Il secondo Novecento (dal 1956 ad oggi):la poesia e la narrativa Italo Calvino, narratore e teorico

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Marco Martini Il secondo Novecento (dal 1956 ad oggi): la poesia e la narrativa. Italo Calvino, narratore e teorico della letteratura EDIZIONI ISSUU.COM

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- A.S. ED A. A. 1998/99 - CONVEGNO E CORSO NAZIONALE DI AGGIORNAMENTO DI LETTERATURA ITALIANA PER INSEGNANTI DI ISTITUTI DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO SUL TEMA: “ IL SECONDO NOVECENTO (DAL 1956 AD OGGI): LA POESIA E LA NARRATIVA. SEMINARIO (GRUPPO DI LAVORO SUI TESTI) : ITALO CALVINO, NARRATORE E TEORICO DELLA LETTERATURA “, ORGANIZZARO DAL C. I. D. I. (CENTRO DI INIZIATIVA DEMOCRATICO DEGLI INSEGNANTI) VERSILIA DI F. TE DEI MARMI (LU) NEI GG. VEN. 16 (H. 15/20 E H. 21,30/23,30), SAB. 17 (H. 9/13, H. 15/17, H. 17,30/20), DOM. 18 (H. 9/13) APRILE 1999 PRESSO IL CENTRO CONGRESSI “VERSILIA HOLIDAYS” DI F. TE DEI MARMI PER LA DURATA COMPLESSIVA DI h. 20 (VENTI), AUTORIZZATO CON D. M. 26/6/98, PROT. N° 4718 DEL 3/7/98, SECONDO LE INDICAZIONI DI CUI ALL’ART. 7 DELLA DIRETTIVA 395/96, CFR. ART. 28 DEL C.C.N.L., COMMA 7 PUNTO “D” E COMMA 11.

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Marco Martini

Il secondo Novecento (dal 1956 ad

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Calvino, narratore e teorico della

letteratura

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- A.S. ED A. A. 1998/99 - CONVEGNO E CORSO NAZIONALE DI AGGIORNAMENTO DI LETTERATURA ITALIANA PER INSEGNANTI DI ISTITUTI DI ISTRUZIONE SECONDARIA DI SECONDO GRADO SUL TEMA:

“ IL SECONDO NOVECENTO (DAL 1956 AD OGGI): LA POESIA E LA NARRATIVA. SEMINARIO (GRUPPO DI LAVORO SUI TESTI) : ITALO

CALVINO, NARRATORE E TEORICO DELLA LETTERATURA “, ORGANIZZARO DAL C. I. D. I. (CENTRO DI INIZIATIVA DEMOCRATICO DEGLI INSEGNANTI) VERSILIA DI F. TE DEI MARMI (LU) NEI GG. VEN. 16 (H. 15/20 E H. 21,30/23,30), SAB. 17 (H. 9/13, H. 15/17, H. 17,30/20), DOM. 18 (H. 9/13) APRILE 1999 PRESSO IL CENTRO CONGRESSI “VERSILIA HOLIDAYS” DI F. TE DEI MARMI PER LA DURATA COMPLESSIVA DI h. 20 (VENTI), AUTORIZZATO CON D. M. 26/6/98, PROT. N° 4718 DEL 3/7/98, SECONDO LE INDICAZIONI DI CUI ALL’ART. 7 DELLA DIRETTIVA 395/96, CFR. ART. 28 DEL C.C.N.L., COMMA 7 PUNTO “D” E COMMA 11. CONFERENZIERI ED ARGOMENTI DEI SEMINARI DELLE GIORNATE DI STUDIO: Introduzione di Anna Baglioni (Segreteria Nazionale C. I. D. I.), “Insegnare letteratura nella scuola dell’autonomia”; 1)”Il canone del secondo Novecento”, Romano Luperini (Università di Siena, professore ordinario, coordinatore scientifico del Corso); 2)”I narratori del secondo Novecento”, Franco Petroni (Università di Perugia, professore ordinario); 3)”I poeti del secondo Novecento”, Guido Mazzoni (Università di Siena, ricercatore); 4)”Italo Calvino, narratore e teorico della letteratura. Gruppo di lavoro sui testi” (seminario), Concetta D’Angeli (Università di Pisa, professore associato); 5)Conclusioni: ”Un canone per il secondo Novecento”, tavola rotonda coordinata da Renato Barilli e Niva Lorenzini (Università di Bologna, professore ordinario). Coordinatrice organizzativa del Corso: Prof. ssa Valeria Nicodemi. Dispense dattiloscritte a cura del Prof. Marco Martini.

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-ATTI DEL CONVEGNO-

1) ROMANO LUPERINI, “IL CANONE DEL SECONDO NOVECENTO” (UNIVERSITA’ DI SIENA, PROFESSORE ORDINARIO). Il problema del ‘canone’ è strettamente connesso alla funzione del docente di letteratura. E’ importante l’aggiornamento sui due sgg. argomenti: a) l’analisi del testo (in versi ed in prosa) che non sia solo tecnica e formale (metrica e retorica), ma che si sforzi di penetrare il significato che il testo vuole comunicare al lettore; b)l’interdisciplinarietà tra letteratura e discipline affini (musica, storia, storia dell’arte, filosofia). Si possono individuare due nozioni di canone, distinte, anche se intrecciate tra loro: 1) considerazione del canone dal punto di vista delle opere e della loro rilevanza. Il canone fonda

una tradizione partendo da un’opera o da una serie di opere (es.: il petrarchismo). Il canone fonda un ‘anticanone’: al petrarchismo di Bembo si oppone, ad esempio, Pietro Aretino. Il canone, quindi, presuppone già un anticanone.

2) Gli studi americani più recenti hanno affermato una seconda nozione di canone, che parte dalla ricezione delle opere da parte del pubblico e che si configura in una serie di ‘classici’ da leggere a scuola. La scuola, a qualsiasi livello, perpetua questo secondo concetto di canone.

La prima nozione di canone presuppone che il docente sia un esperto della tradizione letteraria, mentre la seconda implica che il docente scelga i ‘classici’ da leggere e da far leggere, implica quindi una selezione. Si distingue inoltre il canone dei documenti, ossia dei testi ritenuti più importanti, e dei ‘monumenti’, e quindi dei ‘giganti’ della letteratura. Tale distinzione non è facile da effettuarsi dal 1956 in poi, innanzitutto per il breve lasso di tempo che ci distanzia. Possiamo periodizzare il secondo Novecento nelle sgg. tre fasi: a) Neorealismo (1945/56); b) Sperimentalismo (fino agli inizi degli anni ’70); c) Post-moderno (dal 1972 in poi). Nel 1956 s’intravede una frattura nella letteratura e nell’organizzazione degli intellettuali. Vittorini e Pavese, maestri del Neorealismo, hanno scritto le loro più importanti opere nella seconda metà degli anni ’30: il Neorealismo è già anticipato dal cosiddetto ‘nuovo realismo’ degli anni ’30. Il Neorealismo non crea quindi una significativa rottura con il passato. Dal 1945 al 1956 si concretizzano le strutture ideologiche già vive negli anni ’30: il neoidealismo crociano, il marxismo, la cultura cattolica. Dal 1956 inizia ad europeizzarsi la cultura italiana, grazie allo sperimentalismo. Le riviste come “Officina” (1955/60) di Pasolini ed “Il Verri” propongono una critica del simbolismo; stessa operazione farà il secondo Luti, ormai lontano dall’Ermetismo (cfr. Nel magma ed opere successive). Anche il secondo Montale si distacca e critica pubblicamente l’Ermetismo, tra la fine degli ’30 e la fine degli anni ’40. Fino al 1956, si può quindi sostenere, non si assiste ad un cambiamento del canone, nel secondo ‘900 (cfr. E. Montale, Satura e Xenia). Il ritmo delle liriche del secondo Montale è quasi narrativo. Anche Pasolini propone il poemetto in prosa. Anche Sanguineti si colloca in questo filone. Tale sperimentalismo è presente in versi ed in prosa (cfr. Gadda, Quer pasticciaccio brutto de via Merulana e La cognizione del dolore): i romanzi di Gadda non sono finiti perché ‘opere aperte’ ed a questo si associa uno sperimentalismo linguistico. Il romanzo sperimentale, per il Gruppo ’63, deve avere le sgg. caratteristiche: 1)il romanzo come ‘opera aperta’; 2)scomparsa dell’eroe; 3)scomparsa della tendenza intesa come racconto narrato; 4)la scrittura tende al monologo interiore, di tipo joyceiano.

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In Manganelli l’elemento sperimentale è ancora più pronunciato. Giuseppe Tomasi di Lampedusa (cfr. Il Gattopardo) ed Elsa Morante (cfr. La storia), pure nella tradizione del ‘900, propongono invece forme di scrittura più tradizionali; Tomasi di Lampedusa ha alle spalle Virginia Woolf. Sanguineti, Pagliarini, Fenoglio, Zanzotto, Malerba, Pasolini si collocano su questa linea sperimentale, anche se Beppe Fenoglio è fortemente legato al Neorealismo. Nel 1972-73 si riscopre l’orfismo e si assiste ad un recupero degli elementi tradizionali, quali la trama ed il romanzo neostorico con Umberto Eco (cfr. Il nome della rosa). Lo sperimentalismo entra in crisi. Si diffonde un ‘modello industriale’, non più legato all’industria pesante, ma alla cultura, allo spettacolo, all’informatica. La cultura diventa oggetto di interesse economico. I grandi industriali diventano detentori di case editrici; si assiste ad un connubio tra potere economico, politico e culturale. Cambia quindi la funzione dell’intellettuale, non più ideologo di valori; gli ultimi intellettuali ideologi sono probabilmente Fortini e Sanguineti. L’intellettuale diventa un tecnico, un competente; è la figura nuova dell’intellettuale che si afferma negli anni ’80. L’intellettuale come conoscitore della letteratura si indebolisce molto e rimane confinato nella scuola, ma anche lì si cerca di rinnovarlo e di direzionarlo in generi disparati (cinema, teatro, musica, fumetto, educazione sessuale, stradale, alla salute, all’ambiente, eccetera). E’ questa la cultura del post-moderno. L’intellettuale si trova in un labirinto in cui è difficile orientarsi. Nel post-moderno il mondo s’identifica con la cibernetica ed i vari linguaggi settoriali: il mondo non s’incontra mai, s’incontrano solo i nomi, il citazionismo, l’intertestualità (ovvero il procedere di testo in testo senza considerare la realtà), come enuncia Eco alla fine de Il nome della rosa (“Nomina nuda tenemus”, ovvero “Teniamo i nomi nudi”, conosciamo soltanto i nomi, non le cose). E’ questa la denuncia della società contemporanea che fa Eco, con l’espediente del giallo storico, di ambientazione medievale e metafisica. Il post-moderno fa emergere il grosso tema della fine dell’empiria, problema già emerso in Baudelaire. I teorici del post-moderno sono Eco, per il quale l’arte della ricerca coincide con quella del consumo, Tabucchi, Busi, Volponi, l’ultimo Calvino. Nella poesia post-moderna si afferma Valerio Manganelli. Croce e De Sanctis si concentrarono sull’importanza dell’autore. Dagli anni ’20 (i formalisti russi) agli strutturalisti degli anni ’70 ci siamo orientati sulla centralità dell’analisi testuale dal punto di vista metrico e stilistico. Dagli anni ’70 in poi, con l’ermeneutica, è diventata centrale l’importanza del lettore. Nell’analisi testuale non sono importanti tanto la metrica e la retorica quanto il messaggio che il testo trasmette: è importante colloquiare con i testi, come affermò Machiavelli nella nota lettera a Francesco Vettori del 10 dicembre 1513. 2) FRANCO PETRONI, “I NARRATORI DEL SECONDO NOVECENTO” (UNIVERSITA’

DI PERUGIA, PROFESSORE ORDINARIO). Salvatore Satta ha colto, negli anni ’70, un aspetto essenziale del concetto di modernità: la vita è assenza di valori, il mondo appare privo di significato, che può essere dato solo dall’autore (cfr. Il giorno del giudizio, ambientato in Sardegna). Luchino Visconti, nel film “Il Gattopardo” proietta il libro di Tomasi di Lampedusa nella modernità: il libro, tranne che nell’ultima parte, quella della morte del principe di salina, non è proiettato nella modernità, poiché è ideologizzato l’immobilismo della nobiltà, che viene giustificato. Nel film è inserita invece la dialettica, e proprio grazie a questa è possibile il passaggio dal libro al film. E’ un film, “Il Gattopardo”, fortemente utilizzato a livello didattico. In un articolo del febbraio 1956 pubblicato sulla rivista “Officina”, Pasolini affermò che la poesia è dominata da una nuova forma di sperimentalismo; questo si nota anche in Ragazzi di vita. Lo sperimentalismo si evince anche dal linguaggio romanesco utilizzato dall’autore, che è invece friulano, e non romano. Una vita violenta rappresenta un caso di sperimentalismo fallito, come Metello di Vasco Pratolini. Pasolini è sicuramente più sperimentale nel cinema (cfr. “Il vangelo secondo Matteo”, “Accattone”). Anche Calvino ne Il sentiero dei nidi di ragno è sperimentale: Pin, il protagonista, è un ragazzo del proletariato, e qui emerge un distacco con

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l’autore, che è invece un intellettuale. E’ questa la tecnica dello ‘straniamento’, che presenta però un punto di contatto con l’autore-personaggio nell’adesione agli ideali della Resistenza. Beppe Fenoglio scrive Il partigiano Johnny prima del 1949, almeno nella prima stesura: è un’opera sperimentale, incompiuta. Usa l’inglese con funzioni espressionistiche e non mimetiche: si usano vocaboli inglesi per il loro significato fonico. Calvino, dagli anni ’40 agli anni ’80, ha operato come narratore, ma anche come intellettuale, teorico della letteratura, in un arco di tempo molto vasto. Calvino ha sempre sentito la contraddittorietà fra la tendenza semplificatrice e le oscure pulsioni vitalistiche, che sono anche pulsioni di morte. Solo una razionale autocoscienza critica consente a Calvino di rendersi conto della molteplicità del reale: Calvino assume una posizione, quindi, illuministica, in difesa della ragione. Solo con la ragione lo scrittore può adeguarsi alla molteplicità mutevole del reale. La speculazione edilizia è un’opera sperimentale perché è la storia di un intellettuale che riflette sulla speculazione; per analoghi motivi è sperimentale La giornata di uno scrutatore, in cui il protagonista, uno scrutatore di sinistra, riflette sulla possibilità di cancellare il dolore da parte della cultura laica, relativamente al caso di minorati mentali che si recano alle urne e non sono pilotati dalla Chiesa. I risvolti esistenziali di Calvino furono accusati di qualunquismo dalla critica di sinistra. Lo sperimentalismo si riscontra in Primo Levi (cfr. Se questo è un uomo e La tregua): per Mengaldo in Levi si fondono stile marmoreo e classicismo (cfr. I sommersi e i salvati). L’atteggiamento sperimentale di Levi si riscontra nella volontà di razionalizzare un evento che non è razionale: la “shoah”. Lo sperimentalismo di Leonardo Sciascia si riscontra nell’adozione del romanzo giallo, fuso con la mancanza di soluzione: non si arriva mai a scoprire il delitto perché il mondo è inquinato dalla mafia (cfr. A ciascuno il suo, Il giorno della civetta). La trama è inoltre sempre molto intricata, in una costante adesione alla realtà siciliana. Volponi esce dalle esperienze di “Officina”, come Pasolini, ed unisce l’impegno etico-politico e lo sperimentalismo formale. La specificità della neo-avanguardia si vede ad un linguaggio demolitorio con Renato Barilli ed Umberto Eco. Sperimentalismo e neo-avanguardia appaiono distinti in Petroni, ma uniti in Barilli, la cui ultima produzione è decisamente neoavanguardistica. 3) GUIDO MAZZONI, “I POETI DEL SECONDO NOVECENTO” (UNIVERSITA’ DI SIENA, RICERCATORE). Due stagioni poetiche si distinguono nel secondo Novecento: il 1977 è l’anno di transizione. E’ l’anno dell’ultima fase morente della contestazione studentesca, già meno vitale di quella sessantottina. Mengaldo, in Poeti italiani del Novecento (1978) presenta la più autorevole proposta di un canone nel ‘900, con Luzi, Zanzotto, Fortini, Pasolini. La prima stagione poetica del secondo ‘900 è quella più ricca. La seconda stagione, successiva al 1977, è molto povera. I libri di poesia più significativi sono quelli di Fortini, Sereni, Pagliarini. Tra il 1956 ed il 1977 si pubblicano molte opere, che testimoniano la ricchezza del periodo: La bufera e altro di Montale (1956), Ceneri di Gramsci di Pasolini (1957), Labirintus di Sanguineti, Nel magma di Luzi, Gli strumenti umani di Vittorio Sereni, La beltà di Zanzotto, Satura di Montale (in cui inaugura una stagione di “poesia in prosa”), Fondamenti invisibili di Luzi, Questo muro di Fortini. Appartengono, tutti i suddetti, alla medesima stagione, tranne Montale, nato nell’Ottocento; è la generazione compresa tra il 1911 ed il 1924. Pavese, Quasimodo, Gatto e Penna sono i pochi poeti validi nati prima o dopo questa stasi. Sanguineti e Rosselli nascono dopo gli anni ’30. Dopo questa generazione, in poesia non c’è altro. C’è invece una generazione di saggisti e politici. Il 1945 è un anno importante nella poesia: si avvia

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la decadenza dell’Ermetismo, dopo la guerra, come sottolinea Fortini. Prima della guerra i poeti interpretano la vita sotto un profilo intimistico, sulla scia di Kierkegaard. La guerra, sostiene Fortini, sconvolse una generazione di intellettuali, sottolineando l’importanza del mondo esterno. Si risente l’influenza di Brecht. La guerra sovvertì il linguaggio dei poeti degli anni ’30, come è capitato a Lorca ed a Neruda durante la guerra civile spagnola: l’ ‘io’ poetico si tramuta in ‘noi’ (cfr. Salvatore Quasimodo, “Alle fronde dei salici”: “Come potevamo noi cantare”, è il “noi” delle vittime) e deve farsi interprete dei dolori della gente. Questo perché l’esperienza della guerra è un’esperienza delle masse, che richiede un adeguamento all’io, che deve “fare la vita di tutti”. La grandezza della poesia consiste proprio in questa operazione di uscire dall’io solitario. Dal 1956 al 1977, nella poesia si distinguono tre linee: 1)classicismo moderno, con Primo Levi, Montale, Luzi, Fortini, Sereni; 2)linea sperimentale, con Pasolini, Pagliarini, Sanguineti, Volponi, Rosselli (poetessa); 3)linea “manieristica”, con Caproni, Giudici, l’ultimo Montale (dopo Satura). 1)I poeti del classicismo moderno mantengono una linea di continuità con il classicismo nobile di Petrarca, Tasso, Leopardi, trasportato però nella crisi della coscienza contemporanea. 2)La linea sperimentale è legata alle poetiche della rivista “Officina” ed alle poetiche della neo-avanguardia. Tale linea uscì dal decoro linguistico della lirica classica e moderna, ma scoprì nuovi linguaggi, come il “poemetto in prosa”. Altra linea sperimentale degna di nota è la regressione verso l’inconscio, che talvolta può sposarsi con il poemetto, che procede invece verso la politica. 3)La linea neo-crepuscolare ha un tono ironico e ‘manieristico’: il poeta può parlare di sé solo con ironica consapevolezza. Tali linee presentano almeno tre punti deboli: a)nessun poeta di questo periodo è riuscito a trasformare un evento occasionale in un evento tragico di grande respiro; è un aspetto di crisi che è invece assente in Montale; b)altro aspetto di crisi è la mancanza di un motivo per scrivere: il poeta è affannosamente alla ricerca di un motivo che non trova e rischia di parlare solo di sé, ma scadendo talvolta in forme egoistiche e narcisistiche; c)la poesia di questo periodo cerca di legittimarsi con la critica, ma questa non è sufficiente. Dopo il 1976 la poesia è di tipo neo-orfico ed ‘immediatamente’ lirico, neo-romantico e non trova mandati o giustificazioni per scrivere di sé: è il caso di De Angelis e Magrelli. La poesia si giustifica da sola: la critica è considerata negativamente. Poche sono le opere notevoli, in questo periodo, mentre la generazione dei poeti precedenti continuava a produrre (Sereni pubblica Stella variabile). La tendenza è al manierismo sempre più narcisistico, come quella del Gruppo ’63, che ha cercato invano di richiamarsi al Gruppo ’63. Alcuni testi di questa generazione presentano uno stile apparentemente alto, ma trattano temi banali e si cerca invano di imitare Whitmann. Sono pericolose forme di sperimentalismo e non si vedono all’orizzonte tracce di miglioramento. 4) CONCETTA D’ANGELI, SEMINARIO (GRUPPO DI LAVORO SUI TESTI): “ITALO

CALVINO, NARRATORE E TEORICO DELLA LETTERATURA” (UNIVERSITA’ DI PISA, PROFESSORE ASSOCIATO).

Testi base del corso (6 h.) su Italo Calvino: Lezioni americane (1993, pubblicazione postuma); Se una notte d’inverno un viaggiatore, Il castello dei destini incrociati (1969, 1973). In questi testi emerge la figura di Calvino come narratore e teorico della letteratura. Calvino è solo apparentemente un autore “facile”. Calvino mostra molta attenzione per l’aspetto stilistico delle sue opere e dal suo stile emerge la sua figura. Calvino è un autore che si può utilizzare a scuola come modello di scrittura da imitare. Dietro la sua apparente lontananza dalla realtà emerge un forte contatto con la storia e la politica, oltre ad un’analisi dei personaggi che ricorda l’operazione ariostesca dell’ Orlando furioso: è la trasfigurazione della realtà, concetto essenziale nella narrativa

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calviniana. Calvino è uno dei massimi esponenti del post-moderno. La sua scrittura è originale e ‘propositiva’ al tempo stesso. Calvino ama moltissimo Ariosto, l’ Orlando furioso ed il poema epico-cavalleresco. Ne Il cavaliere inesistente, Agilulfo, cavaliere perfetto dall’armatura immacolata, non esiste, consiste solo nella sua armatura. E’ un cavaliere di Carlo Magno al quale si oppone il suo scudiero, un uomo pratico, ma privo di qualsiasi astrattezza. Sono due personaggi antitetici, l’uno astratto, assoluto, razionale, l’altro concreto, fisico. Sono i due aspetti di Calvino: la sua teoria, da un lato, e la sua adesione alla realtà dall’altro. Dimostra inoltre la spersonalizzazione dell’uomo moderno, un cavaliere, appunto, inesistente. Ne Il castello dei destini incrociati, Calvino immagina che un gruppo di donne e cavalieri si perdano in un bosco, dove smarriscono la capacità di parlare, ma non il desiderio. Arrivano ad un castello, dopo aver attraversato il bosco, ed un personaggio prende una carta, un tarocco che lo rassomiglia e lo pone sul tavolo. Così fanno i personaggi successivi: tutte le carte si “incrociano” in uno schema preciso e progressivo. E’ il destino dello scrittore, quello di dover seguire determinati schemi e di ricercare, al tempo stesso, il suo spazio di libertà. Calvino riprende, in una sua antologia, molti brani dell’ Orlando Furioso, un’opera apparentemente ‘astratta’, ma in realtà specchio del mondo e dei vari sentimenti dell’animo umano. Si nota come il ‘Furioso’ funzioni in chiave post-moderna. La stessa ‘attenzione combinatoria’ Calvino la ripropone, con ironia, in Se una notte d’inverno un viaggiatore, in cui immagina che un lettore compri, in una libreria, il libro di Calvino Se una notte d’inverno un viaggiatore e lo inizi a leggere, ma dopo poche pagine, appena il libro inizia ad interessare, finisce e ricomincia dall’inizio. Il compratore torna in libreria, arrabbiato con il libraio, e prende un altro libro, ma anche questo termina poco dopo, e così di seguito. L’ironia è un’importante chiave di lettura dei romanzi di Calvino, come nel poema ariostesco, ma in Calvino l’ironia non ha un fine comico in quanto è uno strumento di riflessione sulla realtà. Nelle Lezioni americane, ultima opera di Calvino, l’autore utilizza la cultura occidentale per illustrare il suo argomento di lezione; mostra l’importanza dei vari aspetti della cultura, dalla letteratura alla filosofia greca. Calvino trovò collaboratori in Vittorini e Pavese nella casa editrice “Einaudi”; il loro scopo non era tecnico-formale, ma civile e morale della letteratura, come si vede in Il sentiero dei nidi di ragno, in cui si dimostra vicino alla Resistenza ed a Pin, il ragazzo protagonista. Ne Il visconte dimezzato, l’autore mostra la scissione dell’animo umano tra bene e male in un cavaliere spaccato in due da una palla di cannone. In Calvino si afferma l’interesse politico, ma non si spegne mai la volontà morale e civile, la lotta per cambiare il mondo: è anche questo un atteggiamento illuministico, poiché Calvino ama la cultura illuministica francese, vive a Parigi e traduce Voltaire. La lingua di Calvino è estremamente limpida, chiara e scorrevole, nel lessico e nella sintassi. Calvino si è interessato moltissimo anche di cultura popolare, come emerge nelle sue Fiabe italiane (1956), in cui riprende, molto chiaramente, l’arte combinatoria dei cinque generi della fiaba teorizzati da Propp. La convergenza-contraddizione tra realtà e fantasia è per Calvino la condizione del narratore contemporaneo. Ne Le città invisibili (1972), Calvino immagina che Marco Polo venga incaricato da Kublai Kan di raccontare la sua storia. Marco Polo inizia a raccontare a gesti, perché ignora la lingua di Kublai Kan, ma in seguito impara la lingua e parla della città come ‘idea della città’, ma la lingua non riesce ad esprimere i concetti. Il racconto prosegue a gesti, perché si preferisce il linguaggio primitivo a quello colto. In Marcovaldo, il personaggio vede nella città una giungla maligna, perché il protagonista viene dalla campagna, luogo che viene preferito alla città. Ne La speculazione edilizia, Calvino riflette sulla speculazione. Ne Il barone rampante, un giovane rampollo di una famiglia nobile, Cosimo, dopo un litigio con il padre per un futile motivo (Cosimo si era rifiutato di mangiare), scappa su un albero e lì rimane per

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tutto il resto della sua vita ed osserva la realtà e la storia stando su un albero. Anche se isolato, entra in contatto con gli intellettuali francesi, poiché il romanzo è ambientato in Liguria. Dagli alberi si vede il mondo da un’angolazione diversa, anche se sempre immanente e non metafisica. Si condanna, in questo romanzo, l’ipocrisia dei gesuiti, soprattutto per il loro ipocrita linguaggio. Dal linguaggio per Calvino si può giudicare la morale umana, e questo ci fa comprendere la somma importanza che l’autore conferisce alla lingua. Il romanzo è la metafora dell’intellettuale dell’Illuminismo, che vuole essere libero da ogni condizionamento, e decide pertanto, nel caso di Cosimo, di vivere sugli alberi, che rappresentano appunto la scelta della libertà. La ‘convergenza-contraddizione’ è un concetto presente anche nelle commedie di Samuel Beckett, come Waiting for Godot (Aspettando Godot), anche se tale doppiezza di poli, dagli anni ’70 in poi, in Calvino tende a risolversi in un unico momento (dopo la trilogia I nostri antenati, costituita da Il visconte dimezzato del 1952, da Il barone rampante del 1957 e da Il cavaliere inesistente del 1959). L’intento morale dell’ autore rimane inalterato fino alla morte: è quello di sottrarre al caos il maggior numero di ‘territori’. In Calvino (nato nel 1923 e morto nel 1985) l’attività di narratore è strettamente connessa con quella di teorico della letteratura. Carla Benedetti, in Pasolini contro Calvino (ed. Bollati-Boringhieri, Torino) si schiera a favore di Pasolini, che viene contrapposto a Calvino, considerato un ipocrita che eviterebbe di affrontare concretamente i problemi. Concetta D’Angeli non concorda con Carla Benedetti perché non trova legittima la contrapposizione tra Pasolini e Calvino. Calvino, didatticamente, resta per D’Angeli un validissimo modello per la scrittura creativa, da utilizzare nella scuola media inferiore e nel primo biennio delle superiori, in funzione propedeutica alla scrittura strumentale, che viene effettuata nel triennio. La creatività non è un mezzo di scrittura infantile, perché ritorna nei grandi scrittori. Con ironia Calvino vuole rappresentare e denunciare la freddezza dell’uomo contemporaneo, come fa Pirandello nei suoi drammi, nei suoi romanzi e nelle sue novelle. Interessante è l’analisi calviniana di Leopardi ed in particolare de “L’infinito”: il poeta del vago e dell’indefinito diventa poeta dell’esatto e del finito, perché Leopardi immagina l’infinito in un luogo ben delimitato e finito (ermo colle, siepe, vento). Nelle Lezioni americane, Calvino conferisce molta importanza alla descrizione. Le descrizioni di Calvino sono solitamente ironiche e divertenti; il limite di ogni forma di scrittura è per Calvino nella vaghezza, mentre l’antidoto è dato dalla precisione. Per questo Calvino sottolinea la necessità di usare tutti i vocaboli della lingua italiana: non ha senso dire “uccello” se l’animale indicato è una “civetta” o un “colombaccio”, per esempio. Precisione vuol dire riconoscere anche i vari registri linguistici parlati da personaggi diversi, quali la casalinga, il fanciullo, l’operaio, il professore, eccetera. Calvino ricerca una lingua precisa Calvino ricerca una lingua precisa, chiara ed agile al tempo stesso, con una sintassi piuttosto sostenuta (sono ampiamente presenti le preposizioni subordinate e l’uso del congiuntivo), ma non reperibile dal linguaggio parlato, che non può essere immediatamente adottato nello scritto. Occorre, in primo luogo, per Calvino, essere coscienti dei ‘tic linguistici’ che vanno eliminati: “praticamente”, “quello che è il o la”, “cioè”, “eccetera”. Anche le traduzioni da più lingue o in più lingue straniere aiutano, per Calvino, ad avere una maggiore consapevolezza della propria lingua, perché nella traduzione è essenziale non tradurre le singole parole, ma rendere il senso più intimo del concetto considerato. Le ‘tecniche’ di Calvino sulla scrittura, da quanto espresso, sono ‘imitabili’ e quindi fruibili sul piano didattico. 5) CONCLUSIONI: TAVOLA ROTONDA, “UN CANONE PER IL SECO NDO

NOVECENTO”. INTERVENTO DI RENATO BARILLI. Si distinguono, nel ‘900, tre forme di neo-avanguardia: a)quella del primo ‘900, che trova i massimi rappresentanti nei futuristi; b)quella degli anni ’60, di cui Barilli è stato un esponente, facente parte del “Gruppo ‘63”;

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c)una possibile, ma discutibile, “neo-neo-avanguardia” degli anni ’80 e sgg. INTERVENTO DI NIVA LORENZINI (UNIVERSITA’ DI BOLOGNA, PROFESSORE ORDINARIO). Un testo fondamentale è La poesia italiana del Novecento, Il Mulino, Bologna. Niva Lorenzini è in Italia, attualmente, una delle massime esperte su D’Annunzio. Nel secondo Novecento si assiste ad una crisi del genere lirico, sia sul piano linguistico che contenutistico, relativo alla prospettiva soggettiva. Montale e Sereni esprimono tale crisi: la linea si orienta sempre più verso la prosa, verso le “cose”, alle quali anche Joyce ha rivolto molta attenzione. Sereni parla di una “poesia della terrestrità”. De Benedetti parla della crisi della poesia lirica nel 1949: è una crisi del petrarchismo ed una rinascita del dantismo, che si avverte nel secondo Novecento. Nel primo ‘900 la poesia ha invece risentito del lirismo introspettivo petrarchesco. Nel secondo ‘900 assistiamo ad una crisi del simbolismo e dell’analogia ed alla fine dei confini dell’arte, che non dev’essere sganciata dalla realtà, ed infine ad una conseguente scoperta della poesia come campo di interferenze di vari linguaggi. Termina quindi il monolinguismo della poesia e finisce il monopolio dell’io. Terminando il monopolio dell’io, si aprono prospettive nuove di interdisciplinarietà sul piano dei diversi registri linguistici. Si recuperano i dati a livello fenomenologico, ossia il “dettaglio”, il “frammento”, come avviene in Sereni. Si riscopre la “fisicità”. In proposito è risultato essenziale il contributo delle neo-avanguardie. La lingua della neo-avanguardie, di conseguenza, è “violenta” e “martellante”. Nella metrica del secondo ‘900 si riprende il sonetto, con Caproni, ma le stanze vengono “compattate” in un solo blocco. Nel secondo ’900 finisce anche la centralità del testo scritto per far trionfare l’oralità, come avviene già in Mario Luzi, protagonista dell’Ermetismo fiorentino. Infine, la poesia del ‘900 si pone il problema di comunicare, e tiene presente, di conseguenza, il tipo di pubblico a cui si rivolge: si denuncia un codice, quindi, che non si può più utilizzare. In Sereni si nota, da un lato la tendenza a comunicare in una forma che tende alla narratività, e dall’altro, la tendenza ad interrompere questa tradizione. Ma proprio in tale contraddittorietà consiste la ricchezza di Sereni: sforzarsi di comunicare senza dimenticare il solipsismo. Con Zanzotto (cfr. Fantasie di avvicinamento) si assiste allo stesso intento, più forte rispetto a Sereni, di denuncia della “cosalità”. La poesia e la prosa del secondo ’900, per dirla con Mario Luzi, si trovano “nel magma”: nel romanzo del secondo Novecento, con Gadda, per esempio, si assiste alla fine del romanzo come narratività (cfr. Quer pasticciaccio brutto de via Merulana).