Il rischio di un maggioritario senza i due poli tradizionali · Il rischio di un maggioritario...

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Direttore aRTURO DiaCOnaLE Giovedì 9 Marzo 2017 Fondato nel 1847 - anno XXii n. 47 - Euro 0,50 DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1 DCB - Roma / Tariffa ROC poste italiane Spa Spedizione in abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI delle Libertà ROMITI A PAGINA 5 Gli asini del M5S volano sempre più in alto POLITICA SCHIAVONE A PAGINA 3 I Cinque Stelle che querelano con “Google Search” PRIMO PIANO A PAGINA 4 Siae: un monopolio destinato a continuare ECONOMIA L’Ue contesta l’Italia per i pochi rimpatri L’Unione rimprovera il nostro Paese per l’esiguità dei rimpatri dei migranti clandestini ma il Governo si difende rilevando che senza adeguati finanziamenti da parte di Bruxelles l’impresa è impossibile CULTURA Teatro Eliseo, due spettacoli da non perdere D’ALESSANDRI e RAPONI a pagina 7 conto del contesto in cui si svolge. All’avvio della Se- conda Repubblica il conte- sto, provocato dal crollo della Prima e dalla spinta popolare a cambiare pa- gina, impose il maggiorita- rio. Oggi lo stesso contesto spinge per il ritorno al pro- porzionale. E non perché nel frattempo il fallimento del maggioritario abbia ri- portato alla luce i presunti vantaggi del proporzionale ma, più semplicemente, perché le mutate condizioni politiche hanno provocato una fran- tumazione delle tradizionali coali- zioni di governo della Seconda Repubblica che rende fatalmente au- tomatico il ritorno al sistema dei I nemici del proporzionale denun- ciano i danni provocati da un si- stema che può provocare instabilità cronica e la diffusione incontrollabile del finanziamento illecito ai partiti con annesse corruzione e illegalità diffuse. I nemici del maggioritario re- plicano ricordando che i danni causati dal sistema dei premi di maggio- ranza alle coalizioni provocano la moltiplicazione dei gruppi e grup- petti parlamentari, la transumanza di massa di voltagabbana da un partito all’altro e, di conseguenza, l’esplo- sione del finanziamento illecito con il solito danno collaterale della cor- ruzione e della illegalità diffuse. Ma la disputa sul sistema migliore appare del tutto sterile se non si tiene di ARTURO DIACONALE Il rischio di un maggioritario senza i due poli tradizionali primi decenni dell’Italia repubbli- cana. Si illudono, infatti, quanti pen- sano che sia sufficiente dare vita a una legge elettorale contenente un premio di maggioranza alle coalizioni per rimet- tere in piedi il bipolarismo scomparso o creare le con- dizioni affinché dal tripo- larismo si arrivi alla formazione di un governo stabile. Questa illusione si fonda sulla convinzione che fissata la soglia del premio di maggioranza al 40 per cento per le coali- zioni, si ritorni automati- camente a dare vita a un polo di centrodestra e a uno di centrosinistra in grado di competere con quello gril- lino per la conquista del diritto a go- vernare il Paese. Esiste qualcuno in grado di ga- rantire che basti il premio di mag- gioranza alla coalizione con il qua- ranta per cento per garantire la ri- composizione della sinistra italiana divisa tra Pd renziano (sempre che ri- manga tale), scissionisti e ultra sini- stre varie? E sul fronte opposto è ipotizzabile che un centrodestra di- viso tra sovranisti populisti e liberal- riformisti possa ricompattarsi prima di conoscere dal voto popolare quali siano i reali rapporti di forza tra le diverse componenti? Non c’è il rischio che nella fran- tumazione del centrosinistra e del centrodestra l’unica forza capace di presentarsi al Paese in grado di spe- rare nella quota quaranta per cento per conquistare il premio di maggio- ranza sia il Movimento di Beppe Grillo e dei suoi dilettanti allo sbara- glio?

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  • Direttore aRTURO DiaCOnaLE Giovedì 9 Marzo 2017Fondato nel 1847 - anno XXii n. 47 - Euro 0,50

    DL353/2003 (conv. in L 27/02/04 n. 46) art.1 comma 1

    DCB - Roma / Tariffa ROC poste italiane Spa Spedizione in abb. postale QUOTIDIANO LIbERALE PER LE gARANzIE, LE RIfORmE ED I DIRITTI UmANI

    delle Libertà

    ROMITI A PAGINA 5

    Gli asini del M5S

    volano sempre più in alto

    POLITICA

    SCHIAVONE A PAGINA 3

    I Cinque Stelle

    che querelano

    con “Google Search”

    PRIMO PIANO

    A PAGINA 4

    Siae: un monopolio

    destinato a continuare

    ECONOMIA

    L’Ue contesta l’Italia per i pochi rimpatriL’Unione rimprovera il nostro Paese per l’esiguità dei rimpatri dei migranti clandestini ma il Governosi difende rilevando che senza adeguati finanziamenti da parte di Bruxelles l’impresa è impossibile

    CULTURA

    Teatro Eliseo,

    due spettacoli

    da non perdere

    D’ALESSANDRI e RAPONI

    a pagina 7

    conto del contesto in cui sisvolge. All’avvio della Se-conda Repubblica il conte-sto, provocato dal crollodella Prima e dalla spintapopolare a cambiare pa-gina, impose il maggiorita-rio. Oggi lo stesso contestospinge per il ritorno al pro-porzionale. E non perchénel frattempo il fallimentodel maggioritario abbia ri-portato alla luce i presuntivantaggi del proporzionalema, più semplicemente,perché le mutate condizionipolitiche hanno provocato una fran-tumazione delle tradizionali coali-zioni di governo della SecondaRepubblica che rende fatalmente au-tomatico il ritorno al sistema dei

    Inemici del proporzionale denun-ciano i danni provocati da un si-stema che può provocare instabilitàcronica e la diffusione incontrollabiledel finanziamento illecito ai partiticon annesse corruzione e illegalitàdiffuse. I nemici del maggioritario re-plicano ricordando che i danni causatidal sistema dei premi di maggio-ranza alle coalizioni provocano lamoltiplicazione dei gruppi e grup-petti parlamentari, la transumanza dimassa di voltagabbana da un partitoall’altro e, di conseguenza, l’esplo-sione del finanziamento illecito conil solito danno collaterale della cor-ruzione e della illegalità diffuse.

    Ma la disputa sul sistema miglioreappare del tutto sterile se non si tiene

    di ARTURO DIACONALE

    Il rischio di un maggioritario senza i due poli tradizionali

    primi decenni dell’Italia repubbli-cana.

    Si illudono, infatti, quanti pen-sano che sia sufficiente dare vita auna legge elettorale contenente un

    premio di maggioranzaalle coalizioni per rimet-tere in piedi il bipolarismoscomparso o creare le con-dizioni affinché dal tripo-larismo si arrivi allaformazione di un governostabile. Questa illusione sifonda sulla convinzioneche fissata la soglia delpremio di maggioranza al40 per cento per le coali-zioni, si ritorni automati-camente a dare vita a unpolo di centrodestra e auno di centrosinistra in

    grado di competere con quello gril-lino per la conquista del diritto a go-vernare il Paese.

    Esiste qualcuno in grado di ga-rantire che basti il premio di mag-

    gioranza alla coalizione con il qua-ranta per cento per garantire la ri-composizione della sinistra italianadivisa tra Pd renziano (sempre che ri-manga tale), scissionisti e ultra sini-stre varie? E sul fronte opposto èipotizzabile che un centrodestra di-viso tra sovranisti populisti e liberal-riformisti possa ricompattarsi primadi conoscere dal voto popolare qualisiano i reali rapporti di forza tra lediverse componenti?

    Non c’è il rischio che nella fran-tumazione del centrosinistra e delcentrodestra l’unica forza capace dipresentarsi al Paese in grado di spe-rare nella quota quaranta per centoper conquistare il premio di maggio-ranza sia il Movimento di BeppeGrillo e dei suoi dilettanti allo sbara-glio?

  • Un amico mi ha posto la do-manda: “Ma i Pm che indaganosu Consip e Tiziano Renzi sono delPartito dei Magistrati?”.

    La risposta è sicuramente sì. Ma inrealtà c’è molto altro da aggiungere,perché questo è un punto nodaledella nostra realtà politico-istituzio-nale. Né basta aggiungere: “Chi ditoga ferisce (e ingrassa), di toga peri-sce”.

    Quello che sta venendo a galla inoccasione di queste cosiddette “Pri-marie” del Partito Democratico su-pera ogni previsione circa il ruoloinvasivo e l’arroganza del “Partitodei Magistrati”. Al contempo dà laprova che questo partito, oramaiconsolidatosi come partito-istitu-zione (in ciò precedendo d’assai iprogetti di “Partito della Nazione” diMatteo Renzi) subisce la sorte di unpo’ tutti i partiti italiani (quelli che

    c’erano e quello che è rimasto): in-crinarsi e dividersi in correnti e,magari, lanciare attorno schegge im-pazzite.

    Io non so se dire quanti dellamaggioranza “corporativa” del Pdmstiano alimentando la “campagna”Consip-Renzi e quanti, invece di unascheggia impazzita, che, in effetti,pure vi ha messo la sua sigla, lo stilee pure, a quello che sembra, unasorta di sua polizia “personale”. Nonso neppure se i media e i loro pa-droni puntino più sugli “effetti spe-ciali” delle imprese delle scheggeimpazzite o sulla solidità, durata e“buon fine” del lavoro della maggio-ranza corporativa del Pdm. Certo èche quello cui stiano assistendo èqualcosa di inimmaginabile in unPaese civile e sedicente libero e de-mocratico.

    È inutile ricordare che il Pd è,nella sua attuale “unicità” sullascena politica italiana, il frutto didue diverse ma connesse e coerenti“campagne” giudiziarie condottedalla magistratura: “Mani pulite” e“l’anti-berlusconismo”. Chi si illu-deva che, disarcionato il Cavaliere, ilPartito dei Magistrati avrebbe fattoun passo indietro e si sarebbe messoda parte, ha preso un granchio diquelli colossali.

    Oggi nelle vicende burrascose emelmose del Pd c’è una vetrina, nellaquale fanno bella mostra il Partitodei Magistrati, i suoi uomini, le suefazioni, le sue mostruosità. Non pre-tendo qui di farne un quadro com-pleto che renderebbe chilometricoquesto scritto.

    Emanuele Macaluso, vecchio (più

    di me!) comunista cristallino, garan-tista e diffidente verso la politica“processuale”, in una intervista a “IlMessaggero” ha finito per prorom-pere: “E ci mancava pure Emiliano”.

    Certo, la figura di questo stranopersonaggio è emblematica del ruolodel Partito dei Magistrati e della di-pendenza che il Pd ha finito per ac-quisire verso di esso. MicheleEmiliano, anzitutto, ha ingigantitol’importanza dell’intervento diretto epersonale dei magistrati in politica,non solo attraverso l’eliminazionedei politici veri, ma con l’occupa-zione di cariche istituzionali elettive,che fino a qualche tempo fa sarebbestato erroneo ritenere l’aspetto piùrilevante della politicizzazione dellamagistratura. Ma Emiliano rappre-senta anche un altro aspetto singo-lare, nuovo e poco meditato, diquesto fenomeno invasivo delletoghe: è la sedizione giudiziaria, an-cora tenue, ma significativa, che conlui si verifica. Emiliano sta violandole regole della corporazione dei ma-gistrati, che fanno divieto anche aquelli di loro che si trovino “fuoriruolo” (così la Corte costituzionale)per incarichi diversi, di appartenereformalmente a partiti politici. Emi-liano è fuori ruolo da tredici anni(prima come sindaco di Bari, poicome presidente della Regione Pu-glia). È iscritto al Pd e, benché sotto-posto per questo a procedimentidisciplinari, se ne infischia; non solo,ma del Pd vuole divenire segretario.In questi tredici anni ha sicuramenteottenuto almeno uno “scatto” a ca-tegoria superiore (e, quindi, a pen-sione superiore). Se è consentito ai

    magistrati (mettendosi fuori ruolo)di candidarsi in liste di partito e di ri-coprire cariche elettive, non è loropermesso di iscriversi a partiti poli-tici. Emiliano, lo ripetiamo, se ne in-fischia.

    Siamo, dunque, alla sedizione, chericorda quella di generali e ufficialidell’Esercito che sostenevano il fa-scismo nascente e si mettevano la ca-micia nera. Ma Emiliano ha purel’arroganza di contestare l’“incom-patibilità” con la candidatura alla se-greteria del partito al povero AndreaOrlando, il quale dovrebbe esercitarel’azione disciplinare proprio controlo stesso Emiliano. Grida al conflittodi interessi (che c’entra come i cavolia merenda). Un modo come un altroper minacciarlo: guai se l’azione di-sciplinare va avanti. Lui è un magi-strato e può fare quello che gli pare.

    Poi, naturalmente, c’è Renzi, cheal momento fa la parte passiva del si-stema politico-giudiziario-sputtana-torio. Sarà vero o no che già daquesta estate Massimo D’Alemaaveva annunciato agli amici che traqualche mese Renzi sarebbe caduto“per via giudiziaria”. Se così fossesarebbe ancora più grave. Orlando,lo abbiamo visto, è accusato niente-meno che di “conflitto d’interessi”dal “ribelle Emiliano”. Intanto sulPm anglo-napoletano Henry JohnWoodcock si è abbattuta la storiadella polizia “ambientalista” strana-mente usata nell’indagine “sul papàTiziano” e per la solita fuga di noti-zie.

    Insomma, il Pdm fa proprio bellamostra di sé nella vetrina di questevicende. Sarebbe ora di smetterla discherzarci sopra.

    Esposti e querele con il metodoGoogle. Metti il nome di RobertaLombardi da una parte e quello delcronista Jacopo Iacoboni de “LaStampa” dall’altra e ti vengono fuoridecine di articoli. Poi, senza neancheleggerli, li metti tutti insieme e fai unesposto all’Ordine dei giornalisti diRoma per propagazione di “notiziefalse e tendenziose”. Che consiste-rebbero nell’aver dato “notizia di ac-cuse che hanno danneggiato lareputazione e la dignità”.

    È questa la maniera a CinqueStelle di intimidire la stampa che licritica. E ieri è stato descritto sul sitode “La Stampa” da un esilarante ar-ticolo dello stesso Iacoboni, chespiega anche perché l’Ordine regio-nale del Lazio, lo scorso 6 febbraio,ha respinto al mittente il tutto: neldossier costruito con il motore di ri-cerca c’erano persino articoli cheparlavano di “cittadini lombardi”. Ecerto Google non fa differenza. Sepoi non ti leggi le ricerche…

    Il metodo postmoderno 3.0 del-l’intimidazione al diritto di cronacadei grillini è fatto così: è grottesco.Ma è altrettanto pericoloso. Ancheperché per loro lavorano intere retitelevisive che ormai non hanno più

    alcun pudore di celebrare ogni seraprocessi mediatici basati su stralci diverbali o intercettazioni ambientali,di solito anche di significato moltoambiguo. Se non equivoco. Ma fa-cendoli recitare ad attori, e interpre-

    tare da maestridel giustiziali-smo, costoro rie-scono nelloscopo di alzareun po’ l’audience

    e incutere timore a questoo a quel partito politico.

    Tra i sacerdoti di que-sta esegesi del nulla, oltrea noti giornalisti chehanno costruito la pro-pria fortuna sul giustizia-lismo, non mancano maiesponenti a Cinque Stelleche oramai dividono ilmondo tra buoni e cat-tivi. Giornalisti inclusi.Per fortuna che ognitanto il diavolo si dimen-tica il coperchio dopoaver costruito la pentola:l’esposto all’Ordine deigiornalisti di Roma dellaLombardi docet.

    Purtroppo però c’èpoco da ridere: chi nonha Dio dalla sua parte inquesta Italia dell’impazzi-

    mento globale come regola, prima opoi nella mannaia di questa gente ri-schia di caderci. E se questo può es-sere rassicurante per chi ha fatto delgrido bracardiano “in galera!” il pro-prio motto, per tutti gli altri c’è pocoda stare tranquilli. C’è anche unaparziale riprova.

    Questo clima sta esasperando gliavvocati e in genere gli esperti del di-ritto. Così che può capitare in un cre-dito formativo che una persona dirango come il presidente dell’Ordinedegli avvocati di Roma, parlando dierrori giudiziari, venga tradito da unlapsus freudiano chiedendo a granvoce il risarcimento. Ma da parte delgiornale che ha dato risalto all’in-chiesta. Invece che da chi l’errore, ri-portato a volte pedissequamente, loha generato. E cioè i Pm di questa oquella inchiesta, come avviene dinorma.

    3l’oPinione delle libertàPrimo Piano

    di roCCo SChiaVone

    giovedì 9 marzo 2017

    I Cinque Stelle che querelano con il motore di ricerca

    Direttore responsabile: ARTURO [email protected]

    Condirettore: GIANPAOLO PILLITTERI

    Presidente del Comitato dei Garanti:GIOVANNI MAURO

    aMiCi De l’oPinione soc. coop.Impresa beneficiaria per questa testata dei contributi

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    e successive modifiche e integrazioni.

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    Quotidiano liberale per le garanzie,le riforme ed i diritti civili

    Registrazione al Tribunale di Roma n. 8/96 del 17/01/’96

    CHIUSO IN REDAZIONE ALLE ORE 19,00

    di Mauro Mellini Magistrati in vetrina nelle vicende del Pd

  • In un editoriale dello scorso giugnoeravamo stati ottimisti: avevamopensato che fosse “la volta buona”,che il recepimento della direttiva eu-ropea sul mercato dei diritti d’autoreavrebbe rappresentato l’occasioneper scardinare uno degliultimi monopoli di Stato,quello della Siae.

    Ci eravamo sbagliati.L’ultimo Consiglio dei mi-nistri ha infatti approvatoun decreto legislativo che,a quanto si apprendedalla stampa, mantienel’esclusiva della Siae perla riscossione dei dirittid’autore in Italia. Resta,quindi, il monopolio at-tuale che consente soloalla Siae di incassare nelnostro territorio e poi re-distribuire - con moltacalma - i diritti d’autore.

    La conferma dell’esclu-siva congela l’Italia aglianni Quaranta, quando,in un mondo in cuil’espressione “nuove tec-nologie” designava appa-rati ben diversi da quellidi oggi, si era giunti apensare che la gestionedei diritti d’autore potesseessere in maniera più effi-ciente gestita da un solosoggetto.

    L’esclusiva limita gliartisti, che non possonoscegliere a chi affidare i propri diritti.

    L’esclusiva danneggia i consuma-tori, sui quali si scarica un costo diintermediazione che è tra i più altid’Europa.

    L’esclusiva è anche l’ennesimo se-gnale dell’isolamento di un Paese chepreferisce guardare al passato nell’il-

    lusione che sia possibile farlo senzarinunciare a tutti i vantaggi e le co-modità del presente. Siamo un Paesedove è più probabile che una personaabbia due telefonini che uno, dovemetà della popolazione usa Face-book, dove la principale forza poli-tica per consensi è un movimento

    nato su Internet. Pensiamo però cheogni volta che le nuove tecnologierendono obsolete le vecchie regola-mentazioni, consentono l’accesso dinuovi operatori al mercato, stimo-lano insomma l’intraprendenza el’imprenditorialità, valga la pena ral-lentarne la diffusione. E abbiamo poi

    la faccia tosta di lamen-tarci che le imprese ita-liane non sannodiventare protagonistedi questi mercati.

    È una lezione anchesul potere dei cosiddettigruppi d’interesse. Fa-

    cile vederne la mano quando succedequalcosa, in presenza di un adegua-mento normativo. Ma spesso sono lecose che non si vedono quelle cru-ciali: il mantenimento dello statusquo ha anch’esso, in prospettiva, deicosti.

    Il Governo italiano difende l’inso-stituibilità della gestioneunica collettiva dei dirittid’autore, ma i meccani-smi di sfruttamento eco-nomico delle opere siadeguano intanto, al-trove, alle nuove tecnolo-gie. Il monopolio per lagestione dei diritti d’au-tore è ormai caduto intutti gli Stati membri del-l’Unione europea tranneil nostro. Le nuove so-cietà per la gestione deidiritti sono sempre piùsolide e competitive, po-tendo agire all’estero inconcorrenza con even-tuali enti pubblici chenon hanno l’esclusiva.

    Da noi, resta il carroz-zone Siae.

    4 L’OPINIONE delle Libertà Economia

    a cura dell’ISTITUTO BRUNO LEONI

    giovedì 9 marzo 2017

    Siae: l’ottimismo della libertà, il pessimismo dell’esperienza

  • Martedì scorso Giovanni Floris,conduttore generalmente ca-pace ed equilibrato, nel corso del suotalk-show politico in onda su La7 hainscenato un vero e proprio processomediatico ai danni di Matteo Renzi edel renzismo privo di alcun contrad-dittorio.

    Ospitando una lunga serie di per-sonaggi ostili all’ex Presidente delConsiglio tanto per ragioni politicheche personali, tra cui Enrico Letta,Marco Travaglio, Tommaso Cerno,Michele Emiliano e Luigi Di Maio, ilpur ottimo Floris non ha scritto amio avviso una esaltante pagina diapprofondimento televisivo. Al con-tempo, ascoltando la lunga intervistadedicata allo stesso Di Maio, unita altono generale della trasmissione, si èavuta netta la conferma secondo cuil’emittente di Urbano Cairo si stiasempre più allineando su posizionifilo-grilline, assumendone in un certoqual modo il ruolo di grancassa me-diatica.

    Non mi spiegherei altrimenti l’ec-cessiva benevolenza con la quale Flo-ris e altri stimati conduttoriaccolgono le a dir poco deliranti af-fermazioni provenienti da un gruppodi miracolati politici a Cinque Stelle,tra cui il citato vicepresidente dellaCamera dei deputati. Affermazioni

    deliranti le quali mostrano un colos-sale deficit di realismo e che andreb-bero contestate con grande fermezzada chi ambisce a fare l’esame agliesponenti di un Movimento che si

    candida a governare il Paese. Non so cosa pensi intimamente

    Floris al riguardo, tuttavia vivendoin questo disgraziato Paese e pen-sando alla sempre più probabile

    eventualità di un Esecutivo grillino,nell’ascoltare le ultime proposte perrilanciare l’economia italianaespresse da Di Maio mi sono venutii sudori freddi.

    In soldoni, l’elegantone pentastel-lato ha spiegato in diretta televisivache con le seguenti tre mosse ben as-sestate torneremo a crescere in modoimpetuoso: reddito di cittadinanza,abbattimento della tassazione attra-verso i proventi della lotta alla cor-ruzione e istituzione di una bancapubblica per finanziare le piccole emedie imprese. Dopodiché “sarà trevolte Natale e festa tutto il giorno,ogni Cristo scenderà dalla croce eanche gli uccelli faranno ritorno”.

    Ma al di là delle facili battute, misembra evidente che Luigi Di Maioe soci non abbiamo la più pallidaidea, presentando simili proposte,della cornice sistemica in cui vor-rebbero esercitare la loro azione po-litica. In sostanza, non sanno dicosa stiano effettivamente parlando,sebbene il loro consenso tenda,quasi per una sorta di inerzia delladisperazione, a crescere. Evidente-mente molti cittadini comuni nonriescono a trovare nell’attuale of-ferta politica un’alternativa più cre-dibile alle promesse stile asini chevolano dei seguaci di Beppe Grillo.Asini che continuano a volare, ahi-noi, sempre più in alto.

    5l’oPiNioNe delle libertàgiovedì 9 marzo 2017

    Gli asini del M5S volano sempre più in altodi claudio RomiTi Politica

    L’inchiesta apparsa sul quotidianola Repubblica di martedì scorso,relativa ai rimborsi degli europarla-mentari, ha avuto un’eco non dipoco conto. Soprattutto perché adesserne immischiati sono anche varipolitici italiani, nonché esponenti dipeso dell’euroscetticismo in salsa na-zionalista; tra cui Marine Le Pen,Nigel Farage e Jarosław Kaczyński.Gli italiani, come detto, non man-cano all’appello in questa inchiesta.E i loro nomi pescano in una certatrasversalità politica, risultandonecoinvolti singoli eurodeputati delMovimento 5 Stelle, Forza Italia,Lega ed ex Pd.

    La frode consisterebbe nell’assun-zione di collaboratori con i soldi cheil Parlamento europeo mette a di-sposizione per tale scopo, ma poi im-piegati non come si dovrebbe negliuffici dell’Unione, ma in patria, nellestanze dei vari partiti di apparte-nenza.

    L’inchiesta è partita da controllieffettuati dall’ufficio preposto a que-sto scopo a livello europeo, ovveroda quell’European Anti-fraud Office(Ufficio anti-frode) istituito nel 1999da una decisione della Commissioneeuropea, presa in base all’articolo325 del Trattato sul funzionamentodell’Unione.

    La storia dei “furbetti del rimbor-sino” fa il paio con quella di altri fur-betti a cui noi, purtroppo, siamotristemente abituati sul suolo patrio:quelli del “cartellino”. Come gli ita-liani apprendono con una certa co-stanza dagli organi di informazione,non mancano inchieste relative a cla-morosi casi di assenteismo di dipen-denti pubblici. Da ultimo, solo percitarne uno, quello relativo ai 94 in-dagati del personale dell’ospedalepartenopeo Loreto Mare, tra cui fi-gurano anche 55 arresti.

    Il triste elenco di casi legati a di-pendenti che non dimenticano ditimbrare, ma di lavorare, potrebbecontinuare a lungo. Ne sono piene lecronache. E, come anche dichiaratodal procuratore reggente di Napoli,Nunzio Fragliasso, questo è un “mal-costume diffuso, non solo all’ospe-dale Loreto Mare”.

    Due indagini diverse ma che pre-sentano degli aspetti interessanti e sucui forse vale la pena di riflettere. Nelcaso dei (presunti) “furbetti del rim-borsino” abbiamo visto che ad inter-venire è un organo che potremmo

    anche definire “interno”; ovvero,l’Ufficio anti-frode.

    Nel secondo caso, e per quanto ri-guarda i (presunti) “furbetti del car-tellino” di casa nostra, le cronache cidicono che ad intervenire è (pratica-mente sempre) la magistratura conl’ausilio delle forze dell’ordine. Dun-que, un organo “esterno”.

    Tuttavia ogni ente pubblico ha deidirigenti responsabili, e preposti, tral’altro, anche al controllo dei dipen-denti per il regolare funzionamentodel servizio. Possiedono strumenti le-gali atti ad intervenire rispetto acomportamenti relativi ad inadempi-menti contrattuali dei lavoratori adessi sottoposti. Non di rado, le cro-nache ci dicono che non siamo difronte a singole persone “furbette”,che potrebbero, più o meno, “mime-tizzarsi” all’interno di contesti di unacerta grandezza. Ma a fenomeni di“massa”, piuttosto macroscopici.

    Senza fare alcuna illazione di pre-sunte “connivenze”, e sapendo checertamente le denunce alla magistra-tura partono anche da persone in-terne ai luoghi di lavoro, tra cui idirigenti, lascia comunque aperto ilproblema della “supplenza” di auto-rità “esterne”, le quali vanno a repri-mere i comportamenti devianti.

    Intendiamoci, non che non debbanofarlo, o che tra P.A. e magistraturanon debba esserci collaborazione,anzi! Ma a quanto pare chi è pagatoper vigilare come autorità “interna”non sempre appare in grado di svol-

    gere il proprio lavoro con la giustaattenzione.

    La riforma Madia, la quale si pre-figge di combattere tali pratiche at-traverso la sospensione in 48 ore elicenziamento (entro un mese) per

    chi viene colto a strisciare il badgeper poi andarsene a casa, si poggiaanche su un altro pilastro, non menoimportante: quello della responsabi-lizzazione della figura del dirigente.Il quale, se si “gira dall’altra parte”rischia a sua volta il licenziamento. Eche ciò sia avvenuto non fa altro chetestimoniare come il problema effet-tivamente esista.

    A meno che a qualcuno vengal’impossibile idea di far diventaretutto il pubblico impiego un enormePanopticon, dove a vigilare devesempre essere l’occhio della magi-stratura, con l’ausilio del braccio deicarabinieri, è necessario che chi vi èpreposto in posizioni apicali facciail proprio lavoro. È una questione dilegge, etica e responsabilità.

    L’intervento della magistraturanon può diventare, oltre che siste-maticamente sostitutivo, anche “de-responsabilizzante” nei confrontidei dirigenti, pagati per vigilare ereprimere rispetto a casi comequello dei “furbetti del cartellino”.A ognuno il suo lavoro. Uno deiprincipi su cui si basa il buon fun-zionamento delle organizzazionicomplesse è quello per il quale ognianello di esse svolga effettivamentela propria funzione. Se ciò non av-viene, se ci sono rotture nella ca-tena, il sistema rallenta, si blocca. Eche il nostro sistema pubblico nonfunzioni come dovrebbe è sotto gliocchi di tutti.

    I furbetti e i “guardiani”di Raffaele Tedesco

  • Premio della critica 2015 come mi-glior spettacolo, fiore all’occhiellodel Teatro Elicantropo con una no-tevole interpretazione di Imma Villa,è nuovamente a Roma “Scannasu-rice” di Enzo Moscato (Piccolo Eli-seo, fino al 19 marzo). Ce ne parla ilregista, Carlo Cerciello.

    Che cosa racconta?È la storia di un femminiello dei

    quartieri spagnoli che vive in una inuna sorta di pattumiera in mezzo aifeticci, ai rottami e ai topi, metaforadei napoletani, per i quali provaamore e odio. Egli è un simbolo uni-versale di incompletezza esistenzialeche può riguardare tanti di noi, nonsoltanto di diversità, che pure è trat-tata. Vive un eterno presente di pre-carietà, non appartenenza, con unpassato ormai oleografico e un fu-turo indefinito. Sta a mezza strada,“borderline” tra luce e buio, in unrapporto sacro e profano con lamorte e le leggende: c’è sempre unmodo per pescare in qualche altra re-altà per sostituire quella che non cipiace, che non possiamo sopportare.Questa credo che sia la grande lezionedi “Scannasurice”, oltre a essere untesto pieno zeppo di riferimenti, con-cetti, materiale magmatico per lamessinscena, attraverso un’affabula-zione che pian piano sfuma in undramma finale di solitudine.

    Qual è stato, all’epoca, il portatodi Enzo Moscato?

    Scritto subito dopo il sisma del1980, questo testo segnò l’irruzionedi Moscato nel teatro, e fu un terre-moto anche per noi perché ci indicòuna nuova possibilità; non soltantodrammaturgicamente, con uno

    sguardo oltre il detto e rappresen-tato, ma anche un’altra visione della“napoletanità”, non più edulcorata:un’indagine molto più profondanelle faglie dolorose del nostro esserecittadini di quella città. Per me eraindispensabile mostrare quel terre-moto che lui ha significato, e mi in-teressava anche tornare allemotivazioni per le quali ho iniziatoa fare teatro: Enzo Moscato, Leo deBerardinis, Antonio Neiwiller sono imiei massimi riferimenti.

    Rispetto al testo, che operazioneavete fatto?

    Gli artisti che hanno collaboratocon me alla messinscena sono tuttiamici fraterni, che hanno condivisoun progetto: abbiamo puntato aisegni fondamentali che vengonofuori dall’opera. Innanzitutto nontrattando soltanto dell’ambiguitàsessuale, ma di un inappagamento. Ilpersonaggio l’ho trasferito su un’at-trice, e questo già significa spostarsidal fatto che sia stato Moscatol’unico interprete. Poi l’attenzione siè concentrata - anche concettual-mente - sulla scena. È bello capirecome si arriva alla materializzazionedi un sogno, di un’idea; RobertoCrea, lo scenografo, mi ha detto:“Hai visto i quartieri spagnoli dal sa-tellite? Sembrano un labirinto”. Dal-l’alto, infatti, sono delle linee che siintersecano, per vedere devi scenderesempre più giù perché sono bui, ilsole non ci arriva e le persone che simuovono lì sembrano topi. Alloraabbiamo portato questa visione inverticale, e l’unico elemento in scenaè diventato tutto: stamberga, fogna-tura, cimitero, anche il senso crudodell’essere terremotato, di non averenulla. Ecco, questo è stato un modo

    per superare il gap fortissimo difronte a un testo dove Enzo è statoprotagonista e regista in scena, equindi non aveva bisogno di nulla. Ioinvece avevo una necessità di cen-

    trare e di costruire un personaggioche si muovesse nei concetti chestanno dietro il fiume di parole dellascrittura.

    Sull’esperienza dell’Elicantropo?

    Sono oltre vent’anni di attività. Ioavevo bisogno assoluto di un luogo,lavoravo ovunque, non mi è mai pia-ciuto dipendere da qualcuno e nonpensavo che mi sarebbe scoppiato inmano un teatro; c’era bisogno, fame,di una vetrina e anche di un rapportodiverso, ravvicinato, con il pubblico,che è anche un piccola autodifesa, amezza strada tra teatro e cinema. Ecosì lì è successo di tutto, sono venutii più grandi critici e abbiamo avutotanti riconoscimenti. Siamo in un vi-coletto del centro storico, con 38posti: abbiamo scommesso su noistessi, e la magia di quello spazio èstata la risposta a una coerenza cheabbiamo continuamente cercato;senza un occhio alla realtà che ti cir-conda, per me il teatro non esiste;senza una motivazione si parla ad-dosso, è vuoto narcisismo che nonserve a niente. Questa è sempre statala nostra strada, e forse ci ha pre-miati. Il teatro è sabbia, non stiamocostruendo nulla di speciale, perònon c’è niente di più grande del ritodell’uomo che parla all’uomo. Il no-stro fare teatro è vissuto come un’al-tra realtà - sospesa tra vita e morte,dove tutto è possibile - nella quale lospettatore identifica i segni e i signi-ficanti che poi criticamente sviluppaper sé, sogna e fa quello che gli pare.Non c’è bisogno di una drammatur-gia per forza lineare, né della storiel-lina, il teatro è il luogo del simbolo;faccio sempre un esempio ai miei al-lievi, all’accademia: quando vediamole opere anche più naturalistiche,come Totò in “Miseria e nobiltà” chesi mette i maccheroni in tasca, cos’èquello, se non un gesto simbolico?Credo che sia fondamentale, ed Enzoha rappresentato questo per noi.

    In una stagione in cui le migrazionirappresentano un tema sempre piùstringente anche per l’agenda poli-tica, il problema dell’integrazione siriversa inevitabilmente su tutti i pianidella vita pubblica dei cittadini, dovela scuola rappresenta uno dei mo-menti chiave di questo fenomeno. Leclassi di oggi sono un crogiuolo dimondi, di tradizioni, di razze e credireligiosi differenti e spesso conflig-genti. E la ricerca di un equilibrio al-l’interno di questo puzzle risulta ungioco sempre più delicato, una mis-sione per veri “funamboli”.

    Il nuovo spettacolo “L’ora di rice-vimento – Banlieue” di Stefano Mas-sini, per la regia di Michele Placido,interpretato da Fabrizio Bentivoglionel ruolo principale, parte proprio daquesta osservazione della realtà, por-tando in scena le dinamiche di cui è“vittima” il professor Ardeche, inse-gnante di lettere nella scuola di LesIzards, banlieue di Tolosa. Inevitabileappare il rimando al film La classe -Entre les murs, Palma d’Oro a Can-nes nel 2008 in cui si racconta l'espe-rienza di un insegnante alle prese conuna difficile classe di una scuolamedia.

    Ardeche è un uomo cinico, disil-luso, caratteristiche probabilmenteacquisite, o forse, perché innate, talida consentirgli una permanenza su-periore ai trent’anni in una scuolaconsiderata l’anticamera dell’In-ferno. Ardeche è un osservatore at-tento e spietato, appassionato diVoltaire e Rabelais. Ogni anno asse-gna un soprannome a ognuno deisuoi studenti a seconda di quelle chelui individua come caratteristichepreminenti del soggetto: ci sono così

    “raffreddore”, il “boss”, il“bodyguard”, l’“invisibile”,la “campionessa”. Nell’ora diricevimento settimanale, ilgiovedì dalle 11 alle 12, il pro-fessore è rassegnato a sentirele lamentele (per lo più è diquesto che si tratta) dei geni-tori dei suoi studenti, questaumanità assortita, spesso in-nescate da problemi di credoe tradizione.

    Ardeche, dal canto suo,cerca di tenersi a galla in que-sto caos proprio grazie al suospietato disincanto. L’incontrocon il nuovo supplente di ma-

    tematica rappresenta molto efficace-mente due mondi in conflitto fraloro: da una parte lui, ormai rasse-gnato e stanco di fronte a dinamichenote, dall’altra il giovane professore,animato dal “sacro fuoco” della pas-sione, di chi ha appena iniziato evuole rendere il mondo migliore. Eanche quella scuola di periferia. Soloverso la fine Ardeche viene colto daidubbi sul proprio operato, ma sitratta solo di un sogno passeggeroche non andrà ad alterare la sua con-solidata routine.

    Al Teatro Eliseo fino al 26 marzo,“L’ora di ricevimento” offre un’oc-casione di riflessione importante,anche se non approfondisce, rima-nendo in superficie e mostrando unmosaico di scenette a volte estreme,quasi caricaturali, senza mai affron-tare con il dovuto pathos il problemadell’integrazione con cui anche lamoderna scuola italiana è chiamataa rapportarsi quotidianamente.

    7L’opinione delle Libertà

    di eLena d’aLeSSandri

    di Federico raponi

    giovedì 9 marzo 2017

    Nella topaia di un femminiello, “Scannasurice” torna a Roma

    Cultura

    Scuola e integrazione ne “L’ora di ricevimento”

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