Il ruolo di Giuseppe Garibaldi nell'affermazione degli ideali nazionali e democratici

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A. A. 2006/07 - SEMINARIO DI STORIA DEL RISORGIMENTO: “IL RUOLO DI GIUSEPPE GARIBALDI NELL’AFFERMAZIONE DEGLI IDEALI NAZIONALI E DEMOCRATICI”. COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DEL BICENTENARIO DELLA NASCITA DI GIUSEPPE GARIBALDI (1807/2007) – COMITATO CULTURALE “ANGELO CORSETTI” - 55045 - PIETRASANTA ( LUCCA ) - AULA MAGNA, VIA SANT’ AGOSTINO N° 9, ORE. 16,15-17,30 - DIREZIONE DEI LAVORI: PROF. ZEFFIRO CIUFFOLETTI, ORDINARO DI STORIA DEL RISORGIMENTO, UNIVERSITA’ DI FIRENZE. TEMI DELLE 5 GIORNATE DI STUDIO: RELATORI: PROFF. ATENEI: DATE: 1. Giuseppe Garibaldi: biografia e mito. Zeffiro Ciuffoletti Firenze Gio.22/03 2. Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi: il mito e la storia. Alberto M. Banti Pisa Mer.28/03 3. Giuseppe Garibaldi: la conquista del Sud e il brigantaggio. Cosimo Ceccuti Firenze Mer.04/04 4. Garibaldi e Cavour: confronti ed interpretazioni storiografiche. Francesco Talamo Roma Mer.11/04 5.Giuseppe Garibaldi:la massoneria e l’associazionismo operaio

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A. A. 2006/07 - SEMINARIO DI STORIA DEL RISORGIMENT O: “IL RUOLO DI GIUSEPPE GARIBALDI NELL’AFFERMAZIONE D EGLI IDEALI NAZIONALI E

DEMOCRATICI”. COMITATO NAZIONALE PER LE CELEBRAZIONI DEL BICENTENARIO DELLA NASCITA DI

GIUSEPPE GARIBALDI (1807/2007) – COMITATO CULTURALE “ANGELO CORSETTI” - 55045 - PIETRASANTA ( LUCCA ) - AULA MAGNA, VIA SANT’ AGOSTINO N° 9, ORE. 16,15-17,30 -

DIREZIONE DEI LAVORI: PROF. ZEFFIRO CIUFFOLETTI, ORDINARO DI STORIA DEL RISORGIMENTO, UNIVERSITA’ DI FIRENZE.

TEMI DELLE 5 GIORNATE DI STUDIO: RELATORI: PROFF. ATENEI: DATE: 1. Giuseppe Garibaldi: biografia e mito. Zeffiro Ciuffoletti Firenze Gio.22/03 2. Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi: il

mito e la storia. Alberto M. Banti Pisa Mer.28/03

3. Giuseppe Garibaldi: la conquista del Sud e il brigantaggio.

Cosimo Ceccuti Firenze Mer.04/04

4. Garibaldi e Cavour: confronti ed interpretazioni storiografiche.

Francesco Talamo Roma Mer.11/04

5. Giuseppe Garibaldi: la massoneria e l’associazionismo operaio e democratico in Italia.

Zeffiro Ciuffoletti Firenze Gio.19/04

1. Giuseppe Garibaldi: biografia e mito (Zeffiro Ciuffolotti, Università di Firenze). Giuseppe Garibaldi è nato a Nizza, allora in Liguria, nel 1807, è il personaggio più popolare nella storia del Risorgimento italiano ed anche europeo, la sua fama è superiore a quella di Mazzini, Cattaneo, Vittorio Emanuele II, Cavour. Nelle elezioni del 1948 il simbolo del F.D.P. (“Fronte Democratico Popolare”, una lista comune tra comunisti e socialisti) presentava, in una stella, l’effigie di Garibaldi. Garibaldi morì nel 1882. Due personaggi politici italiani oggi scomparsi, Giovanni Spadolini e Bettino Craxi, rispettivamente repubblicano e socialista, si contesero la “discendenza politica” da Garibaldi. La prima attività lavorativa del giovane Garibaldi è quella del marinaio; simpatizza per le idee mazziniane, anche se non ha studiato e non conobbe personalmente Mazzini. Fu attratto anche dalle idee socialiste utopiche francesi di Saint-Simon; Garibaldi navigava da Marsiglia a Odessa per trasportare grano; infatti Odessa, in Ucraina, era uno dei granai d’Europa. Lesse il libro di Saint-Simon Il nuovo cristianesimo, in cui si parlava di una nuova religione, quella del progresso sociale; per Saint-Simon sono industriali non i parassiti come i burocrati, i militari, i nobili, i preti, ma tutti coloro che si associano per produrre (cfr. Catechismo degli industriali). L’associazionismo è quindi alla base del progresso, per Saint-Simon: Mazzini associa a tale idea di Saint-Simon, che accetta, il principio di autodeterminazione dei popoli, consistente nell’autonomia e nella libertà, e quindi nella liberazione dall’oppressione di altre nazioni. Il popolo è sovrano: questo concetto democratico, alla base della Rivoluzione francese, ma anche della Rivoluzione americana e della “Glorious Revolution” inglese, è presente in Mazzini. L’indipendenza di un popolo no configge con l’indipendenza degli altri popoli: è questo un elemento comune tra Mazzini e Garibaldi. Garibaldi non è un teorico, anche se scrive molti romanzi, moltissime lettere ed un’autobiografia; è uomo di movimento e di attività. Sentì fortemente il concetto di amore, amore per le esperienze umane, la natura, persino gli animali, ma soprattutto amore di patria, con forti connotazioni romantiche. Costretto a lasciare l’Europa per la sua attività a favore dei popoli oppressi, Garibaldi emigra in Sud America, e qui trova molti italiani, molti patrioti. Garibaldi si trova coinvolto nella rivoluzione brasiliana per l’indipendenza dal Portogallo e vede tale guerra, che è una guerra corsara, gli stessi motivi dei moti indipendentistici europei. Garibaldi è uomo d’azione e di coraggio infinito, senza retorica. In una della azioni di guerra in Brasile conosce Anita, la sposa ed ha 3 figli; Anita ha poco più di 18 anni, è già sposata dall’età di 14 anni per procura, per volontà materna, date le precarie condizioni familiari. Anita è sposata ad un sarto. Tra Garibaldi e Anita è amore a prima vista: Anita seguirà Garibaldi in ogni azione di guerra. Menotti e Teresa sono i primi due figli di Garibaldi. Dall’Europa arrivano in Brasile notizie di ciò che sta avvenendo negli anni ’20 e ’30: quando Garibaldi arriva in Italia, nel 1848, è già un mito, una leggenda. E’ un uomo semplice, ma chiaro e netto nelle sue scelte. Mazzini contribuì fortemente a creare il mito di Garibaldi: ne comprese l’animo romantico e l’impeto del guerrigliero. Il Romanticismo, in politica, ha un atteggiamento quasi religioso: la patria viene divinizzata, come pure il popolo e la libertà. Sia Mazzini che Garibaldi capiscono perfettamente il nesso tra diritti e doveri: nel 1848, su 600 studenti pisani, circa 300 sono volontari nei massacri di Curtatone e Montanara, durante la prima guerra d’indipendenza: è questa una profonda testimonianza religiosa dei giovani e della loro fede nella patria. Si può affermare che Garibaldi è pertanto l’incarnazione pratica delle idee mazziniane. Garibaldi nel 1848 è già iscritto alla Massoneria e difende strenuamente la

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Repubblica Romana nel 1849, è l’ultimo uomo che abbandona la Repubblica Romana quando Pio IX viene ricondotto a Roma dai francesi, ma alla fine deve cedere, si trasferirà a Venezia. Molti preti seguono Garibaldi, ed è questa un’altra caratteristica della religiosità garibaldina; Don Giovanni verità, ad esempio, aiuta Garibaldi e sostiene che le idee garibaldine di guerriglia non contrastano affatto con i principi del cristianesimo. Tra i volontari che seguono Garibaldi nella difesa di Roma vi sono preti, studenti, pittori, letterati; tra i pittori vi sono i Macchiaioli, quasi tutti garibaldini. I Macchiaioli rappresentano Garibaldi nei loro quadri, insistendo non sulla retorica dell’eroe “imbalsamato”, ma sull’eroe “umano”, in camicia rossa, talvolta anche senza spada. Dal 1870 fino alla morte, avvenuta nel 1882, Garibaldi è a Caprera: gli sono morti la moglie Anita, il fratello e la madre, e con l’eredità acquista una casa ed un pezzo di terra a Caprera, nella Maddalena, in Sardegna. Amerà moltissimo gli animali, sia selvatici, come le capre, che domestici, ai quali darà un nome. Moltissimi inglesi benestanti si recheranno a Caprera per conoscere Garibaldi, che è un personaggio amatissimo. E’ in tutte queste caratteristiche umane, semplici, naturali, “religiose” ed anche militari, ma non solo militari, che consiste il mito di Garibaldi. Ebbe altri amori, mai decollati a nozze, con la baronessa Swartz e con la giovane principessa Raimondi, di appena 18 anni (abbandonerà, deluso, la principessa Raimondi, che stava per sposare, messo al correte dalla baronessa Swartz che questa attendeva un figlio, ma non da lui). Nel 1859 partecipa alla seconda guerra d’indipendenza; nel 1860 sbarcherà in Sicilia con 20000 garibaldini; in Sicilia si uniranno all’iniziale cosiddetta “spedizione dei Mille” altri 10000 uomini, ed i garibaldini arrivano quindi ad essere 30000; si segnala un volontario persino dall’Ucraina. Nell’estate del 1860 Cavour e Bettino Ricasoli vogliono fermare Garibaldi, timorosi del fatto che “l’eroe dei due mondi” possa invadere lo Stato della Chiesa, cioè Umbria, Marche e Lazio, in quanto le Legazioni Pontificie erano già state annesse al Regno di Sardegna; Napoleone III, in tal caso, sarebbe intervenuto immediatamente contro Garibaldi, a sostegno della Chiesa, rompendo così l’alleanza con Cavour. La spedizione dei Mille porta un’enorme popolarità a Garibaldi, che mira, i primo luogo, a differenza di Mazzini, all’indipendenza ed all’unificazione italiana, indipendentemente se sotto i Savoia o una repubblica. In questo senso si collocano le ultime due imprese di Garibaldi, nel 1862 e nel 1867, entrambe fallite sempre per il pericolo dell’intervento francese a favore della Chiesa. Nel 1870 Garibaldi combatterà, tuttavia, anche a fianco della Francia contro l’invasione prussiana, a testimonianza della sua fede eterna nella libertà. Garibaldi simpatizza per le idee socialiste, ma non è un politico: i garibaldini combattono a fianco dei popoli per la libertà, in Italia, come in Ungheria, come in Polonia. Dopo il 1870 la vita di Garibaldi si svolge interamente a Caprera, ove l’eroe combatterà le sue battaglie per la bonifica dei territori incolti, a partire dall’agro pontino; Menotti, figlio di Garibaldi, morirà proprio nella bonifica dell’agro pontino. Garibaldi muore nel 1882, dopo la morte delle sue 2 figlie, ma il suo mito è fortissimo anche dopo la morte: quando Garibaldi muore, sono già state scritte 10 biografie su di lui. Attualmente sono crollate le ideologie, come il nazifascismo ed il marxismo, sono crollati tanti miti e ne sono sorti di nuovi, ma non è crollato il mito della nazione e della patria: ben 137 nuovi Stati si sono formati dal 1882 ad oggi. 2. Giuseppe Garibaldi, l’eroe dei due mondi: il mito e la storia (Alberto M. Banti, Università di Pisa). Secondo il prof. Banti, docente di storia del Risorgimento all’università di Pisa ed esperto di storia politica e sociale dell’Ottocento, Garibaldi è esclusivamente presentato come pilastro dell’unificazione nazionale; Garibaldi, per Banti, appartiene invece ad una generazione molto diversa, come risulterà dagli eventi di seguito narrati. Garibaldi arriva in Gran Bretagna in treno, alla stazione di Londra, alle h. 14,30 dell’11 aprile 1864, su invito di Giuseppe Mazzini, che lo aveva invitato allo scopo di far conoscere “l’eroe dei due mondi” alla potenza più importante d’Europa. Quando Garibaldi scende alla stazione di Londra è già un mito: alcune centinaia di migliaia di persone si affollano attorno alla carrozza che avrebbe dovuto portare Garibaldi nel palazzo del duca di Saferland, dove è atteso, per le h.16,00; Garibaldi, costantemente fermato ed acclamato dalla folla, arriva alle h. 20, con 4 ore di ritardo. Garibaldi, come si è già detto, è già una leggenda: iniziano addirittura a circolare “reliquie” di Garibaldi, come bottoni e pezzi di stoffa della sua camicia rossa, e nasce un vero e proprio mercato sulle reliquie dell’eroe. Garibaldi era arrivato dal Sud America nei primi mesi del 1848, ma il suo mito è già stato preparato da Mazzini. Nel febbraio del 1849 si è formata la Repubblica Romana, nel luglio dello stesso anno crollerà tale Repubblica a causa del rientro a Roma del papa Pio IX, grazie alla protezione dell’esercito francese di Luigi napoleone Bonaparte. Fino all’ultimo, Garibaldi combatte in difesa della Repubblica Romana. Una giornalista americana del tempo, Margareth Fuller, descrive il mito di Garibaldi in un articolo per il “New York Tribune”: Garibaldi ha creato il suo mito negli anni ’20-’30 del secolo, combattendo a favore della libertà dei popoli dell’America latina. L’articolo della Fuller è del 2 luglio 1849: la cronista descrive l’eroe

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con una tale enfasi da sembrare ella stessa una “garibaldina”. Garibaldi è per la Fuller un eroe romantico, degno di un romanzo di Walter Scott come Ivanhoe. La Fuller parteggia dichiaratamente per Garibaldi e per i garibaldini, le “camicie rosse”; Garibaldi viene celebrato come un eroe, un cavaliere medievale. Da considerare che tra i seguaci di Garibaldi vi sono anche rampolli di famiglie benestanti che scelgono spontaneamente e disinteressatamente di andare a combattere per un ideale, per la libertà e per la patria, rischiando la propria vita. Nel 1880 un certo Abba, seguace di Garibaldi, scrive un testo sul suo generale, Da Quarto al Volturno, in cui racconta la battaglia di Calatafimi. Nino Bixio, generale garibaldino, è pronto a dare la vita per Garibaldi ed a fare scudo con il suo corpo, ma l’eroe nizzardo glielo impedisce, dichiarandosi pronto a sacrificare la sua vita per la patria. Abba paragona il coraggio di Garibaldi a quello di Francesco Ferrucci, eroe fiorentino ucciso nel 1530 dal traditore Maramaldo durante le guerre d’Italia del primo Cinquecento (1494/1559). L’eroe di oggi è completamente diverso da quello del passato: non muore mai, vince sempre, ed è questo il segno tangibile della diversità culturale dei tempi, è l’eroe cinematografico della fine del Novecento. Durante la “spedizione dei Mille” Garibaldi arriva a Messina e rivolge un proclama alle donne: Garibaldi sa di essere anche amato dalle donne, nonostante la sua bassa statura (era alto poco più di 1m. e 60 cm.) ed è uomo attento alla comunicazione di massa, nonostante non abbia ricevuto una preparazione scolastica. Invita le donne a partecipare alle giornate del riscatto nazionale preparandosi a perdere il marito ed i figli della patria, perché questo è l’onore più alto. Garibaldi parla con il linguaggio della cultura ottocentesca, ovviamente, in base alla quale gli uomini vanno a lavorare ed a combattere e le donne sono dedite al lavoro domestico ed all’educazione dei figli. Scrive Garibaldi, quando arriva a Varese nel 1859 con i “Cacciatori delle Alpi”, di essere stato accolto con effervescenti acclamazioni di giubilo da parte delle donne. Garibaldi ricorda, nel suo scritto, anche il “Giuramento di Pontida” della Lega Lombarda, che nell’Ottocento si può portare come emblema di italianità; oggi, il “Giuramento di Pontida” è invece stato strumentalizzato dalla Lega Nord come bandiera della secessione. La vedova Cairoli, che ha perso tutti i figli, tranne Benedetto, nelle guerre del Risorgimento ed al seguito di Garibaldi, esalta comunque questo “mito divenuto realtà”. Le donne dell’Ottocento mostrano di avere un diverso rapporto con la morte rispetto a quello che si ha attualmente: oggi la morte fa paura, la allontaniamo, mentre Garibaldi ne parla come un’azione eroica. In uno dei suoi romanzi, intitolato I Mille (1874), Garibaldi ricorda la memoria di Nullo, Cairoli, Montanari, eroi dei Risorgimento caduti per la patria: la morte è qui definita come un “santo sacrificio”; Garibaldi invita ad “immergere le bende dei neonati nel sangue dei caduti”, per poi avvolgervi i piccoli. Edmondo De Amicis esalta Mazzini, Garibaldi e Cavour nel romanzo Cuore ed insiste sulla “santità” di Garibaldi, definito “redentore dei popoli”; nel romanzo, il padre di Enrico Bottini spiega al figlio come amare la patria, la cui bandiera è “benedetta”. Così, alla fine dell’Ottocento e nel primo Novecento ci si rivolge a bambini di 9 anni, che frequentano la III elementare. Oggi, tutto questo è completamente caduto nell’oblio. Il mito e la morte sono oggi considerati infatti in modo completamente diverso. Sacrificio e martirio sono le parole chiave dell’epopea garibaldina e del lessico risorgimentale ottocentesco: il termine “sacrificio” indica qualcosa di “sacro”, indica la trasposizione di una categoria religiosa in ambito storico-politico, un atteggiamento tipico del Risorgimento; non a caso, infatti, in questo periodo sono ricorrenti le immagini del “Sacro Cuore” di Gesù, trafitto e addolorato. Anche il termine “martirio” è connesso con la dimensione sacrale dei primi cristiani, delle persecuzioni durante l’età romana imperiale di Diocleziano. Negli anni ’60 dell’Ottocento si rappresenta Garibaldi come “Cristo benedicente”, addirittura con le stigmate alle mani! Del mito di Garibaldi e del Risorgimento si tende a dare, per tutto l’Ottocento ed i primi decenni del ‘900, un’immagine quindi religiosa, di eroe pronto al sacrificio ed alle sofferenze. Il Risorgimento sarà mitizzato anche durante la dittatura fascista, che si presenterà come perfezionamento dello Stato risorgimentale, debole e diviso, a differenza di quello fascista, forte ed unito, anche se la storiografia liberale, rappresentata ad esempio da Piero Gobetti, pensatore liberale, antifascista perseguitato e bastonato dai fascisti durante il regime, che ne La rivoluzione liberale definirà il fascismo come il tradimento degli ideali del Risorgimento, sotto il profilo della violazione della libertà, che è invece uno degli assi portanti di tutti i moti ottocenteschi. Queste immagini hanno oggi un effetto “perturbante”, intendendo il termine con il vocabolario della psicoanalisi freudiana, cioè destabilizzante. Gli eroi amati oggi sono immortali e non sono disposti al sacrificio, tranne rare eccezioni, come quella di Ernest Che Guevara, il medico guerrigliero che negli anni ’50 e ’60 del Novecento combatte per la liberazione del Sud America dalle dittature sanguinarie militari di destra, più o meno appoggiate dagli Stati Uniti d’America; Che Guevara è destinato a diventare un mito nella sinistra giovanile mondiale degli anni’70 e ’80 del Novecento,ma si tratta di un’eccezione.

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3. Giuseppe Garibaldi: la conquista del Sud e il brigantaggio (Cosimo Ceccuti, Università di Firenze). Tra gli eroi di tutti i tempi (Giulio Cesare, Napoleone, Garibaldi), Garibaldi è sicuramente il più popolare ed il più amato al mondo, anche se fu strumentalizzato dal fascismo e persino dal nazismo. Durante la spedizione dei Mille, sconfigge uno dei eserciti regolari più attrezzato, quello borbonico, in cui i soldati erano tutti professionisti, e non di leva, perché nel Regno delle Due Sicilie non vi era ancora la leva obbligatoria, che sarà invece inserita con l’unificazione del Regno d’Italia. Nel ‘900, perfino Gandhi, teorico della non violenza in India contro l’impero britannico, mitizza Mazzini e Garibaldi e disprezza Cavour; di Garibaldi afferma che non condivide il metodo della guerriglia, ma ne ammira l’idea. Garibaldi combatte per la libertà, per altro è un contadino e un uomo di pace. Il Regno della Due Sicilie, nella mentalità di Vittorio Emanuele II, è la continuazione del Regno di Sardegna, e per questo continua a chiamarsi Vittorio Emanale II e non Vittorio Emanuele I re d’Italia. Nella II guerra d’indipendenza, la Francia invia 100000 uomini a sostegno della causa nazionale italiana, ma nessuna potenza europea, neppure la Francia, aveva interesse che l’Italia divenisse uno Stato unitario; la Francia, inoltre, era protettrice del potere temporale del papa. Nel 1859, con il trattato di Villafranca, Napoleone III si ritira improvvisamente dalla guerra, sia perché in Italia sono ripresi pericolosi focolai rivoluzionari che renderebbero difficile un futuro protettorato francese in Italia, sia perché la base del popolo di Francia non vede positivamente questo impiego di energie a favore dell’Italia, ma soprattutto perché la Toscana, il 27 aprile 1859, aveva dichiarato la propria annessione al Regno di Sardegna. Napoleone III si ravvede dell’errore compiuto e si ritira dalla guerra, perché teme che l’Italia possa diventare uno Stato unitario e la Francia, che aveva mire espansionistiche verso la penisola, non voleva questo. Garibaldi, dopo la cessione di Nizza alla Francia, disse sdegnosamente a Cavour che “lo aveva fatto diventare straniero in patria”. Intanto Francesco Crispi, Bertani e Rosolino Pilo preparano quella che sarà la spedizione dei Mille, mentre le truppe borboniche reprimono nel sangue alcune insurrezioni popolari in Sicilia. I garibaldini che partono da Quarto sono esattamente 1089: oltre 160 erano lombardi. Il grande valore politico della spedizione dei Mille fu quello di favorire la presa di potere da parte delle masse, e tale risveglio democratico non era certo nei programmi moderati cavouriani. La spedizione del Mille parte da Quarto il 5 maggio 1860, sotto gli occhi sbigottiti di Cavour e di Vittorio Emanuele II. Dopo un rifornimento di armi a Talamone, sulla costa toscana, il primo scontro con le truppe borboniche è a Calatafimi, il 20 giugno c’è la vittoria di Milazzo, il 25 giugno la Sicilia è liberata. Giuseppe Galasso, uno dei maggiori storici viventi della questione meridionale, sottolinea come Garibaldi avesse portato dalla sua parte la classe dei contadini, ma anche quella dei proprietari terrieri: la proprietà privata dei latifondisti venne rispettata, come dimostra la repressione della rivolta di Bronte operata dal generale garibaldino Nino Bixio nel luglio 1860 e come ci viene puntigliosamente descritto dal grande narratore verista Giovanni Verga in una delle più celebri Novelle Rusticane, “Libertà”. Il 20 agosto Garibaldi passa lo stretto di Messina, il 7 settembre libera Napoli ed il 1° ottobre conclude le sue vittorie attraversando il Volturno: tutta l’Italia meridionale è liberata dai Borboni, come ci illustra il testo del garibaldino Abba, Da Quarto al Volturno. Garibaldi ha rispettato la proprietà privata dei latifondisti, ma anche i contadini, ai quali non ha mai espropriato un palmo di terra ed ai quali ha addirittura sempre pagato persino la colazione dei suoi soldati. Nel 1859 viene coniato un inno per Garibaldi, successivo quindi di 10 anni all’ ”Inno di Mameli”, che è del 1849. Nel 1859, Garibaldi è un mito anche a New York. I rapporti tra Cavour e Vittorio Emanuele II non erano sempre ottimi: il re non andò neanche ai funerali di Cavour, quando questi morì improvvisamente e prematuramente, il 6 giungo 1861, ma si limitò ad inviare il figlio. Dopo che Garibaldi è entrato a Napoli, Cavour prende l’iniziativa e, con il consenso di Napoleone III, sconfigge le truppe pontificie a Castelfidardo e ad Ancona. Ne sue il freddo incontro di Teano tra Garibaldi ed il re: l’eroe consegna al sovrano le terre liberate, che avevano già deciso la loro annessione al Regno di Sardegna. Ne segue, il 17 marzo 1861, l’unificazione del Regno d’Italia Emerge, nei primi anni del regno d’Italia, in tutta la sua forza dirompente, la “questione meridionale”:le differenze tra Nord e Sud sono vistosissime, a partire dall’istruzione. Al Nord l’analfabetismo tra la popolazione oscilla dal 20% al 40%, al Sud dall’ 80% a quasi il 100%, in Sicilia, ed al Sud si rimpiange la situazione precedente all’unificazione, si rimpiange la tirannia borbonica. Le leggi del Regno d’Italia, inizialmente privo di autonomie locali e di decentramento, vengono astrattamente estese a tutta la penisola: con la lunga leva obbligatoria si privano le famiglie contadine del Sud di braccia utili, giovani e forti per la lavorazione della terra, peraltro praticata con strumenti arretratissimi, e mentre il Mezzogiorno d’Italia vive in una condizione ancora per molti versi feudali, al Nord fa la sua comparsa l’industria; in questo contesto Cesare D’Azeglio affermò che “Bisogna fare gli italiani”. Nord e Sud presentano culture diversissime, si parlano dialetti differenti.Un altro aspetto dell’Italia post-unitaria fu quello della chiusura dei conventi e della laicizzazione della cultura: nei conventi furono istituiti i licei, è il caso del Liceo Classico “Galileo” di

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Firenze, istituzione dei padri scolopi. I governi della Destra Storica, che si susseguono dopo la morte di Cavour, dal 1861 al 1876, dopo l’ “Inchiesta Jacini” del 1861, che aveva preso atto della drammatica situazione delle campagne al Sud, si emana la “Legge Pica” nel 1863 e si stronca il brigantaggio, investendo molte risorse in quest’operazione di repressione, ma la repressione e l’affidamento dei briganti o presunti briganti ai tribunali militari è l’unica strada seguita. Renato Fucini, scrittore e giornalista verista toscano, l’autore de Le veglie di Neri, nel 1873 si reca a Napoli e descrive con crudo realismo la drammatica situazione sociale: si dorme in 20 in una stanza, in promiscuità, mancano le strade, le condizioni igienico-sanitarie sono terribili. Gravi e numerose furono quindi le cause del brigantaggio, che si sviluppò come fenomeno antiborbonico, ma anche antipiemontese, fenomeno che fu represso nel sangue con 120000 soldati. Antonio Gramsci, nel primo ‘900, ne Il Risorgimento, uno dei suoi sei Quaderni dal carcere, accuserà Garibaldi di aver favorito il gioco degli industriali del Nord e di aver trascurato la questione contadina al Sud, di non aver compreso, insieme a Mazzini, il fatto che la questione agraria poteva essere invece la molla per fare entrare in scena le masse, facendo così del Risorgimento un successo dell’Italia intera, e non solo del Nord; per Gramsci, l’azione di Garibaldi era dettata dall’autoritarismo di Crispi e per questo Garibaldi fu un elemento nocivo alla questione meridionale, Garibaldi fece il gioco delle forze di destra, che volevano il Piemonte come Stato “guida” dell’Italia; il filosofo Benedetto Croce, negli stessi anni scriverà che fino al 1861 l’Italia era “un’espressione geografica”, sottolineando quindi maggiormente il valore dell’unità politica che di quella culturale. 4. Garibaldi e Cavour: confronti ed interpretazioni storiografiche (Francesco Talamo, Università di Roma). Chiedersi cosa sia vivo oggi della tradizione risorgimentale non può prescindere dall’analisi dei grandi miti che hanno, seppur diversamente, contribuito al processo di unificazione nazionale: Garibaldi e Cavour. In Italia, prima è nata la nazione, poi lo Stato: D’Azeglio scrisse infatti che “L’Italia era fatta, ma bisognava fare gli italiani”, cioè si doveva dare alla nazione una connotazione politica e civile. Lo storico Delio Cantimori ha profondamente studiato questi problemi. Nel paradigma tradizionale, Garibaldi è concepito come l’eroe romantico e guerrigliero, Cavour come il diplomatico freddo e calcolatore, tuttavia si possono ravvisare in entrambi i personaggi elementi che tendono a smentire tale rigida impostazione. Nel ‘garibaldinismo’ confluirono infatti componenti diversissime, gli anticavouriani, i mazziniani, le masse di sottoproletari del Sud. In Garibaldi confluirono quindi variegate ed eterogenee connotazioni: l’eroe nizzardo le unificò tutte nella lotta per la libertà. Garibaldi, come ha scritto lo storico Denis mach Smith, rimase un “uomo comune” che riuscì a stabilire un contatto immenso con le masse, impresa che non riuscì a Cavour. Lo statista piemontese, per Mach Smith, fu “il Guicciardini dell’Ottocento”, indifferente alle emozioni, a differenza di Garibaldi, ma attento al “particolare”, alla “discrezione”, cioè alla capacità di discernere questioni ed alleanze. Anche in Garibaldi è presente un progetto politico, come si nota dalla crisi del 1860, quando l’eroe chiede a Vittorio Emanuele II di assumere pieni poteri e di destituire Cavour, in nome di un ingenuo cesarismo. Garibaldi è ora repubblicano, ammiratore di Mazzini, ora filomonarchico, in nome di un’ingenua fede nel re (offrì la sua spada a due re, a Carlo Alberto nella prima guerra d’indipendenza, ed a Vittorio Emanuele II nella seconda), ora è giacobino e socialista, sensibile alla “questione meridionale”, ordinando la divisione delle terre demaniali tra i contadini del Mezzogiorno, ora è un militare severo, ordinando al generale Nino Bixio la repressione della rivolta di Bronte, che comportò decine di fucilazioni tra i contadini, come illustra con crudo realismo Giovanni Verga nella novella Libertà. Da tale eterogeneo panorama si deduce come la figura di Garibaldi vada letta aldilà delle ideologie politiche: Garibaldi è un eroe che combatte per un ideale, e solo in quest’ottica è possibile rintracciare l’azione unitaria dell’eroe. Cavour è un economista liberista e liberale, formatosi sui libri, in Francia ed in Inghilterra: in questo lo statista dimostra la sua statura di intellettuale “europeo”, anche se ignaro, ad esempio, dei reali problemi della Sardegna e del Sud. Il filosofo Giovanni gentile, nel primo ‘900, vide in Cavour il più grande politico che l’Italia abbia mai avuto. In sintonia con Mach Smith, Gentile sostiene che il pensiero politico cavouriano è liberale, ma la sua azione fu talvolta illiberale, come dimostra la politica del “connubio”, consistente in un’alleanza tra le forze moderate di centro-destra e quelle di centro-sinistra, con l’esclusione dei pericolosi estremismi: questa, per Gentile come per Mach Smith, è la violazione della politica liberale, che non è basata sulla costruzione di un grande centro, come invece si era attuato con il connubio, ma sull’alternativa tra due poli, uno di maggioranza ed uno di opposizione. Per lo storico Omodeo, Cavour fu invece un politico con uno spiccato senso del “reale”, come emerge dal suo carteggio, per il quale vale la pena sacrificare l’ “ideale”, cioè le aspirazioni personali, romantiche, “artistiche”, che pure sono presenti anche nello statista piemontese.

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5. Giuseppe Garibaldi: la massoneria e l’associazionismo operaio e democratico in Italia (Zeffiro Ciuffoletti, Università di Firenze). Fin da giovane Garibaldi è membro della Massoneria; in seguito partecipa con vigore alle varie associazioni operaistiche; tale ‘partecipazione’ sarà esercitata da Garibaldi anche dopo la morte, nel senso che a suo nome saranno intitolati vari movimenti popolari, come le cooperative, le Società di Mutuo Soccorso, che svolgevano una sorta di attività sindacale, la brigata partigiana “Garibaldi” nella Resistenza al nazi-fascismo durante la seconda guerra mondiale. L’Italia appena formata è una monarchia costituzionale; molti Stati europei, come la Francia, conoscono per breve periodo un’esperienza costituzionale, negli anni 1848-1849. Gli Stati risorgimentali hanno un suffragio limitato e non sono Stati democratici; l’Inghilterra vittoriana, con Gladstone, conosce un certo allargamento elettorale; inoltre, nel Risorgimento, tra gli aventi diritto al voto, solo un’esigua minoranza si recava alle urne. Ciò dipendeva essenzialmente da ragioni culturali, dato l’altissimo tasso di analfabetismo, e da motivazioni socio-economiche, particolarmente gravi al Sud, che ovviamente distoglievano l’interesse dei braccianti dalla politica. Ralf Darendorf, sociologo della politica, tuttora vivente, ha affermato che un Paese realmente democratico prima di costituirsi come “Stato di diritto”è innanzitutto una “Civil Society”, cioè una “Società civile organizzata”; è questa, per Darendorf, la base di uno Stato di diritto, che non dev’essere un mero dispensatore di diritti, ma anche di doveri. Garibaldi si recò più volte in Parlamento, anche se era, come lui stesso scrisse nei suoi diari, “lontano dalle cerimonie parlamentari”: per Garibaldi bisogna rendere coscienti i popoli, e questo è possibile solo mediante l’associazionismo. Garibaldi, su queste basi, partecipa al Congresso di Roma del 1872 con due obiettivi: 1) l’unione delle forze democratiche popolari e 2) il suffragio universale. Tra Mazzini e Garibaldi si consumarono molte fratture, Garibaldi non fu solo il “braccio armato” della mente di Mazzini, anche se manca nell’eroe un preciso disegno ideologico: Mazzini era un rivoluzionario decisamente antimonarchico e repubblicano, solido nei suoi principi ideologici; Garibaldi avrebbe invece accettato l’unificazione a qualsiasi costo, sotto una monarchia o sotto una repubblica; è per questo che in Garibaldi è carente un progetto politico definito, perché a lui interessa primariamente la libertà e l’unità della patria. Garibaldi è stato utilizzato come dai socialisti per la sua vicinanza all’associazionismo ed alle società di mutuo soccorso, ma è esplicitamente contrario all’abolizione della proprietà privata, che rispetta, anche nel corso della “spedizione dei Mille”, senza compiere mai degli espropri. Per rendere cosciente il popolo è fondamentale educarlo; in questo senso Garibaldi pensa all’istituzione delle “scuole serali” come uno dei primi doveri dei governanti L’istruzione è infatti il punto di partenza per costruire l’ascesa sociale delle masse, e questo è un elemento comune tra Mazzini e Garibaldi (Mazzini aveva addirittura aperto una “scuola popolare” a Londra). Ma tale vicinanza alle masse non si traduce mai, nell’eroe nizzardo, e tanto meno in Mazzini, nell’abbracciare il socialismo: entrambi condannano, ad esempio, gli eccessi socialisti del programma comunardo francese del 1871. La vicinanza di Garibaldi alle masse si concretizza nell’abbracciare, invece, l’associazionismo. Molti sono quindi gli impegni di Garibaldi con l’associazionismo: oltre al già citato Congresso di Roma del 1872, nel 1867 aveva partecipato ad un convegno, a Ginevra, per la pace, e questo dimostra come sia fallace la tesi di un Garibaldi unilateralmente bellicoso. Nel 1881 Garibaldi promuove un congresso per l’allargamento del suffragio: il diritto di voto non è più concesso in base al censo, ma all’istruzione. E’ la Riforma Depretis del sistema elettorale, anche se non si è ancora giunti al suffragio universale, maschile e femminile (si ricordi, in proposito, che le donne in Italia andranno al voto per la prima volta solo il 2 giungo 1946, in occasione del referendum tra monarchia e repubblica). Garibaldi non farà comunque in tempo a vedere l’applicazione di questa riforma, perché morirà nel 1882. La Massoneria nasce come fenomeno di associazione, di “sociabilità”; già nel ‘700 nascono in Francia le logge massoniche e le donne sono già presenti nella Massoneria. Ma la Massoneria è particolarmente diffusa tra gli uomini di mare, anche in Inghilterra, come è fortemente presente tra i generali di Napoleone (17 su 25 sono massoni) e tra i commercianti. La Massoneria è un fenomeno internazionale diffuso in modo capillare, ma non unitariamente: è un fenomeno diversificato. La prima società a cui Garibaldi si iscrive è la Carboneria, e questo capita vicino a Odessa; poco dopo s’iscrive alla “Giovine Italia”, fondata da Mazzini nel 1831 per sopperire alle carenze delle sette risorgimentali, con l’intento, quindi, di un allargamento della base. Nel 1844 Garibaldi va a Rio de Janeiro, poi a Montevideo: s’iscrive alla loggia “L’asilo della virtù”, una loggia irregolare. In seguito, sempre a Montevideo, s’iscrive alla loggia regolare “Gli amici della patria”, alla quale hanno aderito anche molti mazziniani. Montevideo, in Argentina, è in lotta con il Brasile, che opprime la nazionalità argentina del Rio della Plata. Garibaldi partecipa alle lotte argentine, sul mare di Rio della

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Plata, una grande insenatura con baie e lagune: con una piccola imbarcazione da pesca, chiamata “Mazzini”, armata di pochi cannoni, s’impegna coraggiosamente contro l’impero brasiliano. Dopo la spedizione dei Mille, Garibaldi torna a far parte della Massoneria (che era anche fortemente presente in Sicilia grazie agli inglesi ed era penetrata negli alti gradi della marina borbonica). Il mese prima del crollo del Regno delle Due Sicilie, il giovanissimo re di Napoli concede la Costituzione: Garibaldi, appena liberata la Sicilia, su consiglio di Cattaneo, si adopera per la costruzione di una linea ferroviaria in Sicilia, ma quando l’eroe arriva a Napoli, Cavour invia nella città partenopea i suoi emissari ed inizia una campagna diffamatoria contro Mazzini e Garibaldi e contro la costruzione di tale linea ferroviaria, possibile solo con la complicità economica della Massoneria, ma in seguito, dopo l’unità d’Italia, “messo da parte” Garibaldi, che si ritira a Caprera, sarà proprio Cavour a volerla realizzare e ad arrogarsi il merito della costruzione. Nel 1862 Garibaldi diventa “Gran Maestro del Gran Governo di Palermo”, un’associazione massonica; nel 1864 viene eletto “Gran Maestro della Massoneria italiana”, ma Garibaldi accetterà tale carica solo a patto di raggiungere l’unità della Massoneria, preludio indispensabile all’unità dei ceti popolari: come disse D’Azeglio, “L’Italia è fatta, ma bisogna fare gli italiani”, cioè unire gli italiani in modo che non si sentano solo degli abitanti di una penisola; all’unificazione politica deve seguire quella “reale”, delle masse. Proprio grazie a Garibaldi la Massoneria diventerà la più grande “società segreta” italiana, attiva ancora oggi, e questo dimostra il fondamentale contributo di Garibaldi all’associazionismo. La Massoneria è un’associazione laica, non cattolica, proprio come Garibaldi l’aveva voluta: l’eroe è infatti fortemente anticlericale, perché la Chiesa è nemica del liberalismo, delle libertà, della democrazia, del socialismo, è stata un ostacolo all’unificazione italiana ed a quel progresso sociale e culturale del popolo tanto auspicato da Garibaldi; il “clericalismo” è per Garibaldi sinonimo di “oscurantismo”. Si pensi in proposito ad una figura come Bettino Ricasoli, cattolico, ma anche liberale, e per questo scomunicato dalla Chiesa di Pio IX. Fra’ Pantaleo e don Giovanni Verità furono uomini di Chiesa capaci di conciliare la fede con le aspirazioni liberali. La Chiesa cattolica, con anatemi e predizioni apocalittiche, ha ricercato il consenso tra le masse più povere, e per questo Garibaldi è fortemente anticlericale, anche se è profondamente religioso, convinto che Dio animi persino i cespugli di Caprera; Garibaldi concepisce dunque Dio come animatore della natura e del progresso, mostrandosi, in questo, vicino al pensiero religioso mazziniano. Garibaldi rifiutò di essere mitizzato, in quanto fu un uomo profondamente semplice, anche se fu preso come modello, negli anni ’80, dai repubblicani di Giovanni Spadolini, dai socialisti riformisti di Bettino Craxi e persino dal partito comunista italiano di Gian Carlo Paletta, che paragonò impropriamente Garibaldi a Che Guevara, senza considerare che i due miti sono diversissimi, in quanto il primo è uomo essenzialmente pragmatico, mentre il secondo fu uomo d’azione, ma anche ideologo istruito, medico esattamente. Non mancarono, nel corso della storiografia, accenti negativi su Garibaldi: la più nota visione demitizzante fu quella di Antonio Gramsci, il fondatore del partito comunista italiano con il Congresso di Livorno del 1921: nei suoi Quaderni dal carcere, scritti durante la prigionia fascista, e precisamente ne Il Risorgimento, accusa l’azione di Garibaldi di aver nuociuto alla questione meridionale, poiché i garibaldini eseguirono, durante la spedizione dei Mille, gli ordini di Francesco Crispi, uomo autoritario, come dimostra la sanguinosa repressione dei braccianti di Bronte, che, secondo Gramsci, si erano legittimamente rivoltati contro gli abusi dei “cappelli”, ovvero dei latifondisti, come ci illustra Verga nella novella “Libertà”. Sia Mazzini che Garibaldi non hanno capito, per Gramsci, che la questione contadina poteva essere la molla per fare entrare in scena le masse e fare, di conseguenza, del Risorgimento, un successo dell’Italia intera, e non solo del Nord. Non considerando la questione agraria del Sud, il partito d’azione di Mazzini in particolare avrebbe fatto il gioco delle forze di Destra, che andava ad esclusivo vantaggio dei latifondisti del Nord, che volevano il Piemonte come “Stato guida”.