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Istituto Comprensivo Santagata – 5° C.D. Portici
IL RUGBY
UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE,
STORIA E SOCIETÀ
di
FLAVIO PROTA III C
Esame Scuola Media a.s. 2016/2017
IL RUGBY: UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ
Flavio Prota III C
Ringraziamenti
Ho letto più volte che gli autori di un libro dedicano il proprio
lavoro a qualcuno o qualcosa che li ha ispirati. Anche io
desidero fare la mia prima dedica, in verità più di una…
grazie innanzitutto a tutta la mia famiglia che mi sostiene in
ogni mia azione e mi da fiducia ogni istante, ogni giorno della
mia vita
grazie ai miei docenti, che mi hanno insegnato tanto in questi
anni senza perdere mai (quasi mai!) la pazienza
grazie ai miei allenatori: Emanuele, Salvatore, Vincenzo, Luca,
Antonio, Lucia, per avermi insegnato la tecnica e avermi
trasmesso la passione per il Rugby
grazie alla Società Amatori Rugby Torre del Greco per
continuare a sostenere i sani principi del Rugby nonostante tutti
gli ostacoli che incontra sul nostro territorio
grazie a tutti i miei compagni di squadra della U14 per avermi
accettato come capitano
grazie a tutti i miei amici senza i quali non potrei trascorrere un
giorno senza andare a cercarli
e….
grazie a chi ho dimenticato di ringraziare solo perché è la
prima volta che faccio una cosa del genere!
IL RUGBY: UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ
Flavio Prota III C
INDICE
1. ORIGINE DEL GIOCO: COME E DOVE È NATO IL RUGBY
2. LA FILOSOFIA DEL RUGBY COME MESSAGGIO SOCIALE: UNITI OLTRE LE DIFFERENZE
3. UNO SPORT CHE PARLA INGLESE: PLAY RUGBY AND LEARN ENGLISH
4. LA SOCIETÀ INGLESE DELL’800 E LA DIFFUSIONE DEL RUGBY NEL MONDO
5. NAZIONI DOVE IL RUGBY E’ SPORT NAZIONALE: IRLANDA, SUD AFRICA, NUOVA ZELANDA
6. GLI INNI NAZIONALI: TESTI E MUSICHE CHE FANNO RISORGERE I POPOLI
7. LA LETTERATURA ITALIANA NEL PERIODO POST RISORGIMENTALE: ITALO SVEVO (1861‐1928)
8. L'EVOLUZIONE NATURALE DI CHARLES DARWIN INFLUENZA SCIENZA, ECONOMIA E
LETTERATURA
9. LA PREMIERE GUERRE MONDIALE: LA FRANCE DEVIENT LA PREMIERE PUISSANCE
POLITIQUE ET MILITAIRE DE L’EUROPE
10. RUGBY E AVANGUARDIA CUBISTA: “LES JOUEURS DE FOOT‐BALL” DI ALBERT GLEIZES
11. RUGBY, SPORT PER PESI MASSIMI? UN MITO DA SFATARE: TECNOLOGIA, SOCIETA’ E MODE
ALIMENATRI
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Flavio Prota III C
PERCHE’ UN LAVORO SUL RUGBY?
Il Rugby fa
parte della
mia vita
dall’età di 10
anni e da
allora non
posso più
farne a
meno:
l’adrenalina della partita, i lividi sul corpo, le
emozioni, i pianti e l’abbraccio finale con
l’avversario mi hanno dato e tuttora mi ha
danno emozioni incredibili.
Dal 2011 gioco con l’Amatori Rugby Torre
del Greco, una delle poche società
rugbistiche fondate in Campania, più antica
ancora della blasonata Benevento Rugby. Lo
scorso anno la mia Società ha celebrato il suo
primo 50°: fare sport nel nostro territorio,
soprattutto uno sport “minore” come il
Rugby, significa accettare sfide, costi e
avventure che solo una forte passione può
dare la forza di sopportare. Per mia fortuna e
per fortuna di tutti gli appassionati di questo
sport, in tutti questi anni ci sono stati Soci e
Presidenti tenaci che hanno portato avanti
l’Amatori Rugby Torre del Greco,
nonostante enormi difficoltà organizzative
ed economiche: a tutt’oggi siamo circa
duecento atleti, suddivisi nelle varie
categorie (dalla Under 8 alla Seniores) e
l’obiettivo per i prossimi anni è quello di
crescere.
Inizialmente, mi sono avvicinato a questo
sport grazie alla passione di mio padre: in
realtà, avrei voluto giocare a calcio, una
passione che ancora mi accompagna. Giorno
dopo giorno, però, questo sport mi ha
coinvolto sempre più, grazie alla pazienza
degli allenatori e dei sani principi che
l’intero ambiente mi ha trasmesso.
In questi anni ho conosciuto tanti ragazzi, ho
vinto e perso tante partite, ho giocato in
tanti tornei incrociando ragazzi di paesi,
culture e razze diverse: non ho mai avuto
paura di toccarli, sfidarli, gioire al di la del
risultato e soprattutto condividere il piacere
finale del terzo tempo. Il sacrificio di
conciliare la pratica sportiva con lo studio mi
ha fortificato e sta contribuendo alla mia
maturità: sto facendo tesoro delle mie
esperienze, crescere sportivamente significa
anche crescere come persona e il ruolo
educativo che svolge la scuola può e deve a
mio avviso essere completato dal ruolo
formativo dello sport. I ragazzi che vengono
educati ai principi del Rugby – e di tutti gli
sport in generale, ovviamente – possono
crescere senza avere paura di chi è diverso e
senza questa paura non ci sarà più bisogno
di inventarci guerre in futuro. Senza guerre
tutti i popoli saranno liberi; senza guerre
tutti i popoli potranno condividere le proprie
conoscenze senza timore; senza guerre si
potrà viaggiare e apprezzare i valori che
accomunano tutti gli esseri umani; senza
guerre non ci saranno più armi; senza guerre
ci sarà la possibilità di condividere il proprio
cibo, così come si fa al termine di una partita
di Rugby… al di la
del risultato, al di
là delle vittorie, al
di la delle
sconfitte, al di la
delle differenze!
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COM’È ARTICOLATO IL LAVORO?
In questo lavoro svilupperò le relazioni tra il
gioco del Rugby nel mondo e la cultura, la
geografia e la storia dei popoli studiata in
questi anni. Parto da una brevissima
descrizione dello sport (EDUCAZIONE
FISICA), dei suoi valori sociali
(CITTADINANZA E RELIGIONE), delle sue
origini anglosassoni che mi consentiranno un
successivo approfondimento in lingua inglese
(INGLESE) ciò mi permetterà di analizzare le
principali dinamiche del colonialismo
(STORIA), in particolare quello britannico,
inerente lo sviluppo del Rugby nel mondo.
Questo approccio mi permetterà di
descrivere geograficamente (GEOGRAFIA) i
principali paesi dell’Emisfero Nord Isole
Britanniche e dell’Emisfero Sud Sud Africa e
Nuova Zelanda nei quali il Rugby è lo sport
nazionale. Ho scelto l’Irlanda perché è una
dimostrazione di come lo Sport, ed il Rugby
in particolare, vada oltre ogni differenza
politica, religiosa o razziale: seppur divisa in
Irlanda del Nord ed EIRE, in occasione delle
partite ufficiali di Rugby le due Nazioni si
uniscono in un’unica squadra nazionale.
L’altro paese che ho scelto, la Nuova
Zelanda, è la nazione famosa per i suoi All
Blacks, i giocatori vestiti di nero, e per la loro
Haka, danza di guerra divenuto una sorta di
vero e proprio inno nazionale (MUSICA).
Gli inni nazionali raccolgono lo spirito di
fierezza di un popolo: il nostro, Fratelli
d’Italia, fu scritto e musicato in pieno
Risorgimento per esaltare lo spirito fiero dei
popoli italici che sognavano una unità sotto
un’unica bandiera, senza dominatori
stranieri. Nell’anno dell’Unità d’Italia, nacque
uno dei più noti rappresentanti della nostra
Letteratura, Italo Svevo (ITALIANO),
interessato ai principi del Darwinismo Sociale
(SCIENZE) secondo cui la società a tutti i suoi
livelli è dominata da un antagonismo
spietato tra gli individui, i gruppi, le classi e le
leggi che la regolano sono quelle della
sopraffazione del più forte sul più debole e
l'interesse individuale. Tale antagonismo in
quegli anni fu causa di una guerra che
coinvolse, per la prima volta nella storia
dell’uomo, il mondo globale e che rilanciò la
Francia come una delle principali potenze
economiche e militari (FRANCESE). Proseguo
il mio lavoro parlando del cubismo (ARTE)
movimento d’avanguardia nato nei primi
decenni del XX secolo; termino sfatando un
falso mito, il Rugby come sport per pesi
massimi: la tecnologia nell’alimentazione
moderna (TECNOLOGIA) se da un lato ha
apportato notevoli vantaggi al genere
umano, dall’altro rappresenta una grave
minaccia per la qualità non sempre eccelsa e
lo spreco del cibo nelle società avanzate.
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Flavio Prota III C
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ORIGINE DEL GIOCO: COME E DOVE È
NATO IL RUGBY
Nel XIX secolo in moltissimi college inglesi il
gioco del pallone era assai in voga, benché si
differenziasse da college a college secondo
l’uso che si faceva delle mani e dei piedi. In
molti predominava l’handling game, ossia
del portare la palla con le mani, in altri il
dribbling game, ovvero la possibilità di
toccare la palla solo con i piedi, benché non
vi fossero regole precise in nessuna delle due
tipologie di gioco. Entrambe tuttavia erano
caratterizzate in principio da una grande
violenza durante le gare, e spesso era
assente anche l’arbitro.
Il 1° novembre 1823 accadde un fatto, allora
insignificante, che doveva dare però inizio
alla disciplina sportiva del Rugby moderno:
mentre giocava con i compagni nel prato
della Public School di Rugby (una cittadina
del Warwickshire, nell’Inghilterra centrale),
l’irlandese William Webb Ellis, con gran
dispregio delle regole allora in vigore, prese
la palla tra le braccia e corse in avanti
determinando così l’origine di una delle
caratteristiche essenziali e distintive del
gioco del Rugby.
L’atto rivoluzionario compiuto dal giovane
irlandese, contrariamente a quanto si crede,
non consistette nel prendere la palla tra le
mani, ma nel “correre avanti” con questa
dopo averla raccolta. A quel tempo, infatti, a
Rugby e in molte altre scuole delle contee
inglesi, era in voga un gioco che prevedeva la
possibilità, per il giocatore che fosse entrato
in possesso della palla con le mani, di correre
all’indietro, azione che bloccava la difesa
impedendole di “caricare”. Ad assegnare a
Ellis la paternità di questa disciplina sportiva
e a fare accogliere l’ipotesi che il Rugby fosse
nato a Rugby concorsero diversi elementi:
nel 1834 entrò nella scuola della piccola città
un certo Thomas Hughes, il quale, in una
lettera scritta nel marzo 1895, ricorda tra gli
altri episodi una partita giocata a Rugby con
una netta predominanza dell’uso delle mani.
In precedenza, nel 1829, era inoltre stato
nominato direttore della scuola il
pedagogista Thomas Arnold, il quale aveva
promosso a tal punto il gioco fra i suoi
studenti che questi non poterono
dimenticarlo una volta giunti all’università, e
cercarono di diffonderlo fra gli altri studenti.
La fortuna di annoverare tra gli studenti di
Rugby un artigiano molto abile nel rivestire
di cuoio la vescica di maiale di forma
ovoidale, che, riempita di paglia o di fieno, si
usava come pallone. Quell’artigiano si
chiamava William Gilbert e dal 1800 divenne
il fornitore ufficiale dei palloni della scuola di
Rugby. Ancora oggi, i palloni ufficiali delle
gare internazionali sono di marca Gilbert.
Il 28 Agosto 1845 sempre nella scuola di
Rugby fu redatto, da parte degli studenti, il
primo codice dell’handling game. Negli anni
seguenti molte altre scuole provvidero a
darsi un proprio regolamento, cosicché quasi
ogni college finì per avere un modo diverso
di condurre il gioco. Il 26 settembre 1836 i
rappresentanti di undici tra club civili e
scuole si riunirono alla Freemason’s Tavern
e, dopo un’accesa discussione, elencarono
alcuni capisaldi di un nuovo regolamento.
Regolamento che limitò sia la primordiale
violenza che lo aveva caratterizzato,
abolendo anche gli ultimi cinque minuti di
hallelujah (pestaggio generale), sia
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il numero dei giocatori che passò a quindici.
Si registrarono più tardi diversi modi di
praticare Rugby, ma la spinta evolutiva
determinante fu l’affermarsi del gioco “alla
mano”.
Questa è una delle numerose verità sulla
nascita del Rugby. Oggi inoltre molti
dubitano su quello che accadde quel
novembre del 1823 considerando il fatto più
una leggenda che un avvenimento vero e
proprio, nonostante le documentazioni di un
giornalista, Matthew Bloxam, che pubblicò
un articolo sul “Meteor”, il giornale della
Public School di Rugby, nel quale riportò le
testimonianze molto vaghe di una studente
che sosteneva di aver assistito al gesto
eretico di Ellis.
Leggenda o realtà, piace credere che il gesto
di Webb Ellis abbia gettato il seme di un
nuovo gioco, anche se forse la sua genesi
potrebbe essere stata poi frutto di un
travaglio durato ancora qualche decennio.
Non sembra comunque casuale che esista
una determinata logica secondo cui questo
gioco trovi le sue origini in un atto di sfida
coraggiosa. Dalle battaglie dei legionari si era
arrivati così ad un nuovo gioco, praticato
inizialmente dai soli gentlemen
dell’aristocrazia inglese e nel quale
primeggiavano la lealtà e il coraggio, fisico e
morale.
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LA FILOSOFIA DEL RUGBY COME MESSAGGIO DI SOCIALE:
UNITI OLTRE LE DIFFERENZE
Lo sport al di là del gioco
Non è casuale che Thomas Arnold, direttore della Public School of
Rugby, dove si dice sia nato il Rugby, abbia visto nell’handling
game (antenato del Rugby) qualcosa di fortemente formativo per i
giovani gentlemen della sua scuola, utile inoltre per distoglierli
dalle cattive abitudini dei ragazzi di allora. Arnold non sbagliava, il
Rugby infatti è uno degli sport più educativi perché educa alla
socialità, intesa sia come appartenenza ad un gruppo (la squadra),
sia come rispetto dei ruoli (il capitano, l’allenatore, l’arbitro).
Si può definire il Rugby una metafora della vita perché dentro vi è tutto:
‐ rispetto, dei compagni, degli avversari, dell’arbitro, nonostante il fatto che sia uno sport di
contatto e che quindi moltiplichi le occasioni di confronto
‐ altruismo e sacrificio, per la squadra, per i nostri amici, ed ha nel
sostegno un proprio principio di gioco che è la realtà della vita: non
possiamo pensare a noi stessi, ma dobbiamo aiutare chi ci è vicino
‐ coraggio, di mettere la testa la dove una persona normale non vi
metterebbe nemmeno un piede, di lanciarsi, tuffarsi, cadere,
affrontare uno più grosso di noi
‐ orgoglio, di rappresentare qualcuno, qualcosa, di giocare uno sport
così nobile
‐ disciplina, l’adeguarsi alle decisioni dell’arbitro, che è
incontestabile, mantenere un atteggiamento consono allo spirito dello sport, razionali in ciò che si
fa
‐ onore, rialzandosi dopo un placcaggio subito, non simulando ma dissimulando un infortunio
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E’ questo il Rugby, una disciplina sportiva
formativa sotto ogni punto di vista e che
riesce, anche nell’era del professionismo e
dei soldi, a mantenere vivi quei valori che poi
si materializzano in tanti comportamenti
concreti. Un esempio è il pubblico che assiste
alle partite in stadi da 80.000 persone senza
recinzioni, senza barriere tra le opposte
tifoserie ma dove tutti si mischiano. Un
pubblico formato da giovani, bambini, donne
e famiglie che non hanno paura di recarsi allo
stadio con la maglia o la bandiera della
propria squadra ma che sanno di andare ad
una festa, perché è a questo che si assiste
durante una partita di Rugby allo stadio, ad
una festa. E la festa prosegue anche fuori
dallo stadio, durante il così detto «terzo
tempo», dove i giocatori delle due squadre
passano dal “confronto” sul campo al sedersi
ad un medesimo tavolo, condividendo il
pasto assieme, e dove i tifosi delle differenti
squadre si incontrano, parlano, scambiano
battute e momenti di gioia. L’incontro di
culture differenti durante il terzo tempo è in
assoluto l’immagine più rappresentativa
dello spirito amichevole del Rugby.
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UNO SPORT CHE PARLA INGLESE: PLAY RUGBY AND LEARN ENGLISH
Rugby and foundation of early clubs
Rugby is a game played with an oval ball by
two teams of 15 players (in Rugby Union
play) or 13 players (in Rugby League play).
Both Rugby union and Rugby league have
their origins in the style of football played at
Rugby School in England. According to the
legend, in 1823 William Webb Ellis, a pupil at
Rugby School, defied the conventions of the
day (that the ball may only be kicked
forward) to pick up the ball and run with it in a game, thus creating the distinct handling game of
Rugby football. This “historical” basis of the game was well established by the early 1900s. While
it is known that Webb Ellis was a student at Rugby School at the time, there is no direct evidence
of this event, though it was cited by the Old Rugbeian Society in an 1897 report on the origins of
the game. Nevertheless, Rugby School, whose name has been given to the sport, was pivotal in
the development of Rugby football, and the first rules of the game that became Rugby union
football were established there in 1845.
By the late 19th century, the issue over broken time (broken‐time payments compensated players
for the time they missed from work due to their Rugby playing commitments) in Rugby had
become important, particularly in the North of England, where a larger working class played
Rugby compared to the south, thus their work and injuries they received whilst playing came into
conflict with the rules of amateurism.
The modern era
Rugby is now a popular sport in many countries of the world, with clubs and national teams found
in places as diverse as Japan, Côte d’Ivoire, Georgia, Uruguay, and Spain. Rugby among women is
one of the world’s fastest‐growing sports. At the turn of the 21st century, the International Rugby
Board (IRB; founded in 1886 as the International Rugby Football Board), headquartered in Dublin,
boasted more than 100 affiliated national unions, though at the top level the sport was still
dominated by the traditional Rugby powers of Australia, England, France, Ireland, New Zealand,
Scotland, South Africa, Wales and, recently, even Italy has a special consideration among the
strongest teams. In the latter part of the 20th century, Rugby was affected by the growing
influence of commercialism and television. The development (and success) of World Cup
competitions was a particular spur to the enormous growth of Rugby football in the decades
leading into the 21st century. In Rugby league, television became crucial to the wider promotion
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of the game. Despite professionalization, at grassroots levels Rugby retains a strong social and
cultural atmosphere where play on the field is only a part of the experience. Rugby players are
notorious for heavy drinking and singing sessions, particularly when on tour. Moreover, in Rugby‐
playing countries, success on the field often translates into success in professional life, as Rugby
clubs and associations form the basis for strong local, national, and international social networks.
To adherents Rugby is known as “the game they play in heaven,” or “the greatest game”
The Six Nations Championship
The Six Nations Championship is an
annual international Rugby union
competition between the teams of
England, France, Ireland, Italy,
Scotland and Wales. The current
champions are England, having won
the 2017 tournament. The Six
Nations is the successor to the Home Nations Championship, played between teams from
England, Ireland, Scotland and Wales, which was the first international Rugby union tournament.
With the addition of France, this became the Five Nations Championship, which in turn became
the Six Nations Championship with the addition of Italy (2000). The winners of the Six Nations
Championship are sometimes unofficially referred to in the media as the European Champions or
Northern Hemisphere Champions.
England hold the record for outright wins of the Home Nations, Five Nations and Six Nations
tournaments, with 28 titles, although Wales follow closely with 26 outright wins with the addition
of 12 shared victories to England's 10. Since the Six Nations era started in 2000, only Italy and
Scotland have failed to win the Six Nations title, although Scotland were the last outright winners
of the Five Nations.
Played annually, the format of the Championship is simple: each team plays every other team
once, with home ground advantage alternating from one year to the next. If a team wins all its
games, they are said to have won a 'Grand Slam'. Also, the team that finishes at the bottom of
the league table is said to have "won" the Wooden Spoon, although no actual trophy is given to
the team. A team which has lost all five matches is said to have been “whitewashed”. Since the
inaugural Six Nations tournament in 2000, only England and Ireland have avoided the Wooden
Spoon award. Unfortunately, Italy are the holders of the most Wooden Spoon awards in the Six
Nations era with eleven, and have been whitewashed six times.
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LA SOCIETÀ INGLESE DELL’800 E LA DIFFUSIONE DEL RUGBY NEL MONDO
Il Colonialismo britannico
Il Rugby nasce in Inghilterra nel periodo della
rivoluzione industriale che si sviluppò dopo
l’introduzione della macchina a vapore (1789) e che
riguardava soprattutto il settore tessile e
metallurgico, ma che comportò una rapida
evoluzione di tutta la società inglese con lo sviluppo
di grandi fabbriche, con un aumento della
popolazione, lo spostamento di contadini poveri dalle
campagne alle città a vivere nelle periferie spesso in
condizioni disumane. L’Età Vittoriana (1837‐1901)
divenne nota per lo sfruttamento del lavoro minorile
in fabbriche, miniere e come spazzacamini. Charles
Dickens, uno tra i più grandi novellisti dell’età
vittoriana, per esempio, lavorò all’età di 12 anni in
una fabbrica di lucidi da scarpe, essendo la sua
famiglia in prigione per debiti. La società inglese
evolveva rapidamente anche se intorno al 1860 circa
la metà dei bambini d’età compresa tra 5 e 15 anni
frequentava una scuola.
La ricerca di mercati e di materie prime come ferro,
carbone, lana, cotone e petrolio da parte dell’industria diede una forte spinta all’espansione
verso i paesi extraeuropei.
Nei secoli XVI, XVII e fino a metà Ottocento le spedizioni navali di Spagna, Portogallo, Olanda,
Francia e Inghilterra avevano completato le scoperte geografiche e gli scontri tra le flotte avevano
stabilito i primati di Inghilterra e Francia e portato alla definizione delle zone di influenza sulle
nuove terre in Asia, in Africa e in America.
Ma con il rafforzarsi delle economie europee si preparava un mutamento qualitativo della
penetrazione occidentale soprattutto in Asia e in Africa che passava dal commercio al dominio,
cioè ad un controllo direttamente o indirettamente politico del mondo, un passaggio dal
colonialismo all’imperialismo. Il vecchio colonialismo degli esploratori lasciò il posto ad una
spartizione del mondo tra le grandi potenze del tempo: con la conferenza di Berlino del 1884 si
diede il via alla corsa alle colonie e iniziò il periodo dell’imperialismo coloniale sostenuto
soprattutto da Inghilterra e Francia.
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La penetrazione degli eserciti inglesi nelle varie colonie e poi dei coloni attratti dalla scoperta
dell’oro, o in cerca di lavoro in seguito alla grande depressione economica successiva al 1870, o a
causa delle carestie verificatesi in Scozia e in Irlanda, portarono nelle regioni occupate anche la
cultura inglese e – per quanto ci riguarda ‐ il gioco del Rugby.
La penetrazione coloniale era sostenuta dall’illusione europea della superiorità politica, culturale
e biologica della razza bianca. E spesso questo alimentò il razzismo e tensioni tra gli occupanti e i
nativi, che ebbe evoluzioni diverse nei vari paesi. Con ripercussioni in vari campi, anche in quello
sportivo e del Rugby che diventò a volte il segno dell’integrazione e della pacificazione, a volte
invece segno di separazione e distinzione razzista.
Ma l’età dell’imperialismo coloniale tra ‘800 e ‘900 segnò anche la fine dell’eurocentrismo perché
con lo sviluppo progressivo dei popoli e la conquista dell’indipendenza i nuovi paesi affermarono
la loro identità, le loro istituzioni, la loro cultura, il loro orgoglio nazionale distinguendosi anche
nello sport e nel Rugby in particolare.
Il Commonwealth e i dominions
Oggi rimangono tracce del vecchio
imperialismo inglese in una importante
istituzione come il “Commonwealth of
Nations” (letteralmente “bene comune”).
L’espressione fu impiegata ufficialmente
nello statuto di Westminster del 1931
definendolo come “gruppo di comunità che
si autogovernano, composto dalla Gran
Bretagna e dai Dominions”.
Il termine “dominion” risale al XVII secolo e
originariamente indicava qualsiasi
possedimento oltremare del monarca
britannico. In seguito il termine dominion
cambiò significati in diversi atti ufficiali
indicava una delle comunità autonome
dell’Impero Britannico.
Il Commowealth odierno è una associazione
libera di 53 stati indipendenti che sono stati
sotto il dominio della Gran Bretagna o hanno
avuto legami con altri paesi associati. Adotta
come lingua ufficiale l’inglese e, dopo tante
guerre, contribuisce all’avanzamento della
democrazia, dei diritti umani e di uno
sviluppo economico e sociale sostenibile. Sua
Maestà la Regina Elisabetta II è Capo del
Commonwealth ed è riconosciuta come
“simbolo della libera associazione” dagli
appartenenti all’associazione stessa. Fra le
altre cose, Sua Maestà partecipa ai Vertici
biennali ed ai Giochi ogni quattro anni.
Tra gli stati aderenti oggi al Commonwealth il
gioco del Rugby si è particolarmente
sviluppato in Australia, Nuova Zelanda e
Sudafrica, che nel campo del Rugby danno
del filo da torcere alla vecchia Inghilterra.
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NAZIONI DOVE IL RUGBY E’ SPORT NAZIONALE: IRLANDA, NUOVA ZELANDA
IRLANDA
Nella storia dell’isola,
tormentata da conflitti
anche violenti tra nord e
sud, è significativo che uno
sport di combattimento
come il Rugby riesca ad
unire tutti gli irlandesi in un
solo spirito sportivo.
L’Irlanda è un’isola divisa in
due parti: l’Irlanda del Nord
(1,7 milioni di abitanti,
capitale Belfast) che è una
delle 4 nazioni del Regno
Unito e la Repubblica
indipendente di Irlanda (dal
1937) 4,2 milioni di
abitanti, capitale Dublino.
La Repubblica Irlandese o
Eire (nome derivato da una
divinità E’riu che aiutò i
gaelici nella conquista
dell’isola) ha sempre avuto
un forte spirito autonomista: fino al 1922 l’Irlanda faceva parte del Regno Unito, ma ci fu sempre
un forte movimento indipendentista.
Nel 1919 i parlamentari Irlandesi del partito indipendentista (Sinn Fein) rifiutarono di sedere nel
parlamento Inglese e formarono un governo irlandese autonomo. Scoppiò un’aspra guerra di
indipendenza che durò fino al 1921 quando fu negoziato un trattato che stabilì la divisione in
Irlanda del Nord (protestante, sotto il Regno Unito) e l’Irlanda del Sud, cattolica, con un
parlamento indipendente, ma facente parte come “dominion” del Commonwealth britannico e
quindi con il riconoscimento del Re d’Inghilterra come capo formale dello stato. Successivamente,
con la Costituzione del 1937 e un atto del parlamento del 1949 la Repubblica Irlandese si staccò
definitivamente dall’Inghilterra e dal Commonwealth.
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La divisione dell’Irlanda continuò a produrre
tensioni nel Nord dove la maggioranza
protestante (discendente da coloni inglesi)
voleva restare unita all’Inghilterra, mentre la
minoranza cattolica, discendente dagli
antichi irlandesi, voleva l’indipendenza. Nel
1970 iniziò una guerriglia del movimento
indipendentista IRA contro la polizia e
l’esercito inglese. Ci furono tensioni
violentissime che culminarono nella strage
compiuta dai paracadutisti inglesi contro i
manifestanti cattolici il 30 gennaio 1972 nel
“Bloody Sunday” che fece 14 morti e molti
feriti.
L’Irlanda del Nord non
ha una propria
bandiera e non ha un
inno nazionale, mentre
l’Irlanda del sud ha il
tricolore (verde,
bianco e arancio). Le
due Irlande sono divise
in tutto, ma non nel
Rugby: dal 1875 c’è
una unica nazionale, con un unico simbolo (il
trifoglio verde) e un unico inno composto
appositamente nel 1995 (“Ireland’s Call”) che
viene cantato insieme da tutti gli spettatori,
senza distinzione di nazionalità. Con il
passare degli anni il gioco del Rugby è
diventato segno di ricomposizione di un
popolo lacerato da conflitti sanguinosi.
Il Territorio
Il territorio dell'isola presenta al centro una vasta e uniforme pianura, rialzata ai bordi da rilievi di
modesta altezza. Essi non costituiscono un profilo continuo e compatto, perchè in ampi tratti
consentono alla pianura di giungere fino al mare. La cima più alta dell'isola supera di poco i 1000
metri, altre catene di una certa rilevanza sono a est i Monti Wicklow, e a nord i rilievi del
Donegali. Le coste sono basse, lineari e compatte dove la pianura giunge fino al mare, mentre sul
versante occidentale dell'isola sono alte, rocciose e articolate. In molti tratti sono contornate da
piccole isole; le maggiori delle quali formano le Issole Aran, situate di fronte alla costa
occidentale, al largo della Baia di Galway. I fiumi sono numerosi, caratterizzati da un corso
piuttosto breve e da un regime regolare, assicurato dalla omogenea distribuzione delle piogge nel
corso dell'anno. Il fiume principale è lo Shannon, che attraversa l'intera isola e sfocia
nell'Atlantico, sulla costa occidentale, con un profondo estuario. Spesso i fiumi si espandono,
riempiendo depressioni glaciali, e danno origine ai bacini lacustri, tipici del territorio irlandese, i
più estesi sono il Lough Corrib, il Lough Derg e il Lough Ree. L'isola è caratterizzata da un clima di
tipo oceanico, con inverni miti ed estati fresche; le precipitazioni sono abbondanti e distribuite in
tutto l'arco dell'anno.
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.
NUOVA ZELANDA
La Nuova Zelanda è uno stato
dell’Oceania formato da due
isole principali (Isola del Nord
e Isola del Sud) e da
numerose isole minori. Conta
oggi circa 4 milioni di abitanti,
l’82% dei quali sono bianchi di
origine inglese e scozzese e il
14% maori; la capitale è
Wellington.
I primi insediamenti umani
risalgono a popolazioni
polinesiane che vi si
insediarono tra il 1000 e il
1.300 dc. I primi europei a
visitare l’arcipelago furono gli olandesi con una spedizione guidata da Abel Tasman nel 1642,
molti membri della spedizione olandese furono uccisi dai maori. Ma fu dopo il viaggio di James
Cook (1768‐1771) e il suo sbarco in Nuova Zelanda nel 1769 che che si aprirono i rapporti con
queste isole. Il governo britannico, contrastando le mire espansionistiche francesi riuscì a imporre
la sovranità britannica e dal 1788 al 1840 la Nuova Zelanda fece formalmente parte del Nuovo
Galles del Sud, uno stato fondato dagli inglesi nel 1788 nella parte orientale del continente
australiano.
A partire dal 1840 consistenti ondate di coloni europei giunsero in Nuova Zelanda. Nel 1854
venne insediato il primo parlamento neozelandese che conquistò una progressiva autonomia dal
Regno Unito. I maori, inizialmente, si mostrarono desiderosi di commerciare con con i bianchi e,
proprio grazie a questo tipo di attività, diverse tribù riuscirono ad arricchirsi. La situazione
cominciò però a peggiorare quando, di fronte alla crescita degli insediamenti dei bianchi
(stimolata dalla scoperta dell’oro, avvenuta nel 1861), i maori cominciarono a temere di perdere il
controllo della loro terra. Tali contrasti portarono alle cosiddette guerre maori, combattute tra
negli anni ‘60 e ‘70 dell’Ottocento. Ma in seguito i contrasti si attenuarono e i governi che si
succedettero diedero alla Nuova Zelanda una delle più avanzate legislazioni sociali del tempo.
Nel 1893 la Nuova Zelanda si distinse come il primo paese al mondo a riconoscere il diritto di voto
alle donne. Nei decenni successivi la Nuova Zelanda restò sempre un membro fedele dell’Impero
Britannico partecipando con propri contingenti alle guerre degli inglesi, come la seconda guerra
boera in Sudafrica.
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Nel 1907 acquisì lo status di “dominion” e divenne completamente indipendente dalla Gran
Bretagna nel 1947. Dopo la seconda guerra mondiale i maori intensificarono i loro trasferimenti
verso le città in cerca di occupazione e ci fu un risveglio della loro cultura originaria.
Territorio
La Nuova Zelanda, situata agli antipodi dell’Italia, è situata circa 2.000 km a sud dell’Australia, e
rappresenta la seconda isola dell’Oceania per estensione e per importanza economica. E’ bagnata
a est dall’Oceano Pacifico e ad ovest dal Mar di Tasmania. Il suo territorio è estremamente vario e
presenta numerose attrazioni come spiagge, foreste, montagne, vulcani, laghi e fiumi.
La principale catena montuosa è quella delle Alpi Neozelandesi, situate nell’Isola del sud, dove si
trova la maggiore vetta del paese, il Monte Cook, che è alto oltre 3.700 m. Nell’Isola del nord si
trovano invece numerosi geyser e vulcani ancora attivi. La Nuova Zelanda ha inoltre molti fiumi
(tra cui il più lungo è il Waikato) e laghi (il maggiore è il Taupo). La maggiore attrazione turistica
del paese è rappresentata appunto dalle bellezze naturalistiche, infatti la Nuova Zelanda vanta un
grande patrimonio forestale ed animale, custodito gelosamente nei numerosi parchi nazionali,
come il Monte Cook National Park, aree protette e parchi marittimi.
La flora è estremamente varia e presenta molte specie autoctone come il weta gigante, il kauri , il
tuatara e il kukapo, accanto a vaste foreste e ad una vasta gamma di fiori. Tra gli animali si
ricordano il koala, il moa, il kiwi e i cervi, gli animali da allevamento e numerose razze di uccelli.
Discorso a parte meritano gli abitanti del mare, la Nuova Zelanda ospita infatti nelle sue pescose
acque numerose specie di pesci come tonni, squali, delfini e balene. La Nuova Zelanda ha un
clima caratterizzato stagioni opposte rispetto all’Italia, caratterizzate da estati calde ma non
afose, sicuramente il periodo migliore per visitare il paese, ed inverni freddi e piovosi. Il clima
varia inoltre in funzione della latitudine e dell’altezza, ad esempio la zona delle Alpi Neozelandesi
ha inverni decisamente rigidi ed estati brevi.
All Blacks
A differenza di quanto avvenne in Sudafrica, per il tipo
di sviluppo e le politiche sociali condotte, i maori si
integrarono nella società e quindi anche nello sport,
introducendo in particolare nel gioco del Rugby gran
parte del loro spirito.
La diffusione del Rugby in Nuova Zelanda va di pari
passo con l’emigrazione inglese e scozzese e si
intreccia con le vicende storiche. La prima gara
internazionale risale al 1884 con il Nuovo Galles del
Sud, e il primo test match risale al 1903.
Nel 1905 la Nuova
Zelanda disputò la
prima tournèe
nell’emisfero nord nel
1905 e si presentarono
con una divisa tutta
nera, con una felce
argentata, e da allora
nacque il soprannome “All Blacks” divenuti famosi,
negli anni, per le loro vittorie e per il rituale dell’Haka,
che rappresenta un vero e proprio inno di identità
nazionale.
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Haka ‐ Tradizione e orgoglio di un
popolo
La Haka è quella danza rituale che i giocatori
della nazionale Neozelandese, gli All Blacks,
eseguono prima di ogni partita, dopo gli inni
ufficiali. Girano molte informazioni sbagliate
su quella che comunemente è considerata
una danza di guerra. In realtà il termine haka
significa semplicemente ‘danza’, e non
‘danza di guerra’. Fu eseguita per la prima
volta dalla squadra nazionale dei Nativi della
Nuova Zelanda (New Zeland Native Team)
nel tour in Inghilterra nel 1888‐89.
Evidentemente impressionò moltissimo, al
punto che venne scambiata proprio per una
danza di guerra. È proprio in quell’occasione
che si pensa che, tra le tante haka della
tradizione maori, sia stata eseguita proprio
la ka mate,ossia la danza che gli All Blacks
fanno ancora oggi.
Secondo la leggenda è stata composta
intorno al 1820 dal Re Te Rauparaha, capo
della tribù degli Ngati Toa. Narra della
rocambolesca fuga dai nemici lanciati al suo
inseguimento, nel corso del quale, per
salvarsi la vita, si nascose nel fondo di un
pozzo, da cui poi riemerse sano e salvo.
Prima della haka colui che la conduce, di discendenza maori, ricorda ai suoi il giusto
atteggiamento da tenere, urlando le seguenti parole:
Ringa pakia Uma tiraha Turi whatia Hope whai ake
Waewae takahia kia kino
Batti le mani sulle coscie
Sbuffa col petto, Fletti le ginocchia
Lascia che i fianchi le vadano dietro
Batti i piedi più forte che puoi
Al termine di questa incitazione inizia la vera e propria haka che nel Rugby è appunto la ka mate:
3Ka mate! Ka mate! Ka ora! Ka ora! Ka mate! Ka mate! Ka ora! Ka ora!
Tenei te tangata puhuru huru Nana nei i tiki mai Whakawhiti te ra
A upa..ne! ka upa..ne! A upane kaupane whiti te era! Hi!
Io muoio! Io muoio! Io vivo! Io vivo! Io muoio! Io muoio! Io vivo! Io vivo! Questo è l’uomo peloso
Che ha convinto il sole
A splendere ancora
Un passo… in su! Altro passo… in su! Un passo in su, un altro Il Sole splende! Hi!
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GLI INNI NAZIONALI: TESTI E MUSICHE CHE FANNO RISORGERE I POPOLI
Il concetto moderno di inno nazionale è legato a quello di “nazione” che si afferma nella seconda
metà del Settecento e che nasce dal rivolgimento politico e sociale determinato dalla Rivoluzione
francese. Nel nuovo contesto, l’inno nazionale esprime simbolicamente l’unità di un popolo
raccolto attorno a una bandiera e teoricamente manifesta in musica le caratteristiche, la storia, la
cultura, i sentimenti, la cultura di una comunità di cittadini. Questo tipo di musica viene eseguito
nei momenti di maggiore solennità, dedicato a mettere in scena lo spirito e l’orgoglio patriottico
di una nazione; pertanto, ci si aspetterebbe di sentire delle differenze musicali notevoli e
rappresentative della tradizione nazionale. Al contrario, colpisce il fatto che le musiche degli inni
nazionali sembrino incredibilmente tutte uguali. Per esempio, anche gli inni di composizione più
recente, creati o adottati dalle nazioni africane e asiatiche post‐coloniali, suonano
paradossalmente simili a quelli che siamo abituati ad ascoltare da secoli. Sebbene gli inni
nazionali facciano parte di generi diversi, come marce, fanfare, in pratica sono eseguiti secondo le
stesse modalità per produrre un alto grado di omogeneità, usando per esempio insiemi di ottoni e
percussioni al fine di dare rilievo alla solennità.
Rimane affascinante la storia di questo genere musicale che segue di pari passo quella del
nazionalismo: partendo nel XVIII secolo con l’Illuminismo, proseguendo con il Nazionalismo
romantico del XIX secolo (soprattutto in Europa e in America Latina) e con l’espansione coloniale
tra la fine dell’Ottocento e la Prima Guerra Mondiale, giungendo alla fase post‐coloniale che va
dalla seconda metà del Novecento fino ad oggi
Inno di Mameli, un canto per il Risorgimento
Italiano
Il suo titolo è Canto degli Italiani, ma è conosciuto da
tutti come Inno di Mameli. L’inno nazionale d’Italia
deve la sua nascita ad uno studente ed entusiasta
patriota appena ventenne di Genova, Goffredo
Mameli. Il testo venne composto nel 1847 con il titolo
“Fratelli d’Italia“, proprio le prime parole del testo.
Successivamente, a Torino, Michele Novaro, anche lui
genovese, trasformò in musica le parole scritte,
componendo la melodia che oggi tutti conosciamo.
L’Inno di Mameli è stato realizzato in pieno clima
risorgimentale, in perfetto stile patriottico: l’Italia
cominciava la dura battaglia che di lì a poco l’avrebbe
condotta nel 1860 alla definitiva unificazione. Anche
l’autore dell’Inno, Goffredo Mameli, era un giovane e
fervente patriota che aveva combattuto a fianco di
Garibaldi. Mameli, in uno scontro con i francesi, morì
per la ferita ad una gamba, a 22 anni non ancora
compiuti. Goffredo Mameli aveva scritto la poesia che
poi sarebbe diventata Inno nazionale in maniera
spontanea, appassionata, ed infatti il suo
componimento fu subito considerato il più adatto a
rappresentare l’Italia del Risorgimento, fervente e
avida di libertà.
Negli anni del Fascismo “Il canto degli italiani” fu
messo un po’ da parte: i fascisti preferivano che si
intonassero le marce da loro realizzate. Solo
nell’ottobre del 1946 l’inno di Mameli fu dichiarato
ufficialmente Inno nazionale “provvisorio” della
Repubblica italiana e, curiosamente, per quanto la
melodia sia ormai famosa e apprezzata in tutto il
mondo, l’inno “Fratelli d’Italia” è ancora considerato
tale
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LA LETTERATURA ITALIANA NEL PERIODO POST RISORGIMENTALE
ITALO SVEVO (1861‐1928)
Vita e opere
Oltre che uno dei nostri più autorevoli romanzieri di statura europea, Italo Svevo è il capostipite
di quella letteratura triestina che fu straordinariamente feconda nell’Italia di fine Ottocento e
inizio Novecento. Aron Hector Schmitz ‐ poi noto con lo pseudonimo di Italo Svevo ‐ nasce a
Trieste il 19 dicembre 1861. Dopo aver lavorato alla Unionbank triestina dal 1881, Svevo sposa
nel 1896 Livia Veneziani ed entra nella fabbrica di vernici sottomarine del suocero nel 1899,
iniziando una carriera di industriale che lo porterà in molti paesi europei. Nel frattempo pubblica,
a sue spese, il romanzo, “Senilità”, ignorato dalla critica. Il romanzo più famoso è, “La coscienza di
Zeno”, il dato nuovo rispetto alla produzione precedente è costituito dal riferimento all’indagine
psicoanalitica freudiana. La celebrità giunge molto tardi e la fama è purtroppo assaporata solo per
breve tempo da Svevo: il 13 settembre 1928 fu stroncato da un incidente d’auto.
Le influenze di Darwin
Svevo risente dell'influenza delle correnti filosofiche e culturali del tempo, in particolare è
fondamentale l’influenza di Darwin, da cui derivano il concetto di lotta per l’esistenza, l’interesse
per le leggi della selezione naturale e l’idea centrale dell’inettitudine dell’uomo, che Svevo vede,
con radicale pessimismo, inevitabilmente costretto a una ricerca senza sbocchi e senza speranza.
Le teorie di Darwin sono per Svevo il modello per l’interpretazione dei rapporti tra singolo e
società anche attraverso la ripresa del “darwinismo sociale
Ne “La coscienza di Zeno” uno dei personaggi, Guido, dopo aver perso ingenti somme di denaro a
causa di investimenti sbagliati in Borsa, inizia a lamentarsi con Zeno (il protagonista del romanzo)
del suo stato, che lo rende a suo dire “l’essere più disgraziato al mondo”. Zeno non accetta questa
definizione, si rifiuta di provare compassione per il suo amico caduto in disgrazia e inizia la breve
riflessione sulla capacità degli esseri viventi, e soprattutto degli uomini, di lamentarsi senza scopo
della propria condizione.
Dopo la separazione degli elementi e la creazione degli organismi Dio aveva donato l’anima a tutti
gli esseri viventi. Lentamente l’anima morì negli animali, che non provarono più il malcontento e
si adattarono a lottare per la conservazione e la procreazione. Negli uomini invece l’anima non
morì. L’uomo aveva solo le mani e le gambe, tuttavia era “male armato” per sopravvivere solo
con il suo fisico alla selezione della natura. Non era come certi animali che hanno sviluppato
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zanne, artigli e corna sul proprio corpo per difendersi e attaccare, come gli uccelli che per sfuggire
ai predatori hanno imparato a volare, o agli altri animali che hanno sviluppato una folta pelliccia
per difendersi dal freddo. Questa capacità di adattamento dell’organismo sviluppata dagli animali
ha permesso loro, sempre secondo la favola di Svevo, di lasciare morire l’anima, e di conseguenza
ogni sentimento di insofferenza. E a Svevo viene ovviamente da chiedersi come l’uomo abbia
potuto sopravvivere in uno stato di evidente inferiorità rispetto agli altri esseri viventi, nudo e
senza la possibilità fisica di attaccare o difendersi. Svevo individua proprio nel malcontento
dell’anima ciò che ha spinto l’uomo a sopravvivere nonostante il suo stato. Svevo riconosce
insomma nel malcontento umano uno stimolo a progredire. Questo conferma l’idea di come
Svevo in realtà abbia rielaborato le teorie darwiniane a tal punto da discostarsi da esse:
sopravvissuto per caso, l’uomo inaugura un’altra fase della sua esistenza nel momento in cui
scopre la capacità di influire nel mondo circostante attraverso la tecnica, cosa che lo differenzia
radicalmente da tutti gli altri esseri viventi. Non più teso al perfezionamento dell’organismo, egli
si prodiga nella creazione di “ordigni” (Svevo utilizzerà spesso questo termine per definire i mezzi
tecnici creati dall’uomo, o qualsiasi cosa integrata nel corpo umano ma biologicamente estranea)
posti al di fuori di sé, bloccando in questo modo lo sviluppo di nuove caratteristiche fisiche.
Costruendo i suoi “ordigni” l’uomo arrestò la propria evoluzione. Lo sviluppo della tecnica, quindi,
avviene a discapito dell’evoluzione umana, e nella lotta per la supremazia tra l’uomo e la tecnica,
l’uomo preferisce, per pigrizia, debolezza, o forse per furbizia, lasciare che la tecnica si sviluppi al
posto suo.
E’ incredibile leggere nelle sue parole una profezia che per fortuna non si è ancora avverata,
nonostante le minacce che USA e URSS si scambiarono durante la Guerra Fredda, nel
quarantennio 1950‐1990, quando lo sviluppo della tecnologia nucleare apparve come ultimo
passo verso l’estinzione definitiva della nostra specie:
(…) Quando i gas velenosi non basteranno più, un uomo fatto come tutti gli altri, nel
segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto
al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali innocui giocattoli. Ed
un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al
centro della terra per porlo nel punto ove il suo effetto potrà essere il massimo. Ci sarà
un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà
nei cieli priva di ogni essere umano.
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CHARLES DARWIN: TEORIA DELL'EVOLUZIONE
Charles Darwin nasce nel 1809 a Shrewsbury, in Inghilterra, da una famiglia agiata di tradizioni liberali. Suo nonno era stato un noto medico e aveva sostenuto teorie originali in campo biologico. Il giovane Charles viene inviato prima a studiare medicina a Edimburgo, poi pensa di intraprendere la carriera ecclesiastica e studia teologia a Cambridge, dove però scopre la passione per lo studio delle scienze naturali.
Agli inizi dell'Ottocento, come già detto, serpeggiava una grande curiosità verso la
natura e le forme di vita più caratteristiche (specialmente quelle esotiche ), pertanto non era insolito che durante i grandi viaggi di colonizzazione o le spedizioni degli esploratori del tempo, alcuni studiosi affiancassero gli equipaggi per osservare le stranezze naturali di posti molto lontani da casa.
Ecco perché Darwin nel 1831 prese parte alla spedizione della nave Beagle come naturalista senza stipendio. Rimane imbarcato per cinque anni, compiendo un gran numero di osservazioni sulla flora, la fauna e le formazioni geologiche di terre molto diverse e lontane fra loro.
Al suo ritorno, Darwin aveva taccuini e libri pieni di appunti di infinite forme di vita vegetale e animale; in particolare era stato incuriosito dalle particolari specie che abitavano l'arcipelago delle Galapagos, al largo dell'Ecuador (iguane, tartarughe e, soprattutto, uccelil). Cinque anni dopo il suo ritorno, nel 1839, pubblica un resoconto di quest'avventura con il titolo “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”e ricava dalle sue osservazioni molte pubblicazioni scientifiche che gli assicurano una notevole fama. Dal 1842 si ritira nel Kent per elaborare metodicamente tutte le informazioni, raccolte nei suoi taccuini di viaggio, sulle differenze presenti nelle varie specie; quelle riscontrate, a esempio, tra i famosi fringuelli delle isole Galàpagos gli permettono di formulare la teoria dell'evoluzione delle specie viventi, resa pubblica nel 1859, con il suo libro più famoso: “Sull'origine delle specie” La prima edizione si esaurisce in un solo giorno e l'opera suscita, allo stesso tempo, reazioni di entusiasmo o di violenta opposizione. Darwin pubblica in seguito altre opere per precisare meglio le sue concezioni evoluzionistiche e la teoria della selezione naturale. Muore a Down nel 1882.
L’Evoluzionismo
L’idea principale che si pone a Darwin è quello dell'enorme varietà di caratteristiche diverse che si presentano all'interno di ciascuna specie, come ha ben constatato alle isole Galàpagos: nelle diverse isole vivono specie notevolmente differenti di fringuelli che originariamente dovevano essere derivati da una specie comune. Dalla considerazione di casi come questo, Darwin
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comprende che certi fenomeni si possono spiegare soltanto se si considera la specie animale come il risultato di una serie continua di trasformazioni e di adattamenti. Già in precedenza si erano sostenute teorie sull'evoluzione delle specie animali e vegetali, ma l'originalità di Darwin consiste nell'introduzione di alcuni concetti innovativi.
In primo luogo egli dà una grande importanza, anche positiva, al concetto (peraltro già accettato dai biologi) di "lotta per l'esistenza", affermando che essa porta alla selezione di quegli individui che presentano caratteristiche più adatte all'ambiente in cui vivono. Egli applica quindi al mondo naturale i concetti che aveva già studiato nell'ambito della selezione artificiale delle razze di animali domestici. I cambiamenti evolutivi delle varie specie sono dovuti al meccanismo della selezione naturale, che si applica sui diversi caratteri che gli individui presentano. Darwin introduce anche il concetto di variazione casuale, secondo cui i caratteri di una specie cambiano perché fra i singoli individui appaiono, casualmente, delle variazioni: sono queste variazioni a essere selezionate dall'ambiente che lascia sopravvivere le più adatte e sopprime quelle che non portano vantaggio alla vita della specie.
Nei campioni di animali e vegetali che Darwin riportò dai suoi viaggi, il naturalista osservò forti somiglianze tra i fossili e le forme viventi di una stessa area , in particolare per ciò che riguardava le tartarughe e gli uccelli delle Isole Galapagos. Partendo da questa intuizione, Darwin notò che in ogni popolazione ci sono delle differenze tra i vari organismi, e che alcune di esse sono ereditabili e consentono agli individui portatori di generare più discendenti di altri. Questo concetto di " variazione " tra le specie, portò Darwin a sostenere che i mutamenti ereditari favorevoli allo sviluppo e alla vita dell'animale in questione (ovvero quelle caratteristiche che lo aiutano nella riproduzione o nel procurarsi il cibo) tendono a diventare sempre più frequenti nel corso delle generazioni .
Darwin chiama questo processo "selezione naturale" e ‐ secondo tale teoria ‐ non è il più forte quello che prospera nelle generazione, ma quello che che si adatta meglio al suo ambiente .
Dopo ulteriori approfondimenti, la conclusione strabiliante fu che tutti gli esseri viventi, uomo compreso, sono sottoposti, nel succedersi delle generazioni, a lenti ma continui cambiamenti, chiamati evoluzione. Con questa teoria, spiegata ne "L'Origine della specie" , pubblicato nel 1859, Darwin affermò che ogni forma di vita è soggetta ad una lenta ma graduale trasformazione della propria specie.
Queste idee, che troveranno riscontro decenni dopo con le teorie sull'ereditarietà di Mendel e la scoperta della genetica, modificarono profondamente la prospettiva della scienza dello studio della natura, che da quel giorno non sarà più la stessa.
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LA PREMIERE GUERRE MONDIALE: LA FRANCE DEVIENT LA PREMIERE PUISSANCE
POLITIQUE ET MILITAIRE DE L’EUROPE
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RUGBY E AVANGUARDIA CUBISTA
“LES JOUEURS DE FOOT‐BALL” DI ALBERT GLEIZES
Albert Gleizes (Parigi, 8 dicembre 1881 –
Avignone, 24 giugno 1953) fu un esponente
del cubismo, il movimento d’avanguardia che,
alla fine del primo decennio del Novecento,
segnò una svolta radicale nell’arte europea.
Riassumiamo brevemente le sue
caratteristiche.
Dal Rinascimento all’Ottocento la pittura
occidentale è stata soprattutto
“naturalistica”, ossia basata sugli stessi
meccanismi della visione ottica. I pittori
usavano un linguaggio figurativo che
riproduceva la realtà così come essa appare
sia quando imitavano la realtà (in ritratti,
paesaggi, scene di vita quotidiana, episodi
storici, ecc.), sia quando inventavano scene
fantastiche con esseri soprannaturali. Nella Parigi della fine del primo decennio del Novecento,
Pablo Picasso e Georges Braque ruppero l’unità tridimensionale degli oggetti e combinarono
diversi frammenti di realtà in una autonoma architettura di forme, totalmente indipendente dalla
passiva imitazione del mondo esterno. In sostanza, con Picasso e Braque la pittura divenne una
creazione libera, dotata di una propria, autonoma bellezza.
Cosa vuol dire moltiplicare i punti di vista? E
rompere l’unita tridimensionale degli
oggetti? Prendiamo, ad esempio, un normale
dado da gioco. Tutti sappiamo che ha sei
facciate numerate da uno a sei
Cosa succederebbe se volessimo dipingerlo
seguendo la prospettiva tradizionale con
punto di vista unico? Nella realtà, possiamo
vedere solo tre lati di un dado
contemporaneamente. Pertanto, se
seguissimo la comune
esperienza visiva,
avremmo
un’immagine come
questa.
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Però noi
sappiamo che il
dado ha sei lati;
se volessimo
raffigurarne
quattro, cinque o
tutti e sei
dovremmo
“spezzare” la sua tridimensionalità e
dipingere diversi pezzi di dado osservati in
momenti differenti. Braque e Picasso hanno
applicato tale analisi non solo a un singolo
oggetto, ma anche a tutto ciò che lo
circonda. Nei loro quadri hanno combinato
liberamente frammenti di realtà e hanno
cercato una bellezza totalmente artistica,
ossia basata solo sulla loro sensibilità e la
loro intuizione. Si veda, ad esempio, il
Ritratto di Wilhelm Uhde di Picasso: cose e
persone sono scomposti in figure
geometriche, corrispondenti a diversi
momenti percettivi, che si intersecano tra
loro. La bellezza dei due dipinti dipende dalla
loro armonia interna, non più dall’abilità
nell’imitare una realtà esterna.
La pittura aveva un valore intrinseco, indipendente dalla riproduzione reale dell’oggetto. I
cubisti si chiedevano se non si dovesse rappresentare i fatti come si sa che sono, invece di come
uno li vede.
I quadri cubisti sono difficili da interpretare al primo
sguardo perché, come già detto, sono la somma di sguardi
diversi avvenuti in tempi differenti: in sostanza,
introducono nell’arte la dimensione del tempo. I cubisti
hanno voluto coinvolgere lo spettatore nel processo
creativo: chi osserva i loro quadri, deve analizzarli
attentamente e, come in un gioco, usare la fantasia per
intuire il loro significato. Picasso e i primi cubisti non si
autodefinirono tali: la parola “cubismo” fu usata da alcuni
critici per descrivere i loro quadri che, in effetti, hanno
spesso l’aspetto di un reticolo di figure geometriche.
Fu solo nel 1911 che nacque un vero e proprio movimento
cubista. In tale anno, alcuni giovani artisti influenzati da
Picasso esposero al Salon des indépendants, al Salon de
automne e alla mostra organizzata dalla Société des artistes indépendants di Bruxelles dove, per
la prima volta, si definirono “cubisti”. Tra loro c’erano Jean Metzinger e Albert Gleizes, che nel
1912 pubblicarono il libro Du cubisme (Del cubismo) e divennero, pertanto, i teorici del nuovo
movimento d’avanguardia.
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I VANTAGGI DI UNA SANA ALIMENTAZIONE E I LIMITI DELLA TECNOLOGIA
NELL’ALIMENTAZIONE MODERNA
Velocità, forza, potenza e agilità: sono le doti di qualsiasi giocatore di Rugby, esaltate al massimo
quando si tratta di top player come quelli impegnati nella World Cup.
Se il terzo tempo (con le relative bevute di birra post‐partita per gli adulti e di CocaCola per i
ragazzi) continua a essere una tradizione intoccabile della palla ovale, quando si tratta di
allenamento, sedute in sala pesi e recupero dopo un match nulla è lasciato al caso dal punto di
vista dell'alimentazione e dell'integrazione alimentare.
Innanzitutto bisogna ricordare che il Rugby è uno sport decisamente più complesso rispetto a
tanti altri e il ruolo che ogni giocatore riveste può influire anche nel tipo di caratteristiche fisiche
richieste. Ad esempio un mediano di mischia ha bisogno di più velocità e agilità, mentre giocatori
più pesanti come i piloni hanno bisogno di maggior potenza, che si ottiene allenando sia la forza
che la velocità. Di sicuro, però, non esistono cibi o diete miracolose capaci di trasformare un
giocatore mediocre in un campione, ma un campione potrebbe giocare come un mediocre se
sbaglia alimentazione. E uno dei segreti per non sbagliare sta nella quantità di ciò che si mangia e
nella varietà a tavola. Promossi, dunque, pasta asciutta (magari condita con legumi come
lenticchie e fave), pesce, frutta e verdura. Stesso discorso per grassi, carboidrati, proteine,
vitamine, sali minerali e acqua. In una partita di Rugby si consumano in media dalle 700 alle 800
kilocalorie e di questo bisogna sempre tenerne conto.
Volendo semplificare, pertanto, i consigli principali per gli atleti della palla ovale sono: fare
sempre almeno tre pasti, ovvero un’ottima colazione e due spuntini principali (che possono
arrivare anche a tre nei giorni in cui è presente l’allenamento) e non lasciare mai a digiuno
l’organismo per troppo tempo. Meglio concedersi uno spuntino mezz’ora dopo l’allenamento o
prima di andare a letto. Il menu del rugbista, dunque, potrebbe prevedere una colazione
abbondante con latte scremato totalmente o parzialmente e fette biscottate con marmellata o
cereali, poi uno spuntino a metà mattina con yogurt magro oppure biscotti, frutta di stagione, o
ancora noci e mandorle, e pranzo con pasta o altri tipi di carboidrati complessi (riso, pane o
patate) con i legumi. Ma vanno più che bene anche proteine come pesce, albume d’uovo e
formaggi magri, senza dimenticare un bel contorno a base di verdura e frutta finale. Per merenda,
niente è meglio di un altro yogurt, oppure frutta se non addirittura un piccolo panino con
tacchino o altre proteine magre. Promossa anche la frutta secca. A cena, si può benissimo
ripetere il menu del pranzo, ma magari riducendo il quantitativo per stare leggeri, mentre dopo
l’allenamento va bene concedersi un ultimo spuntino magari con una piccola razione di proteine
magre.
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Com’è noto, nel Rugby il terzo tempo è una tradizione che neanche il miglior nutrizionista del
mondo potrebbe scalfire facilmente. Secondo gli esperti, quindi, lo strappo alla regola è concesso.
Durante la partita, infine, mai dimenticarsi di bere anche quando la sete non è eccessiva.
Una riflessione a parte merita farla per quanto riguarda gli integratori: soprattutto per noi ragazzi,
è pericoloso assumere sostanze chimiche non contenute negli alimenti solo per aumentare la
massa muscolare e “fare il fisico”. Si tratta di sostanze inutili per chi segue una dieta varia ed
equilibrata e addirittura dannosi, anche psicologicamente, per quanti vi si affidano alla ricerca
della prestazione straordinaria.
La Tecnologia svolge un ruolo chiave nella
qualità del cibo che mangiamo e dunque
nell’alimentazione sostenibile perché
fornisce soluzioni ai problemi che riguardano
la produzione, la disponibilità, la
conservazione del cibo, con piena garanzia in
termini di sicurezza degli alimenti.
La Scienza ha svolto un ruolo essenziale per
la qualità della’alimentazione, innanzitutto
spezzando il vincolo allo sviluppo dovuto alla limitatezza delle risorse naturali”. “Il legame tra
innovazione industriale, miglioramento continuo della qualità della vita e contributo della Scienza
e delle tecnologie è fortissimo: basti pensare ai fertilizzanti chimici, al miglioramento genetico,
agli agrofarmaci a difesa delle coltivazioni, allo sviluppo dei sistemi di irrigazione e alle
biotecnologie che hanno dato vita alla Rivoluzione verde, cioè all’esplosione delle rese per ettaro
in gran parte del mondo.
A queste tecnologie si sono aggiunte quelle che hanno aiutato l’industria alimentare a combattere
lo spreco migliorando la qualità e la conservazione dei cibo. Non sarebbe possibile raggiungere gli
obiettivi dell’alimentazione sostenibile nei confronti di tutta la popolazione mondiale senza un
ruolo fondamentale della Scienza, della tecnologia e dell’industria, che rende disponibili per tutti
le innovazioni generate dal mondo scientifico, in particolare quello chimico. Al contrario di quanto
molti luoghi comuni facciano pensare, il cibo che noi mangiamo è sicuro, perché protetto dalle
norme e dai controlli e dall’impegno delle imprese di tutta la filiera agroalimentare; le sostanze, i
prodotti e le materie prime chimiche sono soggetti a normative europee senza eguali sia a livello
mondiale e sia rispetto ad altri settori che in Italia sono spesso applicate in modo ancora più
restrittivo e soggette a controlli ancora più severi rispetto ai competitori europei e mondiali.
Come in tutte le cose, però, c’è un risvolto della medaglia: dopo l'età della pietra, del ferro, del
bronzo, è venuta l'età dei polimeri, dei materiali speciali, dei cibi precotti che, come abbiamo
descritto in precedenza, rappresentano è vero dei benefici ma comportano anche enormi rischi.
Analizziamoli:
IL RUGBY: UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ
Flavio Prota III C
‐ innanzitutto, l’uso incondizionato dei pesticidi: per
aumentare la produttività dei terreni, spesso non si
limita l’uso di veleni contro insetti o malattie delle
piante che, per quanto dannosi, rappresentano
sempre un elemento con cui la natura regola la vita sul
nostro pianeta. L’uso dei pesticidi, è stato dimostrato,
se aumentano la produttività sono anche causa di malattie gravi per l’uomo, a volte anche
mortale perché causano tumori.
‐ l'uomo urbanizzato riceve gli alimenti necessari al suo sostentamento dai luoghi di
produzione lontani chilometri (talvolta migliaia di chilometri): ciò comporta un grande
dispendio di energia e produzione di gas che avvelenano l’atmosfera e il terreno.
‐ I cibi prodotti altrove devono essere
idoneamente conservati: cibi in scatola,
liofilizzati, surgelati, precotti, avvolti in fogli di
plastica contengono ‘additivi alimentari' ‐
composti chimici che inibiscono la
fermentazione, l'ossidazione, la degradazione in genere dei cibi ‐ i cui effetti sul corpo
umano non sono ancora noti del tutto per dimostrare il collegamento con tumori e
malattie
‐ Assimilabili agli additivi, anche se regolamentati diversamente, sono i
coloranti, gli aromatizzanti e gli edulcoranti utilizzati per rendere più
“attraenti” i cibi: alcune di queste sostanze sono state recentemente
vietate perché causano problemi alla salute dell’uomo
Questi sono alcuni aspetti negativi dell’utilizzo della
tecnologia ad ogni costo: bisogna assolutamente
ridimensionare l’impiego spietato della tecnologia
nella produzione di cibo che, nelle società avanzate,
porta spesso a sprechi e non aiuta a preservare l’uomo
dalla perdita delle proprie tradizioni culturali legate al
procacciamento e alla produzione di cibi legati al
proprio territorio in cui vive.