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LA VIA FRANCIGENA IL SENSO DI UN VIAGGIO di Franco Cardini

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La Via Francigena

IL SENSODI UN VIAGGIO

di Franco Cardini

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Franco Cardini è storico e saggista italiano, specializzato nello studio del Medioevo. Ha iniziato come assistente ordinario alla cattedra di storia medievale e moderna della facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Firenze, poi professore incaricato di storia medievale nella stessa università e, nel 1985, professore associato e ordinario all’Università di Bari; nel 1989 ottiene la cattedra di Storia medievale a Firenze. Attualmente è professore ordinario presso l’Istituto Italiano di Scienze Umane (Sum). Autore di numerosissime pubblicazioni, attivo divulgatore in conferenze, incontri e interventi radiofonici e televisivi, unisce al rigore storico la semplicità e il fascino della parola.

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La Via Francigena

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Nel comune sentire di quasi tutti noi (escluso forse la pattuglia ristretta e un po’ noiosa di quelli che di

professione fanno ricerca storica o archeologica), tutto è chiaro. La Via Francigena è l’antica strada che dall’Oltralpe attraverso la penisola italica portava a Roma. Ci si andava in pellegrinaggio, e lungo il cammino si trovava di tutto: abbazie, antichi ponti, ospizi vetusti, boschi e paludi da attraversare, magari anche un po’ di brivido (la notte, i lupi, i briganti…); e naturalmente i templari. Per tacer dell’olio, del vino, del cacio, dei panorami…Non mi sogno nemmeno di fare il guastafeste. Tutte queste cose piacciono molto anche a me. Oltretutto, mi occupo per mestiere di storia medievale: non si fanno i soldi, ma non è un cattivo lavoro, anzi. Eppoi sono toscano, quella roba lì è anche mia. Infine, non solo studio i pellegrinaggi: sono anche pellegrino, e sono arrivato varie volte - anche a piedi - fino a Santiago de Compostela, a Mont-Saint-Michel, al Gargano, al Sinai, a Gerusalemme. Però, attenzione. Si fa presto a dir Francigena. Vi mettete magari in auto, e via una bella corsa. Però viaggiare non vuol dire esattamente far del turismo. E il pellegrinaggio, poi, è un viaggio sui generis, un viaggio particolare. Se certe cose non si sanno o non si capiscono, ci si diverte anche meno. E allora, prima di metterci per via, riflettiamo un attimo. Che cos’è viaggiare? Perché si viaggia? In quanti modi? Che cosa si cerca?

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IL VIAGGIO

Il viaggio, la Ricerca del Centro, il ritorno alla patria dimenticata o perduta, la caccia al tesoro e al segreto;

l’ascesa del monte, la discesa nel pozzo o nella caverna, il passaggio del fiume o del mare. Sono alcuni fra i «grandi archetipi» miti che si ritrovano, con infinite varianti, nelle letterature, nelle religioni, nelle leggende di tutti i tempi e di tutti i popoli del mondo. E richiamano tutti, invariabilmente, a un atto fondamentale: al camminare, al muoversi, al misurare e varcare lo spazio. Se è vero che l’umanità si divide anzitutto in nomadi e sedentari (e i primi sono regolarmente vittime dei secondi: i pastori Abele e Remo, uccisi dai contadini Caino e Romolo…), è non meno vero che nemmeno i sedentari possono essere completamente e perfettamente tali. Il movimento, il viaggio, ci accomuna tutti: come il pensiero e la parola, esso è segno d’uomo. Gli animali si muovono, camminano, migrano: ma solo l’essere umano viaggia.Nomadi e sedentari s’incrociano, si confrontano, magari si combattono di continuo. Odisseo, l’eroe che ha molto sofferto e che mai s’è dimenticato della patria lontana, ma anche l’infaticabile tessitore d’inganni, sceglie non a caso il nome di “Nessuno” per presentarsi all’accecato Polifemo. Odisseo è l’eroe della sua isola di rocce e d’olivi; Polifemo, figlio di Poseidone e di una Nereide, è invece “colui che parla molte lingue”, è l’abitante di quel “continente liquido” che è il Mediterraneo, nel quale le identità s’incontrano e s’incrociano. La lotta tra Odisseo e Polifemo somiglia a quella tra chi è profondamente

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radicato nel suo territorio – e, obbligato a partirne, vuole tornarvi e pretende di avere per sempre il diritto su una terra ch’è stata sua, anche dopo molto tempo dopo l’abbandono - e chi invece della sua isola e della sua grotta fa centro per una vita che richiede per forza di cose il movimento, lo spostamento. Odisseo è re di una terra di caprai, di guardiani di porci, di pescatori, ma è radicalmente pur sempre un contadino: ed è nel tronco di un grande olivo che ha scavato il suo talamo nuziale. Irremissibile, arcaico, primordiale conflitto tra nomadi e sedentari, nel quale i primi appaiono sempre come i trasgressori, i provocatori, i minaccianti, ma sono poi sempre e invariabilmente i secondi, alla fine, gli assassini. Polifemo sta ad Odisseo come Abele sta a Caino, come Remo sta a Romolo. Eppure anche la razza di Caino, di Odisseo e di Romolo deve muoversi. Vivere non è necessario: camminare è necessario.

IL PELLEGrINO

I l mondo cristiano ha espresso nella concezione dell’homo viator, del viaggiatore, il simbolo della ricerca

spirituale che - per il fatto di essere intima e spirituale - nondimeno si esprime talvolta anche nei termini d’un reale ed effettivo spostamento da un luogo all’altro. Il termine «pellegrino» poi, deriva dal verbo latino peragere che è quanto mai ricco di significati: da quello di «muoversi con inquietudine, senza tregua» a quello di «condurre a termine» (e quindi «perfezionare», ma anche «morire»). Il peregrinus non è semplicemente l’advena o l’hospes, lo

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«straniero». La parola peregrinus esprime l’estraneità e al tempo stesso l’estraneamento e lo spaesamento.Il pellegrino è tale in quanto straniero nella terra nella quale giunge; ma al tempo stesso l’espressione che lo qualifica è ambigua al punto tale da poter significare il contrario: in realtà egli potrebb’essere straniero nella sua terra d’origine, e la sua vera patria essere appunto la sua mèta. Il cristiano è cittadino del cielo, la sua vita è un pellegrinaggio perché egli parte dall’esilio e desidera tornare in patria. Si può certo vagare senza mèta (quella che nel romanzo cavalleresco medievale si chiamava l’aventure); ma soprattutto si viaggia per arrivare da qualche parte, per conseguire un fine (nel medioevo si diceva la quête).

LA MètA

La mèta è fondamentale. I magi del Vangelo di Matteo seguono instancabili e fiduciosi la stella: hanno gli

occhi fissi sull’astro di fuoco e si può dire che il resto non li riguarda. Il segno celeste è visibile solo di notte. Come i beduini del deserto, i magi durante l’ardente e afoso giorno riposano: per quanto non sia detto per nulla che il loro viaggio sia sempre e comunque segnato dalle condizioni dell’afa e dell’estate. Ma essi non si guardano attorno: corrono dritti alla mèta.Eppure il loro viaggio, che resta esemplare e paradigmatico, è per molti versi un’eccezione. In realtà, il viaggio, quindi la strada - dritta via consolare o pista appena segnata, autostrada vertiginosa o sentiero sassoso

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che sia -, sono importanti non meno della mèta: anzi, in un certo senso essi stessi sono mèta, ne fanno intrinsecamente parte. Come gli adepti della postmoderna “filosofia del viaggiare”, i pellegrini sanno bene che il punto d’arrivo riveste per loro tanti più significati quanto più esso è stato atteso, meditato, desiderato durante il viaggio.

LA StrADA

I panorami visti, le difficoltà affrontate, il freddo, il caldo, il sudore, la sete, la fame, la paura, il desiderio del

riposo, la stanchezza, l’attesa, lo stupore, l’ammirazione, la commozione, il pianto, la preghiera: questo è il viaggio; questo è, soprattutto, il pellegrinaggio. La Modernità ci fascia e c’insidia: essa ci costringe a percorrere la strada in fretta e furia, ci lega all’auto, al treno, all’aereo. Eppure, proprio in questi tumultuosi tempi sta rinascendo – da Santiago a Roma; e, con magari difficoltà maggiori, perfino verso Gerusalemme – la dimensione del viaggio a piedi o al massimo in bici e perfino a cavallo. La strada va sofferta, va centellinata, va vissuta: perché il viaggio e soprattutto il pellegrinaggio sono ascèsi, cioè fatica e conquista. Arrivare al Santo Sepolcro di Gerusalemme, in Piazza San Pietro a Roma o al Portale della Gloria di Santiago discesi dal pullman o addirittura dall’aereo può essere comunque commovente ed esaltante: ma arrivarci passo dietro passo, coperti dalla polvere del viaggio ma con l’anima liberata dalla polvere dei rimorsi e rinnovata dall’acqua delle lacrime di penitenza e del silenzio interiore del viaggiare è tutt’altra cosa.

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È quanto ci ha splendidamente insegnato, in pieno Seicento, il puritano inglese John Bunyan, predicatore e perseguitato, nel suo The Pilgrim’s Progress, commovente narrazione allegorica del viaggio dell’anima da questo mondo all’Eternità: il viaggio di tutti, quello che Luís Buñuel ha trascritto in termini ardui e al limite della blasfemìa, eppur tanto penetranti e toccanti, nel film La Via Lattea.

LA StOrIA

Quando si pensa al pellegrinaggio cristiano l’immaginazione ci trasporta invariabilmente

“in pieno medioevo”. Lasciamo da parte il problema di quanto quel “medioevo” che noi immaginiamo sia davvero tale nella realtà storica: noi lo immaginiamo con le immagini de Il Settimo Sigillo di Ingmar Bergman o con quelle de L’Armata Brancaleone di Mario Monicelli, che sono in modo molto diverso tra loro due stereotipi magari geniali, che però solo chi davvero è esperto di storia del pellegrinaggio può cogliere nel loro geniale nucleo di verità, in quanto gli aspetti ricostruttivi di essa sono profondamente inesatti e falsati. In realtà, dalla Riforma protestante al Settecento illuminista la dimensione del pellegrinaggio ha subito una forte, progressiva eclisse: e solo col Romanticismo è tornata in auge, cioè proprio quando la realtà del viaggio - fino ad allora pensato come dura e faticosa necessità per alcuni, costoso privilegio (il Grand Tour) per pochi aristocratici colti e avventurosi - si è andata affermando

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fino a dar luogo a un genere letterario che, da Loti a Melville a Conrad alla Blixen a Chatwin, ha senza dubbio recuperato alcuni salienti aspetti dell’antico “genere odoeporico”, ma si è sempre più andato caricando di valori esistenziali, filosofici e antropologici.

A CIASCUNO LA SUA StrADA

Come ha ben compreso e spiegato proprio Chatwin ne Le vie dei canti riferendosi all’ancestrale cultura australiana,

ma cogliendone un intimo valore universale, l’essere umano “crea” la sua strada percorrendola. Mettete a confronto, separati, i racconti di due persone che abbiano entrambe percorso sul serio e per intero il Camino de Santiago dal passo di Roncisvalle fino a Compostela: non troverete due racconti uguali, spesso stenterete addirittura a riconoscere un identico percorso in descrizioni tanto differenti. La strada cambia anzitutto secondo chi la percorre: maschio o femmina, giovane o vecchio, sano o ammalato, miope o presbite, ipocondriaco o iracondo, loquace o taciturno, introspettivo o espansivo. Cambia inoltre a seconda che si viaggi di giorno o di notte, partendo di buon’ora o viaggiando fino all’ultimo filo di luce, e ancora a seconda della stagione o del clima. Qualche sciocco sostiene che la pioggia può rovinare un tratto di cammino: ma chi non ha mai visto un temporale sull’Appennino o sui Pirenei si è perso una fetta di bella esistenza. E, soprattutto, diffidate di chi esprime la massima delle stupidaggini perverse, quella che consiste nell’affermare: “A Gerusalemme (o a Roma, a Santiago, a

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Lourdes, a Fatima, a Medjugorie, a Czestochowa, a Pompei, perfino alla Verna, a Varallo o al Divino Amore: o magari anche a Delfi o a Lahsa…) ci sono già stato(-a)”. Blasfema idiozia: non si è mai già stati in luoghi come quelli, veri e propri Centro del mondo e dell’Essere. Ogni nuovo viaggio è un’esperienza che ci fa “altri”, ci fa “diversi”. I cristiani dei primi secoli, a Gerusalemme ci andavano una volta sola nella vita, per non tornar più indietro: per concludervi l’esistenza. I cristiani di oggi dovrebbero sforzarsi di tornarci di continuo, iterando rinnovando e profondendo l’esperienza come si addice a questi nostri tempi purtroppo tumultuosi, superficiali e dispersivi. Per gente disabituata al silenzio e alla concentrazione, iterare il viaggio equivale a moltiplicare le occasioni di riacciuffare il tempo perduto e a riconquistare sensazioni tralasciate o dimenticate.Infine, chi guarda al viaggio-pellegrinaggio con occhi e senso storico, tenga ben a mente che non esiste una sola via, un’unica strada alla mèta. Come si va in pellegrinaggio per infinite ragioni, molti sono gli itinerari che si possono seguire. Nel mondo medievale, ad esempio, gli itinerari si sviluppavano secondo veri e propri “fasci viari” e ogni itinerario aveva le sue deviazioni, i suoi diverticoli, le sue mète minori e alternative. Non si va in pellegrinaggio. Si è pellegrini: lo si è sempre e comunque. La vita è un pellegrinaggio. I viaggi e i pellegrinaggi che facciamo nell’arco della nostra vita altro non sono se non metafore di essa. Mettersi in viaggio significa mettersi in gioco. Si è pellegrini anche se chiusi in una stanza, se immobilizzati in poche spanne di spazio. Viaggio è Libertà.

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E ora che siamo arrivati fin qui, ne sappiamo abbastanza per intraprendere il nostro itinerario preferito.

“L’ANGLIGENA”

Come ormai quasi tutti sanno (meno alcuni politici, qualche amministratore e i soliti “esperti” di

partito: insomma, quelli che di solito comandano e distribuiscono i fondi di ricerca), la Via Francigena non comincia affatto da Canterbury. Da quella città anglosassone, destinata del resto di lì a un paio di secoli a divenire un illustre centro di pellegrinaggio dedicato al martire Thomas Becket – e come tale restata famosa nei secoli grazie al capolavoro di Joffrey Chaucer -, si limitò a partire alla fine del X secolo il suo vescovo, Sigerico, diretto ad limina Petri: e del suo viaggio a Roma ci lasciò una preziosa, puntigliosa descrizione che costituisce per noi una splendida fonte.Il punto è che il viaggio del vescovo Sigerico divenne, parecchi anni fa, materia per un fortunato programma della BBC che, diffuso poi in molti paesi europei, provocò un giustificato interesse: ma mise anche in circolazione il pregiudizio che la Francigena cominciasse da Canterbury.Niente di più errato. Qualcuno ha ironicamente osservato che, in quel caso, l’avrebbero chiamata Angligena. Sigerico aveva tutto il diritto di partire dalla sua città, ma essa non era per nulla un “capolinea” dell’itinerario che egli percorse. Da parte sua, egli attraversò la Francia e parte dell’attuale Svizzera, scese quindi in Lombardia

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e, attraverso Pavia, raggiunse Piacenza dove un grande ponte consentiva ai pellegrini di passare il Po. Là, appunto, s’incontrò con la Francigena, della quale da lì in poi fu fedele illustratore sino a Roma.

LA rEtE VIArIA

Beninteso, non è che non avesse viaggiato, fino a Piacenza, su strade meno importanti. Esisteva già in

tutta l’Europa del tempo, che aveva ormai già superato i confini romani del Reno e del Danubio e stava allargandosi oltre, verso l’Elba e la Vistola, una rete viaria complessa, in parte costituita da quel che restava dell’impianto consolare e imperiale romano, in parte fatta da nuovi sentieri che seguivano altre logiche e altri percorsi.Ma bisogna intendersi a proposito di quelle “vie”. A parte appunto quelle che sopravvivevano dall’età romana, ma che erano in parte destrutturate e modificate, si trattava di cammini più stretti, privi del caratteristico manto stradale in pietra (anzi, le grandi lastre romane erano sovente state divelte e riutilizzate come materiali edilizi), che seguivano tortuosamente le curve del terreno alle quali si adeguavano e il cui fondo di ciottoli o di terra battuta si arrestava sull’orlo dei fiumi in corrispondenza raramente di ponti in legno o in muratura, più spesso di guadi. Rispetto alle strade romane o anche a quelle alle quali noi siamo abituati, quei sentieri conoscevano di solito molte variabili e si riunivano solo in punti obbligati quali, appunto, guadi, ponti, passi montani, centri urbani che costeggiavano o che attraversavano e ch’erano spesso

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a loro volta un’eredità del tempo romano. Solo nell’Europa settentrionale e centrale, a partire grosso modo dal secolo VIII-IX, si cominciarono a costruire città nuove, mentre le vecchie andarono lentamente ripopolandosi solo in quello seguente.

LE VIE D’ACqUA

In quei lunghi secoli di scarsa mobilità (per quanto una certa “erranza”, legata alla transumanza o anche

all’agricoltura esercitata in terreni poveri e avari, che presto si esaurivano e dovevano essere abbandonati a riposo almeno per qualche tempo), a parte le torme o le carovane di nuovi “invasori-incursori” - àvari nel VII-VIII secolo, ungari nel X, normanni e saraceni a loro volta tra IX e X, ma prevalentemente sulle coste o nelle aree da esse raggiungibili - poca gente si spostava: e quella poca preferiva andar per acqua (sul mare o anche sui laghi, lungo i fiumi e i rari canali) che non per terra, dove le strade erano cattive, le aree disabitate e invase dai boschi e dalle paludi erano molte ed estese, i rischi d’imbattersi in belve o in malintenzionati o anche semplicemente in dure intemperie erano comuni. Caduti in disuso come mezzi di trasporto i carri, ci si spostava a piedi, a cavallo, a dorso di mulo o d’asino. Ma le strade - in realtà quasi sempre sentieri, spesso mal tracciati e poco riconoscibili tra brughiere, boschi, paludi e passi montani - venivano il più possibile evitate a vantaggio delle vie d’acqua.

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SECONDO MILLENNIO

Le cose cominciarono a cambiare verso la fine del X secolo, allorché - in seguito a un complesso di concause

climatiche, geostoriche e socioeconomiche - la popolazione europea prese ad aumentare: ciò determinò la necessità di vaste campagne di diboscamento e di bonifica, al fine di trasformare il terreno incolto in campi e in prati, in modo da provvedere all’accresciuta domanda di prodotti alimentari e di legname per l’edilizia. Sorsero nuove città, quelle che già c’erano s’ingrandirono e si organizzò tra esse una fitta rete stradale affidata al controllo e alla manutenzione dei vari poteri signoriali nonché di enti religiosi o caritatevoli i quali s’incaricarono di gestire ospizi per i viandanti.Sulle strade transitavano contadini in cerca di nuove terre sulle quali stabilirsi a condizioni vantaggiose, guerrieri in cerca d’ingaggio mercenario, mercanti che si spostavano di “fiera” in “fiera” (cioè il mercato stagionale che si teneva, di solito attorno a un santuario, in occasione della feria, la festa patronale di un santo), e anche emarginati di vario genere (raminghi, mendicanti, fuorilegge, religiosi in odore di scarsa disciplina). Era ovvio che molti di loro assumessero l’abito e il genere di vita dei peregrini, cioè di coloro che viaggiavano per fede da un santuario all’altro e che la Chiesa sottopose, almeno fin dall’XI secolo, a un regime di tutela in quanto pauperes Dei: pena la scomunica, che comportava una sorta di “morte civile” e quindi la messa al bando dalla società, era proibito assalirli, derubarli, farli oggetto di violenza. Gli hospitia o hospitalia, il numero dei quali andava moltiplicandosi specie in prossimità

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dei passi difficili (ponti, guadi, luoghi particolarmente desolati, gioghi montani), assicuravano a questi viandanti ch’erano provvisti di speciali distintivi di riconoscimento una caritatevole ospitalità. Era d’altronde ovvio che sotto le spoglie del pio pellegrino poteva celarsi di tutto: da qui la diffidenza dalla quale, insieme con la simpatìa e la solidarietà, questi viaggiatori erano circondati. E fiorivano anche le leggende: angeli pellegrini, santi pellegrini, diavoli pellegrini…

DI SANtUArIO IN SANtUArIO

Il pellegrinaggio, tradizione viva con nomi e con usi differenti un po’ in tutte le religioni che si sono

avvicendate nella storia dell’umanità, era nato in area cristiana molto presto, come probabile adattamento della aliah ebraica la cui mèta era però non il Tempio di Gerusalemme o quel che ne rimaneva dopo la distruzione del 135, bensì il probabile luogo del Calvario e del Sepolcro di Gesù. Attorno al 330, l’imperatrice Elena madre di Costantino aveva organizzato la rete dei santuari di Terrasanta; frattanto, si era radicata anche la tradizione del pellegrinaggio romano ai luoghi della sepoltura degli apostoli Pietro e Paolo, quindi quella relativa a vari santuari d’Egitto e di Siria, ricchi di reliquie e famosi per i miracoli che vi avvenivano.Le visite devote alla sepoltura di Pietro iniziarono si può dire all’indomani del suo martirio: l’area sepolcrale attigua al Circus Gai et Neronis costruito nell’ager Vaticanus era analoga alle altre che si sviluppavano lungo i tratti

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suburbani delle vie che si dipartivano dall’Urbe. Più tardi, poco a poco, le visite devote si allargarono ai cimiteri catacombali e Roma divenne ben presto la mèta di pellegrini e di cercatori di reliquie.Diradati fra VI e VII secolo, poi di nuovo durante i lunghi decenni tra le metà circa del IX e quella del X secolo caratterizzati dall’insicurezza delle strade, dal polverizzarsi dei pubblici poteri e dalle incursioni «barbariche», i pellegrinaggi ripresero con forza a partire dallo scorcio del I millennio: sia per la nuova era d’ordine e di prosperità che sembrava profilarsi con la dinastia ottoniana, sia per la congiunta volontà dei vescovi di Roma e degli imperatori romano-germanici, che avevano fatto ogni sforzo affinché l’Urbe assumesse in Occidente quel ruolo centrale di cui lo spostamento a oriente dell’asse dell’impero prima, il frazionarsi della pars Occidentis di esso in monarchie rette da sovrani barbari poi le avevano a lungo l’avevano privata. Più tardi, con l’inizio della Reconquista in terra di Spagna e l’attività dell’abbazia di Cluny, alle due grandi mète tradizionali del pellegrinaggio cristiano-occidentale si sarebbe aggiunto anche il santuario di San Giacomo in Galizia, Santiago de Compostela.

I NUOVI PELLEGrINAGGI

Gli eventi destinati a rivoluzionare e a ridefinire la rete viaria dei pellegrinaggi in pieno medioevo

furono essenzialmente tre: il sorgere - in seguito a una serie di apparizioni a partire dal VI secolo - di un

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sistema di santuari dedicati all’arcangelo Michele che dalla Normandia-Bretagna attraverso le Alpi occidentali portava i pellegrini fino alla grotta del Monte Gargano, in Puglia; l’inventio nella diocesi di Iria Flavia (La Coruña, in Galizia) di un sepolcro che venne identificato con quello di San Giacomo “il Maggiore” e attorno al quale si sviluppò un devoto pellegrinaggio che a partire dal X secolo accompagnò anche le vicende della Reconquista cristiana della penisola iberica, che dall’VIII secolo era stata oggetto di un’invasione arabo-berbera e di conseguenza di una profonda islamizzazione; infine l’affermarsi di un pellegrinaggio verso Colonia, dove nel 1164 erano state trasferite da Milano le reliquie attribuite ai tre re magi. Si venne così a costituire una nuova rete viaria, che con due brevi tratti in mare, attraverso il canal d’Otranto e quindi il Bosforo - collegava i massimi centri di pellegrinaggio, cioè le città-santuario di Santiago de Compostela, di Roma, di Costantinopoli e di Gerusalemme, raccordandoli attraverso un capillare sistema di itinerari e diverticoli “minori” ad altri santuari, centri di culto soprattutto (ma non solo) mariani e micheliti. Vanno ricordati almeno Mont-Saint-Mi chel tra Normandia e Bretagna, San Michele della Chiu sa in Piemonte e Monte Gargano, ma anche i san tuari mariani come Le Puy, Orcival, Rocamadour e Chartres; e ancora quello di Santa Fede di Conques, e poi il Santo Volto di Lucca e molti altri, fino a una quanti tà di luoghi di culto minori e di stationes, ciascuno se gnato però da un suo ruolo e da una sua importanza.

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Va tenuto presente che si trattava di una rete viaria costituita da fasci di itinerari che sovente mutavano percorso: per comprenderne struttura e funzione bisogna ricorrere al concetto di “area di strada”, elaborato dall’illustre medievista piemontese Giuseppe Sergi, che aiuta a rendersi conto della sua importanza territoriale che interessava per intero le regioni attraversate.La prima memoria coerente del viaggio devozionale alla volta di Roma ci giunge dalla prestigiosa cristianità celtoibernica, cioè irlandese: si tratta del viaggio di san Dustano. Dopo di lui, la più antica testimonianza al riguardo ci è stata lasciata, da un nostro vecchio amico, Sigerico arcivescovo di Canterbury, che tra 990 e 994 redasse uno scarno ma per noi prezioso elenco delle chiese e dei santuari romani visitati, nonché delle tappe - le submansiones - percorse durante il viaggio di ritorno verso la sua diocesi, da Roma usque ad mare, cioè al canale della Manica, non lontano da Calais.

LE VIE IN tOSCANA

Per quanto riguarda in special modo l’Italia, una descrizione delle vie terrestri fra X e XII secolo, ma che

venne usata a lungo anche in seguito e che, attraverso molti mutamenti, resta valida ancor oggi, potrebbe cominciare da un passo appenninico: quello della Cisa, cioè il Mons Bardonis che del resto almeno dal VI secolo dominava le comunicazioni tra Piacenza e Lucca (cioè tra pianura padana e Toscana) e che sarebbe rimasto fondamentale nel sistema viario fino a tutto il Settecento: in Toscana esso era

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noto anche come “Passo dei Longobardi”.Abbandonate o comunque entrate in disuso almeno per larghi tratti le vecchie vie consolari romane, il sistema di comunicazioni che percorreva l’antica Tuscia fondandosi sulle vie Aurelia lungo il Tirreno e Cassia nell’interno entrò in crisi: e si provvide gradualmente a sostituirlo con una strada che attraversava la regione da sud a nord, vale a dire appunto dal lago di Bolsena al passo della Cisa. Fu questa la gloriosa, oggi tornata celebre Via Francigena, nota anche come Via Romea (ma questa è una denominazione ch’essa condivideva con altri tratti viari italici) o semplicemente come Via Peregrinorum. Provenendo da Roma, e attraversati i centri urbani di Siena e di Lucca, tale via varcava appunto la Cisa per passare il Po a Piacenza e da lì, attraverso il Monferrato e il Piemonte, giungere sino al valico alpino. Al di là delle Alpi, attraverso la Borgogna e la Provenza, la strada continuava fino a valicare i Pirenei ai due passi di Somport e di Roncisvalle: e, una volta nella penisola iberica, si univa agli altri itinerari provenienti dal nord e dal centro della Francia per costituire un solo prestigioso tratto, il cosiddetto Camino de Santiago, che dall’Aragona e dalla Navarra conduceva a Compostela in Galizia, al santuario cioè di Santiago.

LA FrANCIGENA

Il tracciato ordinario della Francigena, peraltro ricco di possibili deviazioni e articolazioni, si può

descrivere facilmente. Essa scendeva dal Moncenisio e dalla Valdisusa seguendo un itinerario da nord-ovest

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verso sud-est; attraversava il Po a Piacenza, proseguiva per Parma, San Donnino (Fidenza) e Modena, passava l’Appennino al Mons Bardonis (il passo della Cisa) e di là giungeva a Lucca, la città dove i pellegrini potevano venerare il crocifisso miracoloso detto “Santo Volto”. Proseguendo per Altopascio, sede di un noto ospedale, e passato l’Arno nell’area paludosa di Fucecchio, la strada si snodava per la Toscana tagliandola grosso modo in due secondo una direttrice nord-sud est.Dopo Siena, poco più a sud della valle del Paglia, al confine della Tuscia propriamente detta, sorge Acquapendente, limite meridionale dei beni dell’Abbazia di San Salvatore, che ivi possedeva anche una taverna. V’è certo un rapporto, fra questa taverna e il passaggio dei pellegrini: ma esso risulta ancor più chiaro se teniamo presente che Acquapendente è una statio importante nella quale probabilmente già nel X secolo si elevava un edificio speciale dedicato ai pellegrini, una «memoria» del Santo Sepolcro, che si affaccia appunto in prossimità dell’antico tracciato della Francigena: essa conserva nella sua grande cripta dell’VIII-IX secolo un sacello cu-bico che, se non all’esterno, ripete almeno nell’interno con una notevole fedeltà l’impianto dell’edicola geroso-limitana del Sepolcro. La datazione del sacello è pur-troppo insicura: siamo comunque in grado di collegarla al pellegrinaggio romano a sua volta sentito come statio nei confronti di quello gerosolimitano.

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VErSO LA tErrA SANtA

Dall’Urbe si poteva seguire quindi l’antica Appia che passava nei pressi del santuario di Montecassino

e quindi, dopo lo snodo di Benevento, si sdoppiava in un’Appia propriamente detta - che giungeva a Brindisi attraverso il percorso interno dopo aver toccato il porto di Taranto - e un’Appia-Traiana che invece, puntando a est-nordest e quindi a sud-est attraverso Canosa, arrivava anch’essa a Brindisi seguendo un percorso semicostiero.I tracciati mutarono, in seguito, col mutare delle condizioni geostoriche e della sensibilità religiosa. Si può tuttavia dire che l’asse viario europeo tra la Galizia e la Puglia costituì la colonna vertebrale attorno alla quale si organizzarono gli altri pellegrinaggi: e quindi la strada lungo la quale sorsero le abbazie, le cattedrali e le università che hanno fatto l’Europa.

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Sulla Via Francigenain Sei Mosse

Le visite guidate avverranno in contemporanea nelle

seguenti date:14 - 21 - 28 Febbraio7 - 14 - 21 - 28 Marzo

11 - 18 - 25 Aprile9 - 16 - 23 - 30 Maggio

Prezzo di ogni singolo evento48 euro Soci Coop200 euro non Soci

Info e prenotazioniArgonauta Viaggi Centro*Empoli

Via Raffaello Sanzio 199/12Tel. 057183402

[email protected]

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LUCCAOre 8,30 Piazza Caduti del Lavoro, Lucca. Incontro con le guide de La Giunchiglia.La visita inizierà al Museo Nazionale di Villa Guinigi, continuando con la chiesa di San Frediano, il vicolo dell’Altopascio dove si trovava una magione dei Cavalieri del Tau e San Michele con i riferimenti a San Davino. Poi nella zona sud con San Giovanni dove si trovava un hospitium, proseguendo per San Martino con il labirinto e il Volto Santo e infine al Museo della Cattedrale.Il pranzo a buffet con prodotti in prevalenza lucchesi, forniti da Unicoop Firenze, sarà curato nell‘Arcivescovado

dai volontari della Caritas Diocesana.EVENTO Lucca, visita dell’Archivio

Diocesano nel Palazzo Arcivescovile, riconosciuto dall’Unesco Patrimonio

mondiale dell’umanità per i documenti altomedievali.

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ALTOPASCIO, PADULE DI FUCECCHIO E FUCECCHIOOre 8 Piazza Benedetto Croce presso l’edicola Regoli, Altopascio. Incontro con la guida de La Giunchiglia e l’accompagnatrice.Visita guidata del centro storico di Altopascio, trasferimento in bus a Chimenti, per raggiungere a piedi la Chiesa del Galleno. Da qui in bus ad Anchione e al Casin del Lillo per imbarcarci sui barchini per attraversare il Padule di Fucecchio. Incontro con la guida ambientale all’osservatorio faunistico. Poi a piedi al Porto delle Morette per andare in bus a Fucecchio, per il pranzo a buffet, prevalentemente del territorio, con prodotti forniti da Unicoop Firenze, curato dal Movimento Shalom.Seguirà la visita del Centro Storico di Fucecchio e del Museo Civico sezione medievale, che si concluderà nel Palazzo della Volta sede della Fondazione Montanelli Bassi.EVENTO Fucecchio, Fondazione Montanelli Bassi, lettura di testi in prosa e poesia di ispirazione religiosa e profana, a cura dell’attore Andrea Giuntini.

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SAN MINIATO, CERTALDO E CASTELFIORENTINOOre 8 Rotonda Castellonchio, San Miniato Basso. Incontro con l’accompagnatrice.Trasferimento in bus a La Scala al sito archeologico di San Genesio.

Di origine etrusca, si trovava in epoca medievale al centro

di vie di comunicazione di primaria importanza. Verso la fine del VII

secolo d.C. vi fu costruita la prima pieve. All’inizio

del X secolo la pieve si ingrandì a seguito di una donazione al Vescovo di

Lucca. Intorno alla chiesa e al cimitero si sviluppò così un borgo che nel 1248 fu distrutto dagli abitanti del castello di San Miniato. A San Miniato il convento di San Francesco sorge sul colle dove un gruppo di Longobardi fuoriusciti da Lucca fondò nel 783 una cappella dedicata al protomartire Miniato, diffusore del Cristianesimo in questa parte di Toscana. Il centro storico conserva integro l’impianto medievale e le suggestioni legate alla spiritualità cristiana. San Miniato al centro della Toscana, fu la sede dei vicari degli imperatori svevi in Toscana. Traferimento fino alla località Rimorti per percorrere a piedi 3 km della Francigena fino alla Via Maremmana. Poi in bus fino alla Coop di Certaldo per il

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pranzo a buffet a cura della Croce Rossa o della Misericordia. Dopo pranzo si sale a Certaldo alta che conserva intatto il suo aspetto medievale.EVENTO Certaldo, Casa Boccaccio, lettura di una novella del Decameron a cura di L’Oranona Teatro.Trasferimento in bus alla Pieve di Santa Maria a Chianni e tappa finale a Castelfiorentino, visita del Museo di Santa Verdiana. Cena a buffet a cura dell’associazione C.E.T.R.A. nel nuovo Museo Benozzo Gozzoli.EVENTO Castelfiorentino, Chiesa di San Francesco, concerto dell’Orpheus Ensamble.

SAN GIMIGNANO, COLLE DI VAL D’ELSA E POGGIBONSIOre 8, località Drove, Poggibonsi Nord. Incontro con la guida di PromoguideSiena. Trasferimento in bus a San Gimignano, dove la Francigena si snoda in mezzo alle famose Torri, visita della chiesa di San Iacopo. In bus fino alla valle sotto Campiglia per proseguire poi a piedi fino alla Badia a Conéo. Da qui in bus a Colle di Val d’Elsa alla scoperta del borgo medievale.Pranzo a cura dell’Associazione Donne di Castello. Trasferimento a Poggibonsi, sul Poggio Bonizio.EVENTO Poggibonsi, Archeodromo, viaggio nel tempo all’interno di un villaggio dell’epoca di Carlo Magno.

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POGGIBONSI MONTERIGGIONI, ABBADIA A ISOLA E LA ROCCA DI STAGGIAOre 8.30 Poggibonsi Salceto. Incontro con la guida di PromoguideSiena.Trasferimento in bus a Monteriggioni, la roccaforte senese fondata a difesa dei confini nord della repubblica nel 1213, per andare poi a piedi fino all’antica Abbadia a Isola. Di nuovo in bus fino a Poggibonsi per il pranzo a buffet con prodotti tipici della Val d’Elsa presso la Pubblica Assistenza. Trasferimento in bus alla Rocca di Staggia, all’avanguardia fin dal Medioevo, che adottò nel 1300 “lo stile elegante dei Franzesi” cavalieri del re di Francia.EVENTO Staggia, incontro con i volatili notturni: guidati da esperti falconieri, gufi e barbagianni si poseranno a richiesta sulle braccia dei visitatori, risvegliando in ciascuno l’armonia fra uomo e animale.

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SIENAOre 8.30 Siena, Palasport. Incontro con le guide di Promoguidesiena.A Siena la via Francigena ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione e nel consolidamento delle strutture urbanistiche medievali. Ne percorreremo interamente il tratto urbano partendo da Porta Camollia. Si passa davanti alla Chiesa della Magione che fu retta dai Templari prima e dagli Ospitalieri successivamente. Tappa fondamentale, l’antico Ospedale di Santa Maria della Scala in piazza Duomo.Pranzo a buffet con prodotti senesi forniti da Unicoop Firenze, a cura della Misericordia, nella sede subito fuori Porta Tufi. Dopo pranzo trasferimento in bus a Porta Romana da cui inizia il percorso a piedi del tratto meridionale della Francigena, ricongiungendosi a quello percorso al mattino con tappa alla Chiesa di San Leonardo.EVENTO Siena. Gli attori della Compagnia La Lut ci accompagneranno con la loro performance a scoprire i luoghi e i modi dell’accoglienza ai pellegrini nell’Ospedale di Santa Maria della Scala.

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Indice

Il Viaggio ........................................pag. 5

Il Pellegrino ........................................pag. 6

La Mèta ........................................pag. 7

La Strada ........................................pag. 8

La Storia ........................................pag. 9

A Ciascuno La Sua Strada ........................................pag. 10

“L’Angligena” ........................................pag. 12

La Rete Viaria ........................................pag. 13

Le Vie D’acqua ........................................pag. 14

Secondo Millennio ........................................pag. 15

Di Santuario In Santuario ........................................pag. 16

I Nuovi Pellegrinaggi ........................................pag. 17

Le Vie In Toscana ........................................pag. 19

La Francigena ........................................pag. 20

Verso La Terra Santa ........................................pag. 22

Sulla Via Francigena in Sei Mosse ........................pag. 23

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