Il Sabato Santo è I riti del Triduo · PDF fileSettimana Santa Sabato, 31 marzo 2012 15...

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15 Sabato, 31 marzo 2012 Settimana Santa Q ueste note vogliono essere una riflessione sul Mistero della nostra salvezza, racchiuso nelle celebrazioni, che la tradizione della Chiesa gelosamente ha conservato per venti secoli. Partiremo dal Giovedì santo per arrivare alla Veglia della Notte santa, anche se forse sarebbe più logico, dal punto di vista dello sviluppo storico, iniziare da questa celebrazione. Essa è infatti il centro al quale ruota non solo il Triduo della Pasqua ma tutto l’Anno liturgico. GIOVEDÌ SANTO Nella storia non è mai appartenuto al Triduo. Nell’ultima riforma del Vaticano II è però entrato a farne parte, o meglio a esserne un’introduzione. Il giovedì appartiene a due tempi liturgici. è l’ultimo giorno della Quaresima e con esso, o meglio con la Messa In Coena Domini, inizia anche il Triduo pasquale dei tre giorni «Passionis et Resurrectionis Domini», che si conclude con i secondi vespri della Domenica di Pasqua. I riti odierni del giovedì santo sono stati rivisti sia dalla prima riforma del 1955 che da quella del Vaticano II. La Chiesa vuole che la Messa In coena domini sia concelebrata e con più solennità. I temi da richiamare all’attenzione sono: l’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, e il comandamento dell’amore fraterno. Dopo l’omelia, pro opportunitate, si procede alla lavanda dei piedi. Dopo la celebrazione, il Santissimo sacramento viene portato processionalmente al tabernacolo provvisorio, dove si potrà svolgere un’adorazione protratta, ma le rubriche suggeriscono che questa sia fatta senza particolari solennità. Dopo la celebrazione si compie la spogliazione dell’altare. Non è più un rito particolare, ma tutto si svolge con semplicità. VENERDÌ SANTO L’odierna liturgia del Venerdì ha i suoi albori probabilmente nella celebrazione della Chiesa di Gerusalemme, che era solita rievocare, con particolari riti, la passione di Cristo e ciò nei luoghi dove essa era realmente avvenuta. Le testimonianze di Egeria, probabilmente hanno influito sulla formazione di questa liturgia nelle Chiese di Roma. Dall’antichità questo giorno è stato aliturgico, cioè privo della celebrazione eucaristica. Il nucleo dei riti, come apprendiamo dall’Apologia di Giustino, è la celebrazione della Parola di Dio e, in modo particolare, la Passione secondo Giovanni. In questo giorno la Chiesa digiuna dall’ Eucarestia. In questo senso entra anche il digiuno eucaristico. «Il Signore è assente dal mondo, allora i discepoli digiunano». C’è anche però un altro fattore. L’unico mistero di questi tre giorni culmina nella celebrazione della Veglia Pasquale, e in particolare nell’Eucaristia. «Bramiamo, dunque, il pane celeste della Risurrezione di Cristo». La celebrazione si svolge nel primo pomeriggio. Il sacerdote indossa le vesti rosse, simboleggianti la regalità di Cristo, e ciò dall’inizio della celebrazione. L’ingresso del celebrante, fatto senza nessun canto, prosegue con la prostrazione e la preghiera silenziosa. Successivamente, dall’ambone, viene proclamata una delle collette a scelta, di nuova composizione. Segue la liturgia della Parola. Il vangelo, per l’antica tradizione, è sempre quello di Giovanni. La prima parte della celebrazione si conclude con la grande preghiera universale. La seconda parte vede l’adorazione della Croce e la Comunione Eucaristica. Questa celebrazione generalmente è un buon progetto celebrativo della Passione del Signore: la Liturgia della Parola proclama la passione. Le Invocazioni pregano la passione. La Venerazione della Croce adora la Passione, e la Comunione ci fa comunicare con la Passione SABATO SANTO Sabato santo è il giorno del grande silenzio – perché – come dice un’antica omelia, «il Re dorme. La terra tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormono». è la celebrazione silenziosa del tempo sospeso, del riposo, ma non del nulla-fare. Sabato mattina venivano convocati i catecumeni per la pubblica professione di fede. Questo giorno era segnato da un severo digiuno fino alla celebrazione della Veglia. Purtroppo, per causa della sempre più anticipata celebrazione della Veglia, fino al punto di celebrarla al mattino, si perse il senso primitivo di questo giorno. Grazie alla riforma liturgica che riporta la Vigilia di pasqua alla sera, viene restituito al sabato santo il significato originario. DOMENICA DI RISURREZIONE Veglia della Notte santa – la Madre di tutte le veglie. Così sant’Agostino definisce questa celebrazione. Essa si colloca al cuore dell’Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Ad essa si preparavano i nuovi cristiani, in essa speravano i peccatori, tutti potevano di nuovo attingere dalla mensa ai «cancelli celesti». Essa rappresenta Totum pasquale sacramentum. Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo. Oggi la celebrazione consta di quattro momenti fondamentali: liturgia della luce; liturgia della Parola; liturgia battesimale; liturgia eucaristica. SIMONE PIANI I riti del Triduo pasquale Il Giovedì Santo chiude la Quaresima e apre i giorni del Triduo Il Venerdì Santo è il giorno del «digiuno eucaristico» Il Sabato Santo è dedicato al silenzio verso la gioia pasquale P opolarità o, meglio, partecipazione dei fedeli (oggi si dice “assemblea”) è stata la dimensione specifica dell’arte di Luigi Picchi: iniziò con gli inni “O divina Eucaristia” , “Al Santo Patrono” , “Alla Vergine celeste”: era il Picchi entusiasmante della “prima maniera” , definito appunto “popolare” , non perché indulgesse a certi modi faciloni e scontati, ma perché chiaro, logico, intuibile, piacevole. Nominato organista e direttore della Cappella del nostro Duomo, nel 1932 pubblicò la messa “Cristo risusciti” . Era attesa un’opera grandiosa che desse la prova delle capacità ispirative e tecniche del giovane maestro, invece Picchi offrì un ordinario liturgico che prendeva e sviluppava l’antica e conosciuta melodia a due cori unisoni, alternati, che potevano fare a meno anche dell’accompagnamento d’organo. Linearità e semplicità fecero della “Cristo risusciti” una delle messe più conosciute che diffusero in Italia e all’estero il nome di Picchi. Della sua sapienza e validità di compositore saranno prove convincenti le pagine polifoniche (messe e mottetti) degli anni quaranta che videro il maestro alla ricerca di nuove soluzioni interpretative del rito e di un nuovo stile. Nel 1948 da Lugano don Luigi Agustoni stimolò Picchi all’invenzione di musiche adatte alle povere e comuni assemblee (“il popolo di Dio”), ma degne della Chiesa e di una liturgia rinnovata. Nacquero così i canti de “Il Popolo alla Messa” , dati alle stampe nel 1953. Erano questi davvero “cattolici” , cioè “universali” , perché interpretavano i sentimenti di tutti, facendo riferimento (non copiando) al canto gregoriano nel suo calmo e regolare andamento ritmico. Quando il 7 marzo 1965 entrò in uso nel rito la lingua nazionale, l’evento non coglierà Picchi impreparato, considerando che da più di quindici anni lavorava in direzione della comprensione e della partecipazione dei fedeli alla parola cantata. Nella primavera di quell’anno, sempre su sollecitazione di don Agustoni e del Centro Liturgico di Lugano, il maestro aveva musicato l’ordinario della messa italiana. Il titolo venne suggerito dalla pagina più significativa e provocatoria della storia contemporanea della Chiesa: il Concilio Vaticano II. La nuova messa fu eseguita per coro di popolo a Mantova il 30 maggio 1965, in occasione del cinquantenario della morte di Pio X e a Como nella festività di Pentecoste (6 giugno); verrà riproposta nel settembre alla Settimana Liturgica di Verona e nella versione a quattro voci dispari nella festa di Cristo Re per il 25° della consacrazione episcopale di mons. Durante le imminenti celebrazioni della Settimana Santa, la Cappella musicale del duomo eseguirà, tra l’altro, alcune parti della Messa “Vaticano II” dell’indimenticabile maestro Luigi Picchi, nella versione per coro polifonico e assemblea, predisposta dal medesimo autore. L’origine di questa Messa, notissima in tutta Italia, ci viene presentata, qui di seguito, dal prof. Alessandro Picchi, figlio e successore di Luigi come organista della cattedrale. Vuole essere questo un modo semplice e concreto per echeggiare - al centro dell’anno liturgico e al cuore della diocesi - il cinquantesimo di apertura del grande concilio ecumenico, ricordando il significativo contributo che Como, grazie all’allora Maestro di Cappella della Cattedrale, ha saputo dare ad una delle svolte più significative che l’assemblea conciliare ha impresso alla vita della Chiesa: il rinnovamento liturgico. Grazie all’opera sapiente e coraggiosa del maestro Picchi, amorevolmente coltivata dal suo discepolo e successore monsignor Ilario Cecconi; grazie anche alla ricca produzione di musiche e testi per la liturgia (tra cui il Preconio per la Veglia pasquale) del più recente Maestro di cappella, monsignor Felice Rainoldi, possiamo dire, con sano orgoglio, che la liturgia della Chiesa in Italia molto ancora deve alla diocesi lariana. don SAVERIO XERES Luigi Picchi Messa Vaticano II PER IL POPOLO DI DIO Da oltre quarant’anni la musica liturgica del Picchi accompagna la partecipazione dell’assemblea dei fedeli Bonomini. Una elaborazione a tre voci pari verrà destinata a Pisa per il pontificale celebrato nell’ambito del Congresso Eucaristico Nazionale, dal cardinale Lercaro l’11 giugno 1965. Bruno Pizzi, direttore della Cappella della Primaziale, che aveva svolto il ruolo della “schola” , si espresse in questi termini: “L’esecuzione della Vaticano è stato un avvenimento eccezionale; ha fatto conoscere una forma nuova, la vera riforma popolare- liturgica, nella vera veste artistica che essa richiede: meglio, credo, non si poteva realizzare” . Fu questa positiva accoglienza che irritò gli improvvisati difensori di quella cenerentola che fu da sempre la musica sacro-liturgica. Così avvenne a Pavia il 17 ottobre 1965 durante la consacrazione episcopale di mons. Maverna. Se l’impressione generale fu decisamente favorevole, alcuni esponenti del mondo musicale cittadino espressero in via riservata giudizi malevoli. Il clima polemico si accentuò quando nel novembre successivo il Centro di Azione Liturgica di Bologna propose di adottare le melodie della Vaticano II nelle fasi preparatorie del Congresso Eucaristico locale previsto per il 1967. Come conseguenza (e senz’altro dietro sollecitazioni esterne) un critico de “Il Messaggero” di Roma, a partire dal 13 dicembre, senza prendere visione della messa italiana e citando a sproposito alcuni documenti ecclesiastici accusò Picchi, definendolo un “modesto musicista” , “moderno compositore non troppo noto” che pretendeva di sostituirsi a Palestrina. Lesse finalmente nel gennaio 1966 la sola linea melodica del Gloria e del Credo della messa in questione in un sussidio degli Editori Canti a Scheda, sentenziando che si trattava di una assurda parodia gregoriana che suonava ad insulto dei musicisti italiani e stranieri. Chi ricorda oggi questi giudizi di un esponente decisamente estraneo alle problematiche del canto sacro? Al contrario la “Vaticano II” continuò per decenni ad animare nelle sue diverse formazioni vocali le assemblee dei fedeli. Risultò essere così la messa più eseguita nel territorio italiano anche con inevitabili distorsioni che costituiscono comunque la prova della fortuna di un’opera: nella sua densa e pur semplice stesura esprime e rafforza nella celebrazione eucaristica i rinnovati valori di partecipazione che il Concilio aveva sottolineato nei suoi fondamentali documenti. ALESSANDRO PICCHI

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15Sabato, 31 marzo 2012Settimana Santa

Queste note vogliono essere una riflessione sul Mistero della nostra salvezza, racchiuso nelle celebrazioni, che la tradizione della Chiesa

gelosamente ha conservato per venti secoli. Partiremo dal Giovedì santo per arrivare alla Veglia della Notte santa, anche se forse sarebbe più logico, dal punto di vista dello sviluppo storico, iniziare da questa celebrazione. Essa è infatti il centro al quale ruota non solo il Triduo della Pasqua ma tutto l’Anno liturgico.

Giovedì santoNella storia non è mai appartenuto al Triduo. Nell’ultima riforma del Vaticano II è però entrato a farne parte, o meglio a esserne un’introduzione. Il giovedì appartiene a due tempi liturgici. è l’ultimo giorno della Quaresima e con esso, o meglio con la Messa In Coena Domini, inizia anche il Triduo pasquale dei tre giorni «Passionis et Resurrectionis Domini», che si conclude con i secondi vespri della Domenica di Pasqua. I riti odierni del giovedì santo sono stati rivisti sia dalla prima riforma del 1955 che da quella del Vaticano II. La Chiesa vuole che la Messa In coena domini sia concelebrata e con più solennità. I temi da richiamare all’attenzione sono: l’istituzione dell’Eucaristia e del sacerdozio ministeriale, e il comandamento dell’amore fraterno. Dopo l’omelia, pro opportunitate, si procede alla lavanda dei piedi. Dopo la celebrazione, il Santissimo sacramento viene portato processionalmente al tabernacolo provvisorio, dove si potrà svolgere un’adorazione protratta, ma le rubriche suggeriscono che questa sia fatta senza particolari solennità. Dopo la celebrazione si compie la spogliazione dell’altare. Non è più un rito particolare, ma tutto si svolge con semplicità.

venerdì santoL’odierna liturgia del Venerdì ha i suoi albori probabilmente nella celebrazione della Chiesa di Gerusalemme, che era solita rievocare, con particolari riti, la passione di Cristo e ciò nei luoghi dove essa era realmente avvenuta. Le testimonianze di Egeria, probabilmente hanno influito sulla formazione di questa liturgia nelle Chiese di Roma. Dall’antichità questo giorno è stato aliturgico, cioè privo della celebrazione eucaristica. Il nucleo dei riti, come apprendiamo dall’Apologia di Giustino, è la celebrazione della Parola di Dio e, in modo particolare, la Passione secondo Giovanni. In questo giorno la Chiesa digiuna dall’ Eucarestia. In questo senso entra anche il digiuno eucaristico. «Il Signore è assente dal mondo, allora i discepoli digiunano». C’è anche però un altro fattore. L’unico mistero di questi tre giorni culmina nella celebrazione della Veglia Pasquale, e in particolare nell’Eucaristia. «Bramiamo, dunque, il pane celeste della Risurrezione di Cristo». La celebrazione si svolge nel primo pomeriggio. Il sacerdote indossa le vesti rosse, simboleggianti la regalità di Cristo, e ciò dall’inizio della celebrazione. L’ingresso del celebrante, fatto senza nessun canto, prosegue con la prostrazione e la preghiera silenziosa. Successivamente, dall’ambone, viene proclamata una delle collette a scelta, di nuova composizione. Segue la liturgia della Parola. Il vangelo, per l’antica tradizione, è sempre quello di Giovanni. La prima parte della celebrazione si conclude con la grande preghiera universale. La seconda parte vede l’adorazione della Croce e la Comunione Eucaristica. Questa celebrazione generalmente è un buon progetto celebrativo della Passione del Signore: la Liturgia della Parola proclama la passione. Le Invocazioni pregano la

passione. La Venerazione della Croce adora la Passione, e la Comunione ci fa comunicare con la Passione

sabato santoSabato santo è il giorno del grande silenzio – perché – come dice un’antica omelia, «il Re dorme. La terra tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormono». è la celebrazione silenziosa del tempo sospeso, del riposo, ma non del nulla-fare. Sabato mattina venivano convocati i catecumeni per la pubblica professione di fede. Questo giorno era segnato da un severo digiuno fino alla celebrazione della Veglia. Purtroppo, per causa della sempre più anticipata celebrazione della Veglia, fino al punto di celebrarla al mattino, si perse il senso primitivo di questo giorno. Grazie alla riforma liturgica che riporta la Vigilia di pasqua alla sera, viene restituito al sabato santo il significato originario.

domenica di risurrezioneVeglia della Notte santa – la Madre di tutte le veglie. Così sant’Agostino definisce questa celebrazione. Essa si colloca al cuore dell’Anno liturgico, al centro di ogni celebrazione. Ad essa si preparavano i nuovi cristiani, in essa speravano i peccatori, tutti potevano di nuovo attingere dalla mensa ai «cancelli celesti». Essa rappresenta Totum pasquale sacramentum. Infatti in essa si celebrano non solo i fatti della risurrezione, ma anche quelli della passione di Cristo. Oggi la celebrazione consta di quattro momenti fondamentali: liturgia della luce; liturgia della Parola; liturgia battesimale; liturgia eucaristica.

SiMoNE PiaNi

I riti del Triduo pasquale

● Il Giovedì Santo chiude la Quaresima e apre i giorni del Triduo

● Il Venerdì Santo è il giorno del «digiuno eucaristico»

● Il Sabato Santo è dedicato al silenzio verso la gioia pasquale

P opolarità o, meglio, partecipazione dei fedeli (oggi si dice “assemblea”) è stata la dimensione specifica

dell’arte di Luigi Picchi: iniziò con gli inni “O divina Eucaristia”, “Al Santo Patrono”,

“Alla Vergine celeste”: era il Picchi entusiasmante della “prima maniera”, definito appunto “popolare”, non perché indulgesse a certi modi faciloni e scontati, ma perché chiaro, logico, intuibile, piacevole. Nominato organista e direttore della Cappella del nostro Duomo, nel 1932 pubblicò la messa “Cristo risusciti”. Era attesa un’opera grandiosa che desse la prova delle capacità ispirative e tecniche del giovane maestro, invece Picchi offrì un ordinario liturgico che prendeva e sviluppava l’antica e conosciuta melodia a due cori unisoni, alternati, che potevano fare a meno anche dell’accompagnamento d’organo. Linearità e semplicità fecero della “Cristo risusciti” una delle messe più conosciute che diffusero in Italia e all’estero il nome di Picchi. Della sua sapienza e validità di compositore saranno prove convincenti le pagine polifoniche (messe e mottetti) degli anni quaranta che videro il maestro alla ricerca di nuove soluzioni interpretative del rito e di un nuovo stile.Nel 1948 da Lugano don Luigi Agustoni stimolò Picchi all’invenzione di musiche adatte alle povere e comuni assemblee (“il popolo di Dio”), ma degne della Chiesa e di una liturgia rinnovata. Nacquero

così i canti de “Il Popolo alla Messa”, dati alle stampe nel 1953. Erano questi davvero “cattolici”, cioè “universali”, perché interpretavano i sentimenti di tutti, facendo riferimento (non copiando) al canto gregoriano nel suo calmo e regolare andamento ritmico.Quando il 7 marzo 1965 entrò in uso nel rito la lingua nazionale, l’evento non coglierà Picchi impreparato, considerando che da più di quindici anni lavorava in direzione della comprensione e della partecipazione dei fedeli alla parola cantata. Nella primavera di quell’anno, sempre su sollecitazione di don Agustoni e del Centro Liturgico di Lugano, il maestro aveva musicato l’ordinario della messa italiana. Il titolo venne suggerito dalla pagina più significativa e provocatoria della storia contemporanea della Chiesa: il Concilio Vaticano II.La nuova messa fu eseguita per coro di popolo a Mantova il 30 maggio 1965, in occasione del cinquantenario della morte di Pio X e a Como nella festività di Pentecoste (6 giugno); verrà riproposta nel settembre alla Settimana Liturgica di Verona e nella versione a quattro voci dispari nella festa di Cristo Re per il 25° della consacrazione episcopale di mons.

Durante le imminenti celebrazioni della Settimana Santa, la Cappella musicale del duomo eseguirà, tra l’altro, alcune parti della Messa “Vaticano II” dell’indimenticabile maestro Luigi Picchi, nella versione per coro polifonico e assemblea, predisposta dal medesimo autore. L’origine di questa Messa, notissima in tutta Italia, ci viene presentata, qui di seguito, dal prof. Alessandro Picchi, figlio e successore di Luigi come organista della cattedrale. Vuole essere questo un modo semplice e concreto per echeggiare - al centro dell’anno liturgico e al cuore della diocesi - il cinquantesimo di apertura del grande concilio ecumenico, ricordando il significativo contributo che Como, grazie all’allora Maestro di Cappella della Cattedrale, ha saputo dare ad una delle svolte più significative che l’assemblea conciliare ha impresso alla vita della Chiesa: il rinnovamento liturgico. Grazie all’opera sapiente e coraggiosa del maestro Picchi, amorevolmente coltivata dal suo discepolo e successore monsignor Ilario Cecconi; grazie anche alla ricca produzione di musiche e testi per la liturgia (tra cui il Preconio per la Veglia pasquale) del più recente Maestro di cappella, monsignor Felice Rainoldi, possiamo dire, con sano orgoglio, che la liturgia della Chiesa in Italia molto ancora deve alla diocesi lariana.

don SaVErio XErES

✎ Luigi Picchi

Messa Vaticano II

per il popolo di dioda oltre quarant’annila musica liturgicadel picchi accompagnala partecipazionedell’assemblea dei fedeli

Bonomini. Una elaborazione a tre voci pari verrà destinata a Pisa per il pontificale celebrato nell’ambito del Congresso Eucaristico Nazionale, dal cardinale Lercaro l’11 giugno 1965.Bruno Pizzi, direttore della Cappella della Primaziale, che aveva svolto il ruolo della “schola”, si espresse in questi termini: “L’esecuzione della Vaticano è stato un avvenimento eccezionale; ha fatto conoscere una forma nuova, la vera riforma popolare-liturgica, nella vera veste artistica che essa richiede: meglio, credo, non si poteva realizzare”.Fu questa positiva accoglienza che irritò gli improvvisati difensori di quella cenerentola che fu da sempre la musica sacro-liturgica. Così avvenne a Pavia il 17 ottobre 1965 durante la consacrazione episcopale di mons. Maverna. Se l’impressione generale fu decisamente favorevole, alcuni esponenti del mondo musicale cittadino espressero in via riservata giudizi malevoli.Il clima polemico si accentuò quando nel novembre successivo il Centro di Azione Liturgica di Bologna propose di adottare le melodie della Vaticano II nelle fasi preparatorie del Congresso Eucaristico locale previsto per il 1967. Come conseguenza (e senz’altro dietro sollecitazioni esterne) un critico de “Il Messaggero” di Roma, a partire dal 13 dicembre, senza prendere visione della messa italiana e citando a sproposito alcuni documenti ecclesiastici accusò Picchi, definendolo un “modesto musicista”, “moderno compositore non troppo noto” che pretendeva di sostituirsi a Palestrina. Lesse finalmente nel gennaio 1966 la sola linea melodica del Gloria e del Credo della messa in questione in un sussidio degli Editori Canti a Scheda, sentenziando che si trattava di una assurda parodia gregoriana che suonava ad insulto dei musicisti italiani e stranieri.Chi ricorda oggi questi giudizi di un esponente decisamente estraneo alle problematiche del canto sacro? Al contrario la “Vaticano II” continuò per decenni ad animare nelle sue diverse formazioni vocali le assemblee dei fedeli. Risultò essere così la messa più eseguita nel territorio italiano anche con inevitabili distorsioni che costituiscono comunque la prova della fortuna di un’opera: nella sua densa e pur semplice stesura esprime e rafforza nella celebrazione eucaristica i rinnovati valori di partecipazione che il Concilio aveva sottolineato nei suoi fondamentali documenti.

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