Il ritorno di Marte - Piramide Etrusca Bomarzo · sembra rivelare una vendetta contro Vicino, del...

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Il ritorno di Marte Peccato che la libertà desiderata da Vicino Orsini durerà poco e il suo sogno di vivere in una Bomarzo bonificata da Marte è stato interrotto, qualche decennio dopo la sua morte, da Ippolito Lante Montefeltro della Rovere, che entrò in possesso del Palazzo Orsini e del territorio di Bomarzo nel 1645, ottenendo poi anche il titolo di Duca. L’affresco che il nuovo Duca di Bomarzo fece realizzare nel Palazzo Orsini, già citato più volte, sembra rivelare una vendetta contro Vicino, del quale a Bomarzo non è rimasta né una statua né un dipinto, e ci dobbiamo accontentare di un volto su una medaglia, che non si trova neanche a Bomarzo 1 . Il Parco cadde nell’oblio e rimase a lungo abbandonato, con molti vasi abbattuti e statue sfregiate o gettate nel fosso sottostante; le testimonianze di Roberto Bettini sono importanti e fanno capire che non si può trattare di semplice vandalismo, anzi il Parco sembra avere subito una vera e propria aggressione, come una ritorsione nei confronti del nostro Vicino. Dopo questo abbandono, i nostri pastori, che in quel periodo frequentavano il Parco, erano diventati i nuovi custodi dei nostri mostri. Ora una cosa fa pensare: questo odio per Marte che l’Orsini mostra, forse nascondendo la verità, è un odio per la guerra e la conseguenza della prigionia che ha subito? O l’Orsini nutre un odio contro qualcuno che gli ha fatto del male, durante la sua vita da militare? Oppure si tratta di gelosia per la sua Giulia, visto che i dipinti che lui utilizza del Veronese, del Tintoretto ed altri, riguardanti Venere, Marte e Vulcano, ci riportano in situazioni di gelosia in cui Vulcano arriva infuriato dopo essersi accorto del tradimento. Ippolito Lante della Rovere, comprando il palazzo e il parco diversi decenni dopo la morte di Vicino Orsini, potrebbe aver messo in atto una vendetta nei suoi confronti, distruggendo i suoi documenti, razziando i beni nascosti nel Parco e facendo cadere nell’oblio, oltre al Parco, anche lo stesso Vicino Orsini! Forse il Duca Ippolito ha voluto vendicare un suo parente o un oltraggio alla sua famiglia? Oppure apparteneva a un gruppo avverso a quello dell’Orsini, o, semplicemente, aveva idee diverse e non approvava il suo sogno di pace. 1 La medaglia col ritratto di Vicino Orsini (attualmente conservata al British Museum) è stata realizzata in piombo dallo scultore senese Pastorino Pastorini (1508-1592)

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Il ritorno di Marte

Peccato che la libertà desiderata da Vicino Orsini durerà poco e il suo sogno di vivere in una

Bomarzo bonificata da Marte è stato interrotto, qualche

decennio dopo la sua morte, da Ippolito Lante Montefeltro

della Rovere, che entrò in possesso del Palazzo Orsini e del

territorio di Bomarzo nel 1645, ottenendo poi anche il

titolo di Duca. L’affresco che il nuovo Duca di Bomarzo

fece realizzare nel Palazzo Orsini, già citato più volte,

sembra rivelare una vendetta contro Vicino, del quale a

Bomarzo non è rimasta né una statua né un dipinto, e ci

dobbiamo accontentare di un volto su una medaglia, che

non si trova neanche a Bomarzo1.

Il Parco cadde nell’oblio e rimase a lungo abbandonato, con molti vasi abbattuti e statue sfregiate o

gettate nel fosso sottostante; le testimonianze di Roberto Bettini sono importanti e fanno capire che

non si può trattare di semplice vandalismo, anzi il Parco sembra avere subito una vera e propria

aggressione, come una ritorsione nei confronti del nostro Vicino. Dopo questo abbandono, i nostri

pastori, che in quel periodo frequentavano il Parco, erano diventati i nuovi custodi dei nostri mostri.

Ora una cosa fa pensare: questo odio per Marte che l’Orsini mostra, forse nascondendo la verità, è

un odio per la guerra e la conseguenza della prigionia che ha subito? O l’Orsini nutre un odio contro

qualcuno che gli ha fatto del male, durante la sua vita da militare? Oppure si tratta di gelosia per la

sua Giulia, visto che i dipinti che lui utilizza del Veronese, del Tintoretto ed altri, riguardanti

Venere, Marte e Vulcano, ci riportano in situazioni di gelosia in cui Vulcano arriva infuriato dopo

essersi accorto del tradimento.

Ippolito Lante della Rovere, comprando il palazzo e il parco diversi decenni dopo la morte di

Vicino Orsini, potrebbe aver messo in atto una vendetta nei suoi confronti, distruggendo i suoi

documenti, razziando i beni nascosti nel Parco e facendo cadere nell’oblio, oltre al Parco, anche lo

stesso Vicino Orsini! Forse il Duca Ippolito ha voluto vendicare un suo parente o un oltraggio alla

sua famiglia? Oppure apparteneva a un gruppo avverso a quello dell’Orsini, o, semplicemente,

aveva idee diverse e non approvava il suo sogno di pace.

1 La medaglia col ritratto di Vicino Orsini (attualmente conservata al British Museum) è stata realizzata in piombo dallo

scultore senese Pastorino Pastorini (1508-1592)

Il grande affresco che decora la volta del salone del primo piano del Palazzo, fu fatto realizzare dal

Duca Ippolito verso il 1660: questo affresco, comunemente ritenuto una raffigurazione della Guerra

contrapposta alla Pace e da alcuni intitolato il Trionfo della Pace sulla Guerra, è in realtà, come ha

dimostrato Sigfrido Höbel, una raffigurazione delle Quattro Età dell’Umanità, ispirata agli affreschi

sullo stesso tema realizzati da Pietro da Cortona in Palazzo Pitti2. Resta comunque evidente, nella

composizione, una contrapposizione fra la Pace e la Guerra: la scena dell’Età dell’Oro, di cui

abbiamo già vista una versione nel dipinto di Cranach, esprime l’ideale di un’assoluta serenità e

spensieratezza, così come all’Età dell’Argento si possono riferire le scene idilliache della vita

pastorale, simili a quella dell’affresco del Bon Marzo; al contrario, con l’Età del Bronzo hanno

inizio le guerre, che toccano il loro culmine nell’Età del Ferro, la più feroce e crudele di tutte.

La scena che maggiormente mi ha fatto pensare a una ritorsione di Ippolito Lante della Rovere

contro Vicino Orsini, è quella dell’Età del Bronzo, in cui si vede un Imperatore romano, seduto su

un alto podio, che sembra premiare i suoi condottieri e i suoi soldati porgendo loro delle corone; si

può notare che il guerriero alla destra dell’Imperatore si appoggia ad uno scudo rettangolare che

reca lo stemma di Ippolito Lante della Rovere, per cui sembra che il Duca abbia voluto glorificare

se stesso. Se però si osserva con maggiore attenzione il dipinto, il suo significato appare

completamente diverso: in realtà, il gesto che fa l’Imperatore non è quello di porgere la corona al

guerriero alla sua destra, ma di togliergliela, dandola invece al guerriero di sinistra, un signifero

ricoperto da una pelle ferina; l’Imperatore è infatti seduto su un seggio rivolto a sinistra, verso il

signifero, e dà le spalle all’altro guerriero, girandosi verso di lui solo per togliergli la corona.

2 Sigfrido E. F. Höbel: L’affresco delle Quattro Età dell’Uomo nel Palazzo Orsini di Bomarzo (testo ancora inedito).

Il guerriero alla destra, rivestito di un’armatura bianco argento e con un mantello rosso, scambia

con l’Imperatore uno strano sguardo, come se fosse stupito di

quanto sta accadendo; mostra inoltre una ferita sul petto e si può

vedere che anche il braccio destro e le gambe sono insanguinati.

In realtà, questo guerriero non rappresenta affatto Ippolito Lante

della Rovere, ma raffigura piuttosto lo stesso Vicino Orsini,

piuttosto malconcio, al quale il Della Rovere ha sottratto il

dominio delle sue terre; e questa situazione trova conferma nel

fatto che l’Imperatore è seduto sull’alto di un podio che

riproduce molto fedelmente la

forma del “Sasso del

Predicatore”, un antico

monumento che si trova nella campagna di Soriano nel cimino

vicino Montecasoli, in modo da sottolineare la sua presa di

possesso del territorio. Con l’indice della sinistra il guerriero

mostra la sua ferita, ma indica anche lo scudo con lo stemma del

Duca Ippolito, quasi come se fosse costretto ad ammettere che

ormai il potere è passato nelle sue mani. Ho pensato di poter

identificare questo infelice guerriero con Vicino, non solo in base a

questa mia interpretazione della scena, ma anche per la sua

somiglianza col ritratto della medaglia e perché sul cimiero del suo elmo si trovano dei fiocchi rossi

che ricordano le rose araldiche degli Orsini.

Ma la cosa non finisce qui! Alle spalle

del guerriero dalla bianca armatura si

vede una coppia di “barbari”

prigionieri, che siede con aria

sconsolata su un cumulo di armi e

armature. L’uomo, incatenato e

coperto da una tunica bianca e sporca,

fissa tristemente lo sguardo sullo

scudo con le insegne di Ippolito,

mentre la donna, che non è incatenata,

ha evidentemente scelto di seguire la sorte del suo compagno. Ho subito pensato che in questa

immagine il Della Rovere abbia voluto rappresentare la sconfitta di Vicino Orsini e la sua

umiliazione, anche se ha mostrato un maggiore rispetto

per la sua compagna, non facendola rappresentare

incatenata: L’identificazione dell’uomo in catene trova

conferma nella presenza, accanto a lui, di un ricco elmo

ornato con gli stessi fiocchi rossi del guerriero

dall’armatura bianca e simile, anche nella decorazione,

all’elmo che si trova dietro al Gigante; inoltre, dietro

l’elmo, si trova uno scudo su cui si intravede una fascia

con le rose araldiche degli Orsini, simile a quella

dell’Elefante. Come se non bastasse, dietro questo scudo

si vede una sagoma che ripropone proprio l’immagine

dell’Elefante, e che sembra formare con la proboscide un

fiocco simile a quello che abbiamo visto sulla corazza del guerriero stritolato dall’Elefante del

Parco, mentre gli elementi pendenti dalla corazza su

cui siede il prigioniero potrebbero alludere ai

genitali dell’Elefante-Vulcano, strappati da Ippolito;

infine, ai piedi dei prigionieri è poggiata la testa di

un cane, che altro non è se non la testa mozza del

segugio che veglia sulla Dormiente del Parco.

Allora se il guerriero in armatura bianca e il

prigioniero rappresentano entrambi Vicino Orsini, che è il guerriero a cui l’Imperatore porge la

corona? Questo portatore dell’insegna della Legione, rivestito da una cotta di maglia e coperto da

una pelle ferina (di lupo o di orso?) mi sembra che possa essere proprio il rappresentante del Marte

romano, dio della guerra e protettore delle Legioni.

Ecco dunque che Marte trionfa di nuovo e torna con tutti gli

onori nel territorio bomarzese, e con lui vi torna anche la guerra,

i cui orrori sono descritti nella scena successiva, che raffigura

l’Età del Ferro: vi si vedono scene di violenza e di saccheggio,

davanti ad un tempio, la cui forma ricorda quella del Tempietto

del Parco e sul cui architrave leggiamo la scritta HIPOLITUS

LANTES DE. R(OVERE) DUX POLIMARTI. Bomarzo non è dunque

più Bon Marzo, ma è ridiventata la Città di Marte.

Al centro della scena vediamo un soldato che si

allontana dal tempio dopo averlo saccheggiato e

questa immagine mi ha riportato alla mente un

dipinto del Veronese, l’Allegoria della Saggezza e

della Forza3, in cui possiamo di nuovo

riconoscere la coppia di Marte e Venere: si nota

che la figura femminile poggia il piede su una

sfera scura con un cerchio centrale, accanto alla

quale si trova un’altra sfera, che sembra una

specie di testa con la bocca aperta e accanto a

questi due elementi ci sono dei gioielli sparsi in

terra, come se quella seconda sfera fosse un

portagioie. Quella specie di bocca aperta mi ha

ricordato il Mascherone del Parco, che mostra,

sopra la testa, una sfera attraversata da un cerchio

e sormontata da un castello (forse in riferimento al Palazzo Orsini). Forse l’Orsini ha ricostruito

questa sequenza di immagini prendendo spunto dal dipinto e il bello è che quando ho chiesto a

Roberto Bettini, proprietario del Parco, se quella sfera di pietra fosse vuota al suo interno, lui mi ha

3 Veronese: Allegoria della Saggezza e della Forza (ca. 1580, New York, Coll. Frick): le due figure del dipinto possono

essere anche Urania ed Ercole o essere riferite a Venere e Marte, in considerazione della presenza del piccolo Cupido

detto di si, sorpreso che io lo

sapessi; mi ha anche detto che

quando il Parco venne di nuovo

sistemato, era stato trovato un

foro nella parte posteriore della

sfera e che quindi, se

all’interno della sfera fosse stato nascosto un tesoro, questo era stato

saccheggiato in tempi più antichi: nel dipinto del Palazzo Orsini

potrebbe essere stato rappresentato proprio questo saccheggio, il che

conferma l’idea che Ippolito Lante della Rovere derubò e distrusse

buona parte del Parco.

Alla sinistra della scena delle violenze e del saccheggio si vede un boschetto con un uomo che

allunga un braccio in cerca di aiuto, ma non riesce a fuggire, gli sta accadendo qualcosa di strano

che ripropone la stessa situazione descritta da Vicino Orsini nel gruppo del Gigante, in cui abbiamo

visto Marte pietrificato da Vulcano; ora Ippolito ha capovolto la situazione, mostrando il

personaggio che non riesce a fuggire perché si sta pietrificando: se si osservano i suoi pantaloni, si

capisce che in realtà la stoffa si è trasformata in roccia e in quel personaggio, rimasto solo,

riconosciamo Vulcano, destinato all’oblio. Ippolito ha maturato la sua vendetta, facendo cadere

nell’oblio il boschetto e i suoi personaggi di pietra.

I racconti di mio padre

Mio padre era ancora piccolo quando i Borghese avevano ancora la proprietà del Parco, e con il suo

cane Argante sorvegliava le greggi e, insieme, le statue del Parco. Poco dopo, nel 1954, Giovanni

Bettini divenne il nuovo proprietario; mio padre in quel periodo pascolava anche in altre zone del

bomarzese e anche altri pastori frequentavano il parco: in tal modo Bettini ebbe un grosso aiuto,

infatti le pecore contribuivano a togliere la vegetazione che aveva invaso il Parco. Nel cosiddetto

Anno del Nevone, Bettini fece un gesto ammirevole, tanto che mio padre è ancora emozionato

quando lo racconta: in quei momenti difficili per i pastori della zona, Bettini vendette il fieno che

custodiva nei pressi del Parco a un prezzo onesto, sapendo che quei pastori meritavano rispetto,

erano i custodi di quel Parco. Dopo di che Bettini ha fatto un lavoro davvero notevole per poter dare

di nuovo vita al Parco.

Un altro particolare che ci tenevo a dire è che i massi di peperino creati dal vulcano erano già

presenti nel Bosco, come già tutti sanno, per cui, scolpire un grosso blocco, come ad esempio

l’elefante, non avrebbe richiesto molto tempo: una volta che l’artista aveva fatto sbozzare il blocco

a suo piacimento dai cavatori di pietra, l’artista stesso avrebbe poi rifinito con i vari particolari il

resto dell’elefante o di qualsiasi altra scultura. Dico questo, e ritorno a citare mio padre, perché,

oltre che pastore, era un cavatore di pietre e spesso ha cavato pietre di dimensioni notevoli sia per

costruzioni, sia per dei sarcofaghi in peperino per il cimitero di Bomarzo, e sia per conto di diversi

artisti che gli ordinavano blocchi da scolpire; una volta cavato il blocco, buona parte del lavoro di

sbozzatura commissionata dall’artista l’aveva fatta lui, e l’artista poi aveva rifinito la statua da

realizzare. Quindi credo che anche nel parco le sbozzature erano fatte da gente che avrebbero

risparmiato la fatica maggiore agli artisti, e ho sempre detto a mio padre che, come nel ciclismo

esistono i gregari per spingere il campione al traguardo, lui, nei sui tempi, era un “gregario della

pietra”.