IL RUGBY UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, … · Flavio Prota III C ... fare la mia prima...

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Istituto Comprensivo Santagata – 5° C.D. Portici IL RUGBY UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ di FLAVIO PROTA III C Esame Scuola Media a.s. 2016/2017

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Istituto Comprensivo Santagata – 5° C.D. Portici 

 

 

 

IL RUGBY 

UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, 

STORIA E SOCIETÀ  

 

di 

FLAVIO PROTA III C 

 

 

Esame Scuola Media a.s. 2016/2017 

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IL RUGBY: UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ 

Flavio Prota III C 

   

 

Ringraziamenti 

 

Ho  letto più  volte  che gli  autori  di  un  libro dedicano  il  proprio 

lavoro  a  qualcuno  o  qualcosa  che  li  ha  ispirati.  Anche  io 

desidero fare la mia prima dedica, in verità più di una… 

 

grazie  innanzitutto a  tutta  la mia  famiglia  che mi  sostiene  in 

ogni mia azione e mi da  fiducia ogni  istante, ogni giorno della 

mia vita 

grazie ai miei docenti, che mi hanno  insegnato tanto  in questi 

anni senza perdere mai (quasi mai!) la pazienza 

grazie ai miei allenatori:  Emanuele, Salvatore, Vincenzo,  Luca, 

Antonio,  Lucia,  per  avermi  insegnato  la  tecnica  e  avermi 

trasmesso la passione per il Rugby 

grazie  alla  Società  Amatori  Rugby  Torre  del  Greco  per 

continuare a sostenere i sani principi del Rugby nonostante tutti 

gli ostacoli che incontra sul nostro territorio 

grazie a tutti i miei compagni di squadra della U14 per avermi 

accettato come capitano 

grazie a tutti i miei amici senza i quali non potrei trascorrere un 

giorno senza andare a cercarli 

 

e….  

 

grazie  a  chi  ho  dimenticato  di  ringraziare  solo  perché  è  la 

prima volta che faccio una cosa del genere!  

 

 

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IL RUGBY: UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ 

Flavio Prota III C 

   

 

INDICE 

 

1. ORIGINE DEL GIOCO: COME E DOVE È NATO IL RUGBY       

 

2. LA FILOSOFIA DEL RUGBY COME MESSAGGIO SOCIALE: UNITI OLTRE LE DIFFERENZE   

 

3. UNO SPORT CHE PARLA INGLESE: PLAY RUGBY AND LEARN ENGLISH    

 

4. LA SOCIETÀ INGLESE DELL’800 E LA DIFFUSIONE DEL RUGBY NEL MONDO 

 

5. NAZIONI DOVE IL RUGBY E’ SPORT NAZIONALE: IRLANDA, SUD AFRICA, NUOVA ZELANDA 

 

6. GLI INNI NAZIONALI: TESTI E MUSICHE CHE FANNO RISORGERE I POPOLI 

 

7. LA LETTERATURA ITALIANA NEL PERIODO POST RISORGIMENTALE: ITALO SVEVO (1861‐1928) 

 

8. L'EVOLUZIONE NATURALE DI CHARLES DARWIN INFLUENZA SCIENZA, ECONOMIA E 

LETTERATURA 

 

9. LA PREMIERE GUERRE MONDIALE: LA FRANCE DEVIENT LA PREMIERE PUISSANCE  

POLITIQUE ET MILITAIRE DE L’EUROPE  

 

10. RUGBY E AVANGUARDIA CUBISTA: “LES JOUEURS DE FOOT‐BALL” DI ALBERT GLEIZES 

 

11. RUGBY, SPORT PER PESI  MASSIMI? UN MITO DA SFATARE: TECNOLOGIA, SOCIETA’ E MODE 

ALIMENATRI 

 

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Flavio Prota III C 

   

PERCHE’ UN LAVORO SUL RUGBY? 

 

Il  Rugby  fa 

parte  della 

mia  vita 

dall’età di 10 

anni  e  da 

allora  non 

posso  più 

farne  a 

meno: 

l’adrenalina della partita,  i  lividi sul corpo, le 

emozioni,  i  pianti  e  l’abbraccio  finale  con 

l’avversario  mi  hanno  dato  e  tuttora  mi  ha 

danno emozioni incredibili. 

Dal  2011  gioco  con  l’Amatori  Rugby  Torre 

del  Greco,  una  delle  poche  società 

rugbistiche  fondate  in  Campania,  più  antica 

ancora della blasonata Benevento Rugby. Lo 

scorso anno la mia Società ha celebrato il suo 

primo  50°:  fare  sport  nel  nostro  territorio, 

soprattutto  uno  sport  “minore”  come  il 

Rugby,  significa  accettare  sfide,  costi  e 

avventure  che  solo  una  forte  passione  può 

dare la forza di sopportare. Per mia fortuna e 

per fortuna di tutti gli appassionati di questo 

sport,  in tutti questi anni ci sono stati Soci e 

Presidenti  tenaci  che  hanno  portato  avanti 

l’Amatori  Rugby  Torre  del  Greco, 

nonostante  enormi  difficoltà  organizzative 

ed  economiche:  a  tutt’oggi  siamo  circa 

duecento  atleti,  suddivisi  nelle  varie 

categorie  (dalla  Under  8  alla  Seniores)  e 

l’obiettivo  per  i  prossimi  anni  è  quello  di 

crescere. 

Inizialmente,  mi  sono  avvicinato  a  questo 

sport  grazie  alla  passione  di  mio  padre:  in 

realtà,  avrei  voluto  giocare  a  calcio,  una 

passione che ancora mi accompagna. Giorno 

dopo  giorno,  però,  questo  sport  mi  ha 

coinvolto  sempre  più,  grazie  alla  pazienza 

degli  allenatori  e  dei  sani  principi  che 

l’intero ambiente mi ha trasmesso. 

In questi anni ho conosciuto tanti ragazzi, ho 

vinto  e  perso  tante  partite,  ho  giocato  in 

tanti  tornei  incrociando  ragazzi  di  paesi, 

culture  e  razze  diverse:  non  ho  mai  avuto 

paura  di  toccarli,  sfidarli,  gioire  al  di  la  del 

risultato e soprattutto condividere  il piacere 

finale  del  terzo  tempo.  Il  sacrificio  di 

conciliare la pratica sportiva con lo studio mi 

ha  fortificato  e  sta  contribuendo  alla  mia 

maturità:  sto  facendo  tesoro  delle  mie 

esperienze,  crescere  sportivamente  significa 

anche  crescere  come  persona  e  il  ruolo 

educativo che svolge  la scuola può e deve a 

mio  avviso  essere  completato  dal  ruolo 

formativo dello sport.  I  ragazzi che vengono 

educati  ai  principi  del  Rugby  –  e  di  tutti  gli 

sport  in  generale,  ovviamente  –  possono 

crescere senza avere paura di chi è diverso e 

senza questa paura non ci  sarà più bisogno 

di  inventarci  guerre  in  futuro.  Senza  guerre 

tutti  i  popoli  saranno  liberi;  senza  guerre 

tutti i popoli potranno condividere le proprie 

conoscenze  senza  timore;  senza  guerre  si 

potrà  viaggiare  e  apprezzare  i  valori  che 

accomunano  tutti  gli  esseri  umani;  senza 

guerre non ci saranno più armi; senza guerre 

ci  sarà  la possibilità di condividere  il proprio 

cibo, così come si fa al termine di una partita 

di  Rugby… al  di  la 

del  risultato,  al  di 

là delle vittorie, al 

di  la  delle 

sconfitte,  al  di  la 

delle differenze! 

 

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Flavio Prota III C 

 

   

COM’È ARTICOLATO IL LAVORO?  

 

In questo  lavoro svilupperò  le  relazioni  tra  il 

gioco  del  Rugby  nel  mondo  e  la  cultura,  la 

geografia  e  la  storia  dei  popoli  studiata  in 

questi  anni.  Parto  da  una  brevissima 

descrizione  dello  sport  (EDUCAZIONE 

FISICA),  dei  suoi  valori  sociali 

(CITTADINANZA  E  RELIGIONE),  delle  sue 

origini anglosassoni che mi consentiranno un 

successivo approfondimento in lingua inglese 

(INGLESE)  ciò mi permetterà di analizzare  le 

principali  dinamiche  del  colonialismo 

(STORIA),  in  particolare  quello  britannico, 

inerente  lo  sviluppo  del  Rugby  nel  mondo. 

Questo  approccio  mi  permetterà  di 

descrivere  geograficamente  (GEOGRAFIA)  i 

principali  paesi  dell’Emisfero  Nord  Isole 

Britanniche e dell’Emisfero  Sud  Sud Africa e 

Nuova  Zelanda  nei  quali  il  Rugby  è  lo  sport 

nazionale.  Ho  scelto  l’Irlanda  perché  è  una 

dimostrazione di  come  lo  Sport,  ed  il  Rugby 

in  particolare,  vada  oltre  ogni  differenza 

politica,  religiosa o  razziale:  seppur divisa  in 

Irlanda  del Nord  ed  EIRE,  in  occasione  delle 

partite  ufficiali  di  Rugby  le  due  Nazioni  si 

uniscono  in  un’unica  squadra  nazionale. 

L’altro  paese  che  ho  scelto,  la  Nuova 

Zelanda,  è  la  nazione  famosa  per  i  suoi  All 

Blacks, i giocatori vestiti di nero, e per la loro 

Haka, danza di  guerra divenuto una  sorta di 

vero e proprio inno nazionale (MUSICA).  

 

Gli  inni  nazionali  raccolgono  lo  spirito  di 

fierezza  di  un  popolo:  il  nostro,  Fratelli 

d’Italia,  fu  scritto  e  musicato  in  pieno 

Risorgimento per esaltare  lo spirito fiero dei 

popoli  italici  che  sognavano  una  unità  sotto 

un’unica  bandiera,  senza  dominatori 

stranieri. Nell’anno dell’Unità d’Italia, nacque 

uno dei  più  noti  rappresentanti  della  nostra 

Letteratura,  Italo  Svevo  (ITALIANO), 

interessato ai principi del Darwinismo Sociale 

(SCIENZE) secondo cui la società a tutti i suoi 

livelli  è  dominata  da  un  antagonismo 

spietato tra gli individui, i gruppi, le classi e le 

leggi  che  la  regolano  sono  quelle  della 

sopraffazione  del  più  forte  sul  più  debole  e 

l'interesse  individuale.  Tale  antagonismo  in 

quegli  anni  fu  causa  di  una  guerra  che 

coinvolse,  per  la  prima  volta  nella  storia 

dell’uomo, il mondo globale e che rilanciò la 

Francia  come  una  delle  principali  potenze 

economiche e militari (FRANCESE). Proseguo 

il  mio  lavoro  parlando  del  cubismo  (ARTE) 

movimento  d’avanguardia  nato  nei  primi 

decenni  del  XX  secolo;  termino  sfatando  un 

falso  mito,  il  Rugby  come  sport  per  pesi 

massimi:  la  tecnologia  nell’alimentazione 

moderna  (TECNOLOGIA)  se  da  un  lato  ha 

apportato  notevoli  vantaggi  al  genere 

umano,  dall’altro  rappresenta  una  grave 

minaccia per la qualità non sempre eccelsa e 

lo spreco del cibo nelle società avanzate. 

 

 

 

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Flavio Prota III C 

                   

   

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Flavio Prota III C 

 

   

ORIGINE DEL GIOCO: COME E DOVE È 

NATO IL RUGBY 

 

Nel XIX  secolo  in moltissimi  college  inglesi  il 

gioco del pallone era assai in voga, benché si 

differenziasse  da  college  a  college  secondo 

l’uso che  si  faceva delle mani e dei piedi.  In 

molti  predominava  l’handling  game,  ossia 

del  portare  la  palla  con  le  mani,  in  altri  il 

dribbling  game,  ovvero  la  possibilità  di 

toccare  la palla solo con  i piedi, benché non 

vi fossero regole precise in nessuna delle due 

tipologie  di  gioco.  Entrambe  tuttavia  erano 

caratterizzate  in    principio  da  una  grande 

violenza  durante  le  gare,  e  spesso  era 

assente anche l’arbitro. 

Il 1° novembre 1823 accadde un fatto, allora 

insignificante,  che  doveva  dare  però  inizio 

alla  disciplina  sportiva  del  Rugby  moderno: 

mentre  giocava  con  i  compagni  nel  prato 

della  Public  School  di  Rugby  (una  cittadina 

del  Warwickshire,  nell’Inghilterra  centrale), 

l’irlandese  William  Webb  Ellis,  con  gran 

dispregio delle  regole allora  in  vigore, prese 

la  palla  tra  le  braccia  e  corse  in  avanti 

determinando  così  l’origine  di  una  delle 

caratteristiche  essenziali  e  distintive  del 

gioco del Rugby. 

L’atto  rivoluzionario  compiuto  dal  giovane 

irlandese, contrariamente a quanto si crede, 

non  consistette  nel  prendere  la  palla  tra  le 

mani,  ma  nel  “correre  avanti”  con  questa 

dopo averla raccolta. A quel tempo, infatti, a 

Rugby  e  in  molte  altre  scuole  delle  contee 

inglesi, era in voga un gioco che prevedeva la 

possibilità, per  il giocatore che fosse entrato 

in possesso della palla con le mani, di correre 

all’indietro,  azione  che  bloccava  la  difesa 

impedendole  di  “caricare”.  Ad  assegnare  a 

Ellis  la paternità di questa disciplina sportiva 

e a fare accogliere l’ipotesi che il Rugby fosse 

nato  a  Rugby  concorsero  diversi  elementi: 

nel 1834 entrò nella scuola della piccola città 

un  certo  Thomas  Hughes,  il  quale,  in  una 

lettera scritta nel marzo 1895, ricorda tra gli 

altri episodi una partita giocata a Rugby con 

una netta predominanza dell’uso delle mani. 

In  precedenza,  nel  1829,  era  inoltre  stato 

nominato  direttore  della  scuola  il 

pedagogista  Thomas  Arnold,  il  quale  aveva 

promosso  a  tal  punto  il  gioco  fra  i  suoi 

studenti  che  questi  non  poterono 

dimenticarlo una volta giunti all’università, e 

cercarono di diffonderlo fra gli altri studenti. 

La  fortuna  di  annoverare  tra  gli  studenti  di 

Rugby  un  artigiano molto  abile  nel  rivestire 

di  cuoio  la  vescica  di  maiale  di  forma 

ovoidale, che, riempita di paglia o di fieno, si 

usava  come  pallone.  Quell’artigiano  si 

chiamava William Gilbert e dal 1800 divenne 

il fornitore ufficiale dei palloni della scuola di 

Rugby.  Ancora  oggi,  i  palloni  ufficiali  delle 

gare internazionali sono di marca Gilbert. 

Il  28  Agosto  1845  sempre  nella  scuola  di 

Rugby  fu  redatto,  da  parte  degli  studenti,  il 

primo  codice  dell’handling  game. Negli  anni 

seguenti  molte  altre  scuole  provvidero  a 

darsi un proprio regolamento, cosicché quasi 

ogni  college  finì  per  avere un modo diverso 

di  condurre  il  gioco.  Il  26  settembre  1836  i 

rappresentanti  di  undici  tra  club  civili  e 

scuole  si  riunirono  alla  Freemason’s  Tavern 

e,  dopo  un’accesa  discussione,  elencarono 

alcuni  capisaldi  di  un  nuovo  regolamento. 

Regolamento  che  limitò  sia  la  primordiale 

violenza  che  lo  aveva  caratterizzato, 

abolendo  anche  gli  ultimi  cinque  minuti  di 

hallelujah  (pestaggio  generale),  sia 

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Flavio Prota III C 

 

   

il numero dei giocatori che passò a quindici. 

Si  registrarono  più  tardi  diversi  modi  di 

praticare  Rugby,  ma  la  spinta  evolutiva 

determinante  fu  l’affermarsi  del  gioco  “alla 

mano”. 

Questa  è  una  delle  numerose  verità  sulla 

nascita  del  Rugby.  Oggi  inoltre  molti 

dubitano  su  quello  che  accadde  quel 

novembre del 1823 considerando il fatto più 

una  leggenda  che  un  avvenimento  vero  e 

proprio, nonostante le documentazioni di un 

giornalista,  Matthew  Bloxam,  che  pubblicò 

un  articolo  sul  “Meteor”,  il  giornale  della 

Public  School  di  Rugby,  nel  quale  riportò  le 

testimonianze molto  vaghe  di  una  studente 

che  sosteneva  di  aver  assistito  al  gesto 

eretico di Ellis. 

Leggenda o realtà, piace credere che il gesto 

di  Webb  Ellis  abbia  gettato  il  seme  di  un 

nuovo  gioco,  anche  se  forse  la  sua  genesi 

potrebbe  essere  stata  poi  frutto  di  un 

travaglio  durato  ancora  qualche  decennio. 

Non  sembra  comunque  casuale  che  esista 

una  determinata  logica  secondo  cui  questo 

gioco  trovi  le  sue  origini  in  un  atto  di  sfida 

coraggiosa. Dalle battaglie dei legionari si era 

arrivati  così  ad  un  nuovo  gioco,  praticato 

inizialmente  dai  soli  gentlemen 

dell’aristocrazia  inglese  e  nel  quale 

primeggiavano la  lealtà e  il coraggio, fisico e 

morale. 

 

 

 

 

 

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Flavio Prota III C 

 

   

LA FILOSOFIA DEL RUGBY COME MESSAGGIO DI SOCIALE:  

UNITI OLTRE LE DIFFERENZE 

 

Lo sport al di là del gioco 

Non è casuale che Thomas Arnold, direttore della Public School of 

Rugby,  dove  si  dice  sia  nato  il  Rugby,  abbia  visto  nell’handling 

game (antenato del Rugby) qualcosa di fortemente formativo per i 

giovani  gentlemen  della  sua  scuola,  utile  inoltre  per  distoglierli 

dalle cattive abitudini dei ragazzi di allora. Arnold non sbagliava, il 

Rugby  infatti  è  uno  degli  sport  più  educativi  perché  educa  alla 

socialità, intesa sia come appartenenza ad un gruppo (la squadra), 

sia come rispetto dei ruoli (il capitano, l’allenatore, l’arbitro). 

 

Si può definire il Rugby una metafora della vita perché dentro vi è tutto:  

‐  rispetto,  dei  compagni,  degli  avversari,  dell’arbitro,  nonostante  il  fatto  che  sia  uno  sport  di 

contatto e che quindi moltiplichi le occasioni di confronto 

‐ altruismo   e sacrificio, per  la squadra, per  i nostri amici, ed ha nel 

sostegno un proprio principio di gioco che è  la realtà della vita: non 

possiamo pensare a noi stessi, ma dobbiamo aiutare chi ci è vicino 

‐  coraggio,  di mettere  la  testa  la  dove una persona normale  non  vi 

metterebbe  nemmeno  un  piede,  di  lanciarsi,  tuffarsi,  cadere, 

affrontare uno più grosso di noi 

‐ orgoglio, di rappresentare qualcuno, qualcosa, di giocare uno sport 

così nobile 

‐  disciplina,  l’adeguarsi  alle  decisioni  dell’arbitro,  che  è 

incontestabile, mantenere un atteggiamento consono allo spirito dello sport, razionali in ciò che si 

fa 

‐ onore, rialzandosi dopo un placcaggio subito, non simulando ma dissimulando un infortunio 

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Flavio Prota III C 

 

   

E’  questo  il  Rugby,  una  disciplina  sportiva 

formativa  sotto  ogni  punto  di  vista  e  che 

riesce,  anche  nell’era  del  professionismo  e 

dei soldi, a mantenere vivi quei valori che poi 

si  materializzano  in  tanti  comportamenti 

concreti. Un esempio è il pubblico che assiste 

alle partite in stadi da 80.000 persone senza 

recinzioni,  senza  barriere  tra  le  opposte 

tifoserie  ma  dove  tutti  si  mischiano.  Un 

pubblico formato da giovani, bambini, donne 

e famiglie che non hanno paura di recarsi allo 

stadio  con  la  maglia  o  la  bandiera  della 

propria  squadra ma che  sanno di  andare ad 

una  festa,  perché  è  a  questo  che  si  assiste 

durante una partita di Rugby allo stadio, ad 

una  festa.  E  la  festa  prosegue  anche  fuori 

dallo  stadio,  durante  il  così  detto  «terzo 

tempo»,  dove  i  giocatori  delle  due  squadre 

passano dal “confronto” sul campo al sedersi 

ad  un  medesimo  tavolo,  condividendo  il 

pasto assieme, e dove i tifosi delle differenti 

squadre  si  incontrano,  parlano,  scambiano 

battute  e  momenti  di  gioia.  L’incontro  di 

culture differenti durante il terzo tempo è in 

assoluto  l’immagine  più  rappresentativa 

dello spirito amichevole del Rugby. 

 

 

 

 

 

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Flavio Prota III C 

 

   

 

UNO SPORT CHE PARLA INGLESE: PLAY RUGBY AND LEARN ENGLISH 

Rugby and foundation of early clubs 

Rugby  is a game played with an oval ball by 

two  teams  of  15  players  (in  Rugby  Union 

play)  or  13  players  (in  Rugby  League  play). 

Both  Rugby  union  and  Rugby  league  have 

their origins in the style of football played at 

Rugby  School  in  England.  According  to  the 

legend, in 1823 William Webb Ellis, a pupil at 

Rugby School, defied the conventions of  the 

day  (that  the  ball  may  only  be  kicked 

forward) to pick up the ball and run with it in a game, thus creating the distinct handling game of 

Rugby football. This “historical” basis of the game was well established by the early 1900s. While 

it is known that Webb Ellis was a student at Rugby School at the time, there is no direct evidence 

of this event, though it was cited by the Old Rugbeian Society in an 1897 report on the origins of 

the game. Nevertheless, Rugby School, whose name has been given to the sport, was pivotal  in 

the  development  of  Rugby  football,  and  the  first  rules  of  the  game  that  became  Rugby  union 

football were established there in 1845. 

By the late 19th century, the issue over broken time (broken‐time payments compensated players 

for  the  time  they  missed  from  work  due  to  their  Rugby  playing  commitments)  in  Rugby  had 

become  important,  particularly  in  the  North  of  England,  where  a  larger  working  class  played 

Rugby compared to the south, thus their work and injuries they received whilst playing came into 

conflict with the rules of amateurism.  

The modern era 

Rugby is now a popular sport in many countries of the world, with clubs and national teams found 

in places as diverse as Japan, Côte d’Ivoire, Georgia, Uruguay, and Spain. Rugby among women is 

one of the world’s fastest‐growing sports. At the turn of the 21st century, the International Rugby 

Board (IRB; founded in 1886 as the International Rugby Football Board), headquartered in Dublin, 

boasted more  than  100  affiliated  national  unions,  though  at  the  top  level  the  sport  was  still 

dominated by the traditional Rugby powers of Australia, England, France,  Ireland, New Zealand, 

Scotland,  South  Africa, Wales  and,  recently,  even  Italy  has  a  special  consideration  among  the 

strongest  teams.  In  the  latter  part  of  the  20th  century,  Rugby  was  affected  by  the  growing 

influence  of  commercialism  and  television.  The  development  (and  success)  of  World  Cup 

competitions  was  a  particular  spur  to  the  enormous  growth  of  Rugby  football  in  the  decades 

leading into the 21st century. In Rugby league, television became crucial to the wider promotion 

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Flavio Prota III C 

 

   

of  the  game. Despite  professionalization,  at  grassroots  levels  Rugby  retains  a  strong  social  and 

cultural atmosphere where play on the  field  is only a part of  the experience. Rugby players are 

notorious for heavy drinking and singing sessions, particularly when on tour. Moreover, in Rugby‐

playing countries, success on the field often translates into success in professional life, as Rugby 

clubs and associations form the basis for strong local, national, and international social networks. 

To adherents Rugby is known as “the game they play in heaven,” or “the greatest game” 

 

 

The Six Nations Championship 

The  Six Nations  Championship  is  an 

annual  international  Rugby  union 

competition  between  the  teams  of 

England,  France,  Ireland,  Italy, 

Scotland  and  Wales.  The  current 

champions  are  England,  having  won 

the  2017  tournament.  The  Six 

Nations  is  the  successor  to  the  Home  Nations  Championship,  played  between  teams  from 

England, Ireland, Scotland and Wales, which was the first international Rugby union tournament. 

With the addition of France, this became the Five Nations Championship, which in turn became 

the  Six Nations Championship with  the  addition of  Italy  (2000).  The winners of  the  Six Nations 

Championship are sometimes unofficially referred to in the media as the European Champions or 

Northern Hemisphere Champions. 

England  hold  the  record  for  outright  wins  of  the  Home  Nations,  Five  Nations  and  Six  Nations 

tournaments, with 28 titles, although Wales follow closely with 26 outright wins with the addition 

of 12  shared victories  to England's 10.  Since  the Six Nations era  started  in 2000, only  Italy and 

Scotland have failed to win the Six Nations title, although Scotland were the last outright winners 

of the Five Nations. 

Played  annually,  the  format  of  the  Championship  is  simple:  each  team plays  every  other  team 

once, with home ground advantage alternating from one year to the next.  If a team wins all  its 

games, they are said to have won a  'Grand Slam'. Also, the team that finishes at the bottom of 

the league table is said to have "won" the Wooden Spoon, although no actual trophy is given to 

the team. A team which has lost all five matches is said to have been “whitewashed”. Since the 

inaugural  Six Nations  tournament  in 2000, only England and  Ireland have avoided  the Wooden 

Spoon award. Unfortunately, Italy are the holders of the most Wooden Spoon awards in the Six 

Nations era with eleven, and have been whitewashed six times. 

 

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Flavio Prota III C 

 

   

LA SOCIETÀ INGLESE DELL’800 E LA DIFFUSIONE DEL RUGBY NEL MONDO 

 

Il Colonialismo britannico 

Il  Rugby  nasce  in  Inghilterra  nel  periodo  della 

rivoluzione  industriale  che  si  sviluppò  dopo 

l’introduzione  della macchina  a  vapore  (1789)  e  che 

riguardava  soprattutto  il  settore  tessile  e 

metallurgico,  ma  che  comportò  una  rapida 

evoluzione di  tutta  la  società  inglese con  lo  sviluppo 

di  grandi  fabbriche,  con  un  aumento  della 

popolazione, lo spostamento di contadini poveri dalle 

campagne alle città a vivere nelle periferie spesso  in 

condizioni  disumane.  L’Età  Vittoriana  (1837‐1901) 

divenne nota per lo sfruttamento del lavoro minorile 

in  fabbriche,  miniere  e  come  spazzacamini.  Charles 

Dickens,  uno  tra  i  più  grandi  novellisti  dell’età 

vittoriana,  per  esempio,  lavorò  all’età  di  12  anni  in 

una  fabbrica  di  lucidi  da  scarpe,  essendo  la  sua 

famiglia  in  prigione  per  debiti.  La  società  inglese 

evolveva rapidamente anche se intorno al 1860 circa 

la metà dei  bambini  d’età  compresa  tra  5  e  15  anni 

frequentava una scuola. 

La ricerca di mercati e di materie prime come ferro, 

carbone,  lana,  cotone  e  petrolio  da  parte  dell’industria  diede  una  forte  spinta  all’espansione 

verso i paesi extraeuropei. 

Nei  secoli  XVI,  XVII  e  fino  a metà Ottocento  le  spedizioni  navali  di  Spagna,  Portogallo, Olanda, 

Francia e Inghilterra avevano completato le scoperte geografiche e gli scontri tra le flotte avevano 

stabilito  i primati di  Inghilterra   e Francia e portato alla definizione delle zone di  influenza sulle 

nuove terre in Asia, in Africa e in America. 

Ma  con  il  rafforzarsi  delle  economie  europee  si  preparava  un  mutamento  qualitativo  della 

penetrazione occidentale soprattutto  in Asia e  in Africa che passava dal commercio al dominio, 

cioè  ad  un  controllo  direttamente  o  indirettamente  politico  del  mondo,  un  passaggio  dal 

colonialismo  all’imperialismo.  Il  vecchio  colonialismo  degli  esploratori  lasciò  il  posto  ad  una 

spartizione del mondo tra  le grandi potenze del tempo: con la conferenza di Berlino del 1884 si 

diede  il  via  alla  corsa  alle  colonie  e  iniziò  il  periodo  dell’imperialismo  coloniale  sostenuto 

soprattutto  da  Inghilterra  e  Francia.

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Flavio Prota III C 

 

   

La  penetrazione  degli  eserciti  inglesi  nelle  varie  colonie  e  poi  dei  coloni  attratti  dalla  scoperta 

dell’oro, o in cerca di lavoro in seguito alla grande depressione economica successiva al 1870, o a 

causa delle carestie verificatesi in Scozia e in Irlanda, portarono nelle regioni occupate anche la 

cultura inglese e – per quanto ci riguarda ‐ il gioco del Rugby. 

La penetrazione coloniale era sostenuta dall’illusione europea della superiorità politica, culturale 

e biologica della razza bianca. E spesso questo alimentò il razzismo e tensioni tra gli occupanti e i 

nativi, che ebbe evoluzioni diverse nei vari paesi. Con ripercussioni in vari campi, anche in quello 

sportivo e del Rugby che diventò a volte  il  segno dell’integrazione e della pacificazione, a volte 

invece segno di separazione e distinzione razzista.  

Ma l’età dell’imperialismo coloniale tra ‘800 e ‘900 segnò anche la fine dell’eurocentrismo perché 

con lo sviluppo progressivo dei popoli e la conquista dell’indipendenza i nuovi paesi affermarono 

la  loro  identità,  le  loro  istituzioni,  la  loro cultura,  il  loro orgoglio nazionale distinguendosi anche 

nello sport e nel Rugby in particolare. 

 

Il Commonwealth e i dominions 

Oggi  rimangono  tracce  del  vecchio 

imperialismo  inglese  in  una  importante 

istituzione  come  il  “Commonwealth  of 

Nations”  (letteralmente  “bene  comune”). 

L’espressione  fu  impiegata  ufficialmente 

nello  statuto  di  Westminster  del  1931 

definendolo  come  “gruppo  di  comunità  che 

si  autogovernano,  composto  dalla  Gran 

Bretagna e dai Dominions”. 

Il  termine “dominion”  risale al XVII  secolo e 

originariamente  indicava  qualsiasi 

possedimento  oltremare  del  monarca 

britannico.  In  seguito  il  termine  dominion 

cambiò  significati  in  diversi  atti  ufficiali 

indicava  una  delle  comunità  autonome 

dell’Impero Britannico. 

Il Commowealth odierno è una associazione 

libera di 53 stati  indipendenti che sono stati 

sotto il dominio della Gran Bretagna o hanno 

avuto legami con altri paesi associati. Adotta 

come lingua ufficiale  l’inglese  e, dopo tante 

guerre,  contribuisce  all’avanzamento  della 

democrazia,  dei  diritti  umani  e  di  uno 

sviluppo economico e sociale sostenibile. Sua 

Maestà  la  Regina  Elisabetta  II  è  Capo  del 

Commonwealth    ed  è  riconosciuta    come 

“simbolo    della  libera  associazione”  dagli 

appartenenti  all’associazione    stessa.  Fra  le 

altre  cose,  Sua  Maestà  partecipa  ai  Vertici 

biennali ed ai Giochi ogni quattro anni. 

Tra gli stati aderenti oggi al Commonwealth il 

gioco  del  Rugby  si  è  particolarmente 

sviluppato  in  Australia,  Nuova  Zelanda  e 

Sudafrica,  che  nel  campo  del  Rugby  danno 

del filo da torcere alla vecchia Inghilterra. 

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NAZIONI DOVE IL RUGBY E’ SPORT NAZIONALE: IRLANDA, NUOVA ZELANDA 

IRLANDA 

Nella  storia  dell’isola, 

tormentata  da  conflitti 

anche  violenti  tra  nord  e 

sud, è significativo che uno 

sport  di  combattimento 

come  il  Rugby  riesca  ad 

unire tutti gli irlandesi in un 

solo spirito sportivo. 

L’Irlanda è un’isola divisa in 

due parti: l’Irlanda del Nord 

(1,7  milioni  di  abitanti, 

capitale  Belfast)  che  è  una 

delle  4  nazioni  del  Regno 

Unito  e  la  Repubblica 

indipendente di Irlanda (dal 

1937)  4,2  milioni  di 

abitanti,  capitale  Dublino. 

La  Repubblica  Irlandese  o 

Eire (nome derivato da una 

divinità  E’riu  che  aiutò  i 

gaelici  nella  conquista 

dell’isola) ha  sempre avuto 

un forte spirito autonomista: fino al 1922 l’Irlanda faceva parte del Regno Unito, ma ci fu sempre 

un forte movimento indipendentista. 

Nel 1919 i parlamentari Irlandesi del partito indipendentista (Sinn Fein) rifiutarono di sedere nel 

parlamento  Inglese  e  formarono  un  governo  irlandese  autonomo.  Scoppiò  un’aspra  guerra  di 

indipendenza  che  durò  fino  al  1921  quando  fu  negoziato  un  trattato  che  stabilì  la  divisione  in 

Irlanda  del  Nord  (protestante,  sotto  il  Regno  Unito)  e  l’Irlanda  del  Sud,  cattolica,  con  un 

parlamento  indipendente,   ma facente parte come “dominion” del Commonwealth britannico e 

quindi con il riconoscimento del Re d’Inghilterra come capo formale dello stato. Successivamente, 

con la Costituzione del 1937 e un atto del parlamento del 1949  la Repubblica Irlandese si staccò 

definitivamente dall’Inghilterra e dal Commonwealth. 

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Flavio Prota III C 

 

 

 

La divisione dell’Irlanda continuò a produrre 

tensioni  nel  Nord  dove  la  maggioranza 

protestante  (discendente  da  coloni  inglesi) 

voleva restare unita all’Inghilterra, mentre la 

minoranza  cattolica,  discendente  dagli 

antichi  irlandesi,  voleva  l’indipendenza.  Nel 

1970  iniziò  una  guerriglia  del  movimento 

indipendentista  IRA  contro  la  polizia  e 

l’esercito  inglese.  Ci  furono  tensioni 

violentissime  che  culminarono  nella  strage 

compiuta  dai  paracadutisti  inglesi  contro  i 

manifestanti  cattolici  il  30  gennaio  1972 nel 

“Bloody  Sunday”  che  fece  14 morti  e molti 

feriti.

L’Irlanda del Nord non 

ha  una  propria 

bandiera  e  non  ha  un 

inno nazionale, mentre 

l’Irlanda  del  sud  ha  il 

tricolore  (verde, 

bianco  e  arancio).  Le 

due Irlande sono divise 

in  tutto,  ma  non  nel 

Rugby:  dal  1875  c’è 

una unica nazionale, con un unico simbolo (il 

trifoglio  verde)  e  un  unico  inno  composto 

appositamente nel 1995 (“Ireland’s Call”) che 

viene cantato  insieme da  tutti  gli  spettatori, 

senza  distinzione  di  nazionalità.  Con  il 

passare  degli  anni  il  gioco  del  Rugby  è 

diventato  segno  di  ricomposizione  di  un 

popolo lacerato da conflitti sanguinosi.  

 

Il Territorio 

Il territorio dell'isola presenta al centro una vasta e uniforme pianura, rialzata ai bordi da rilievi di 

modesta  altezza.  Essi  non  costituiscono  un  profilo  continuo  e  compatto,  perchè  in  ampi  tratti 

consentono alla pianura di giungere fino al mare. La cima più alta dell'isola supera di poco i 1000 

metri,  altre  catene  di  una  certa  rilevanza  sono  a  est  i  Monti  Wicklow,  e  a  nord  i  rilievi  del 

Donegali. Le coste sono basse, lineari e compatte dove la pianura giunge fino al mare, mentre sul 

versante occidentale dell'isola sono alte, rocciose e articolate. In molti tratti sono contornate da 

piccole  isole;  le  maggiori  delle  quali  formano  le  Issole  Aran,  situate  di  fronte  alla  costa 

occidentale,  al  largo  della  Baia  di  Galway.  I  fiumi  sono  numerosi,  caratterizzati  da  un  corso 

piuttosto breve e da un regime regolare, assicurato dalla omogenea distribuzione delle piogge nel 

corso  dell'anno.  Il  fiume  principale  è  lo  Shannon,  che  attraversa  l'intera  isola  e  sfocia 

nell'Atlantico,  sulla  costa  occidentale,  con  un  profondo  estuario.  Spesso  i  fiumi  si  espandono, 

riempiendo depressioni glaciali, e danno origine ai bacini  lacustri,  tipici del territorio  irlandese,  i 

più estesi sono il Lough Corrib, il Lough Derg e il Lough Ree. L'isola è caratterizzata da un clima di 

tipo oceanico, con inverni miti ed estati fresche; le precipitazioni sono abbondanti e distribuite in 

tutto l'arco dell'anno. 

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Flavio Prota III C 

 

 

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NUOVA ZELANDA 

La Nuova Zelanda è uno stato 

dell’Oceania  formato  da  due 

isole principali  (Isola del Nord 

e  Isola  del  Sud)  e  da 

numerose  isole minori.  Conta 

oggi circa 4 milioni di abitanti, 

l’82% dei quali sono bianchi di 

origine  inglese e scozzese e il 

14%  maori;  la  capitale  è 

Wellington. 

I  primi  insediamenti  umani 

risalgono  a  popolazioni 

polinesiane  che  vi  si 

insediarono  tra  il  1000  e  il 

1.300  dc.  I  primi  europei  a 

visitare  l’arcipelago  furono  gli  olandesi  con  una  spedizione  guidata  da Abel  Tasman  nel  1642, 

molti membri della spedizione olandese  furono uccisi dai maori. Ma fu dopo  il viaggio di  James 

Cook  (1768‐1771) e  il  suo  sbarco  in Nuova Zelanda nel 1769  che che  si  aprirono  i  rapporti  con 

queste isole. Il governo britannico, contrastando le mire espansionistiche francesi riuscì a imporre 

la  sovranità britannica e dal 1788 al 1840  la Nuova Zelanda  fece  formalmente parte del Nuovo 

Galles  del  Sud,  uno  stato  fondato  dagli  inglesi  nel  1788  nella  parte  orientale  del  continente 

australiano. 

A  partire  dal  1840  consistenti  ondate  di  coloni  europei  giunsero  in  Nuova  Zelanda.  Nel  1854 

venne insediato il primo parlamento neozelandese che conquistò una progressiva autonomia dal 

Regno Unito. I maori, inizialmente, si mostrarono desiderosi di commerciare con con i bianchi e, 

proprio  grazie  a  questo  tipo  di  attività,  diverse  tribù  riuscirono    ad  arricchirsi.  La  situazione 

cominciò  però  a  peggiorare  quando,  di  fronte  alla  crescita  degli  insediamenti  dei  bianchi 

(stimolata dalla scoperta dell’oro, avvenuta nel 1861), i maori cominciarono a temere di perdere il 

controllo della  loro  terra.  Tali  contrasti  portarono alle  cosiddette  guerre maori,  combattute  tra 

negli  anni  ‘60  e  ‘70  dell’Ottocento. Ma  in  seguito  i  contrasti  si  attenuarono  e  i  governi  che  si 

succedettero diedero alla Nuova Zelanda una delle più avanzate legislazioni sociali del tempo. 

Nel 1893 la Nuova Zelanda si distinse come il primo paese al mondo a riconoscere il diritto di voto 

alle donne. Nei decenni successivi la Nuova Zelanda restò sempre un membro fedele dell’Impero 

Britannico partecipando con propri contingenti alle guerre degli  inglesi, come la seconda guerra 

boera in Sudafrica. 

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Flavio Prota III C 

 

   

Nel  1907  acquisì  lo  status  di  “dominion”  e  divenne  completamente  indipendente  dalla  Gran 

Bretagna nel 1947. Dopo la seconda guerra mondiale i maori intensificarono i  loro trasferimenti 

verso le città in cerca di occupazione e ci fu un risveglio della loro cultura originaria. 

 

Territorio 

La Nuova Zelanda, situata agli antipodi dell’Italia, è situata circa 2.000 km a sud dell’Australia, e 

rappresenta la seconda isola dell’Oceania per estensione e per importanza economica. E’ bagnata 

a est dall’Oceano Pacifico e ad ovest dal Mar di Tasmania. Il suo territorio è estremamente vario e 

presenta numerose attrazioni come spiagge, foreste, montagne, vulcani, laghi e fiumi. 

La principale catena montuosa è quella delle Alpi Neozelandesi, situate nell’Isola del sud, dove si 

trova la maggiore vetta del paese, il Monte Cook, che è alto oltre 3.700 m. Nell’Isola del nord si 

trovano invece numerosi geyser e vulcani ancora attivi. La Nuova Zelanda ha inoltre molti fiumi 

(tra cui il più lungo è il Waikato) e laghi (il maggiore è il Taupo). La maggiore attrazione turistica 

del paese è rappresentata appunto dalle bellezze naturalistiche, infatti la Nuova Zelanda vanta un 

grande  patrimonio  forestale  ed  animale,  custodito  gelosamente  nei  numerosi  parchi  nazionali, 

come il Monte Cook National Park, aree protette e parchi marittimi.  

La flora è estremamente varia e presenta molte specie autoctone come il weta gigante, il kauri , il 

tuatara  e  il  kukapo,  accanto  a  vaste  foreste  e  ad  una  vasta  gamma  di  fiori.  Tra  gli  animali  si 

ricordano il koala, il moa, il kiwi e i cervi, gli animali da allevamento e numerose razze di uccelli. 

Discorso a parte meritano gli abitanti del mare, la Nuova Zelanda ospita infatti nelle sue pescose 

acque  numerose  specie  di  pesci  come  tonni,  squali, delfini  e balene.  La Nuova  Zelanda  ha  un 

clima  caratterizzato  stagioni  opposte  rispetto  all’Italia,  caratterizzate  da  estati  calde  ma  non 

afose,  sicuramente  il  periodo migliore  per  visitare  il  paese,  ed  inverni  freddi  e  piovosi.  Il  clima 

varia inoltre in funzione della latitudine e dell’altezza, ad esempio la zona delle Alpi Neozelandesi 

ha inverni decisamente rigidi ed estati brevi. 

All Blacks 

A differenza di quanto avvenne in Sudafrica, per il tipo 

di  sviluppo  e  le  politiche  sociali  condotte,  i  maori  si 

integrarono  nella  società  e  quindi  anche  nello  sport, 

introducendo  in particolare nel  gioco del Rugby gran 

parte del loro spirito.  

La  diffusione  del  Rugby  in  Nuova  Zelanda  va  di  pari 

passo  con  l’emigrazione  inglese  e  scozzese  e  si 

intreccia  con  le  vicende  storiche.  La  prima  gara 

internazionale  risale  al  1884  con  il  Nuovo  Galles  del 

Sud, e il primo test match risale al 1903.  

 

Nel  1905  la  Nuova 

Zelanda  disputò  la 

prima  tournèe 

nell’emisfero  nord  nel 

1905 e  si presentarono  

con  una  divisa  tutta 

nera,  con  una  felce 

argentata,  e  da  allora 

nacque  il  soprannome  “All  Blacks”  divenuti  famosi, 

negli anni, per le loro vittorie e per il rituale dell’Haka, 

che  rappresenta  un  vero  e  proprio  inno  di  identità 

nazionale.

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IL RUGBY: UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ 

Flavio Prota III C 

 

   

Haka  ‐  Tradizione  e  orgoglio  di  un 

popolo 

La Haka è quella danza rituale che i giocatori 

della  nazionale  Neozelandese,  gli  All  Blacks, 

eseguono  prima di ogni partita, dopo gli inni 

ufficiali. Girano molte  informazioni  sbagliate 

su  quella  che  comunemente  è  considerata 

una danza di guerra. In realtà il termine haka 

significa  semplicemente  ‘danza’,  e  non 

‘danza  di  guerra’.  Fu  eseguita  per  la  prima 

volta dalla squadra nazionale dei Nativi della 

Nuova  Zelanda  (New  Zeland  Native  Team) 

nel  tour  in  Inghilterra  nel  1888‐89. 

Evidentemente  impressionò  moltissimo,  al 

punto che venne scambiata proprio per una 

danza di guerra. È proprio in quell’occasione 

che  si  pensa  che,  tra  le  tante  haka  della 

tradizione   maori,  sia  stata  eseguita  proprio 

la  ka  mate,ossia  la  danza  che  gli  All  Blacks 

fanno ancora oggi. 

Secondo  la  leggenda  è  stata  composta 

intorno  al  1820  dal  Re  Te  Rauparaha,  capo 

della  tribù  degli  Ngati  Toa.  Narra  della 

rocambolesca  fuga dai nemici lanciati al suo 

inseguimento,  nel  corso  del  quale,  per 

salvarsi  la  vita,  si  nascose  nel  fondo  di  un 

pozzo,  da  cui  poi  riemerse  sano  e  salvo.

 

Prima  della  haka  colui  che  la  conduce,  di  discendenza  maori,  ricorda  ai  suoi  il  giusto 

atteggiamento da tenere, urlando le seguenti parole: 

Ringa pakia Uma tiraha Turi whatia Hope whai ake 

Waewae takahia kia kino 

Batti le mani sulle coscie 

Sbuffa col petto, Fletti le ginocchia 

Lascia che i fianchi le vadano dietro 

Batti i piedi più forte che puoi 

 

Al termine di questa incitazione inizia la vera e propria haka che nel Rugby è appunto la ka mate: 

3Ka mate! Ka mate! Ka ora! Ka ora! Ka mate! Ka mate! Ka ora! Ka ora! 

Tenei te tangata puhuru huru Nana nei i tiki mai Whakawhiti te ra 

A upa..ne! ka upa..ne! A upane kaupane whiti te era! Hi! 

Io muoio! Io muoio! Io vivo! Io vivo! Io muoio! Io muoio! Io vivo! Io vivo! Questo è l’uomo  peloso 

Che ha convinto il sole 

A splendere ancora 

Un passo… in su! Altro passo… in su! Un passo in su, un altro Il Sole splende! Hi!  

 

 

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Flavio Prota III C 

 

   

GLI INNI NAZIONALI: TESTI E MUSICHE CHE FANNO RISORGERE I POPOLI 

Il concetto moderno di inno nazionale è legato a quello di “nazione” che si afferma nella seconda 

metà del Settecento e che nasce dal rivolgimento politico e sociale determinato dalla Rivoluzione 

francese.  Nel  nuovo  contesto,  l’inno  nazionale  esprime  simbolicamente  l’unità  di  un  popolo 

raccolto attorno a una bandiera e teoricamente manifesta in musica le caratteristiche, la storia, la 

cultura, i sentimenti, la cultura di una comunità di cittadini. Questo tipo di musica viene eseguito 

nei momenti di maggiore solennità, dedicato a mettere in scena lo spirito e l’orgoglio patriottico 

di  una  nazione;  pertanto,  ci  si  aspetterebbe  di  sentire  delle  differenze  musicali  notevoli  e 

rappresentative della tradizione nazionale. Al contrario, colpisce il fatto che le musiche degli inni 

nazionali sembrino incredibilmente tutte uguali. Per esempio, anche gli  inni di composizione più 

recente,  creati  o  adottati  dalle  nazioni  africane  e  asiatiche  post‐coloniali,  suonano 

paradossalmente  simili  a  quelli  che  siamo  abituati  ad  ascoltare  da  secoli.  Sebbene  gli  inni 

nazionali facciano parte di generi diversi, come marce, fanfare, in pratica sono eseguiti secondo le 

stesse modalità per produrre un alto grado di omogeneità, usando per esempio insiemi di ottoni e 

percussioni al fine di dare rilievo alla solennità.  

Rimane  affascinante  la  storia  di  questo  genere  musicale  che  segue  di  pari  passo  quella  del 

nazionalismo:  partendo  nel  XVIII  secolo  con  l’Illuminismo,  proseguendo  con  il  Nazionalismo 

romantico del XIX secolo (soprattutto in Europa e in America Latina) e con l’espansione coloniale 

tra  la fine dell’Ottocento e  la Prima Guerra Mondiale, giungendo alla fase post‐coloniale che va 

dalla seconda metà del Novecento fino ad oggi 

 

 

Inno  di  Mameli,  un  canto  per  il  Risorgimento 

Italiano 

Il suo titolo è Canto degli Italiani, ma è conosciuto da 

tutti  come  Inno  di  Mameli.  L’inno  nazionale  d’Italia 

deve  la  sua  nascita  ad  uno  studente  ed  entusiasta 

patriota  appena  ventenne  di  Genova,  Goffredo 

Mameli. Il testo venne composto nel 1847 con il titolo 

“Fratelli  d’Italia“,  proprio  le  prime  parole  del  testo. 

Successivamente, a Torino, Michele Novaro, anche lui 

genovese,  trasformò  in  musica  le  parole  scritte, 

componendo la melodia che oggi tutti conosciamo.  

L’Inno  di  Mameli  è  stato  realizzato  in  pieno  clima 

risorgimentale,  in  perfetto  stile  patriottico:  l’Italia 

cominciava la dura battaglia che di lì a poco l’avrebbe 

condotta  nel  1860  alla  definitiva  unificazione.  Anche 

l’autore dell’Inno, Goffredo Mameli, era un giovane e 

fervente  patriota  che  aveva  combattuto  a  fianco  di 

Garibaldi. Mameli,  in uno scontro con i francesi, morì 

per  la  ferita  ad  una  gamba,  a  22  anni  non  ancora 

compiuti. Goffredo Mameli aveva scritto la poesia che 

poi  sarebbe  diventata  Inno  nazionale  in  maniera 

spontanea,  appassionata,  ed  infatti  il  suo 

componimento  fu  subito  considerato  il  più  adatto  a 

rappresentare  l’Italia  del  Risorgimento,  fervente  e 

avida di libertà.  

Negli  anni  del  Fascismo  “Il  canto  degli  italiani”  fu 

messo  un  po’  da  parte:  i  fascisti  preferivano  che  si 

intonassero  le  marce  da  loro  realizzate.  Solo 

nell’ottobre  del  1946  l’inno  di  Mameli  fu  dichiarato 

ufficialmente  Inno  nazionale  “provvisorio”  della 

Repubblica  italiana  e,  curiosamente,  per  quanto  la 

melodia  sia  ormai  famosa  e  apprezzata  in  tutto  il 

mondo,  l’inno  “Fratelli  d’Italia”  è  ancora  considerato 

tale 

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Flavio Prota III C 

 

   

LA LETTERATURA ITALIANA NEL PERIODO POST RISORGIMENTALE 

ITALO SVEVO (1861‐1928) 

 

Vita e opere 

Oltre che uno dei nostri più autorevoli romanzieri di statura europea, Italo Svevo è il capostipite 

di  quella  letteratura  triestina  che  fu  straordinariamente  feconda  nell’Italia  di  fine  Ottocento  e 

inizio  Novecento.  Aron  Hector  Schmitz  ‐  poi  noto  con  lo  pseudonimo  di  Italo  Svevo  ‐  nasce  a 

Trieste  il 19 dicembre 1861. Dopo aver  lavorato alla Unionbank triestina dal 1881, Svevo sposa 

nel  1896  Livia  Veneziani  ed  entra  nella  fabbrica  di  vernici  sottomarine  del  suocero  nel  1899, 

iniziando una carriera di industriale che lo porterà in molti paesi europei. Nel frattempo pubblica, 

a sue spese, il romanzo, “Senilità”, ignorato dalla critica. Il romanzo più famoso è, “La coscienza di 

Zeno”, il dato nuovo rispetto alla produzione precedente è costituito dal riferimento all’indagine 

psicoanalitica freudiana. La celebrità giunge molto tardi e la fama è purtroppo assaporata solo per 

breve tempo da Svevo: il 13 settembre 1928 fu stroncato da un incidente d’auto. 

 

Le influenze di Darwin  

Svevo  risente  dell'influenza  delle  correnti  filosofiche  e  culturali  del  tempo,  in  particolare  è 

fondamentale l’influenza di Darwin, da cui derivano il concetto di lotta per l’esistenza, l’interesse 

per le leggi della selezione naturale e l’idea centrale dell’inettitudine dell’uomo, che Svevo vede, 

con radicale pessimismo, inevitabilmente costretto a una ricerca senza sbocchi e senza speranza. 

Le  teorie  di  Darwin  sono  per  Svevo  il  modello  per  l’interpretazione  dei  rapporti  tra  singolo  e 

società anche attraverso la ripresa del “darwinismo sociale  

Ne “La coscienza di Zeno” uno dei personaggi, Guido, dopo aver perso ingenti somme di denaro a 

causa di investimenti sbagliati in Borsa, inizia a lamentarsi con Zeno (il protagonista del romanzo) 

del suo stato, che lo rende a suo dire “l’essere più disgraziato al mondo”. Zeno non accetta questa 

definizione, si rifiuta di provare compassione per il suo amico caduto in disgrazia e inizia la breve 

riflessione sulla capacità degli esseri viventi, e soprattutto degli uomini, di lamentarsi senza scopo 

della propria condizione.  

Dopo la separazione degli elementi e la creazione degli organismi Dio aveva donato l’anima a tutti 

gli esseri viventi. Lentamente l’anima morì negli animali, che non provarono più il malcontento e 

si adattarono a  lottare per  la conservazione e  la procreazione. Negli uomini  invece  l’anima non 

morì.  L’uomo aveva  solo  le mani e  le gambe,  tuttavia era “male armato” per  sopravvivere  solo 

con  il  suo  fisico  alla  selezione  della  natura.  Non  era  come  certi  animali  che  hanno  sviluppato 

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Flavio Prota III C 

 

   

zanne, artigli e corna sul proprio corpo per difendersi e attaccare, come gli uccelli che per sfuggire 

ai predatori hanno imparato a volare, o agli altri animali che hanno sviluppato una folta pelliccia 

per difendersi dal freddo. Questa capacità di adattamento dell’organismo sviluppata dagli animali 

ha permesso loro, sempre secondo la favola di Svevo, di lasciare morire l’anima, e di conseguenza 

ogni  sentimento  di  insofferenza.  E  a  Svevo  viene  ovviamente  da  chiedersi  come  l’uomo  abbia 

potuto  sopravvivere  in  uno  stato  di  evidente  inferiorità  rispetto  agli  altri  esseri  viventi,  nudo e 

senza  la  possibilità  fisica  di  attaccare  o  difendersi.  Svevo  individua  proprio  nel  malcontento 

dell’anima  ciò  che  ha  spinto  l’uomo  a  sopravvivere  nonostante  il  suo  stato.  Svevo  riconosce 

insomma  nel  malcontento  umano  uno  stimolo  a  progredire.  Questo  conferma  l’idea  di  come 

Svevo  in  realtà  abbia  rielaborato  le  teorie  darwiniane  a  tal  punto  da  discostarsi  da  esse: 

sopravvissuto  per  caso,  l’uomo  inaugura  un’altra  fase  della  sua  esistenza  nel  momento  in  cui 

scopre la capacità di  influire nel mondo circostante attraverso la tecnica, cosa che lo differenzia 

radicalmente da tutti gli altri esseri viventi. Non più teso al perfezionamento dell’organismo, egli 

si prodiga nella creazione di “ordigni” (Svevo utilizzerà spesso questo termine per definire i mezzi 

tecnici creati dall’uomo, o qualsiasi cosa integrata nel corpo umano ma biologicamente estranea) 

posti al di fuori di sé, bloccando in questo modo lo sviluppo di nuove caratteristiche fisiche. 

Costruendo i suoi “ordigni” l’uomo arrestò la propria evoluzione. Lo sviluppo della tecnica, quindi, 

avviene a discapito dell’evoluzione umana, e nella lotta per la supremazia tra l’uomo e la tecnica, 

l’uomo preferisce, per pigrizia, debolezza, o forse per furbizia, lasciare che la tecnica si sviluppi al 

posto suo. 

E’  incredibile  leggere  nelle  sue  parole  una  profezia  che  per  fortuna  non  si  è  ancora  avverata, 

nonostante  le  minacce  che  USA  e  URSS  si  scambiarono  durante  la  Guerra  Fredda,  nel 

quarantennio  1950‐1990,  quando  lo  sviluppo  della  tecnologia  nucleare  apparve  come  ultimo 

passo verso l’estinzione definitiva della nostra specie: 

(…) Quando  i  gas  velenosi  non  basteranno  più,  un  uomo  fatto  come  tutti  gli  altri,  nel 

segreto di una stanza di questo mondo, inventerà un esplosivo incomparabile, in confronto 

al quale gli esplosivi attualmente esistenti saranno considerati quali  innocui giocattoli. Ed 

un altro uomo fatto anche lui come tutti gli altri ruberà tale esplosivo e s’arrampicherà al 

centro della  terra per porlo nel punto ove  il  suo effetto potrà essere  il massimo. Ci  sarà 

un’esplosione enorme che nessuno udrà e la terra ritornata alla forma di nebulosa errerà 

nei cieli priva di ogni essere umano.  

 

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Flavio Prota III C 

 

   

 

CHARLES DARWIN: TEORIA DELL'EVOLUZIONE 

 

Charles Darwin nasce nel 1809 a Shrewsbury, in  Inghilterra,  da  una  famiglia  agiata  di tradizioni  liberali.  Suo  nonno  era  stato  un noto  medico  e  aveva  sostenuto  teorie originali in campo biologico. Il giovane Charles viene  inviato  prima  a  studiare  medicina  a Edimburgo,  poi  pensa  di  intraprendere  la carriera  ecclesiastica  e  studia  teologia  a Cambridge, dove però scopre  la passione per lo studio delle scienze naturali.  

Agli  inizi  dell'Ottocento,  come  già  detto, serpeggiava  una  grande  curiosità  verso  la 

natura  e  le  forme  di  vita  più  caratteristiche  (specialmente  quelle  esotiche  ),  pertanto  non  era insolito che durante  i grandi viaggi di colonizzazione o  le spedizioni degli esploratori del  tempo, alcuni studiosi affiancassero gli equipaggi per osservare le stranezze naturali di posti molto lontani da casa.  

Ecco perché Darwin nel 1831 prese parte alla spedizione della nave Beagle come naturalista senza stipendio.  Rimane  imbarcato per  cinque  anni,  compiendo un  gran  numero di  osservazioni  sulla flora, la fauna e le formazioni geologiche di terre molto diverse e lontane fra loro.  

Al  suo  ritorno, Darwin aveva  taccuini e  libri pieni di  appunti di  infinite  forme di  vita vegetale e animale;  in  particolare  era  stato  incuriosito  dalle  particolari  specie  che  abitavano  l'arcipelago delle  Galapagos,  al  largo  dell'Ecuador  (iguane,  tartarughe  e,  soprattutto,  uccelil).  Cinque  anni dopo il suo ritorno, nel 1839, pubblica un resoconto di quest'avventura con il titolo “Viaggio di un naturalista intorno al mondo”e ricava dalle sue osservazioni molte pubblicazioni scientifiche che gli assicurano una notevole fama. Dal 1842 si ritira nel Kent per elaborare metodicamente tutte le informazioni,  raccolte  nei  suoi  taccuini  di  viaggio,  sulle  differenze  presenti  nelle  varie  specie; quelle  riscontrate,  a  esempio,  tra  i  famosi  fringuelli  delle  isole  Galàpagos  gli  permettono  di formulare la teoria dell'evoluzione delle specie viventi, resa pubblica nel 1859, con il suo libro più famoso:  “Sull'origine  delle  specie”  La  prima  edizione  si  esaurisce  in  un  solo  giorno  e  l'opera suscita,  allo  stesso  tempo,  reazioni di entusiasmo o di  violenta opposizione. Darwin pubblica  in seguito  altre  opere  per  precisare  meglio  le  sue  concezioni  evoluzionistiche  e  la  teoria  della selezione naturale. Muore a Down nel 1882.  

L’Evoluzionismo 

L’idea principale che si pone a Darwin è quello dell'enorme varietà di caratteristiche diverse che si presentano  all'interno  di  ciascuna  specie,  come  ha  ben  constatato  alle  isole  Galàpagos:  nelle diverse  isole  vivono  specie  notevolmente  differenti  di  fringuelli  che  originariamente  dovevano essere derivati da una specie comune. Dalla considerazione di casi come questo, Darwin 

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Flavio Prota III C 

 

   

comprende  che  certi  fenomeni  si  possono  spiegare  soltanto  se  si  considera  la  specie  animale come  il  risultato di  una  serie  continua di  trasformazioni  e  di  adattamenti. Già  in  precedenza  si erano  sostenute  teorie  sull'evoluzione delle  specie animali e  vegetali, ma  l'originalità di Darwin consiste nell'introduzione di alcuni concetti innovativi.  

In primo luogo egli dà una grande importanza, anche positiva, al concetto (peraltro già accettato dai biologi) di "lotta per l'esistenza", affermando che essa porta alla selezione di quegli individui che presentano caratteristiche più adatte all'ambiente in cui vivono. Egli applica quindi al mondo naturale  i  concetti  che  aveva  già  studiato  nell'ambito  della  selezione  artificiale  delle  razze  di animali  domestici.  I  cambiamenti  evolutivi  delle  varie  specie  sono  dovuti  al  meccanismo  della selezione  naturale,  che  si  applica  sui  diversi  caratteri  che  gli  individui  presentano.  Darwin introduce anche il concetto di variazione casuale, secondo cui i caratteri di una specie cambiano perché  fra  i  singoli  individui  appaiono,  casualmente,  delle  variazioni:  sono  queste  variazioni  a essere selezionate dall'ambiente che lascia sopravvivere le più adatte e sopprime quelle che non portano vantaggio alla vita della specie.  

Nei campioni di animali e vegetali che Darwin riportò  dai  suoi  viaggi,  il  naturalista  osservò forti somiglianze tra i fossili e le forme viventi di una stessa area  ,  in particolare per ciò che riguardava  le  tartarughe  e  gli  uccelli  delle Isole  Galapagos.   Partendo  da  questa intuizione,  Darwin   notò  che  in  ogni popolazione ci sono delle differenze tra  i vari organismi,  e  che  alcune  di  esse  sono ereditabili  e  consentono  agli  individui portatori di generare più discendenti di altri.  Questo concetto di " variazione " tra le specie, portò  Darwin  a  sostenere  che  i  mutamenti ereditari  favorevoli  allo  sviluppo  e  alla  vita dell'animale     in  questione   (ovvero  quelle caratteristiche  che  lo  aiutano  nella  riproduzione  o  nel  procurarsi  il  cibo)  tendono  a  diventare sempre più frequenti nel corso delle generazioni . 

Darwin chiama questo processo "selezione naturale" e  ‐ secondo tale teoria  ‐ non è  il più  forte quello che prospera nelle generazione, ma quello che che si adatta meglio al suo ambiente .  

Dopo  ulteriori  approfondimenti,  la  conclusione  strabiliante  fu  che  tutti  gli  esseri  viventi,  uomo compreso,  sono  sottoposti,  nel  succedersi  delle  generazioni,  a  lenti  ma  continui  cambiamenti, chiamati evoluzione. Con questa teoria, spiegata ne "L'Origine della specie" , pubblicato nel 1859, Darwin affermò che ogni forma di vita è soggetta ad una lenta ma graduale trasformazione della propria specie. 

Queste idee, che troveranno riscontro decenni dopo con le teorie sull'ereditarietà di Mendel e la scoperta  della  genetica,  modificarono  profondamente  la  prospettiva  della  scienza  dello  studio della natura, che da quel giorno non sarà più la stessa. 

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LA PREMIERE GUERRE MONDIALE: LA FRANCE DEVIENT LA PREMIERE PUISSANCE 

POLITIQUE ET MILITAIRE DE L’EUROPE 

 

 

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RUGBY E AVANGUARDIA CUBISTA 

“LES JOUEURS DE FOOT‐BALL” DI ALBERT GLEIZES 

 

Albert  Gleizes  (Parigi,  8  dicembre  1881  – 

Avignone,  24  giugno  1953)  fu  un  esponente 

del cubismo, il movimento d’avanguardia che, 

alla  fine  del  primo  decennio  del  Novecento, 

segnò  una  svolta  radicale  nell’arte  europea. 

Riassumiamo  brevemente  le  sue 

caratteristiche. 

 

Dal  Rinascimento  all’Ottocento  la  pittura 

occidentale  è  stata  soprattutto 

“naturalistica”,  ossia  basata  sugli  stessi 

meccanismi  della  visione  ottica.  I  pittori 

usavano  un  linguaggio  figurativo  che 

riproduceva  la  realtà  così  come  essa  appare 

sia  quando  imitavano  la  realtà  (in  ritratti, 

paesaggi,  scene  di  vita  quotidiana,  episodi 

storici,  ecc.),  sia  quando  inventavano  scene 

fantastiche con esseri  soprannaturali. Nella Parigi della  fine del primo decennio del Novecento, 

Pablo  Picasso  e  Georges  Braque  ruppero  l’unità  tridimensionale  degli  oggetti  e  combinarono 

diversi frammenti di realtà in una autonoma architettura di forme, totalmente indipendente dalla 

passiva  imitazione del mondo esterno.  In sostanza, con Picasso e Braque  la pittura divenne una 

creazione libera, dotata di una propria, autonoma  bellezza. 

 

Cosa vuol dire moltiplicare i punti di vista? E 

rompere  l’unita  tridimensionale  degli 

oggetti? Prendiamo, ad esempio, un normale 

dado  da  gioco.  Tutti  sappiamo  che  ha  sei 

facciate numerate da uno a sei 

Cosa  succederebbe  se  volessimo  dipingerlo 

seguendo  la  prospettiva  tradizionale  con 

punto di  vista  unico? Nella  realtà,  possiamo 

vedere  solo  tre  lati  di  un  dado 

contemporaneamente.  Pertanto,  se 

seguissimo  la  comune 

esperienza  visiva, 

avremmo 

un’immagine  come 

questa. 

 

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Però  noi 

sappiamo  che  il 

dado  ha  sei  lati; 

se  volessimo 

raffigurarne 

quattro, cinque o 

tutti  e  sei 

dovremmo 

“spezzare”  la  sua  tridimensionalità  e 

dipingere  diversi  pezzi  di  dado  osservati  in 

momenti  differenti.  Braque e Picasso hanno 

applicato  tale  analisi  non  solo  a  un  singolo 

oggetto,  ma  anche  a  tutto  ciò  che  lo 

circonda.  Nei  loro  quadri  hanno  combinato 

liberamente  frammenti  di  realtà  e  hanno 

cercato  una  bellezza  totalmente  artistica, 

ossia  basata  solo  sulla  loro  sensibilità  e  la 

loro  intuizione.  Si  veda,  ad  esempio,  il 

Ritratto  di Wilhelm Uhde  di  Picasso:  cose  e 

persone  sono  scomposti  in  figure 

geometriche,  corrispondenti  a  diversi 

momenti  percettivi,  che  si  intersecano  tra 

loro. La bellezza dei due dipinti dipende dalla 

loro  armonia  interna,  non  più  dall’abilità 

nell’imitare una realtà esterna. 

 

 

La  pittura  aveva  un  valore  intrinseco,  indipendente  dalla  riproduzione  reale  dell’oggetto.  I 

cubisti si chiedevano se non si dovesse rappresentare i fatti come si sa che sono, invece di come 

uno li vede. 

I  quadri  cubisti  sono  difficili  da  interpretare  al  primo 

sguardo perché, come già detto, sono la somma di sguardi 

diversi  avvenuti  in  tempi  differenti:  in  sostanza, 

introducono  nell’arte  la  dimensione  del  tempo.  I  cubisti 

hanno  voluto  coinvolgere  lo  spettatore  nel  processo 

creativo:  chi  osserva  i  loro  quadri,  deve  analizzarli 

attentamente  e,  come  in  un  gioco,  usare  la  fantasia  per 

intuire  il  loro  significato.  Picasso  e  i  primi  cubisti  non  si 

autodefinirono  tali:  la parola  “cubismo”  fu usata da alcuni 

critici  per  descrivere  i  loro  quadri  che,  in  effetti,  hanno 

spesso l’aspetto di un reticolo di figure geometriche. 

Fu solo nel 1911 che nacque un vero e proprio movimento 

cubista.  In  tale  anno,  alcuni  giovani  artisti  influenzati  da 

Picasso  esposero  al  Salon  des  indépendants,  al  Salon  de 

automne e alla mostra organizzata dalla Société des artistes indépendants di Bruxelles dove, per 

la prima volta,  si definirono “cubisti”. Tra  loro c’erano  Jean Metzinger e Albert Gleizes,  che nel 

1912  pubblicarono  il  libro Du cubisme  (Del  cubismo) e divennero, pertanto,  i  teorici del nuovo 

movimento d’avanguardia. 

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Flavio Prota III C 

 

   

 

I  VANTAGGI  DI  UNA  SANA  ALIMENTAZIONE  E  I  LIMITI  DELLA  TECNOLOGIA 

NELL’ALIMENTAZIONE MODERNA 

 

Velocità, forza, potenza e agilità: sono le doti di qualsiasi giocatore di Rugby, esaltate al massimo 

quando si tratta di top player come quelli impegnati nella World Cup.  

Se  il  terzo  tempo  (con  le  relative  bevute  di  birra  post‐partita  per  gli  adulti  e  di  CocaCola  per  i 

ragazzi)  continua  a  essere  una  tradizione  intoccabile  della  palla  ovale,  quando  si  tratta  di 

allenamento, sedute in sala pesi e recupero dopo un match nulla è  lasciato al caso dal punto di 

vista dell'alimentazione e dell'integrazione alimentare. 

Innanzitutto  bisogna  ricordare  che  il  Rugby  è  uno  sport  decisamente  più  complesso  rispetto  a 

tanti altri e il ruolo che ogni giocatore riveste può influire anche nel tipo di caratteristiche fisiche 

richieste. Ad esempio un mediano di mischia ha bisogno di più velocità e agilità, mentre giocatori 

più pesanti come i piloni hanno bisogno di maggior potenza, che si ottiene allenando sia la forza 

che  la  velocità.  Di  sicuro,  però,  non  esistono  cibi  o  diete miracolose  capaci  di  trasformare  un 

giocatore mediocre  in  un  campione, ma  un  campione  potrebbe  giocare  come  un mediocre  se 

sbaglia alimentazione. E uno dei segreti per non sbagliare sta nella quantità di ciò che si mangia e 

nella  varietà  a  tavola.  Promossi,  dunque,  pasta  asciutta  (magari  condita  con  legumi  come 

lenticchie  e  fave),  pesce,  frutta  e  verdura.  Stesso  discorso  per  grassi,  carboidrati,  proteine, 

vitamine, sali minerali e acqua. In una partita di Rugby si consumano in media dalle 700 alle 800 

kilocalorie e di questo bisogna sempre tenerne conto. 

Volendo  semplificare,  pertanto,  i  consigli  principali  per  gli  atleti  della  palla  ovale  sono:  fare 

sempre  almeno  tre  pasti,  ovvero  un’ottima  colazione  e  due  spuntini  principali  (che  possono 

arrivare  anche  a  tre  nei  giorni  in  cui  è  presente  l’allenamento)  e  non  lasciare mai  a  digiuno 

l’organismo per  troppo  tempo. Meglio  concedersi uno  spuntino mezz’ora dopo  l’allenamento o 

prima  di  andare  a  letto.  Il  menu  del  rugbista,  dunque,  potrebbe  prevedere  una  colazione 

abbondante con  latte  scremato  totalmente o parzialmente e  fette biscottate con marmellata o 

cereali, poi uno spuntino a metà mattina con yogurt magro oppure biscotti, frutta di stagione, o 

ancora  noci  e mandorle,  e  pranzo  con  pasta  o  altri  tipi  di  carboidrati  complessi  (riso,  pane  o 

patate)  con  i  legumi.  Ma  vanno  più  che  bene  anche  proteine  come  pesce,  albume  d’uovo  e 

formaggi magri, senza dimenticare un bel contorno a base di verdura e frutta finale. Per merenda, 

niente  è  meglio  di  un  altro  yogurt,  oppure  frutta  se  non  addirittura  un  piccolo  panino  con 

tacchino  o  altre  proteine  magre.  Promossa  anche  la  frutta  secca.  A  cena,  si  può  benissimo 

ripetere il menu del pranzo, ma magari riducendo il quantitativo per stare leggeri, mentre dopo 

l’allenamento va bene concedersi un ultimo spuntino magari con una piccola razione di proteine 

magre. 

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Flavio Prota III C 

 

   

Com’è  noto,  nel  Rugby  il  terzo  tempo  è  una  tradizione  che  neanche  il miglior  nutrizionista  del 

mondo potrebbe scalfire facilmente. Secondo gli esperti, quindi, lo strappo alla regola è concesso. 

Durante la partita, infine, mai dimenticarsi di bere anche quando la sete non è eccessiva.  

Una riflessione a parte merita farla per quanto riguarda gli integratori: soprattutto per noi ragazzi, 

è  pericoloso  assumere  sostanze  chimiche  non  contenute  negli  alimenti  solo  per  aumentare  la 

massa muscolare  e  “fare  il  fisico”.  Si  tratta  di  sostanze  inutili  per  chi  segue  una  dieta  varia  ed 

equilibrata  e  addirittura  dannosi,  anche  psicologicamente,  per  quanti  vi  si  affidano  alla  ricerca 

della prestazione straordinaria. 

La  Tecnologia  svolge  un  ruolo  chiave  nella 

qualità  del  cibo  che  mangiamo  e  dunque 

nell’alimentazione  sostenibile  perché 

fornisce soluzioni ai problemi che riguardano 

la  produzione,  la  disponibilità,  la 

conservazione del cibo, con piena garanzia in 

termini di sicurezza degli alimenti.  

La Scienza ha svolto un  ruolo essenziale per 

la  qualità  della’alimentazione,  innanzitutto 

spezzando  il  vincolo  allo  sviluppo  dovuto  alla  limitatezza  delle  risorse  naturali”.  “Il  legame  tra 

innovazione industriale, miglioramento continuo della qualità della vita e contributo della Scienza 

e  delle  tecnologie  è  fortissimo:  basti  pensare  ai  fertilizzanti  chimici,  al miglioramento  genetico, 

agli  agrofarmaci  a  difesa  delle  coltivazioni,  allo  sviluppo  dei  sistemi  di  irrigazione  e  alle 

biotecnologie che hanno dato vita alla Rivoluzione verde, cioè all’esplosione delle rese per ettaro 

in gran parte del mondo.  

A queste tecnologie si sono aggiunte quelle che hanno aiutato l’industria alimentare a combattere 

lo spreco migliorando la qualità e la conservazione dei cibo. Non sarebbe possibile raggiungere gli 

obiettivi  dell’alimentazione  sostenibile  nei  confronti  di  tutta  la  popolazione mondiale  senza  un 

ruolo fondamentale della Scienza, della tecnologia e dell’industria, che rende disponibili per tutti 

le innovazioni generate dal mondo scientifico, in particolare quello chimico. Al contrario di quanto 

molti  luoghi  comuni  facciano pensare,  il  cibo che noi mangiamo è sicuro, perché protetto dalle 

norme e dai controlli e dall’impegno delle imprese di tutta la filiera agroalimentare; le sostanze, i 

prodotti e le materie prime chimiche sono soggetti a normative europee senza eguali sia a livello 

mondiale  e  sia  rispetto  ad  altri  settori  che  in  Italia  sono  spesso  applicate  in modo  ancora  più 

restrittivo e soggette a controlli ancora più severi rispetto ai competitori europei e mondiali.  

Come in tutte  le cose, però, c’è un risvolto della medaglia: dopo l'età della pietra, del ferro, del 

bronzo,  è  venuta  l'età  dei  polimeri,  dei materiali  speciali,  dei  cibi  precotti  che,  come  abbiamo 

descritto in precedenza, rappresentano è vero dei benefici ma comportano anche enormi rischi. 

Analizziamoli: 

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IL RUGBY: UNA DISCIPLINA SPORTIVA TRA CULTURE, STORIA E SOCIETÀ 

Flavio Prota III C 

 

   

‐ innanzitutto,  l’uso  incondizionato  dei  pesticidi:  per 

aumentare  la  produttività  dei  terreni,  spesso  non  si 

limita  l’uso  di  veleni  contro  insetti  o  malattie  delle 

piante  che,  per  quanto  dannosi,  rappresentano 

sempre un elemento con cui la natura regola la vita sul 

nostro pianeta. L’uso dei pesticidi, è stato dimostrato, 

se aumentano la produttività sono anche causa di malattie gravi per l’uomo, a volte anche 

mortale perché causano tumori.  

‐ l'uomo  urbanizzato  riceve  gli  alimenti  necessari  al  suo  sostentamento  dai  luoghi  di 

produzione  lontani  chilometri  (talvolta  migliaia  di  chilometri):  ciò  comporta  un  grande 

dispendio di energia e produzione di gas che avvelenano l’atmosfera e il terreno. 

‐ I  cibi  prodotti  altrove  devono  essere 

idoneamente  conservati:  cibi  in  scatola, 

liofilizzati,  surgelati,  precotti,  avvolti  in  fogli  di 

plastica  contengono  ‘additivi  alimentari'  ‐ 

composti  chimici  che  inibiscono  la 

fermentazione,  l'ossidazione,  la  degradazione  in  genere dei  cibi    ‐  i  cui effetti  sul  corpo 

umano  non  sono  ancora  noti  del  tutto  per  dimostrare  il  collegamento  con  tumori  e 

malattie 

‐ Assimilabili agli additivi, anche se regolamentati diversamente, sono i 

coloranti, gli aromatizzanti e gli edulcoranti utilizzati per rendere più 

“attraenti” i cibi: alcune di queste sostanze sono state recentemente 

vietate perché causano problemi alla salute dell’uomo 

 

Questi  sono  alcuni  aspetti  negativi  dell’utilizzo  della 

tecnologia  ad  ogni  costo:  bisogna  assolutamente 

ridimensionare  l’impiego  spietato  della  tecnologia 

nella  produzione  di  cibo  che,  nelle  società  avanzate, 

porta spesso a sprechi e non aiuta a preservare l’uomo 

dalla  perdita  delle  proprie  tradizioni  culturali  legate  al 

procacciamento  e  alla  produzione  di  cibi  legati  al 

proprio territorio in cui vive.