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IL RUOLO DELLE CITTA' PORTUALI E DEI TRASPORTI MARITTIMI
NELLO SVILUPPO DEL MEZZOGIORNO
"ABSTRACT"
L’importanza del mare e dei trasporti marittimi, nonché, per conseguenza, delle
città portuali, risulta evidente per un Paese come l’Italia, che ha uno sviluppo costiero
senza paragoni con il resto dell’Europa continentale (più di 8000 km) e che presenta
potenzialità straordinarie legate alla sua posizione geografica caratteristica e strategica
di ponte proteso nel Mediterraneo, di saldatura tra Est ed Ovest, Nord e Sud.
Il nostro Paese rappresenta, infatti, una grande piattaforma logistica che si trova
oggi non solo al centro dei traffici inframediterranei, ma anche al centro delle rotte tra
l’Estremo Oriente ed il Nord Europa e, in prospettiva, anche delle cosiddette “rotte
pendulum” (pendulum routes) Far East-Mediterraneo-Nord (o Sud) America.
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Già nel 1861, Cavour scriveva: “Il sottoscritto, preposto all’amministrazione
delle cose di mare di uno Stato collocato nel mezzo del Mediterraneo, ricco di
invidiabile estensione di coste e di una numerosa popolazione marittima, sente il
dovere di dare il più ampio sviluppo alle risorse navali del Paese” 1.
D’altronde, la nascita e l’affermarsi dei primi grandi centri abitati e delle più
importanti civiltà del passato sono stati tradizionalmente condizionati dalla
disponibilità di un accesso al mare, diretto o garantito dalla presenza di corsi d’acqua
navigabili.
Ciò dimostra, ove ve ne fosse bisogno, che il mare ha sempre costituito un
rilevante, a volte decisivo, fattore di sviluppo che può influenzare significativamente
l’economia di una regione sia in quanto via di comunicazione, sia come fonte di risorse
naturali, sia come motore propulsivo di attività industriali, sia come sede di attività
turistiche, ricreative e sportive, sia in quanto oggetto di ricerca scientifica, sia come
area di interesse per l’apparato militare.
In tale contesto, i porti possono rivestire un fondamentale ruolo "strutturante"
nei confronti del sistema economico dell’area circostante, generando una serie di
effetti, diretti ed indiretti, capaci di promuovere lo sviluppo di molteplici attività
economiche tipicamente portuali e di altre attività cosiddette port related, ad esse
funzionalmente collegate. L’impatto economico che ne deriva, sia dal punto di vista del
reddito prodotto, sia dal punto di vista occupazionale, è in grado di generare una forte
crescita demografica, oltre che del benessere, nel territorio interessato.
Ai vantaggi localizzativi derivanti dall’esistenza del porto e del complesso delle
infrastrutture portuali, si aggiungono così le economie di concentrazione territoriale
caratteristiche degli agglomerati urbani di grandi dimensioni, i quali a volte si
sviluppano fino ad assumere la configurazione di vere e proprie aree metropolitane.
Altre attività possono trovare perciò conveniente localizzarsi nell’area considerata, in
quanto attratte dal mercato locale e dalla possibilità di ridurre i costi di produzione,
grazie all’esistenza di rilevanti economie esterne. Tali attività hanno, in alcuni casi,
raggiunto un’importanza così grande da far passare in secondo piano la rilevanza delle
funzioni più strettamente legate al porto.
1 CONFITARMA (Confederazione Italiana Armatori), La scelta del mare - Un grande progetto di politica dei trasporti per la competitività delle imprese, per la crescita del sistema economico e per la qualità dell'ambiente, 2001, pag.14 .
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I porti, poi, costituiscono elementi essenziali della politica a favore della
mobilità sostenibile. Essi, infatti, sono punti di connessione fondamentali che
consentono di trasferire merci e passeggeri tra il modo di trasporto marittimo e quello
terrestre, aumentando complessivamente l’efficienza del “sistema di trasporto”.
La presenza di un porto, inoltre, condiziona notevolmente il contesto sociale ed
ambientale (territoriale, paesistico, urbanistico) della città o area che lo ospita.
Negli ultimi anni, tuttavia, molte delle virtualità localizzative che hanno fatto
delle aree portuali centri di attrazione e di sviluppo di innumerevoli attività
economiche, tendono ad attenuarsi o ad essere meno vincolate ai porti sotto il profilo
territoriale, con rilevanti ripercussioni sulle prospettive di sviluppo delle medesime
aree, in particolar modo nei Paesi più avanzati.
Dal punto di vista economico, le innovazioni tecnologiche ed organizzative
intervenute nel ciclo di trasporto, unitamente ad alcune tendenze di lungo periodo
affermatesi nell’economia mondiale, hanno di fatto aumentato l’indifferenza
localizzativa di molte attività, svincolandole dai porti e consentendo la ricerca di altri,
eventualmente maggiori, vantaggi localizzativi in altre aree, anche interne.
La globalizzazione dell’economia (fenomeno di grande attualità) ha provocato,
come conseguenza, una rilocalizzazione nelle zone costiere dei Paesi in via di sviluppo
di molte industrie, specialmente di quelle siderurgiche, petrolifere, chimiche e
meccaniche, che in precendenza rivestivano un importante ruolo nella struttura
economica delle regioni portuali delle economie più avanzate.
Lo sviluppo del trasporto intermodale, l’unitizzazione dei carichi, la sempre
maggiore introduzione di tecnologie informatiche e telematiche, hanno sensibilmente
ridotto, per i porti, la funzione di nodo di traffico, che può ora svolgersi anche in
località distanti dal porto. Il controllo del ciclo di trasporto intermodale è di frequente
assunto da operatori non marittimi, accrescendo solitamente l’importanza dei centri
interni come centri decisionali.
L’aumento dei traffici a livello internazionale, insieme all’unitizzazione ed alla
specializzazione dei trasporti, hanno portato al perseguimento delle economie di scala
della nave, rendendo in molti casi obsoleti i terminali esistenti, divenuti insufficienti
per le esigenze delle operazioni di movimentazione e stoccaggio delle merci ed
inadeguati i bacini, i fondali e le banchine di numerosi porti.
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Il continuo sviluppo della containerizzazione, particolarmente congeniale al
trasporto marittimo, implica la necessità di crescenti spazi portuali, solitamente non
disponibili negli scali tradizionali. Di conseguenza, i flussi di traffico si sono
prevalentemente concentrati su pochi porti di grandi dimensioni, nei quali sia anche
possibile intraprendere programmi di espansione per i terminali.
Le innovazioni relative al nodo portuale sono state capital intensive e land
intensive, così che ad un radicale mutamento nel quadro dei benefici e dei costi
connessi alla presenza del porto si vengono ad aggiungere nuovi e diversi costi per la
collettività locale, chiamata a far fronte non solo ai crescenti livelli di congestione, di
inquinamento atmosferico, acustico e marino, ma anche alla sottrazione di una
crescente quantità di una risorsa pubblica (lo spazio costiero) e di un bene (lo spazio in
genere) comunque suscettibile di forti pressioni per utilizzi alternativi.
L’affermazione del transhipment, conseguente alla ricerca delle economie di
scala della nave e dell’impianto portuale, pur consentendo una migliore gestione della
logistica, la standardizzazione di costi e di operazioni di sbarco-imbarco, controlli più
facili, tempi ridotti di stazionamento e sviluppo dell’intermodalità, ha tuttavia
ulteriormente indebolito la relazione fra il porto e il proprio retroterra.
“I porti non danno più luogo al complesso linkage industriale del passato, così
che anche gli effetti di moltipicazione del reddito possono non essere rilevanti; sempre
più, le merci attraversano il porto senza fermarsi e/o senza indurre attività economiche,
occupazione e valore aggiunto”2.
La maggiore libertà localizzativa e il problema delle diseconomie provocate
dalla congestione delle regioni portuali possono favorire l’allontanamento dal porto di
molte attività produttive, o di parti di esse. Ne risultano una nuova articolazione
spaziale della struttura economica ed una nuova divisione territoriale del lavoro, con
profonde ripercussioni sui porti e sui sistemi economici delle aree portuali.
Le relazioni tra il porto e l’economia locale si sono indebolite; nonostante la
continua crescita dei volumi movimentati, le prestazioni fornite alle merci sono minori
rispetto al passato, molte delle attività portuali hanno perduto importanza e richiedono
meno manodopera.
2 VALLERI M. (a cura di), L'industria portuale: per uno sviluppo sostenibile dei porti, Bari, 1996, Cacucci Editore, pag.45 .
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Diventa allora di fondamentale importanza, nell’analisi della futura potenzialità
economica delle aree portuali, considerare e valutare da un lato la portata dei fattori
polarizzanti (costituiti dalle economie di scala dell’impianto portuale e delle industrie,
dalle economie di concentrazione territoriale e dalle altre convenienze localizzative) e,
dall’altro, i fenomeni che possono impedire il tradursi in atto delle virtualità
localizzative e dei fattori di sviluppo potenziali.
Bisogna, inoltre, individuare le possibili soluzioni atte al superamento, o
all’attenuazione, di questi ostacoli. Allo scopo, occorre predisporre articolati piani,
improntati ad una strategia “offertista”, in cui, invece di adeguare a posteriori le
infrastrutture alle esigenze dei traffici e del sistema economico, si crei un surplus di
capacità infrastrutturali e di servizi, in grado di attrarre traffici ed attività economiche.
E' necessario, altresì, tenere presente che gli interventi infrastrutturali hanno
effetti nel medio-lungo periodo, per cui una corretta programmazione deve puntare, in
una prospettiva dinamica, anche su alcune misure di breve periodo, come gli
investimenti in sistemi organizzativi, lo snellimento delle procedure burocratiche
(particolarmente quelle doganali), gli investimenti in formazione e sicurezza ed, infine,
l’eliminazione di una serie di tasse che pongono limiti allo sviluppo dei traffici senza
peraltro portare significativi benefici al bilancio statale. E’ importante che l’area
portuale resti titolare delle funzioni direzionali delle attività produttive e centro di
produzione e di offerta dei servizi di rango più elevato.
La risoluzione delle problematiche delineate assume particolare importanza per
il Mezzogiorno d’Italia che, com'è noto, soffre di una storica condizione di
sottosviluppo, sebbene proprio in quest’area del nostro Paese si concentrino
attualmente le più vaste potenzialità di sviluppo, considerato l’enorme spreco di risorse
umane, materiali, finanziarie, pubbliche e private che fino ad oggi l’hanno
caratterizzata. Negli ultimi anni le differenze in termini di PIL pro-capite tra le regioni
sono ulteriormente aumentate; le regioni del Mezzogiorno sono cresciute più
lentamente del resto del Paese, determinando un progressivo allargamento del
differenziale di reddito pro-capite a cui si aggiunge un elevato e sempre più
preoccupante tasso di disoccupazione.
Nel contesto della cosiddetta “Questione Meridionale”, può e deve quindi
trovare posto, quale volàno di lievitazione dell’economia, anche una adeguata politica
di sviluppo dei porti e delle infrastrutture portuali, di miglioramento della produttività e
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dell’organizzazione, in una visione complessiva che tenga conto delle nuove ed
articolate tendenze in atto nel settore connesse, in particolare, al trasporto intermodale e
combinato, alla specializzazione dei servizi, alla logistica integrata, alla diffusione di
sistemi informatici, al processo di liberalizzazione messo in moto con la riforma
portuale del 1994 (Legge n.84 del 1994).
La politica portuale deve puntare sugli elementi di forza del sistema italiano e
meridionale in particolare, per metterlo in grado, una volta pervenuto a dotazioni
infrastrutturali e di servizi adeguate, di competere in condizioni di parità con gli altri
porti di maggiore importanza del Nord Europa (il cosiddetto Northern Range) e del
Mediterraneo.
Lo scopo del presente lavoro è proprio quello di esaminare le condizioni della
portualità meridionale (con particolare riferimento ai porti di Bari, Cagliari, Catania,
Gioia Tauro, Napoli, Palermo, Salerno e Taranto), di illustrarne le attuali carenze
ma anche alcuni importanti aspetti positivi e di proporre, infine, adeguate e fattibili
condizioni di utilizzo che ne esaltino le potenzialità presenti e future, determinando la
creazione di reddito ed occupazione in modo stabile nel tempo.
Dal lavoro emergono, quindi, luci ed ombre della portualità meridionale. Se,
infatti, può considerarsi positiva l'esperienza di Gioia Tauro, non si può non affermare
che i buoni risultati fin qui ottenuti non devono in alcun modo far dormire sugli
allori: è necessario intervenire sempre più sul versante della realizzazione delle
infrastrutture ed in particolare dei collegamenti intermodali, che hanno evidenziato, a
volte in modo drammatico, le loro carenze, senza, tuttavia, trascurare l'aspetto relativo
al continuo rinnovamento delle strutture interne agli scali, i quali devono anche
assicurare mezzi e macchinari in linea con il progresso tecnologico.
Non si potrà, inoltre, non tener conto del settore dei servizi e dei costi che tali
servizi generano, dello snellimento delle procedure burocratiche, della loro
informatizzazione.
In tal senso, se sono auspicabili ulteriori interventi legislativi che, a fronte di
nuove disponibilità finanziarie per la realizzazione delle strutture mancanti,
intervengano per ridurre vincoli ed impedimenti, è anche necessario che le Autorità
Portuali esplichino pienamente i principali compiti di programmazione, di
coordinamento, di promozione e di controllo delle attività portuali, commerciali ed
industriali ad esse attribuiti dalla Legge 28 Gennaio 1994 n.84, di riforma
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dell'ordinamento portuale. Emerge anche l'esigenza di una lotta sempre più serrata
contro la criminalità organizzata che, specie in alcune realtà territoriali del
Mezzogiorno, costituisce un grave ostacolo al pieno dispiegarsi delle potenzialità di
sviluppo della portualità e delle possibili attività produttive connesse.
Nel settore del transhipment, che è quello ormai prevalente nel trasporto merci
containerizzate, almeno a livello internazionale ed intercontinentale, appare necessaria
una più marcata specializzazione dei ruoli fra i porti meridionali.
Le esperienze deludenti di Palermo e Cagliari permettono di affermare che la
concorrenza fra gli scali del Mezzogiorno in tale settore non è apportatrice di effetti
benefici: in altri termini, non tutti i porti del Meridione possono aspirare al ruolo di hub
di transhipment, mentre alcuni di essi, come ad esempio Salerno, Catania e Bari,
possono puntare, con maggiori prospettive di successo, al traffico di cabotaggio, allo
short sea shipping (per lo sviluppo delle cosiddette "autostrade del mare"), a quello
crocieristico e di movimento passeggeri in genere, nonchè al traffico di feederaggio.
Gioia Tauro comincia a soffrire la concorrenza di Taranto, il che dimostra che
in questo campo un ulteriore allargamento della platea dei concorrenti può causare solo
danni.
Ciò ovviamente non significa l'abbandono del traffico di merci containerizzate,
che presenta comunque buone prospettive di sviluppo ed è, anzi, importante al fine di
ridurre l'impatto negativo che il traffico gommato esercita sulla congestione delle vie
terrestri e sull'inquinamento ambientale, nè di quello Ro-Ro che comporta analoghi
benefici effetti.
Il settore della cantieristica e delle riparazioni navali trova in Napoli e Palermo i
poli di possibile, ulteriore sviluppo. E si tratta di un settore a forte valore aggiunto
(vista la tendenza mondiale alla realizzazione di navi sempre più grandi e sofisticate sia
per i traffici mercantili che crocieristici), che può generare vaste opportunità di lavoro
per l'economia del Mezzogiorno.
Il segmento crocieristico, che trova ancora in Napoli lo scalo più vivace, può
rappresentare per Cagliari e Palermo una grande opportunità di sviluppo, se
accompagnato da idonei provvedimenti tesi a pubblicizzare, ed adeguatamente
sostenere dal punto di vista delle logistica dell'accoglienza, le bellezze artistiche,
monumentali e paesaggistiche dei rispettivi entroterra.
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Nello stesso settore, per quanto riguarda Bari, deve essere sempre più
perseguito l'obiettivo di trasformarlo da scalo di transito a home port, per indurre una
più lunga permanenza dei crocieristi nella città e nell'hinterland.
Gli scali meridionali devono, inoltre, cogliere le opportunità rappresentate dalla
loro vantaggiosa posizione geografica rispetto alle rotte che collegano Far East,
Mediterraneo, Nord e Sud America, per proporsi sempre più come convenienti e
competitivi porti di scalo sul piano della riduzione dei tempi di navigazione (transit
times) e di resa, dell'efficienza dei servizi e degli spazi offerti, da cui possono derivare
riduzioni di costi tali da costituire un richiamo appetibile per le grandi compagnie di
navigazione. Questo particolare aspetto è stato approfondito attraverso l'elaborazione di
un modello economico che tratta dell'evoluzione del settore del traffico containerizzato
e dei criteri seguiti nella scelta del porto di scalo da parte delle imprese insediate nei
retroterra portuali e delle compagnie di navigazione.
Sull'esempio di Genova, il cui porto è stato assunto come termine di paragone,
in quanto considerato storicamente il capofila della portualità italiana, alcuni porti a
diretto contatto con il centro urbano delle rispettive città (vedi Palermo, Napoli,
Cagliari, Catania) devono inoltre poter intraprendere una nuova politica di
valorizzazione del waterfront, allo scopo di pervenire ad una diversa e più funzionale
fruizione degli spazi portuali da parte della città.
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