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IL RUOLO DEL TRAUMA OCCLUSALE NELL’EZIOLOGIA DELLA PERIMPLANTITE A.I.S.I. – Accademia Italiana di Stomatologia Implantoprotesica Franco Rossi – Federico Meynardi 1. Abstract 2. Introduzione 3. L’importanza dell’equilibrio occlusale statico e dinamico nell’implantoprotesi 4. Relazione centrica 5. Come devono essere i contatti centrici 6. I contatti statici centrici in implantoprotesi 7. Fisiopatologia del trauma occlusale statico 8. Occlusione dinamica 9. Movimenti di lateralità e guida canina con gli impianti 10. Esempi clinici 11. Materiali e metodi 12. Descrizione del caso 13. Discussione e conclusioni 14. Bibliografia ABSTRACT La perimplantite rappresenta una delle complicanze che possono insorgere in pazienti riabilitati con protesi sostenute da impianti. Questo tipo di complicanza, se non adeguatamente trattata, può portare al fallimento degli impianti. La perimplantite può essere definita un’infezione cronica indotta dalla placca batterica, che comporta la perdita dell’osso peri-implantare. La periimplantite, con perdita di 3 mm o più di osso marginale, sanguinamento e/o pus al sondaggio, è stata diagnosticata al 16% dei pazienti riabilitati con impianti Brånemark a superficie macchinata, seguiti per un periodo compreso tra 9 e 14 anni dal carico. Gli impianti con una superficie molto ruvida presentano un rischio di peri-implantite maggiore. La perimplantite è difficile da trattare e la prognosi a lungo termine degli impianti affetti rimane incerta (Esposito, M. et al, 1999). Della perimplantite possiamo dire che:

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IL RUOLO DEL TRAUMA OCCLUSALE NELL’EZIOLOGIA DELLA PERIMPLANTITE

A.I.S.I. – Accademia Italiana di Stomatologia Implantoprotesica

Franco Rossi – Federico Meynardi

1. Abstract

2. Introduzione

3. L’importanza dell’equilibrio occlusale statico e dinamico nell’implantoprotesi

4. Relazione centrica

5. Come devono essere i contatti centrici

6. I contatti statici centrici in implantoprotesi

7. Fisiopatologia del trauma occlusale statico

8. Occlusione dinamica

9. Movimenti di lateralità e guida canina con gli impianti

10. Esempi clinici

11. Materiali e metodi

12. Descrizione del caso

13. Discussione e conclusioni

14. Bibliografia

ABSTRACT La perimplantite rappresenta una delle complicanze che possono insorgere in pazienti

riabilitati con protesi sostenute da impianti. Questo tipo di complicanza, se non

adeguatamente trattata, può portare al fallimento degli impianti.

La perimplantite può essere definita un’infezione cronica indotta dalla placca batterica,

che comporta la perdita dell’osso peri-implantare.

La periimplantite, con perdita di 3 mm o più di osso marginale, sanguinamento e/o pus

al sondaggio, è stata diagnosticata al 16% dei pazienti riabilitati con impianti Brånemark

a superficie macchinata, seguiti per un periodo compreso tra 9 e 14 anni dal carico.

Gli impianti con una superficie molto ruvida presentano un rischio di peri-implantite

maggiore.

La perimplantite è difficile da trattare e la prognosi a lungo termine degli impianti affetti

rimane incerta (Esposito, M. et al, 1999).

Della perimplantite possiamo dire che:

Si manifesta su impianti già osteointegrati, a differenza di altri processi infettivi propri

degli impianti.

E’ indipendente dalla forma dell’impianto.

L’impianto rimane funzionante fino al momento della sua mobilizzazione.

L’infezione è certamente sostenuta dai germi del cavo orale.

L’eziologia però non è esclusivamente batterica.

La perimplantite non va confusa con altri processi infettivi che interessano gli impianti,

come quelli che si possono verificare immediatamente dopo la loro inserzione o durante

il periodo necessario all’osteogenesi riparativa. Tali processi flogistici, generalmente,

mobilizzano l’impianto prima dell’avvenuta osteointegrazione, richiedendone

l’immediata rimozione e sono da attribuire principalmente ad inadeguate manovre

chirurgiche, fenestrature ossee, sopravvenute infezioni durante la guarigione.

Premesso che la malattia parodontale/perimplantare è considerata una sindrome

multifattoriale con ipotesi eziopatogenetiche infettivologiche, genetiche, internistiche e

biomeccaniche, in questa esposizione prendiamo in esame un fattore eziologico

generalmente trascurato: il trauma occlusale.

Cercheremo di dimostrare quanto possa essere determinante lo stress meccanico cronico

sull’apparato dento-gengivale nel favorire la trasformazione della flora batterica da

saprofitica in patogena opportunista.

INTRODUZIONE

La Malattia Parodontale /Perimplantare viene considerata, da parte di una corrente di

pensiero mediaticamente preponderante, malattia infettiva ab initio, vale a dire innescata

dalla componente batterica, saprofitica fino al momento dell’ insorgenza della malattia,

su un terreno integro e sano. Tale evento sarebbe pertanto essenzialmente dovuto

all’accumulo di carica batterica da insufficiente rimozione meccanica, in grado di

invadere i tessuti profondi superando le barriere difensive, perfettamente efficienti in

termini di ostacolo strutturale e di difesa antimicrobica in generale

La placca è un accumulo fisiologico di sostanza mista organica ed inorganica a

significativo contenuto microbico, in particolare batterico che, oltre ad aderire alla

superficie dei denti, può attecchire tenacemente sulle strutture implantoprotesiche

(Listgarten, M.A., 1994 – Lindhe, J., 1989).

È stata delineata da precedenti studi la similarità nella composizione della placca dentale

e di quella ritrovata a livello dell’abutment implantare. Questa consiste soprattutto in

cocchi Gram+ aerobi e batteri non mobili (Gandolfo, S. et al, 1994 – Berglundh, T. et al,

1992).

Nel corso di esperimenti sui cani, Berglundh ed Ericsson (Ericsson, I. et al, 1992) hanno

rilevato che la quantità di placca formata nelle aree dentali e in quelle implantari è

simile, così come la composizione. Gli impianti e i denti circondati da tessuti molli sani

si associano costantemente ad una placca caratterizzata da quantità prevalenti di cocchi e

bacilli Gram+, mentre i siti che evidenziano malattia parodontale e perimplantare

diffusa contengono biopellicole con notevole quantità di bastoncelli, fusiformi e

spiraliformi, nettamente prevalenti rispetto alla forme coccoidi ed in più chiaramente

mobili (Meynardi, F. et al, 2011).

Questi dati non fanno che confermare i risultati di Listgarten (Listgarten, M.A. et al,

2003) , secondo il quale la percentuale di cocchi ritrovata in zona implantare è pari al

71,3% del totale, mentre le altre morfologie batteriche rappresentano la netta minoranza,

soprattutto quelle mobili (0,4%). Questi dati subiscono variazioni significative nei siti

che evidenziano infiammazione parodontale e perimplantare con valori percentuali di

cocchi nettamente diminuiti.

L’evoluzione della malattia parodontale e perimplantare è caratterizzata da tratti di

imprevedibilità e impredicibilità evolutiva, costringendo il paziente a continui controlli.

L’approccio eziopatogenetico puramente batteriologico ab initio considera diverse

ipotesi infettivologiche, secondo le quali il fronte microbico presente nella placca dento-

gengivale può rappresentare l’associazione tra varie specie e la noxa responsabile

dell’innesco del processo infettivo.

Un’altra ipotesi potrebbe essere rappresentata dall’insorgenza di uno squilibrio batterico

in grado di indurre condizioni microbiotiche tali da determinare il processo infettivo.

Secondo Listgarten potrebbe trattarsi di ceppi specifici come ad esempio il Treponema

denticola.

Queste teorie non considerano l’importanza delle condizioni dell’organismo ospite nel

suo rapporto dinamico-adattativo nei confronti della componente microbiotica.

L’organismo ospite rappresenta la controparte dell’assetto batterico, la cui capacità

invasiva prescinderebbe dai fattori difensivi propri dell’organismo.

L’interpretazione puramente eziologico-batterica imputa la responsabilità e il fenomeno

patologico solo a carico del batterio, escludendo qualsiasi altra causa.

Verosimilmente, il fatto che un organismo sano e integro nelle sue componenti

strutturali, funzionali, metaboliche, immunitarie possa essere aggredito ab initio dai vari

tipi di microbi presenti nel cavo orale, prescindendo da fattori in grado di favorire la loro

trasformazione dallo stato di saprofitico in patogeno, contrasta con i principi biologici.

Il messaggio che l’igiene orale sia l’unico fattore di prevenzione della malattia

parodontale è fuorviante (Mombelli, A., 1999).

L’analisi evoca alcuni quesiti nei confronti dei meccanismi che darebbero origine ab

initio, in condizioni di terreno totalmente sano e per mero accumulo di placca dento-

gengivale da scarsa igiene orale, alla malattia parodontale (Listgarten, M.A., 1976) . In

tal senso, occorrerebbe conoscere esaurientemente quali siano le circostanze che

determinano l’esordio della parodontite – perimplantite ab initio su terreno sano:

- in quale momento particolare insorge l’infezione;

- quali condizioni tissutali favoriscono l’attecchimento batterico;

- quali condizioni microbiotiche sono necessarie e quali risultano favorenti;

- quali sono le effettive, intime, cause di rottura nel rapporto di equilibrio ospite-flora

batterica saprofitica;

- quali meccanismi batterici permettono il superamento della barriera epiteliale e

immunitaria topica e generale, in condizioni di integrità ad efficienza, con conseguente

penetrazione nel corion, fino all’osso alveolare e successiva trasformazione della flora

batterica da saprofitica a patogena opportunista.

L’analisi bibliografica inizia da Autori di riferimento, come Karoly, che per primo nel

1901 sostenne una relazione causa-effetto tra bruxismo e malattia parodontale,

denominata “effetto Karoly”. Nel 1922, Stillman e McCall stabilirono che l’occlusione

traumatica è uno stress occlusale abnorme capace di produrre danno al parodonto. Lo

stesso Glickmann, negli anni ’60, sostenne che il trauma occlusale rappresenta un fattore

predisponente alla successiva infezione batterica, secondo la teoria della zona di

irritazione e co-distruzione da trauma occlusale cronico.

Negli anni successivi la corrente a favore dell’eziopatogenesi batterica prende forma con

diversi Autori. Questi Autori rappresentano una linea di pensiero non sostitutiva, ma

solo contestuale al pensiero comunque sempre attuale a favore della patogenesi

biomeccanica della malattia parodontale (Vettore, M.V. et al, 2003 – Genco, R.J. et al,

1999).

Nel 1993, il Prof. Ugo Pasqualini pubblicò un testo fondamentale, fornendo le basi

scientifiche della biomeccanica complessa dell’occlusione e dimostrando clinicamente

una correlazione tra l’azione reiterata delle vettorialità di carico disfunzionale,

malocclusione, e gli effetti conseguenti, a medio-lungo termine, sull’apparato di

sostegno parodontale.

Ne consegue distrofia con microulcerazioni della membrana basale, soluzioni di

continuo dell’attacco epiteliale e contemporanea evoluzione verso l’atrofia osseo-

alveolare.

Si instaura un danno tissutale flogistico-asettico-cronico, definibile come “parodontosi”,

propedeutico al processo flogistico settico-batterico definito parodontite. Molti lavori

confermano tale base eziopatogenetica nell’insorgenza ed evoluzione della malattia

parodontale (Wimmer, G. et al, 2002 - Blaser, M., 2006 – Lee, Y.K. et al, 2010 –

Kawai, T. et al, 1998).

Secondo l’impostazione eziologica infettivologica ab initio, la metodologia clinica di

diagnosi, trattamento, prognosi e prevenzione comprende protocolli che possono variare

dalla semplice igiene orale, mediante ultrasuoni e levigatura radicolare, fino

all’approccio chirurgico con rigenerazione ossea guidata.

Tab. 1 Schema delle alterazioni fisiopatologiche conseguenti a forze disfunzionali

croniche

La maggior parte delle specie batteriche considerate patogene opportuniste sono, in

realtà, già normalmente presenti nell’individuo parodontalmente sano, seppure in

proporzioni peculiari.

Ciò che è più significativo è che infiniti tentativi di identificare l’agente etiologico nel

corion sano non hanno mai sortito risultati evidenti. (Lisgarten, M.A., 1988 – Socransky,

S.S. et al, 1979-2000 – Newman, M.G., 1985)

Ciò potrebbe significare che se non si instaura una soluzione di continuo attraverso il

sigillo muco-gengivale i saprofiti non sono in grado di invadere i tessuti sottostanti in

quanto non in grado di perforare in qualsivoglia modo un sigillo sano (Gandolfo, S. et

al, 1994 – Allaker, R.P. et al, 2005 – Wolff, L.F. et al, 1988 – Meynardi, F. et al, 2011).

Per contro, è stato ampiamente dimostrato il ruolo determinante del trauma occlusale

cronico nel provocare sofferenza tissutale. Tale terreno favorevole potrebbe risultare la

conditio sine qua non nel favorire la successiva infezione parodontale.

Questa situazione avrebbe una forte valenza nell’interpretazione del meccanismo di

trasformazione della flora batterica da saprofitica a patogena opportunista

Nel follow up (Meynardi, F. et al, 2011) le condizioni di salute dei siti parodontali

trattati mediante riequilibrio occlusale risultano stabili, a fronte di un profilo batterico

che si mantiene saprofitico per specie batteriche con netta prevalenza di forme coccoidi.

Nei casi trattati mediante la sola igiene orale tali siti di lesione parodontale risultano

tendenzialmente recidivanti dal punto di vista clinico e batteriologico con ripristino di un

profilo batterico ricco di forme patogene quali filamenti, bastoncelli, spiraliformi e

fusiformi.

Ciò sta a significare che la sola rimozione della placca batterica mediante levigatura non

è sufficiente a rimuovere la vera causa patogenetica che porta alla conseguente flogosi

gengivo-parodontale.

In conclusione, la malattia parodontale rappresenta una sindrome su base disfunzionale

biomeccanica in cui il danno sostanziale è distrofico-atrofico e l’infezione batterica ne

rappresenta una evoluzione settica.

Fig. 1 In blu, andamento del campione trattato con sola igiene orale. In rosso,

andamento del campione trattato con igiene orale e riequilibrio occlusale

Ricapitolando:

La stabilizzazione di un profilo batterico sostanzialmente saprofitico nei siti

parodontopatici trattati mediante riequilibrio occlusale, evidenzia il ritorno ad un

ecosistema caratterizzato da una condizione trofica sostenuta da un microcircolo

ripristinato, rilevabile clinicamente con una riduzione stabile dell’edema, assenza di

sanguinamento e riduzione della mobilità dentale.

Questo significa che è fondamentale distinguere il quadro di parodontopatia cronica

distrofico – atrofica, dal quadro di parodontite, da intendersi come risultato della

sovrapposizione infettivo – batterica successiva al danno tissutale su base disfunzionale.

Ciò significa che in ambito clinico l’approccio diagnostico – terapeutico deve essere

innanzitutto funzionalistico – biomeccanico, ed avere come finalità prioritaria il

riequilibrio dell’occlusione.

Della stessa natura deve essere l’approccio preventologico.

L’atteggiamento di attenzione costante rivolto esclusivamente al fattore igienico non

previene la patologia parodontale vera, ma semplicemente la possibile sovrapposizione

infettivologica al danno tissutale, in realtà ormai stabilito da una disfunzione reiterata di

carichi vettoriali che alimentano livelli di stress maggiori di quelle che sono le effettive

possibilità adattativo – compensatorie dell’organo stomatognatico nel tempo.

In conclusione, la malattia parodontale rappresenta una sindrome su base disfunzionale

biomeccanica in cui il danno sostanziale è distrofico-atrofico e l’infezione batterica ne

rappresenta una evoluzione settica.

Tutto questo, in ambito implantoprotesico, viene esasperato, in mancanza di organi di

mediazione funzionale, con distribuzione dinamica e modulata dei carichi.

Perché attorno all’impianto manca il legamento parodontale, che nel dente naturale

ricopre un ruolo fondamentale, evitando di fatto il contatto diretto tra corpo radicolare ed

osso alveolare.

Ciò rappresenta evidentemente la condizione biomeccanica ottimale, purtroppo non

possibile nel caso di anchilosi implanto-ossee.

L’IMPORTANZA DELL’EQUILIBRIO OCCLUSALE STATICO E DINAMICO

NELL’IMPLANTOPROTESI

I contatti tra le arcate dentarie sono distinti in contatti statici e contatti dinamici.

Contatti intracuspidali statici si realizzano quando la mandibola termina il suo tragitto

di chiusura ed appoggia il piano occlusale dei propri denti, contro il corrispondente

piano occlusale dei denti antagonisti.

Vengono utilizzati durante la deglutizione come piani di resistenza statica alle forze

muscolari che contraendosi in antagonismo, provocano il sollevamento della lingua e del

pavimento della bocca favorendo la spinta del cibo entro l’esofago.

Contatti intracuspidali dinamici si realizzano durante la masticazione che avviene con la

mandibola in movimento, utilizzando le resistenze del piano di scorrimento dei canini

come contatto dinamico protettivo per guidare premolari e molari ai contatti trituranti,

mantenendoli entro determinati limiti di resistenza.

Quando deglutizione e masticazione avvengono rispettivamente in equilibrio statico ed

in equilibrio dinamico, con i condili contemporaneamente nella loro specifica e corretta

posizione nella fossa glenoidea (occlusione protetta), si ottiene la condizione di

“Armonia Occlusale”.

Quando i contatti statici e dinamici sono alterati, la masticazione e la deglutizione si

realizzano con una meccanica che può superare i limiti di resistenza fisiologica delle

strutture coinvolte, traumatizzandole. Questo squilibrio provoca molteplici

manifestazioni patologiche, indicate con il termine generico di “Trauma Occlusale”.

(Pasqualini, U., 1993)

Fig. 2 Manifestazioni patologiche legate al trauma occlusale (Pasqualini, U., 1993) Per capire le manifestazioni patologiche dovute al trauma occlusale, bisogna conoscere

la fisiologia della masticazione.

Ricordiamo innanzitutto che l’apparato masticatorio è un sistema sottoposto

contemporaneamente a leggi fisiche e a leggi biologiche.

Leggi fisiche: perché si tratta di un sistema in continua attività, che lavora producendo

forze molto intense che non possono sottrarsi alle leggi della fisica.

Leggi biologiche: perché tali forze si scaricano su strutture biologiche in grado di

sopportarle e di contrastarle con indici di resistenza diversi, che variano a seconda di

quello che viene definito “terreno biologico costituzionale” (le caratteristiche fisiche e la

capacità di difesa proprie di ciascun organismo).

Questi indici di resistenza dipendono da: durezza di smalto e dentina, differenti biotipi

gengivali (quantità e qualità di gengiva aderente), mineralizzazione e trofismo dell’osso,

difese immunitarie (resistenza alle infezioni); e sono influenzati da: tono muscolare,

parafunzioni, abitudini alimentari, igiene orale ed equilibrio dei contatti occlusali.

E’ comprensibile, da quanto è stato detto, come sia complesso studiare l’apparato

masticatorio con modelli matematici, dato che uno stesso stimolo nocivo non provoca

necessariamente l’identica risposta patologica in tutti i soggetti in cui viene applicato, o

almeno che per avere una stessa risposta patologica possono occorrere tempi diversi.

RELAZIONE CENTRICA

Fig. 3 Spiegazione nel testo

Possiamo descrivere la “relazione centrica” come il punto in cui la posizione dei condili

nel loro rapporto con la cavità articolare, permette alla mandibola di occludere sui denti

antagonisti con la massima economia muscolare e senza alcuna tensione dei legamenti

articolari.

Questa posizione condilare non è mai a contatto con la parete posteriore della fossa

glenoidea, dalla quale è sempre separata da uno spazio reale, che pur potendo essere

annullato da tensioni o pressioni abnormi, deve essere assolutamente rispettato in ogni

manovra di riequilibrio.

Questa definizione della posizione condilare in relazione centrica, formulata più di 20

anni fa da Ugo Pasqualini (Pasqualini, U., 1993), anticipa e concorda con la maggior

parte delle attuali evidenze scientifiche, secondo le quali non esiste una posizione

univoca del condilo nella fossa glenoidea, ma un range di posizioni normali in armonia

con il complesso neuromuscolare (Rinchuse, D.J., 2006) .

La relazione tra i capi articolari, infatti, cambia se il soggetto indagato è seduto, sdraiato

o in piedi.

Fig 4 Fattori in grado di modificare l’occlusione centrica e la dinamica fisiologica

COME DEVONO ESSERE I CONTATTI CENTRICI

I contatti centrici fra i molari e i premolari antagonisti sono distribuiti sui versanti

occlusali delle cuspidi interne dei superiori e sui versanti occlusali delle cuspidi esterne

degli inferiori, rappresentati come una serie di contatti puntiformi (fig.5) (si usa il

termine di cuspidi esterne ed interne per semplificare la dizione).

Figg. 5 - 6 Schema della corretta distribuzione dei contatti centrici nell’occlusione

centrica.

E’ evidente, osservando la foto, come il sovraccarico occlusale della deglutizione

premendo su questi piani occlusali agisca entro il perimetro dei denti portanti e venga

così distribuito lungo gli assi maggiori delle radici dei premolari e dei molari che lo

disperdono su aree maggiori delle loro superfici occlusali verso la volta palatina e la

compatta basale della mandibola (fig.7).

Fig. 7 La dispersione del contatto occlusale lungo l’asse maggiore delle radici.

Durante la deglutizione, i “denti frontali”, incisivi centrali, incisivi laterali e canini, a

differenza di premolari e molari, non hanno invece contatti statici, perché ne sarebbero

gravemente danneggiati (fig.8). Questi denti devono solo sfiorarsi durante la

deglutizione.

I CONTATTI STATICI CENTRICI IN IMPLANTOPROTESI Nella protesi su impianti devono essere rispettati i concetti precedentemente esposti.

Bisogna distribuire i contatti centrici tra premolari e molari antagonisti sui versanti

occlusali delle cuspidi interne dei superiori e sui versanti occlusali delle cuspidi esterne

degli inferiori (fig.6), sia che si tratti di contatti tra impianti e denti naturali che di

contatti solo tra impianti.

Gli “impianti frontali”, incisivi centrali, incisivi laterali e canini, non devono avere

contatti statici, perché ne sarebbero gravemente danneggiati.

Infatti, come nei denti naturali, l’inclinazione degli impianti frontali è diversa rispetto

all’inclinazione degli impianti di premolari e molari, e le conseguenti sollecitazioni di

eventuali contatti statici risulterebbero traumatiche non essendo coassiali alla direzione

degli impianti stessi (Floris,P.L., 2009).

Fig.8 Le frecce rosse ad evidenziare la diversa inclinazione dei denti frontali in

confronto all’inclinazione delle radici di premolari e molari (frecce verdi).

I denti frontali devono però avere contatti dinamici, in protrusione per gli incisivi, in

lateralità per i canini.

FISIOPATOLOGIA DEL TRAUMA OCCLUSALE STATICO

Fig. 9 Spiegazione nel testo L’occlusione è in “centrica stabile” quando, senza alcuno spostamento corporeo dei

centri di rotazione dei condili, con la massima economia muscolare e senza alcuna

tensione dei legamenti articolari, la mandibola, nel movimento di chiusura ruotando in

asse cerniera, si arresta su contatti statici numerosi e contemporanei che mantengono

l’intercuspidazione in rapporto di relazione centrica.

Le pressioni esercitate sui denti sono fisiologiche ed accompagnano senza conseguenze

le migliaia di deglutizioni quotidiane, (3500 deglutizioni con 25minuti di

sovraocclusione) (Mountcastle,V.B., 1973)

Fig.10 Spiegazione nel testo

Se ruotando in asse cerniera, il piano occlusale dei denti incontra altri contatti

ugualmente centrici, ma incapaci di dare alla mandibola un appoggio statico stabile e

adeguato per deglutire e masticare (precontatti), si realizzano le condizioni di una

occlusione instabile da cui origina la patologia traumatica occlusale.

Fig. 11 Spiegazione nel testo

Infatti, l’instabilità occlusale provocata dal precontatto altera l’armonia del sistema

neuromuscolare, compromettendo i normali automatismi della masticazione e della

deglutizione. L’instabilità non può essere tollerata dal SNC, che induce la ricerca di un

nuovo equilibrio.

Non potendo oscillare per bilanciare il precontatto, la mandibola si disloca spostandosi

in avanti e /o di lato (procoresi), alla ricerca di un aumento del combaciamento dentale

che le permetta di stabilizzarsi con il miglior equilibrio possibile.

Si raggiunge in questo modo una statica sostitutiva, con contatti anteriori acentrici,

alterati e patologici, ma più stabili.

Viene così recuperata, con la stabilità occlusale, l’armonia del sistema neuro muscolare

tramite contatti che sostengono una nuova postura mandibolare che, pur essendo

patologica, permette di masticare e di deglutire con il normale automatismo.

Questa situazione di squilibrio provoca però molteplici manifestazioni patologiche,

indicate con il termine generico di “Trauma Occlusale”.

Riassumendo: un precontatto centrico diventa responsabile di:

• Una diversa postura mandibolare

• Una serie di contatti occlusali statici modificati con coinvolgimento dei denti

frontali

• Una conseguente modifica dei contatti dinamici

• Una diversa posizione dei condili nella fossa glenoidea

Fig. 12 Spiegazione nel testo La dislocazione della mandibola, infatti, è sempre accompagnata da uno spostamento

corporeo del centro di rotazione dei condili.

Questa nuova posizione costringe l’intero sistema muscolo-articolare ad un lavoro

supplementare, per mantenere il nuovo equilibrio.

Tutto ciò comporta tensioni della capsula, dei legamenti articolari e dei muscoli

masticatori, tensioni che inevitabilmente si scaricano, durante l’occlusione serrata della

deglutizione, sugli squilibri del piano di appoggio occlusale sostitutivo, con una

meccanica che può superare i limiti di resistenza fisiologici delle strutture coinvolte,

creando le condizioni per lo sviluppo delle patologie traumatiche.

In definitiva: è la necessità del ripristino di un nuovo equilibrio del sistema

neuromuscolare alterato dal precontatto, che pianifica la dislocazione della mandibola su

una statica sostitutiva. Risolvendo così un problema, ma sollevandone uno nuovo:

ponendo cioè le premesse per l’insorgenza delle patologie traumatiche.

Ricapitolando:

I punti di appoggio delle arcate chiuse prendono il nome di contatti statici.

Su di essi, durante la deglutizione, si trasmettono tutte le forze del sovraccarico

occlusale.

In determinate situazioni queste pressioni sono fisiologiche, non superano i limiti di

resistenza delle strutture destinate a sopportarle, ed accompagnano senza conseguenze le

migliaia di deglutizioni quotidiane, (3500 deglutizioni con 25 minuti di sovra

occlusione).

In altre condizioni, i contatti statici sono invece distribuiti su denti che, pur favorendo

ugualmente la masticazione e la deglutizione, per morfologia e localizzazione non sono

in grado di sopportare senza danno, le numerosissime e violente sollecitazioni imposte

dalla sovra occlusione della deglutizione.

Differenti manifestazioni del trauma occlusale:

Trauma occlusale diretto (sulla coppia di denti antagonisti sulla quale avviene il

primo precontatto)

Trauma occlusale indiretto (sugli appoggi della statica sostitutiva)

Trauma occlusale di gruppo (su entrambi, diretto + indiretto)

Tra i denti della statica sostitutiva che possono essere coinvolti, dobbiamo considerare

anche incisivi e canini, elementi che normalmente non devono avere contatti statici.

OCCLUSIONE DINAMICA

L’occlusione dinamica è il complesso dei contatti fra i denti dell’arcata superiore e i

denti dell’arcata inferiore durante i movimenti di lateralità della mandibola (movimenti

di Bennet).

La masticazione avviene con la mandibola in movimento e utilizza le resistenze del

piano di scorrimento dei canini come contatto dinamico protettivo per guidare premolari

e molari ai contatti trituranti, mantenendoli entro determinati limiti di resistenza.

Per evitare i precontatti in lateralità, è indispensabile che l’inclinazione del piano di

scorrimento dinamico dei canini debba essere superiore all’inclinazione dei versanti

cuspidali interni ed esterni al piano occlusale, di premolari e molari di entrambe le

arcate.

Fig. 13 Disegno schematico della protezione canina nel movimento di lateralità MOVIMENTI DI LATERALITA’ E GUIDA CANINA CON GLI IMPIANTI L’impostazione dei movimenti di lateralità nelle protesi su impianti non è univoca, ma

esistono due distinte scuole di pensiero.

La prima a sostegno della guida canina come nella dentatura naturale, cioè con

l’impianto in posizione canina deputato da solo a sopportare tutto il carico in lateralità

(occlusione protetta).

La seconda a favore della guida in lateralità con funzione di gruppo, distribuendo cioè il

contatto e quindi il carico di lateralità oltre che sul canino anche su premolari e molari

(occlusione bilanciata).

Per una corretta valutazione del problema occorre ricordare che le forze di masticazione

aumentano progressivamente di intensità man mano che ci si avvicina all’articolazione

temporo-mandibolare, fulcro dei movimenti della mandibola.

Fig. 14 I canini sono i denti più lontani dai punti alterni di applicazione delle pressioni

muscolari della dinamica attiva di Bennet

Queste forze di intensità crescente sono ben sopportate da premolari e molari quando

sono distribuite coassialmente all’asse maggiore dei denti o degli impianti, perché si

disperdono verso la volta palatina e la compatta basale della mandibola, ma diventano

dannose quando sono dirette in senso non assiale, ma trasversale, come avviene durante

i movimenti di lateralità, perché si scaricano sull’osso marginale vestibolare o linguale e

la loro intensità e pericolosità aumenta come abbiamo detto quanto più ci si avvicina

all’ATM.

Nella funzione di gruppo il vantaggio è dato dalla distribuzione del carico in lateralità su

più impianti. Può essere vanificato, nel tempo, dal possibile danno a carico del tessuto

osseo marginale che le tensioni trasversali possono provocare per le ragioni appena

esposte (Pasqualini, M.E. et al, 2016).

L’importanza di una corretta occlusione trova riscontro nella durata della riabilitazione

imliantare. Il fallimento degli impianti spesso, invece, viene addebitato a cause

microbiche, a patologie sistemiche, a tabagismo, a igiene inadeguata e/o trattamento di

superficie del titanio (Albandar, J.M. et al, 2000).

ESEMPIO CLINICO La sostituzione singola dei denti frontali è la più “classica” delle indicazioni

implantoprotesiche (Pasqualini, M.E. et al, 2001 - Rossi, F. et al, 2005 – Rossi, F. et al,

2013 – Rossi, F. et al, 2015 – Zeping, I. et al, 2016).

La protesizzazione immediata dei monoimpianti frontali richiede una perfetta

conoscenza della fisiologia occlusale, che qui riassumiamo in queste due indicazioni:

1) nessun dente frontale, inclusi i canini, deve avere contatti statici con gli antagonisti,

che sarebbero patologici per la direzione del carico, che contrasta con la diversa

inclinazione delle loro radici;

2) solo i premolari ed i molari possono sostenere senza danno le pressioni occlusali

statiche poiché ne disperdono il carico lungo l'asse principale delle loro radici.

3) i canini, come gli altri denti frontali, non devono avere contatti statici con gli

antagonisti. Possono invece sopportare senza danno i contatti dinamici, liberando

durante le loro escursioni di lateralità, tutti gli altri denti delle arcate da qualsiasi

analogo contatto che sarebbe patologico. La loro funzione è quindi conosciuta come

“disclusione canina”.

Nel caso presentato la risoluzione del trauma occlusale ha permesso la guarigione

spontanea della perimplantite (Meynardi, F. et al, 2011-2013-2015).

MATERIALI E METODI

Vengono utilizzati impianti in titanio one piece - monofasici del tipo “Vite bicorticale di

Garbaccio” e vite di Tramonte , con diametro alla spira di 4,0 mm e nucleo conico di

2,5 mm/max che rispettano attualmente le normative CE (Impianto monofasico MP -

Direttiva 93/42 – CEE em. 2007 – 47 CE.).

La lunghezza dell’impianto nell’osso è variabile, in funzione del raggiungimento della

corticale profonda, nei casi specifici la lamina corticale delle fosse nasali

(bicorticalismo), indispensabile per ottenere la stabilità primaria.

La preparazione del sito dell’impianto a vite viene eseguita (1986) senza apertura del

lembo (flapless), con le frese autocentranti di Pasqualini, con diametro progressivamente

crescente fino a 2,5 mm, montate su micromotore con raffreddamento liquido (soluzione

fisiologica). Nello specifico con la fresa sonda del diametro di 1,1 mm si raggiunge la

corticale profonda. Dopo il controllo radiografico, si riporta la misura ottenuta sulle

frese autocentranti completando l’osteotomia.

Le frese autocentranti sono dotate di punta triangolare tagliente e di dorso triangolare

smussato. Questa importante caratteristica permette di realizzare tunnel osteotomici

molto precisi e poco traumatici per l’osso ricevente.

Anestesia plessica e copertura antibiotica.

Carico immediato con corone in resina acrilica.

Protesi definitiva in metallo-ceramica.

Gli Autori dichiarano che i casi presentati sono stati realizzati in accordo con gli

standard etici stabiliti nella dichiarazione di Helsinki ed il consenso dei pazienti.

Nel caso descritto si prende in esame il rimodellamento cuspidale “conservativo” per

usura con lo “Stopper di Pasqualini”.

Lo stopper di Pasqualini è, in effetti, un Jig di Lucia utilizzato in modo differente da

quello per cui è stato ideato.

Lo stopper non viene cementato, ma lasciato in sede per circa un’ora al giorno,

trattenuto dagli incisivi superiori grazie alla sua naturale ritenzione. Periodi più lunghi

sono sconsigliati, perché potrebbero provocare l’estrusione dei denti privi del contatto

occlusale. La ripetizione di questa manovra per un periodo di almeno 15 giorni sortisce

lo stesso effetto, di cancellazione della memoria occlusale abituale patologica e di

rilassamento muscolare, con riposizionamento dei condili nella fossa glenoidea.

In più, se si procede alla progressiva abrasione della superficie interna dello stopper, con

conseguente riduzione del suo spessore, si favorirà il progressivo avvicinamento delle

arcate dentarie, mantenendo i condili in relazione centrica, fino alla comparsa dei

precontatti centrici, che potranno essere marcati e rimossi in ordine di apparizione con

precisione ripetitiva.

Quando l’abrasione della superficie interna dello stopper sarà completata, i contatti

occlusali delle due arcate risulteranno centrici in relazione centrica.

Terminato il riequilibrio statico, si devono rimuovere i precontatti dinamici.

Le manovre di riequilibrio devono rispettare i contatti di centrica e rimuovere solo i

precontatti in lateralità.

Dalla visione delle procedure operative, marcatura puntiforme dei precontatti ed esiguità

di abrasione dello smalto per la rimozione degli stessi, risulta comprensibile il termine di

rimodellamento conservativo cuspidale per usura che viene preferito a quello più usato,

ma con assonanza certamente meno conservativa, di molaggio selettivo.

La marcatura dei precontatti statici è stata eseguita con nastro di seta rossa (Butterfly)

dello spessore di 0,2 mm montato su pinza di Miller, e la marcatura dei precontatti

dinamici si è ottenuta con l’uso della vernice secca auto modellante “Red Indicator”. Il

rimodellamento cuspidale con frese Two Stripper 254 SAC diamantate. (Pasqualini, U.

Pasqualini, M.E., 2008-2009)

DESCRIZIONE DEL CASO Si riferisce ad una giovane donna di anni 19, di razza caucasica, con agenesia congenita

degli incisivi laterali superiori, trattata ortodonticamente con la distalizzazione dei canini

per creare spazio per due mono impianti sostitutivi degli incisivi mancanti (1986).

Fig. 15 Agenesia degli incisivi laterali in giovane paziente (1986)

Dopo l’inserimento a cielo coperto (flap-less) di due viti bi-corticalizzate furono subito

aggiunte due corone provvisorie, con attento controllo dell'assenza dei precontatti statici

antagonisti e dinamici.

Fig. 16 I due monoimpianti one piece furono eseguiti con tecnica “flap-less”

Fig. 17 La radiografia delle due “viti rapide di Pasqualini”

Fig. 18 Le due corone in oro-porcellana Alla guarigione dei tessuti molli del paradenzio le corone provvisorie in resina furono

sostituite da due singole corone in porcellana, costruite nel rispetto dei medesimi

principi occlusali ( statici e dinamici).

Venne rivista la giovane tre anni dopo, perché preoccupata dall’improvvisa mobilità

dell’impianto di sinistra e dalla notevole irritazione gengivale della zona (perimplantite).

Fig. 19 Dopo 3 anni il monoimpianto di sinistra appare in sofferenza, inoltre alcune

papille presentano gemizio

Fig. 20 Al controllo radiografico si nota un discreto riassorbimento dell’osso

perimplantare

Le radiografie evidenziarono la differente situazione dell’osteoinclusione dell’impianto

stabile di destra e dell’impianto mobilizzato di sinistra, dove era visibile l’iniziale

riassorbimento osseo periimplantare. Evidente anche la differenza dell'aspetto esterno

delle relative mucose.

Nel movimento di lateralità verso sinistra si notava la perdita della disclusione canina

del monoimpianto in sofferenza, mentre il canino opposto discludeva normalmente.

Fig. 21 Il trauma disclusivo in lateralità dell’impianto, a causa dell’insufficiente guida

canina fisiologica (trauma dinamico)

Alle domande la paziente rispose che i disturbi all’impianto di sinistra erano iniziati

subito dopo che il suo dentista (lo stesso dell’ortodonzia) le aveva eseguito

un’amalgama su un molare.

Con l’aiuto dello “stopper” si marcò un unico precontatto proprio sulla bella amalgama

eseguita dal collega!

Fig. 22 Con l’ausilio dello “stopper di Pasqualini” si ricercano i precontatti di centrica,

causa della dislocazione patologica della mandibola

Fig. 23 La marcatura esatta e puntiforme del precontatto sul piano occlusale

dell’amalgama che eliminato, riporta l’occlusione nella sua statica corretta

La sua semplicissima eliminazione riportò la mandibola in occlusione centrica ed

eliminò la procoresi, che prima la spostava in avanti, impedendo la disclusione a sinistra.

La paziente, rivista dopo un mese, era completamente guarita dall'infiammazione ai

tessuti molli al di sopra dell'impianto, che aveva ripreso la sua primitiva, completa

stabilità.

Fig. 24 La salute della mucosa perimplantare guarita spontaneamente dopo il solo

riequilibrio occlusale

Fig. 24 La disclusione canina tornata fisiologica

Poiché il precedente trauma dinamico aveva spostato la corona, con conseguente

diastema, venne cambiata, ricontrollandone la disclusione. È interessante confrontare le

due radiografie eseguite al momento della sofferenza dell’impianto e dopo la

sostituzione della corona, con il sorprendente ripristino del tessuto osseo periimplantare

(Fig. 27)

Fig. 26 La nuova corona in oro porcellana modellata secondo la morfologia dell’epitelio

guarito, durante la lateralità (1989)

Fig. 27 Il controllo radiografico (immagine destra) evidenzia la sorprendente guarigione

del tessuto osseo perimplantare.

DISCUSSIONE E CONCLUSIONI

Prima di riabilitare una zona edentula, è bene ragionare in modo innovativo e non

convenzionale nel ricercare le cause che hanno provocato, o stanno provocando la

perdita dei denti e/o degli impianti, perché solo così sarà possibile evitare di riprodurre

gli errori e di compromettere il risultato finale.

È sempre bene ricordare che l’inserimento dell’impianto è solo la prima fase della

riabilitazione che dovrà essere completata dalla funzionalizzazione protesica.

Bisogna cercare di capire le cause che hanno prodotto il danno uscendo dagli schemi

consueti, abituati a considerare il deficit igienico, con il conseguente accumulo di

placca, come la causa “unica” del danno.

Occorre infatti ricordare che i denti non devono essere valutati come elementi statici,

ma come un complesso di elementi dinamici che durante la propria funzione sopportano

carichi molto intensi secondo una programmazione non casuale, ma governata da precise

leggi biologiche.

Per cui, per ottenere risultati duraturi, oltre a considerare tutti i fattori di rischio più noti,

una particolare attenzione deve essere rivolta anche alle cause che, dislocando la

mandibola, alterano l’occlusione. pressioni abnormi sui denti e/o gli impianti interessati

possono concorrere all’instaurarsi di uno stato di patologia sia a carico del dente

(impianto) che del suo tessuto di sostegno.

Prima di realizzare la protesi su impianti,è importante accertarsi che la bocca sia in

relazione centrica, senza precontatti, a maggior ragione se pensiamo di applicare la

tecnica del carico immediato.

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