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BIBBIA Eco dei Barnabiti 2/2016 2 «I l volto è a un tempo l’identità di una perso- na e il varco aperto sul suo segreto. Nel volto, la persona ti guarda e chiede di essere riconosciu- ta. Il volto è il luogo dove la persona comunica quando vuole aprirsi e ren- dersi accessibile, il volto è il cristallo trasparente dove brilla l’interiorità della vita … “Ricerca” e “volto” van- no insieme: un volto va cercato, un volto non può essere posseduto, o meglio può essere posseduto solo nella forma dell’affidamento» (F.G. Brambilla). Cercare Dio è dunque, soprattutto, cercare il suo volto: «Il mio cuore ripete il tuo invito: “Cerca- te il mio volto!”. Il tuo volto, Signore, io cerco» (Sal 27,8). In una delle ca- techesi dedicate all’Anno della Fede papa Benedetto così si esprimeva: «In tutto l’Antico Testamento è ben presente il tema della “ricerca del volto di Dio”, il desiderio di conosce- re questo volto, il desiderio linedi ve- dere Dio come è, tanto che il termine ebraico panîm che significa “volto”, vi ricorre ben 400 volte, e 100 di queste sono riferite a Dio … La storia della salvezza è la storia di Dio con l’umanità, è la storia di questo rap- porto di Dio che si rivela progressiva- mente all’uomo, che fa conoscere se stesso, il suo volto» (Udienza genera- le, 16 gennaio 2013). Eppure, para- dossalmente, questo volto di Dio non può essere visto: «Io ti coprirò con la mano, finché non sarò passato. Poi toglierò la mano e vedrai le mie spal- le, ma il mio volto non si può vedere» (Es 33,21-23). Viceversa, Dio parla, consegna all’uomo una parola. Dio, infatti, vuole farsi conoscere, vuole togliere il velo da sé, vuole ri- velarsi all’uomo, vuole entrare in re- lazione con lui. Se da un lato Mosè racconta che al Sinai Israele non ha visto altro che una voce: («Il Signore vi parlò dal fuoco; voi avete ascoltato il suono delle parole ma non avete vi- sto alcuna immagine: vi era soltanto una voce [zûlatî qôl]», Dt 4,12), dall’altro tutto il libro dell’Esodo è la storia di una progressiva conoscenza, di una progressiva rivelazione delle modalità in cui l’amore di Dio si ma- nifesta a Mosè e al suo popolo. Se- guiamo allora anche noi Mosè in questo suo cammino di scoperta del volto di Dio ... Io sono ... La prima rivelazione di Dio a Mosè si verifica in un momento difficile della sua vita. Egli ha fatto l’esperien- za del fallimento (cf. Es 2,11-15). Era stato molto generoso, si era impe- gnato, ma non aveva avuto successo nel tentativo di aiutare il suo popo- lo. Quando Dio gli si manifesta egli si trova nel “deserto”, la terra dove nessuno abita, dove è impossibile sopravvivere; un luogo di sciacalli, la terra della sete e della morte! Pro- prio lì il Signore gli si rivela in una fiamma di fuoco, un roveto che arde ma non si consuma. La prima rea- zione di Mosè è quella di meravi- gliarsi e incuriosirsi: «Voglio avvici- narmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non bru- cia?» (3,3). Mosè si dimostra così un uomo capace di porsi delle doman- de che esigono un’attenta risposta. Il testo ebraico pone l’accento non so- lo sul desiderio di vedere, ma so- prattutto sulla volontà deliberata di conoscere, di rendersi conto; il ver- bo sur significa infatti “fare una de- viazione, un giro lungo”; in altri ter- mini, Mosè è disposto a fare uno sforzo, a mettersi con coraggio su una strada diversa e insolita. E così, spinto da questo desiderio di ricer- ca, Mosè si avvicina, ma è fermato dalla voce: «”Mosè, Mosè!” … ”Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di «IL SIGNORE, IL SIGNORE, DIO MISERICORDIOSO ...» Se nel precedente intervento – a partire dal Salmo 51, il «canto della misericordia e dell’amore di Dio» – abbiamo cercato di evidenziare come la santità e il volto di Dio si manifestino nella sua misericordia, vorremmo ora soffermarci propriamente sulla fisionomia di questo volto. Marc Chagall, Mosè e il roveto ardente

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BIBBIA

Eco dei Barnabiti 2/20162

«I l volto è a un tempol’identità di una perso-na e il varco aperto sul

suo segreto. Nel volto, la persona tiguarda e chiede di essere riconosciu-ta. Il volto è il luogo dove la personacomunica quando vuole aprirsi e ren-dersi accessibile, il volto è il cristallotrasparente dove brilla l’interioritàdella vita … “Ricerca” e “volto” van-no insieme: un volto va cercato, unvolto non può essere posseduto, omeglio può essere posseduto solonella forma dell’affidamento» (F.G.Brambilla). Cercare Dio è dunque,soprattutto, cercare il suo volto: «Ilmio cuore ripete il tuo invito: “Cerca-te il mio volto!”. Il tuo volto, Signore,io cerco» (Sal 27,8). In una delle ca-techesi dedicate all’Anno della Fedepapa Benedetto così si esprimeva:«In tutto l’Antico Testamento è benpresente il tema della “ricerca delvolto di Dio”, il desiderio di conosce-re questo volto, il desiderio linedi ve-

dere Dio come è, tanto che il termineebraico panîm che significa “volto”,vi ricorre ben 400 volte, e 100 diqueste sono riferite a Dio … La storiadella salvezza è la storia di Dio conl’umanità, è la storia di questo rap-porto di Dio che si rivela progressiva-mente all’uomo, che fa conoscere sestesso, il suo volto» (Udienza genera-le, 16 gennaio 2013). Eppure, para-dossalmente, questo volto di Dio nonpuò essere visto: «Io ti coprirò con lamano, finché non sarò passato. Poitoglierò la mano e vedrai le mie spal-le, ma il mio volto non si puòvedere» (Es 33,21-23). Viceversa, Dioparla, consegna all’uomo una parola.Dio, infatti, vuole farsi conoscere,vuole togliere il velo da sé, vuole ri-velarsi all’uomo, vuole entrare in re-lazione con lui. Se da un lato Mosèracconta che al Sinai Israele non havisto altro che una voce: («Il Signorevi parlò dal fuoco; voi avete ascoltatoil suono delle parole ma non avete vi-

sto alcuna immagine: vi era soltantouna voce [zûlatî qôl]», Dt 4,12),dall’altro tutto il libro dell’Esodo è lastoria di una progressiva conoscenza,di una progressiva rivelazione dellemodalità in cui l’amore di Dio si ma-nifesta a Mosè e al suo popolo. Se-guiamo allora anche noi Mosè inquesto suo cammino di scoperta delvolto di Dio ...

Io sono ...

La prima rivelazione di Dio a Mosèsi verifica in un momento difficiledella sua vita. Egli ha fatto l’esperien-za del fallimento (cf. Es 2,11-15). Erastato molto generoso, si era impe-gnato, ma non aveva avuto successonel tentativo di aiutare il suo popo-lo. Quando Dio gli si manifesta eglisi trova nel “deserto”, la terra dovenessuno abita, dove è impossibilesopravvivere; un luogo di sciacalli,la terra della sete e della morte! Pro-prio lì il Signore gli si rivela in unafiamma di fuoco, un roveto che ardema non si consuma. La prima rea-zione di Mosè è quella di meravi-gliarsi e incuriosirsi: «Voglio avvici-narmi a osservare questo grandespettacolo: perché il roveto non bru-cia?» (3,3). Mosè si dimostra così unuomo capace di porsi delle doman-de che esigono un’attenta risposta. Iltesto ebraico pone l’accento non so-lo sul desiderio di vedere, ma so-prattutto sulla volontà deliberata diconoscere, di rendersi conto; il ver-bo sur significa infatti “fare una de-viazione, un giro lungo”; in altri ter-mini, Mosè è disposto a fare unosforzo, a mettersi con coraggio suuna strada diversa e insolita. E così,spinto da questo desiderio di ricer-ca, Mosè si avvicina, ma è fermatodalla voce: «”Mosè, Mosè!” … ”Iosono il Dio di tuo padre, il Dio diAbramo, il Dio di Isacco, il Dio di

«IL SIGNORE, IL SIGNORE,DIO MISERICORDIOSO ...»

Se nel precedente intervento – a partire dal Salmo 51, il «canto della misericordia e dell’amoredi Dio» – abbiamo cercato di evidenziare come la santità e il volto di Dio si manifestino nellasua misericordia, vorremmo ora soffermarci propriamente sulla fisionomia di questo volto.

Marc Chagall, Mosè e il roveto ardente

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Giacobbe”» (3,4.6). Dio dal rovetomanifesta a Mosè la sua identità,mediante la parola, una parola concui il nome rivelato definisce Dioanzitutto in relazione a Mosè; Egli siauto-definisce come il Dio della fa-miglia di Mosè, un Dio quindi checonosce il suo nome e le vicissitudi-ni della sua storia. La centralità del-la rivelazione e della tradizione im-plica non di risalire dal mondo aDio, bensì l’opposto, comporta ladiscesa della Parola di Dio entro ilmondo. Così facendo il Signore silega inevitabilmente al tempo e alluogo, soprattutto agli ascoltatori ecustodi della sua rivelazione. Il Si-gnore stesso viene perciò a qualifi-carsi attraverso il suo rapporto con i“nomi propri” diventando il Dio diAbramo, Isacco, Giacobbe, Mosè,Israele. È proprio legandosi a nomipropri che, in un certo senso, il Si-gnore diviene a sua volta, Nomeproprio. Il Nome è impronunziabileproprio perché il Signore è al di làdelle sue rivelazioni.Dopo essersi identificato, Dio spie-

ga il motivo della sua visita»: liberareil “suo popolo”: Israele (Es 3,7.10). IlDio che si rivela a Mosè è Qualcunoche ha grande sensibilità: ha visto ledisgrazie del suo popolo, ha sentito ilsuo grido a causa della durezza deisuoi aguzzini, ha conosciuto (ha pre-so a cuore) la sua sofferenza. Il Diodell’Esodo pertanto è un Dio che haocchi per vedere, orecchi persentire e un cuore per capire.E per realizzare questo pro-

getto di liberazione invia Mo-sè. Mosè presenta però unaprima obiezione: «”Chi sonoio per andare dal faraone …?”.Rispose: “Io sarò con te”»(3,11-12). È curioso che Dionon risponda con un «Tu sa-rai...», ma con un «Io sarò /sono con te». L’identità diMosè è data non da quelloche ha fatto o farà o da quelloche egli è, ma dalla relazionestabilita da Dio nei confrontidi Mosè e del popolo. E cosìMosè, l’uomo il cui nomecontiene un drammatico gio-co di parole, specchio diun’identità indefinita (in ebrai-co Mosè è «colui che trae fuo-ri» dalle acque, in egiziano èun oscuro «figlio di N.N.»),scopre chi è: «egli non sarà

più in balia di quanto altri e la storiapassata hanno deciso di lui; non saràdefinito solo in base a ciò da cui èfuggito, ma sarà definito in futurodalla presenza di Dio» (L. Inverniz-zi). La frase «Io (sono) con te» è lapiù semplice che si possa immagina-re da un punto di vista sintattico; maessa richiede un salto di qualità daparte del destinatario. «Sono Io chelibero Israele, ma lo libero standocon te» (L.A. Schökel).Ma – obietta ancora, e giustamen-

te, Mosè – «Ecco, io vado dagli Israe-liti e dico loro: “Il Dio dei vostri padrimi ha mandato a voi”. Mi diranno:“Qual è il suo nome?”. E io che cosa

risponderò loro?» (3,13). Siamo forsenel cuore della rivelazione dell’in-contro di Mosè con Dio: Dio su ri-chiesta di Mosè fa conoscere il suoNome: «Io sono colui che sono(‘ehyéh ‘ashér ‘ehyéh)». Dio si rivelae si definisce non come una entitàastratta, bensì come una presenza, diaiuto e salvezza: «Io sono colui che è/ sarà / può / vuole essere presente»;Dio si rivela attraverso il suo esserepresente in mezzo al popolo per sal-varlo: «Con il suo nome Dio mostracommozione e sensazione dolorosa,compassione e prontezza ad aiutare.Dio è il Dio con il suo popolo. Dio èil Dio che cammina con il suo popo-lo e lo accompagna sul cammino del-la sua storia. Egli è il Dio che libera ilsuo popolo» (W. Kasper). Dio rispon-de alla domanda di Mosè svelando lapropria identità, un’identità radicatanel passato ma spalancata al futuro;sotto il nome già noto ai padri si celaun nome più grande e più intimo,che nella sua formula incompiuta eindeterminata, da un lato dichiaral’impossibilità per l’uomo di impos-sessarsi del suo mistero, dall’altro loinvita a cercare incessantemente isegni della presenza divina accantoa lui.

proclamerò il mio nome

Ma durante il cammino del deser-to, proprio mentre Mosè si trova sul

monte per ricevere in dono ilprogetto della Shekinah / Di-mora (Es 25-31), Israele co-struisce una sua dimora a Dio!Forgiando il vitello d’oro (Es32,1-6), il popolo pretende didare un volto a Dio con l’illu-sione di garantirsene la vici-nanza. L’empietà dell’idolatriaconsiste precisamente nellapretesa di poter disporre diDio, nell’arrogante presunzio-ne dell’uomo che «plasmaDio a propria immagine e so-miglianza». Si ha una parados-sale inversione dei ruoli: lacreatura diventa creatore. Ilpeccato di Israele suscita l’iradi Dio: essa non è sinonimo di«rancore», come per noi! Alcontrario, essa è una delleidee più profonde della con-cezione biblica della sovrani-tà, della giustizia e della liber-tà divina. L’«ira» sta per la giu-

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 2/2016 3

Mosè e il vitello d’oro - Capitello dellacattedrale di Vézelay

Mosè in preghiera - Londra, British Library,ms. Egerton 1895 f. 57r

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sta indignazione provocata da ciòche è peccaminoso. È l’opposto dellaindifferenza di fronte al male; è ilsentimento che manifesta laribellione di Dio di fronte alpeccato del suo popolo e allasua autoaffermazione. L‘«ira»è l’altra faccia dell’amore ap-passionato di Dio per il suopopolo. E Mosè, che era statomediatore di alleanza (Es 19),si fa ora mediatore di perdo-no, con una richiesta inaudita:«Torna indietro dall’ardoredella tua ira e pentiti del malecontro il tuo popolo» (Es32,12). I verbi usati sono quel-li della conversione. «Tornareindietro» è in ebraico shûb:verbo che indica la «conver-sione». Ancora più forte è ilverbo «pentirsi» nchm. E alv. 14 Mosè riesce nel suo inten-to: «Dio si pentì (nacham) delmale, che aveva detto di volermetter in atto nei confronti delsuo popolo». Dio, dunque, silascia commuovere, converti-re dalla preghiera dei suoiprofeti. Di fronte alle paroledell’intercessore, egli non ri-mane immutabile, ma cambiail suo modo di pensare e ilsuo cuore. Ciò avviene nonperché Dio si convince dellabontà del popolo. Egli cono-sce bene il cuore del suo po-polo. Dio cambia e si penteunicamente per la sua grandemisericordia e il suo amore.Dio dice che il cammino

verso la terra della promessadeve continuare, ma «Io non

verrò con te, per non doverti stermi-nare, perché tu sei un popolo di duracervice» (33,3). Mosè qualcosa ha

ottenuto, ma con una terribile novità:Dio non salirà in mezzo al suo popo-lo! Ed ecco, allora, che Mosè rincarala sua intercessione. Nella tenda delconvegno, Mosè parla con il Signore«faccia a faccia, come uno parla conil proprio amico» e continua a sup-plicarlo di non abbandonare il suopopolo: «se davvero ho trovato graziaai tuoi occhi, indicami la tua via ...considera che questa nazione è il tuopopolo» (33,13). Come si conosceràche «ho trovato grazia ai tuoi occhi ...se non nel fatto che tu cammini connoi»? (33,16).Sotto quella tenda si svolge un in-

contro vero di reciprocità tra l’infini-to e il finito, un dialogo d’amore; unamore che porta Mosè ad ottenereanche questo: che Dio continui adaccompagnare con la sua presenzail popolo lungo il cammino verso la

terra promessa. «Anche quan-to hai detto, lo farò, perchéhai trovato grazia ai miei oc-chi e ti ho conosciuto per no-me» (33,17). E al culmine diquesto dialogo mirabile, Mo-sè arriva a chiedere l’impossi-bile: «Mostrami la tua glo-ria!». Mosè era ben consape-vole che Dio non potevaessere visto, tuttavia egli spin-ge la sua amicizia con Dio allimite dell’impossibile. E la ri-sposta di Dio è – anche inquesto caso – una risposta direciprocità: «Farò passare da-vanti a te tutta la mia bontà eproclamerò il mio nome, Si-gnore, davanti a te. A chi vor-rò far grazia farò grazia e dichi vorrò aver misericordiaavrò misericordia» (33,19).Mosè gli chiede di vedere lasua ‘gloria’ e Dio gli concededi vedere passare la sua ‘bon-tà, come a dire che la gloriadi Dio è la sua bontà! Se alroveto ardente Dio si era rive-lato a Mosè come colui che“è presente”, qui svela la na-tura di tale presenza, che è – in modo totalmente libero egratuito (vorrò) – grazia (cha-nan) e misericordia (racham).«Se nell’uscita dall’Egitto Diosi è rivelato come “colui cheè”, nel peccato del vitellod’oro si è rivelato “Dio di gra-zia e di misericordia”. Si puòdire che qui egli ha rivelato

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 2/20164

Mosè vede Dio di spalle - Fulda, Hochschul-und Landesbibliothek, Aa88 f. 114v

James J.J. Tissot, Mosè e i Dieci comandamenti

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“come” è questo Dio: Egli è miseri-cordia» (G. Barbiero).In altri termini Dio proclama così il

suo nome, la sua identità: «faccio gra-zia e misericordia, senza essere legatodalla fedeltà o dalla non-fedeltà dellacontroparte umana nell’alleanza». Ilsuo essere / esserci è espressione di li-bertà, la libertà di essere misericordio-so. La misericordia è il suo essere as-soluto. «La presenza di Dio nel mon-do è nella sua bontà, nei beni che cidona, nel ‘latte e miele’ della sua-no-stra terra, in tutta la sua creazione-do-no. Allora il vero e unico esercizio dichi cerca il ‘volto’ e la presenza di Dionel mondo è saperlo riconoscere neisuoi beni senza però trasformare i be-ni in dio» (Luigino Bruni).

il nome del Signore

Al termine della lunga intercessio-ne del profeta seguita all’episodio delvitello d’oro, Dio rivela nuovamentee pienamente la propria identità pro-fonda a Mosè: «Allora il Signore scesenella nube, si fermò là presso di lui eproclamò il nome del Signore. Il Si-gnore passò davanti a lui, proclaman-do: “Il Signore, il Signore, Dio miseri-cordioso e pietoso, lento all’ira e ric-co di amore e di fedeltà”» (Es 34,5-6).Questa nuova rivelazione proiettauna luce retrospettiva sulla prima ri-velazione in Es 3 e sull’annuncio inEs 33,19, il momento più significativodel rapporto tra Dio e Mosè. Se in Es3 Dio si era rivelato «come colui cheè», nel senso di «essere fattivamentepresente», determinando il corso del-la storia, in Es 34 egli rivela «in chemodo» è presente nella storia del suopopolo: Dio determina questa storiacon la sua misericordia e la sua giu-stizia. Dio “c’è” perché è misericordia,tenerezza, amore. Inoltre, clemenza,amore e fedeltà si aggiungono agliattributi di grazia e misericordia, giàproclamati in Es 33 e qui capovoltinel loro ordine, dando la priorità aquello che ne costituisce l’origine ela fonte. Come a dire che proprio lamisericordia permette ad ogni altracaratteristica di esprimersi in pienez-za. Dio dunque è misericordioso, ra-chûm = commosso da tenero amore,e pietoso: chanûn = gratuitamentebenevolo. Questo binomio costitui-sce la «bontà / bellezza di Dio» (Is63,7) che Mosè può intravedere solodi schiena (33,23).

Dio, inoltre, è anche «lento all’ira,‘erek ‘appayim». Pur avendo milleragioni per andare in collera con noi,per le nostre infedeltà, si lascia coin-volgere a malincuore da quel senti-mento; sicché è longanime, magna-nimo, tollerante. È su questa longani-mità che si innesta la ricchezza delsuo amore e della sua fedeltà, che-sed we’ emet. Compassione e miseri-cordia sono il respiro, il soffio diDio, ci rivelano ”la sostanza di Dio”.«Nessun altro nome è più rivelativodi questo: in Dio c’è un sentire, unvedere, un operare determinato daquesto impulso viscerale, intimo, daquesto fremito di amore che si espri-me in compassione e tenerezza» (En-zo Bianchi). Tuttavia, la misericordia

non nega la giustizia; entrambe sonofacce del medesimo volto di Dio. Lagiustizia è un aspetto del suo amore.Proprio perché ama il suo popoloegli non può permettere che rimangaschiavo del suo peccato; il peccato èmorte, è infelicità: «Forse che io hopiacere della morte del malvagio ... onon piuttosto che desista dalla suacondotta e viva?» (Ez 18,23). Giusti-zia e misericordia «non sono dueaspetti in contrasto tra di loro, madue dimensioni di un’unica realtàche si sviluppa progressivamente finoa raggiungere il suo apice nella pie-nezza dell’amore ... Se Dio si fermas-se alla giustizia cesserebbe di essereDio, sarebbe come tutti gli uominiche invocano il rispetto della legge.

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 2/2016 5

Andrej Rublëv, Icona della Trinità, 1410 circa. Mosca, Galleria statale diTret'jakov

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La giustizia da sola non basta, el’esperienza insegna che appellarsisolo ad essa rischia di distruggerla.Per questo Dio va oltre la giustiziacon la misericordia e il perdono» (Mi-sericordiae Vultus, nrr. 20.21).Dio non è solo il Dio della teofa-

nia, della alleanza, della legge; nonè solo colui che «mangia con»(compagno), non è solo il consan-guineo (cf. Es 24), è il Dio del per-dono (Es 34).Il rinnovamento dell’alleanza intro-

duce in Israele l’esperienza nuova:quella del perdono. Il peccato diIsraele non è dimenticato, né banal-mente cancellato: è perdonato! In uncerto senso è come se il primo dono,quello della legge e dell’alleanza siraddoppiasse (per-dono). Ma non èun raddoppio quantitativo. Il per-do-no è lo stesso dono, perduto e ritro-vato, ma con un salto di qualità. Tuttociò che era stato perso a causa dellainfedeltà, della idolatria, viene rido-nato con l’intensità della misericor-dia, a tal punto che colui che la rice-ve è totalmente nuovo, diverso, per-donato, e quindi santo. Dopo ilpeccato del vitello d’oro, Israele re-sterà un popolo di peccatori, ma dipeccatori perdonati. E attraverso ilperdono, la santità di Dio potrà mi-steriosamente rispecchiarsi nella san-tità del suo popolo. Israele ha scoper-to il Nome nuovo di Dio come il Mi-sericordioso, colui che ha viscerematerne nei confronti dell’uomo. E,insieme, comprende se stesso qualepeccatore, idolatra, ma non come ul-tima parola, bensì penultima. L’ultimaparola è «perdonato». In altri termini,la misericordia e il perdono riassu-mono il nome di Dio, sono il suo“volto nascosto”, quel volto divinoche Mosè non aveva potuto vederedirettamente: «quando passerà la miagloria, io ti porrò nella cavità della ru-pe e ti coprirò con la mano, finchénon sarò passato» (Es 33,22).

un volto raggiante

«Quando Mosè scese dal monte Si-nai – le due tavole della Testimonian-za si trovavano nelle mani di Mosèmentre egli scendeva dal monte –non sapeva che la pelle del suo visoera diventata raggiante, poiché avevaconversato con lui» (34,29).Mosè si affretta a discendere dal

monte Sinai – su cui non salirà più –

con le due tavole della Testimonian-za (cf. Es 32,15); è lampante il con-trasto con la prima discesa in Es32,7-35. È la metafora della nostravita: noi possiamo accedere di nuovoall’alleanza perché abbiamo ricevutoil perdono. L’alleanza nuova è per ilpopolo perdonato. Proprio perché èil Dio della misericordia, è possibile– per grazia – che l’alleanza vengaristabilita. L’alleanza data una secon-da volta dice che non è basata sullarisposta dell’uomo, ma che è puragrazia, fondata unicamente sul per-dono di Dio, che ingloba l’infedeltàdell’altro e la trasforma. E la metaforadella riscrittura ci rimanda a Ger31,31-34 ove la Legge sarà scritta nelcuore.Mosè non si è affatto accorto che

la pelle del suo volto irradiava luce.Sul volto di Mosè brilla lo splendoree la potenza di Dio (Ab 3,4) ed è ilnarratore a spiegarne la causa: «per-ché aveva conversato con YHWH»(v. 29). Il viso di Mosè è raggiante,perché ha conversato con Dio. Con-versare con Dio significa convertirsia Lui; conversare con Dio con-vertea Dio. «Convertirsi a Dio» significadiventare raggianti. Mosè diventa«un roveto ardente», riflette Dio, nonse stesso, e la sua esperienza di con-templazione, timore e ascolto, vienerivissuta da tutti gli Israeliti. Coloroche lo guardano, raggiante, ricono-scono un riflesso della gloria di Dio,poiché si è esposto alla luminosità diDio. Quello che dice è risonanza diDio, dell’ascolto, dell’obbedienza,dell’interiorizzazione.Passano secoli; il nuovo Mosè sale

su un alto monte e proclama la nuo-va Torah. Egli è la nuova Torah (Io vidico …); egli è l’uomo trasfigurato,contemplando il quale ciascuno dinoi trasfigura se stesso in quella ico-na (2Cor 3,18). La nostra testimo-nianza sarebbe terribilmente poverase noi per primi non fossimo con-templatori del suo volto. Il Salmistaauspica che facciamo la sua stessaesperienza: «Guardate a Lui e sareteraggianti» (Sal 34,6).Contempliamo dunque il volto mi-

sericordioso del Padre, il suo volto fat-to uomo in Gesù di Nazaret, per esse-re a nostra volta persone che – con ilvolto raggiante – portano una paroladi riconciliazione e di pace.

Giuseppe Dell’Orto

BIBBIA

Eco dei Barnabiti 2/20166

ANNIVERSARI 2016

ORDINAZIONI

60°

BERTINI Ezio 17 marzo 1956ERBA Mons. Andrea Maria 17 marzo 1956MANDELLI Lucio 17 marzo 1956MOTTA Giuseppe 17 marzo 1956DUTTO Sebastiano Albino 23 dicembre1956

INCAMPO Giovanni 23 dicembre VALENTE Francesco 23 dicembre

50°

PAPA Francesco 21 maggio 1966CIAVAGLIA Jiulio 17 dicembre 1956MOSCETTA Enrico 17 dicembre 1966VAN WINSBERGHE Georges 17 dicembre1966

VILLA Giovanni 17 dicembre 1966

25°

MANZO Orlando 26 maggio 1991BRAMBILLA Eugenio 29 giugno 1991SIMONE Giannicola 29 giugno 1991NFUNDIKO MASUMBUKO Raymond11 agosto 1991

VALDIVIA Vias Guillermo del Carmen15 agosto 1991

GIUDICE Osvaldo del Valle 28 dicembre1991

PROFESSIONI

70°

BRAMBILLA Andrea 8 settembre 1946RANALDI Giuseppe 11 ottobre 1946AGOSTI fr. Paolo 22 dicembre 1946

60°

MAURO Alfonso 21 settembre 1956CIPOLLETTI Antonio 7 ottobre 1956RICCI Gabriele 7 ottobre 1956RINALDI Giorgio 7 ottobre 1956TRUFI Ferruccio 7 ottobre 1956TRIGLIONE Michele 7 ottobre 1956SCOTTI Angelo 7 ottobre 1956

50°

GRIMALDI fr. Fiorenzo 25 gennaio 1966COLOMBO Giovanni 29 settembre 1966CORATELLA Nicola 9 ottobre 1966FERRARA Michele 9 ottobre 1966

25°

PALMA Orellana Humberto Enrique 19 feb-braio 1991

PINILLA Domingo Alberto 27 dicembre1991

OJEDA Juan Ramon 27 dicembre 1991

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BIBBIABIBBIA

Eco dei Barnabiti 4/2015

ESOTERISMO - 2 – Esoterico, come è noto, rimandaal lato nascosto e profondo della realtà (il noùmeno),mentre exoterico (o anche essoterico) indica l’aspettopiù immediato e apparente (il fenomeno). Questa di-stinzione, ripresa da Aristotile, è nota ai Padri dellaChiesa fin dal II sec., come fa fede Clemente Alessan-drino (150-212), capo della celebre scuola catecheticadella metropoli egiziana, là dove afferma che anche inambito cristiano si danno «scritti esoterici, ossia interni,e altri comuni ed exoterici, e cioè esterni». Questa di-stinzione nasce dal fatto che, da sempre, esistono dottri-ne e prassi destinate a un iniziale e ampia divulgazione,come pure dottrine e prassi successivamente accessibilia un più ristretto numero di iniziati e che escludono lapubblicità. In altri termini, vi sono conoscenze trasmes-se per tradizione orale ad adepti qualificati e non divul-gabili ad altri, a motivo del loro contenuto, inteso a di-svelare il senso occulto di verità, simboli e riti.Nella tradizione cristiana, peraltro debitrice delle reli-

gioni misteriche dei greci, tali dottrine e prassi sonoappunto chiamate misteri, il cui equivalente latino saràsacramenti (significativo il fatto, come vedremo, chesant’Ambrogio abbia intitolato rispettivamente con que-sti termini, i due trattati sulla iniziazione cristiana). Tuttociò rientra in quella «disciplina dell’arcano», in vigorenella Chiesa antica dal III secolo alla prima metà del V,consistente nel non parlare a estranei di dogmi, riti esacramenti e di calibrarne la trasmissione-esperienza neiconfronti di chi chiedeva di essere accolto nella comu-nità cristiana. Mistero e mistico appartengono alla stessafamiglia e hanno in comune la radice muo (mettete ildito sulle labbra per intimare silenzio, premere insiemele labbra, star chiuso fermamente, ecc.), che fa riferi-mento alla «disciplina dell’arcano», del riservato, del-l’ineffabile. Da muo deriva anche mustés, che in grecosignifica iniziato. Iniziato quindi è propriamente chiviene messo a parte del mistero, chi viene condotto (ingreco ago) alla penetrazione esperienziale del mistero(mistagogìa). È questo il senso dell’espressione pregnan-te: «I misteri si trasmettono in modo mistico», dovutasempre a Clemente Alessandrino, nei suoi Stròmati omiscellanea catechetica.Prima di proseguire, sarà bene indugiarsi sulla pre-

gnanza di questi termini. Nella lingua greco-latina, mi-stero/misterico sta a indicare un rito segreto, dal signi-ficato profondo, inaccessibile ai profani, che viene ri-velato e rivissuto attraverso parole e gesti arcani ricchidi simbolismo. Non diverso è il senso di mistica/misti-co, quale dato o esperienza che rinvia a un significatonascosto, arcano, accessibile a chi va oltre la dimen-sione illusoria della realtà. Il senso di “mistero”, comeviene normalmente inteso, e cioè di una dottrina im-penetrabile concettualmente e per ciò stesso da acco-gliere solo per fede, è estraneo alla tradizione cristiana

originaria, ma anche a quella attuale… Quando infattialla messa si proclama «Mistero della fede!», s’intendefar emergere la consapevolezza che i riti attualizzanol’evento salvifico che annuncia la morte di Cristo lun-go i secoli, ne proclama la risurrezione come il “fatto”che lievita la storia e annuncia il compimento finalecon la risurrezione del Signore Gesù.Possiamo penetrare il senso del mistero con la guida

di uno dei sommi maestri del cristianesimo. Sant’Ago-stino (354-430) afferma che “mistero” non è verità sot-tratta alla nostra conoscenza, bensì evento che non sifinirà mai di scandagliare, dal momento che il caratte-re imperscrutabile dei misteri fa sì che «dovendo sem-pre ricercarne il senso, anche se con difficoltà, sarannoscoperti con maggiore gioia; Dulciter inventa, quia diulatentia», scrive con espressione scultorea.Vale la pena sottolineare un altro aspetto messo in lu-

ce dal celebre Dottore, che cioè «i misteri di Dio sonotenuti nascosti non perché siano negati all’intelligenza dichi vuole conoscerli, ma perché siano rivelati solo a co-loro che li ricercano». E ancora: «I misteri della salvezzasono resi accessibili solo a quanti li accolgono». Un ulti-mo testo riprende quanto stiamo dicendo, con insupera-bile maestria. Citiamolo in latino, facendo seguire im-mediatamente la traduzione italiana: «Sunt in Scripturissanctis profunda mysteria, quae ad hoc abscondunturne vilescant, ad hoc quaeruntur ut exerceant, ad hocaperiuntur ut pascant; Nelle sacre Scritture ci sono pro-fondi misteri: sono nascosti perché non vengano bana-lizzati, sono fatti oggetto di ricerca perché ci tengano inesercizio, sono manifestati perché ci nutrano».Tornando ora agli Stròmati di Clemente, dopo un’ac-

curata esposizione delle dottrine rivelate, egli affermache l’iniziando è in grado di intraprendere «la fisiologiaveramente gnostica», e cioè la comprensione profondadell’organismo spirituale. Infatti – prosegue – «saremogià stati iniziati ai piccoli, prima che ai grandi misteri,così che nulla sia più di impedimento alla divina, vera-mente divina rivelazione delle cose sacre, quando tuttociò che deve essere in precedenza conosciuto e inse-gnato sia già stato oggetto di preliminare purificazione[dall’errore, s’intende] e di rappresentazione» concet-tuale. In un altro testo, Clemente riprende questi pen-sieri nel modo seguente: «Dopo di che [= i riti di purifi-cazione] seguono i piccoli misteri, che contengono percosì dire il fondamento della dottrina della preparazioneai futuri [grandi misteri]; poi, appunto i grandi misteri,riguardanti tutta la vita: e qui non c’è più da imparare,ma da contemplare e meditare profondamente sulla na-tura e sulla realtà» Questo insegnamento può essere ri-formulato sinteticamente nello slogan: da creduti (pic-coli misteri) a vissuti (grandi misteri).

Antonio Gentili

Vocabolario ecclesiale

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