanno seguito comunque pro-
cessi di sviluppo, seppur meno intensi, che hanno
portato a realizzare aggregazioni all’interno dello stes-
so settore quali quella tra Banca Popolare di Verona e
Banca Popolare di Novara (creando Banca Popolare di
Verona e Novara – BPVN) e quella tra Banca Popolare
Commercio e Industria e Banca Popolare di Bergamo
– Credito Varesino che ha dato vita al Gruppo Banche
Popolari Unite (“BPU”).
Dal 1990 all’ottobre 2002 si sono registrate comples-
sivamente 566 operazioni di aggregazione con un
picco nel 2002, anno nel quale si contano 77 opera-
zioni di M&A
Il biennio 2003 – 2004 ha registrato invece un ral-
lentamento della fase di consolidamento principal-
mente legato all’atteggiamento di Banca d’Italia che
considerava necessaria una fase di assestamento
dopo una stagione di grandi aggregazioni tra grup-
pi bancari.
La seconda fase di consolidamento del
sistema bancario: dal 2005 ad oggi
A seguito del processo di privatizzazione e conse-
guente maggiore apertura del capitale delle banche al
mercato, ad inizio 2005 molte delle principali banche
italiane annoveravano banche straniere tra i propri
azionisti di riferimento, ma in nessun caso le banche
estere avevano il controllo dei principali istituti di credito
italiani. Le partecipazioni delle banche straniere
confluivano normalmente in patti di sindacato all’interno
dei quali erano presenti fondazioni bancarie o azionisti
privati di origine italiana.
La tavola 2 riporta gli azionariati delle prime 10 banche
italiane a fine 2004.
Nel corso del 2005 aumentò l’interesse delle banche
straniere sugli istituti italiani: buona parte degli azio-
nisti esteri delle banche italiane manifestarono in
modo più o meno velato la loro intenzione di incre-
mentare la propria influenza, se non addirittura di
acquisire il controllo delle banche in cui detenevano
partecipazioni rilevanti.
Fu così che a fine marzo del 2005 ABN Amro e BBVA
promossero un’offerta pubblica di acquisto rispettiva-
mente su Banca Antonveneta e BNL. Le due offerte fal-
lirono anche per via della costituzione di due cordate
italiane capeggiate da Banca Popolare Italiana (“BPI”) �
I l c o n s o l i d a m e n t o d e l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o : e v o l u z i o n i e p r o s p e t t i v eI L A R I A R O M A G N O L I
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(già Banca Popolare di Lodi) per Banca Antonveneta e
Unipol per BNL, che comprarono azioni sul mercato e
a loro volta lanciarono delle offerte pubbliche di acqui-
sto sulle due banche.
Nel maggio 2005, tuttavia, la Procura di Milano aprì un
fascicolo contro ignoti per la scalata di Banca
Antonveneta ipotizzando il reato di aggiotaggio volto a
far fallire l’offerta di ABN Amro.
Il 25 luglio 2005 la Procura di Milano dispose il seque-
stro delle azioni che BPI e i suoi alleati detenevano in
Banca Antonveneta: questo fu l’inizio di una serie di
inchieste che riguardarono i vertici di BPI e che porta-
rono alla cessione da BPI ad ABN Amro del 25,9% di
Banca Antonveneta. La banca olandese venne così a
detenere il 55,8% di Banca Antonveneta e lanciò suc-
cessivamente l’opa obbligatoria.
I vertici di Unipol vennero a loro volta coinvolti nell’in-
chiesta su BPI e il 10 gennaio 2006 Banca d’Italia
bloccò l’offerta Unipol su BNL. Nel febbraio 2006,
BNP Paribas ha acquisito il 48% di BNL da Unipol e i
suoi alleati ed ha successivamente lanciato l’opa obbli-
gatoria su tutto il capitale di BNL alla quale aderì anche
il BBVA.
Sempre nel corso del 2005, a fronte di istituti stranie-
ri che cercavano di crescere in Italia, vi erano banche
italiane che guardavano ad uno sviluppo internazionale:
è il caso di Unicredito che nel giugno 2005 annunciò
la fusione con la tedesca HVB.
Gli avvenimenti dell’estate 2005 spinsero molte banche
italiane a interrogarsi su eventuali operazioni di M&A alla
luce di (i) crescente interesse delle banche estere per
il mercato italiano, (ii) necessità di avere una massa cri-
tica sufficiente per competere nel mercato domestico
in considerazione dei cambiamenti in atto e (iii) voglia
delle principali banche italiane di giocare un ruolo rile-
vante anche nel panorama europeo.
In questo contesto nell’estate del 2006 fu annuncia-
ta la fusione tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI che
diede vita a Intesa Sanpaolo, prima banca italiana
per numero di sportelli (circa 6.200). Tale operazione
comportò una diluizione degli azionisti esteri delle due
banche: Santander (azionista Sanpaolo IMI) decise
di uscire dal capitale della nuova banca, mentre a
Crédit Agricole SA (azionista Banca Intesa) fu propo-
sta la possibilità di acquisire due banche (Cariparma
e Friuladria) e alcuni sportelli bancari ottenendo così
una presenza diretta nel mercato italiano. La fusione
tra Banca Intesa e Sanpaolo IMI ha rappresentato
anche il primo caso italiano di adozione del sistema di
governance duale (consiglio di gestione e consiglio di
sorveglianza) in sostituzione del più classico schema
che prevedeva il consiglio di amministrazione e il col-
legio sindacale.
Precedentemente alla nascita di Intesa Sanpaolo, per
alcuni mesi si erano diffuse voci su una possibile ope-
razione tra Banca Intesa e Capitalia. Tali voci furono sem-
�
Banche N. di sportelli Principali azionistiSanPaolo IMI 3,205 Compagnia San Paolo (14,27%); Fondazione CR di Padova e Rovigo (10,65%);
Banco Santander Central Hispano (8,49%); Fondazione CR di Bologna (7,58%).Unicredito 3,137 Fondazione CR di Torino (8,74%); Fondazione CR di Verona, Vicenza, Belluno e
Ancona (7,59%); Carimonte Holding (7,14%) ; Allianz (4,94%).Banca Intesa 3,080 Crédit Agricole SA (15,00%); Fondazione Cariplo (9,92%); Assicurazioni Generali
(6,35%); Commerzbank (4,29%).Capitalia 1,950 ABN Amro (7,91%); Fondazione CR di Roma (5,19%); Fondazione Manodori
(4,00%); Lehman Brothers International Europe (3,66%).MPS 1,824 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (58,58%); Caltagirone Francesco Gaetano
(3,81%); Hopa Spa (2,44%); Premafin Finanziaria (2,10%).BP U 1,204 Banca popolare: azionariato diffuso.BP VN 1,172 Banca popolare: azionariato diffuso.BP ER 1,105 Banca popolare: azionariato diffuso.Antonveneta 1,000 BPI (29,5%); ABN Amro (18,12%); Magiste International (4,99%); Fingruppo
Holding (4,92%).BPI 970 Banca popolare: azionariato diffuso.
TAVOLA 2. Dati sistema bancario italiano - 2004
15
�
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pre smentite dal management di Banca Intesa, anche
se è possibile che il tentativo di aggregazione sia stato
in effetti frenato dalla mossa “difensiva” (acquisto del 2%
di Banca Intesa) voluta dall’allora amministratore dele-
gato di Capitalia. Nella primavera 2007 sono quindi
iniziati i colloqui tra Capitalia e Unicredit che sono cul-
minati con l’approvazione in data 20 maggio 2007
della fusione per incorporazione di Capitalia in Unicredito.
Tra le grandi banche italiane l’unico istituto che, non-
ostante varie speculazioni di mercato su possibili aggre-
gazioni, fino al novembre 2007 non fu toccato dal risi-
ko bancario era il Monte dei Paschi di Siena (“MPS”).
Tuttavia in uno scenario in cui le principali banche ita-
liane si rafforzavano significativamente sul territorio
generando importanti economie di scala e le banche
estere cominciavano a radicarsi in Italia, al fine di poter
continuare ad avere un ruolo primario nel mercato
domestico, MPS annunciò l’acquisizione di Banca
Antonveneta da Santander (che ne aveva acquisito il
controllo nell’ambito delle vicissitudini che portarono allo
smembramento di ABN Amro), potendo in questo
modo contare su una rete distributiva del gruppo di oltre
3.000 sportelli.
L’onda lunga dell’estate 2005 ha poi toccato anche il
settore delle banche popolari coinvolgendo in opera-
zioni (o tentativi) di aggregazione i principali istituti
popolari italiani.
BPI, uscita malconcia dalla vicenda Antonveneta e
dai suoi strascichi giudiziari, avviò la ricerca di un part-
ner per un’aggregazione, ricerca che culminò ad inizio
2007 con la fusione tra Banca Popolare di Verona e
Novara e BPI e la creazione del gruppo bancario
Banco Popolare.
Più o meno nello stesso periodo ebbe luogo anche l’al-
tra grande aggregazione che riguardò il mondo delle ban-
che popolari; BPU e Banca Lombarda si fusero crean-
do il nuovo gruppo UBI Banca. L’operazione rappresentò
il primo caso di fusione tra una banca popolare e una
banca SpA (Banca Lombarda) con mantenimento dello
status di popolare da parte dell’entità risultante: tale
transazione fu possibile data l’elevata frammentazione
dell’azionariato di Banca Lombarda che in qualche
modo la avvicinava al mondo delle popolari.
Il primo semestre 2007 vide inoltre intense discussio-
ni per una fusione tra Banca Popolare dell’Emilia
Romagna (“BPER”) e Banca Popolare di Milano
(“BPM”), rispettivamente la terza e la quarta banca
popolare in Italia per dimensioni. L’aggregazione non
andò poi a buon fine prevalentemente per l’opposizione
dei sindacati interni a BPM.
La tavola 3 riporta una sintesi degli elementi chiave delle
principali fusioni che hanno interessato il mercato ita-
liano nel periodo 2006 – 2007 (dati all’annuncio del-
l’operazione).
Attese di sviluppo per i prossimi anniIl sistema bancario italiano attuale si presenta dun-
que molto più concentrato rispetto a alcuni anni fa. Nel
mercato italiano esistono ad oggi circa 90 gruppi ban-
cari/banche indipendenti (escludendo il credito coo-
perativo) attive nel retail banking di cui 36 di matrice
“popolare”. Le casse di risparmio in cui la fondazione
detiene ancora il controllo sono circa 19.
La tavola 4 riporta i principali gruppi bancari italiani per
sportelli in Italia e il relativo azionariato.
Le banche presenti oggi in Italia possono essere sud-
divise da un punto di vista operativo nelle seguenti
categorie:
• Grandi banche Spa con copertura capillare di tutto
il territorio nazionale (UniCredit, Intesa Sanpaolo e
MPS) e in taluni casi forte vocazione europea.
• Banche popolari “nazionali”, fortemente radicate nelle
aree territoriali storiche, ma con una buona copertura
di quasi tutte le regioni italiane: Banco Popolare e UBI.
• Banche estere che vedono nell’Italia un mercato di
riferimento: BNP Paribas (tramite BNL), Crédit Agricole
(tramite Cariparma/Fruladria), Barclays (presente diret-
tamente tramite sportelli bancari) e Deutsche Bank.
Altre Banche SpA con forte presenza nel territorio di rife-
rimento ed, in alcuni casi, buona copertura di altre
regioni italiane: tra queste Carige e Credem rappre-
sentano gli istituti principali.
• Banche popolari di dimensione media, con forte
presenza nel territorio di riferimento ed, in alcuni casi,
buona copertura di altre regioni italiane: tra queste le
principali sono BPER, BPM, BP Vicenza, Veneto
Banca, Credito Valtellinese e BP Sondrio, a cui si
16
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aggiungono alcuni gruppi minori dislocati in varie
regioni italiane.
• 16 Casse di risparmio locali (escludendo MPS, Carige
e Banca delle Marche) controllate dalle rispettive fon-
dazioni bancarie.
In aggiunta sono presenti sul territorio italiano 426
banche di credito cooperativo.
La crisi economica iniziata nella seconda metà del
2008 se da un lato ha decisamente raffreddato l’atti-
vità di M&A nel settore bancario, dall’altro ha anche
�
Fusione Progetto industriale Sinergie annunciate GovernanceBanca Intesa Creazione di un gruppo bancarioSanpaolo IMI (2006) leader in Italia con il Network
distributivo più esteso(QdM di c. 20%).
Rafforzamento della posizioneinternazionale con focus su CEE.
Banche Popolari Unite - Creazione di un top player a livelloBanca Lombarda (2007)nazionale con elevatacomplementarit territoriale.
Forte leadership nel nord Italia conQdM superiore al 15% in Lombardia.
Primo esempio di fusione tra bancapopolare e Spa con mantenimentodello status giuridico di bancapopolare.
Banca Popolare di Creazione del terzo gruppoVerona e Novara - bancario in Italia per sportelliBanca Popolare e capitalizzazione di mercato.Italiana (2007)
Prima banca popolare del paese.
Unicredit- Capitalia Creazione di un gruppo di(2007) dimensione europea.
Leader in 4 mercati domestici (Italia, Germania, Austria,Europa Centro Orientale).
#1 Area Euro, #3 in Europa, #7 nelmondo per capitalizzazione.
TAVOLA 3. Itala: principali fusioni 2006-2007
€1,3mld di sinergielorde entro il 2009
• di cui sinergie dicosto : €1,0mld
• di cui sinergie diricavo : €0,3mld.
€365mln di sinergielorde entroil 2010
• di cui sinergie dicosto: €225mln
• di cui sinergie diricavo: €140mln.
€0,5mld di sinergielorde entro il 2010• di cui sinergie dicosto: €0,2mld
• di cui sinergie diricavo: €0,3mld.
€1,2mld di sinergielorde entro il 2010
• di cui sinergie dicosto: €0,8mld;
• di cui sinergie diricavo: €0,4mld.
Introduzione del modello dualistico(consiglio di gestione e consiglio disorveglianza).Nomina del presidente del consigliodi sorveglianza da parte di Banca Intesae del presidente del consiglio di gestioneda parte di Sanpaolo IMI.Consiglio di sorveglianza composto da19 membri.
Introduzione del modello dualistico
Nomine consiglio di sorveglianza:23 membri di cui 11 di espressione di BPU, 11 di BancaLombarda e 1 delle liste di minoranza.
Primo presidente del consiglio disorveglianza espressione di BancaLombarda mentre il presidente vicarioespressione di BPU.
Nomine consiglio di gestione: per i primi3 anni 10 membri di cui 5 nominati daBPU e 5 da Banca Lombarda. Ilpresidente del consiglio di gestionenominato da BPU.
Introduzione del modello dualistico
Nomine consiglio di sorveglianza• Anno 1: 10 membri di cui 4 diespressione BPI e 6 di espressioneBPVN.• Anno 2: 15 membri di cui 6 BPI e9 BPVN.• Anno 3: 20 membri di 8 BPI e12 BPVN.
Il presidente del consiglio disorveglianza nominato da BPVN e ilpresidente del consiglio di gestionenominato da BPI.
4 rappresentanti di Capitalia co-optatinel CdA di Unicredit, su un totale di 23membri.
Il presidente di Capitalia sarà vicepresidente vicario di Unicredit eresponsabile per la gestione dellepartecipazioni in Mediobanca, Generali,RCS e Pirelli, nonché presidente delcomitato esecutivo di Unicredit.
Banca Lombarda(2007)
17
posto alcuni interrogativi su quale possa essere l’ef-
fettiva redditività e sostenibilità degli istituti bancari nel
tempo in uno scenario in cui gli spread si sono contratti,
le commissioni applicate alla clientela sono sempre
più oggetto di attenzione da parte delle autorità di
vigilanza, le sofferenze sono in aumento e la richiesta
di patrimonializzazione delle banche è crescente.
Tali interrogativi potrebbero portare ulteriori “scosse
di assestamento” (seppur in misura molto più limitata
che in passato) nel sistema bancario italiano nei pros-
simi anni alla luce di:
• Necessità di raggiungere economie di scala suffi-
cienti a competere sul mercato: gli azionisti di alcune
banche di medio - piccole dimensioni potrebbero valu-
tare aggregazioni o cessioni al fine di incrementare la
massa critica; tale processo potrà essere in parte
frenato da poteri locali che non vorranno perdere il
controllo del territorio di riferimento.
• Volontà di alcune banche italiane di ricoprire un ruolo
sempre più di primo piano a livello europeo.
• Interesse delle banche straniere a continuare il pro-
cesso di crescita della propria presenza in Italia.
In aggiunta un ruolo importante in un’eventuale nuova fase
di consolidamento potrà essere giocato dalle fondazio-
ni bancarie che stanno sempre di più cercando di diver-
sificare il proprio patrimonio riducendo il peso del proprio
investimento nel capitale delle banche di riferimento.
Le varie tipologie di banche potranno quindi essere
coinvolte in operazioni di M&A che avranno sottostanti
motivazioni differenti. �
I l c o n s o l i d a m e n t o d e l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o : e v o l u z i o n i e p r o s p e t t i v eI L A R I A R O M A G N O L I
Banca Sportelli Totale attivo Principali azionisti(2009) (2009, €mln)
Intesa Sanpaolo 6,041 624,844 Compagnia di San Paolo (9,89%); Crédit Agricole SA (5,49%);Assicurazioni Generali (4,97%); Fondazione Cariplo (4,68%).
UniCredit 4,696 928,760 Mediobanca (6,76%); Fondazione Cassa di Risparmio diVerona Vicenza Belluno e Ancona (4,98%); Central Bank ofLibya (4,61%); Blackrock Ine. (3,8%).
MPS 3,001 224,815 Fondazione Monte dei Paschi di Siena (55,49%); JP MorganChase & co. Corporation (4,66 %); Catalgirone FrancescoGaetano (3,92%); Unicoop Firenze soc. Coop.va (2,43%).
Banco Popolare 2,166 135,709 Banca popolare – Azionariato diffuso.UBI 1,955 122,313 Banca popolare – Azionariato diffuso.BPER 1,292 59,589 Banca popolare – Azionariato diffuso.Cariparma 901 40,773 Crédit Agricole SA (75,00%) ; Fondazione Cariparma
(15,00 %) ; Sacam International (Gruppo Crédit Agricole).BNL 821 96,343 BNP Paribas (100 %).BPM 793 44,281 Banca popolare – Azionariato diffuso.Carige 644 36,299 Fondazione Cassa di Risparmio di Genova e Imperia (43,37%);
Caisses d’Epargne Participations (11,02 %) ; Assicurazioni.BP Vicenza 638 30,964 Banca popolare – Azionariato diffuso.Credem 575 26,439 Credito Emiliano Holding Spa (76,87 %) – società controllata
dalla Famiglia Maramotti.Creval 515 24,896 Banca popolare – Azionariato diffuso.Veneto Banca 479 29,139 Banca popolare – Azionariato diffuso.Banca Sella 334 13,424 Famiglia Sella tramite le società Sofise (46,1 %) e Finanziaria
1900 (45,09%).Banca delle Marche 324 19,606 Fondazione Cassa di Risparmio di Macerata (22,4%) ;
Fondazione Cassa di Risparmio di Pesaro (22,4%) ;Fondazione Cassa di Risparmio di Jesi (10,0%).
UGF Banca 299 10,545 UGF (100%).Deutsche Bank 294 26,201 Deutsche Bank (100 %).BP Sondrio 278 23,455 Banca popolare – Azionariato diffuso.Banca Popolare di Bari 254 7,010 Banca popolare – Azionariato diffuso.Barclays Bank PLC 200 n.d. Filiale italiana del Gruppo Barclays
TAVOLA 4. Numero di sportelli e azionariato delle banche
18
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Intesa Sanpaolo e UniCredit potrebbero guardare a
operazioni internazionali che consolidino la propria
presenza in Europa. Le fondazioni bancarie azioniste
saranno probabilmente interessate ad operazioni che
consentano loro di mantenere comunque una certa
influenza sul gruppo risultante. Difficilmente tali banche
potranno crescere ulteriormente in Italia (limiti anti-
trust) se non in regioni specifiche e con acquisizioni di
dimensione limitata.
Le banche estere e alcune banche italiane di medie
dimensioni (Carige, Credem) potrebbero invece rap-
presentare i catalizzatori di una fase di consolidamen-
to delle casse di risparmio e delle banche private mino-
ri. Molte fondazioni locali si stanno già interrogando sulla
sostenibilità del modello della banca locale e una even-
tuale ripresa dei mercati azionari potrebbe favorire l’in-
contro sul prezzo tra domanda e offerta.
Eventuali operazioni di M&A tra istituti di medie dimen-
sioni potrebbero avvenire qualora qualche banca stra-
niera ritenesse di voler uscire dall’Italia non avendo
raggiunto una massa critica sufficiente ovvero qualche
azionista privato decidesse di monetizzare il proprio
investimento.
Il settore delle banche popolari è stato quello meno
toccato dalla fase di forte consolidamento che ha
riguardato il mercato italiano negli ultimi 15 anni e per
questo rappresenta uno degli ambiti verso cui si
guarda maggiormente per future operazioni di con-
solidamento.
Le attese di consolidamento sono soprattutto focaliz-
zate sul settore delle banche di medie dimensioni che
già in passato avevano avviato discussioni tra loro poi
non andate a buon fine. Il tempo potrebbe smussare
gli ostacoli del passato e permettere di definire asset-
ti industriali, di governance e di rappresentanza del ter-
ritorio soddisfacenti per tutte le parti, dando
vita a una nuova fase di concentrazione che potrà
portare alla creazione di istituti popolari in grado di
�
Settore 2005 – oggi ProspettivaAsset Management Al di là di alcune eccezioni (acquisto di Anima SGR
da parte di BP Milano, acquisto di Prima SGR daparte di Clessidra) le operazioni di concentrazioneavvenute sono state per lo più conseguenza dellefusioni tra gruppi bancari.
Credito al consumo Fase di concentrazione dovuta sia alle fusionibancarie che alla crescita per linee esterne(aggregazione Agos - Ducato, acquisizione di Lineada parte di Compass, acquisizione di Findomesticda parte di BNP Paribas) di alcuni operatori. Tra iprimi 6 player del settore, 4 sono controllati dabanche straniere. Attività attualmente penalizzatadalla necessità di funding.
Leasing Attività attualmente penalizzata dagli spread e dallanecessità di funding. Limitate operazioni di M&Anel recente passato.
Bancassurance • Creazione di numerose JV nel vita: tra i principaligruppi bancari solamente Intesa Sanpaolo e Carigenon hanno attualmente un partner assicurativo vita.
• Le banche italiane hanno iniziato recentemente aguardare con interesse al bancassurance danniattraverso la creazione di partnership con operatorispecializzati.
Banca depositaria Numerose operazioni di M&A che hanno portatoall’ingresso/rafforzamento dei grandi operatoriinternazionali (State Street, BNP Paribas, SociétéGénérale, RBC Dexia).
Probabile fase di concentrazione con unincremento della presenza degli operatorispecializzati (molte banche italiane sia di grandiche di medio - piccole dimensioni stannovalutando le alternative strategiche nel settore).Possibili operazioni di M&A con riferimento aglioperatori di medie dimensioni.
Eventuali operazioni guidate dalla necessità diottenere una elevata massa critica per generareredditività.
• Possibile ricerca di un partner vita da parte diIntesa Sanpaolo e Carige. Eventuali operazioni disostituzione dei partner esistenti alla scadenzadegli accordi distributivi.
• Continuo sviluppo del bancassurance danniattraverso creazione di partnership strategiche daparte delle banche che non hanno ancoraimplementato JV.
Alcune operazioni di M&A sono ancora possibilicon riferimento alle banche popolari e ad alcunebanche di medie dimensioni.
TAVOLA 5. Prospetive di consolidamento per settore di attività
19
competere dimensionalmente con UBI e Banco
Popolare.
Le banche popolari con dimensioni apprezzabili potran-
no inoltre svolgere un ruolo acquisitivo nei confronti delle
piccole banche indipendenti.
Oltre ad eventuali ulteriori concentrazioni tra gruppi
bancari, nel prossimo futuro il mercato dell’M&A potrà
essere interessato da operazioni relative alle fabbriche
prodotto, continuando un trend che per alcuni settori
è già iniziato negli anni passati.
La necessità per le banche di avere una patrimonializ-
zazione adeguata (anche in vista dell’introduzione di
Basilea III) e l’esigenza di competenze specifiche e/o
dimensioni rilevanti per competere nei segmenti com-
plementari al retail banking, spingerà ancor di più molte
banche italiane a focalizzarsi prevalentemente sulla
distribuzione realizzando partnership di prodotto o
uscendo definitivamente da alcuni settori di business
(cfr. tavola 5).
La storia degli ultimi 20 anni ha dunque cambiato pro-
fondamente il sistema bancario italiano. Un’ulteriore fase
di concentrazione è possibile, ma con ritmi più cauti e
dimensioni del fenomeno più contenute rispetto al
passato; tuttavia i postumi della crisi economica, la glo-
balizzazione dei mercati e l’introduzione di nuove rego-
le sul capitale potrebbero ancora riservare qualche
sorpresa per il futuro. ◗
I l c o n s o l i d a m e n t o d e l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o : e v o l u z i o n i e p r o s p e t t i v eI L A R I A R O M A G N O L I
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Chapo à venir
Banche e antitrust: le specificitàitaliane
I legami fra concorrenti possono inteoria influenzare gli incentivi delleimprese interessate a farsi concorrenza.Pur essendo universalmentericonosciuto che tali legami noncostituiscono praticheanticoncorrenziali di per sé, le loroconseguenze sul gioco dellaconcorrenza devono essere esaminatecon attenzione.
OBIETTIVO PRINCIPALE DELLE POLITICHE della
concorrenza è garantire che le normali dinamiche dei
mercati non siano falsate da imprese che agiscono di
concerto, che sfruttano abusivamente la loro posizio-
ne dominante o che acquistano un eccessivo potere di
mercato mediante operazioni di fusione o acquisizio-
ne. L’obiettivo di tali politiche è promuovere un fun-
zionamento più efficiente dei mercati, una migliore dis-
tribuzione delle risorse e, in ultima analisi, un maggiore
benessere per il consumatore.
Braccio “armato” di tali politiche, il diritto della con-
correnza riguarda tutti i settori economici, ivi compre-
so il settore bancario. Rispetto alle altre imprese, le ban-
che presentano tuttavia alcune specificità evidenti,
legate alla loro missione sociale ed economica ma
anche ai rischi sistemici legati alla loro attività.
In Italia, il legislatore ha inizialmente riconosciuto la spe-
cificità del settore bancario, il quale ha, pertanto,
goduto per qualche tempo di un trattamento specia-
le nell’applicazione del diritto della concorrenza. Questo
articolo analizzerà succintamente la genesi della disci-
plina della concorrenza applicabile alle banche e il
fenomeno, particolarmente sviluppato in Italia, delle
partecipazioni e del cumulo di incarichi in società
concorrenti (interlocking directorates), per cercare di
determinarne l’incidenza concreta in termini di effi-
cienza e di stabilità del settore, in particolare in que-
sto periodo di crisi.
SERGIO EREDE
Socio fondatore, Bonelli Erede Pappalardo
MASSIMO MEROLA
Responsabile dell’ufficio di Bruxelles, Bonelli Erede PappalardoProfessore, Collegio d’Europa
21
�
B a n c h e e a n t i t r u s t : l e s p e c i f i c i t à i t a l i a n eS E R G I O E R E D E & M A S S I M O M E R O L A
L’era della Banca d’ItaliaLa prima legge italiana sulla tutela della concorrenza del
1990 stabiliva un regime speciale per il settore bancario.
La legge interveniva in una fase di transizione per il siste-
ma bancario italiano, appena uscito da una prima
ondata di liberalizzazioni, ma che restava soggetto, in
termini operativi, a pesanti vincoli legislativi e normati-
vi. Poiché all’epoca l’opinione dominante, o almeno
quella del legislatore, era che la stabilità del sistema
dovesse prevalere sulla sua efficienza, l’applicazione
delle nuove regole della concorrenza doveva essere affi-
data necessariamente ad un’istituzione specializzata in
questioni bancarie e monetarie, in grado di operare con
la necessaria competenza. Indipendente e dotata di una
reputazione inattaccabile, la Banca d’Italia assumeva
quindi la responsabilità della supervisione delle regole
della concorrenza nel settore bancario, al posto del-
l’autorità della concorrenza appena costituita, l’Autorità
Garante della Concorrenza e del Mercato o AGCM, la
cui competenza in questo settore si limitava alla pos-
sibilità di emettere un parere non vincolante sui casi esa-
minati dalla Banca d’Italia.
Come era prevedibile, l’applicazione delle regole della
concorrenza da parte di un’autorità non specializzata
in questo campo si traduceva in un controllo meno
penetrante sugli istituti bancari. L’AGCM, dal canto
suo, maturava forse una certa frustrazione per l’im-
possibilità d’intervenire in un settore che non appariva
particolarmente dinamico e concorrenziale, soprattut-
to a fronte del fenomeno crescente di despecializza-
zione che portava le banche ad allargare il proprio
raggio d’azione a servizi non tradizionali e non più
necessariamente legati all’interesse generale. In que-
sto quadro, l’AGCM cercava pertanto di allargare la pro-
pria competenza alle attività che esulavano dai servizi
tradizionalmente riservati per legge alle banche.
L’entrata in campo dell’AGCMConfrontato al rischio crescente di conflitti di compe-
tenze fra l’AGCM e la Banca d’Italia e di fronte alla crisi
d’immagine di quest’ultima, causata della sua opposi-
zione all’acquisizione di grandi banche italiane da parte
di istituti esteri – si pensi soprattutto alle vendite
AntonVeneta e BNL –, il legislatore ha modificato nel
2005 la legislazione sulla concorrenza, riattribuendo
all’AGCM il controllo dell’applicazione delle regole della
concorrenza agli istituti bancari. La legge italiana si è così
allineata alla normativa europea. Alcune disposizioni, tut-
tavia, testimoniano tuttora l’attenzione particolare del
legislatore italiano per il settore bancario: su richiesta
della Banca d’Italia, per motivi legati rispettivamente
all’efficienza dei pagamenti e alla stabilità dei mercati
monetari, l’AGCM può infatti autorizzare accordi anche
restrittivi dal punto di vista della concorrenza o con-
centrazioni che creino o rafforzino una posizione domi-
nante, a condizione che tali restrizioni siano necessa-
rie per conseguire l’obiettivo prefissato. Tali disposizioni
non sono ancora mai state utilizzate, nemmeno duran-
te la crisi, il che non è però sorprendente se si consi-
dera che, a seguito della riforma, la Banca d’Italia si è
concentrata sulla supervisione prudenziale degli istitu-
ti bancari e ha adottato un atteggiamento molto rispet-
toso nei confronti delle competenze tecniche dell’AGCM
in materia di concorrenza. D’altra parte quest’ultima, da
quando le è stato affidato il controllo del settore ban-
cario, ha dato prova di grande rigore nell’applicazione
agli istituti delle regole della concorrenza e i suoi rap-
presentanti hanno più volte dichiarato che non sareb-
be stata concessa alcuna deroga, anche durante la crisi,
per non indebolire il settore nel lungo termine.
L’AGCM ha in particolare chiaramente privilegiato la
“regolamentazione” del settore, attraverso l’imposizio-
ne in capo alle imprese di obblighi di rimediare alle dis-
torsioni della concorrenza da esse provocate con con-
dotte positive, rispetto ad interventi puramente
sanzionatori. In questo senso basterà ricordare, per
citare solo qualche esempio, le iniziative dell’AGCM
nei confronti dell’associazione bancaria italiana (ABI), con
particolare riferimento alla modifica unilaterale delle
condizioni dei conti correnti bancari, alle tariffe di inter-
connessione per i prelievi di contanti ed ai costi e con-
dizioni interbancarie relativi al trattamento degli assegni.
Nell’ambito della politica di controllo delle concentrazioni
tra imprese, i suoi interventi hanno riguardato princi-
palmente la cessione di sportelli in aree in cui le fusio-
ni creavano sovrapposizioni eccessive, la riduzione di
alcuni costi legati ai prelievi di contanti e la rimozione dei
legami fra concorrenti, attraverso la cessione di parte-
cipazioni nel capitale di altre banche concorrenti o lo
scioglimento di società compartecipate.
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� La “crociata” contro i legamifra concorrenti I legami fra concorrenti sono stati, in particolare, ogget-
to di un’azione molto intensa dell’AGCM, che ha inol-
tre dedicato al tema un intero capitolo di un’inchiesta set-
toriale effettuata a fine 2008 (“Inchiesta sulla corporate
governance delle banche e delle compagnie di assicu-
razioni”): secondo tale studio, negli organi di gover-
nance dell’80% delle banche, società di assicurazioni
e società di gestione del risparmio quotate alla Borsa
italiana siedono membri che cumulano mandati di que-
sto tipo in altre società dello stesso settore. Questa per-
centuale è nettamente superiore a quella registrata
nelle altre piazze finanziarie europee (rispettivamente in
Euronext, Deutsche Börse e LSE solo il 26,7%, 43,8%
e 47,1% di banche, compagnie di assicurazioni o socie-
tà di gestione del risparmio contano “interlocking direc-
torate”). Inoltre, 27 banche, compagnie di assicurazio-
ne o società di gestione patrimoniale italiane, che
rappresentano da sole il 42,3% delle masse finanziarie
delle società analizzate, contano fra i loro azionisti diret-
ti di un’altra società appartenente alle stesse categorie.
Nel suo rapporto, l’AGCM constata che né la legislazione
applicabile (ad esempio, sul conflitto d’interessi), né
l’autoregolamentazione da parte delle imprese del set-
tore sono sufficienti a limitare il fenomeno del cumulo di
mandati e delle partecipazioni incrociate.
In assenza d’interventi di carattere normativo, l’AGCM
ha colto l’occasione dell’ultima ondata di consolidamenti
nel sistema bancario italiano per affrontare diretta-
mente il problema. Nell’ambito delle sue competenze
di controllo delle concentrazioni, l’Autorità ha consi-
derato che i legami fra i concorrenti avrebbero potuto
aggravare gli effetti restrittivi derivanti dalle operazioni
prese in esame. Sono state così previste misure cor-
rettive al fine di evitare che questi legami privassero le
imprese degli stimoli necessari a svolgere una con-
correnza effettiva. Nell’ambito della sua analisi delle prin-
cipali fusioni bancarie italiane degli ultimi anni (Banca
Intesa/Sanpaolo, Unicredit/Capitalia, Banche Popolari
Unite/Banca Lombarda, Monte dei Paschi di
Siena/Banca Antonveneta), l’AGCM ha sempre impo-
sto come condizione la dissoluzione dei legami di azio-
nariato e personali esistenti tra i partecipanti alla con-
centrazione e i loro concorrenti.
Queste condizioni si sono in particolare tradotte nella
cessione di partecipazioni, nella scissione di joint-ven-
ture specializzate (ad esempio nel settore della
bancassurance o del credito al consumo), nel divieto
di partecipare a patti di azionariato e in generale di man-
tenere un ruolo nella governance dei concorrenti, nel
divieto del cumulo dei mandati di consigliere di ammi-
nistrazione, nel divieto di partecipare alle assemblee o
di esercitare i diritti di voto inerenti alle azioni di socie-
tà concorrenti.
Allo stesso modo, l’AGCM ha sistematicamente impo-
sto che le cessioni di agenzie avvenissero a favore di
terzi non solo indipendenti secondo i normali criteri del
diritto della concorrenza, ma anche e soprattutto non
collegati tramite partecipazioni o in altro modo alla
banca cedente. Così è stato in particolare per la ces-
sione della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza e
di Banca Friuladria a Crédit Agricole, che era stata
proposta come impegno da parte di Banca Intesa e
Sanpaolo al momento della loro fusione, al fine di risol-
vere i problemi di concentrazione di quote di mercato
in alcune aree.
Le iniziative intraprese dall’AGCM contro i legami fra
concorrenti si fondano su una teoria economica ben
consolidata, secondo la quale il possesso di parteci-
pazioni di minoranza in un’impresa concorrente può
rimettere in causa la naturale tendenza delle imprese
interessate ad elaborare ed applicare strategie con-
correnziali. Secondo questa teoria, tali legami posso-
no ad esempio spingere i concorrenti ad adottare un
comportamento di ottimizzazione comune degli utili,
equivalente ad un patto di non concorrenza. Le impre-
se legate da partecipazioni di minoranza possono così
ridurre unilateralmente la loro produzione e/o aumen-
tare i loro prezzi a danno dei consumatori, poiché
sono in grado di recuperare le perdite in termini di
vendite e ricavi attraverso gli utili generati dall’impresa
collegata (meccanismo, quest’ultimo, attuabile senza
necessità di coordinare l’azione delle imprese collegate).
Si parla in tal caso di effetti “unilaterali” derivanti da lega-
mi azionari. Questo tipo di relazioni può inoltre agevo-
lare lo scambio d’informazioni riservate o permettere ad
un’impresa di influenzare la condotta di un’altra, con l’ef-
fetto di provocare comportamenti collusivi miranti ad
ottenere il mantenimento di prezzi o condizioni sovra-
23
�
B a n c h e e a n t i t r u s t : l e s p e c i f i c i t à i t a l i a n eS E R G I O E R E D E & M A S S I M O M E R O L A
concorrenziali. Si parla allora di effetti “coordinati”, i quali
si manifestano tanto più frequentemente quanto più le
partecipazioni sono incrociate e multiple in uno stesso
settore, in presenza di un mercato oligopolistico o che
presenta notevoli barriere all’ingresso. Il rischio è mag-
giore in caso di cumulo di mandati, che possono con-
sentire allo stesso soggetto di assumere decisioni
all’interno di un’impresa alla luce delle informazioni
acquisite nell’ambito di organi sociali di un’impresa
concorrente.
Il pregiudizio negativo causato dal cumulo di mandati
in società concorrenti si fonda su solide basi teoriche
e giurisprudenziali. Il giudice Brandeis della Corte
Suprema degli Stati Uniti definiva con grande enfasi
questo fenomeno già quasi un secolo1 fa:
“The practice of interlocking directors is the practice of
many evils. It offends laws, both human and divine.
Applied to rival corporations, it tends to the suppres-
sion of competition... applied to corporations which deal
with each other, it tends to disloyalty and violation of the
fundamental law that no man can serve two masters.
In either event, it tends to inefficiency for it removes
incentives and destroys soundness of judgment...”.
Sarebbe tuttavia errato ritenere che i legami fra con-
correnti siano oggi necessariamente dannosi per la
concorrenza, soprattutto nelle complesse situazioni
sociali che caratterizzano il capitalismo odierno. L’analisi
degli effetti derivanti dalla detenzione di una parteci-
pazione di minoranza in un concorrente o di un cumu-
lo di mandati deve infatti tener conto di fattori di varia
natura, che possono influenzare le motivazioni del-
l’impresa a tenere comportamenti concorrenziali. Una
partecipazione di minoranza permette di acquisire, in
genere, solo informazioni frammentarie, che non con-
sentono di per sé di prevedere la domanda o il com-
portamento degli operatori del mercato. Allo stesso
modo, possono sussistere motivazioni esterne, per
gli stessi titolari di più cariche sociali, che giustificano
il mantenimento di una strategia basata sulla concor-
renza nonostante l’esistenza di un legame con un
concorrente. O ancora, l’influenza di un azionista può
in certi casi essere esclusa a causa del funzionamen-
to stesso degli organi decisionali o di supervisione di
una società, i quali possono ad esempio essere com-
posti da un numero molto elevato di membri e retti da
regole miranti ad assicurare l’indipendenza di giudizio
di questi ultimi. D’altra parte, i dirigenti che non siano
nominati da un concorrente non hanno alcun interes-
se a favorire tale azionista di minoranza e, in ogni
caso, potrebbero seguire una politica imprevedibile
sul piano commerciale così come, ad esempio, nella
distribuzione degli utili (la quale, come si è visto, può
rivestire un ruolo determinante nel comportamento
del concorrente azionista).
In questo contesto, occorre anche sottolineare che una
parte sempre più importante della teoria economica e
la stessa Commissione europea considerano che gli
scambi d’informazioni possono, in alcune circostanze,
consentire una più efficiente allocazione delle risorse e
avere quindi influssi benefici sul mercato. Non è pertanto
possibile affermare, senza ulteriori e specifiche analisi
da condurre caso per caso, che l’accesso alle infor-
mazioni di un concorrente sia anticoncorrenziale per
definizione.
Proprio a causa della difficoltà di individuare e di dimo-
strare un legame diretto e accertato fra la detenzione
di una partecipazione di minoranza e un comporta-
mento concorrenziale, il possesso di tali partecipazio-
ni è stato raramente sanzionato dalle autorità della
concorrenza, essendo piuttosto oggetto di impegni
presi dalle imprese al fine di dissipare i dubbi manife-
stati dalle autorità della concorrenza rispetto alla strut-
tura di alcuni mercati.
Italia v. EuropaA differenza di quanto avviene altrove, come negli Stati
Uniti o in Germania, dove l’acquisizione di quote di par-
tecipazione di minoranza è soggetta al preventivo nul-
laosta dell’autorità della concorrenza, le regole europee
ed italiane sono applicabili solo alle acquisizioni di par-
tecipazioni che conferiscono il controllo della società tar-
get. È opinione comune delle autorità della concorrenza,
1. Rapporto del Comitato Pujo (1914). Il comitato aveva condotto un’inchiesta sul “money trust”, un gruppo di banchieri di Wall Street che cumulava mandati in piùsocietà, soprattutto banche, assicurazioni e società di settori strategici (come ferrovie e public utilities) esercitando un esteso controllo su vari settori. Il rapporto haanticipato l’introduzione del Clayton Act e di una norma specifica che vietava il cumulo dei mandati.
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� infatti, che le acquisizioni di partecipazioni di mino-
ranza non siano di per sé assimilabili a pratiche restrit-
tive della concorrenza2. Nonostante ciò, il controllo
delle concentrazioni è stato utilizzato dalla Commissione
europea e dall’AGCM come strumento per contrasta-
re il fenomeno delle partecipazioni di minoranza incro-
ciate fra concorrenti, in particolare nel settore banca-
rio. L’approccio delle due autorità al riguardo non è però
del tutto uniforme, probabilmente a causa delle incer-
tezze che sussistono riguardo agli effetti concreti deri-
vanti da questo tipo di legami.
Nei casi citati, l’AGCM ha costantemente adottato la
posizione secondo la quale un’impresa o un gruppo
con cui esistono legami di azionariato o personali
non possa essere considerato come una terza parte
indipendente. Per considerare due gruppi come indi-
pendenti, l’AGCM ha infatti sistematicamente richie-
sto l’eliminazione delle partecipazioni incrociate nella
loro interezza o, quanto meno, la loro riduzione al di
sotto di una soglia piuttosto bassa – di solito il 2% -
unitamente alla rinuncia ai diritti amministrativi colle-
gati a questa partecipazione. Con riferimento alle
banche, gli sforzi operati dall’AGCM per obbligare le
società interessate alla cessione delle partecipazioni
incrociate hanno tuttavia incontrato notevoli difficol-
tà, durante la crisi finanziaria, a causa del crollo delle
quotazioni. L’AGCM ha dovuto prenderne atto e ha
concesso la proroga dei termini di vendita, accom-
pagnata tuttavia da misure volte ad assicurare la
neutralità di tali partecipazioni sotto il profilo della
concorrenza.
Il comportamento della Commissione in questo ambi-
to sembra più ricco di sfumature. Nella sua comuni-
cazione del 2008 sulle misure correttive nell’ambito del
controllo delle concentrazioni, la Commissione indi-
ca che, in presenza di una partecipazione di mino-
ranza di una delle parti in un concorrente o in una joint-
venture con un concorrente, sarà normalmente
necessaria la cessione della partecipazione. Se que-
st’ultima viene conservata, la Commissione esige la
rinuncia ai diritti che danno un’influenza sul compor-
tamento concorrenziale dell’impresa partecipata, in
particolare la rappresentazione nel consiglio di ammi-
nistrazione, i diritti di veto e i diritti all’informazione.
Nella pratica, la Commissione si mostra più flessibile
nella formulazione di misure correttive.
Nel caso Generali/INA (2000), la Commissione ha
adottato un orientamento molto severo, spingendo le
parti alla fusione ad impegnarsi non solo a sbarazzar-
si di una partecipazione minoritaria in Fondiaria ma
anche a fare in modo che nessuno dei membri del loro
comitato esecutivo o degli organi amministrativi dell’INA
assumesse in seguito la stessa funzione in altre com-
pagnie di assicurazione. In occasione delle fusioni
Nordbanken/Postgirot e Allianz/Dresdner del 2001, la
stessa Commissione ha mostrato invece minori riser-
ve in merito a partecipazioni di minoranza detenute in
un concorrente, accettando che venissero mantenute
partecipazioni rispettivamente del 10% e del 20,5%, a
patto che i rappresentanti negli organi sociali rasse-
gnassero le proprie dimissioni. Allo stesso modo, con
riferimento alla concentrazione Santander/Abbey
National del 2004, la Commissione ha accettato alle
stesse condizioni il mantenimento di una partecipazione
incrociata fra l’impresa acquirente e Royal Bank of
Scotland (RBS) del 2,5% e del 2,8%.
Ma soprattutto, nell’ultima decisione importante rela-
tiva al settore bancario, BNP Paribas/Fortis, adottata
appena dopo la Comunicazione sulle misure correttive,
la Commissione non ha considerato necessario imporre
misure relative alla partecipazione incrociata fra BNP
Paribas e AXA (BNPP deteneva il 6,1% di AXA, che a
sua volta deteneva il 5,9% nella banca), o alla parteci-
pazione comune di queste ultime a joint-venture e ad
accordi di cooperazione, considerando che il carattere
limitato di questi legami non era sufficiente per ridurre
la pressione concorrenziale sul mercato. È legittimo
chiedersi se la crisi dei mercati finanziari, che ha fatto
da sfondo all’operazione, abbia rivestito un ruolo deter-
minante in queste considerazioni.
ConclusioniI legami fra concorrenti possono in teoria influenzare
gli incentivi delle imprese interessate a farsi concor-
renza. Pur essendo universalmente riconosciuto che
questi legami non costituiscono, di per sé, pratiche
2. Rapporto 2008 dell’OCSE sulle partecipazioni di minoranza fra concorrenti.
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anticoncorrenziali, le loro conseguenze sul gioco della
concorrenza devono essere esaminate con attenzio-
ne alla luce della loro frequenza, delle caratteristiche
strutturali e normative dei mercati interessati nonché
di tutti gli altri fattori che possono concretamente
compensare questi eventuali incentivi a non “aggredire”
il concorrente.
In questo contesto, la particolare attenzione prestata
dall’AGCM al settore bancario e in special modo alla
problematica dei legami fra concorrenti, seppur giu-
stificata e perseguita con coerenza, deve necessaria-
mente tener conto della crisi economica e della fragi-
lità dei mercati. Si dovrebbe evitare ad ogni costo che
le iniziative intraprese per contrastare il fenomeno delle
partecipazioni di minoranza in questo settore sfocino
in posizioni talmente rigide da compromettere le più
generali condizioni di stabilità dei mercati. Le ultime
misure adottate dall’AGCM vanno nella giusta dire-
zione ed è auspicabile che questa tendenza continui,
tenendo conto delle specificità di ogni situazione e
dell’impatto della crisi sul comportamento degli ope-
ratori. ◗
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Chapo à venir
Il mercato bancario italiano el’evoluzione normativa di Basilea 3
L’ articolo presenta le principalicaratteristiche della nuovaregolamentazione del Comitato di Basilea,con un approfondimento specifico sugliaspetti riguardanti i criteri di definizione delcapitale e la gestione della liquidità. Inconclusione vengono evidenziati i possibiliimpatti dell’applicazione del nuovopacchetto regolamentare sul mercatobancario italiano.
Overview sulla nuovaregolamentazioneIl Comitato di Basilea ha pubblicato lo scorso dicem-
bre 2009 due documenti di consultazione su proposte
di modifica alla regolamentazione prudenziale inter-
nazionale in materia di capitale e liquidità delle banche
(cd Basilea 3)1, che intendono dare attuazione alle
raccomandazioni approvate dal Financial Stability
Board e dal G20. La nuova proposta di regolamenta-
zione nasce dall’esigenza di armonizzare le regola-
mentazioni dei vari Paesi sulla stabilità dei sistemi ban-
cari e creditizi attraverso la definizione di criteri omogenei
maggiormente restrittivi rispetto ai precedenti, in tema
di assunzione dei rischi e di copertura degli stessi con
il capitale. Parallelamente alla fase di consultazione, nel
corso del primo semestre del 2010 è stato svolto un
articolato studio di impatto - QIS2 (coordinato dalle
Banche Centrali dei singoli Paesi) sulla base di dati e
informazioni raccolte dalle stesse banche, al fine di
valutare l’efficacia delle proposte regolamentari e di defi-
nire il livello di capitale che le banche saranno chiamate
a detenere nei prossimi anni.
ANDREA FERRETTI
Executive Director, Ernst & Young
GIUSEPPE QUAGLIA
Partner, Ernst & Young
1. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Consultative Document Strengthening the resilience of the banking sector” e “International framework for liquidityrisk measurement, standards and monitoring”, December 2009.2. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Instructions for the comprehensive quantitative impact study”, February 2010.
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La nuova proposta di regolamentazione si pone in
particolare i seguenti obiettivi3:
• Innalzamento della qualità del patrimonio di vigilan-
za, al fine di aumentare la capacità delle banche di
assorbire le perdite (derivanti dai rischi).
• Maggiore copertura dei rischi complessivi assunti dalle
banche: viene proposto un rafforzamento dei requisi-
ti patrimoniali a fronte del rischio di controparte, con
incentivi per favorire la concentrazione degli scambi
presso controparti centrali.
• Contenimento del grado di leva finanziaria del sistema
mediante l’introduzione di un indicatore che vincoli l’e-
spansione delle attività complessive, anche fuori bilan-
cio, alla disponibilità di un’adeguata base patrimoniale.
• Riduzione della “prociclicità” della regolamentazione
prudenziale attuale (Basilea 2), mediante l’introduzione
dell’obbligo per le banche di accantonare durante le fasi
espansive del ciclo economico risorse patrimoniali da
utilizzare durante i periodi di crisi (il Comitato sta inol-
tre promuovendo l’adozione di metodologie di calco-
lo degli accantonamenti per il rischio di credito basa-
te sulla stima delle perdite attese4).
• Rafforzamento dei presidi a fronte del rischio di liqui-
dità; mediante l’introduzione di due indicatori volti a
garantire livelli di liquidità a breve, in condizione di
instabilità dei mercati, e a medio-lungo termine.
Focus su patrimonio e liquidità
Qualità del Capitale
Le principali innovazioni introdotte nella definizione del
Patrimonio di Vigilanza riguardano i seguenti aspetti:
• Viene definito il Common Equity, con l’esclusione dal
capitale delle azioni di risparmio e delle azioni privile-
giate. Nel Patrimonio di Vigilanza potranno quindi esse-
re computate senza limiti solo le azioni “ordinarie” o
azioni che attribuiscano un limitato privilegio nella dis-
tribuzione degli utili.
• Relativamente agli strumenti innovativi e non innovativi
di capitale5:
– ne viene rafforzata la qualità patrimoniale, soprattut-
to in termini di flessibilità dei pagamenti e di capacità
di assorbimento delle perdite;
– vengono innalzati i limiti di computabilità per gli stru-
menti privi di incentivi al rimborso anticipato e viene
introdotta una nuova categoria di strumenti computa-
bili che prevedano la conversione obbligatoria in azio-
ni ordinarie in caso di emergenza (mancato rispetto del
requisito patrimoniale minimo) o su richiesta della
Banca d’Italia;
– la normativa prevede comunque un articolato regi-
me transitorio (grandfathering) di durata trentennale,
che dispone la riduzione progressiva della computa-
bilità degli strumenti (azioni e strumenti innovativi e non
innovativi) compresi nel patrimonio di vigilanza prima
del 31.12.2010 che non rispettano i nuovi criteri di
ammissibilità.
• Deduzione integrale dal Common Equity delle par-
tecipazioni in enti finanziari e creditizi che superano il
10% del capitale dell’ente partecipato6.
• Deduzione dal Common Equity delle Deferred Tax
Asset - DTA nette (deduzione delle Attività per imposte
anticipate al netto delle Passività per imposte differite).
L’iscrizione nei bilanci delle DTA è influenzata dalle
normative fiscali nazionali. Con riferimento alla situazione
italiana, sono evidenti alcune peculiarità della norma-
tiva fiscale che tendono ad amplificare le differenze tra
l’utile contabile e la base imponibile, con conseguen-
te iscrizione di rilevanti importi di DTA. Tra le più signi-
ficative, come identificate dall’ABI7, si citano le rettifiche
di valore su crediti non deducibili nell’anno, gli accan-
tonamenti a fondi rischi e oneri non deducibili e l’af-
francamento dell’avviamento.
Con riferimento alle deduzione delle DTA nette ed alle
partecipazioni significative detenute in banche, socie-
tà finanziarie ed assicurative, negli ultimi giorni del
3. Rif. Comunicato Stampa di Banca d’Italia del 17.12.2009.4. Tale tematica è anche all’attenzione dello IASB che, nel mese di novembre del 2009, ha pubblicato un Exposure Draft, nel quale viene proposto un nuovo modellodi impairment, fondato sul concetto di “Expected Loss” (in luogo dell’attuale modello contenuto nello IAS39, fondato sul concetto di “Incurred Loss”), in base alquale la stima iniziale delle perdite attese deve confluire nella determinazione del tasso di interesse effettivo dell’attività finanziaria.5. Per la definizione e le attuali modalità di computabilità nel Patrimonio di Vigilanza di tali «preferred shares» si faccia riferimento alla Circolare 263 (Tit. I, Cap. 2) diBanca d’Italia.6. Per le Banche che hanno adottato approcci IRB, la deduzione riguarda anche le eccedenze della perdita attesa rispetto alle rettifiche di valore complessive (ledisposizioni correnti prevedono invece una deduzione al 50% dal Tier 1 e al 50% dal Tier 2).7. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “Il dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europa”, 14 maggio 2010.
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� mese di luglio, il Comitato di Basilea8 ha apportato
una modifica sostanziale alla proposta di deduzione
integrale dal Common Equity inizialmente prevista.
Tale modifica, prevede che il valore da dedurre di tali
componenti sia subordinato al superamento di un
valore di “franchigia” definito in funzione del common
equity e delle componenti oggetto di deduzione. In par-
ticolare, dovrà essere dedotto dal patrimonio di base
l’importo che, alternativamente:
• per ciascuna componente oggetto di deduzione
eccede il 10% del Common Equity;
• aggregando tutte le componenti oggetto di deduzione
eccede il 15% del Common Equity.
La gestione della Liquidità
Le principali innovazioni riguardano l’introduzione di due
nuovi indicatori relativi ai livelli di liquidità da mantene-
re, la cui composizione viene descritta di seguito e
schematizzata in figura 1.
Il Liquidity Coverage Ratio confronta il buffer di attivi-
tà liquide a disposizione dell’intermediario (numerato-
re) con i flussi di cassa attesi in condizioni di stress su
un orizzonte temporale molto breve di 30 giorni (deno-
minatore). In particolare:
• il numeratore è composto da risorse liquide di “ele-
vata qualità”, anche in una situazione di stress, che
sono composte da Cassa, riserve presso la Banca
Centrale, titoli di Stato e da Corporate Bond e Covered
Bond di “elevata qualità”;
• il denominatore, invece, è rappresentato dai deflus-
si di cassa attesi netti (flussi out – flussi in), sempre su
un orizzonte temporale di 30 giorni e sottoposti ad uno
scenario di stress predefinito dall’Autorità di Vigilanza9.
Il Net Stable Funding stima gli eventuali squilibri strut-
turali nella composizione delle attività e passività di
bilancio oltre l’orizzonte temporale dell’anno. In questo
caso:
• il numeratore rappresenta l’insieme delle fonti di
finanziamento stabili, ed è composto dalla somma di
fondi propri (Tier 1 e Tier 2), dei depositi a vista entro
l’anno (la raccolta residuale con scadenza entro l’an-
no, tra cui quella proveniente da controparti bancarie,
non viene considerata una fonte stabile e pertanto
viene esclusa dal computo) e delle fonti di provvista con
scadenza residua oltre l’anno;
• il denominatore annovera invece le componenti meno
liquide dell’attivo, che approssimano la necessità di
funding stabile, i cui elementi principali sono azioni e
obbligazioni con scadenza oltre l’anno, prestiti erogati
con scadenza residua entro e oltre l’anno, a prescindere
dalla controparte finanziata, immobili e partecipazioni,
asset intangibles (es. avviamenti) e fuori bilancio (mar-
gini irrevocabili).
La limitazione di non poter considerare come funding
stabile la raccolta presso banche con scadenza resi-
dua entro l’anno appare coerente, seppur restrittiva, con
l’operatività degli istituti creditizi laddove è possibile
attuare una diversificazione delle modalità di finanzia-
mento tramite la raccolta di depositi presso il pubbli-
co, ma produce un forte impatto negativo per altri
intermediari non bancari (in Italia ad esempio gli inter-
mediari ex-art. 107 del Testo Unico Bancario) le cui fonti
8. BIS: “Review of the Basel Committee’s capital and liquidity reform package - Annex Amendment Basel 3”, 26 July 2010.9. Lo scenario di stress ipotizzato dal Comitato simula una crisi di mercato cui si aggiungono difficoltà di tipo idiosincratico. A titolo esemplificativo si citano: la“chiusura” del mercato interbancario con deflusso di depositi al 100%, un deflusso completo del funding secured – pronti contro termine – per transazioni aventicome sottostanti titoli non governativi, un tiraggio completo dei margini irrevocabili per linee di liquidità concesse ad imprese corporate e clientela Financial, ecc.
FIGURA 1. Nuovi indicatori di controllo del livello di liquidità secondo le regole di Basilea 3
LIQUIDITY COVERASE RATIO =LIQUIDITY BUFFER
NET FLOWS (OUT-IN)≥ 100 %
WITH STRESS WITHIN 30 DAYS
NET STABLE FUNDING =STABLE FUNDING
ILLIQUID ASSETS≥ 100 %
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di finanziamento sono costituite prevalentemente da
linee di liquidità bancarie. Un possibile approccio alter-
nativo potrebbe consistere nella trasformazione delle
scadenze del funding con controparti bancarie, por-
tando tutte le maturity residue oltre l’anno: questo
comporterebbe però una gestione non ottimale della
liquidità in ottica ALM, dovendo trovare un matching tra
liabilities con maturity oltre l’anno ed asset aventi matu-
rity sia entro sia oltre l’anno.
Le indicazioni di Banca d’Italia10
La Banca d’Italia ha sottolineato che la nuova propo-
sta del Comitato di Basilea va nella direzione di sem-
plificare la definizione di capitale, renderla più chiara e
trasparente per il mercato (focus sul Common Equity
e maggiore rigore nelle caratteristiche degli altri stru-
menti patrimoniali) ed eliminare divergenze applicative.
In tale ambito, fa notare Banca d’Italia, ciò che serve
non è semplicemente più capitale ma è “più capitale di
migliore qualità” e qualità del capitale vuol dire:
• disponibilità delle risorse patrimoniali in ogni momen-
to (permanenza);
• piena o elevata capacità di assorbimento delle per-
dite sia attraverso la cancellazione di interessi o dividendi
(flessibilità nei pagamenti) sia attraverso il valore nomi-
nale degli strumenti.
L’obiettivo deve essere quello di disegnare un regime
prudenziale che sia coerente al proprio interno e che
raggiunga un equilibrio fra la finalità di ridurre i rischi di
instabilità sistemica e quella di sostenere la crescita del-
l’economia.
La Banca d’Italia ha evidenziato tuttavia che alcuni
profili della definizione di capitale regolamentare potreb-
bero risultare effettivamente troppo penalizzanti. In
particolare, con riferimento alla deduzione dal patrimonio
delle attività per imposte anticipate, la deduzione inte-
grale creerebbe incentivi distorti alle banche sul piano
prudenziale, in quanto finirebbe per disincentivare
un’adeguata politica degli accantonamenti e genere-
rebbe forti disparità fra Paesi in ragione delle diversità
nei regimi fiscali. In Italia, inoltre, si avrebbero effetti più
rilevanti rispetto ad altri Paesi europei dato l’elevato valo-
re di tali poste, a causa di inusuali vincoli alla deduci-
bilità fiscale delle perdite su crediti. La Banca d’Italia ha
sostenuto nelle diverse sedi internazionali istituziona-
li, in coerenza con questa considerazione, che la dedu-
zione dovrebbe riguardare l’importo che ecceda una
determinata percentuale delle azioni ordinarie e delle
riserve. Infine, il Governatore stesso ha posto l’atten-
zione sul fatto che il Legislatore, se lo riterrà opportu-
no al fine di evitare una ulteriore penalizzazione degli
intermediari italiani, potrebbe valutare l’eliminazione
dei limiti alla deducibilità delle perdite su crediti, con
un’imposta equivalente in termini di gettito che abbia
effetti meno distorsivi.
Per quanto concerne le altre principali deduzioni dal
Patrimonio di Vigilanza previste da Basilea 3, Banca
d’Italia ritiene siano necessari ulteriori approfondimenti,
ed in particolare invita ad una maggiore riflessione sul-
l’opportunità della deduzione integrale dal Core Tier 1
degli interessi di minoranza e delle partecipazioni ban-
carie, finanziarie e assicurative.
La previsione di un grandfathering della durata di 30
anni (con limiti di computabilità decrescenti dopo i
primi 10 anni) secondo Banca d’Italia consentirà
alle banche di gestire in modo ordinato la transizio-
ne al nuovo regime, per quanto riguarda sia le azio-
ni sia gli strumenti ibridi emessi in base alla norma-
tiva vigente.
Sulla gestione della liquidità, Banca d’Italia riconosce
che la definizione della natura delle attività, che possono
essere incluse nel buffer di attività liquide, rappresenta
un tema rilevante, infatti la maggiore o minore esten-
sione del novero delle attività ammissibili può deter-
minare conseguenze importanti sulle politiche delle
banche. È necessario dunque trovare il giusto equilibrio
10. In questo paragrafo vengono riportate sinteticamente alcune considerazioni espresse dalla Banca d’Italia in sedi pubbliche riguardo a taluni aspetti affrontatidalla nuova proposta di regolamentazione prudenziale. Riferimenti:• Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,Roma, 4-5 maggio 2010.• Giuseppe De Martino, Servizio Normativa e Politiche di Vigilanza di Banca d’Italia: “Qualità del capitale: principali novità e questioni aperte. Alcune riflessioni”,Convegno ABI “Basilea 3 - Banche e imprese verso il 2012”, Roma, 4-5 maggio 2010.• Stefano Mieli, Direttore Centrale per la Vigilanza bancaria e finanziaria di Banca d’Italia: “La revisione delle regole prudenziali sul capitale delle banche”, ConvegnoABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.• Intervento del Governatore della Banca d’Italia Mario Draghi all’Assemblea Ordinaria dell’ABI, Roma, 15 luglio 2010.
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� tra la necessità che gli intermediari mantengano profili
di liquidità sufficientemente prudenti e quella di garan-
tire adeguati flussi di credito verso la clientela. In que-
sto senso, Banca d’Italia ritiene condivisibili le propo-
ste avanzate dalle banche nel corso della consultazione
volte, al fine di tener conto delle specificità dei merca-
ti europei e italiani, a considerare nella definizione del
buffer di liquidità anche i corporate e covered bonds di
migliore qualità senza particolari restrizioni. Inoltre, in tale
contesto operativo, secondo Banca d’Italia è importante
che alle banche sia consentito di utilizzare nei momen-
ti di maggiore difficoltà le risorse liquide accumulate: la
soluzione proposta dalla Commissione europea, che
ammette il temporaneo allontanamento dai requisiti
imposti dai due nuovi indicatori in condizioni di mercato
sfavorevoli, introduce elementi di flessibilità nella gestio-
ne dei buffer.
Infine, si noti che Banca d’Italia ha recentemente ema-
nato due disposizioni in consultazione che già recepi-
scono alcune delle nuove proposte del Comitato di
Basilea per quanto concerne la disciplina del Patrimonio
di Vigilanza e la gestione del rischio di liquidità11.
La posizione dell’AssociazioneBancaria ItalianaL’Associazione Bancaria Italiana – ABI ritiene che sia
necessaria un’attenta valutazione dell’impatto delle
nuove proposte non solo sulla stabilità e redditività
dei singoli intermediari, ma anche sul quadro macroe-
conomico nazionale e internazionale. Particolare atten-
zione dovrà essere prestata al trade-off tra la volontà
di omogeneizzare la normativa e l’esigenza di tenere in
adeguata considerazione, in fase di definizione della
regolamentazione internazionale, le peculiarità nazionali.
Di seguito si riporta una sintesi dei punti di attenzione
rilevati dall’ABI in considerazione delle peculiarità del
mercato bancario italiano, con focus sugli aspetti
riguardanti il capitale e la liquidità12:
• Appare necessario che le nuove proposte portino ad
una migliore qualità del capitale senza necessaria-
mente imporre penalizzazioni su strumenti che nella
realtà italiana sono sostanzialmente equiparabili agli ele-
menti indicati come computabili (es. azioni di risparmio,
azioni privilegiate e azioni delle banche di credito coo-
perativo).
• Appare necessaria la modifica di alcuni criteri consi-
derati nel documento di consultazione per gli stru-
menti finanziari che rientrano nel Tier 1 (additional
going concern capital) al fine di mantenere l’appetibi-
lità degli strumenti per gli investitori “fixed income”.
Infatti il profilo tipico degli investitori in strumenti di
Tier 1 è generalmente rappresentato da investitori in
strumenti di debito.
• Per quanto riguarda la deduzione delle DTA nette, si
propone lo stralcio integrale di tale previsione, anche in
considerazione del fatto che le attività per imposte
anticipate sono sottoposte periodicamente ad un spe-
cifico test (probability test) volto a verificarne la soste-
nibilità in relazione alla capacità della banca di produrre
redditi imponibili nel futuro e che la normativa civilisti-
ca considera le DTA componenti del patrimonio dis-
ponibile e non prevede alcun vincolo di distribuzione per
gli utili ad esse riferiti.
• La deduzione dal Common Equity degli interessi di
minoranza e delle partecipazioni in banche, finanziarie
e assicurazioni appare particolarmente penalizzante
e comporterebbe, altresì, effetti distorsivi sulla
concorrenza tra conglomerati finanziari e, all’interno dei
gruppi bancari, possibili inefficienze nell’allocazione
del capitale.
• Il nuovo framework sulla gestione della liquidità por-
terà ad una accresciuta domanda per quegli asset, in
particolare titoli di debito pubblico, idonei a costituire
i buffer di liquidità. Ciò verosimilmente ridurrà in modo
sensibile la domanda per strumenti emessi dal settore
privato, perché saranno rimossi gli incentivi alla loro
detenzione. Il funding, pertanto, potrebbe risultare for-
temente influenzato dall’introduzione di nuovi vincoli
sugli strumenti di raccolta con riverberi sul pricing dei
finanziamenti. In tale quadro, pur ritenendo corretta
11. Banca d’Italia, Documento per la consultazione: “Disposizioni di Vigilanza Prudenziale per le Banche. Recepimento delle modifiche alle Direttive 2006/48/CE e2006/49/CE (cd CRD II)”, Giugno 2010 e Banca d’Italia, Documento per la consultazione “Disposizioni in materia di governo e gestione del rischio di liquidità dellebanche e dei gruppi bancari e degli intermediari finanziari iscritti nell’elenco speciale”, Giugno 2010.12. Rif. ABI Comments on consultative documents issued by Basel Committee on Banking Supervision “Strengthening the resilience of the banking sector” and“International framework for liquidity risk measurement, standards and monitoring”, 19 Aprile 2010.
31
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l’introduzione dei due indicatori, si ritiene opportuno
rivederne le modalità di costruzione rilasciando alcuni
vincoli per mitigare la restrizione degli assets costituti-
vi del buffer di liquidità.
• Al fine di agevolare l’efficacia e l’efficienza nella
gestione del rischio di liquidità si dovrà permettere
l’applicazione dei nuovi buffer unicamente a livello
consolidato.
L’ABI, al fine di rivedere l’impostazione normativa, con-
siderata troppo penalizzante e non adeguata a valutare
le peculiarità della struttura del mercato bancario ita-
liano, propone il seguente approccio, da un punto di
vista di metodo, nella definizione della nuova regola-
mentazione13:
• Valutazione di impatto (risultati QIS).
• Seconda consultazione.
• Implementazione generalizzata del nuovo framework
secondo un calendario armonizzato e condiviso.
• Level playing field tra soggetti (intermediari finanziari)
e tra giurisdizioni.
• Allineamento alla normativa contabile.
Le analisi di impattoSi riportano di seguito alcuni commenti degli operato-
ri del settore circa i possibili impatti delle nuove rego-
le sul mercato italiano: sebbene non ancora definite in
modo completo e dettagliato, le proposte appaiono,
avere implicazioni di rilievo per le banche ed il sistema
economico.
L’impatto a livello di sistema bancario italiano, secon-
do una recente ricerca presentata ad un convegno
ABI14, si aggirerebbe sui 20-25 miliardi di euro (pari al
1,3%-1,6% del PIL nominale 2009). Tale impatto
sulle banche italiane risulta prevalentemente legato agli
effetti derivanti dalle deduzioni delle DTA, degli interessi
di minoranza e delle partecipazioni. Se questi para-
metri verranno ricalibrati al ribasso (ovvero non dedotti
integralmente) l’effetto di Basilea 3 sul sistema
bancario italiano potrebbe ridursi a soli 6-10 miliardi
di euro.
In via generale, se confrontato con il resto d’Europa,
l’impatto sul sistema italiano appare comunque mino-
re: gli istituti di credito spagnoli potrebbero avere una
incidenza simile in valori assoluti, 20-25 miliardi, ma
maggiore sul PIL (1,9%-2,4%); ben più elevati, invece,
sono stimati i costi a cui si andrà incontro in Germania
(30-50 miliardi, l’1,2-2,1% del PIL) e soprattutto in
Gran Bretagna e Francia, dove l’ammontare potrà
sfiorare e forse anche superare i 100 miliardi di euro,
pari a oltre il 5% del PIL.
Tra i motivi dell’impatto relativamente più limitato della
nuova regolamentazione nei confronti delle banche
italiane figurano senz’altro elementi strutturali, come l’u-
tilizzo più limitato della leva finanziaria e l’elevata liqui-
dità dell’intero sistema.
In un recente intervento, il prof. Sironi15 della SDA
Bocconi ha rilevato come non saranno trascurabili i
potenziali impatti sulla redditività del capitale delle ban-
che che un significativo rafforzamento, seppure ancora
non precisamente quantificato, del requisito minimo
associato alla componente core (Upper TIER 1) inevi-
tabilmente comporta. Tali conseguenze andranno
attentamente considerate, specie nell’attuale contesto
di bassi tassi di interesse e di elevati tassi di sofferen-
za, che già influenza negativamente la redditività delle
imprese bancarie. Esiste infatti il rischio che questa
restrizione sul fronte dei requisiti patrimoniali venga
dalle banche traslata sul mercato del credito median-
te un innalzamento degli spread creditizi o una
restrizione dell’offerta di credito. Per quanto concerne
la liquidità, inoltre, si fa notare come i nuovi requisiti rap-
presentino strumenti efficaci per garantire che le ban-
che conservino un’adeguata liquidità e siano dunque
capaci di affrontare eventuali situazioni simili a quella
verificatasi nel corso della crisi finanziaria recente.
Entrambi gli indicatori proposti influiscono però in misu-
ra significativa sulla gestione di una banca e, in parti-
colare, sulla relativa capacità di trasformazione delle
scadenze, ed avranno dunque un impatto rilevante
sulla redditività.
Sulla stessa linea appare la posizione di Confindustria
che, attraverso il suo Direttore Generale16, denuncia
13. Rif. Giovanni Sabatini, Direttore Generale ABI: “Il dibattito sulle nuove architetture di regolamentazione e vigilanza in Europ”», 14 maggio 2010.14. Studio Oliver & Wyman presentato al Convegno ABI “Markets & Investment Banking Conference”, Milano, 7 giugno 2010.15. Rif. Andrea Sironi: “Crisi finanziaria e riforma delle regole: quali implicazioni per le Banche e il Sistema Economico?”, Economia & Management, n.3 2010.16. Rif. Il Sole 24 Ore del 13.04.10.
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� che i criteri di maggiore allocazione di capitale a fronte
dei rischi assunti dalle banche, previsti dalla nuova nor-
mativa, impatteranno sul credito con una restrizione dei
flussi creditizi verso le imprese. Infatti tale sistema di rego-
le, pur non essendo ancora applicate, sta già impattando
sul credito bancario alle imprese: già oggi mercati ed
agenzie di rating valutano gli istituti di credito sulla loro
capacità di aumentare la patrimonializzazione rispetto
all’attivo rischioso, di conseguenza le banche stanno già
riducendo gli attivi a rischio e quindi riducendo i credi-
ti. Tale posizione è stata confermata dal Presidente17
della Confindustria, che ha sottolineato come la riforma
costerà alle banche europee 244 miliardi di euro e ciò
di certo non favorirà i prestiti: “Basilea 3 rischia di toglie-
re altro ossigeno alle imprese e di soffocarle” è il moni-
to lanciato dagli industriali italiani.
Una simulazione EY
È stato effettuato un esercizio simulativo volto a stimare,
a livello macro e sotto una serie di assunzioni sempli-
ficative, l’impatto sul Patrimonio di Base e sul Patrimonio
di Vigilanza a livello18 aggregato delle prime cinque
Banche italiane19 derivante dall’applicazione delle nuove
regole riguardanti il capitale.
In particolare l’analisi ha preso in considerazione le
seguenti assunzioni:
• deduzione del capitale riconducibile alle azioni di
risparmio e alle azioni privilegiate;
• deduzione delle Attività per imposte anticipate al
netto delle Passività per imposte differite;
• deduzione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni
detenute in altre banche, società finanziarie ed assi-
curative nonché, delle eccedenze della perdita attesa
rispetto alle rettifiche di valore complessive, che l’attuale
disciplina prevede come elementi da dedurre per il
50% dal Tier 1 e per il 50% dal Tier 2;
• deduzione integrale dal Tier 1 delle partecipazioni in
assicurazioni che l’attuale disciplina prevede come
elementi da dedurre dal Patrimonio di Base e dal
Patrimonio Supplementare;
• ripresa del valore di affrancamento fiscale sull’avvia-
mento in deduzione dal Patrimonio di Vigilanza tra i fil-
tri prudenziali in deduzione al Tier 1 (per evitare il dou-
ble counting con le DTA relative all’avviamento);
• tutti gli strumenti ibridi di capitale sono stati considerati
in ipotesi di grandfathering.
I risultati delle analisi, data la bassa granularità dei
dati a disposizione, non vogliono essere esaustivi e rap-
presentano, pertanto, solo degli ordini di grandezza di
riferimento al fine di fornire ulteriori elementi di rifles-
sione, a titolo esemplificativo, sui potenziali impatti
delle nuove regole sul capitale dei principali Gruppi ban-
cari italiani.
I grafici seguenti (figura 2) illustrano l’impatto sul PV
(Patrimonio di Vigilanza) e sul Tier 1 dell’applicazione
delle regole di Basilea 3 sul capitale a livello aggrega-
to, stimato sulla base delle assunzioni in precedenza illu-
strate (i dati di patrimonio sono stati normalizzati
base 100), evidenziando il contributo delle compo-
nenti sulla diminuzione del Tier 1.
A seguito di tali elaborazioni, risulta un impatto medio
ponderato sul capitale aggregato dei prime cinque
Gruppi bancari di circa il 25% per il Tier 1 e del 10% sul
Patrimonio di Vigilanza. Si noti che l’abbassamento
medio del Tier 1 pari al 25% è spiegato in larghissima
parte dalla deduzione integrale delle DTA (53% circa).
Infine, rielaborando le analisi con riferimento all’Annex
BIS di Luglio (considerando la franchigia del 10%
sulla sola componente riferibile alla DTA), l’impatto
medio sul capitale risulterebbe minore e pari rispetti-
vamente al 22% sul Tier 1 e al 9% sul Patrimonio di
Vigilanza.
Considerazioni conclusiveIl sistema bancario italiano è caratterizzato dalla pre-
valenza dell’attività creditizia a favore di famiglie e
imprese, dal radicamento sul territorio, da una leva
finanziaria contenuta e da una struttura di bilancio
nel complesso equilibrata20. Tale configurazione, basa-
17. Rif. Il Sole 24 Ore del 01.06.10.18. Sono stati considerati i dati e le informazioni presenti nei documenti di Informativa al Pubblico (Pillar 3) e nei Bilanci consolidati al 31.12.09, pubblicati sui sitiinternet dei Gruppi Bancari oggetto di analisi.19. I primi cinque Gruppi Bancari italiani rappresentano, per attivi complessivi al 31.12.09, circa il 53% dell’intero settore. Fonte: Relazione Annuale della Bancad’Italia, 31 maggio 2010.20. Rif. Relazione Annuale del Governato della Banca d’Italia, 31 maggio 2010.
33
�
I l m e r c a t o b a n c a r i o i t a l i a n o e l ’ e v o l u z i o n e n o r m a t i v a d i B a s i l e a 3A N D R E A F E R R E T T I & G I U S E P P E Q U A G L I A
ta su un modello di intermediazione tradizionale e
sostenuta da un quadro regolamentare e da una vigi-
lanza prudenti, ha di fatto permesso un impatto meno
forte degli effetti della crisi internazionale sul sistema
bancario.
In tale quadro, la selettività della Banca d’Italia nel-
l’ammettere forme ibride nel calcolo del Patrimonio di
Vigilanza si è riflessa in una qualità del capitale delle ban-
che italiane comparativamente elevata, che potrebbe
facilitare l’adattamento ai nuovi e più stringenti standard
di Basilea. Occorre tuttavia evidenziare come le pro-
poste del Comitato, prevedendo un significativo raf-
forzamento dei requisiti di capitale, potrebbero comun-
que incidere in misura più rilevante sulle banche
attualmente meno capitalizzate.
Appare chiaro che il nuovo framework di valutazione
dell’adeguatezza patrimoniale disegnato da Basilea 3
va nella direzione di definire ed implementare misure più
efficaci nel tutelare maggiormente la solvibilità e la
liquidità delle banche e pertanto la stabilità del sistema
finanziario, e, seppur passibile di modifiche ed aggiu-
stamenti per rendere meno restrittivi certi criteri. Tale
nuovo quadro regolamentare presenterà comunque
costi rilevanti per la gestione bancaria, come eviden-
ziato dalle stime emerse dalle analisi di impatto.
La stessa Banca d’Italia21 riconosce che le modifiche
regolamentari proposte dal Comitato di Basilea richie-
deranno alle banche italiane adeguamenti non
trascurabili e potrà determinare una contrazione dei
profitti, sottolineando che i livelli di redditività registrati
in passato, superiori a quelli degli altri settori produttivi
(molto spesso dovuti all’esposizione a rischi troppo ele-
vati, non adeguatamente coperti da risorse patrimoniali
e di liquidità), potranno difficilmente ripetersi in futuro.
Tuttavia viene enfatizzato il fatto che l’insieme dei
provvedimenti in discussione comporterà anche un
positivo contenimento dei rischi assunti, contribuen-
do in modo rilevante alla stabilità finanziaria del siste-
ma economico e creando i presupposti perché gli
operatori siano in condizione di affrontare possibili
crisi future con maggiore solidità, riducendone i costi
per la collettività.
Stante tale quadro, si ritiene fondamentale che le ban-
che approccino le nuove regole con un atteggiamen-
21. Giovanni Carosio, Vice Direttore Generale della Banca d’Italia: “La riforma delle regole prudenziali”, Convegno ABI “Basilea 3: Banche e imprese verso il 2012”,Roma, 4-5 maggio 2010.
FIGURA 2. Stima impatti sul Tier 1 e sul PV (base 100) delle regole di Basilea 3 al 31.12.09
B2 B3
10060
50
40
30
20
10
0
9080706050403020100
Patrimonio di vigilanzaB2 B3
Tier 1
Deduzione azioniprivilegiatee di risparmio
Deduzione delle DTA
Deduzione delleeccedenze del patr.supplementare
Deduzione delleeccedenze del patr. dibase e supplementare
Ripresa affrancamentofiscale sull'avviamento
5 %
53 %
18 % 18 %
6 %
10 %
25 %
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� to proattivo cercando di fare leva sugli investimenti
necessari ad adeguarsi alla normativa per rivedere a
livello organizzativo ed ottimizzare a livello operativo le
proprie attività di intermediazione creditizia e finanzia-
ria. Questo potrebbe significare, ad esempio22:
• definire chiare politiche di gestione dei rischi (propen-
sione al rischio, modalità di controllo e gestione, ecc.);
• integrare le analisi e le valutazioni sui rischi e sul
capitale nei processi di budgeting e pianificazione
strategica;
• utilizzare le prove di stress e le analisi di sensitività e
di scenario come strumenti per la valutazione dell’e-
voluzione dell’esposizione ai rischi e dell’adeguatezza
del capitale, al fine di stimarne gli impatti e pianificare
eventuali interventi correttivi/migliorativi di natura gestio-
nale e patrimoniale,
• rivedere le politiche di gestione della liquidità al fine
di trovare nuovi equilibri tra funding ed impieghi;
• pianificare per il medio-lungo termine una struttura di
funding in coerenza con la nuova regolamentazione;
• approcciare i clienti e le politiche commerciali di svi-
luppo dei prodotti/servizi in un ottica di creazione di
valore corretta per il rischio;
• valutare possibili integrazioni con altre banche (simili
per dimensione e standing) in modo da generare
masse critiche e sfruttare economie di scopo e di
scala, che soprattutto per realtà medio-piccole potreb-
be risultare una opzione strategica rilevante.
Aggiornamento Settembre 2010
Il Comitato dei Governatori delle Banche Centrali ha
approvato il 12.09.10 il framework regolamentare di
Basilea 323, prevedendo che l’entrata in vigore sia
fatta in modo graduale, dal 1 gennaio 2013 per arri-
vare alla piena attuazione al primo gennaio 2019. Il
testo, dopo essere stato presentato allo Steering
Committee del Financial Stability Board, verrà ratificato
dal G20 di Seul il prossimo Novembre 2010. Nel
documento vengono anche definiti i requisiti minimi
regolamentari secondo lo seguente schema presen-
tato in tavola 1.
In tale contesto, l’ABI24 ha commentato che “[...] man-
cano ancora le disposizioni di dettaglio per definire il cal-
colo del patrimonio di vigilanza e non è quindi ancora
possibile valutare con precisione l’effettivo impatto dei
nuovi standard, sia a livello macro che a livello di sin-
golo paese e operatore. A fronte dei potenziali benefici
che deriveranno da un maggior presidio della stabilità
delle banche non mancheranno impatti sull’economia
reale in aree geografiche, come l’Italia e in generale
l’Europa continentale, dove la spinta allo sviluppo è
strettamente collegata all’azione delle banche in par-
ticolare attraverso il credito”, ribadendo la propria posi-
zione sugli aspetti che appaiono critici: “[…] il periodo
transitorio previsto per l’effettiva applicazione della
nuova normativa può rappresentare un elemento di
supporto alla capacità di adeguamento alle nuove
regole; ciò tanto più se prima che la nuova regola-
mentazione diventi vigente, sia possibile un confronto
con le Istituzioni nazionali ed europee, che porti ad
individuare soluzioni alle specificità delle imprese ban-
carie italiane; […] per le banche italiane, in particolare,
è fondamentale che siano previste soluzioni che con-
sentano, ai fini del computo del patrimonio di vigilanza,
un equo trattamento degli avviamenti e delle imposte
differite attive. Queste ultime in particolare non derivano
da perdite di bilancio ma da un penalizzante regime
fiscale degli accantonamenti su crediti [...]”. ◗Redatto il 16/09/2010
22. Rif. G. Quaglia, Partner Ernst & Young, “Basilea 3: possibili impatti operativi per le banche”, presentazione alla sessione plenaria finale del Convegno ABI: Basilea3 - Banche e imprese verso il 2012, Roma 4-5 maggio 2010.23. Rif. Basel Committee on Banking Supervision: “Press release - Group of Governors and Heads of Supervision announces higher global minimum capitalstandards”, 12 September 2010.24. Rif. ABI Comunicati Stampa del 06.09.10 e del 13.09.10.
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Ambito di intervento 2011 2012 2013 2014 2015 2016 2017 2018 2019
Coefficenti di leva finanziara Monitoraggio Sviluppo parallelo Migra-A (Leverage Ratio) autorità annuncio del parametro – zione –
di vigilanza previsto per il 01/01/2015 al Pillar 1B Coefficiente minimo di patrimonio di – – 3,5 4,0 4,5 4,5 4,5 4,5 4,5
prima qualità
CCuscinetto di conservazione delcapitale – – – – – 0,625 1,25 1,875 2,50
D B + C – – 3,5 4,0 4,5 5,125 5,75 6,375 7,0
EDeduzioni dal patrimonio primario – – – 20 40 60 80 100 100(Tier 1)
F Coefficiente minimo di patrimonio – – 4,5 5,5 6,0 6,0 6,0 6,0 6,0primario (Tier 1 Ratio)
G Coefficiente patrimoniale totale – – 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0 8,0(Total Capital Ratio)
H C + G – – 8,0 8,0 8,0 8,625 9,25 9,875 10,5
Strumenti di capitale cui viene toltaI la qualifica di patrimonio primario – – Eliminati in dieci anni a partire dal 2013
principale
L Coefficiente di liquidità di breve (1) – – – (2) – – – –termine (Liquidity Coverage Ratio)Coefficiente di finanziamento stabile
M nel medio-lungo termine – (1) – – – – – (2) –(Net Stable Funding Ratio)
Note : L’entrata in vigore delle misure è fissata per ogni anno all’1° gennaio (in grigio i periodi di transizione).(1) Inizio del perlado di osservazione(2) Introduzione standard minimo.
TAVOLA 1. Nuovi standard (%) e timeline di basilea 3 (BIS, annex 2 - 12 sett. 2010)
Fonte : Il Sole 24 Ore, rielaborazione EYBIS Press release 12.09.10, Annex 2 “Phase-in arrangements”
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
37
Il rapporto tra banche e territori dopola Grande Crisi del 2007-2009
Grazie al suo ancoraggio forte alterritorio ed anche al ruolo importantedelle banche cooperative, il sistemabancario italiano ha resistitoparticolarmente bene alla crisi finanziariatra il 2007 e il 2009. Questa crisi haposto le basi per un ripensamentodell’impostazione, precedentementenegativa, adottata nei confronti dellebanche stakeholder value.
IntroduzioneNei decenni precedenti la Grande Crisi del 2007-2009
il sistema bancario si era profondamente trasformato dis-
taccandosi progressivamente da un tipo di banking
imperniato sul rapporto personale per incardinarsi su
rapporti più standardizzati e impersonali. Tale trasfor-
mazione, permessa dagli sviluppi della ICT, rispondeva
al desiderio, da parte delle banche, di cogliere le oppor-
tunità loro offerte dalla liberalizzazione finanziaria e dalla
necessità di ridurre i costi di gestione, contribuendo così
a innalzare i rendimenti del capitale verso i livelli, un
tempo impensabili per le banche, loro richiesti da inve-
stitori sempre più esigenti. Così, il sistema bancario
dall’essere il settore più regolato e tradizionale era
diventato uno dei più attraenti. E il mestiere del ban-
chiere, che una volta veniva etichettato come quello sicu-
ro ma noioso dei tre tre – il tasso sui mutui è al 3%, lo
spread tra tassi attivi e passivi è al 3% e alle 3 del
pomeriggio il banchiere va a giocare a golf (o a bowling
se preferite) – si era convertito in uno dei più dinamici
con banchieri remunerati sempre di più ma con sempre
meno tempo libero. Il mutamento che doveva portare
le istituzioni finanziarie nell’empireo degli alti rendimen-
ti, teorizzato dalle grandi agenzie di consulenza ameri-
cane, prescriveva di innervare le banche nei mercati
finanziari modificandone il modello di business.
Anche il rapporto delle banche con i territori serviti
era perciò cambiato. La liberalizzazione, il desiderio di
grandezza dei manager, la percezione (poi rivelatasi in
gran parte infondata) di grandi vantaggi dalle economie
di scala e forse anche la moda avevano prodotto un
processo molto intenso di consolidamento bancario.
GIOVANNI FERRI
Professore ordinario, Università di Bari(1)
�
L’autore è membro fondatore del Think Tank per lo studio del credito cooperativo creato nel 2008 presso la European Association of Co-operative Banks.
38
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Le banche si aggregavano in entità sempre più gran-
di, talora gigantesche e con attività totali maggiori dei
bilanci pubblici degli Stati da cui promanavano. I loro
centri decisionali si allontanavano dai territori serviti. La
sostituzione del rapporto personale con quello media-
tico – ATM, internet banking ecc. – si spingeva molto
in avanti. Le persone a contatto con la clientela si
riducevano a vantaggio del back-office e dei centri
direzionali e il loro turnover si intensificava. Così, per il
cliente minuto diveniva sempre più difficile identificare
una persona che fungesse da interlocutore stabile alle
sue esigenze bancarie.
In verità, non tutte le banche seguivano quel trend o,
quantomeno, non tutte correvano in quella direzione alla
stessa velocità. In particolare, le banche cooperative
erano meno coinvolte nella trasformazione. Esse erano
ancorate al territorio dal permanere di specifiche rego-
lamentazioni e, fors’anche di più, dal desiderio dei
soci. Non sempre la loro partecipazione alle assemblee
era assidua, ma la gran parte dei soci si sarebbe
opposta a trasformazioni che avrebbero portato via la
“loro” banca. Però, le banche cooperative venivano
generalmente giudicate arcaiche e ormai inadatte alle
nuove e più sofisticate esigenze della clientela. Di più,
anche da parte delle Autorità, le banche cooperative
venivano guardate con sufficienza, se non con un
certo pregiudizio negativo. In vari Paesi, anche risen-
tendo del contesto, molte di esse venivano demutua-
lizzate. Putroppo, si è capito solo dopo come la demu-
tualizzazione non ponesse solo problemi di equità
intergenerazionale – né le generazioni passate, che
hanno contribuito a costruirla, né quelle future, che si
ritroveranno senza quella banca cooperativa, votava-
no – ma anche, troppo spesso, aprisse la strada a
gestioni disinvolte, foriere di fragilità e di crisi (cfr.
OCMEB, 2009, per il caso del Regno Unito).
Ma questo accadeva prima. Dopo la Grande Crisi del
2007-2009 molto sta cambiando. Sembra che molte
forze confluiscano a spingere le banche a un ritorno
verso il modello di business tradizionale. Vi è un dra-
stico ripensamento sulle virtù del consolidamento, con
molti Paesi che valutano se smembrare i colossi finan-
ziari formatisi in precedenza, al fine di ridurre il rischio
sistemico. La regolamentazione si sta inasprendo sui
contratti finanziari più complessi e opachi, richiedendo
di riportare su mercati regolamentati quello che veniva
scambiato su mercati Over The Counter (OTC). Viene
fortemente limitato, se non impedito, il proprietary
trading (cioè il trading delle banche sui mercati finan-
ziari in conto proprio). Gli schemi di remunerazione
del top management delle banche sono sotto osser-
vazione, per evitare le connesse distorsioni degli incen-
tivi all’assunzione di rischi esagerati. Si va diffondendo
la percezione che nel futuro della banca ci debbano
essere più finanziamenti all’economia reale e meno
coinvolgimento nei mercati finanziari e che i rendimenti
del capitale debbano tornare per le banche ai livelli sto-
rici precedenti alla metamorfosi del loro modello di
business. Taluni mettono in discussione l’opportunità
di livelli di concorrenza elevata – che potrebbero spin-
gere all’assunzione eccessiva di rischio – nel settore
bancario. Insomma, con tutta probabilità, molto cam-
bierà per le banche.
Se le banche torneranno verso il modello d’affari tra-
dizionale, una delle conseguenze sarà che esse tor-
neranno a intessere rapporti più stretti con i propri
territori, investendo maggiormente in questi rapporti e
valorizzandone le potenzialità. Sarà interessante osser-
vare questa evoluzione.
Ma, prima che ciò si realizzi, è ancora oggi opportuno
riflettere a fondo sugli errori che avevano portato ai
mutamenti all’origine della crisi. In particolare, affron-
teremo questo tema dal particolare angolo visuale che
giustappone le banche recanti l’obiettivo della massi-
mizzazione del valore per gli azionisti – che chiamere-
mo banche shareholder value –, soggetti resi omoge-
nei dal privilegiare l’interesse per il valore dell’azione, a
quelle che si pongono l’obiettivo di massimizzare il
valore per una più ampia e composita platea di soggetti
– che chiameremo banche stakeholder value (in primis
le banche cooperative) – soggetti portatori di interes-
si tra di loro differenziati e che, perciò, vantano rapporti
più stretti col territorio. In linea di massima, le prime sono
approssimabili con le banche commerciali e d’investi-
mento – prioritariamente, se non esclusivamente, orien-
tate alla ricerca del profitto – costituite nella forma
della società per azioni, mentre le banche stakeholder
value sono identificabili con gli istituti di credito
cooperativi e con gli altri intermediari con caratteristiche
mutualistiche – per i quali la massimizzazione del pro-
�
39
fitto non è né l’unico fine né, generalmente, quello
prioritario.
In effetti, a nostro modo di vedere, la spinta all’enfasi
esasperata del profitto di breve periodo per le banche
commerciali e quella alla diffusa trasformazione di ban-
che stakeholder value in banche shareholder value – es.
attraverso i processi di “demutualizzazione” – sono
state due forze determinanti nella genesi dei problemi
poi sfociati nella crisi finanziaria.
Per sintetizzare, ci sono tre aspetti principali connes-
si alla questione. In primo luogo, come detto, si è
avuto un mutamento nel modello di affari bancario.
Inoltre, come testé accennato, i sistemi bancari hanno
sperimentato sostanziali ondate di demutualizzazio-
ne, in cui ampi segmenti del sistema bancario sono stati
trasformati da uno status mutualistico o cooperativo in
banche shareholder value. Da ultimo, la percezione che
il rischio di credito potesse essere scomposto ha
determinato una mancanza di considerazione – o,
quantomeno, una sottostima – del grado in cui rom-
pendo relazioni finanziarie complesse in contratti seg-
mentati si sarebbe indebolita la capacità delle banche
di valutare e governare la dimensione complessiva di
quel rischio. Dal canto loro, del resto, la teoria econo-
mica prevalente e la regolamentazione bancaria hanno
contribuito a diffondere questa visione erronea. Vi sono
ovvie conseguenze sul rapporto tra banche e territorio.
Nel resto del contributo, la seconda parte è dedicata alla
doppia subordinazione delle banche stakeholder value:
esse, in quanto banche, hanno condiviso con le altre
banche la subordinazione della banca alle logiche del
mercato finanziario e, inoltre, sono state insidiate da un
orientamento prevalente in base al quale anch’esse
sarebbero dovute convergere verso il modello della
società per azioni. Nella terza parte si osserva e si svol-
gono alcune riflessioni sul fatto che la crisi finanziaria ha
generato maggiore instabilità per le banche shareholder
value rispetto a quelle stakeholder value. La quarta
parte trae le principali lezioni della crisi per il tema onde
trattasi e raccoglie le considerazioni conclusive.
L’impostazione teorica:la doppia subordinazione dellebanche stakeholder value2
Subordinazione della banca
al mercato finanziario
Le teorie di riferimento del sistema finanziario si sud-
dividono in due rami principali: la teoria dei mercati finan-
ziari e la teoria della banca. La prima si basa su ipote-
si di mercati completi e di informazione perfetta3. In
particolare, se vale l’ipotesi dei mercati efficienti i prez-
zi delle attività finanziarie dovrebbero riflettere tutte le
informazioni pubblicamente disponibili (Fama, 1970). Se
le informazioni correnti e passate sono immediata-
mente incorporate nei prezzi correnti, allora solamen-
te nuove informazioni potranno causare un cambia-
mento nei prezzi, i quali fanno riferimento sempre al
funzionamento del meccanismo della domanda e del-
l’offerta.
Dall’altro lato, la teoria della banca si basa su ipotesi di
mercati incompleti e di informazione imperfetta.
Dall’intuizione originaria di Stiglitz e Weiss (1981) la
teoria degli intermediari evolve verso il monitoring sui
debitori, delegato alle banche da parte dei risparmia-
tori/depositanti (Diamond, 1984). Ne segue che le
banche svolgono una funzione essenziale di rimedio al
fallimento del mercato del credito, dato che, accumu-
lando informazioni sui debitori, possono ridurre il grado
di asimmetria informativa e impartire a questi ultimi gli
incentivi corretti temperando i problemi di selezione
avversa e di azzardo morale.
Di conseguenza, sembra mancare un ponte tra le due
teorie: quella delle banche, che ci dice che esse esi-
stono per rimediare a un fallimento del mercato, e
quella dei mercati finanziari, che postula l’assenza di fal-
limenti del mercato4.
Si è così generata un’incoerenza teorica di fondo
quando, in seguito alla deregolamentazione e alla
liberalizzazione finanziarie, prassi e regolamentazione
bancarie si sono via via mosse verso modalità operative
tipiche dei mercati finanziari. Le banche che fanno �
I l r a p p o r t o t r a b a n c h e e t e r r i t o r i d o p o l a G r a n d e C r i s i d e l 2 0 0 7 - 2 0 0 9G I O V A N N I F E R R I
2. Per una più diffusa trattazione, si rimanda a Coco e Ferri (2010).3. Questo nonostante una crescente parte della letteratura abbia messo in discussione l’efficienza dei mercati finanziari in termini generali (es. Grossman e Stiglitz,1980) o ipotizzando che nel mercato operino soggetti disinformati, i cosiddetti noise traders (es. Delong e altri, 1990; Shleifer e Summers, 1990).4. Fanno eccezione alcuni autori (es. Allen e Gale, 2000) che hanno lavorato alla costruzione di questo ponte, concludendo che tra banche e mercati esistono forticomplementarità, piuttosto che sostituibilità. Ma tale opera è ampiamente incompleta e, per di più, non ha avuto – almeno fino a prima della crisi – successo neldeterminare l’impostazione delle prassi e della regolamentazione delle banche.
40
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
sempre più finanza, che sono incoraggiate ad accre-
scere la propria redditività diversificando la propria
offerta fuori dal credito tradizionale e verso le attività di
finanza strutturata, l’affermarsi nella regolamentazione
della logica del marking to market delle attività banca-
rie – logica alla base sia degli International Accounting
Standards (IAS) che di Basilea 2: tutti questi elementi
sono estrinsecazioni concrete di una subordinazione
delle banche ai mercati finanziari.
L’incarnazione più plastica dell’assoggettamento della
banca al mercato finanziario la si ritrova nel teorizzare
– come fa Bryan (1988), persona assai influente in
quanto patron del tempo della McKinsey Consulting
– che il modello bancario si deve trasformare dal
desueto tradizionale originate to hold (OTH) al nuovo
modello originate to distribute (OTD, fai il prestito e
vendilo ai mercati finanziari). Nel modello OTH la
banca fa il prestito e lo tiene in bilancio fino alla
scadenza, mentre nel modello OTD appena la banca
fa il prestito lo vende immediatamente mediante una
cartolarizzazione.
Vi sono importanti implicazioni del passaggio da OTH
a OTD per il rapporto tra banca e territorio. Nel model-
lo OTH la banca aveva forti incentivi a tenere rapporti
stretti col territorio, perché l’attività di screening e
monitoring le era essenziale, ma quegli incentivi cado-
no quando la banca si struttura sul modello OTD: essa
si spossesserà subito del rischio di credito e i costosi
investimenti per sapere vita morte e miracoli della
clientela affidata non servono più.
Subordinazione del modello bancario
stakeholder value a quello shareholder value
Inoltre, si fa strada la convinzione che il modello socie-
tario più appropriato per favorire lo sviluppo finanzia-
rio sia quello della banca shareholder value, la quale,
mirando alla massimizzazione del profitto di breve
periodo, sarebbe meglio in grado di cogliere le oppor-
tunità insite nella trasformazione del modello banca-
rio da OTH a OTD. Viene perciò rappresentato come
desueto il modello della banca cooperativa – il proto-
tipo della banca stakeholder value – che, assegnan-
do valore (anche) a obiettivi diversi dalla massimizza-
zione del profitto di breve periodo e equiparando
(almeno sulla carta) – specie attraverso il principio
“una testa un voto”, a prescindere dall’entità del pos-
sesso azionario – il peso nelle scelte aziendali di tutti
gli azionisti, anche quelli minori, permette la rappre-
sentanza di una più ampia platea di detentori d’inte-
resse nella banca.
Viene spesso messa in discussione la corporate
governance delle banche cooperative che, si dice,
contribuisce a generare una dirigenza pressoché ina-
movibile e che, perciò, corre il rischio di essere auto-
referenziale. Sebbene nell’addebito di autoreferen-
zia l i tà c i s iano degl i e lement i concret i , ta le
ragionamento trascura la possibilità che questo sia
proprio un prezzo inevitabile da pagare per consen-
tire la rappresentanza degli stakeholders e il mante-
nimento di un focus localistico e al servizio delle pic-
cole e medie imprese (De Bruyn e Ferri, 2005),
intensamente basato sulle relazioni con la clientela (il
c.d. relationship banking).
Ne consegue che, in quanto maggiormente devote al
relationship banking e dunque più idonee a ridurre le
asimmetrie informative nei confronti dei debitori, le
banche stakeholder value sarebbero quelle più capaci
di rimediare al fallimento del mercato che è all’origine
della nascita della banca. Ma, lungi dal riconoscere ciò,
per molti anni si è assistito a una sorta di disfavor nei
loro confronti da parte del legislatore. Ciò determinava
una doppia subordinazione delle banche stakeholder
value: al pari delle banche shareholder value venivano
ad essere sempre più subordinate ai mercati finanziari
ma, in aggiunta, esse erano anche subordinate rispetto
a quest’ultime nel modello societario.
A testimoniare gli effetti concreti dell’impostazione che
subordinava il modello bancario stakeholder value a
quello shareholder value, la trasformazione di banche
cooperative e mutualistiche – la c.d. demutualization –
è stata una pratica molto diffusa, particolarmente negli
USA e nel Regno Unito. Negli Stati Uniti, le Thrift
Institutions – Savings Banks e Savings and Loans
Banks – a partire dagli anni Ottanta vennero pressoché
interamente trasformate in banche commerciali nella
forma della società per azioni. Nel Regno Unito, al
contempo, subirono la stessa sorte quasi tutte le
Building Societies. Inoltre, anche nell’Europa conti-
nentale – ove la tendenza alla demutualizzazione era
meno intensa – si sono avuti vari casi di trasformazio-
�
41
ne (es. alcune ex banche popolari in Italia). La trasfor-
mazione ha ovunque modificato profondamente gli
incentivi per gli amministratori di quelle banche.
Generalmente ne è risultato un accorciamento nell’o-
rizzonte temporale se non addirittura un mutamento nel
modello d’affari.
La crisi finanziaria:maggiore instabilità per lebanche shareholder valueLa crisi finanziaria ha colpito i sistemi bancari in tutto il
mondo. Ma, quello che qui più rileva, a essere colpite
di meno dalla crisi sono state proprio le banche che
meno si erano adeguate alla subordinazione richiama-
ta al par. precedente. Analizzando la performance di
Borsa di 226 banche quotate si nota che vi è una cor-
relazione negativa e statisticamente significativa tra la
dimensione e i rendimenti anormali medi sperimentati
dall’azione della banca in due cruciali eventi della crisi:
il 9 agosto 2007, giorno in cui le principali Banche
Centrali furono costrette a intervenire per fornire liquidità
per evitare il collasso del mercato interbancario
conseguente all’esplodere della crisi subprime, e il
15 settembre 2008, giorno in cui il fallimento di Lehman
Brothers impartì un secondo shock negativo su scala
globale5. Inoltre, è per noi ancor più interessante nota-
re come la penalizzazione, in termini di rendimenti anor-
mali, inflitta dai mercati alle banche quotate sia stata
maggiore per le banche che più si erano distaccate dal
modello OTH per andare verso quello OTD. Sebbene
misurare un tale attributo sia piuttosto complesso, una
proxy del fenomeno ci è offerta da un rapporto tra due
voci di conto economico: il rapporto tra margine di
interesse e margine di intermediazione. Dal momento
che il divario tra margine di intermediazione e margine
di interesse tende ad ampliarsi allorché crescono i rica-
vi netti non derivanti dall’attività di intermediazione cre-
ditizia tradizionale, va da sé che valori più elevati del rap-
porto tendono a identificare banche le quali si sono più
spostate verso il modello OTD e, viceversa, valori infe-
riori del rapporto a indicare banche rimaste più anco-
rate al modello OTH.
Ebbene, come mostrano Bongini e altri (2009), vi è una
correlazione positiva – e statisticamente significativa –
tra i rendimenti anormali medi e il rapporto margine di
interesse/margine di intermediazione. Ciò pare con-
fermare che nei momenti decisivi della crisi i mercati
hanno penalizzato di più chi si era maggiormente avvi-
cinato al modello OTD e di meno le banche rimaste più
fedeli al modello OTH. In altri termini, i mercati aziona-
ri sembrano aver premiato il relationship banking, con-
traddicendo palesemente la subordinazione della banca
ai mercati finanziari, orientamento che aveva prevalso
negli scorsi decenni.
E, non a caso, prendendo i valori medi per paese (per
i paesi con almeno 5 banche quotate) ponderati in
base alla dimensione dell’attivo delle singole banche,
si nota che la penalizzazione in termini di rendimenti
anormali è stata minima per l’Italia e la Spagna –
paesi per i quali il rapporto margine di interesse/mar-
gine di intermediazione segnalava un minore allonta-
namento dal modello OTH – e ben maggiore per la
Francia e la Germania, le cui banche quotate si erano
invece avvicinate di più al modello d’affari OTD
(cfr. figura 1)6.
Dunque, anche per la seconda subordinazione, i dati
disponibili paiono contraddire quello che era stato
’orientamento degli anni prima della crisi.
A ulteriore suffragio di ciò, va anche ricordato che le
banche cooperative sono state pressoché ovunque
oggetto di una sorta di “ricerca della fiducia” da parte
dei depositanti che, specie nel dopo Lehman Brothers,
a frotte hanno fatto confluire grandi quantitativi di
depositi verso le banche stakeholder value. Infine, va
osservato che, forse non a caso, alcuni dei più note-
voli casi di bancarotta degli intermediari finanziari hanno
riguardato banche demutualizzate: ad esempio, per
citare solo i casi più noti, Northern Rock e Halifax
Bank of Scotland nel Regno Unito; Washington Mutual
negli USA. �
5. I dati qui ripresi sono stati calcolati, mediante la tecnica dell’event study, da Bongini e altri (2009) sull’insieme di tutte le 226 banche quotate per le quali è statopossibile reperire le informazioni rilevanti. L’insieme include 4 banche della regione baltica/scandinava, 2 del Belgio, 7 della Francia, 8 della Germania, 15 dell’Italia,91 del Giappone, 2 dei Paesi Bassi, 9 della Spagna, 6 del Regno Unito e 82 degli Stati Uniti.6. Questa indicazione non è però confermata per il Giappone, probabilmente in ragione di effetti specifici nazionali in un paese ove il sistema bancario ha sofferto alungo della crisi deflazionistica avviatasi ai primi anni Novanta.
I l r a p p o r t o t r a b a n c h e e t e r r i t o r i d o p o l a G r a n d e C r i s i d e l 2 0 0 7 - 2 0 0 9G I O V A N N I F E R R I
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Lezioni della crisi e conclusioniIl modello bancario basato sul relationship banking –
tipico, sebbene non esclusivo, delle banche coopera-
tive e caratteristico di più stretti rapporti banca-territorio
– è il vero vincitore in seguito alla profonda instabilità
finanziaria del 2007-09. Oggi, con il beneficio dell’in-
ventario, è chiaro che il diffuso utilizzo del modello
OTD è stato uno dei fattori fondamentali dietro alla
perdita generalizzata di comportamenti responsabili
da parte delle banche. In particolare, è abbastanza logi-
co che, quando la banca sa ex ante che – mediante le
cartolarizzazioni – venderà subito quei prestiti che si
appresta erogare, per essa vengono meno gli appro-
priati incentivi a esercitare diligentemente le sue funzioni
di selezione (screening) e controllo (monitoring) sugli affi-
dati. Perciò, sarà molto probabile un generale abbas-
samento degli standard creditizi, un fenomeno parti-
colarmente preoccupante in contesti nei quali il rischio
di default dei debitori è assai alto, così come nel caso
del segmento dei mutui subprime. Ma, come si è
argomentato, la crisi deriva anche da errori teorici più
profondi.
La percezione che i rischi potessero essere seg-
mentati – in primis con le cartolarizzazioni – trascurava
il problema che parcellizzare relazioni finanziarie com-
plesse in contratti segmentati determina, con tutta
probabilità, un indebolimento della capacità degli
intermediari di giudicare e governare la dimensione
complessiva di quei rischi. Infatti, se un debitore affi-
da tutti i suoi affari finanziari a una sola banca con-
troparte, quella banca (mediante il relationship ban-
king: Boot, 2000) potrà avere accesso a informazioni
privilegiate (soft information), che andranno invece
perse quando quel cliente ripartisca i suoi affari con
diverse banche controparti. Al tempo stesso, nel-
l’ambito di una relazione bancaria singola, la banca ha
gli incentivi appropriati a svolgere lo screening e il
monitoring dei debitori, così acquisendo informazio-
ni private su di essi.
Dal canto suo, la regolamentazione ha contribuito a pla-
smare un sistema bancario meno sicuro, ad esempio
attraverso gli IAS e Basilea 2, che hanno introdotto un
incentivo regolamentare a usare tecnologie di
rating/scoring. Limitiamoci a considerare gli andamenti
prociclici potenzialmente indotti dalla diffusione del
credit rating/scoring e disseminati ai requisiti di capitale
attraverso i modelli di rating interni delle banche. Questo
può essere etichettato come il `lato oscuro’ del credit
rating/scoring (Ferri, 2001). Essendo legato alla situa-
zione corrente piuttosto che alle prospettive future, il
credit rating/scoring può indurre fluttuazioni procicliche
nel costo e nella disponibilità di credito, il che potreb-
be amplificare le fluttuazioni nell’offerta di credito e, quin-
di, nell’attività economica.
�
FIGURA 1. Propensione al modello OTH e rendimenti anormali
- 5
- 4
- 3
- 2
- 1
0
10,503 0,353 0,351
0,567 0,643 0,563 0,484 0,482 0,488
- 0,358
Regione Baltica
MINS/MITD ponderato
Francia Germania Italia Giappone Spagna Regno-Unito USA Totale
- 2,266
- 4,227
- 0,143
- 1,795
- 0,102
- 0,965- 0,637
- 1,549
AR medio ponderato (%)
43
La crisi segna l’esigenza di un ripensamento anche per
l’impostazione (in precedenza) negativa nei confronti
delle banche stakeholder value che, non a caso, si sono
comportate meglio dei quelle shareholder value. In
particolare va ribadito che gli intermediari del primo tipo
paiono maggiormente propensi a seguire modelli d’af-
fari più orientati al lungo periodo e, pertanto, idonei a
rafforzare il relationship banking, a favorire così com-
portamenti responsabili, in luogo di quelli irresponsa-
bili all’origine della crisi e a mantenere solide radici nel
territorio.
Il compito è difficile – perché occorre correggere molte
credenze erronee – ma non impossibile e, soprattutto,
è importante. ◗
I l r a p p o r t o t r a b a n c h e e t e r r i t o r i d o p o l a G r a n d e C r i s i d e l 2 0 0 7 - 2 0 0 9G I O V A N N I F E R R I
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44
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M É R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Il ruolo delle banche del territorio nelsistema bancario italiano
Cariparma e Friuladria per loro natura estoria si sono sempre caratterizzatecome Banche del Territorio. EssereBanca del Territorio è un’attitudine; nonsi tratta solo di vicinanza territoriale, masoprattutto di un approccio verso ilterritorio inteso in senso ampio. EssereBanca del Territorio significa esserevicini al mondo del cliente.
Banca del territorio come “attitudine”La crisi economica in atto ha riportato al centro del-
l’attenzione il tema della vicinanza al territorio da parte
delle banche. Il concetto di Banca del Territorio è stato
a volte utilizzato più come uno slogan che per gli effet-
tivi contenuti. In realtà, l’attualità di questi argomenti deri-
va dall’esplicita esigenza della clientela di interfacciar-
si con una banca che gli sia vicina; esigenza che non
sempre ha trovato una risposta.
Il concetto di Banca del Territorio non è un concetto
geografico né un fatto dimensionale ma è un’attitudine;
non si tratta solo di vicinanza territoriale, ma soprattutto
di un approccio verso il territorio inteso in senso
ampio. Un rapporto continuo con i diversi stakeholders
che genera un circolo “virtuoso”. In questo senso,
Cariparma e Friuladria per loro natura e storia si sono
sempre caratterizzate come Banche del Territorio.
Fare banca come Banca del Territorio significa plasmare
la propria azione e la propria struttura sulle esigenze e
sulle caratteristiche dei soggetti con cui si interagi-
sce, siano essi imprese, famiglie o istituzioni.
Il contesto economico italiano si caratterizza per un tes-
suto produttivo con una componente di piccole e
medie imprese superiore rispetto alla media dei paesi
più avanzati: 3,7 milioni di imprese (2,2 milioni in
Francia) che generano quasi due terzi del PIL italiano
(51% del PIL in Francia). La dimensione media delle
imprese italiane risulta pari a 4 addetti contro i
6,4 addetti dell’Unione Europea, 12,2 della Germania,
5,9 per la Francia. A questa frammentazione e capillarità
hanno fatto però da contraltare alcune caratteristiche
tipiche delle imprese: flessibilità, velocità e reattività ai
GIAMPIERO MAIOLI
Amministratore delegato e direttore generale,Gruppo Cariparma Friuladria
45
�
I l r u o l o d e l l e b a n c h e d e l t e r r i t o r i o n e l s i s t e m a b a n c a r i o i t a l i a n oG I A M P I E R O M A I O L I
mutevoli contesti economici, in un mercato del lavoro
ancora rigido e condizionato da regimi fiscali non favo-
revoli (l’Italia figura al primo posto nell’Unione Europea
per tassazione del lavoro dipendente con il 43% con-
tro il 34,4% della Unione Europea). Inoltre, la specia-
lizzazione di gruppi di imprese in determinate aree
geografiche ha dato vita ai distretti industriali: fare
impresa in alcune aree del Paese è cosa diversa dal-
l’esercitare attività economica in altre aree.
L’evoluzione e la sopravvivenza dei distretti industriali
post crisi è peraltro legata in maniera indissolubile alla
capacità degli stessi di reinventarsi in termini di inter-
nazionalizzazione e di ricerca di nuovi mercati. In que-
sto senso il processo si è già innescato: nel primo tri-
mestre 2010, rispetto allo stesso trimestre dell’anno
precedente, si è registrata una variazione positiva delle
esportazioni (+6,6%), ponendo fine a quasi due anni di
andamenti negativi.
Inoltre, ci sono le famiglie che rappresentano una risor-
sa inestimabile per l’intero sistema Paese, sia sotto il
profilo economico e del risparmio, che per i valori di cui
sono portatrici. La loro propensione al risparmio rima-
ne tra le più alte in Europa con una percentuale del 14%
contro una media dell’Unione Europea del 13,3%,
anche se risulta in progressiva riduzione.
In quest’ottica, fare banca significa essere radicati for-
temente sul territorio, sviluppare esperienza nel for-
nire prodotti e servizi a misura del cliente e avere la
necessaria solidità patrimoniale per affrontare i
momenti di crisi. In altre parole, essere vicini al
mondo del cliente. Gli elementi che qualificano tutto
ciò sono ben chiari. Si tratta soprattutto di consen-
tire una più facile accessibilità al credito anche per la
creazione di nuove imprese, con i poteri di decisio-
ne nell’erogazione dei finanziamenti collocati più in
basso. Va garantito un rapporto di fiducia duraturo e
personalizzato con la clientela, anche attraverso la
maggiore permanenza dello staff operativo e il pre-
sidio degli sportelli nei piccoli comuni. La banca così
interpretata crea uno stretto legame con le sorti eco-
nomiche della comunità in cui opera, diventando
motore attivo di sviluppo. Il tutto viene sostenuto
da forme societarie diversificate (società cooperati-
ve, banche popolari, società per azioni), dalle carat-
teristiche dei propri soci, e da entità importanti quali
le fondazioni bancarie. Queste ultime hanno un rile-
vante ruolo nella vita sociale ed economica del Paese
sia per finalità sociali e di promozione dello sviluppo
economico, sia nella veste di investitori istituzionali.
Con gli utili derivanti dalla gestione dei loro patrimo-
ni, traggono le risorse per sostenere attività d’inte-
resse collettivo.
Questo modo di vedere il sistema bancario è importante
anche alla luce di quanto è avvenuto negli ultimi due
anni sui mercati finanziari internazionali.
L’innovazione finanziaria e la deregolamentazione
hanno cambiato il ruolo svolto da molte banche, il loro
stesso modello di business. Le Banche del Territorio,
intese nel senso che abbiamo visto, non l’hanno
fatto. Sono rimaste fedeli alla loro mission. Sono
rimaste vicine alle imprese, hanno continuato a fornire
il proprio sostegno all’economia reale impegnata a
resistere ai contraccolpi della crisi internazionale.
L’andamento dei prestiti bancari negli ultimi anni lo
conferma: in un contesto economico che ha visto un
calo del PIL del 5% nel 2009, c’è stata una crescita
nelle erogazioni da parte delle banche con forte voca-
zione territoriale (banche piccole e di credito coope-
rativo) e un ritmo molto più contenuto da parte dei
primi cinque gruppi bancari.
CARTA 1. Distribuzione dei distretti industriali in Italia
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� In particolare, il Gruppo Cariparma Friuladria nel 2009
ha registrato una crescita degli impieghi alla clientela del
5,5%, contro una crescita a livello di sistema intorno al
2%. La sola Cariparma ha stipulato, nel 2009, circa
14.500 mutui (+78% rispetto all’anno precedente) e ha
incrementato del 15,1% i prestiti alle imprese. Gli
accordi con le associazioni di categoria e con i Consorzi
di garanzia fidi (Confidi) sono aumentati, per garantire
i finanziamenti erogati alle piccole e medie imprese. A
questi vanno aggiunti interventi di natura “sociale” con
una vasta gamma di soluzioni per rispondere effica-
cemente ai bisogni contingenti di famiglie e imprese.
Questi dati confermano che un contesto produttivo con
relazioni e valori non standardizzabili ha difficoltà a
ritrovarsi a pieno nei modelli organizzativi dei grandi
gruppi bancari. Per questa ragione è cresciuto il ruolo
delle Banche del Territorio che associano una profon-
da conoscenza delle realtà dove sono insediate con la
disponibilità di risorse, di strumenti innovativi e maga-
ri anche di una proiezione internazionale, grazie all’in-
serimento in reti di maggiori dimensioni, come è il
caso di Cariparma e Friuladria in Crédit Agricole.
Un modello organizzativo perminimizzare le distanzeIl legame fra banche, territorio e cliente si concretizza
in un modello organizzativo che incarna “l’approccio”
e “l’attitudine” verso il territorio. Lo scopo è quello di
creare i presupposti organizzativi che minimizzino le
distanze operative e funzionali. Per distanza inten-
diamo lo spazio che separa i clienti dalla banca e,
come detto, si esplica su due ambiti. Da un lato c’è la
distanza “operativa”, fisica, che è influenzata dalla dis-
tribuzione degli sportelli bancari, dalle scelte di pene-
trazione in un determinato territorio. Dall’altro lato c’è
la distanza “funzionale”, che separa i centri decisionali
delle banche dai sistemi locali: tanto più accentuata è
questa distanza, minore sarà la sensibilità verso le
richieste differenziate della clientela e minore sarà l’of-
ferta “su misura” del servizio. Quindi, organizzazioni
snelle, leve decisionali corte e strutture sempre più
focalizzate sulla clientela.
Sono queste le caratteristiche del Gruppo Cariparma
Friuladria che ha modulato le sue strutture sui territo-
ri di riferimento, recependo le esigenze dei propri sta-
keholders, facendo leva su quei valori di solidità, fidu-
cia e flessibilità che rappresentano il tratto distintivo di
quei territori. L’inserimento in un primario gruppo ban-
cario mondiale quale il Gruppo Crédit Agricole con-
sente poi di sviluppare la capacità di innovare, la soli-
dità patrimoniale e l’apertura internazionale necessaria
per rispondere alle crescenti esigenze di una cliente-
la sempre più attenta. Una banca “corta” forte-
mente radicata nell’economia e nel contesto socia-
le dei territori in cui opera: questo in sintesi il Gruppo
Cariparma Friuladria.
FIGURA 1. Prestiti bancari per gruppo dimensionale di banca (dati mensili)
Fonte: Relazione Annuale Banca d’Italia 2009 – segnalazioni di vigilanza
20
15
10
5
0
- 5
20
15
10
5
0
- 52004 2005 2006 2007 2008 2009 10
Variazioni percentuali sui 12 mesi
Primi 5 gruppiAltre banche grandiBenche piccoleBenche di credito cooperativoTotale
47
�
I l r u o l o d e l l e b a n c h e d e l t e r r i t o r i o n e l s i s t e m a b a n c a r i o i t a l i a n oG I A M P I E R O M A I O L I
Tre drivers strategici:responsabilità sociale, “fare utilisostenibili” e “fare sviluppo”Le Banche del Territorio si trovano oggi ad interpreta-
re il ruolo di motori propulsivi per la crescita della
comunità di riferimento. Come detto, per fare questo
bisogna conoscere in modo adeguato i propri clienti.
Non è facile e forse oggi è diventato ancora più diffici-
le, in particolare con le imprese, perché è il mondo eco-
nomico che ha aumentato la propria complessità.
L’acronimo “glocal” (globalizzazione/localismo) sintetizza
i nuovi scenari:
• globalizzazione, con mercati finanziari e reali sempre
più ampi e informazione standardizzata e diffusa;
• localismo, con la valorizzazione delle peculiarità dei
diversi assetti sociali, organizzativi e produttivi che
caratterizzano i sistemi locali.
Le Banche del Territorio, in particolare, hanno il diffici-
le ma ineludibile compito di capire le imprese conci-
liando questi due aspetti. L’apertura ai mercati globali
può servire da stimolo a superare barriere protettive ed
inefficienze dei sistemi locali. La valorizzazione dei
punti di forza del localismo può fornire elementi com-
petitivi per operare sui mercati globali. Solo creando i
presupposti per rivitalizzare il territorio, inteso nel senso
in cui l’abbiamo descritto, saremo in grado di rilancia-
re la produttività e la crescita del Paese.
Sintetizzando, quindi, per le Banche del Territorio si
esplicitano tre diversi ordini di responsabilità:
• La responsabilità sociale, che vede la banca come
un sistema aperto che interagisce con una molteplici-
tà di “portatori di interesse” (individui e Gruppi) che con-
corrono ai suoi risultati e ne ricavano dei benefici. Negli
ultimi anni un numero sempre crescente di aziende,
compreso il Gruppo Cariparma Friuladria, ha realizza-
to bilanci sociali, codici etici ed altri strumenti di attua-
zione della Responsabilità sociale d’Impresa (CSR).
L’integrazione volontaria di istanze etiche, sociali ed
ambientali dentro le attività commerciali dell’impresa e
nei suoi rapporti con gli stakeholders è fondamentale.
Questo vale per qualsiasi tipo di impresa evoluta ed è
particolarmente significativo per un’impresa come la
banca che fonda la sua attività sulla fiducia. Il Gruppo
Cariparma Friuladria è da sempre attento alle comunità
in cui opera. A conferma di ciò basti pensare che nel-
l’ultimo triennio sono state effettuate più di 1.000
assunzioni e che nel solo 2009 sono stati erogati quasi
5 milioni di euro per iniziative di welfare locale, realizzate
con il coinvolgimento di enti ed associazioni.
• La responsabilità dell’efficienza gestionale, che
pone al centro dell’attenzione l’azienda come soggetto
che deve scegliere le soluzioni organizzative e operative
più efficienti in termini di redditività (“fare utili”), ma
anche di sicurezza, di capacità innovativa, di qualità del
Il capitale sociale Il capitale economico Distribuzione territoriale filialiGruppo Cariparma Friuladria
Fino a 75,075,1 - 100,0100,1 - 125,0125,1 e oltre
variazione negativa0,0 - 0,730,74 - 0,991,00 e oltre
Quota di mercato (agenzie) > 9%Quota di mercato (agenzie) 3,5 - 9%Quota di mercato (agenzie) < 3,5% Prossimi distaccamenti CRP
FIG
UR
A2
Popolazione residenteTasso di variazione medio annuo 2001-2008.
PIL pro capite (Italia = 100) dati 2008 Numero di agenzie per provincia
48
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� capitale umano. In definitiva, si tratta di percorrere un
sentiero di crescita sostenibile privilegiando la redditi-
vità e la permanenza di lungo periodo della relazione
bancaria (evitando i guadagni facili e di breve termine).
• la responsabilità dello sviluppo territoriale, che
valorizza le diverse potenzialità dei sistemi locali (“fare
sviluppo”), dove le banche concorrono con una pluralità
di altri attori a determinare la crescita. Non si tratta sem-
plicemente di quantità di credito erogato e di condizioni
applicate, ma anche di capacità di selezionare progetti,
di incentivare le innovazioni, di valutare le potenzialità
delle imprese locali, di affermare i principi di trasparenza,
di fiducia e di merito professionale. Le banche assu-
mono il ruolo strategico di agente di sviluppo che non
si limita a finanziare le imprese, ma soprattutto contri-
buisce a far maturare una cultura dello sviluppo e a for-
mare una classe dirigente locale di imprenditori, di
professionisti, di amministratori.
I gruppi bancari di maggiori dimensioni che agiscono
prevalentemente sui grandi circuiti di intermediazio-
ne, tendono a privilegiare l’efficienza gestionale rispet-
to a quella territoriale. Le banche locali realizzano un
legame più solido con il territorio di appartenenza e risul-
tano più direttamente coinvolte nel suo sviluppo, senza
perdere di vista l’efficienza e la creazione di valore.
Promuovere cultura in un contestofavorevoleRiassumendo, la missione delle Banche del Territorio
è quella di promuovere una nuova cultura impren-
ditoriale, tenendo bene in mente quali sono le
responsabilità e i compiti che sono chiamate a
svolgere.
Solo così può essere supportato e favorito lo svi-
luppo del capitale sociale del nostro Paese. Creare
capitale sociale significa creare le premesse per
lo sviluppo economico. Il primo è il prerequisito per-
ché il secondo possa esistere e la compresenza
dei due crea contesti favorevoli e di benessere col-
lettivo.
Il modello di Banca del Territorio è stato un modello vin-
cente fino ad oggi ma non può permettersi di restare
un modello statico e consolidato di fronte alle nuove
sfide che l’attendono. Il mondo delle famiglie e delle
imprese sta reagendo alla crisi con modalità diversifi-
cate che richiedono ancora maggiore “prossimità” per
essere colte. Quindi, è necessario essere sempre più
vicini al mondo del cliente, cosa su cui Cariparma e
Friuladria, in linea con i valori del Gruppo Crédit Agricole,
hanno sempre creduto e da cui deriva una parte impor-
tante della loro legittimazione. ◗
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
49
Il ruolo delle Fondazioni comeinvestitori istituzionali delle banche
Le Fondazioni costituiscono unelemento di stabilità degli assettiproprietari delle banche. Esse ricopronopositivamente quel ruolo di soci stabiliche, nella realtà italiana, altri investitoriistituzionali non sarebbero in grado disvolgere.
CARLO GABBI
Presidente, Fondazione Cariparma
�
Un investitore stabile con losguardo al lungo periodoAd oltre dieci anni dalla legge sulle Fondazioni banca-
rie del 1999, si può affermare senza ombra di dubbio
che il progetto che ne stava alla base è stato sostan-
zialmente attuato: il sistema bancario italiano ha con-
tinuato la profonda trasformazione avviata negli anni
’90 con il contributo essenziale delle Fondazioni, dimo-
stratesi capaci di interpretare in maniera costruttiva
ed efficace il proprio particolare ruolo in un contesto nor-
mativo e finanziario profondamente mutato.
Intervenendo nell’ottobre 2009 alla Giornata Mondiale
del Risparmio, nel momento più acuto e incerto dallo
scoppio della crisi, il Governatore della Banca d’Italia
Mario Draghi richiamava le Fondazioni a continuare a
svolgere il proprio ruolo di azionisti delle banche con lun-
gimiranza e dinamismo.
Significativo, in un periodo di notevoli difficoltà dei
mercati finanziari, è stato l’importante riconoscimento
del ruolo delle Fondazioni espresso dal Governatore in
M. Drophi la quale ha evidenziato che “le Fondazioni
sono state un’ancora per le banche italiane. Le hanno
accompagnate, anche nella fase più tempestosa della
crisi finanziaria, nel rafforzamento patrimoniale; le stan-
no accompagnando ora nella debole ripresa che si pro-
spetta. Molte hanno accettato sacrifici nell’immediato,
contribuendo alla solidità del sistema, alla capacità
delle banche di fare credito all’economia, alla valoriz-
50
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
zazione di lungo termine del proprio stesso investi-
mento. La crisi ha mostrato come le Fondazioni pos-
sano andare al di là della funzione che ci si attende da
un investitore istituzionale: questi ha una voce autore-
vole fintantoché i suoi clienti gli affidano i loro risparmi
da gestire; si affievolisce e muore quando essi li ritirano.
La voce delle Fondazioni non segue le alterne vicende
dei mercati, il loro sguardo tende al periodo medio-
lungo. Il sistema bancario italiano, dopo le grandi fusio-
ni di due anni fa, ha bisogno di stabilità per affrontare
le sfide gestionali e strategiche che l’uscita dalla crisi
richiede. Ha bisogno che le Fondazioni continuino ad
accompagnarne il rafforzamento patrimoniale e per-
severino in quel ruolo, di azionista presente ma non
intrusivo nella gestione, che è stato negli ultimi anni alla
base del loro successo”.
Favorite dalle politiche condotte negli ultimi anni e
dalle regole contabili di settore, le Fondazioni hanno
infatti costituito un elemento di stabilità degli assetti pro-
prietari in momenti di turbolenza dei mercati; hanno
contribuito a sostenere la capitalizzazione dei principali
gruppi bancari, con apporti diretti e rinunce sul versante
dei dividendi.
Più di recente, in occasione delle “Considerazioni fina-
li” lette il 31 maggio 2010, il Governatore ha infine
ribadito che il ruolo delle Fondazioni come azionisti
delle banche non può che essere quello stabilito dalla
legge: investitori il cui unico obiettivo sta nel valore
economico dell’investimento.
Le fondazioni bancarie tra passato,presente e futuroIn un’ottica di lungo periodo tipica degli investitori isti-
tuzionali, le Fondazioni hanno svolto un ruolo positi-
vo nell’accompagnare, a partire dagli anni ’90, il pro-
cesso di privatizzazione, la ristrutturazione e il
rafforzamento del s istema bancario i ta l iano.
L’allentamento della presenza nel capitale delle ban-
che è avvenuto in maniera ordinata e nel rispetto dei
vincoli legislativi.
Secondo dati riferiti a settembre 2009, 18 enti hanno
scelto di non detenere più direttamente partecipazio-
ni nelle società conferitarie (erano 9 nel 1999) e 15
detengono una partecipazione superiore al 50 per
cento del capitale (44 nel 1999); dei rimanenti 55
detentori di partecipazioni di minoranza (36 nel 1999),
solo 23 detengono più del 20 per cento.
Rispetto a dieci anni fa, la presa delle fondazioni sul
sistema bancario è quindi certamente meno diretta e
l’entità della loro partecipazione è certamente diminuita,
anche in conseguenza dei processi aggregativi che il
nostro sistema ha vissuto negli ultimi anni. Le fonda-
zioni hanno acquisito un loro statuto articolato, hanno
visto riconosciuta la loro natura privata e hanno cer-
tamente potenziato la loro capacità di operare per il
conseguimento dei fini sociali che ne giustificano l’e-
sistenza.
Le partecipazioni bancarie continuano comunque a
costituire una parte importante degli attivi delle
Fondazioni, mentre la presenza di altri investitori isti-
tuzionali nel capitale delle banche è ancora limitata.
Resta da chiedersi se, anche rispetto alla ratio della rifor-
ma del 1999, la situazione presente, che vede le fon-
dazioni in una posizione eminente, ma non di control-
lo, nei maggiori gruppi bancari italiani, possa
considerarsi un punto di arrivo o solo una tappa di un
processo in ulteriore evoluzione.
Ciò equivale a chiedersi, in altre parole, se la struttura
proprietaria dei maggiori gruppi bancari italiani, che vede
in posizione eminente le Fondazioni, sia ottimale per il
sistema bancario, soprattutto in relazione alla possibi-
lità teorica che le Fondazioni non siano in grado di
assicurare, in futuro, un adeguato flusso di capitale pro-
prio alle banche partecipate.
In proposito, a me sembra di poter affermare che oggi,
in un periodo in cui sono sentite fortemente le esi-
genze di stabilità proprietaria delle banche, e tenuto
conto dell’inesistenza di alternative nazionali per rilevare
le quote delle Fondazioni, queste sono viste quali inter-
preti di un ruolo di supplenza degli altri “investitori isti-
tuzionali”.
Queste riflessioni si ricollegano, del resto, al dibattito che
ha accompagnato il processo di privatizzazione del
sistema bancario italiano ed il passaggio dagli enti
conferenti alle fondazioni, dibattito che, fin dall’origine,
è stato contrassegnato da una netta contrapposizio-
ne tra i sostenitori della necessità di affrancare le ban-
che da ogni influenza da parte delle fondazioni e colo-
ro che valutavano in termini positivi la permanenza
delle Fondazioni nel capitale delle banche, non più
�
51
nella veste di controllanti, ma quali soci istituzionali di
lungo termine, interessati ad una crescita di valore
dell’investimento sostenibile nel tempo.
La partecipazione delle Fondazionial capitale delle banche e gli effettisulla corporate governancePrima che la legge Ciampi prevedesse l’obbligatoria dis-
missione del controllo delle banche e, nel contempo,
riconoscesse la natura privatistica delle fondazioni
bancarie, la presenza di queste ultime, in qualità di con-
trollanti, era considerata un elemento di anomalia
nella corporate governance delle banche, in quanto
espressione di quella proprietà “pubblica” cui veniva
attribuita la principale responsabilità dell’arretratezza
e dell’inefficienza del nostro sistema bancario e il cui
superamento veniva invocato come condizione indi-
spensabile a consentirne un allineamento alle logi-
che di mercato e alle regole di efficienza, competitivi-
tà e creazione di valore per gli azionisti che ne
conseguono.
Più di recente, una parte della dottrina ha ritenuto di
estendere alle partecipazioni “influenti” nelle banche,
ancorché non di controllo, quelle stesse ragioni di
opportunità che avevano indotto il legislatore ad impor-
re la dismissione del controllo: osterebbero, a giudizio
di tale dottrina, la natura delle fondazioni bancarie che,
nonostante la formale qualifica di “persone giuridiche
private”, continuerebbero a conservare significativi
connotati pubblicistici; il rapporto con gli enti locali
che le renderebbe particolarmente permeabili ad influen-
ze di natura politica; il rischio di una ingessatura degli
assetti proprietari che sarebbe di ostacolo ad una
maggiore contendibilità ed efficienza delle banche.
Non mancano, per contro, sostenitori dell’opportuni-
tà del mantenimento della presenza delle fondazioni nel
capitale delle banche quali soci stabili, orientati ad
uno sviluppo sostenibile e quindi più affidabili, come
investitori di medio e lungo periodo, della gran parte dei
possibili azionisti di riferimento degli istituti di credito.
La partecipazione delle Fondazioni al capitale delle
banche continua, pertanto, ad essere oggetto di un
acceso dibattito che coinvolge, da un lato, la natura
stessa e il ruolo delle fondazioni bancarie, quali pecu-
liari investitori istituzionali o enti votati esclusivamente
al perseguimento di finalità sociali e, dall’altro, il tema
degli assetti proprietari, dello sviluppo e dell’efficienza
del sistema bancario.
In proposito, a me pare di poter affermare, condividendo
in ciò le autorevoli opinioni di più illustri commentatori,
che le fondazioni bancarie sono state tra i pochi
investitori che, come soci istituzionali delle banche
partecipate, hanno svolto un ruolo attivo nella gover-
nance, indotto dal convincimento che la presenza nelle
banche non costituisce un puro investimento finanziario,
ma risponde anche a quella finalità di “promozione
dello sviluppo economico” dei territori di riferimento che
l’art. 2, comma 1°, D.Lgs. 17 maggio 1999, n. 153 indi-
ca tra gli scopi della fondazione.
Il giudizio specifico sull’operato delle fondazioni bancarie
quali soci istituzionali non può, certamente, essere
univoco e generalizzato, senza tener conto cioè delle
diverse situazioni che vedono, in taluni casi, una pre-
senza maggioritaria nel capitale di una o più fondazioni,
in altri una maggioranza relativa molto elevata, in altri
ancora una presenza minoritaria rilevante di una sola
fondazione o di più fondazioni; situazioni che nel loro
diverso dispiegarsi a volte hanno concretamente ali-
mentato il dibattito sopra accennato.
Ma ugualmente, a mio avviso, non si può negare il ruolo
positivo svolto in generale dalle fondazioni nel pro-
cesso di rapida evoluzione in senso privatistico e di
apertura al mercato del nostro sistema bancario1, che
ne ha certamente migliorato l’efficienza e la competi-
tività molto di più di quanto non sia avvenuto in altri
paesi europei, dove la presenza pubblica è ancora
molto rilevante.
Naturalmente, come è inevitabile in un processo di
cambiamento cosí rapido, questa evoluzione non è
avvenuta senza resistenze, tensioni e qualche com-
portamento contradditorio e discutibile, ma, nel com-
plesso, le fondazioni hanno saputo, sino ad ora, ope- �
I l r u o l o d e l l e f o n d a z i o n i c o m e i n v e s t i t o r i i s t i t u z i o n a l i d e l l e b a n c h eC A R L O G A B B I
1. Dalla ricerca congiunta di Banca d’Italia e Consob su: The evolution of ownership and control structure in Italy in the last 15 years coordinata da M. Bianco eM. Bianchi e pubblicata nel dicembre 2008 si ricava che, tra le società quotate italiane, le banche sono nettamente quelle che presentano il più basso grado diconcentrazione della proprietà, mentre la presenza pubblica nel capitale è completamente sparita.
52
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
rare nel rispetto di obiettivi di efficienza e di crescita del
valore e della redditività dell’investimento, traendone
significativi benefici economici in termini di incremen-
to patrimoniale e di disponibilità delle risorse da desti-
nare ai propri fini istituzionali.
La mia opinione è dunque che, se sul piano teorico
potrebbe forse legittimamente ritenersi che le
Fondazioni non debbano rimanere l’unico esempio
così diffuso di investitore istituzionale nel capitale delle
banche, sul piano pratico è difficile, ad oggi, immagi-
nare un soggetto effettivamente alternativo alle
Fondazioni.
Un socio stabile ed orientato allosviluppo del territorioLe fondazioni bancarie hanno ricoperto positivamente
quel ruolo di soci stabili che, nella realtà italiana, altri
investitori istituzionali non sono in grado di svolgere.
Altre possibili alternative, quali le partecipazioni di
imprese industriali o di imprese assicurative, non
potrebbero assumere il medesimo rilievo senza gravi
rischi di conflitti di interesse.
Giova ricordare, al riguardo, come la disciplina che
regola l’attività delle fondazioni bancarie contenga un
aspetto saliente, che valorizza il ruolo dalle stesse
assunto nel mercato finanziario e caratterizza il loro agire
come investitori istituzionali.
Tale aspetto saliente va identificato nel riferimento fatto
dal Legislatore (art. 7, comma 1, del D.Lgs. 153/99) alle
“finalità istituzionali ed in particolare allo sviluppo del ter-
ritorio” come principio guida di impiego del patrimonio;
tale riferimento, da un lato, ribadisce il principio per cui
il patrimonio deve essere gestito “in modo coerente con
la natura delle Fondazioni quali enti senza scopi di
lucro” enunciato dal 1° comma dell’art. 5 (il che impe-
disce che la fondazione possa gestire la propria finan-
za come un fondo speculativo o proporsi obiettivi di
massimizzazione della redditività degli investimenti ai
quali si accompagni l’assunzione di rischi molto elevati),
dall’altro, indica un criterio preferenziale, in presenza di
un adeguato ritorno economico, per quegli investi-
menti che possono fornire un supporto alle altre attività
rientranti nei fini istituzionali delle fondazioni e allo svi-
luppo del territorio.
Questa, oggettivamente, mi pare sia la logica che ispi-
ra la partecipazione delle fondazioni alle banche. Da un
lato è un investimento che ha consentito di realizzare
una notevole valorizzazione del patrimonio ed una
adeguata redditività, dall’altro, ha dato l’opportunità di
presidiare, quali soci stabili e influenti, l’interesse a che
le banche partecipate, in un quadro di efficienza gestio-
nale, non facciano venire meno il sostegno allo sviluppo
dell’economia dei territori di riferimento.
Le fondazioni bancarie non sono forse i soci stabili ideali
(sul piano teorico) di una banca e non è detto che in
futuro siano in grado di mantenere questo ruolo assi-
curando il necessario sostegno finanziario alla cresci-
ta delle banche partecipate, ma sembrano oggi deci-
samente migliori di altri che potrebbero prendere il
loro posto.
Non è nell’interesse delle Fondazioni, e tantomeno
del sistema bancario, tornare a quando la maggio-
ranza di turno nominava gli amministratori delle banche
e suggeriva i clienti di riguardo, ed in ciò le Fondazioni
hanno svolto al meglio un ruolo di “diaframma” tra la
politica e le banche, contribuendo alla stabilità del
sistema nella convinzione che una cosa è il rispetto del
territorio, altra è il legame con la politica. ◗
�
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
53
I problemi di finanziamento delle PMIe il loro accesso ai mercati esteri
Una dimensione modesta e una fortedipendenza dal credito bancariorendono talvolta difficile l’operativitàdelle PMI italiane nei mercati esteri.Tuttavia, una collaborazione tra bancapresente sul territorio eassicuratore può contribuire adampliare la disponibilità di credito dellePMI e sostenerle nei loro progetti dicrescita.
IN UN’ECONOMIA ITALIANA caratterizzata da impre-
se di piccole e medie dimensioni, tipicamente dipen-
denti dal canale bancario, la contrazione del credito
indotta dalla crisi economica internazionale e l’au-
mento del costo della liquidità hanno fatto emergere
situazioni di squilibrio nel rapporto tra imprenditori e
sistema finanziario.
In particolare la struttura del passivo delle PMI italiane,
caratterizzata mediamente da un’incidenza dei debiti
finanziari sul patrimonio netto significativamente più
elevata rispetto agli altri paesi europei, e la restrizione
delle politiche di selezione del credito a causa del
deterioramento della qualità degli attivi, hanno deter-
minato un inasprimento delle condizioni di accesso al
credito.
In questo contesto, una collaborazione di sistema che
coniughi la presenza stabile sul territorio del sistema
bancario con l’intervento di assicuratori del rischio di
credito quali Export Credit Agencies (ECAs) e Confidi,
può contribuire ad ampliare la disponibilità di credito per
le imprese e in particolare per le PMI, limitando la
richiesta di garanzie collaterali. Attraverso il trasferimento
del rischio di credito all’assicuratore, la banca libera
risorse per ulteriori impieghi a favore del sistema (“effet-
to volano”), grazie ai minori accantonamenti prudenziali.
Tale collaborazione viene generalmente definita nel-
l’ambito di accordi quadro tra banca ed ECA che
disciplinano la tipologia dei finanziamenti assicurabili
(spesso nell’ambito di programmi di sostegno all’in-
ternazionalizzazione), le modalità di analisi del merito
creditizio e di definizione del pricing.
Oltre ai benefici per le imprese, anche tra banca ed assi-
curatore si realizzano sinergie:
• L’assicuratore (i) è un operatore unfunded e, al di fuori
del credito commerciale (tipicamente a breve termine),
GIAMMARCO BOCCIA
Responsabile corporate, Divisione nuovi mercati, SACE
�
54
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
deve collaborare con un soggetto finanziario che eroghi
il credito ii) non avendo una rete distributiva propria
comparabile a quella bancaria, deve avvalersi della
collaborazione di partner presenti capillarmente sul
territorio.
• La banca fa leva sul rapporto di credito con l’azienda
per promuovere business ancillare a maggiore redditività
e limita la propria esposizione trasferendo parte del
rischio all’assicuratore, con cui peraltro non è in diretta
competizione.
Al tempo stesso, la collaborazione presenta alcuni
elementi di potenziale contrapposizione: i) qualora la
banca non consideri la relazione in una prospettiva di
lungo termine tenderà a proporre in garanzia le ope-
razioni più rischiose/meno redditizie (moral hazard); ii)
sebbene la distribuzione del premio per il rischio avven-
ga pro-quota, la redditività complessiva della posizio-
ne per la banca è legata anche al business ancillare, e
può causare asimmetrie tra le parti.
Inoltre l’assicuratore è soggetto al rischio di non accu-
mulare un portafoglio crediti granulare e diversificato,
nel caso in cui la banca non promuova adeguatamente
l’accordo quadro presso la propria rete commerciale.
La crisi che ha colpito l’economia mondiale negli ultimi
anni ed in modo particolarmente pesante quella italiana
ha messo in evidenza le conseguenze di tali rischi,
con un livello di sinistri più elevato rispetto alle previsioni
risultanti dai modelli statistici di default: per l’assicuratore
i rischi economico-finanziari non sono “attuariali” e
prevedere i default sulla base delle serie storiche lascia
margini di incertezza molto elevati, con possibili riflessi
sul costo dell’assicurazione.
La ripresa dell’economia globale unita ad un migliore
allineamento degli interessi delle controparti consenti-
ranno di rafforzare una collaborazione capace di favorire
l’assunzione di rischi nei momenti in cui il mercato si
ripiega su sé stesso, giocando un ruolo anti-ciclico
ma sostenibile nel tempo. ◗
�
55
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Le attività bancarie
56
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Il mercato immobiliare in Italia
Le specificità strutturali del mercatoimmobiliare italiano hanno attenuatogli effetti negativi della recente crisifinanziaria. Tuttavia, l’attuale quadromacroeconomico condizionanegativamente le aspettative sulmercato che non potrà riavviarsi eri-sperimentare i tassi di crescita delrecente passato senza un’ auspicatanormalizzazione del contesto.
Un impatto limitato della crisifinanziaria per il settore in ItaliaLa recente crisi finanziaria, scaturita dall’accumularsi di
eccessi speculativi, ha pesantemente condizionato le
dinamiche immobiliari di tutte le economie occidenta-
li. La dimensione globale della finanza e l’ormai evidente
integrazione ed interdipendenza dei mercati hanno,
infatti, determinato inevitabili ricadute su un settore
che già mostrava segnali di fragilità.
Spinto da un quadro macroeconomico di evidente
favore, l’immobiliare aveva visto gonfiare quotazioni e
transazioni per circa un decennio, archiviando di fatto
la pesante fase recessiva che lo aveva caratterizzato per
gran parte degli anni ’90. Proprio quando erano già
apprezzabili le avvisaglie di un imminente epilogo della
fase espansiva e i più ottimisti preconizzavano l’ap-
prossimarsi di un soft landing per un mercato ormai
saturo, si è abbattuto sul settore il ciclone finanziario,
che ha avuto nella vicenda dei mutui subprime ameri-
cani niente più che un innesco in un contesto eviden-
temente esplosivo.
L’identificazione dei mutui come causa del crollo, asso-
ciata all’indissolubile legame stabilitosi negli anni del
boom dell’indebitamento ed espansione immobiliare,
ha finito per rinsaldare il legame tra le dinamiche di set-
tore e la congiuntura economica generale.
Si tratta di un fenomeno globale a cui neanche i Paesi
connotati da una finanziarizzazione relativamente blan-
da hanno potuto in qualche modo sottrarsi. Di conse-
guenza, realtà come l’Italia, pur forti di una posizione soli-
da in materia di crediti immobiliari e teoricamente al riparo
da una crisi endogena e strutturale, sono risultate evi-
dentemente esposte al tracollo finanziario statunitense.
Vero è che le specificità strutturali e congiunturali del mer-
cato immobiliare italiano lo hanno preservato dai crolli che
si sono abbattuti altrove. Tra i principali elementi che
hanno attutito i colpi della crisi in Italia vi è da addurre il
fatto che le famiglie italiane non sono molto indebitate (è
DANIELA PERCOCO
Head of Real Estate, Nomisma
LUCA DONDI
Economista, Nomisma
GUALTIERO TAMBURINI
Presidente, Assoimmobiliare
57
�
I l m e r c a t o i m m o b i l i a r e i n I t a l i aD A N I E L A P E R C O C O & L U C A D O N D I & G U A L T I E R O T A M B U R I N I
aumentato il debito, ma è sempre inferiore al livello di
indebitamento delle famiglie nel resto d’Europa). Pertanto
le “frugali” famiglie italiane non hanno avuto bisogno di
vendere/svendere l’abitazione in tempi brevi per poter
ripagare rate del mutuo come, al contrario, è avvenuto
ad esempio negli Stati Uniti o nel Regno Unito.
Inoltre i prezzi in Italia non erano cresciuti così tanto
come era avvenuto altrove e così il ribasso nei valori non
è stato così violento.
Infine, in Italia non si è avuta una massiccia costruzio-
ne di immobili così come all’estero (ad esempio in
Spagna ogni anno si costruivano case pari a circa tre
volte il numero delle nuove famiglie) complici un atteg-
giamento piuttosto restrittivo delle nostre amministra-
zioni locali nel rilascio dei permessi da costruire oltre ad
una erogazione del credito bancario più restrittivo
rispetto all’estero.
In ogni caso, seppure, con i distinguo sopra enuncia-
ti, la percezione di rischiosità degli impieghi interban-
cari ha enormemente accresciuto l’onerosità dei finan-
ziamenti, imponendo politiche di razionamento del
credito, che non potevano non avere pesanti riflessi sul
mercato immobiliare (cfr. figura 1).
Se dal punto di vista dei livelli di attività le conseguen-
ze sono risultate da subito eclatanti, da quello dei
prezzi la rigidità dell’offerta e la modesta diffusione di
eccessi hanno rallentato l’avvio delle spirali recessive
che hanno, invece, interessato molti Paesi occidentali
(Stati Uniti, Regno Unito, Irlanda, Spagna e, in misura
minore, Francia e Danimarca). La progressiva atte-
nuazione di tale rigidità ha portato a flessioni importanti
sul fronte dei prezzi residenziali superiori talora al 20-
25% negli ultimi due anni.
Dopo la recente crisi ilmercato immobiliare mostrasegnali di ripresa in EuropaNella prima parte del 2010 l’economia mondiale è
cresciuta ad un tasso annualizzato superiore al 5%,
migliorando le aspettative soprattutto in ragione di una
più rapida ascesa delle economie asiatiche. Anche in
corrispondenza delle realtà più avanzate si sono
comunque evidenziati incoraggianti segnali sul fronte
della domanda privata, con indicatori robusti relativa-
mente all’attività economica reale (produzione indu-
striale, scambi commerciali, fiducia dei consumatori,
tasso di occupazione). Nella prima parte dell’anno,
l’evoluzione delle grandezze macroeconomiche globali
ha, ovunque, evidenziato una modesta, ma salda,
ripresa delle economie più avanzate ed una forte
crescita di quelle emergenti.
Le recenti turbolenze sui mercati finanziari – riflesso di
una flessione brusca della fiducia su sostenibilità fisca-
le, indirizzi di politica economica e prospettive generali
di crescita – hanno, tuttavia, contribuito ad acuire
l’incertezza sulle previsioni future.
FIGURA 1. Prezzi delle abitazioni durante la crisi in alcuni mercati internazionali (numeri indice, IV Trimestre 2007 = 100)
Fonte: The Economist
IV 07
Italia
105
100
95
90
85
80
75
70I 08 II 08 III 08 IV 08 I 09 II 09 III 09 IV 09 I 10 II 10
FranciaSpagnaIrlanda
Stati Uniti (Case Shiller)Gran Bretagna
58
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� Il clima di preoccupazione sul rischio sovrano ha, in
particolare, contagiato nuovamente il settore bancario,
rialimentando, in tal modo, la pressione sulla restrizio-
ne del credito nei mercati interbancari, al punto da
minare i presupposti della ripresa economica.
Se l’economia mondiale è destinata a crescere di
quasi cinque punti nel 2010, dopo la flessione di qual-
che decimo di punto registrata lo scorso anno, per
l’Area Euro è previsto uno sviluppo in misura di un
punto nel 2010 e dell’1,3% nel 2011 (con performan-
ce piuttosto variegate a seconda dei Paesi), non molto
diversamente dalle previsioni per l’Italia che si atte-
stano rispettivamente allo 0,9% e 1,1%.
In tale contesto l’investimento immobiliare in Europa ha
raggiunto nel primo trimestre 2010 quota 23,5 miliar-
di di euro, segnando un incremento dell’80% rispetto
allo stesso periodo del 2009, a conferma di un generale
ritorno di interesse per il settore real estate, che porterà
a raggiungere a fine 2010 un volume complessivo di
circa 100-110 miliardi di euro, a fronte dei 73 miliardi
di Euro del 2009.
Nei primi mesi di quest’anno si è confermato il buon
interesse degli investitori per alcuni mercati, quali
Regno Unito, Germania, penisola iberica e paesi scan-
dinavi, incentrato primariamente sul settore commer-
ciale, che in tali mercati ha rappresentato oltre la metà
degli investimenti complessivi.
In termini generali, nella prima parte del 2010 si è assi-
stito sui mercati europei ad un miglioramento diffuso
delle aspettative degli investitori immobiliari. E’ però vero
che tale tendenza è riscontrabile limitatamente alla
fascia prime del mercato e per lo più circoscritta a
coloro che investono con prevalenza di capitale proprio.
Con riferimento alla stretta creditizia, va tuttavia segna-
lato che ben poco è cambiato rispetto alla seconda
parte del 2009, se si eccettuano piccoli incrementi
nei livelli massimi di LTV per gli investimenti in corri-
spondenza di immobili prime, per i quali nei principali
mercati europei ci si attesta al 65% o poco al di sopra
di tale soglia (cfr. tavola 1).
Relativamente alla redditività degli investimenti immo-
biliari, nel 2009 si è registrato a livello globale un Total
Return negativo, pari a -7,3% misurato in valuta loca-
le. Una perdita imputabile alla flessione in conto capi-
tale (-12,8%), non pienamente assorbita dall’Income
Return (6,2%). Se l’Eurozona ha garantito un risultato
sostanzialmente neutro (+0,2%), il “resto dell’Europa”,
che costituisce la quota più esigua di capitale investi-
ta nel real estate, ha invece fornito un contributo posi-
tivo all’esito complessivo. Ne deriva che il risultato
negativo dell’anno sia imputabile alla combinazione
della performance fortemente negativa, associata ad un
peso in valore piuttosto rilevante, registrata nel resto del
mondo, in particolare negli Stati Uniti e in Giappone.
Con riferimento al contesto europeo, l’indice Pan-
europeo costituito da 16 mercati nazionali, mostra un
Total Return dell’1,4% (è dello 0,2% per l’Area Euro),
composto da un Income Return del 5,9% e da una
Capital Growth del -4,3% (per l’Area Euro tali indicatori
si attestano rispettivamente a 5,6% e -5,1%).
Come è possibile osservare dal grafico (cfr. figura 2), la
variabilità fra le performance dei vari Paesi è notevole,
mentre a livello settoriale (cfr. figura 3) sono il retail ed
il residenziale ad essere risultati quelli più premianti.
La fragilità della ripresa economicarallenta la crescita del settore in ItaliaIn tale contesto l’Italia ha sottoperformato il mercato
europeo garantendo un esiguo 0,8% (5,7% Income
Return e -4,6% Capital Growth), con gli uffici che si sono
Paese Dimensione massima prestito (mil €) Massimo LTV (%)Francia 75 65Germania 50 70 Italia 50 65Paesi Bassi 40 70Spagna 50 65Regno-Unito 75 (mil £) 70Trend europeo Stabile Crescita
Fonte: CB Richard Ellis
TAVOLA 1. Condizioni di finanziamento per immobili e tenant prime, Marzo 2010
59
�
I l m e r c a t o i m m o b i l i a r e i n I t a l i aD A N I E L A P E R C O C O & L U C A D O N D I & G U A L T I E R O T A M B U R I N I
confermati il settore più performante (Total Return 1,5%).
A livello di mercato italiano retail, la domanda di immo-
bili si sta tendenzialmente stabilizzando solamente per
il settore delle abitazioni, mentre la richiesta di spazi per
le attività di impresa è tuttora carente, complice la len-
tezza della ripresa economica e la perdurante incertezza
sulla evoluzione della congiuntura. Le conseguenze
sono piuttosto evidenti, anche in ragione di una crescita
diffusa dell’offerta.
Le transazioni sono cresciute rispetto all’inizio dell’an-
no scorso solo in corrispondenza delle abitazioni
(+4,2%), mentre per gli immobili non residenziali si
registrano ancora diminuzioni nei volumi scambiati,
ancorché contenute (intorno ad un punto percentua-
le) rispetto al ritmo di caduta che per tutto il 2009 è stato
in doppia cifra. Si resta, comunque, lontani dai livelli
record del 2007.
Il mercato si conferma, dunque, sostanzialmente inges-
sato, connotato da tempi di vendita che si sono stabi-
lizzati poco al di sopra dei 6 mesi per le abitazioni ma che
superano i 7 per i negozi ed anche i 7 e mezzo per il set-
tore direzionale. La lieve contrazione degli sconti che si
FIGURA 2. Total Return degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009 misurato in valuta locale (valori percentuali)
Fonte: IPD
SvizzeraNorvegia
DanimarcaAustria
FinlandiaGran Bretagna
BelgioGermania
IPD PAN-EuropeanSviezia
ItaliaPortogallo
OlandaFranciaPoloniaSpagnaIrlanda
- 25 % - 20 % - 15 % - 10 % - 5 % 0 % 5 % 10 %
FIGURA 3. Performance degli investimenti immobiliari in Europa nel 2009in base al settore e misurato in valuta locale
Fonte: IPD
8 %
1,4 2,00,7
- 0,1
2,0
6 %4 %2 %0 %
- 2 %- 4 %- 6 %- 8 %
Tutti gliimmobili
Retail
Total Return
Uffici Industriale Residenziale
Income Return Capital Growth
60
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� registrano nelle compravendite al momento della trans-
azione (rappresentati dal divario tra prezzo inizialmente
richiesto e prezzo effettivo), dopo aver comunque rag-
giunto livelli record, testimonia l’accresciuta consape-
volezza dell’offerta rispetto alle difficoltà congiunturali.
In evidente impasse si conferma anche il mercato della
locazione, con canoni in riduzione e tempi di locazio-
ne in progressivo aumento, che non riesce evidente-
mente a trarre vantaggio dalla congiuntura negativa
attraversata dal mercato della compravendita.
Con riferimento alle modalità di acquisto, continua a
crescere la quota di transazioni residenziali attraverso l’u-
tilizzo di capitale proprio, a conferma dell’interesse per il
settore degli investitori dotati di liquidità anche in ragio-
ne dello scarso appeal degli impieghi alternativi. Il basso
costo del denaro non riesce a compensare le difficoltà
incontrate dalle famiglie nell’accesso al credito bancario.
Si tratta di un fenomeno significativo se si considera che
nel periodo 2001-2009 i mutui erogati per l’acquisto di
immobili sono cresciuti del 69%, passando dai 30,1
miliardi di euro del 2001 ai 50,8 miliardi erogati nel
2009, a fronte di una flessione delle transazioni da
681 mila a 609 mila.
Dopo il crollo delle compravendite assistite da mutuo,
avvenuto nel 2008 (-27% rispetto al 2007), anche nel
2009-2010 questa modalità di acquisto dell’abitazione
fa registrare una flessione lievemente superiore rispet-
to al calo complessivo, a conferma della perdurante
selettività del sistema creditizio (cfr. figura 4).
Le perduranti difficoltà sul fronte della domanda hanno
determinato ancora un ulteriore flessione per quanto
riguarda i prezzi e, in misura più accentuata, i canoni
di locazione per tutte le tipologie immobiliari. I primi flet-
tono di circa un punto percentuale rispetto alla fine del
2009, mentre i secondi si riducono fra il punto e mezzo
ed i due punti. Il ridimensionamento registrato nella
prima parte dell’anno risulta, in ogni caso, il più
contenuto dell’ultimo biennio, facendo prefigurare un
percorso di graduale stabilizzazione che, tuttavia, non
porterà ad aumenti dei valori prima del 2012.
Dall’inizio della fase negativa del mercato, nelle gran-
di città italiane si è registrata una flessione dei prezzi del
FIGURA 4. Variazioni annue delle erogazioni di mutui per acquisto di abitazioni da parte delle famiglie (valori %)
Fonte: Elaborazioni Nomisma su dati Banca d’Italia
- 10,7
- 9,2
- 0,7
11,7
15,3
13,9
21,3
17,6
2009
2008
2007
2006
2005
2004
2003
2002
Variazioni % semestrali (I 10/II 09) Variazioni % annuali (I 10/I 09)Abitazioni -1,0 -2,6Uffici -1,2 -2,8Negozi -0,8 -2,3Box auto/Garage – -0,8
Fonte: Nomisma
TAVOLA 2. Media 13 grandi città – Variazioni % semestrali ed annuali dei prezzi degli immobili
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I l m e r c a t o i m m o b i l i a r e i n I t a l i aD A N I E L A P E R C O C O & L U C A D O N D I & G U A L T I E R O T A M B U R I N I
5% in sede nominale e di circa il 7% dei canoni, ripor-
tando i valori reali sui livelli di 5 anni fa (cfr. figura 5).
Previsioni positive per ilsettore in Italia ma in un’otticadi medio periodo Riguardo all’evoluzione del mercato nel breve-medio
periodo, le risultanze dei modelli previsionali volti ad inter-
pretare la dinamica della media dei prezzi in funzione di
alcune variabili esogene fortemente correlate con le
dinamiche del settore (tassi di interesse, spesa per
consumi delle famiglie italiane, investimenti in costruzioni,
ecc.), confermano il superamento della fase più acuta
della crisi anche sul versante dei valori.
Dall’esame della serie storica dei tassi di variazione
annuali dei prezzi correnti delle abitazioni nuove, a
partire dal 1992 si può rilevare che, dopo aver raggiunto
nel 2009 punte negative solo lievemente meno marcate
rispetto a quelle sperimentate durante la pesante crisi
del mercato immobiliare dei primi anni ’90, i tassi di
variazione hanno invertito la tendenza, confermando
l’avvenuto superamento della fase recessiva, sebbene
per una ripresa vera e propria del mercato occorrerà
ancora attendere almeno 12-18 mesi. ◗
FIGURA 5. Media 13 grandi città – Prezzi reali degli immobili (numeri indice, 1992 = 100)
Fonte: Nomisma
130 %
120 %
110 %
100 %
90 %
80 %
70 %
60 %
I 92 II 93 I 95 I II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10
Abitazioni Uffici Negozi
FIGURA 6. Abitazioni nuove - Serie storica delle variazioni medie annuali dei prezzi correnti nelle 13 grandi città
Fonte: Elaborazioni Nomisma su fonti varie
(valori percentuali)
- 10
- 5
0
5
10
15
Previsione
SemestriI 92 II 93 I 95 II 96 I 98 II 99 I 01 II 02 I 04 II 05 I 07 II 08 I 10 II 11
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NOM AUTEUR Fonction à venir
La distribuzione bancaria in italia:trend in atto, scenari evolutivi epossibili strategie competitive
Negli ultimi anni la struttura distributivabancaria è profondamente cambiatasulla spinta dei processi diaggregazione, liberalizzazione e diespansione territoriale. Differenticambiamenti strutturali globali e localistanno spingendo le banche aripensare ed innovare i modellidistributivi consolidati.
NEL 1992, L’ALLORA PRESIDENTE DEL
CONSIGLIO GIULIANO AMATO descrisse il sistema
bancario italiano come “una foresta pietrificata”, un’e-
spressione che attecchì subito. Indubbiamente qualche
ragione era dalla sua parte: il sistema bancario rispon-
deva a regole di competizione e controllo che vinco-
lavano in modo forte la possibilità delle banche di
competere imprenditorialmente. Lo Stato era proprie-
tario in modo diretto o indiretto della più parte delle ban-
che: dalle Casse di Risparmio locali fino alle Banche di
Interesse Nazionali (BIN); il sistema distributivo stesso
era ingessato, risultando estremamente complesso
attivare la crescita organica attraverso l’apertura di
filiali al di fuori delle zone storiche di ogni banca.
Tra il 1990 e il 1993, l’opera congiunta di Amato e di
Carlo Azeglio Ciampi, Governatore della Banca d’Italia
e futuro Presidente della Repubblica, pose le basi del-
l’apertura e privatizzazione del mercato bancario, attra-
verso la creazione delle Fondazioni e la quotazione sul
mercato delle BIN. Ci si muoveva in un contesto pro-
fondamente diverso rispetto ad oggi, basti pensare
che il tasso ufficiale di sconto della Banca d’Italia variò
tra l’11% ed il 15% tra il 1992 e 1993; quelle prime inno-
vazioni legislative innescarono un processo di profon-
do cambiamento, modernizzazione e creazione di valo-
re che è proseguito sino ad oggi e che si è riflesso nella
articolazione ed evoluzione delle strutture distributive.
Se guardiamo, infatti, il sistema nel suo complesso
possiamo dire che, pur con qualche scossone, sono
stati raggiunti importanti traguardi che hanno consen-
tito di costruire un sistema bancario solido e compe-
titivo, aperto agli investimenti esterni, in grado di espri-
VITTORIO RATTO
Partner, Bain & Company, Milano
ALESSANDRO GERALDI
Manager, Bain & Company, Milano
63
�
La d ist r ibuz ione bancar ia in i ta l ia : t rend in at to , scenar i evo lut iv i e poss ib i l i s t rateg ie compet i t iveV I T T O R I O R A T T O & A L E S S A N D R O G E R A L D I
mere più di un operatore di livello europeo, che ha retto
la crisi mondiale senza necessità di salvataggi strutturali
e che, su molti assi, è in grado di esprimere delle
punte di eccellenza a livello europeo.
Dal punto di vista della struttura distributiva i cambia-
menti che hanno accompagnato questo percorso
sono stati profondi e tuttora in corso. E’ possibile indi-
viduare alcuni trend legati sia ai cambiamenti strutturali
dal lato dell’offerta che della domanda, che influenzano
le scelte di assetto e di presidio della clientela degli
operatori bancari. L’attuale crisi finanziaria ed econo-
mica e la conseguente riduzione dei margini e della
redditività complessiva ha dato una ulteriore spinta di
accelerazione ai processi di revisione degli attuali
assetti distributivi.
Razionalizzazione ed aperturadel mercato bancarioIl processo di razionalizzazione e di aggregazione, che
ha coinvolto i principali gruppi bancari italiani, ha avuto
come conseguenza una redistribuzione e concentra-
zione delle quote di mercato per sportello: i primi dieci
gruppi hanno conseguito una quota di mercato cre-
scente, passando dal 34% del 1995 al 64% del 2009.
In parallelo al processo di concentrazione e di creazione
di campioni nazionali, il mercato italiano si è anche
aperto ai grandi istituti stranieri (Crédit Agricole, BNPP,
Barclays, Deutsche Bank) che rappresentano ad oggi
oltre il 6% del mercato complessivo, rispetto ad una
posizione di fatto marginale solo 5-10 anni fa. Questo
fenomeno è di sicuro beneficio per il mercato nel suo
complesso in quanto consente alle famiglie e alle
imprese di poter accedere a piattaforme di prodotto /
servizio di scala europea.
Crescita del numero di filiali:la “corsa allo sportello” La filiale bancaria è il perno della struttura distributiva:
il numero complessivo negli ultimi anni è cresciuto evi-
denziando di fatti una sorta di “corsa allo sportello” da
parte delle banche. Al crescere della concentrazione
delle quote distributive, non ha seguito una razionaliz-
zazione delle reti ma, al contrario, un’ulteriore attività di
espansione dei network distributivi, perseguita con
l’obiettivo di rinforzare i presidi territoriali attraverso un
modello a maglie strette.
Si è passati da c.a 23.000 filiali nel 1994 a oltre 34.000
nel 2008, con un incremento del 48% rispetto ad una
crescita del PIL in termini reali nel corso dello stesso
periodo di c.a il 20% (nello stesso periodo raccolta
diretta +28% e impieghi +104%). L’incremento del
numero di filiali per abitante ha registrato un allinea-
mento con i valori degli altri paesi europei comparabi-
li, soprattutto se si considera anche la penetrazione
degli sportelli BancoPosta.
Il modello di presenza territoriale capillare è stato, di
fatto, anche la scelta che più ha premiato gli operatori
esteri che l’hanno perseguita come strategia d’ingresso
sul mercato italiano.
Omogeneità dei modelli distributiviDal punto di vista delle dinamiche competitive, si è assi-
stito allo sviluppo di modelli distributivi con un ridotto
livello di differenziazione, soprattutto in termini di modelli
gestionali (modello di servizio, segmentazione e por-
tafogliazione) e di moduli di filiale Retail.
Il maggior focus di fatto è stato sull’integrazione delle
nuove entità e sull’implementazione di modelli replicabili
in modo da massimizzare le sinergie di costo legate ai
processi d’integrazione.
Le maggiori banche hanno sostanzialmente adottato
una segmentazione omogenea guidata dall’ottimiz-
zazione del cost to serve, più che da una lettura
sofisticata dei bisogni dei clienti1. A ogni segmento
è associata una modalità di gestione mediante
la costituzione di portafogli assegnati a gestori
commerciali dedicati, con dimensione del numero di
clienti per portafoglio2 definita in funzione della capa-
cità di ripagare i costi del servizio. In considerazione dei
numeri in gioco si è assistito spesso ad una gestione
reattiva del rapporto. Si è di fatto confuso il canale con
il segmento.
1. Per quanto riguarda il mercato retail, la tipica classificazione prevede: Mass market fino a 50-100K euro di patrimonio presso la banca; Affuent fino a 500-1000Keuro di patrimonio e Private per soglie superiori; Small Business clienti imprese con fatturato fino a 1,5-5 mln di fatturato.2. c.a 200-300 clienti per i gestori Affluent / Small Business e c.a 1000-2000 clienti Mass Market per addetto commerciale.
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� La differenziazione dei modelli di filiale è rimasta rele-
gata alla costituzione di modelli distinti in funzione
della dimensione della filiale e quindi di popolamento
con figure commerciali.
Sul fronte del modello di servizio la sperimentazione è
stata poca e sporadica, limitata per esempio a: esten-
sioni degli orari di apertura (sperimentata da alcuni
gruppi, ma di fatti non perseguita con costanza) e alla
vendita di servizi non bancari (es. biglietti di eventi,
consulenza fiscale...).
Dal lato dell’offerta è necessario anche fronteggiare
la crescente pressione dei category killer che si sono
focalizzati su singoli bisogni / servizi e attorno a que-
sti hanno costruito un’offerta specializzata (es. lan-
cio di mutui low cost, prodotti di raccolta ad alto ren-
dimento), spesso antieconomica per le banche
generaliste, anche alla luce del possibile effetto can-
nibalizzazione sui propri ricavi. Nei fatti i category kil-
ler hanno parzialmente disintermediato le filiali tradi-
zionali.
Crescita dei canali alternativiSe dal lato dell’offerta si è assistito alla cosiddetta
corsa allo sportello, dal lato della domanda emerge
chiaro un trend di progressivo maggior utilizzo dei
canali alternativi.
Nel dichiarato i clienti continuano a privilegiare la prossi-
mità come uno dei maggiori fattori di scelta della Banca
(e questo è vero sempre negli ultimi 10 anni, sulla base
delle ricerche Eurisko), ma i dati evidenziano un pro-
gressivo maggior peso nell’utilizzo dei canali alternativi.
I clienti mostrano di essere più propensi ed in grado di
interagire con canali remoti (soprattutto ATM, internet
e call center) e di fatti stanno spostando il loro canale
di interazione dalla Filiale ad altre modalità (cfr. tavola 1).
Allo stesso tempo molte ricerche testimoniano una
riduzione dei tempo libero che i clienti possono dedi-
care alla filiale3. In sostanza: i clienti hanno meno
tempo libero da dedicare alle attività bancarie e quel-
lo che hanno preferiscono impiegarlo su canali diver-
si dalla filiale.
Le sfide competitive: possibili scenariper l’evoluzione degli assetti distributiviAlla luce dei trend sopra evidenziati il Retail Banking
deve rispondere alla sfida di trasformare i modelli dis-
tributivi attuali e tradizionali per poter meglio rispondere
all’evoluzione del contesto competitivo.
TAVOLA 1. Evoluzione livello di utilizzo della filiale
Fonte: elaborazione su dati: Finalta 2009, Osservatorio E-Committee 2009, ABI;E-Retail Finance KPMG 2008, Assofin, analisi Bain
Perdita importanza contatto con la clientela
% di vendite per canale
90 %
2000
10 %
85 %
2005
15 %
75 %
2010F
25 %
60 %
2015F
40 %Altro(1)
(1) Internet, ATM, call center e IVR, altri canali distributivi diversi dagli sportelli bancari.
Filiale
% di transazioni dispositive per canale
50 %2000
50 %
40%2005
60%
30%2010F
70%
10%2015F
90%Altro(1)
Filiale
Visite medie mensili in filiale per cliente
2000
2,0
2005
1,8
2010F
1,6
2015F
1,0
3. Cfr. Special Focus: Measuring Leisure in OECD Countries – OECD 2009.
65
�
La d ist r ibuz ione bancar ia in i ta l ia : t rend in at to , scenar i evo lut iv i e poss ib i l i s t rateg ie compet i t iveV I T T O R I O R A T T O & A L E S S A N D R O G E R A L D I
Tuttavia il mercato italiano presenta delle opportunità di
crescita, legate sia all’incremento della penetrazione dei
prodotti esistenti (si rileva un gap di penetrazione
rispetto agli altri paesi europei comparabili sulle principali
aree di bisogno: mutui, credito al consumo, carte di cre-
dito, fondi, prodotti previdenziali ed assicurativi –
cfr. tavola 2), sia alla nascita di nuovi bisogni (legati alla
crisi, quali protezione e sicurezza) e di nuove fasce di
clientela. In questo senso i forti investimenti effettuati in
aperture di filiali per potenziare la capillarità distributi-
va potranno essere un fattore di successo nonostan-
te una prevista persistenza di pressioni sui margini e
sulla redditività.
La redditività sul margine di interesse potrebbe bene-
ficiare della ripresa attesa dei tassi di mercato, con
effetto benefico sul mark down, rimarranno però le
pressioni sui margini commissionali unitari dei pro-
dotti, anche per effetto di interventi legislativi, quali (a
titolo di esempio):
• la portabilità dei mutui;
• la revisione delle commissioni di massimo scoperto;
• la calmierazione dei prezzi sul credito al consumo
(come sta avvenendo sulla Cessione del Quinto dello
Stipendio);
• la possibile revisione della modalità di definizione
dei regimi commissionali sul wealth management, che
saranno sempre meno basati sui c.d up-front.
Il costo della liquidità a regime rimane un punto di
incertezza, potrebbe mitigarsi come effetto di un ritor-
no alla “nuova normalità”, senza però arrivare ai livelli
pre-crisi.
ll costo del rischio rimarrà una priorità ma sarà meno
pressante rispetto alla crescita registrata nel corso del
2009, per effetto della ripresa dell’economia.
Il costo del capitale rimarrà invece una priorità per
effetto degli impatti di Basilea 3.
La somma di questi effetti avrà un’incidenza diretta sugli
economics di base dei sottosegmenti retail, imponendo
scelte di revisione del cost to serve e di conseguenza
degli assetti distributivi.
In relazione alla struttura distributiva nascono pertan-
to alcuni importanti punti di domanda:
• come sfruttare al meglio il patrimonio di filiali / per-
sonale ottimizzando il costo dell’investimento e del
servizio per ottenere un adeguato ritorno a fronte di
margini più contenuti, ottimizzando il cost to serve
per segmento?
• come innovare a partire dagli attuali modelli di filiale
per rispondere meglio ai bisogni di una clientela più
frammentata?
• come integrare l’attuale modello di filiale con i canali
alternativi per rispondere a segmenti di clientela che
utilizzeranno meno il canale tradizionale (es. generazione
digitale)?
TAVOLA 2. Benchmark penetrazione principali prodotti
Fonte: OECD, Banca Italia (relazione Annuale 2008-2009)
Indicatore
Mutual funds share of HHassets(2)
Insurance and pensionfunds share of HH assets (%)(2)
Payment cardstransactions per capita per year
Consumer Credit/GDP
Mortgage/GDP
Italia 2008
4,8
12,3
24,5
4 %
21 %
Francia 2008
8,4
39,1
102,5
11 %
48 %
Germania 2008
11,5
34,4
27,9
9 %
50 %
Spagna 2008
8,7
14,9
46,0
11 %
68 %
Media2008(1)
(escluso Italia)
9,5
29,5
58,8
10 %
55 %
Upsidepotenziale
(media vs Italia)
2,0x
2,4x
2,4x
2,7x
2,9x
(1) Media 2008 per Francia, Germania, Spagna, esclusa Italia (2) Incidenza dei fondi sul totale attività finanziarie delle famiglie.
66
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� Possibili strategie per il futuro:qualche riflessioneNon è ambizione di questo articolo definire in modo
definitivo le strategie possibili, ma illustrare alcune
aree di riflessione, attorno alle quali costruire delle
risposte differenzianti. Rimaniamo convinti che il
modello territoriale sia ancora vincente nel lungo
periodo sul mercato italiano, e che se correttamente
interpretato e innovato possa rappresentare un motore
di crescita.
Tre sono le linee di azioni prioritarie.
Ripensare il modello distributivo adottando le logi-
che del c.d. “Light Retail”. Si tratta di fatti di rivedere
e semplificare il modello di filiale, implementando
modalità di interrelazione con il cliente che portino a
ridurre significativamente la struttura di costo (cfr. tavo-
la 3); quali:
• Filiali leggere con operatività a 360 gradi:
– con personale ridotto (massimo 4 FTE) prevalente-
mente a focalizzazione commerciale;
– presenza di ATM evoluti,
– con vendita di prodotti semplici e di facile attivazione;
• Filiali leggere specializzate (es su clientela Affluent):
– personale ridotto (2 FTE);
– possibilità di accedere a relationship manager e spe-
cialisti di prodotto via remoto in video conference;
– sottoscrizione dei contratti via remoto – paperless (con
firma digitale);
– assenza della cassa grazie agli ATM evoluti e con-
cierge a supporto dell’interazione cliente – ATM (alla
stregua di quanto è avvenuto nel self check-in aero-
portuali).
La sfida sarà quella di ridurre i costi, provando a tenere
a livelli costanti i ricavi.
Adottare un approccio al cliente in ottica “New
Retail”. Semplificare la struttura di costo non basterà:
sarà comunque necessario “deliziare” il cliente e
adottare approcci commerciali che si rifanno al mondo
distributivo tipico dei beni di consumo, mutuando
tecniche e modalità di gestione tipiche del mondo
consumer (per esempio su: gestione della customer
experience, evoluzione del layout di filiale, gestione
della loyalty) e definendo format specialistici per
sotto-segmenti rilevanti.
In tale ambito occorrerà passare da una logica di seg-
mentazione della clientela basata su parametri semplici
a logiche più articolate che rimettano il cliente al centro
delle decisioni strategiche. Questo vuol dire rileggere la
clientela non solo in termini di ricchezza detenuta ma
attraverso una interpretazione vera dei bisogni e una
lettura delle modalità di acquisizione e la ridefinizione
del modello di servizio. La sfida si giocherà sulla
capacità di combinare:
• un’offerta semplice e da scaffale, centrata su
singoli bisogni / prodotti, dove è il cliente che si
autosegmenta;
TAVOLA 3. Sviluppo di filiali a basso costo ed alta innovazionePossibile impatto della filiale leggera o virtuale
Fonte: Analisi Bain
Modello di funzionamento Potenziale impatto economico
Filialeleggera
"affluent"(age &flow)
Filialeleggera"Mass"
• Sizing 4 FTE• ATM evoluto (con funzionalità di: bonifici,pagamenti utenze e bolette, depositoassegni e contanti…)• Concierge a supporto delle attività "fai da te"del cliente• Prevalenza di personale con focus commerciale(75% FTE)• Specialisti di prodotto raggiungibili via video conference• Orario di apertura modulato sulle esigenze dei clienti(es orario continuato)
Costo medio per filiale
Base 100
• Sizing 2 FTE• Presenza di personale esclusivamente commercialeper la sottoscrizione dei pro dotti base (depositi, conti,monetica, finanziamenti, …) e relationship manager especialisti di prodotto accessibile via remotoe video conference• ATM evoluto e concierge• Sottoscrizionica (anche via Internet)• Orario di apertura modulato sulle esigenze dei clienti(es chiusura il lunedi e apertura il sabato)
-35%100
Filialetradizionale
Ribaltati
Filialeleggera
Filiale leggeraaffluent
(Age & flow)
2012 65
30
20 55
20
3568
-70%
Diretti
Personale
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La d ist r ibuz ione bancar ia in i ta l ia : t rend in at to , scenar i evo lut iv i e poss ib i l i s t rateg ie compet i t iveV I T T O R I O R A T T O & A L E S S A N D R O G E R A L D I
• un’offerta di consulenza / supporto evoluto, per i seg-
menti con maggiore complessità di bisogni e redditività,
con un approccio modulare in funzione delle fasi del
ciclo di vita e della sofisticazione dei bisogni.
Cogliere le opportunità per servire al meglio la c.d.
“generazione digitale”. Si tratta della fascia giovane
della popolazione “sempre connessa”, con un rap-
porto di assoluta dimistichezza con le nuove tecnolo-
gie ma con una sorta di insofferenza nell’uso della
filiale tradizionale.
Bisognerà prepararsi a servire al meglio i bisogni di que-
sta generazione, sviluppando:
– nuovi servizi finanziari veicolati per il tramite delle
nuove tecnologie (es pagamenti contactless via mobi-
le phone);
– nuove modalità di erogazione dei servizi esistenti
(utilizzo dei canali di interazione innovativi);
– nuovi processi interni (uso dei social network interni
per abilitare il knowledge sharing e il senso di appar-
tenenza). ◗
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H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Il credito al consumo in Italia:tre domande a Umberto Filotto
Dopo una fase di adattamento allenuove regole, i grandi attori del creditoal consumo avranno l'opportunità direinventare il business senza subire ilcondizionamento di operatori di tipomarginale di cui il mercato avrà avutoragione.
Quali sono stati gli effetti della crisi finanziaria sul
settore del credito al consumo in Italia?
Nel 2009 e nei primi mesi del 2010 il settore del credito
al consumo in Italia evidenzia il consolidarsi di alcuni
fenomeni strutturali e il manifestarsi di alcuni profili
congiunturali relativamente nuovi e che segnano
comunque un punto di discontinuità rispetto al passato.
Partendo da questi ultimi il dato più evidente è che dopo
oltre quindici anni di crescita ininterrotta il mercato
chiude in flessione di oltre l’11% in termini di erogazioni.
Le ragioni di questo trend sono in gran parte ovvie e
riconducibili alla crisi economica che, ci si augura
abbia termine quanto prima, ma merita comunque sot-
tolineare che gli effetti sulla struttura dell’industry e
sulle caratteristiche degli operatori sono destinati ad
essere permanenti. Infatti una condizione di maggior dif-
ficoltà di mercato innesca da un lato fenomeni signifi-
cativi di consolidamento nel comparto e di razionaliz-
zazione tra gli operatori, dall’altro determina lo svilup-
po di una cultura più attenta all’efficienza dei proces-
si, al presidio dei rischi, allo sviluppo di modelli distri-
butivi capaci di coniugare efficacia commerciale
redditività specifica e tutela dei consumatori.
Quale potrà essere l’impatto dei recenti sviluppi
regolamentari?
L’approvazione del Decreto Legislativo 141/2010
costituisce un vero e proprio spartiacque per il mer-
cato. Accanto al recepimento della direttiva sul cre-
dito ai consumatori, che introduce novità assolute per
il mercato italiano come il diritto di ripensamento, la
responsabilità del creditore per l’inadempimento grave
del commerciante e così via, la norma disciplina in
modo radicalmente innovativo gli intermediari del
credito, definisce in modo molto più severo le carat-
teristiche degli operatori ammessi a concedere cre-
UMBERTO FILOTTO
Segretario generale, AssofinProfessore ordinario, Università di Roma “Tor Vergata”
69
I l c r e d i t o a l c o n s u m o i n I t a l i aU M B E R T O F I L O T T O
dito, introduce nuove regole di trasparenza. Per quan-
to riguarda la distribuzione dei finanziamenti, ferma
restando la possibilità di distribuire credito finalizza-
to presso i punti di vendita (possibilità che durante il
dibattito svoltosi nella fase di definizione della nor-
mativa era sta messa in dubbio), dobbiamo registra-
re un significativo innalzamento dei requisiti profes-
sionali e di onorabilità di agenti e mediatori creditizi.
Ugualmente la riforma degli intermediari finanziari
non bancari uniforma il sistema dei controlli abolen-
do l’anomalia per la quale sul mercato potevano ope-
rare soggetti vigilati, accanto a soggetti non vigilati; la
sottoposizione di tutti gli operatori all’attività di super-
visione della Banca d’Italia garantisce maggiormen-
te la clientela ma elimina anche evidenti disparità
competitive. Parallelamente alla disciplina sin qui
ricordata vengono riformate le norme di trasparenza
per adeguarle ai più recenti sviluppi anche di prassi e
per favorire la loro “fruibilità” rendendo le norme più
efficienti e meno formalistiche.
Come potrebbe evolvere il settore in Italia?
L’evoluzione del settore a valle della crisi economica e
dell’approvazione della nuova normativa sarà prevedi-
bilmente distinta in due fasi: nella prima la necessità di
adeguarsi ad un nuovo mercato ed alle nuove regole
costringerà gli operatori ad un pesante sforzo di ade-
guamento delle loro strutture, delle loro procedure ma,
più ancora, delle loro culture. In questa fase, sicura-
mente le difficoltà della transizione tenderanno a met-
tere in secondo piano le opportunità che offre un
nuovo mercato. Nella seconda fase saranno invece le
nuove possibilità offerte da uno scenario non più cri-
stallizzato a emergere in modo evidente. Per gli ope-
ratori di maggiori dimensioni vi saranno opportunità di
reinventare il business senza subire il condizionamen-
to di operatori di tipo marginale di cui il mercato avrà
avuto ragione. Non vi è quindi dubbio che in uno sce-
nario come questo gli operatori come quelli che fanno
capo al Gruppo Crédit Agricole abbiano ben più di una
carta da giocare. ◗
70
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
Chapo à venir
Il risparmio gestito in Italia
L’articolo presenta un’analisi del settoredel risparmio gestito italiano, definitonella maniera più ampia possibile,comprendendo un’analisi del contestomacroeconomico e dell’ambientecompetitivo, le caratteristiche ed i trenddella domanda e dell’offerta, un focussul private banking e alcune conclusionisull’ evoluzione del settore.
Analisi dello scenario di riferimentoIl settore del risparmio gestito si sta muovendo in un
contesto ancora fortemente instabile dal punto di vista
economico e sempre più complesso dal punto di vista
regolamentare.
Dal punto di vista economico, l’economia italiana nel
2008 e nel 2009 è stata caratterizzata da una forte ridu-
zione del PIL e da un’instabilità dei mercati finanziari
sulla scia della crisi internazionale. Se da un lato il
sistema bancario italiano ha risentito meno della crisi
rispetto agli altri paesi europei, il sistema produttivo sta
ancora soffrendo della crisi dell’economia reale, a
causa di una struttura medio piccola delle imprese
italiane che si caratterizzano, peraltro, per una minor
produttività ed efficienza del lavoro rispetto ai paesi
europei.
Il settore del risparmio gestito è stato chiaramente
influenzato anche da una crisi dei mercati finanziari
senza precedenti nel 2008; la volatilità dei mercati ha
raggiunto livelli che non aveva mai raggiunto negli ulti-
mi 60 anni e ad esso si è associato un significativo crol-
lo dei corsi azionari, talmente rilevante che nemmeno
i recuperi del 2009 sono stati sufficienti per ritornare ai
livelli precedenti alla crisi del 2008. La crisi iniziata a
GINO GANDOLFI1
Professore ordinario, Università di Parma
GIACOMO NERI2
Partner, PricewaterhouseCoopers
1. Professore Ordinario di Economia degli Intermediari Finanziari presso la Facoltà di Economia dell’Università di Parma e docente senior presso la SDA Bocconi.Cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.2. Partner in Charge Financial Services e Strategy Leader PricewaterhouseCoopers Advisory; Professore di Strategia e Politica Aziendale Università Cattolica delSacro Cuore Milano; Consigliere di Amministrazione AIPB, AICIB, ASAM, cofondatore dell’Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie.
71
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causa del crollo dei mutui subprime americani ed
aggravata dal fallimento di Lehman Brothers ha, dap-
prima, colpito le banche di investimento e, in particolare,
il modello di intermediazione originate-to-distribute e,
successivamente, ha coinvolto in maniera significativa
tutti gli intermediari finanziari, quelli americani ed europei
su tutti.
Per quanto riguarda gli aspetti politici e normativi, il mer-
cato sta vivendo una fase di adeguamento a diversi
regolamenti emanati a livello europeo (si pensi, a puro
titolo d’esempio, alla MiFID, alla UCITS IV) e italiano
(quali la legge 262, legge 231, Regolamenti vari emanati
dai Regulators italiani, ecc).
È probabile che una delle conseguenze della crisi sarà
un ulteriore innalzamento del livello di regolamentazione
del sistema finanziario, risparmio gestito compreso;
gli operatori dovranno quindi essere pronti a cogliere le
opportunità e ad anticipare e prevenire le minacce
derivanti dal probabile nuovo contesto normativo.
Dal punto di vista politico e fiscale sono attese da
parte dei governi manovre finalizzate a reperire risorse
finanziarie a causa della citata crisi. In effetti, i sostan-
ziosi interventi dei governi finalizzati a ridurre gli impat-
ti della crisi hanno avuto un costo significativo ed è
indubbio che la società dovrà sopportare il costo di que-
sti interventi attraverso una crescita della pressione
fiscale. Alternativamente i governi hanno iniziato una
ricerca di risorse senza confine. Le nazioni del G8 e del
G20 hanno intrapreso una attività di cooperazione sul
tema della lotta ai paradisi fiscali al fine di attivare san-
zioni coordinate e multilaterali.
Coerentemente con questa linea politica il governo
italiano ha introdotto lo scudo fiscale. Il procedimento
ha consentito un rientro di capitali complessivo tra il
2009 ed il 2010 di quasi 100 miliardi di euro. Asset
finanziari che, in tale situazione di mercato, sono anco-
ra detenuti dalla clientela prevalentemente sotto forma
di liquidità e depositi ma, presumibilmente, nei prossi-
mi mesi verranno in parte spostati verso asset class e
prodotti differenti, fornendo una boccata di ossigeno
non solo alle banche private, ma anche agli operatori
del risparmio gestito. Nel corso del 2011 assisteremo,
probabilmente, ad un riallineamento dei capitali scudati
verso l’asset mix tipico della clientela private, con uno
spostamento di ricchezza finanziaria verso prodotti di
risparmio gestito. In particolare, ci aspettiamo che
circa 30 dei 100 miliardi rientrati verranno veicolati
verso prodotti obbligazionari dove la parte del leone la
faranno senz’altro le obbligazioni bancarie, una parte
rilevante, circa 20 miliardi, verrà invece veicolata verso
prodotti di risparmio gestito, dove ci aspettiamo che un
ruolo rilevante, circa 15 miliardi, sarà ricoperto dai pro-
dotti core del private banking, fondi comuni d’investi-
mento, SICAV e gestioni patrimoniali. I prodotti assi-
curativi, infine, si presume attireranno circa 4 miliardi3.
Dal punto di vista fiscale è opportuno ricordare come
il settore italiano del risparmio gestito risenta di uno
svantaggio fiscale derivante dalla diversa modalità di
applicazione delle aliquote rispetto al contesto inter-
nazionale. In effetti, si ricorda che l’attuale disciplina
legislativa prevede che i redditi dei fondi comuni italia-
ni siano tassati per “maturazione”, con imposta annua-
le del 12,5% sul risultato maturato di gestione (incre-
mento di valore registrato dalle attività finanziarie gestite
nell’anno solare) direttamente a carico dello stesso
fondo e, quindi, a prescindere dal fatto che i sotto-
scrittori li abbiano o meno percepiti. Al contrario, i red-
diti dei fondi comunitari armonizzati sono tassati per
cassa e a carico dei partecipanti, ossia solo al momen-
to in cui vengono effettivamente percepiti da parte di
questi ultimi; il prelievo dell’imposta è quindi differito fino
al momento del riscatto delle quote di partecipazione
e i rendimenti dei fondi resi pubblici sono lordi.
I fondi italiani, inoltre, in caso di riduzione di valore
della massa gestita, contabilizzano un “risparmio d’im-
posta”, che può essere compensato con le imposte che
il fondo dovrà pagare nei periodi successivi ovvero
con quelle dovute da altri fondi gestiti dalla medesima
SGR.
Detto risparmio d’imposta, che viene rilevato nell’attivo
patrimoniale, incrementa il valore della quota, ma ne
rappresenta una posta immobilizzata e infruttifera,
ricollegabile ai risultati negativi di gestione accumulati
nel passato. L’ammontare dei relativi rendimenti resi
pubblici è sempre al netto dell’imposta.
Tale differenza di trattamento risulta penalizzante per i
3. Osservatorio Private Banking 2010, PricewaterhouseCoopers Advisory.
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� prodotti dell’industria “domestica” da almeno due
diversi punti di vista:
• non comparabilità (in assenza di condizioni univoche)
dei rendimenti offerti rispetto ai fondi armonizzati di altri
Paesi UE;
• difficoltà di gestione (a causa della questione del
“risparmio d’imposta” sopraccitata) di portafogli gravati
da una posta dell’attivo illiquida e infruttifera.
Dal punto di vista politico e normativo è da segnalare
inoltre la spinta del Regolatore ad una separazione
tra distribuzione e produzione, separazione che
contribuirà alla ridefinizione degli equilibri dell’arena
competitiva.
Per quanto riguarda i fattori sociali ed ambientali, si ritie-
ne opportuno segnalare la crisi di fiducia della clientela
verso le banche e la crescente percezione di insicurezza
verso tutti i prodotti finanziari. Dopo le “scottature del
mercato” non stupisce la conseguente ricerca da parte
della clientela di prodotti poco rischiosi, “plan vanilla”,
semplici e trasparenti.
Dall’ultima relazione annuale della Banca d’Italia risul-
ta in crescita lo stock di ricchezza finanziaria delle
famiglie anche se aumenta la concentrazione della
ricchezza e dei redditi. Aumenta la distribuzione della
ricchezza a favore delle famiglie più “ricche”, mentre il
potere d’acquisto segue un trend negativo da cui deri-
va una diminuzione del risparmio che impatta soprat-
tutto le famiglie di reddito medio e medio-basso.
Dal punto di vista tecnologico risulta evidente il miglio-
ramento della gestione degli scambi grazie all’utilizzo
di piattaforme più avanzate, all’incremento degli
strumenti informatici a presidio del rischio e della
gestione di strumenti finanziari complessi, allo svilup-
po di strumenti di Personal Financial Planning sempre
più completi e coerenti con le esigenze della clientela.
L’innovazione tecnologica sta inoltre sicuramente gio-
cando un ruolo fondamentale nel permettere un incre-
mento della trasparenza informativa richiesta anche
dalla regolamentazione.
A conclusione dell’analisi, si ritiene opportuno evi-
denziare come il sentiment degli operatori dell’Asset
Management risulti ancora poco favorevole in termi-
ni di aspettative per il 2011, a causa della generale
instabilità economica e finanziaria globale ma soprat-
tutto a causa delle difficoltà strutturali dell’industria in
Italia e ciò nonostante l’atteso aumento della ric-
chezza e del risparmio complessivo, guidato dal rien-
tro di capitali.
Analisi dell’ambiente competitivo
I potenziali entranti
In Italia le maggiori barriere all’ingresso per i potenziali
entranti si identificano nell’accesso alla rete distributiva
e nell’identità di brand. Il peso del canale bancario nella
distribuzione di prodotti bancari è preponderante. La
necessità di disporre di una rete distributiva diventa
quindi fondamentale. Nessuno dei primi 10 player del
settore risulta essere indipendente da un gruppo
Bancario/Assicurativo: a dicembre 2008 gli attori
indipendenti si contendevano, infatti, poco meno del 5%
dell’AuM4 e nel 2009 la situazione non appare cambiata.
È quindi la commercializzazione dei prodotti lo scoglio
più diff ici le da superare nel l’attuale contesto
dell’Investment Management italiano. La tipicità del
settore, che vede i prodotti “captive” farla da padrone,
rende molto difficile, di fatto, l’ingresso di potenziali nuovi
competitors sul mercato.
La scarsa minaccia di nuovi potenziali entranti nel
mercato dell’Investment Management ha un impatto
molto positivo sull’attrattività del mercato stesso.
Essendo molto difficile l’ingresso di nuovi player in
grado di modificare gli assetti già consolidati del set-
tore, la situazione competitiva non viene modificata,
creando di fatto un vantaggio per la redditività degli
insiders.
I prodotti sostitutivi
Nei prodotti sostitutivi, la minaccia maggiore arriva dai
prodotti canalizzati verso il cliente finale (retail/
institutional) dalla rete bancaria. Sono, quindi, i prodotti
tipicamente bancari (obbligazioni/certificati) e quelli di
bancassurance (polizze assicurative di ramo I, unit/index
linked) i maggiori indiziati come capacità sostitutiva,
soprattutto in termini di volumi di sostituzione.
Non va sottovalutata, però, la crescita dei prodotti
4. Fonte: ORFEO - Osservatorio sui risparmi delle famiglie – Il settore del risparmio gestito in Italia, 2009.
73
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ETF/ETC che, per i minori costi di gestione e per la
maggior trasparenza, risultano essere dei forti
concorrenti “interni” ai fondi tradizionali così come i
conti di deposito online che, pur presentando una
redditività modesta, hanno il pregio di essere liquidi,
trasparenti e di essere percepiti come sicuri dalla
clientela.
La minaccia di prodotti sostitutivi ha un impatto molto
negativo sull’attrattività del settore. Per il distributore,
infatti, i prodotti bancari (obbligazioni proprie, etc.)
garantiscono una redditività maggiore e, di conse-
guenza, possono costituire un pericolo per la redditi-
vità attuale e futura del settore.
I fornitori
Nel panorama italiano dell’Investment Management si
ritiene che i fornitori (broker, technology provider,
outsourcer, gestori terzi, head hunter ecc.) non siano
in grado di esercitare una forza tale da avere impatti
sulla redditività dei players del settore e ciò in ragione
soprattutto della numerosità/concorrenzialità degli
stessi rispetto agli acquirenti (società di gestione del
risparmio).
I bassi costi di intermediazione e la forte concorrenzialità
dei brokers, la bassa propensione negli investimenti IT,
la quota residuale gestita in delega da gestori esteri e,
per ultimo, il ricorso residuale a servizi di outsourcing
depongono tutti a favore della tesi di cui sopra.
Clienti e canali distributivi
Nel contesto italiano, ma non solo, il potere contrattuale
dei clienti aumenta all’aumentare della loro fascia di ric-
chezza/capacità di investimento. L’attuale target di
clientela del settore vede la clientela retail prevalere su
quella istituzionale e private, sia in termini di numerosità
e di AuM (la quota media del retail, per operatore in
Italia, si aggira intorno all’80%) sia in termini di redditività.
La clientela retail ha un basso potere contrattuale e, di
conseguenza, subisce le politiche di pricing e di
prodotto delle banche distributrici, mentre la clientela
private ed istituzionale, grazie ad un maggior potere
contrattuale, riesce talvolta ad incidere sulle politiche di
prodotto e di prezzo degli operatori.
Ad onor del vero, però, il vero cliente dell’asset manager
italiano è la distribuzione. Molto forte risulta il potere
contrattuale del distributore con cui il cliente finale si
interfaccia. La rete distributiva ha una forza contrattuale
altissima nei confronti degli operatori del settore, cui pra-
ticamente drena tutti gli utili sotto forma di retrocessioni
e dividendi.
L’impatto andrebbe quindi considerato nell’ottica di
una strategia comune “fabbrica-distributore” che la
struttura proprietaria di gruppo pone in essere, strategia
che pone la redditività del canale distributivo ad un livello
di importanza superiore rispetto alla redditività della
singola fabbrica prodotto.
Incumbents
I players presenti nel contesto italiano dell’Investment
Management sono caratterizzati da entità legali diffe-
renti: SGR, Sicav, Gestori Esteri, SIM, Banche, Società
Assicurative.
Nonostante la numerosità e l’eterogeneità del gruppo
individuato, che dovrebbe far pensare ad un mercato
aperto e concorrenziale, la tipicità del contesto italiano,
che vede i diversi operatori identificati in precedenza non
operare in modo indipendente ma, al contrario, nel
contesto di un gruppo Bancario/Assicurativo “con-
glomerato”, fa sì che il mercato diventi chiuso, molto
concentrato e di conseguenza poco concorrenziale.
La concentrazione5 e la chiusura del mercato associata
alla bassa concorrenzialità hanno un impatto sulla red-
ditività degli operatori.
La valutazione complessiva evidenzia una situazione
reddituale del settore poco attrattiva in ragione della
forza espressa dai canali distributivi e della minaccia
esercitata dai prodotti sostitutivi.
Infatti, nonostante il settore sia in grado di produrre nel
2009 circa 13 mld. € di ricavi 6, gli stessi – al netto dei
costi, pari a circa 2,9 mld. € – sono “drenati” dalla rete
distributiva bancaria sotto forma di commissioni di
retrocessione (7,7 mld. €) e dividendi.
5. I primi 10 player gestiscono circa l’80% del patrimonio promosso complessivo, fonte dati societari aggiornati a ottobre 2009. Elaborazione ORFEO - Osservatoriosui risparmi delle famiglie – Il settore del risparmio gestito in Italia, 2009.6. Fonte: elaborazione PwC Advisory su dati societari.
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� La ricchezza delle famiglie in ItaliaIn Italia la ricchezza delle famiglie, da sempre fortemente
legata alle attività reali e in particolare al patrimonio
immobiliare, dopo il declino registrato nel 2008 è tor-
nata a crescere nel 2009 raggiungendo il massimo
storico di 9.480 Miliardi di Euro. Come mostrano i
grafici sottostanti, la crescita media annua dal 2003-
2009 è stata del 4,5%.
Analizzando in particolare i dati di Banca d’Italia riferi-
ti alla composizione del portafoglio delle famiglie, emer-
ge il grande peso dell’investimento immobiliare in cre-
scita e la cui incidenza risulta superiore in Italia rispetto
a quello di altri Paesi europei (cfr. figura 1)7.
Il peso delle attività finanziarie nel portafoglio delle
famiglie italiane è, invece, calato del 5%, (passando dal
42% del 2003 al 37% del 2009), attestandosi a
FIGURA 1. Ricchezza delle famiglie italiane
Fonte: ORFEO, Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, il settore del Risparmio gestito in Italia, 2009
Totale patrimonio immobiliare Totale attività reali Totale attività finanzianie
10 0009 0008 0007 0006 0005 0004 0003 0002 0001 000
02003 2004 2005 2006 2007 2008 2009
+ 4,5 %
7 260
Totale ricchezza delle famiglie
7 7498 287
8 818 9 227 9 088 9 480
3 769
413
3 079
4 036
432
3 280
4 364
436
3 487
4 743
442
3 633
5 089
461
3 678
5 240
475
3 374
5 508
492
3 480
mld di €
CAGR%
FIGURA 2. Andamento della ricchezza finanziaria delle famiglie
Fonte: ORFEO, 2009
Totale
2 952 2 927 2 9663 079
3 2803 487
3 633 3 678
3 3743 480
Prestiti e altri crediti,CAGR 1,9 % Titoli, CAGR 4,4 %
Moneta e depositi,CAGR 5,3 % Azioni e partecipazioni,CAGR - 1,9 % Fondi comuni,CAGR - 9,7 % Assicurazioni e fondipensione, CAGR 7,2 %
2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 20090
5001 0001 5002 000
2 5003 0003 500
4 000
86
562
370
388
815
707
91
622
413
327
784
730
94
624
468
338
787
768
100
674
521
321
858
806
111
642
578
331
972
853
109
667
611
302
1 025
921
112
726
607
264
1 008
962
114
766
587
164
717
1 026
110
745
619
181
761
1 064
94
504
330
454
904
667
+ 1,8%
CAGR 2000-2009%
mld di €
7. Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi bancari, risparmio postale, monete, prestiti dei soci alle cooperative, titoli pubblici italiani ed esteri, riservetecniche di assicurazione, fondi comuni di investimento, azioni e partecipazioni in società di capitali e quasi-società, altri conti attivi), attività reali (Oggetti di valore,impianti, macchinari, attrezzature, scorte e avviamenti) e patrimonio immobiliare (abitazioni, fabbricati non residenziali, terreni).
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3.480 miliardi di Euro. Questa ricchezza è riconducibile
per il 27% in prodotti di risparmio gestito e per il 73%
in risparmio amministrato e circolante.
In particolare, l’Italia presenta un livello di ricchezza
finanziaria, in proporzione al valore delle attività pro-
duttive, relativamente elevato (pari a circa tre volte il PIL)
e superiore ai principali Paesi escluso il Regno Unito
che, insieme con Svizzera e Stati Uniti, risulta tra i
Paesi con il maggiore tasso di finanziarizzazione del-
l’economia in Occidente
Il trend della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane
mostra, inoltre, come a fronte di un incremento medio
della ricchezza finanziaria delle famiglie italiane pari
all’1,8% nel periodo 2000-2009, le attività investite in
fondi comuni hanno fornito un contributo negativo in ter-
mini di crescita media (-9,7%). Nello stesso periodo i
prodotti assicurativi (riserve tecniche) e fondi pensione
sono stati caratterizzati da un netto rialzo (+7.2%). E’
importante rilevare come a seguito della crisi occorsa
nel 2008 il livello di ricchezza finanziaria sia tornato ai
dati del 2005 (cfr. figura 2).
Nel 2009 il settore del risparmio gestito ha raggiunto un
valore del patrimonio promosso complessivo pari a
1.466 mld di euro. Si può stimare che i prodotti siano
destinati per circa il 35% alla clientela istituzionale
(circa 517 miliardi) e per il restante 65% alle famiglie
italiane (circa 949 miliardi), di cui 238 riconducibili alla
clientela private e 711 miliardi riconducibile alla clien-
tela retail e small business8 (cfr. figura 3).
Da evidenziare come, in realtà, una gran parte della
ricchezza finanziaria delle famiglie italiane sia in real-
tà “immobilizzata”. Se analizziamo in dettaglio i dati
Banca d’Italia emerge che gli investimenti azionari
includono anche le partecipazioni industriali e le quote
delle S.r.l. che nella percezione delle famiglie italiane
non rappresentano sicuramente un investimento
finanziario.
Andamento storico e trend
del Risparmio Gestito
L’evoluzione storica del settore evidenzia che, dopo un
biennio di crescita del patrimonio gestito complessivo
(2005-2006), nel 2007 il trend si è invertito portando una
riduzione del patrimonio nel 2008 di circa il 21%.
Secondo le stime effettuate, si rileva una ripresa nel
2009 (+16%) e si prevede per il 2011 il ritorno ai livelli
FIGURA 3. Segmentazione della ricchezza delle famiglie italiane (mld di €)
Fonte: ORFEO, 2009
Risparmio Gestito
1 466
2 531
3 480
2 598882
1 887644
711238
517
RisparmioAmministrato
+ Circolante
private retail + small business
Ricchezzadelle famiglie
italiane
Istituzionali
Investitori IstituzionaliRichezza famiglie privateRichezza altre famiglieRisparmio Gestito
Elaborazione PwC Advisory – Stime 2009su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009–Dati espressi in mld di Euro
8. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Stime 2009 su dati Banca d’Italia al III trimestre 2009.
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� di picco del 2006. Considerando invece un arco
temporale di sette anni, dal 2005 al 2011, si stima un
tasso medio di crescita positivo del patrimonio gestito
complessivo pari a circa lo 0,8%9.
Nel biennio 2005-2006 l’andamento del patrimonio
promosso, scomposto nelle 5 principali macrocategorie
di prodotto, evidenzia un andamento positivo destinato
ad arrestarsi a partire dall’anno successivo per il calo
dei fondi comuni d’investimento e delle gestioni
patrimoniali. A partire dal 2007, le gestioni collettive e
individuali subiscono una sensibile riduzione, mentre i
Fondi Pensione presentano un incremento di oltre il 6%
(cfr. figura 4).
Nel triennio 2005-2007 il peso dei diversi prodotti
del risparmio gestito sull’AuM non ha subìto rilevan-
ti cambiamenti; le variazioni, infatti, sono state di
circa l’1% tra un anno e l’altro. A partire dal 2008, i
Fondi Comuni riducono sensibilmente il loro peso
percentuale, mentre si affermano prodotti di tipo
assicurativo come unit/index l inked e polizze
assicurative tradizionali.
In termini assoluti, si osserva come, dal 2006 ad oggi,
l’andamento degli investimenti in prodotti obbligazio-
nari ed azionari ha registrato un costante calo, mentre
gli investimenti in altri prodotti, quali hedge, immobiliari
e “non classificati”, hanno mostrato una crescita
costante nel triennio 2005-2007. Nel 2008, si assiste
ad una riduzione del patrimonio promosso per tutte le
tipologie di prodotti; per il triennio 2009-2011 si stima
una lieve ripresa dello stesso, in termini assoluti, per
alcune tipologie di prodotto obbligazionari e monetari
in particolare10 (cfr. figura 5).
I canali distributivi del Risparmio Gestito
L’analisi conferma la prevalenza del canale bancario per
la distribuzione dei prodotti di risparmio gestito: nel 2008
quasi il 70% delle masse promosse è stato intermediato
attraverso sportelli bancari. L’analisi svolta mostra,
però, come la quota percentuale di AuM riferita al
canale bancario sia diminuita nell’arco temporale 2005-
2008 e, secondo le stime effettuate, diminuirà nei
prossimi anni. La ridistribuzione è dovuta principalmente
all’aumento di quota di mercato di altri canali quali
agenti/broker assicurativi – anche per la crescita della
presenza di Gruppi Assicurativi nel settore del risparmio
gestito – reti di promotori finanziari e consulenti
indipendenti nonché dei canali alternativi (Poste Italiane)
(cfr. figura 6).
FIGURA 4. L’industria del risparmio gestito - Segmentazione per prodotti
Fonte: ORFEO, 2009
Unit/Index Linked, CAGR 4,8%
Polizze assicurative, CAGR 4,1%
Fondi Pensione, CAGR 12,7%
Gestioni individuali, CAGR 0,8%
Gestioni collettive, CAGR -4,7%
Forecast
1 5591 642 1 605
1 265
1 466
1 637
+ 0,8%CAGR 2005-2011
Totale AUMQM prodotti Assicurativi
%
624 646 612400 446 467
318 353 339
246288 333
4652 58
6175
94
247259 251
241
284314
323332 345
317
373428
60,4% 60,9%59,3%
51,1%
50,1% 48,9%
39,6% 39,1%
40,7% 48,9%
49,9% 51,1%
0%
10%
20%
30%
40%
50%
60%
70%
0200400600800
1 0001 2001 4001 6001 800
2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011Elaborazione PwC Advisory su dati Assogestioni e dati societari -Dati espressi in mld di Euro
QM prodotti Bancari
mld di €
9. Elaborazione ORFEO - Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie su dati societari.10. Dati del grafico in milioni di euro. Ns elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.
77
I l r i s p a r m i o g e s t i t o i n I t a l i aG I N O G A N D O L F I & G I A C O M O N E R I
Domanda ed offerta e business arena
In generale, la domanda degli investitori risulta pola-
rizzata tra esigenze primarie della clientela retail ed
esigenze avanzate della clientela private ed istituzionale.
A tale polarizzazione fa fronte una diversa offerta di pro-
dotti (standardizzazione Vs specializzazione) e differenti
player di mercato.
Analizzando nel loro complesso le principali variabili
utilizzate per l’analisi dei poli produttivi del settore11 e
il range di prodotti offerti per ciascuna tipologia di
player, risulta che i prodotti bancari e quelli assicurativi
si spartiscono più o meno equamente il mercato
(51% bancari e 49% assicurativi).
FIGURA 6. L’industria del risparmio gestito – Canali distributivi
Fonte: ORFEO, 2009
0 %
10 %
20 %
30 %
40 %
50 %
60 %
70 %
80 %
0200400600800
1 000 1 2001 4001 6001 800
2005 2006 2007 2008 2009 2011437078
203
1 164
507086
218
1 217
526894
227
1 165
486497
173
883
5674
120
210
1 007
7991
178
239
1 049
5,0 %
13,0 %
74,7 %
5,3 %
13,3 %
74,1 %
5,9 %
14,2 %
72,5 %
7,7 %
13,7 %
69,8 %
8,2 %
14,3 %
68,7 %
10,9 %
14,6 %
64,1 %
1 559 1 642 1 605 1 265 1 466 1 637
Canale bancario, CAGR - 2%
Promotori/IFA/SIM, CAGR 3%
Agenti/broker, CAGR 4%
Canale diretto, CAGR 15%
Altro, CAGR 11%
Forecast
Total AUM
QM canale bancario
QM promotori/IFA/SIM
QM Agenti/broker
+ 0,8 % CAGR 2005-2011%mld di €
11. Fonte: Ns. elaborazione su dati Assogestioni e dati societari.
FIGURA 5. L’industria del risparmio gestito - Segmentazione per asset class
Fonte: ORFEO, 2009
Obbligazionari
Azionari
Fondi di Liquidità
Real Estate
Hedge
1 5591 641
1 605
1 265
1 4651 549
1 637
+ 0,8%1 8001 6001 4001 2001 000
800600400200
02005 2006 2007 2008 2009 2010 2011
CGAR%
5128
182
342
956
4541
182
385
989
6157
219
365
904
3464205
178
783
3972
237
215
903
4075
249
225
959
4277
261
236
1 019
mld di €
�
78
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
� I poli assicurativi presentano una redditività lorda più alta,
ma sono i poli bancari ad avere la redditività netta e la
marginalità migliori; i poli di asset management risultano
essere i meno efficienti (cfr. figura 7).
I clienti High Net Worth
Una parte ri levante della ricchezza finanziaria
delle famiglie italiane (pari a circa il 25%)12 è detenuta
dalle famiglie più ricche, che rientrano nel novero
FIGURA 7. Principali economics business arena
Fonte: ORFEO, 2009
Poli di Asset Mngt
- 0,5 %
- 1,9 %
- 0,8 %
Tot.AuM 1.466
Poli Bancari
Poli Assicurativi
AuM Ricavi UtiliRedd.Lorda (bps)
Redd.Netta (bps)
Margi-nalità
(%)
85 0,7 0,4 85 43 50 %
4,8 %460 368 71282 CAGR AuM
2005 - 2009 285
31,4 % 19,3 % 25,1 % 19,5 %
AuM Ricavi UtiliRedd.Lorda (bps)
Redd.Netta (bps)
Margi-nalità
(%)
1005 8,1 1,3
AuM Ricavi UtiliRedd.Lorda (bps)
Redd.Netta (bps)
Margi-nalità
(%)
375 4,1 1,2 109 33 30 %
AuM perprodotto
Gest
ioni
Col
letti
ve
Gest
ioni
Indi
vidu
ali
% AuMsul tot.
Prod. Bancari(742mln€ - 51 %)
Prod. Assicurativi(724mln€ – 49 %)
Best Worst1 466 13 2,9 88 20 23 %Totale
81 13 16 %
mld €
Unite
Inde
x Lin
ked
Fond
i Pen
sione
Poliz
ze A
ssicu
rativ
e Vi
ta
FIGURA 8. Gli High Net Worth Individuals in Italia
Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC
670
2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 E
n.a. 646 692 703 694 586 640
4,7 %
710786 818 829
740
882
6,0 % 10,7 % 4,1 % 1,3 % - 10,7 % 19,2 % 5,3 %
n.a. 1,10 1,14 1,16 1,19 1,26 1,38
n.a.
CAGR(2003-2009)
YoY
YoY7,1 % 1,6 % - 1,3 % - 15,6 % 9,1 %
929stime
Ricchezzafinanziaria
(mld €)
N famiglie('000)
Portafogliomedio (mln €)
Forecast
Ricchezza definita come attività finanziarie (depositi e liquidità, titoli obbligazionari, azioni quotate, fondi comuni, polizze vita e fondipensioni) detenute de famiglie con patrimoni superiori a 500.000 euro. 2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico,finanziario al 31 gennaio 2010.
12. Osservatorio Private Banking, PwC Advisory.
79
I l r i s p a r m i o g e s t i t o i n I t a l i aG I N O G A N D O L F I & G I A C O M O N E R I
della clientela cosiddetta private o High Net Worth.
Questo segmento di clientela è oggetto di particolare
attenzione da parte dei players del Settore del
Risparmio Gestito sia per l’elevata dimensione media
del patrimonio di ogni cliente, sia per l’opportunità di
offrire prodotti e servizi dedicati che non potrebbero
essere collocati presso la clientela retail, quali prodot-
ti speculativi e fondi chiusi, servizi di ottimizzazione
fiscale, sviluppo di family office, fondi di private equity,
eccetera.
L’aumento di redditività del segmento (+1,2 miliardi di
Euro di ricavi e un +0,4 degli utili) stimato in seguito allo
scudo e quindi all’ampliamento della base cliente (da
586 mila a 640 mila famiglie) e delle masse (aumento
del portafoglio medio da 1,26 a 1,38 milioni) fa del pri-
vate banking un notevole punto di interesse da parte
degli operatori di asset management.
L’analisi dell’AuM della clientela private mostra che
dopo una sostanziale diminuzione avvenuta nel corso
del 2008, nel 2009 si segnala un incremento del 19,2%
della ricchezza nel mercato italiano degli High Net
Worth Individual (HNWI), con una stima di circa 882
miliardi di euro detenuti da circa 640 mila famiglie
HNW.
Tale incremento è riconducibile per 54 mld alla perfor-
mance (+7,3%), per 3 mld a nuovi conferimenti (+0,4%)
e per circa 85 miliardi (+11,5%) allo scudo fiscale. Gli
effetti dello scudo 2010, sono stimabili, ad oggi, in
circa 10 mld (+1,1%) (cfr. figura 8, 9).
Nel mercato del private banking un ruolo decisivo lo ha
sicuramente ricoperto lo scudo fiscale.
Circa 100 miliardi sono rientrati tra il 2009 ed il 2010.
Da segnalare che una gran parte di questi capitali
(circa il 50%) sono detenuti in liquidità, circostanza
che rappresenta una grande opportunità per le banche
private ma anche per gli asset managers. Si stima
che, a partire dai prossimi mesi (probabilmente dal
2011), la componente liquida dei capitali rimpatriati
verranno destinati verso prodotti di risparmio gestito
attraverso intermediari specializzati non generalisti
(private banking) ed asset managers che detengono il
know-how, le competenze e le risorse necessarie per
gestirli. ◗
FIGURA 9. Evoluzione degli asset detenuti dagli High Net Worth Individuals in Italia
Fonte: Osservatorio Private Banking, PwC
2005 2006 2007 2008 2009 2010 E
stime
Effettoperformance
Var % vsanno prec. + 2,9 % + 1,1 % + 1,0 % + 1,1 % + 7,3 % + 0,4 % + 11,5 % + 5,7 % -1,5 % +1,1 %+ 0,3 % - 11,3 %+ 4,1 % + 1,3 % -10,7 % +19,2 % +5,3 %
Netinflow
Effettoperformance
Netinflow*
Effettoperformance
Netinflow Effetto
performanceNetinflow
Scudo2009
Scudo2010
Effettoperformance
Netinflow
Forecast
786
+23 +9+8
+3
-98+9
+54+3
+85
+50 -13+10
818 829 740 882 929
2010 stimato sulla base dello scenario politico, economico, finanziario al 31 gennaio 2010.(*): Raccolta 2010: raccolta negativa influenzata da un consistente spostamento di parte del patrimonio finanziario scudato nel corsodel 2009 da parte della clientela private da attività finanziarie verso attività reali (immobili/aziende), solo parzialmente compensa-to da una crescita della raccolta positiva derivante da ricchezza reale.
80
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
BIBLIOGRAFIAAssogestioni – Annuario, vari anni.
Banca d’Italia, intervento del Dott. Carosio, Assemblea Annuale Assogestioni, “Fondi Comuni e Crisi dei Mercati –L’impatto della crisi finanziaria sui fondi comuni” 18 marzo 2010.
Banca d’Italia - Supplementi al Bollettino Statistico - Conti Finanziari 2010.
Banca d’Italia - Relazione Annuale– Roma, 31 maggio 2010 - Considerazioni finali del Governatore.
F. M. De Rossi, D. Gariboldi, G. Leggieri, A. Russo, Consob, QdF – “Il marketing dei Fondi comuni italiani” –Gennaio 2008.
IMF - World Economic Outlook - Financial Stress, Downturns, and Recoveries, IMF October 2008.
IMRE Advisory – Market turmoil – issues and challenges for asset managers – December 2008.
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie, Focus Paper - Global Fund Distribution 2009 e posizionamento dell’Italia,Ottobre 2009.
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie - “Il risparmio delle famiglie italiane: una risorsa strategica per il Paese ele opportunità dello scudo fiscale”, 8 marzo 2010.
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Relazione al seminario “La Gestione del Risparmio delle Famiglie oltrela Crisi” – Parma, 30 Giugno 2009.
Osservatorio sui Risparmi delle Famiglie – Il settore del Risparmio Gestito in Italia, 2009.
PricewaterhouseCoopers, “L’industria del risparmio gestito e del private banking : evoluzione e cambiamenti incorso”, Convegno ABI-AIPB-Assogestioni, 27 febbraio 2009.
PricewaterhouseCoopers - “Financial Crisis of 2008: Navigating and Mitigating Risks”, PwC Banking & CapitalMarkets November 2008.
PricewaterhouseCoopers - DAVOS - World Economic Forum Annual Meeting 2010. Materiale preparato da PwC peril World Economic Forum.
PricewaterhouseCoopers - The day after tomorrow – Presente e futuro della gestione del risparmio, Ottobre 2009.
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
81
Il gruppo Crédit Agricole in Italia
Il gruppo Crédit Agricole sviluppa in Italial’insieme delle sue attività, talvolta condelle posizioni tra i leader del mercato.Queste attività beneficiano di marchimolto forti e riconosciuti. Esse possonoavvalersi al tempo stesso di partneritaliani di alta qualità e della competenzache può fornire uno dei primi gruppifinanziari europei. L’Italia è il secondomercato del gruppo dopo la Francia.
Una presenza di lunga durata Il Gruppo Crédit Agricole è presente in Italia da oltre
40 anni.
La sua crescita è avvenuta sia in modo organico sia
come conseguenza delle diverse acquisizioni fatte
dalla Casa Madre. La Banque Indosuez, il Crédit
Lyonnais, Sofinco avevano tutte una presenza opera-
tiva nel paese che si è sviluppata sia in modo autono-
mo, sia integrandosi con le altre attività del Gruppo.
Il primo investimento diretto del gruppo Crédit Agricole
in Italia è stata l’acquisizione del 30% del Banco
Ambrosiano nel 1989. La piccola banca privata in dif-
ficoltà è stata risanata e con continui successivi aumen-
ti di capitale sempre sottoscritti dal Gruppo, per la
sua quota, è diventata Banca Intesa, prima banca ita-
liana. In questo periodo, vista l’opposizione delle
Autorità Monetarie a che importanti banche italiane
fossero acquisite da gruppi esteri, la strategia di Crédit
Agricole era di sviluppare joint-ventures di dimensione
europea con Banca Intesa in diversi settori quali l’asset
management, il credito al consumo e la banca privata
ecc.
La fusione tra Banca Intesa e Istituto San Paolo di
Torino ha comportato per il gruppo Crédit Agricole un
cambio di strategia anche per rispettare le indicazioni
date dall’Antitrust. Il gruppo Crédit Agricole, pur aven-
done la facoltà, non si è opposto alla nascita di que-
sta grande banca italiana considerando legittima l’a-
spirazione del Paese di avere una grande banca
nazionale di dimensione europea. Ha però chiesto in
cambio la creazione di una propria banca che si è
concretizzata all’inizio del 2007 con l’acquisto da
Banca Intesa del Gruppo Cariparma Friuladria com-
posto da oltre 700 filiali localizzate nelle zone più ricche
del Paese.
Al momento della creazione di questa nuova banca il
management ha comunicato gli obbiettivi principali di
questo investimento. Il primo era di raggiungere una
dimensione di circa 1000 sportelli. Il secondo, pur
creando con Cariparma Crédit Agricole la capogruppo
ARIBERTO FASSATI
Direttore e membro del Comitato Esecutivo del gruppoCrédit Agricole S.A.Presidente di Cariparma
�
82
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
del nuovo gruppo bancario, di mantenere l’autonomia
della Banca Popolare Friuladria ricreando così, sull’e-
sempio delle Caisses régionales in Francia, un model-
lo bancario composto da banche fortemente radicate
al territorio.
In questi ultimi mesi è stato raggiunto il primo obbiet-
tivo con la firma dell’accordo di acquisizione della
Cassa di Risparmio Della Spezia e di ulteriori 100 spor-
telli che saranno ripartiti tra Cariparma e Friuladria. Al ter-
mine dell’operazione, la presenza bancaria del Crédit
Agricole in Italia sarà composta quindi da Cariparma,
che controlla la maggioranza assoluta di Friuladria, e da
CR della Spezia per un totale, compresi i centri impre-
sa corporate e private, che si avvicina ai 1000 punti ven-
dita divenendo così la settima banca italiana per nume-
ro di agenzie. Il Gruppo bancario avrà oltre 9000
dipendenti, impieghi per circa 33.000 mln di euro, una
raccolta diretta di circa 35.000 mln di euro, un Tier 1
intorno all’8% ed un indice di liquidità tra i migliori
d’Italia, intorno a 0,93. Il Gruppo Cariparma Friuladria
è stato inoltre la migliore banca italiana per costo del cre-
dito nel 2009 e con 311 mln di euro di utile netto si è
posizionata al terzo posto tra le banche italiane.
La presenza del gruppo CréditAgricole in Italia si estende oltre labanca commercialeNel Credito al Consumo la joint venture Agos Ducato
controllata al 60% dal gruppo Crédit Agricole, con il
Banco Popolare al 40%, è di gran lunga il leader italiano
con una quota di mercato del 16% mentre il secondo
concorrente ha meno del 10%. Agos Ducato dispone
di oltre 250 agenzie proprie e può contare su una rete
di circa 3000 agenzie per distribuire i suoi prodotti.
Sempre nel settore del credito al consumo, il gruppo
Crèdit Agricole è socio al 50% con Fiat in FGA, socie-
tà leader in Europa nel credito automobilistico. La
società che è presente in diciotto paesi europei opera
per tutto il gruppo Fiat e recentemente si sono aggiun-
ti i marchi Jaguar, Rover e il gruppo Chrysler.
Nel settore delle assicurazioni il gruppo è presente
con Crédit Agricole Vita, ottava compagnia del mercato
italiano di bancassicurazione e con CA Assicurazioni di
recente costituzione che, adattando il modello di
Pacifica alle caratteristiche del mercato italiano, ha
riscosso nel primo anno di attività risultati migliori alle
aspettat ive nel l ’assicurazione auto e casa.
Nell’assicurazione crediti con CACI il gruppo é tra i lea-
der del mercato.
Nel settore del Coporate & Investment Banking da più
di quaranta anni il Gruppo è un attore tra i più impor-
tanti e qualificati del mercato con Crédit Agricole
Corporate & Investiment Banking (ex Indosuez e Calyon)
ed esercita tre tipi di attività:
• Il Capital Market nelle sue diverse funzioni: nel fixed
income, dal forex ai bonds pubblici e privati, alla car-
tolarizzazione e nel mercato azionario con Cheuvreux
una delle principali case di ricerca e brokeraggio sulla
borsa italiana.
• La banca di finanziamento, rivolta ai grandi gruppi
italiani con specialisti nel project financing, e l’acquisition
finance, il credito all’esportazione, il credito immobilia-
re e lo shipping.
• L’acquisizione e la ristrutturazione di non performing
loans dove la banca è presente da diversi anni sul
mercato dei mutui.
Di più recente creazione sono Crédit Agricole Leasing
ed Eurofactor che grazie alle reti bancarie hanno già
acquisito posizioni rilevanti nei rispettivi mercati del
Leasing e del Factoring. Infine, nell’asset manage-
ment, Amundi è l’ottava società di gestione del rispar-
mio in Italia con 25 mld di euro di masse amministra-
te. La società é il braccio operativo in Italia di Amundi
SA, controllata al 75% dal gruppo Crédit Agricole, che
con 680 Mld di asset è uno dei leader europei del
risparmio gestito.
Maggiore integrazione nel tessutoeconomico grazie a partnershipsstrategicheOltre alla rete bancaria la società, grazie alla qualità e
alle capacità innovative dei suoi prodotti, opera anche
con investitori istituzionali nel paese. Una delle carat-
teristiche che differenziano il gruppo Crédit Agricole dagli
altri gruppi esteri presenti in Italia è la grande capaci-
tà di stringere alleanze e operare con partners.
Dopo un’alleanza durata venti anni con Banca Intesa,
il Gruppo è oggi socio di Fondazione Cariparma che
detiene il 15% di Cariparma. Con la Fondazione che
ha voluto reinvestire nella propria banca al momento
�
83
del passaggio da Banca Intesa a Crédit Agricole i
rapporti sono particolarmente solidi. La joint-venture
riesce ad abbinare le tecnologie di un grande gruppo
bancario internazionale come Crédit Agricole alla forte
presenza ed influenza locale della Fondazione. Questa
positiva esperienza andrà ripetuta con la Cassa di
Risparmio Della Spezia dove la Fondazione della
Cassa di Risparmio Della Spezia detiene il 20% del
capitale. Nel capitale di Banca Popolare Friuladria
hanno investito oltre 12.000 azionisti privati che sono
spesso soci/clienti e quindi nostri ambasciatori sul
territorio. La joint-venture con Fiat abbina la forza
finanziaria e la tecnologia nel credito al consumo del
gruppo Crédit Agricole alla potenza commerciale e
industriale di uno dei principali operatori automobilistici
europei. L’alleanza con Banco Popolare permette ad
Agos Ducato di utilizzare la rete della quarta banca
italiana.
Questa capacità di operare con partner italiani fa del
gruppo Crédit Agricole non solo la più importante
banca estera in Italia ma anche la più integrata nel
tessuto economico e sociale del paese. ◗
I l g r u p p o C r é d i t A g r i c o l e i n I t a l i aA R I B E R T O F A S S A T I
84
H O R I Z O N S B A N C A I R E SN U M E R O 3 4 0 – N O V E M B R E 2 0 1 0
325 À nos marques !
326 Agriculture et ruralité dans les pays en développement
327 Banque de financement et d’investissement : modèles et développements
328 Face aux risques extrêmes : banques et assurances
329 Conformité : pourquoi et comment
330 Les services à la personne
331 Le Financement des PME en France
332 Des PME et des territoires
333 Banque privée : mutations et défis
334 La microfinance au carrefour du social et de la finance
335 Dynamiques démographiques : une révolution socioéconomique
336 Dynamiques démographiques : quelles stratégies bancaires ?
337 Partenariats public-privé : un nouvel élan pour la commande publique
338 Les moyens de paiement, pierre angulaire de l’intermédiation financière
339 Banque de détail et innovations technologiques
340 Il sistema bancario italiano : territori, attività e sfide
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“La presente pubblicazione riflette le opinioni di Crédit Agricole S.A. alla data della sua diffusione, salvo menzione contraria (collaboratori
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tire dalle quali sono state ottenute le sue informazioni, sebbene tali fonti d’informazioni siano considerate affidabili. Né Crédit Agricole
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