IL RILIEVO TOPOGRAFICO IMPOSTAZIONE GENERALE DEL RILIEVO TOPOGRAFICO.
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Elena Di Filippo Balestrazzi
IL RILIEVO STORICO
Nonostante la natura politicamente rilevante di questo centro e i non pochi momenti storicamente cruciali per la sopravvivenza sua e dello stesso impero romano, una storia del rilievo di rappresentanza, cioè del rilievo storico, ad Aquileia, non solo non è ancora mai stata scritta, ma è anche dubbio che si possa effettivamente scriverla, per la frammentarietà dei monumenti rinvenuti quasi sempre avulsi dal loro originario contesto 1
• Forse per questa ragione solo alcuni dei documenti qui presi in considerazione, per lo più apparsi in citazioni piuttosto schematiche nell'enunciazione dei problemi e dal punto di vista del loro insieme, della loro continuità/discontinuità in rapporto con la dinamica degli avvenimenti, possono essere intesi con assoluta certezza come rilievo storico, mentre di altri si può discutere con più incertezza, sulla base della recente chiarificazione di Mario Torelli su tale argomento. Egli, infatti, distingue il vero e proprio rilievo narrativo, ove si descrive con immagini un particolare evento o una sequenza di eventi diversi, dal rilievo, per il quale si userebbe "impropriamente" il termine "storico", piuttosto teso a rappresentare "uno status o una funzione e in ultima analisi le qualità morali inerenti a tale status" 2
•
Si possono così propriamente e per ragioni diverse definire storici il rilievo del sulcus primigenius 3, quello con scena di sacrificio 4, quello della "Pompa del magistrato" 5 e l'ara alla triade Capitolina e a
H0Lsc1-1ER 1994. Sulla questione del linguaggio figurativo romano e il rilievo storico si rimanda ai contributi di O. J. Brendel ( I 982), di P. H. von Blanckenhagen ( 1942) e di R. Bianchi Bandinelli (1969) e di autori quali F. Coarelli (1967), M. Torelli (1998), P. Zanker (1989) e di T. Holscher (2002) con la loro ricchissima bibliografia e le dottissime e fondamentali analisi nei loro vari lavori.
TORELLI 1992; TORELLI 1998. BRUSIN 1931, pp. 472-475; BRUSJN 1956, P- 8, fig. 2; SCRJNARI 1972, p. 193, 11.
600; BoRDA 1972, pp. 77-78; voN HE1NTZE 1977, p. 720; BEsc1-11 1980, pp. 376-381, fig. 9; Sc1-1AFER 1989, p. 106, nt 220; BoNETTO 1998, p. 167, fig. 101; Postumia 1998, p. 514; Roma 2000, pp. 272-273.
4 ScR1NAR1 1972, p. 209, 11. 9, fig. 12; BEsc1-11 1980, p. 381, fig. 356. CoRT1Nov1s 1799; MAJONJCA 19 I I, p. 60, 11. 64; PouLSEN 1928, pp. I 6- I 8, tav.
XIX; BRus1N I 929, p. 125, n. 31, fig. 77 CALDERJNJ 1930, pp. 280-281; FoRLATJ TAMARO
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Marte 6, ognuno diverso nel proprio genere, ma ricordare anche, seppure forse impropriamente, una serie di rilievi, che possono stare loro a fianco, tenendo presente il significato di certe immagini e personificazioni di concetti astratti o di elementi naturali, che celavano veri e propri programmi politici.
IL RlLIEVO DEL SULCUS PRJMJGENJUS
Il rilievo del sulcus primigenius (fig. 1 ), è forse il monumento più coinvolgente del museo aquileiese. In manno, ricomposto da due frammenti, è un unicum, a meno che non gli si affianchi il frammento con bovidi del museo di Treviso 7
. Ancora oggi i padroni del fondo, in
Fig. 1. Aquileia. Museo Archeologico. Rilievo del sulcus primigenius.
1933-34, cc. 38-40, fig. 59; SrnJNARI 1972, p. 196, n. 614; ZuccoLO 1974-75, cc. 391-396; voN HEINTZE 1977, p. 721; WEBER 1978, p. 46 ss.; BEscH1 1980, pp. 396 e 409, fig. 31; D, F1L1PPO BALESTRAZZI 1985, cc. 337-360.
6 BRus1N 1934), pp. 73-75, fig. 39; BRus1N 1956, p. 103, fig. 56; ScR1NAR1 1972, p. 182, n. 558; BEscH1 1980, p. 394; D, F1uPPO BALESTRAzz1 1997, p. 1065, 10, n. 249.
7 Per tale accostamento Sc1-1AFER 1989, p. I 06, nt. 220. Per il rilievo di Treviso CoLETT1, MENEGAzz, 1959, p. 10; GALLIAzzo 1982, p. 214-216, n. 78.
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cui fu rinvenuto, ricordano l'emozione di quel ritrovamento, quando, nel lavorare il campo, ci s'imbatté in "un ammasso di fondazione d'età tardo-romana", sul quale la lastra marmorea, rotta in più pezzi e con tracce di fuoco, "volta ali 'insù", era stata riutilizzata, quando forse si era ormai perso il senso del suo racconto sulle origini di Aquileia 8
• Il luogo era una sparagiaia in un terreno segnato con il numero catastale 573/3 (fig. 2), appartenente alla famiglia Biasoli, contiguo a quel 574/2 ricordato dal Brusin 9, che corrisponde piuttosto all'area ove fu costruita la casa. Il fregio corre nella parte superiore della lastra, inferiormente strutturata in due fasce, una gola rovescia e un listello piatto, che nella sua parte superiore dà origine, in bassissimo rilievo, al piano di calpestio, su cui incedono i sei uomini e la coppia d'animali, che animano la scena, disposti contro uno sfondo neutro. Il limite superiore è costituito da un listello, sopra il quale doveva correre un blocco con la stessa incorniciatura della parte sottostante. Nessuna cornice chiude ai lati il rilievo, così che si può pensare che la narrazione dell'evento continuasse su altre lastre. In questa a noi rimasta è, infatti, rappresentata parte di un corteo, incedente verso sinistra, formato da una prima figura maschile, che indichiamo come (A), seguita da due animali aggiogati e trascinanti un aratro 10, dietro ai quali stanno una figura (B), che ha la sua mano sulla stiva dell'aratro, e un gruppetto di altri quattro uomini (C-D-E-F). Il personaggio che chiamiamo (C) sembra trattenere per il braccio (B) mentre gli altri due non sembrano direttamente impegnati in azioni particolarmente legate alla coppia di animali, comunque attenti a ciò che i primi stanno facendo, pur se (D) ed (E) parlottano tra loro.
Fin dal suo ritrovamento s'interpretò la scena come il racconto del momento in cui era stato tracciato il solco, che aveva dato origine alla città. L'evento rappresentato s'incentra, infatti, su un bue ed una vacca, che, aggiogati all'aratro, per essere adorni di ricchi finimenti, condotti ed accompagnati da personaggi in toga, non possono spiegarsi con una normale aratura. Il tipico frontale, di solito metallico, con cui si adornavano gli animali quando erano avviati al sacrificio 11
, evidenzia la sacralità della coppia di animali (fig. 3). Lo vediamo, ad esempio, secondo un uso che continuò nel tempo, ornare animali in un fram-
Ringrazio la famiglia Biasoli che mi ha permesso di vedere il luogo e ha ricordato con me i momenti del ritrovamento.
Il dato è stato accertato da Luisa Bertacchi, che qui ringrazio, in occasione dello studio per la nuova Carta Archeologica di Aquileia.
" Il Brusin aveva letto male la natura di uno degli animali."
TouTAIN 1877, pp. 973-980.
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Fig. 2. Resti di muro e rilievo nell'asparagiaia Biasioli (particella cat. 574/2) (da BERTAcc1-11 2003, tav. 37).
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Fig. 3. Aquileia. Museo Archeologico. Particolare della figura A. In evidenza i frontalini dei due animali.
Fig. 4. Ara Pietatis di Villa Medici. In evidenza il frontalino del toro.
mento augusteo di lastra Campana del Museo Nazionale Romano, in un rilievo di Villa Medici a Roma, che faceva parte dell'Ara Pietatis
(fig. 4), e nel piccolo fregio dell'arco di Traiano a Benevento. È un particolare assai comune, anzi consueto anche in momenti rituali diversi da quelli riguardanti un rito sacrificale 12
• Il Brusin aveva già dettaglia-
" fLEss I 995, tav. 5, 2 e p. I, cat. 22, I, tav. 36, cat. 28, tav. 38, 2.
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Fig. 5. Aquileia. Museo Archeologico. Rilievo del sulcus primigenius. Particolare B-C, in evidenza il rallum, la stiva e l'aratro.
tamente descritto e commentato i particolari di questa sezione del rilievo, dalla stiva, che è il braccio per la guida dell'aratro, al bure, che è il timone dell'aratro, al rallum, che è il raschietto per la pulitura del vomere, tenuto nella mano destra del personaggio (B) (fig. 5). Non meno significante è l'abbigliamento di questo, che porta la toga raccolta intorno alla vita 13• Egli si direbbe quindi abbigliato secondo l'uso di Gabii, incinctus ritu Gabinio, una norma che Catone stesso ricorda prescritta per i conditores civitatis 14• Un particolare anomalo, notato fin dall'inizio dagli studiosi, ma che si vorrebbe arrivare a spiegare, è che il lembo della toga non era portato a coprire il capo dell'aratore. Non così sono abbigliati gli altri personaggi. Chi scolpì il rilievo ebbe cura di ritrarre ognuno di essi nell'atteggiamento atto a rappresentare puntualmente l'evento. (A), che tiene la cavezza, si gira verso gli altri, evidentemente attento alle possibili indicazioni dei personaggi che seguono la coppia di bovidi (fig. 3). Questi si direbbero ormai fermi, a meno che, per il sopravanzare del bovide di sinistra, non si debba pensare, con il Brusin, che stessero per cambiare direzione. (C) tende, infatti, il braccio a trattenere (B), forse per "comunicargli" "qualche disposizione riflettente il tracciato dell'aratura" 15
• Anche la posizione dei personaggi che seguono è accuratamente diversificata: (D) ed (E) sono l'uno rivolto verso l'altro, (D) posto frontalmente con la testa
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13 BRus1N 1931, p. 474: toga allacciata alla vita a modo di cintura." CATo, Origines, fr. 18 Peter, I, 18, a Chassignet = SERv., Ad Aen., V, 755." BRUSIN 1931, p. 473.
Fig. 6. Aquileia. Museo Archeologico. Rilievo del sulcus primigenius. Particolare D-F.
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volta verso (E), guardandolo fisso in volto, mentre (E) è di tre quarti, la testa volta verso (D). I tre uomini appaiono l'uno vicinissimo all'altro. P iù distante era invece (F), che dà le spalle a chi osserva. Lo vediamo posto di 3/4, la testa di profilo sempre volta a sinistra, il braccio sinistro avanzato, come poteva essere avanzato il piede sinistro, qui coperto dal lungo risvolto della toga, il piede destro arretrato; altro indizio, che il fregio continuava su un'altra lastra. Né manca una certa differenziazione delle misure tra questi personaggi, leggermente più alti (B) ed (F) (figg. 5-6), della stessa altezza gli altri, non può dirsi se
per dare preminenza ai due più alti in carica, o se per un gioco stilistico volto a rendere più vivamente, evitando l'isocefalia, spazio e tempo, come già era tradizione nel rilievo storico romano.
Un gioco, quindi, di posizioni, che nel linguaggio artistico romano non è mai dettato dal caso, né da una semplice scelta estetica, anche se poi questa ne è un indubbio risultato. Quanto più chiaro era il ruolo di ognuno, tanto più veritiero appariva il racconto e viceversa. Con il modo in cui era indossata la toga, con i gesti e con la posizione delle figure si era qui, dunque, volutamente resa senza ambiguità la distinzione dei ruoli, quasi a spingere l'osservatore a interpretare egli stesso la funzione di ognuno, così come tentiamo di fare noi oggi. Dobbiamo o possiamo immaginare che in colui che guida l'aratro sia da riconoscere uno dei triumviri coloniae deducundae? Il Brusin si era anchechiesto chi fossero gli altri personaggi: coloni della nuova fondazioneche assistono al rito, o i quattuorviri, vale a dire i sommi magistratidella città, presenti nel momento dell'ampliamento della cinta urbana? 16
Come è ben noto, due furono i momenti della fondazione di questa città. Il primo fu quello ricordato da Tito Livio con nomina dei triumviri P. Scipione Nasica, G. Flaminio e L. Manlio Acidino nel
16 8RUSIN193],pp.474-475.
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183 17 e la deduzione della colonia nel 181. Il secondo fu quando nel 169 T. Annio Lusco, P. Decio Subulone e M. Cornelio Cetego vi condussero nuovi coloni. Fu forse questo il momento in cui Aquileia ebbe una vera e propria cinta muraria, acquistando quindi quell'aspetto, che più e veramente si confaceva ad un insediamento romano, che meritasse la qualifica di città 18
• Ne sono testimonianza diretta tre epigrafi. Una, rinvenuta nel 1995 nella parte occidentale dell'area forense e datata agli ultimi anni del II secolo a.C., ricorda Annio Lusco, figlio di Tito; due recano invece il nome di L. Manlio Acidino. La più antica di queste ultime deve supporsi eretta in suo onore in tempi assai vicini alla fondazione della colonia. La seconda, incisa forse in un secondo momento 19 sulla sommità di una lastra architettonica rinvenuta non lontano dal foro 20 e datata al II secolo d.C. 21
, mostra come in città il ricordo del momento della fondazione fosse rimasto sempre legato ai triumviri del 181. Nell'iscrizione di Tito Annio Lusco, che pure celebra le operazioni più importanti della sua presenza ad Aquileia, quali la costruzione di un edificio sacro, l'aver redatto delle leggi e aver nominato il senato locale, non si fa, infatti, riferimento alcuno ad una qualsiasi forma di una nuova deduzione coloniale, ad un suo essere un triumvir coloniae Aquileiae deducundae 22
• Si può allora dare per certo che il fregio del sulcus fosse destinato a celebrare il momento della prima fondazione, eseguita secondo il rito, che, preso dal mondo etrusco, la tradizione attribuiva a Romolo, in netta contrapposizione ai riti preurbani degli insediamenti laziali ( da Roma a P raeneste a AlbaLavinio-Roma-Ardea), quasi a sottolineare il confine tra pre- e protourbanizzazione nel mondo italico 23
•
Come è noto, per la fondazione della città, dopo la scelta del luogo dettata da "criteri umani", veniva chiesto il permesso divino
" Liv., XXXIX, 55, 5-6; XL, 34, 2-4; XLIII, 17, l .18 Non così STRAZZULLA 1989, pp. 205-214; ora BERTACCHJ 2003, pp. 19-26. 19 BERTACCJ-111980,p.141,fig.114;DEMARIA l 988b,p.47. 20 BRus1N 1935, cc. 29-34; LosERJ RuARO 1961, p. 16. 21 BERTACCHJ 1989, cc. 68-70, tav. III; DE MARIA 1988b, pp. 42-48; Postumia
1998, p. 514, V. 27. " Postumia 1998, p. 514, V. 27; ZACCARIA 1998, c. 443.23 VARR., de lingua lat., V, 143: "Nel Lazio molte città erano fondate secondo la
tradizione rituale etrusca: si tracciava cioè un solco con l'aratro, a cui erano aggiogati un toro e una vacca, così da munire la città di una fossa e di un muro (si faceva questo in un giorno indicato dagli aruspici). Il solco scavato era chiamato fossa, la terra accumulata all'interno murus. Ciò che si trovava al di là di tale perimetro era l'orbis, ovvero il principio della città, che era detto postmerium, perché veniva a trovarsi dietro il muro". CARANDJNJ 1997; Roma 2000, pp. 272-282.
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d'insediarsi nell'area. Le procedure erano tutt'altro che semplici. Quattro i momenti preliminari. Indispensabile era l' inauguratio dei luoghi, che vedeva la consultazione della volontà divina in Aree da parte degli auguri 24, il secondo la liberazione del luogo attraversosacrifici, il terzo la sua delimitazione, dopo aver eliminato quanto, naturale o meno lo ingombrasse, spianando anche il suolo, il quarto era "effari" il luogo, vale a dire, "certis verbis definire" 25
• Questo era insostanza l'ultimo atto prima della costruzione del templum minus, in genere un "primo provvisorio e rudimentale recinto, fatto dagli auguri stessi, a cui doveva succedere la costruzione definitiva" 26 e che, nel caso della fondazione di una città, era sostituito proprio dal limite pomeriale tracciato con l'aratro. Questo dunque il momento e l'azione descritti nel rilievo, giacché, se si dà credito agli studiosi che se ne sono occupati, non sembra che nella cerimonia per l'allargamento o comunque lo spostamento del pomerio, come doveva essere accaduto ad Aquileia con la venuta dei triumviri del 169, si rinnovasse la cerimonia dell'aratro. Né questa deve essere confusa con l'erezione delle mura, giacché si è più volte affermato come nella fondazione di una città potesse esistere un pomerio senza muro così come un muro senza pomerio 27• Una precisazione necessaria, se è vero che al momento della fondazione il perimetro delle mura di Aquileia non era stato completato e la delimitazione della città dovette essere assicurata dal solo pomeno.
Pur non potendo accantonare ogni dubbio, pensiamo dunque che la cerimonia dell'aratro a cui stiamo assistendo fosse proprio quella presieduta dai triumviri del 181 e che colui che sta all'aratro sia proprio L. Manlio Acidino. A rileggere poi i testi e confrontare le testimonianze degli autori antichi con la sintassi compositiva del rilievo, le posizioni e i gesti lì descritti, si può anche capire quale tra i tanti momenti della cerimonia lo scultore e il suo committente abbiano voluto rappresentare. Per la fondazione di Roma, dopo aver raccontato
dell'ecista, che "attacca all'aratro un vomere di rame e aggioga un maschio e una femmina" e li guida, "seguendo una linea circolare, a tracciare un solco profondo";
24 CATALANO 1960, p. 280.25 FEST., 157; CATALANO 1960, p. 289.26 CATALANO 1960, p. 288. Si tratta di una complessità di rituali difficili che non
furono propri solo di Roma. Cfr. anche MAGDELAJN 1970. 27 CATALANO 1960, p. 389, n. 163. Problema ancora aperto anche per Roma:
CARAND1N1 1997, pp. 632-633; Roma 2000, pp. 119-124.
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degli uomini che lo seguono e che hanno il compito di ributtare all'interno le zolle di te1Ta che l'aratro solleva, in modo che nessuna resti all'esterno; del solcos con cui "si determinano le mura della città" e del suo nome contratto 'pomerio', che vuol dire 'dietro' o presso o 'dopo il muro'. Plutarco 28 non trascura di dirci che là dove si deve aprire una
porta "il vomere viene estratto ed è sollevato anche l'aratro, così da creare un'interruzione nel solco. Perché tutta la cinta di mura è considerata sacra, a eccezione delle porte. Se, infatti, si dovessero considerare sacre anche le porte, non si potrebbero far passare attraverso esse, senza suscitare la collera divina, né le cose necessarie che entrano nella città, né le cose impure che da questa sono allontanate". Ci viene così da pensare che nel rilievo si sia proprio voluto rappresentare quel momento in cui, "aratrum suspendentes circa loca portarum" 29 se ne preparava lo spazio. Per questa ragione, dopo aver animatamente discusso (D ed E) e deciso il punto dell'accesso alla città, il personaggio (C), richiamando l'attenzione di (A), che si volge a guardarli, trattiene per il braccio B, che, mano sulla stegola dell'aratro, sta alzando il vomere, che vediamo non affondato nel ten-eno, preparandosi con il rallum, tenuto alto con la mano destra, a pulirlo della ten-a. Nan-ando dunque con scena continua lo svolgimento del rito della fondazione della colonia latina di Aquileia, se ne citava contemporaneamente il momento della definizione dell'accesso alla città. Se fosse giusta tale lettura, poiché tra gli aspetti più importanti da indagare relativi a questo rilievo un posto rilevante deve averlo la morfologia del monumento, a cui appartenne il fregio, vi sarebbe un dato in più per accettare l'ipotesi del Brusin che il frammento appartenesse al fregio di un arco o di una porta. Fregi simili potevano decorare sia monumenti pubblici, che riservavano spazio anche a piccoli rilievi, sia monumenti privati per la consueta autocelebrazione di magistrati ed altri personaggi romani. Per forma e dimensioni il rilievo rientra in quella classe di piccoli fregi, in genere posti nelle parti più interne di certi monumenti, con sequenze che precisano temi contestuali all'evento celebrato dal monumento, per lo più cortei cerimoniali. Pensiamo, come già la Scrinari, al fregio della processione interna dell'Ara Pacis o al rilievo Ince Blundell Hall, o a certi altri fregi, ad esempio in monumenti rappresentanti una sella curulis, da quelli del Museo Nazionale Romano 30
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28 PLUT., Rom., XI, 2-5. Cfr. Liv. l, 44, 3. 29 SERY. Ad Aen., V, 755. 30 Scon RvBERG 1955, figg. 22 e 25; MNR, I. 2, n. 14.
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Fig. 8. Pianta di Aquileia. In evidenza i resti della porta meridionale (rielaborazione da BERTACCHI 2003, tavv. 30-31 ).
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a quello di Aquinum 31• Non aven
do altro a cui appoggiarci, una sollecitazione in più per capire quale potesse essere il tipo di monumento, di cui il fregio era stato parte, può venire proprio dalla sua provenienza. Cercare di discuterne potrebbe essere un puro esercizio di fantasia, dato che anche ad Aquileia tante sono le pietre che nel tempo viaggiarono, se quanto abbiamo finora detto non desse in un certo senso diritto ad argomentare su tutto ciò. Pur premettendo infatti che non sappiamo quale tragitto abbia potuto fare questa pietra dal luogo in cui era stata originariamente utilizzata, vale la pena di osservare che la particella catastale 574/2, in cui fu rinvenuto il rilievo, cade a ovest della c.d. via Giulia Augusta, non molto distante dalla linea dell'ampliamento delle mura di Giuliano l'Apostata, non distante dalla zona dell 'Anfi- Fig. 7. Pianta delle fortificazioni di
teatro, che "si trova a sud ovest del Aquileia (da BERTAcc1-11 2003, tav. II).
perimetro della primitiva città repubblicana, ma al di fuori di essa", cioè in quell'area che vide alla fine del II secolo d.C. le grandi distruzioni dell'età dei Quadi e Marcomanni e le conseguenti ristrutturazioni (fig. 7). Né certo sarebbe inutile riconsiderare i resti entro i quali esso fu trovato reinserendoli nel discorso delle struthire difensive tardo-romane della città. Può dunque darsi che la lastra non fosse finita molto lontano dal monumento per il quale poteva essere stata scolpita, né dal luogo, dove questo doveva ergersi, poiché è probabile che nelle vicinanze, sulla linea del pomerio, esistesse un varco che, programmato già nel momento del-1' aratura, architettonicamente definito già in età repubblicana, sia stata evidenziato in maniera più solenne e monumentale in età imperiale. A
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11 CoARELLI 1967, p. 59; ScHAFER 1989, tav. 27, 1-2.
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poca distanza dal luogo di ritrovamento correva la linea del lato meridionale della fortificazione della prima fase della Repubblica e non lontano si apriva la porta meridionale, a cui probabilmente appartennero due spezzoni di muro in mattoni, di cui uno, compattissimo, di 5 m. di spessore, individuato ad ovest dell'attuale sede della Cassa diRispannio 32 (fig. 8). È suggestivo pensare che il rilievo, con altrelastre, riproponesse alla memoria la fondazione di quest'accessomonumentalizzato o comunque riattato in un successivo importanteintervento di ristrutturazione, come era avvenuto per la porta orientaledi Aquileia già nella prima metà del I secolo a.C. e poi per porta Leonia Verona in età claudia 33• Questa potrebbe essere anche l'età del fregioaquileiese, poiché è sicuramente certo che il rilievo non può datarsi altempo della fondazione della colonia. Dire di più è certo rischioso,anche perché non si conoscono altri rilievi storici, che ripetano questotema seppure con toni e stili diversi, ma per certi particolari stilistici,quali il modo di trattare volti e capelli, il gusto di rendere con un riccofraseggio le toghe dei personaggi che assistono al rito, ci sembra cheesso possa ascriversi proprio all'età claudia. Gli schemi sono giocatinel consueto contrasto delle posizioni dei vari personaggi, scanditi ingruppi, ai quali, diversamente ritmati nello spazio, è affidata la cadenza del racconto e il colloquio tra i diversi attori della scena. Un confronto è, nel rilievo di Ince Blundell Hall, il particolare dei tre personaggi costruiti con il triplice schema di un personaggio disposto di profilo, uno posto di fronte, che sembra emergere dal fondo, il terzo dischiena. Questa tipicità dei moduli compositivi contrasta con l'inspiegata unicità del tema, se togliamo il rilievo di Lucera di incerta letturae il frammento con i due bovidi del Museo di Treviso 34
, e questa unicità, d'altra parte, contrasta con l'insistito ricordo di tale atto rimastonelle testimonianze scritte, sia letterarie sia epigrafiche. Basta ricordare i cippi di Capua, con la menzione del tracciamento del solco e ildocumento di Julia Genetiva, che ne restituisce nella sua interezzal'importanza, specificando ciò che non era concesso fare una volta checon l'aratro fossero stati fissati i limiti della città: "Ne quis intra finesoppiddi colon(iae)ve, qua aratro circumductum erit ... " 35
• Può tutto ciò,
32 BERTACC1-11 2003, tav. 37, n. 51, p. 41 e tav. 36-37, n. 116; tavv. III e Il, cfr. l'a-rea C della carta delle fotiificazioni tavv. pp. 30 (n. 34) e 31 (nn. 34-36), p. 21.
JJ BucH1 1987, pp. 36-37; CAVALIERI MANASSE 1987, pp. 4-12. 34 Forse un semplice pastore con pecora. G1FuN1 1939, p. 26; B1ANC1-11 BANDINELLI
1969, p. 27, fig. 30. li richiamo in CATALANO 1978, p. 438, nt. 162. Per il frammento di Treviso v. supra nt. 9.
'' CIL X, 3825 = ILS 6308 = ILLRP 482; Roman Statutes 1996, I, pp. 393-454; inparticolare par. LXXIII.
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insieme con i dati sopra esposti sul luogo del ritrovamento, aiutare a capire meglio non tanto le ragioni dell'unicità del rilievo aquileiese, quanto quelle della scelta di celebrare l'atto della fondazione citando quello specifico momento rituale, che era la determinazione di un accesso e del monumento che decorava? Portano a questa datazione, tra l'età tiberiana e l'età di Claudio, più a questo momento che al primo ( cioè tra il 41 e il 54 ), le caratteristiche stilistiche di certi particolari: un gusto meno algido di quello consueto nell'età augustea, la stessa composizione delle scene, l'impostazione delle teste, la loro forma piuttosto squadrata, le capigliature (figg. 2-6), la trattazione dei panneggi. Il giudizio del Beschi, che definisce questo rilievo come un lavoro "non aulico", punta il dito su un aspetto dell'arte veneto-romana, i cui artigiani, abituati alla dura pietra d' Aurisina, seppero trattare contenuti tipici della tradizione scultorea colta, rileggendoli secondo uno stile locale comunque diverso dal linguaggio più corsivo e meno raffinato di molti dei rilievi considerati provinciali e detti anche "plebei". Un tratto importante che diventa la cifra tipica di tanta arte aquileiese, caratterizzata da un'adesione ai modelli urbani tutt'altro che passiva 36
• Certi inconsueti accenti del panneggio stanno alla pari con un fraseggiare proprio di alcune altre opere, quale un frammento di statua togata o una statua virile 37
, in cui la cifra meno accademica e più originale deriva da uno straordinario piacere per gli avvolgimenti della stoffa. Opere che dovrebbero portarci senza più timori a parlare della ricchezza di indirizzi delle botteghe aquileiesi, capaci di interpretare in maniera autonoma temi e spunti, che venissero da lontani centri artistici o fossero tipici delle scuole del centro dell'impero e suggeriti dal potere in auge. Momenti vicini al gusto dell'arte del periodo di Claudio, nei cui soggiorni in Cisalpina si annida la storia di rilevanti momenti di rinnovamento non a caso centrati su archi 38 e porte urbiche, come a Verona e a Ravenna 39
• Né può sottovalutarsi la distanza tra il rilievo del sulcus e il rilievo con scena di sacrificio ora a Vienna, un altro importante frammento di rilievo storico aquileiese.
36 BEscH1 1980, p. 381. Sulla recezione passiva G1 -1ED1N1 1998, pp. 342-348. 37 ScRINARI 1972, nn. 93-94. 38 Cfr: in generale DE MARIA 1988a. 39 VENTURI 1985; per la Porta Aurea KAHLER 1935; Tosi 1986; per le porte vero
nesi CAVALIERI MANASSE 1992, in particolare p. 35; per Claudio a Ravenna LA RoccA 1992.
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IL RILIEVO STORICO
IL RJLIEVO CON SCENA DI SACRJF!CIO
Aulico e tematicamente ben più consueto, il rilievo con scena sacrificale decorava certo, date le misure, un grande monumento atto a celebrare una di quelle cerimonie "statali", a cui si accompagnavano momenti rituali di tale tipo (fig. 9). Scandito in tre brani nettamente distinti, vi vediamo a sinistra un camillo,che, abbigliato con il solito lùnus, il braccio sinistro alzato e portato sopra l'animale, il braccio destro tenuto lungo il fianco, un bastone nella mano destra, accompagna verso l'altare un bovide dalla testa oggi piuttosto malconcia. L'animale, che riempie lo spazio con la sua massa plastica, lascia intravedere dietro di sé, nel succedersi delle gambe al di sotto della sua pancia e tra le gambe del camillo, la gamba di un altro individuo, evidentemente reso in un terzo piano della scena. Due sono spesso, infatti, gli officianti attorno all'animale. Occupa il centro della scena, posto di spigolo e ornato di una ghirlanda 40
, l'altare. Dietro due musicanti in toga aprono la serie delle figure assiepate sul fondo. Davanti a loro, molto ravvicinate, stanno due figure in toga, simili nelle cadenze del panneggio, diverse nel passo e nella posizione. L'uno porta indietro la
Fig. 9. Viemn Kunsthisorisches Museum. Rilievo con scena di sacrificio da Aquileia.
•• Cfr. esempi in FLEss 1995, pp. 22-24 v. in particolare tav. 43, 12, cat. 17 e tav.24, 1, cat. 25.
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ELENA DI FILIPPO BALESTRAZZI
i
sinistra con il piede sollevato, reso di profilo; l'altro con la gamba sinistra appena spostata a lato, il piede forse un po' sollevato in punta, tende il braccio verso l'altare, la patera in mano, a celebrare il rito. Persa la parte superiore non è più possbile identificare i personaggi e dare quindi un preciso valore storico a questa scena. Costruito con il formulario tipico delle scene di sacrifici il quadro ripete, infatti, in tutti i suoi elementi una scena abituale in documenti di ogni tipo, dalle monete e medaglioni bronzei, ai monumenti pubblici e privati, dall'altare dei Lari al Museo dei Conservatori 41
,
all'ara di Vespasiano a Pompei, più o meno ricchi di personaggi, più o meno legati ai canoni stili-
Fig. 10. Ravenna, Museo Archeolo- stici, talora più strettamente ispigico. Rilievo. rati all'arte aulica e colta. Ne è un
esempio il rilievo con scena di sacrificio davanti al tempio di Marte Ultore da un altare di età claudia, con cui può raffrontarsi anche per le forme anatomicamente corpose dell'animale, come è anche nel rilievo di Ravenna (fig. 10), forse anche esso, come il c.d. rilievo di Augusto 42
, databile a questa età. La discussione, che si era svolta attorno a questo, importato da Roma o lavorato da maestranze colte impegnate a Ravenna nell'esecuzione di "programmi decorativi ufficiali al tempo di Claudio" 43
, può riproporsi per la lastra aquileiese, legata ancora una volta a quei momenti che videro presenti in città membri della famiglia giulio-claudia, che sicuramente ebbero rilievi celebrativi a loro dedicati. Ne è testimonianza il frammento con testa femminile che, per l'acconciatura, la presenza del diadema e i tratti del volto, si è individuato come ritratto di Livia (fig. 11) e che può porsi a fianco di una testa ritratto e di una statua panneggiata, di recente, e non senza dubbi, lette come immagini di perso-
108
41 FLEss 1995, cat. 12, tav. 45, tav. 19, 2. 42 ZANKER 1989, p. 114, fig. 86.43 LA RoccA 1992, pp. 291-312, con bibliografia.
Fig. 11. Aquileia. Museo Archeologico. Rilievo con raffigurazione di Livia.
!L RJLJEVO STORICO
naggi femminili della casa imperiale 44
•
La lastra è poi un caso estremamente significativo per la storia e l'evoluzione di questo tipo di rilievo, che ebbe altrove esempi famosi. Pur sempre mutuati nei loro schemi compositivi dalla scultura dei più alti gruppi di potere, assunti liberamente da ogni committente, tali scene si avvalevano di riaggiustamenti mirati ad esprimere simbolicamente i valori di ognuno. Il rilievo si presta così assai bene proprio, oserei dire, per l'atemporalità di quei personaggi a evidenziare anche qui ad Aquileia certi cambiamenti del! 'arte romana dall'inizio dell'età imperiale fino ai suoi tempi più tardi. Se espressione classica della trasfor
mazione di questa tipologia di monumento e dei cambiamenti sottesi alla sua decorazione è a Roma l'altare del vicus Aesculeti 45 ad Aquileia una testimonianza di questa linea evolutiva è data dall'interessante rilievo dei Vicomagistri (fig. 12). D'ignota provenienza, in calcare di Aurisina, è, evidentemente e naturalmente, troppo piccolo per sop-
Fig. 12. Aquileia. Museo Archeologico. Ara dei Vicomagistri.
44 D1 F1urro BALESTRAzz1 2002, cc. 265-271, con bibliografia. 45 FLEss 1995, tav. 37, cat. 13.
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portare la definizione di rilievo storico o rilievo di rappresentanza 46,
ma, seppure in tono minore, appartiene a questa classe. Scomparsi i musici e gli attendenti, le vittime sacrificali non sono più il grande e massiccio toro della lastra marmorea di Vienna, ma un galletto e un cinghiale. Al centro della composizione sta, anch'esso di dimensioni ridotte, l'altare acceso. Dietro schierati ed immobilmente ieratici, il capo velato, le ampie toghe indossate con gran gioco di pieghe, i vicomagistri attendono al rito. I più esterni reggono dei rami d'alloro, il personaggio centrale getta incenso sul fuoco, nella mano sinistra una coppa, come quello di destra. È l'opera di un artigiano locale, maanch'esso pronto, come lo scultore del rilievo del sulcus primigenius, a recepire i modelli che nel tempo la grande arte aveva saputo conservare e trasmettere. È una di quelle opere che, quasi senza tempo, faceva ricca la scultura locale, e che noi studiosi siamo consueti attribuire, per la loro rozzezza e provincialismo ai tempi più tardi. Scultura povera e grezza, è comunque nel III secolo d.C. ancora il mezzo usato per mantenere, attraverso i tipi iconografici propri del rilievo storico, la connessione di strutture politiche con concezioni giuridiche e religiose di base. Il linguaggio di Roma, infatti, combinando insieme motivi iconografici diversi e creando personificazioni di tutti i tipi, seppe dar voce alla sua politica riproponendola in ogni regione dell'impero, attenta a conservare con fermezza concetti astratti di grande antichità, non solo là dove si narrava la storia di eventi grandi e significativi o di grandi uomini 47
•
S1MULACRA FLUMINUM
Sappiamo, infatti, che fin dall'inizio nel racconto storico romano avevano trovato posto i simulacra montium o i simulacra jluminum, immagini di montagne e fiumi, che ancoravano il racconto all'ambiente naturale, ricreando il continuum spaziale e geografico dei vari eventi, con una cornice fortemente e precisamente allusiva 48
• Nascono così, a ribadire il loro valore come sacri e invalicabili confini dei territori, le personificazioni di fiumi 49
• Possono dunque rientrare così in questo quadro del rilievo storico aquileiese, tematicamente vicine, ma diverse per lavoro e stile, due lastre, una con l'immagine della Tyche di
110
,. SCRINARI 1972, Il. 561, fig. 562." HoLsCHER I 994, pp. I 8 e 9 I." TORELLI 1998, p. 137." CATALANO 1978, pp. 509-510, 543.
IL RILIEVO STORICO
Fig. 13. Aquileia. Museo Archeologico. La Tyche di Aquileia e il fiume Natissa. Fig. 14. Aquileia. Museo Archeolo
gico. Ara ali 'Isonzo.
Aquileia, ai cui piedi si rannicchia il fiume Natissa (fig. 13) ed una con quella del fiume Isonzo (fig. 14) 50
• Più popolare il linguaggio del rilievo all'Isonzo, un fiume non ricordato dagli autori antichi, ma ben importante nella topografia aquiliese. Gustoso questo in quel suo stendersi su un rivolo d'acqua e su un fondo sassoso, con quella composizione a prospettiva ribaltata, quel suo tratto denso e greve il primo. Più aulico ed elegante l'altro, seppure nell'incongruità di quell'alta e slanciata figura femminile, che sovrasta con la pesante cornucopia la piccola figura del Natissa. Questo è quasi senza corpo, sdraiato anch'esso, con il braccio destro appoggiato ad una brocca, da cui l'acqua scorre a dare origine a quella liquida base, su cui poggiano la grande canna - tenuta in mano a ricordare la vegetazione tipica del paesaggio fluviale di queste zone, ma anche utile a ristabilire l'equilibrio della composizione - ed anche il piede sinistro della figura femminile. Il suopiede destro sta invece su una solida base e contribuisce ad accentuare la sensazione di un'immagine, che ha le caratteristiche di una statua.Aiuta questa sensazione il fitto panneggiare del suo abito, la comuco-
,o SCRJNARI I 972, pp. I 81-182, 1111. 556-557.
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pia richiamo forte a iconografie ufficiali. Anche per questi rilievi si pone il problema dell'originaria destinazione, forse decorazione dei lati di un altare monumentale, del loro significato, vettori di concetti simbolici, ancora in pieno III secolo fondamentali per la città. Il mezzo figurativo e monumentale rimaneva ancora, in questo secolo, un efficiente strumento politico, che, ancorato sempre agli antichi concetti allineati al tempo e ai cambiati eventi, volta a volta, diversi i committenti, sceglieva di parlare con linguaggio aulico o con quel linguaggio plebeo, che, alla fine, si era messo a livello dell'altro come ufficialità e capacità espressiva.
Meritano a tal proposito di essere considerati l'ara a Marte e alla Triade Capitolina e la cosiddetta "Pompa del magistrato", datato il primo al 238 d.C., il secondo all'inizio della seconda metà del III secolo piuttosto che al IV 51
• Questo, apparentemente più legato a schemi frequenti nell'arte privata, l'altro fortemente legato a schemi ufficiali, ambedue comunque espressione piena di un linguaggio romano, in cui talora sentiamo ancora, radicati sul fondo, i lontanissimi tratti di quelle fonne ellenistiche, che tanto si sono cercate al di sotto delle composizioni romane. Sono espressioni proprie di un linguaggio, che denuncia il passaggio del tempo.
LA "roMPA DEL MAGISTRATO"
Eppure la città aveva ancora la forza di dare conto dei suoi avvenimenti, se si può ipotizzare una narrazione di tipo storico per il fregio con la "pompa del magistrato" (fig. 15), che esso sia opera di ateliers urbani o di botteghe locali di tradizione colta. Secondo e unico fregio a carattere narrativo continuo rinvenuto ad Aquileia, non sappiamo in quale punto della città sia stato trovato. Il corteo rappresentato continuava sia dall'una che dall'altra parte. Probabilmente iniziava con una figura alata, interpretata come una vittoria o come un'aquila 52
•
Seguono un primo gruppo di due littori, o, ipotesi poco probabile, portatori di un altro ferculum 53 e un gruppo in cui elemento di spicco è un carro da viaggio aperto, su cui hanno preso posto due personaggi, con toga, si direbbe, contabulata. Il più importante dei due ha in mano uno scettro (fig. 15). Si è pensato (Cortinovis) o a due personaggi imperia-
" Cfr. supra ntt. 6 e 7." PouLSEN I 928, pp. I 6-18; BRus1N 1929, p. 124, n. 31, fig. 77; FoRLATI TAMARO
1933-34, n. 54, fig. 59. Per l'aquila MA10N1CA 1911, p. 60, n. 16 e CALDERJNI 1930.
112
53 Per tale elemento cfr. 01 F1uPPo BALESTRAzz1 1985, nt. 28.
IL RILIEVO STORICO
Fig. 15. Aquileia. Museo Archeologico. La pompa del magistrato.
Fig. 16a-b. Aquileia. Museo Archeologico. La pompa del magistrato: particolari.
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li o a due funzionari con diritto ai littori. Altri (Maionica e Rostovzeff), che vi leggevano un viaggio agli Inferi, pensavano ai duoviri, altri ancora (Brusin e Forlati) a un corteo per un sacrificio di ringraziamento offerto da magistrati municipali. Due muli tirano il carro condotto da un uomo di dimensioni minori. Dietro, sullo sfondo di un edificio riccamente architravato e ornato da colonne tortili, avanza un gruppo di quattro portatori, che, abbigliati di paenula, reggono sulle spalle un'edicola, aperta anteriormente, entro la quale sta una forma dall'andamento conico e dalla superficie del tutto liscia, elemento visto ora come un idolo, ora come la pa1te visibile di una statuetta femminile seduta e più precisamente come la dea dei Megalensia 54 (fig. 16). L'immagine doveva apparire completa così com'è, dovendo la scena essere comprensibile a tutti. L'ipotesi più probabile è che all'interno del ferculum vi sia una forma betilica. L'uso di trasportare gli oggetti più significativi della pompa, statue, trofei, simboli vari, sollevandoli al di sopra degli uomini e rendendoli ben visibili alla calca assiepata ai lati del corteo, è antico e più volte riprodotto nel mondo romano, ma ancora una volta, a quel che se ne sa, si ha qui un unicum, che ha tutta l'aria di essere stato creato, pur sulla base di schemi compositivi comuni, per una precisa occasione. Con quel piccolo oggetto postavi dentro, l'edicola fa pensare ad un tabernacolo e, di più, all'associazione propria del mondo orientale tra betilo e ma'abad (cappella). Viene alla mente una moneta di Sidone con la rappresentazione dell'edicola entro la quale era il betilo di Astarte, che altrove poteva essere piuttosto la pietra di Zeus Casi o a Seleucia o la pietra di Emesa 55
•
L a diffusione del culto del dio di Emesa e il comparire della sacra pietra nelle monete di età imperiale, a partire da Antonino Pio, a seguire con Caracalla e poi Elagabalo, è la più probabile tra le chiavi di lettura per questo rilievo. In alcune monete di Elagabalo il betilo è presentato proprio su un carro, accompagnato dalla scritta che ne testimonia l'importanza nel processo di "solarizzazione" degli dei in questo tardo periodo romano 56
• Aquila e pietra conica decoravano un capitello del santuario fatto costruire sul Palatino da Elagabalo. Interessante è ora qui, per il tema di cui ci stiamo occupando, anche la stessa composizione del fregio, tessuta su una trama di schemi iconografici misti, della pompa civile, di una processione religiosa, ma anche del transi-
54 Per la bibliografia relativa cfr. DI FILIPPO BALESTRAZZI 1985.55 DI FILIPPO BALESTRAZZI I 985, cc. 338-354 con bibliografia; SILVESTRINI 1993,
pp. 190-191; LizzI, CONSOLINO 1993, p. 905, fig. 13. 56 HALSBERGHE 1984, pp. 2 I 84-220 I. Per le monete di Elagabalo cfr. THIRION
1968, nn. 182, 256, 306; CoI-IEN 1930, 4, nn. 16, pp. 265-269.
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tus, vale a dire delle scene di strada, che conosciamo dai sarcofagi romani, da un rilievo di Torino e da uno di Stoccolma 57
• Il senso della narrazione può venire dalla valutazione dei due personaggi sul carro, in particolare di quello scettrato, e dalla subordinazione gerarchica del secondo personaggio, forse un Cesare e un Augusto. In un precedente lavoro avevo indagato tra le coppie imperiali, per capire quali tra esse potessero collegarsi all'introduzione a Roma della pietra conica del dio di Emesa. Portata da Elagabalo per lo spazio di tempo del suo regno, rinviata a Emesa al tempo di Alessandro Severo, il culto del dio e della sua pietra betilica torna forse a dominare con il 274, sotto l'aspetto del Sol Jnvictus. Al dio di Emesa Aureliano attribuirà la vittoria su Palmira e ad Emesa si recherà per onorarne l'immagine. L'uomo scettrato ha del resto una caratterizzazione della testa, che fa pensare ad un tentativo di rappresentazione ritrattistica. Più autori hanno tentato di procedere ad una sua individuazione con un membro della dinastia valentiniana 58
• Tale identificazione, che ci porterebbe avanti con il tempo, difficilmente si concilia con i dati stilistici: il gusto plastico che vi sopravvive, l'accuratezza formale, la qualità del marmo. Il procedere con ritmi sostenuti, ma cadenzati con gusto, la fluidità con cui corre la scena non sono, ad esempio, elementi trascurabili. Gli schemi non sono rigidi né informi. Si può pensare per tutto ciò a tradizioni di bottega, che lavorava sui cartoni che l'attenta propaganda imperiale sapeva costruire e sapientemente distribuire. Quel suo essere un unicum invita però a vedervi un linguaggio non di serie, precursore forse o già partecipe di quel movimento culturale che sarà la rinascenza gallienica. Ancora una volta molto potrebbe aiutarci l'individuazione del monumento, di cui aveva fatto parte. L'ipotesi che si tratti dell'alzata di un coperchio di sarcofago 59 e dunque che sia da assegnare alla classe dei monumenti privati lascia spazio al dubbio, perché a valutarne le misure in una prospettiva di ricostruzione, il frammento verrebbe ad essere troppo alto per un coperchio di sarcofago. Ancora dunque un documento di scultura paiiicolarissimo e una prospettiva di ricerca su questa arte dell'Italia settentrionale, e soprattutto dell'area del Veneto orientale, dove un centro come Aquileia sembra avere in più occasioni scelto una propria via: aderendo sì ai modelli del centro del potere, ma con scelte assolutamente personali, che dovettero influire fortemente anche nei centri più vicini. Concordia soprattutto, con quell'altrettanto
57 WEBER 1978, p. 46 ss. 58
H1MMELMANN 1973, p. 38. 59
BEsc1-11 l 980, pp. 396 e 409, fig. 31.
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delle tante personificazioni di città o abbia assunto le connotazioni di una dea. Le differenze acquistano valore a seconda dei personaggi con cui Roma si collega. Rappresentata in piedi quando accompagna o riceve l'imperatore (fig. 18a), è qui seduta in trono a compendiare in sé il concetto dell'impero e del destino di Roma. Nella figura di Aquileia invece l'iconografia delle più consuete immagini di città s'intreccia con lo schema iconografico del supplice inginocchiato (fig. 19a-c ). Iconografia e messaggio politico ben comprensibili se letti alla luce degli eventi che la detenninarono e che l'epigrafe ci illustra. Il gioco delle combinazioni usate in questo rilievo si fa interessante se poniamo attenzione al fatto che Roma occupa la posizione, che, in altre immagini, aveva l'imperatore, a cui Roma si rivolgeva, e Aquileia quella di Roma. Questa, così inginocchiata, compare su un rilievo in terracotta del Museo Nazionale romano, addirittura datato al tempo della repubblica e, in atto di presentazione o sottomissione in monete diverse. È Roma che s'inginocchia davanti ad un personaggio maschile in armi affiancato ad un trofeo in un denario di L. Staiuus Mureus 62
ed è ancora Roma, che si inginocchia in monete di Galba e Vespasiano, allorché tiene un fanciullo che tende la mano verso l'imperatore ritratto in piedi (fig. 19a-c ). In questo gioco di combinazioni di formule iconografiche proprio dell'arte romana, nell'ara aquileiese è ora Aquileia turrita ad inginocchiarsi in atto, se non di sottomissione, di supplica o di ringraziamento ed è Roma a tendere la mano ad Aquileia, sovvertendo completamente gli schemi in uso. Ciò che colpisce è la trasformazione di Roma, il ruolo assunto con la sua intronizzazione, l'assen-
2 Dciur de, L. St:t!ll'> :\tun.:u" J Ocnar dl'" Cn. Corndiu,;, l enrnlu"-
Fig. 19a-b-c. L'iconografia del supplice (da LIMC 1997, nn. 204-206).
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62 D, F1uPPO BALESTRAzz, I 997, nn. 204, 205, 206.
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za di un qualsiasi personaggio imperiale. Il punto chiave del messaggio, più ancora che nella posizione inginocchiata di Aquileia, è in questa sostituzione della dea alla consueta figura dell'imperatore. Una scelta iconografica che è il segno di una generale percezione dell' instabilità politica e dell'aleatorietà dell'ideologia incentrata sul potere imperiale, così drammaticamente denunciata anche dalla rasatura dei nomi degli imperatori sulla stessa epigrafe della fronte dell'ara. La scena registra perfettamente quello che stava accadendo. Percepiamo nell'assenza della figura imperiale la traduzione in linguaggio grafico della crisi, che in questi tempi stava travolgendo la figura politica dell'imperatore 63
• La composizione, quanto mai statica e semplice, racchiude in sé il tacito e disperato messaggio di fine impero.
(,3 S1LVESTRINI 1993, pp. 159-166.
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