Il romanzo della «roba» ')( - V ITI Miliziano | Mai ... · Tra Ottocento e Novecento 1113 y La...

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Il romanzo della «roba» ')( Contadini siciliani. Fotografia di Giovanni Verga. Il Mastro-don Gesualdo è il romanzo della «roba» e,insieme, della sconfitta che ineluttabilmente essa procura a chi, come Gesualdo, alla «roba" consacra ani- ma e corpo. Infatti il concepire l'esistenza in termini di puro negotium (attività eco- nomica) porta al fallimento: è il messag- gio fondamentale del romanzo. Il motivo della "roba" era benein linea con gli interessi di analisi sociale ed economica del Naturalismo: già nei Malavoglia esso assumeva valenze esi- stenziali (si pensi al personaggio di zio Crocifisso, il cui nomignolo simboleggia la «passione, che egli vive in nome della «roba,,); eMazzarò, il protagonista di La roba (una delle Novelle rusticane), giun- ge a identificare i propri beni con il pro- prio stesso corpo, cioè arriva a uccidere gli animali da cortile quando si sente vi- cino alla morte. L'ossessione della «roba al sole, divora anche mastro-don Gesual- do: da povero muratore è diventato un ricco proprietario, ma non per questo si sente appagato da quanto possiede. Giovanni Verga L'attaccamento alla «roba" è inesauribi- le e il prezzo da pagare aquesto dedi- carsi totale, anima e corpo,a essa è la sconfitta di Gesualdo nel campo de- gli affetti. Celebrato il matrimonio con Bianca, che sarà all'origine della sua in- felicità, egli ama ancor più follemente la sua «roba" proprio per la coscienza dei sacrifici a cui si è sottoposto per ottener- la;diviene più spietato con i creditori ei rivali, quasi per vendicarsi della solitudi- ne in cui è precipitato: "Era diventato una bestia feroce, verde dalla bile, la malattia stessagli dava alla testa". Ma- stro-don Gesualdo è dawero il "romanzo della roba", come lo definì Gaetano Trombatore, o meglio, il romanzo «del- l'alienazione e della tragedia della roba» (Romano Luperini). La ricchezza si rivela per Gesualdo inutile eanzi dan- nosa: non solo non dà pace, ma diviene un tormento, una sorta di metafora del- l'inferno, "roba scomunicata, più nera dell'inchiostro, amara, maledetta da Dio", che esalta l'uomo e loincenerisce. Già nei Malavoglia il possesso dibeni distruggeva i valori tradizionali; nel Ma- stro-don Gesualdo, esso agisce ancor più inprofondità tanto da distruggere la vita: non è infatti Gesualdo a posse- dere la "roba",ma la "roba" a possedere lui, costringendolo a seguire, fino alle estreme conseguenze, l'aberrante mec- canismo da lui stesso innescato. L'esistenza medesima del protagonista viene distrutta dal demonio insediatosi in Gesualdo, che prende pieno possesso della sua anima e alla fine anche del suo corpo: la "cancrena" della "roba", "sangue delle sue vene" infatti, gli so- matizza dentro, lo rode senza piùdargli tregua, implacabile. "Ci aveva un cane, lì, nella pancia, che gli mangiava il fega- to, il cane arrabbiato di San Vito marti- re, che lo martirizzava anche lui", scrive Verga; eancora: "E intanto i dolori e la gonfiezza crescevano: una pancia che le gambe non la reggevano più. Bom- ma, picchiandovi sopra, una volta disse: - Qui c'è roba". , AA~- 193

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Il romanzo della «roba» ')(

• Contadini siciliani.

Fotografia di Giovanni Verga.

Il Mastro-don Gesualdo è il romanzodella «roba» e, insieme, della sconfitta

che ineluttabilmente essa procura a chi,

come Gesualdo, alla «roba" consacra ani-

ma e corpo. Infatti il concepire l'esistenza

in termini di puro negotium (attività eco-

nomica) porta al fallimento: è il messag-

gio fondamentale del romanzo.

Il motivo della "roba" era bene in linea

con gli interessi di analisi sociale edeconomica del Naturalismo: già nei

Malavoglia esso assumeva valenze esi-

stenziali (si pensi al personaggio di zio

Crocifisso, il cui nomignolo simboleggia

la «passione, che egli vive in nome della

«roba,,); e Mazzarò, il protagonista di Laroba (una delle Novelle rusticane), giun-

ge a identificare i propri beni con il pro-

prio stesso corpo, cioè arriva a uccidere

gli animali da cortile quando si sente vi-

cino alla morte. L'ossessione della «roba

al sole, divora anche mastro-don Gesual-

do: da povero muratore è diventato un

ricco proprietario, ma non per questo si

sente appagato da quanto possiede.

Giovanni Verga

L'attaccamento alla «roba" è inesauribi-

le e il prezzo da pagare a questo dedi-

carsi totale, anima e corpo, a essa è la

sconfitta di Gesualdo nel campo de-gli affetti. Celebrato il matrimonio con

Bianca, che sarà all'origine della sua in-

felicità, egli ama ancor più follemente la

sua «roba" proprio per la coscienza dei

sacrifici a cui si è sottoposto per ottener-

la; diviene più spietato con i creditori e i

rivali, quasi per vendicarsi della solitudi-

ne in cui è precipitato: "Era diventato

una bestia feroce, verde dalla bile, la

malattia stessa gli dava alla testa". Ma-stro-don Gesualdo è dawero il "romanzo

della roba", come lo definì Gaetano

Trombatore, o meglio, il romanzo «del-l'alienazione e della tragedia dellaroba» (Romano Luperini). La ricchezza

si rivela per Gesualdo inutile e anzi dan-

nosa: non solo non dà pace, ma diviene

un tormento, una sorta di metafora del-

l'inferno, "roba scomunicata, più nera

dell'inchiostro, amara, maledetta da

Dio", che esalta l'uomo e lo incenerisce.

Già nei Malavoglia il possesso di beni

distruggeva i valori tradizionali; nel Ma-stro-don Gesualdo, esso agisce ancor

più in profondità tanto da distruggerela vita: non è infatti Gesualdo a posse-

dere la "roba", ma la "roba" a possedere

lui, costringendolo a seguire, fino alle

estreme conseguenze, l'aberrante mec-

canismo da lui stesso innescato.

L'esistenza medesima del protagonista

viene distrutta dal demonio insediatosi

in Gesualdo, che prende pieno possesso

della sua anima e alla fine anche del

suo corpo: la "cancrena" della "roba",

"sangue delle sue vene" infatti, gli so-

matizza dentro, lo rode senza più dargli

tregua, implacabile. "Ci aveva un cane,

lì, nella pancia, che gli mangiava il fega-

to, il cane arrabbiato di San Vito marti-

re, che lo martirizzava anche lui", scrive

Verga; e ancora: "E intanto i dolori e la

gonfiezza crescevano: una pancia che

le gambe non la reggevano più. Bom-

ma, picchiandovi sopra, una volta disse:

- Qui c'è roba".

, AA~-193

Tra Ottocento e Novecento

1113y La morte di Gesualdo

Appena fu solo cominciò a muggire come un bue, col naso al muro. Ma poi, se ve-niva gente, stava zitto. Covava dentro di sé il male e l'amarezza. Lasciava passare igiorni. Pensava ad allungarseli piuttosto, a guadagnare almeno quelli, uno dopol'altro, così come venivano, pazienza I Finché c'è fiato c'è vita. A misura che il fiatogli andava mancando, a poco a poco, acconciavasi l pure ai suoi guai; ci faceva il cal- 5lo. Lui aveva le spalle grosse, e avrebbe tirato in lungo, mercè2 la sua pelle dura. Allevolte provava anche una certa soddisfazione, fra sé e sé, sotto il lenzuolo, pensandoal viso che avrebbero fatto il signor duca3 e tutti quanti, al vedere che lui aveva lapelle dura. Era arrivato ad affezionarsi ai suoi malanni, li ascòltava, li accarezzava,voleva sentirseli lì, con lui, per tirare innanzi. I parenti ci avevano fatto il callo an- I

ch'essi; avevano saputo che quella malattia durava anni ed anni, e s'erano acchetati.4Così va il mondo, pur troppo, che passato il primo bollore, ciascuno tira innanzi perla sua via e bada agli affari propri. Non si lamentava neppure; non diceva nulla, davillano malizioso,s per non sprecare il fiato, per non lasciarsi sfuggire quel che nonvoleva dire; solamente gli scappavano di tanto in tanto delle occhiate che significa- 15

vano assai, al veder la figliuola che gli veniva dinanzi con quella faccia desolata, epoi teneva il sacco al maritoG [ ... l. Indovinava che teneva degli altri guai nascosti, lei,e alle volte aveva la testa altrove, mentre suo padre stava colla morte sul capo. Si ro-

per controllarlo e deva dentro, a misura che peggiorava; il sangue era diventato tutto un veleno; ostina-. non essere vasi sempre più, taciturno, implacabile, col viso al muro, rispondendo solo coi gru- 20

diseredata: allo . . b .stesso modo Ninì gnlti, come una estla.aveva sorvegliato Finalmente si persuase ch'era giunta l'ora, e s'apparecchiò7 a morire da buon cri-della b~~O~::::T stiano. Isabella era venuta subito a tenergli compagnia. Egli fece forza coi gomiti, e si

sua madre rizzò a sedere sul letto. «Senti» le disse «ascolta ...»

anche don Diego, III

fratello di Bianca,

e Nunzio, padre

di Gesualdo, erano

morti col nasoal muro: un gesto

polemico per

esprimere il rancore

verso il mondo

il narratore

riporta i pensieri

del malato

prestandogli voce

con il monologo

interiore

Mastro-don Gesualdo, parte IV, capitolo 5

Anno: 1889

Temi: • la solitudine del protagonista, la superficialità e l'indifferenza degli altri' l'incomunicabilità

padre-figlia • la prevalenza dei moventi economici

Siamo al momento conclusivo dell'opera. La quarta parte del romanzo vede dapprima lo morte diBianca Trao, lo moglie di Gesualdo, consumata dalla tisi; poi lo stesso Gesualdo si scopre grave-mente malato e vicino alla fine. L'avanzare progressivo del tumore lo indebolisce, consegnando ilsuo animo allo strazio dei ricordi e al tormento dei rimorsi (in particolare i contrasti con il padreNunzio e l'abbandono di Diodata). Egli si sente "roso dal baco al pari di una mela fradicia, che de-ve cascare dal ramo)). Il penultimo capitolo dell'opera si chiude con lo partenza di Gesualdo perPalermo, dove si trasferisce nel lussuoso palazzo in cui vivono lo figlia Isabella e il marito, il duca diLeyra. Essi tengono presso di loro il vecchio morente solo per controllarne meglio le proprietà.L'ultimo capitolo, completamente rielaborato rispetto alla prima versione pubblicata nel 1888 sulloriVisto "Nuova Antologia)), costituisce uno dei vertici del romanzo italiano,

l. acconciavasi: si abituava.

2. mercè: grazie a.

3. il signor duca: il marito della figlia.

4. acchetati: calmati.

5. villano malizioso: calco dall'espressio-

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ne siciliana viddanu 'gnuranti e maliziusu,"contadino ignorante ma furbo".

6. teneva il sacco al marito: espressione

proverbiale; significa che Isabella collabo-

ra al piano del marito, che attende la mor-

te di Gesualdo per potersi impadronire dei

suoi beni.

7. s'apparecchiò: si predispose.

Era turbato in viso, ma parlava calmo, Teneva gli occhi fissi sulla figliuola, e accen- 25-nava col capo. Essa gli prese la mano e scoppiò a singhiozzare. .«Taci,» riprese «finiscila. Se cominciamo così non si fa nulla.» ,..Ansimava perché aveva il fiato corto, ed anche per l'emozione. Guardava intorno, ~

sospettoso, e seguitava ad accennare dels capo, in silenzio, col respiro affannato. Ellapure volse verso l'uscio gli occhi pieni di lagrime. Don Gesualdo aLzò la mano scar- 30 •

na, e trinciò9 una croce in aria, per significare ch'era finita, e perdonava a tutti,10 pri- ~ma d'andarsene.

diversamente dalla S· H dI" h' l'teatralità della «entI... o a par artI. .. mtanto c e SIamo so I.,,» è:.

figlia, Gesualdo è Ella gli si buttò addosso, disperata, piangendo, singhiozzando di no, di no, colleuomo di poche. . . h l' L" ch l" Il' l 'parole: gli basta manI errantI c e accarezzavano. accarezzo an e Ul SUIcape l, entamente, senza 35 .;.;:

un semplice dire una parola. Di lì a un po' riprese: «Ti dico di sì. Non sono un ragazzo". Non 'gesto istintivo d' "1 P . l' T' d" h~' d'

, , l' per lama tempo mutI mente». 01 g l venne una tenerezza.« l lsplace, e !... tI 1-per rive are

il suo affetto spiace a te pure? ..» ;La voce gli si era intenerita anch' essa, gli occhi, tristi, s'erano fatti più dolci, e qual- ~

cosa gli tremava sulle labbra.«Ti ho voluto bene ... anch'io ... quanto ho potuto ... come ho potuto". Quando uno

fa quello che può".»Allora l'attirò a sé lentamente, quasi esitando, guardandola fissa per vedere se vole-,

va lei pure, e l'abbracciò stretta stretta, posando la guancia ispida su quei capelli fini.«Non ti fa male, di'L. come quand'eri bambina? ...»llGli vennero insieme delle altre cose sulle labbra, delle ondate di amarezza e di

passione, quei sospetti odiosi12 che dei bricconi, nelle questioni d'interessi, avevanocercato di mettergli in capo. Si passò la mano sulla fronte, per ricacciarli indietro, ecambiò discorso.«Parliamo dei nostri affari. Non ci perdiamo in chiacchiere, adesso ...»Essa non voleva, smaniava per la stanza, si cacciava le mani nei capelli, diceva che

gli lacerava il cuore, che gli pareva un malaugurio, quasi suo padre stesse per chiude-re gli occhi.«Ma no, parliamonel» insisteva lui. «Sono discorsi serii. Non ho tempo da perdere

adesso.» Ilviso gli si andava oscurando, il rancore antico gli corruscava13 negli occhi. 55«Allora vuoI dire che non te ne importa nulla ... come a tuo marito ...»Vedendola poi rassegnata ad ascoltare, seduta a capo chino accanto alletto, comin-

ciò a sfogarsi dei tanti crepacuori che gli avevano dati, lei e suo marito, con tutti queidebiti ...14 Le raccomandava la sua roba, di proteggerla, di difenderla: «Piuttosto fartitagliare la mano, vedi! ... quando tuo marito torna a propofti di firmare delle carte! ... 60Lui non sa cosa vuoi dire I» Spiegava quel che gli erano costati, quei poderi, l'Àlia, laCanziria, li passava tutti in rassegna amorosamente; rammentava come erano venutia lui, uno dopo l'altro, a poco a poco, le terre seminative, i pascoli, le vigne; li descri-veva minutamente, zolla per zolla, colle qualità buone o cattive. Gli tremava la voce,

Verga rappresenta

un dolore troppo

esibito, troppo

teatrale per essere

autentico

Giovanni Verga

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meridionali quando, come qui, si riferisce

a esseri animati.

Il. come ... bambina?: in un episodio del-

la terza parte si mostrava la piccola Isabel-

la tirarsi indietro "istintivamente quando

nel baciarla la pungeva colla barba ispida".

12. sospetti odiosi: in paese si vociferava

che Isabella fosse una figlia illegittima, e

Verga non fa nulla per smentire tale diceria.

13. corruscava: lampeggiava.

14. tutti quei debiti: dopo nemmeno un

anno di matrimonio Isabella, spinta dal

marito, aveva ipotecato le proprietà rice-

vute in dote: la Canziria, l'Alia e Donninga.

8. accennare del: fare cenni con il.

9. trinciò: tracciò con ampi movimenti

delle braccia.

IO. e perdonava a tutti osserviamo

l'ellissi di "che", retto da significare; osser-

viamo anche l'accusativo retto dalla pre-

posizione a, che è un uso tipico dei dialetti

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Tra Ottocento e Novecento

gli tremavano le mani, gli si accendeva tuttora il sangue in viso, gli spuntavano le la- -"'grime agli occhi: «Mangalavite, sai ... la conosci anche tu ... ci sei stata con tua ma-dre ... Quaranta salme15 di terreni, tutti alberati! ... ti rammenti ... i belli aranci?.. an-

. Gesualdo 1che tua madre, poveretta, ci si rinfrescava la bocca, negli ultimi giorni! ... 300 mi-SI commuove sia .. , I . IIG , .per l'emozione gllala ali anno, ne davano. Clfca 300 onze. E la Saloma del semmatl dOlO ... del-dei ricordi, sia la tena che fa miracoli ... benedetto sia tuo nonno che vi lasciò le ossa! ...»

. per il timore che I fi l ... b b'la ricchezza n lne, per a tenerezza, SImise a piangere come un am ma.

accumulata con «Basta» disse poi. «Ho da dirti un'altra cosa ... Senti ...»fatica venga L d' fi l' h" 'd' l' d l' cc h bbd'l 'd t a guar o lssamente neg I ace I plem l agnme per ve ere euetto c e avre eI api a a

dal genero . fatto la sua volontà. Le fece segno di accostarsi ancora, di chinarsi su lui supino cheesitava e cercava le parole.«Senti! ... Ho degli scrupoli di coscienza ... Vorrei lasciare qualche legato17 a delle

persone verso cui ho degli obblighi ... Poca cosa ... Non sarà molto per te che sei ric-ca Farai conto di essere una regalìaJ8 che tuo padre ti domanda ... in punto di mor-te se ho fatto qualcosa anch'io per te ...»«Ah, babbo, babbo I... che parole!» singhiozzò Isabella,«Lo farai, eh? lo farai? .. anche se tuo marito non volesse ...»Le prese le tempie fra le mani, e le sollevò il viso per leggerle negli occhi se

l'avrebbe ubbidito, per farle intendere che gli premeva proprio, e che ci aveva quelsegreto in cuore. E mentre la guardava, a quel modo, gli parve di scorgere anche luiquell'altro segretof,quell'altmcruccio nilscosto,19 in fondo agli occhi della figliuola. 85

E voleva dirle delle.altre cose, voleva farle altre domande,.in quel punto, aprirle ilcuore come al confessore, e leggere nel suo. Ma ella chinava 11 capo, quasi avesse in-dovinato, colla ruga ostinata dei Trao fra le ciglia, tirandosi indietro, chiudendosi insé, superba, coi suoi guai e il suo segreto.20 E lui allora sèntì di tornare Motta,com'essa era Trao, diffidente, ostile, di un'altra pasta. Allentò le braccia, e non ag- 90

inizia qui la serrata giunse altro.sequenza finale, «Ora fammi chiamare un prete» terminò con un altro tono di voce. «Voglio fare i

che rappresenta la . . . D dd' 21morte di Gesualdo n11elcontI con amene IO.»

"dal di fuori", in I Durò ancora qualche altro giorno così, fra alternative di meglio e di peggio. Sem-modo impassibile b . ch ., .. drava anzI e commClasse a naverSI un poco, quan o a un tratto, una notte, peg- 95

il punto di vista giorò rapidamente. Il servitore che gli avevano messo a dormire nella stanza accantonarrativo è quello l' d' .. . . dII' lb M . . ...

del servitore' U l agItarsI e smamare pnma e a a. a sICcome era avvezzo a quel capncCl, SIvoltò dall'altra parte, fingendo di non udire. Infine, seccato da quella canzone chenon finiva più, andò sonnacchios022 a vedere che c'era.«Mia figlia!» borbottò don Gesualdo con una voce che non sembrava più la sua. 100

«Chiamatemi mia figlia!»«Ah, sissignore. Ora vado a chiamarla» rispose il domestico, e tornò a coricarsi.Ma non lo lasciava dormire quell'accidente I Un po' erano sibili, e un po' faceva

Gesualdo cerca un

punto di contatto

che lo avvicini a

Isabella nella sfera

degli amori segreti:

entrambi, infatti,

hanno avuto figli

fuori del

matrimonio

Isabella si ritrae:

questa gelida

reazione sancisce

per sempre la sua

estraneità al padre

15. Quaranta salme: la salma è un'unità

di misura dei terreni, equivalente a circa

17 m216. Circa 300 onze: l'onza è un'antica

moneta siciliana, che nel 1862 aveva il va-

lore (elevato) di 12,75 lire.

17. qualche legato un lascito, una por-

zione d'eredità. Gesualdo vuole lasciare

qualcosa a Diodata, l'unica donna che lo

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abbia sinceramente amato, e ad altri suoi

protetti.

18. una regalia: un regalo.

19. quell'altro segreto, quell'altro cruc-

cio nascosto: Isabella era nata da una re-

lazione prematrimoniale di sua madre con

Ninì Rubiera; l'argomento però non era

mai stato affrontato in famiglia.

20. il suo segTeto: anche Isabella, prima

di sposare il duca di Leyra, aveva avuto un

figlio dalla relazione con il cugino Corrado.

2 l, fare i miei conti con Domeneddio:

sistemare le cose con Dio (Domeneddiodall'invocazione latina "Domine Deus"l.

cioè confessarsi.

22, sonnacchioso: pieno di sonno.

peggio di un contrabbasso, nel russare. Appena il domestico chiudeva gli occhi udi-va un rumore strano che lo faceva destare di soprassalto, dei guaiti rauchi, come uno 105

che sbuffasse ed ansimasse, una specie di rantolo che dava noia e vi accapponava lapelle. Tanto che infine dovette tornare ad alzarsi, furibondo, masticando delle be-stemmie e delle parolacce.«Cos'è? Gli è venuto l'uzzol023 adesso? VuoI passar mattana!24 Che cerca?»Don Gesualdo non rispondeva; continuava a sbuffare supino. Il servitore tolse25 il 110

paralume, per vederlo in faccia. Allora si fregò bene gli occhi, e la voglia di tornare adormire gli andò via a un tratto.«Ohi! ohi! Che facciamo adesso?» balbettò grattandosi il capo.Stette un momento a guardarlo così, col lume in mano, pensando se era meglio

aspettare un po' o scendere subito a svegliare la padrona e mettere la casa sottoso- 115

né all'esterno né ! D G Id' d' l di' ., dall'interno la vita l pra. on esua O llltanto an avaSI ca man o, co respIro pm corto, preso a undella casa viene tremito, facendo solo di tanto in tanto qualche boccaccia, cogli occhi sempre fissi e

mutata dalla morte l . A ,. . 'd' . h 'd l L fi ... b'd, G Id t tt spa ancatl. un tratto s IrngI l e SIc eta e tutto. a lllestra comlllClava a 1m lan-I esua o: u o

prosegue care. Suonavano le prime campane. Nella corte udìvasi2G scalpitare dei cavalli, e pic-imperturbabilmente I chiare di striglie27sul selciato. Il domestico andò a vestirsi, e poi tornò a rassettare la 120come sempre

camera. Tirò le cortine28 del letto, spalancò le vetrate, e s'affacciò a prendere unaboccata d'aria, fumando., Lo stalliere, che faceva passeggiare un cavallo malato, alzò il capo verso la finestra.«Mattinata,29 eh, don Leopoldo?»«E nottata pure!» rispose il cameriere sbadigliando. «M'è toccato a me questo re- 125

gala!»L'altro scosse il capo, come a chiedere che c'era di nuovo, e don Leopoldo fece se-

gno che il vecchio se n'era andato, grazie a Dio.«Ah... così... alla chetichella?..»3o osservò il portinaio che strascicava la scopa e le

ciabatte per l'androne.31Degli altri domestici s'erano affacciati intanto, e vollero andare a vedere. Di lì a un

po' la camera del morto si riempì di gente in manica di camicia e colla pipa in bocca.La guardarobiera vedendo tutti quegli uomini alla finestra dirimpetto venne anche leia far capolino nella stanza accanto. [...l«Si vede com'era nato ...» osservò gravemente il cocchiere maggiore. «Guardate che 135

mani!»

pensieri e parolevolgari e inadatti

alle circostanze peresprimere totale

estraneità eindifferenza verso

il moribondo

un piccolo plotonedi estranei circondail defunto, senzaprovare alcunacommozionee neanche

rispetto per lui

il tono freddo eburocratico di

questo cerimonialesottolinea

l'estraneità el'indifferenza

collettiva

Giovanni Verga

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«Già, san le mani che hanno fatto la pappa! ...32Vedete cos'è nascer fortunati ... In-tanto vi muore nella battista33 come un principe! ...»«Allora,» disse ilportinaio «devo andare a chiudere ilportone?»34«Sicuro, eh! È roba di famiglia. Adesso bisogna avvertire la cameriera della signora 140

duchessa.»

G. Verga, Tutti i romanzi, cito

23. l'uzzolo: il capriccio.24. passar mattana: fare pazzie; è un'e-spressione volgare, che allude a qualchecapriccio sessuale.25. tolse: prese, sollevò. Facendo luce, siaccorge che Gesualdo sta per morire.26. udìvasi: si udivano.27. striglie: spazzole metalliche per pulireil mantello dei cavalli.

28. cortine: i tendaggi del letto a baldac-chino.29. Mattinata: indica il turno di serviziodel mattino; o forse è un augurio: "Buonamattina!"30. alla chetichella: di nascosto, nell'in-differenza generale e senza far rumore.31. l'androne: l'area dell'ingresso del pa-lazzo.

32. la pappa: l'impasto di calce e gessoche preparano i muratori.33. nella battista: in una veste di batista(tessuto di lino pregiatissimo), cioè in unlusso smodato.34. devo andare a chiudere il portone?:in segno di lutto, come si usava nei palazzinobiliari del Mezzogiorno.

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