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Il segreto linguaggio pittorico del Botticelli “Meritò Sandro gran lode in tutte le pitture che fece, nelle quali volle mettere diligenza e farle con amore come fece la detta tavola de’ Magi di S. Maria Novella, la quale è meravigliosa”, scrisse di lui Giorgio Vasari evidenziando due rare doti non facili da trovare in un artista: l’amore e la solerzia. Alessandro di Mariano Filipepi, “chiamato a l’uso nostro Sandro, e detto di Botticello” nacque a Firenze nel 1445 da una famiglia modesta ma di sani principi morali e di molti interessi culturali. Vasari nel suo “Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori”, ricorda la personalità inquieta di Alessandro Filipepi che non “si contentava di scuola alcuna, di leggere, di scrivere o di abaco; di maniera che il padre infastidito di questo cervello sì stravagante lo pose a lo orefice con un suo compare chiamato Botticello, assai competente allora in quell’arte.” L’inquietudine e la “stravaganza” non vanno certo visti come un aspetto negativo del comportamento del giovane artista, ma al contrario dettati dal desiderio di ricercare una conoscenza ben più profonda rispetto a quella richiesta dai ragazzi della sua età. Fu dunque il padre stesso che, dopo averlo “diligentemente allevato e fatto istruire in tutte quelle cose che usanza è d’insegnarsi a’ fanciulli”, decise di metterlo a lavorare presso una bottega d’orafo, allora frequentata dai maggiori pittori rinascimentali, insieme a suo fratello maggiore chiamato Botticello che si occupò dell’educazione di Sandro ed a cui - secondo il Vasari - passò il soprannome. Sarà grazie all’attività di orafo ed all’incontro con il suo futuro maestro Filippo Lippi, che il Botticelli si appassionerà sempre di più alla pittura senza però rinunciare a quell’abilità nel 1

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! Il segreto linguaggio pittorico del Botticelli

“Meritò Sandro gran lode in tutte le pitture che fece, nelle quali volle mettere diligenza e farle con amore come fece la detta tavola de’ Magi di S. Maria Novella, la quale è meravigliosa”, scrisse di lui Giorgio Vasari evidenziando due rare doti non facili da trovare in un artista: l’amore e la solerzia.Alessandro di Mariano Filipepi, “chiamato a l’uso nostro Sandro, e detto di Botticello” nacque a Firenze nel 1445 da una famiglia modesta ma di sani principi morali e di molti interessi culturali. Vasari nel suo “Le Vite dei più eccellenti pittori, scultori e architettori”, ricorda la personalità inquieta di Alessandro Filipepi che non “si contentava di scuola alcuna, di leggere, di scrivere o di abaco; di maniera che il padre infastidito di questo cervello sì stravagante lo pose a lo orefice con un suo compare chiamato Botticello, assai competente allora in quell’arte.”L’inquietudine e la “stravaganza” non vanno certo visti come un aspetto negativo del comportamento del giovane artista, ma al contrario dettati dal desiderio di ricercare una conoscenza ben più profonda rispetto a quella richiesta dai ragazzi della sua età. Fu dunque il padre stesso che, dopo averlo “diligentemente allevato e fatto istruire in tutte quelle cose che usanza è

d’insegnarsi a’ fanciulli”, decise di metterlo a lavorare presso una bottega d’orafo, allora frequentata dai maggiori pittori rinascimentali, insieme a suo fratello maggiore chiamato Botticello che si occupò dell’educazione di Sandro ed a cui - secondo il Vasari - passò il soprannome.Sarà grazie all’attività di orafo ed all’incontro con il suo futuro maestro Filippo Lippi, che i l Botticell i s i appassionerà sempre di più alla pittura senza però rinunciare a quell’abilità nel

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disegnare elaborati dettagli, spesso impreziositi con l’oro, che l’arte orafa insegna.La ricerca delle antiche Tradizioni e dell’Ermetismo stavano caratterizzando il mondo artistico e letterario della seconda metà del Quattrocento in Firenze e Sandro Botticelli non rimase certo insensibile a quell’arcaico richiamo che aveva fatto già nel Medioevo la sua comparsa.Furono gli arabi a trasmettere ai Cavalieri Templari la tradizione ermetico-alchemica che venne a diffondersi in tutto l’Occidente. Quel sapere, intorno al X secolo, arrivò anche presso personalità del mondo ecclesiastico, come papa Silvestro II che, spinto da una sua personale ricerca sapienziale, entrò in contatto con la cultura araba per trarne conoscenze aritmetiche, astronomiche ed astrologiche che lui stesso diffuse a Reims e da lì in tutta Europa.Alla morte di Jaques de Molay, ultimo grande Maestro Templare, quel sapere per lunghi anni rimase occultato, ma durante il Concilio di Firenze del 1439, grazie all’erudizione di grandi personaggi del mondo orientale come Giorgio Gemisto Pletone ed il cardinale Giovanni Bessarione, rifece la sua comparsa.

In quegli anni iniziarono a giungere in Firenze, in virtù della visione illuminata di C o s i m o i l Ve c c h i o , u n n u m e r o considerevole di testi ermetici che stavano riportando alla luce la stessa conoscenza segreta che aveva affascinato le menti dei più grandi artisti, letterati e architetti del Medioevo. Tra i più coinvolti furono i pittori che, seguendo i dettami di una conoscenza e s o t e r i c a p r o f o n d a e n o n c e r t o comunicabile a tutti, inserirono nei loro quadri simboli e allegorie capaci di velare al “profano” quelle arcaiche conoscenze. In questo contesto nacquero numerosi capolavori dal segreto contenuto simbolico-

alchemico la cui decifrazione era nota solo al pittore, al suo committente ed a pochissimi altri personaggi segretamente interessati all’Ermetismo.

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Sandro Botticelli fece parte di quel numero di artisti che, mossi dalla continua ricerca della bellezza e d e l l ’ a r m o n i a p r o f e s s a t a dall’Accademia Neoplatonica del Ficino, intrapresero quello stesso c a m m i n o s a p i e n z i a l e g i à sperimentato dai Templari, dai Rosa Croce e dai Fedeli d’Amore.Fu grazie a questo antico richiamo che il pittore fu accolto nell’Ordine Iniziatico del Priorato di Sion, fondato da Goffredo di Buglione intorno al 1099, e assimilato all’Ordine Templare.Quest’organizzazione segreta, il cui sapere spaziava dalle lettere, alla musica e alla pittura, contava tra i suoi iscritti “membri distinti” appartenenti

all’Ordine Mistico Rosae Crucis e nomi di alchimisti famosi come Jean de Gisors e Nicolas Flamel. Nel XV secolo entrarono nel Priorato di Sion anche uomini illustri come Renato d’Angiò, Leonardo da Vinci, lo stesso Sandro Botticelli e, nei secoli successivi, vi aderirono importanti personalità del mondo culturale europeo quali Robert Fludd, Isaac Newton, Victor Hugo, Claude Debussy.

Figura di grande rilievo fu il conte Renato d’Angiò, duca di Bar e di Lorena, Re di Napoli e Re di Gerusalemme, nominato anche Guardiano del Santo Sepolcro. Le Bon Roi René è ricordato dagli storici oltre che come coraggioso condottiero al fianco di Giovanna d’Arco, anche quale mecenate illuminato, scienziato, economista, fine letterato, conoscitore di greco ed ebraico, nonché amico stimato di Cosimo il Vecchio.La crescita artistica e intellettiva di Sandro Botticelli avvenne dunque in questo contesto storico che aveva visto Firenze diventare culla dell’Umanesimo e punto fondamentale d’incontro di tutta la cristianità.

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I maggiori esponenti del mondo cristiano occidentale e orientale, al l ’ interno di Santa Maria Nove l la , avevano messo a confronto fedi e conoscenze differenti riportando alla luce un sapere antico che mirava a diffondere il pensiero di Platone, in netta opposizione alle dottrine aristoteliche fino ad allora adottate.Botticelli seppe assorbire tutto quell’antico sapere divenendone uno dei maggiori interpreti e, dall’apprendistato di orefice, nel 1460 passò all’apprendistato di pittore presso la bottega del monaco carmelitano Filippo Lippi, uno dei pittori più apprezzati dalla famiglia Medici. Qui non solo fu istruito sull’uso della prospettiva, ma fu anche introdotto allo studio della composizione e preparazione dei colori, ottenuti dalla macinazione di pietre dure mescolate con la giusta quantità di legante: conoscenze che provenivano dall’Oriente. Come del resto dall’Oriente era giunto in quell’anno il “Corpus

Hermeticum”, il più antico testo di Dottrina Ermetica che confermò gli studi già intrapresi dal Ficino e dall’Accademia Neoplatonica, sulla Magia, l’Astrologia, la Kabbalà e l’Alchimia.Quindi se Sandro Botticelli venne definito anche dal Vasari “persona sofistica” e dotato di un “cervello sì stravagante”, possiamo intuire che dietro ad ogni sua originalità e bizzarria vi era al contrario una grande “raffinatezza mentale”, la

stessa che aveva acquisito seguendo l’iter di preparazione iniziatica per rivestire il ruolo di Gran Maestro del Priorato di Sion e per diventare il pittore ufficiale della Famiglia Medici e dell’Accademia ficiniana.Tra il 1470 e il 1482, Botticelli cominciò a dipingere opere di carattere biblico con inserimenti di protagonisti del suo periodo storico, ma sempre rispettando i canoni della bellezza, dell’armonia e del simbolismo ermetico.

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Vasari non a caso definì l’“Adorazione dei Magi”, dipinta dal g i o v a n e p i t t o r e intorno al 1475, una “tavola meravigliosa”, perché densa sia di significati religiosi che di rimandi allegorici. Originale è la visione frontale della scena con la Sacra Famiglia r i u n i t a i n un’organizzaz ione prospettica triangolare il cui vertice va a

culminare nello splendore di una luce divina che scende dall’alto in un sottile irradiamento di raggi dorati. Ai due lati, sempre seguendo quella medesima simmetria prospettica, sono stati raffigurati personaggi nei quali possiamo ravvisare i maggiori rappresentanti della casata e della corte medicea. Il voler immortalare Cosimo il Vecchio e i figli Piero e Giovanni come Re Magi e unire a loro anche Lorenzo il Magnifico, Angelo Poliziano, Pico della Mirandola, Giovanni Argiropulo e il suo stesso autoritratto, ci fa capire quanto il Botticelli reputasse attuale il messaggio della Natività.Anche l’insolita ambientazione di quella capanna tenuta su da due tronchi d’albero, mentre tutt’intorno si respira un senso di morte e di

“rovina”, fa riflettere fortemente. Solo il Bambino Divino è capace di riportare la vera Vita nel mondo e quelle pianticelle verdi che forano la pietra del vetusto t e m p i o i n rov i n a , s o n o l ì a testimoniare la vigoria del suo esempio e della sua Parola. Un regale pavone, simbolo d’immortalità, appollaiato sul lato sinistro del dipinto, ricorda per la bellezza e

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l’iridescenza del suo piumaggio, le doti di giustizia e di incorruttibilità del Figlio di Dio.Nonostante la giovane età in cui Botticelli dipinse questa tavola, traspare evidente la maturità espressiva che in lui si stava formando. La luce che pervade il dipinto è quella del crepuscolo in cui i toni si fanno più caldi e tutti i personaggi appaiono raccolti in una sorta di meditazione. Il crepuscolo, secondo Tommaso Palamidessi, è l’ora in “cui i pensieri si volgono verso il Signore, perché ogni cosa scompare nel buio della notte, e lo spirito incomincia a porsi le domande sul mistero della

creazione”, e il quadro del Botticelli sembra voler immortalare quel medesimo stato interiore.Già del 1472 Sandro Botticelli risultava iscritto alla Compagnia di San Luca che raggruppava i maggior pittori, scultori e architetti di quell’epoca. Questa corporazione, fondata nel 1339, nacque per riconoscere l’eccellenza degli artisti, sottolineare la nobiltà del loro impegno ed assicurare la trasmissione della loro arte con un adeguato insegnamento. Intorno alla metà del XV secolo facevano parte degli associati anche Benozzo Gozzoli, Donatello, Lorenzo Ghiberti e Leonardo da Vinci e le loro opere venivano direttamente commissionate dalla Casata medicea, sempre attenta a mettere in risalto la più alta

e s p r e s s i o n e artistica. Quindi, quando nel 1481 il Botticelli verrà chiamato a Roma da papa Sisto IV della Rovere per la decorazione pittorica parietale della Cappella Sistina, sarà anche grazie all’intercessione di Lorenzo il Magnifico, suo grande estimatore e amico, che lo incoraggiò nell’accettare quel ragguardevole invito.Sisto IV commissionò all’artista tre storie bibliche da illustrare sulla parete sinistra della Cappella, fornendo lui stesso il programma iconografico. 6

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Le “Prove di Mosé”, le “Prove di Cristo” e la “Punizione dei sacerdoti ribelli”, furono i temi dell’Antico e del Nuovo Testamento da lui raffigurati. Nelle “Prove di Mosé”, salta agli occhi la figura del Patriarca, riconoscibile per la tunica color giallo oro ed il mantello verde - simbolo di rivelazione divina e di rigenerazione spirituale - ritratto in scene che ricordano gli episodi più salienti della sua vita e che mettono in evidenza il suo vigore e la sua vitalità. Anche nelle “Prove di Gesù” la rappresentazione figurativa si svolge in episodi che rievocano le tre tentazioni a cui il demonio sottopose Gesù Cristo nel Nuovo Testamento. Il primo episodio, sulla destra, mostra il momento in

cui il demonio, c a m u f f a t o d a umile pellegrino, vuol convincere Gesù a dar prova dei suoi prodigi; il secondo, in alto sulla sommità del tempio, fa vedere il demonio che, s o t t o m e n t i t e spoglie, istiga il Figlio di Dio a

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dar prova del suo coraggio, ed infine il terzo episodio si conclude con il diavolo che, finalmente smascherato e privato della sua falsa veste, viene spinto da Gesù stesso giù dal dirupo. Queste tre vicende si svolgono sul registro superiore del dipinto, mentre in quello inferiore lo scenario cambia: appaiono gli angeli che si serrano intorno al Cristo, un solenne sacerdote che celebra il sacrificio eucaristico e tutta una serie di personaggi che assistono a quella mistica ritualità. Infine nella “Punizione dei sacerdoti ribelli” il soggetto del dipinto è un Mosé maturo, sempre riconoscibile per la tunica d’oro ed il mantello verde, ma

questa volta la sua figura è grave e solenne: alza la ve rg a c o n t ro i sacerdoti ribelli e questi crollano su di un terreno che si apre sotto il loro peso.In tutti e tre i dipinti murali il giovane Botticelli mostra una vigoria di pennellata ed

una ricchezza di particolari sorprendenti. Le Sacre Scritture vengono da lui reinterpretate conferendo alle movenze dei personaggi dinamismo ed originalità. Come nel quadro dell’ “Adorazione dei Magi”, nelle tre opere pittoriche sopra citate, appaiono rimandi architettonici che legano l’antico con il moderno, il passato con il presente, con il medesimo intento di attualizzare il messaggio cristico e trasporlo nella realtà del suo secolo. Non mancano nemmeno sottili pennellate d’oro zecchino che impreziosiscono le vesti, le architetture ed i particolari, evidenziando l’aspetto di Luce Divina che vince il male e le tenebre.“Rientrato a Firenze da Roma, il pittore ha ormai elaborato pienamente il proprio linguaggio e dà vita a

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tutta una serie di opere straordinarie per committenze eccellenti”, scrive Carlo Bo nella presentazione de’ “I Classici dell’Arte” dedicata al Botticelli.L’esperienza artistica romana e l’amore per l’Ermetismo lo porteranno a farsi interprete della cultura neoplatonica e a realizzare opere la cui lettura

simbolica ancor oggi offre una g a m m a i n fi n i t a d i s e g r e t e interpretazioni. Le conversazioni che avvenivano, all’interno della Villa di Careggi, sull’immortalità dell’anima e sul desiderio di tendere verso l’Amore Divino depurato da ogni aspetto troppo materiale, portarono Bot t i ce l l i a r i ce rcare ne l l a “bellezza” il mezzo più sicuro per arrivare a Dio: argomento già affrontato da Ermete Trismegisto, nel suo “Corpus Hermeticum”.

“Ora non siamo sufficientemente forti per aprire gli occhi del nostro intelletto a contemplare la bellezza incorruttibile e incomprensibile di quel Bene”, affermava Ermete, invitando a indirizzare ogni risorsa della mente verso il “divino silenzio e l’inazione assoluta di tutti i sensi”: qualità da realizzare subito se vogliamo avvicinarci alla perfezione Divina. Sandro Botticelli nelle tavole dipinte tra il 1482 ed il 1484 volle raffigurare quel tema del “silenzio”, dell’introspezione e dell’armonia, e la favola m i t o l o g i c a d i v e n n e l’espressione pittorica più adatta per rappresentare Amore e Bellezza.Basta osservare il “linguaggio c h i u s o ” , e r m e t i c o , d e i personaggi mitologici impressi nella “Primavera” e nella “Nascita di Venere” per capire quanto nel pittore fosse importante questo tipo di ricerca.Per Botticelli la Natura, colta in tutte le sue più segrete manifestazioni, divenne lo specchio dell’Idea superiore che aveva dato il via a tutta la Creazione.

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Con il ritorno alla Natura vi fu anche l’inevitabile ritorno a quella mitica Età dell’Oro quando l’umano ed il Divino convivevano in armonica simbiosi. Le divinità da lui riprodotte divennero simboli di alta espressione spirituale: l’immobilità apparente dei suoi personaggi ed i loro sguardi quasi impenetrabili diventarono l’emblema di un intimo, silenzioso linguaggio capace di parlare all’anima dell’osservatore.Nella “Primavera”, le regole prospettiche sono completamente abbandonate: non vi è profondità, né prospettiva e i personaggi sono così “incorporei” da non avvertire il peso della loro figura sull’infinita gamma dei fiori a terra riprodotti.Anche la conoscenza astrologica ebbe un importante ruolo nei due celebri dipinti del Botticelli. L’astrologia, un tempo strettamente unita all’astronomia tanto da costituirne un’unica scienza, fu intesa dal Ficino e dall’Accademia Neoplatonica nel suo più genuino significato esoterico-iniziatico come ai tempi dei Santuari della Caldea, dell’Egitto e dell’India.Marsilio Ficino, abbracciando in pieno le tematiche del “Corpus Hermeticum”, aveva capito quanto il macrocosmo ed il microcosmo fossero

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in stretta corrispondenza tra loro e quanto l’astrologia, associata alla t e o l o g i a , a l l a fi l o s o fi a , all’astronomia, all’alchimia e alla medicina, fossero in grado di formare degli individui superiori, capaci di far sentire la propria influenza nel Cosmo e anche sulla Terra.“Leva dunque, lettore, all’alte ruote/ meco la vista, dritto a quella parte/ dove l’uno moto e l’altro si percuote/(...) Vedi come da indi si dirama l’oblico cerchio che i pianeti porta,/ per sodisfare al mondo chi li chiama”, scr iveva D a n t e

Alighieri nel Canto X del Paradiso, ricordando quale ruolo importante avesse la posizione dei pianeti nella vita di tutti i giorni e quanto le quattro stagioni fossero strettamente legate con le porte solstiziali ed equinoziali. In quegli anni la Natura era vissuta “come un grande corpo sacro e animato, espressione visibile dell'invisibile” e il primo giorno dell’Equinozio di

P r i m ave r a f u i n t e r p r e t a t o come il momento in cui l’energia cosmica si trova nel suo massimo vigore: una porta aperta che può condurre verso nuove intime esperienze spirituali.Sandro Botticelli aveva capito tutto questo e, dietro commissione di Lorenzo il Magnifico per il giovane cugino Lorenzo di Pierfrancesco de’ Medici, realizzò quei due quadri che lo consacrarono tra i pittori che meglio seppero esprimere l’arte ermetico-

rinascimentale di quegli anni.

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Nella “Primavera” e nella “Nascita di Venere” Botticelli si servì del mito per rivelare un messaggio di salvezza dell’anima, magistralmente reso dalle segrete allegorie dei personaggi mitologici raffigurati.Venere, protagonista indiscussa delle due opere pittoriche, divenne la Donna Celeste, regina del cosmo e “matrice universale”, capace di unire l’alto e il basso, il cielo e la terra in una stretto intimo scambio di sottili corrispondenze.Ma l’arte del Botticelli non si fermò al mito, e verso la fine del XV secolo, dopo aver conosciuto Gerolamo Savonarola, la sua ricerca spirituale divenne ancora più appassionata e le sue opere risentirono fortemente della vigorosa personalità del frate ferrarese.“Savonarola deve essergli apparso come lo spirito capace di risolvere le sue incertezze, e l’unica intelligenza in grado di offrirgli la chiave del mistero che adombrava il volto dei suoi protagonisti”, commenta Carlo Bo evidenziando quanto il linguaggio di amore spoglio da ogni aspetto materiale, professato dal Savonarola, fosse la via maestra per arrivare a Dio.

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Negli ultimi anni della sua vita i dipinti del Botticelli restituiscono l’immagine di quanto le predicazioni di fra’ Girolamo fossero vicine al suo pensiero: i l linguaggio pittorico si f a p i ù e s s e n z i a l e , scompare del tutto la prospettiva, ed i quadri si caricano di una forza allegorica di grande efficacia. Scosso fortemente dalla morte del Savonarola, intorno al 1495, Sandro dipingerà la Calunnia, “con i suoi ritmi spezzati, i gruppi di figure inquiete dai panneggi increspati” e con statue inaspettatamente risvegliate dalla tragicità della scena raffigurata. Siamo ormai lontani dalle perfezioni formali dei dipinti neoplatonici, adesso il “ s o s p e t t o ” e “ l ’ i g n o r a n z a ” , r e s i magistralmente da due figure femminili

che sussurrano malevoli insinuazioni ad un re dalle o r e c c h i e a s i n i n e , d i ve n t a n o i l m o t i vo dominate del quadro.Tutti i vizi più terribili come la calunnia, l’invidia, la frode ed il livore fanno la loro comparsa in questa tela animando quei personaggi che si muovano sulla scena in un dinamismo disarticolato di gesti e di corpi. Isolata, completamente fuori dall’area turbolenta che rappresenta la centralità della vicenda raffigurata, appare la Verità Divina, rappresentata da una fanciulla nuda, con l’indice puntato verso il cielo, che indica l’unica via sicura per sortire da quei terribili vizi.

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Tra il 1498 ed il 1501 Botticelli dipinse “Orazione nell’Orto” e “Natività mistica” due tele che m e t t o n o i n l u c e q u e l cambiamento interiore che nell’ultima parte della sua vita lo spingerà ad abbandonare del tutto le rappresentazione mitologiche per dedicarsi soltanto a dipinti sacri, ma sempre ricchi di richiami al mondo della Natura e di sottili rimandi simbolici.Nella “Natività mistica” la scenografia sorprende per la sua originalità: la capanna-g rot ta è so l ida e lasc ia intravedere in lontananza un fitto bosco illuminato da una calda luce dorata che invita ad entrare. Anche il cielo si è

aperto e si è fatto dorato e, sulle note di una musica non percepibile ad orecchio umano, dodici Angeli ruotano formando un mistico cerchio che sovrasta quel sicuro riparo. Altri tre Angeli vegliano dall’alto la Sacra Famiglia ed altri ancora si muovono attorno al Bambino per andare incontro e stringere tra le braccia giovani uomini coronati di alloro e mirto, indice delle virtù conseguite. La scena è idilliaca e carica di ermetiche allegorie. Gesù Cristo nasce nell’umanità e la sua venuta porta una sorta di “riconciliazione” tra Dio e tutti coloro che lo amano. Il male è sempre vicino ma adesso non fa più paura: piccoli, mostruosi demoni, non essendo riusciti a portare a termine la loro diabolica missione, vengono inghiottiti in neri squarci di terreno.

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La Fede, la Speranza e la Carità hanno trionfato e quei tre Angeli dalla tunica bianca, rossa e verde, inginocchiati sul tetto della sacra capanna, ricordano che solo l’Amore improntato a queste tre virtù può portare alla vera Luce.Sulla parte alta della tela appare una lunga scritta dorata in lingua greca che riporta la data del dipinto, ma anche enigmatici riferimenti a “torbidi anni” che Firenze avrebbe vissuto: parole non chiare ed alcune ormai illeggibili ma che possono trovare relazione con le omelie profetiche del Savonarola.Nella “Natività mistica” il linguaggio pittorico e simbolico dell’artista si è ulteriormente raffinato e quegli angeli scesi sulla terra per abbracciare chi si è avvicinato al Divino Bambino, invitano a realizzare quella purezza di cuore necessaria affinché l‘intima “nascita” del Figlio di Dio possa avvenire in ogni individuo. “Il tuo Dio è ovunque: ma tu cercalo nell’anima tua/ Riempie il cielo e la terra e quindi anche il tuo cuore”, affermava il Savonarola e chi meglio del Botticelli poteva rendere in immagini quelle parole?

" " “Natività Mistica”

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