Il Restauro Non è Conservazione
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SAPIENZA UNIVERSIT DI ROMA Facolt di Architettura
Lectio Magistralis per linaugurazione dellA.A. 2008/2009
Giovanni Carbonara Il restauro non conservazione
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Collana di Lectiones Magistrales a cura di Donatella Scatena
Il restauro non conservazione Giovanni Carbonara
La lezione stata organizzata in occasione dellinaugurazione dellanno accademico 2008-2009. La Lectio Magistralis si tenuta il 16/05/2008 nellAula Magna della Facolt di Architettura di Roma, sede di via Gramsci.
Production Editor Mary Joan Crowley
Graphics Nicola De Sol
CC BY-NC-ND 4.0 Facolt di Architettura, Sapienza Universit di Roma (2013) ISBN 978-1-291-67624-2
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INDICE
Prefazione .............................................................................................................. 7 Renato Masiani
Progetto e Restauro .............................................................................................. 9 Benedetto Todaro
Il restauro non conservazione ........................................................................ 15 Giovanni Carbonara
Sintesi ................................................................................................................... 15 1. Conservazione, architettura e restauro ............................................................. 16 2. Linnesto del nuovo sullantico: un quadro di riferimento ................................... 33 3. Modernit e restauro ....................................................................................... 37 4. Le ragioni dun rapporto difficile ........................................................................ 43 5. Restauro e citt ................................................................................................. 50 6. Conclusioni ........................................................................................................ 68
Postfazione .......................................................................................................... 72 Donatella Scatena
Bibliografia .......................................................................................................... 75
Immagini .............................................................................................................. 79
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Prefazione
Renato Masiani, Preside della Facolt di Architettura
Con luscita di questo terzo volume, dopo quello di Franco Purini Percorsi
nellArchitettura e di Paolo Desideri La forma come risorsa, si consolida e
si conferma la positivit della scelta di proseguire nella tradizione di
pubblicare, nella nuova veste di libro elettronico, i testi delle conferenze
tenute presso la Facolt di Architettura di Sapienza. La pur breve
esperienza maturata sin qui ha confermato i vantaggi di una formula snella
e veloce, ma anche economica e di qualit, per documentare e diffondere i
contenuti di eventi sempre di grande rilevanza di cui altrimenti si perderebbe
memoria con il tempo. Una formula che tiene conto anche dei mutati
orientamenti dei nostri allievi, oggi pi abituati a maneggiare computer o
lettori digitali piuttosto che carta e libri.
Nello specifico, il presente volume espone la lezione tenuta da Giovanni
Carbonara per lapertura dellAnno Accademico 2008/2009 della allora
Facolt di Architettura di Valle Giulia che, per vari motivi, non era stato
possibile pubblicare a suo tempo. Per questo motivo il testo riporta anche la
prefazione scritta nel 2008 dal Prof. Benedetto Todaro, allora Preside della
Facolt. Valutata limportanza e lattualit del tema, che riguarda il rapporto
tra conservazione e restauro, sembrato ancora oggi opportuno
pubblicare quellintervento sicuramente di grande interesse e non solo per i
nostri studenti.
Sono certo di interpretare il pensiero di tutta la comunit accademica,
Docenti e Studenti, della Scuola di Architettura nel considerare questo
volume anche come un omaggio e un sentito ringraziamento a Giovanni
Carbonara che, nel corso della sua lunga carriera accademica, ha saputo
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fornire contributi fondamentali alla disciplina del Restauro dellArchitettura
tali da costituire uneccellenza della Scuola romana riconosciuta in Italia e
nel mondo.
Renato Masiani
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Progetto e Restauro
Benedetto Todaro, Preside della Facolt di Architettura Valle Giulia (2006-2009)
Quando chiesi a Giovanni Carbonara di tenere la prolusione in occasione
dellapertura dellAnno Accademico della Facolt di Architettura Valle Giulia
ero mosso, oltre che dalla stima per la figura dello studioso, dallinteresse
per quella frontiera ineffabile che separa ed al tempo stesso unisce il
progetto di architettura (senza ulteriori aggettivazioni) con quella sua
particolare declinazione che definiamo progetto di restauro. Largomento
non era certo nuovo nelle nostre discussioni: limpegno che tanto ha
occupato in questi ultimi anni lUniversit nel definire e calibrare i nuovi corsi
di studio induceva a pi attente riflessioni e richiedeva una particolare
intenzione definitoria che precisasse gli ambiti, che riconoscesse le
specificit e al contempo ricomponesse quella malintesa divisione culturale
tra conservazione e produzione del nuovo che non ha motivo di essere e
tuttavia permea il sentire diffuso. Se vero infatti che il valore delle
definizioni sempre relativo, tuttavia importante ascoltare con attenzione
quelle che i protagonisti pi autorevoli privilegiano perch da esse si pu
comprendere la direzione verso cui intendono orientare e muovere la
disciplina. Tali questioni acquistano rilievo del tutto particolare data la
tradizione della scuola di Roma che fin dalle sue origini si mossa su di un
peculiare registro di interesse al confronto con la storia e le sue
testimonianze materiali.
Un singolare doppio registro sembra caratterizzare oggi il comune sentire
dei non addetti ai lavori in fatto di architettura: una sorta di divaricazione
contraddittoria, che riguarda il senso del tempo e dei valori a questo
connessi. Una piena e responsabile coscienza del presente e dei suoi
compiti appare compromessa e schiacciata nella morsa costituita da un lato
dallattrazione fatale per ogni promessa di anticipazione, ogni speranza di
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progresso, ogni novit annunciata che preluda al superamento della
condizione attuale per un approdo istantaneo al futuro. Daltro lato una sorta
di acritica fascinazione riguarda tutto ci che sa dantico, che ci stato
tramandato, che esiste da prima di noi, che ricorda culture e condizioni non
pi disponibili. In particolare questultima forma di apparente considerazione
e rispetto per le superstiti testimonianze del passato, anzich tradursi in
garanzia di tutela, proprio per la sua superficiale genericit, pone a rischio i
valori che pretenderebbe esaltare schematizzando e radicalizzando
lalterit, quando non addirittura la competizione, tra le valutazioni di
passato, presente e futuro, impedendo in tal modo che si affermi la
percezione di un fluire continuo e coeso nel passaggio del testimone tra le
generazioni.
Data la difficolt ad abitare un presente problematico e in larga misura
disorientato, il progetto di architettura, ogni nuovo progetto, richiede oggi un
preventivo posizionamento critico, una scelta di campo da rinnovare di volta
in volta, sul filo di una sana e laica indipendenza intellettuale da teorie
precostituite. Queste ultime infatti con lesaurimento delle proprie
energie propositive hanno lasciato il progetto in precario equilibrio sulla
soglia sottile di una contemporaneit negata, troppo debole forse per
resistere allattrazione di una delle due opposte frecce temporali e divisa tra
il guardare indietro come lAngelus Novus di Benjamin oppure evocare con
impazienza un futuro che per non si in grado di scegliere n di
propiziare.
Giovanni Carbonara, nella sua Lectio riafferma pi volte lidentit tra
restauro e progetto, e con forza tale da scegliere, per lo stesso titolo
introduttivo, unaffermazione perentoriamente negativa a porre da subito in
chiaro cosa il restauro non sia: con cosa non debba essere confuso, a cosa
non debba essere limitato. Il mondo dellarchitettura non pu che accettare
con favore questa posizione che anche una dichiarazione dintenti per
future linee di sviluppo. Si pone per subito una questione di grande
rilevanza: se il restauro abbia o meno una identit propria (distinta da quella
del progetto tout court); in caso affermativo esso propenderebbe
maggiormente verso il dominio indiscutibile della scienza mutuando da
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questa strumenti esatti e verificabili; se, al contrario, rivendica la propria
appartenenza piena allambito del progetto di architettura, sar nella
condizione di condividere con questo i rischi, le esposizioni, la discutibilit
ed il carattere (cautamente) artistico (cio arbitrario) che lo distinguono.
Sembra che ad oggi il mondo del restauro mantenga per lo pi una
posizione a cavallo tra queste due realt nel comprensibilissimo intento di
assumerne da ciascuna la forza, ma non le intrinseche e collegate
debolezze. Riconoscere il carattere progettuale del restauro chiarisce molti
equivoci ad esempio e tanto per citarne uno comporta la necessit che
ad occuparsene siano architetti (e non magari storici, archeologi o altri
esperti di settore non dotati dello specifico magistero culturale e tecnico-
scientifico che proprio dellarchitetto). Ovviamente ogni medaglia ha il suo
rovescio e questa non fa eccezione: chiariti i rapporti su di un versante, si
apre un nuovo fronte problematico dovendosi comunque distinguere e
caratterizzare lintervento di restauro da quello che restauro non . Ben
venga il restauro nella grande famiglia della progettazione architettonica,
ma nel far questo ne assumer i rischi conseguenti contraendo alcune delle
affezioni tipiche della progettazione contemporanea e condividendone la
perenne problematicit. Perder forse qualcosa dellaura di scientificit che
lo caratterizza entrando nel novero delle scelte di responsabilit sulle quali
c sempre da discutere. Nella discesa dallOlimpo delle certezze e della
teoria consolidata al mondo terreno delle pratiche discutibili da un lato si
pu guadagnare in incisivit, dallaltro si perde quella sorta di immunit che
il possesso di una teoria di riferimento potrebbe, in teoria appunto
garantire. Avvertito di questo Carbonara afferma che allinterno del progetto
di architettura: Il restauro architettonico si colloca[...] in una classe alta di
rischio che comporta lobbligo di scelte caute, misurate e molto ragionate.
E in effetti nella Lezione alcune severe critiche sono avanzate alle varie
correnti stilistiche della contemporaneit, ed in particolare al solipsismo
del progettista privo di adeguate motivazioni e metodo, ma anche
apprezzamento espresso nei casi in cui larbitrio dautore appare rivolto ad
un consapevole dialogo, pur se improntato a forte autonomia linguistica:
Carlo Scarpa, Franco Minissi, Guido Canali, Andrea Bruno, Jos Ignacio
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Linazasoro, Rafael Moneo, David Chipperfield ed altri sono segnalati per
lapprezzabile qualit delle loro realizzazioni. Si tratta perlopi di autori il cui
curriculum non specifico del restauratore, ma che Carbonara segnala
proprio nellapprezzabile intento di colmare la lacuna tra le due culture.
Credo che questa mano tesa dal restauro ai compositivi vada stretta. Nella
disamina, autenticamente magistrale, di Giovanni Carbonara, pur nella
dimensione contenuta, nessun risvolto della problematica di confine
trascurato, nessuno dei malesseri non solo del restauro ma dellintero
arco della progettazione contemporanea disatteso. Il testo esprime
grande capacit di comprensione e assunzione di responsabilit; ne deriva
una sistemazione sintetica ed esaustiva di questioni e di protagonisti che
doveroso cogliere da parte degli studenti ma non solo da loro, nellauspicio
che sia prossimo il tempo in cui tutti gli specialismi in cui il progetto di
architettura si articola trovino una unica koin centrata sulla cura
consapevole e responsabile delleredit ricevuta e insieme del contributo
della contemporaneit da consegnare a chi seguir.
Benedetto Todaro
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Il restauro non conservazione
Giovanni Carbonara, Direttore della Scuola di Specializzazione in Beni Architettonici e del Paesaggio
Sintesi
Il restauro risponde, in primo luogo, ad esigenze di conservazione e trasmissione al futuro delle antiche testimonianze di storia e darte ma il suo ruolo tanto conservativo quanto rivelativo o, secondo la Carta del restauro del 1972, di facilitazione della lettura dellopera. Esso, in altre parole, come una edizione critica del testo; anche un atto di filologia quanto mai arduo perch condotto non su copie o trascrizioni, come nel caso della poesia o della musica, ma sempre su originali. Azione critica e filologica svolta, inoltre, non parlando dellopera ma utilizzando il suo stesso linguaggio. , insomma, ipotesi critica non esercitata verbalmente ma tradotta in atto, destinata perci ad avvalersi proprio del linguaggio dellopera da restaurare, pi precisamente duno specifico metalinguaggio ricco di strumenti, segni e codici diacritici, vale a dire atti a distinguere testo e integrazioni. Si restaura quindi facendo pittura nel restauro pittorico, scultura in quello scultorio e architettura nel restauro architettonico. Il restauro architettonico si colloca, dunque, in una classe alta di rischio che comporta lobbligo di scelte caute e ragionate. Esso richiede un fare ed un pensare organicamente connessi; un analizzare, progettare, costruire, demolire quando necessario, mantenere nel tempo le architetture nella loro concreta, sofferta e irripetibile autenticit materiale, primancora che simbolica, spirituale o figurale. Che il restauro sia pura conservazione o che esso rappresenti un
atteggiamento erudito e retrivo, cieco alle istanze della modernit, quindi
alla stessa architettura contemporanea, un luogo comune privo di
fondamento; ma anche una convinzione alimentata da comportamenti
ottusi e spesso di comodo della burocrazia.
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1. Conservazione, architettura e restauro
Il restauro non conservazione o, almeno, non soltanto conservazione.
Risponde, s, ad esigenze di conservazione e trasmissione al futuro ma il
suo ruolo, come vuole la Carta internazionale del restauro di Venezia, del
1964, tanto conservativo quanto rivelativo o, secondo la Carta del
restauro italiana del 1972, detta del M.P.I., di facilitazione della lettura
dellopera (figg. 1-5).
Il restauro, in altre parole, come una edizione critica del testo; anche
un atto di filologia quanto mai arduo e rischioso perch condotto non su
copie (come i famosi gessi nel museo della Facolt di Lettere della nostra
universit) ma sempre, necessariamente, sugli originali. Azione critica e
filologica esercitata, inoltre, non parlando dellopera ma utilizzando il suo
stesso linguaggio (fig. 6).
, insomma, come ha detto un illustre studioso belga, Paul Philippot (1998),
ipotesi critica non esercitata verbalmente ma tradotta in atto. critica in
atto; infatti si avvale dun suo particolare metalinguaggio (anchesso
storicamente determinato e mutevole) e, pi propriamente, di strumenti,
segni e codici diacritici, vale a dire atti a distinguere testo e integrazioni,
come le famose forme semplificate di Camillo Boito e Gustavo Giovannoni o
come il rigatino proposto da Cesare Brandi presso lIstituto Centrale del
Restauro in Roma, o anche come lastrazione e la selezione cromatica di
Umberto Baldini presso lOpificio delle Pietre Dure di Firenze (figg. 7-11). Si
restaura quindi facendo, in certo modo, pittura nel restauro pittorico,
scultura in quello scultorio e architettura nel restauro architettonico o, come
si diceva una volta, dei monumenti. Ma lo stesso vale per la musica (la Lul
di Alban Berg, completata, con grande attenzione filologica, da un colto
musicologo come Friedrich Cerha, la Turandot di Giacomo Puccini ecc.), il
cinema (La corazzata Potmkin di Sergei M. Eisenstein, Miracolo a Milano
di Vittorio De Sica e Cesare Zavattini ecc.), la stessa letteratura (I giganti
della montagna di Luigi Pirandello, in una messa in scena di qualche anno
fa, i frammenti dei lirici greci, molti passi della stessa Iliade e dellOdissea
ecc.): ma qui, a differenza del restauro concernente le arti del disegno,
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esiste la possibilit di lavorare su copie e trascrizioni, senza toccare gli
originali.
Il restauro architettonico si colloca, dunque, in una classe alta di rischio che
comporta lobbligo di scelte caute, misurate e molto ragionate. Esso richiede
un fare ed un pensare strettamente interconnessi; un analizzare, progettare,
costruire, demolire quando necessario, mantenere nel tempo le architetture
(e non larchitettura idealmente intesa, come fa giustamente notare
Gianfranco Spagnesi, 2007) nella loro concreta, sofferta e perlopi
stratificata, irripetibile autenticit materiale, primancora che simbolica,
semantica, spirituale, figurale ecc.
Risuona qui la nota definizione di beni culturali come testimonianze
materiali aventi valore di civilt.
Questattenzione al dato essenzialmente materiale e non iconico, di pura
immagine, di contenuto, di significato, una peculiarit del restauro
modernamente inteso, frutto dun lungo travaglio, che si estende con alterne
vicende dal V-VI secolo al XVIII, in ambito propriamente europeo e
occidentale, per maturare nel corso dellOttocento, dal restauro dello
sperone orientale del Colosseo (architetto Raffaele Stern, 1806-07) in poi
(fig. 12).
Differente la sensibilit, per esempio, asiatica e anche quella africana,
volte - e qui sono ben consapevole di generalizzare - al mantenimento dei
valori immateriali, simbolici, rituali, religiosi o altri, come ben dimostra il
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caso del tempio scintoista di Ise in
Giappone. Da qui ricorrenti contrasti e
diversit di opinioni in sede
internazionale, in primo luogo
nellUNESCO.
Tutto discende da un diverso concetto
del tempo (lineare in un caso, circolare
nellaltro), dellautenticit (materiale in
un caso, simbolica e spirituale
nellaltro), della storia, dei suoi mezzi e
dei suoi fini. Alla rituale completa
demolizione e ricostruzione ogni venti
anni, in Giappone, del tempio di Ise
detto Jingu, tuttora attuata, si
contrappone non a caso in Roma il divieto di papa Innocenzo X Pamphilj
(1646) severamente imposto a Francesco Borromini di demolire, in San
Giovanni in Laterano, i pur cadenti muri costantiniani, tanto che larchitetto
dovette sudare sangue, ricorda padre Virgilio Spada, per portare a
compimento un lavoro, in gran parte di consolidamento, che non lo
soddisfece, perch Sua Santit gli aveva legato le mani e non aveva
consentito che si dispiegasse tutta la potenza del suo ingegno. Ugualmente
non per caso qualche anno prima un umanista come il Ciaconio (Alfonso
Chacn), sempre a proposito di San Giovanni, aveva chiesto che il previsto
restauro fosse impostato ut simul, et vetustas servaretur, et venustas
adderetur.
Questa gi unintelligentissima anticipazione della moderna dialettica
(chiaramente illustrata da Cesare Brandi, nella sua Teoria del restauro,
1963) fra le due istanze del restauro, quella estetica e quella della
storicit. Sottolinea inoltre che il restauro non solo conservazione e che
esso, soprattutto, non figurativamente neutro, come gi negli scorsi anni
Quaranta avevano ben spiegato studiosi, tutti storici dellarchitettura, quali
Roberto Pane e Renato Bonelli, proponendo la loro rigorosa visione critica
e creativa del restauro. A questo proposito, credo che sbagli Francesco Dal
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Co (2007) quando afferma che il restauro non abbia una sua teoria di
riferimento e sia, in sostanza, qualcosa di arbitrario come anche lo
sarebbero i vincoli e le stesse prescrizioni forniti dallamministrazione statale
di tutela, vale a dire dalle soprintendenze. Che il restauro sia pura
conservazione, quale attivit tecnico-scientifica scevra da qualsiasi intento
artistico (Varagnoli 2006, p. 223) o che esso rappresenti un atteggiamento
erudito e retrivo, cieco alle istanze della modernit, quindi alla stessa
architettura contemporanea, un luogo comune, privo di fondamento,
diffuso ad arte da chi, architetto militante, ingegnere di spensierata
inventiva, avrebbe detto Friedrich Nietzsche, o amministratore preso dal
fuoco di unattiva ignoranza, non vuole sentir parlare di limiti imposti alle
proprie idee e convinzioni, al proprio ego sovente spropositato; ma anche
una convinzione alimentata da comportamenti ottusi e spesso di comodo
dellamministrazione pubblica.
ricorrente lingeneroso e ridicolo refrain di Roma come duna citt che
soffre sul piano del confronto internazionale perch afflitta da troppa
conservazione; Roma e con essa lItalia intera hanno ben altre ragioni alla
base dei loro problemi e del loro declino. Sentir parlare un candidato alle
elezioni comunali della nostra citt in questi termini: votatemi e far
diventare Roma come Barcellona, grottesco ed indica un provincialismo e
una confusione mentale gravissimi. Devo ad Ascensin Hernndez
Martnez (2008, p. 16), dellUniversit di Saragozza, la segnalazione del
pensiero di Horacio Capel (2007), dellUniversit di Barcellona, su questa
citt ormai modelada por el capital y organizada para el consumo, e di
Juan Jos Lahuerta (2005, p. 15), della Scuola Tecnica Superiore di
Architettura di Barcellona, sulla destruccin planificada y comercializada de
la ciudad, y la ruina y desaparicin de la vida que habita en ella.
Ricordo, tra parentesi, unacuta riflessione di Leonardo Benevolo secondo il
quale la parte realmente pi moderna delle nostre citt sono i loro centri
storici, anche perch sembrano fatti apposta (sono fatti apposta!) per
facilitare e favorire gli scambi interpersonali, la qualit sociale del vivere (per
tutti e non solo per frange privilegiate), grazie anche ad un tessuto denso
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ma, al tempo stesso, ricco di qualit. Ci che manca a tante nuove realt
urbane.
La disciplina del restauro, se correttamente intesa, si proietta
spontaneamente verso il futuro, si colloca (e non potrebbe essere altrimenti)
nella contemporaneit (in quel terzo tempo di cui parla Cesare Brandi
nella sua Teoria), ha valore formativo ed educativo, non meramente erudito,
e si rivolge in primo luogo alle giovani generazioni, per lasciare loro un
patrimonio unico e irripetibile, come s detto, non su memoria digitale ma
nella flagranza della sua materia autentica.
Non a caso, fino agli anni di Giovanni Spadolini e dellistituzione del MBCA
la tutela dipendeva dal Ministero della Pubblica Istruzione che laveva
sottratta con fatica, nei decenni dellItalia post-risorgimentale e liberale, a
quelli, ben pi solidi e potenti, dellInterno e dei Lavori Pubblici.
Il restauro, infatti, pertinente alla cultura, alla memoria, se vogliamo
allidentit di un popolo, non alle ragioni spurie dellinteressato
benculturalismo oggi tanto di moda; ricordiamo le critiche di Giulio Carlo
Argan alla dizione stessa di beni culturali, cui egli contrapponeva quella di
oggetti di una ricerca scientifica, di oggetti darte e storia, ed oggi, ancor
pi, contrapporrebbe a quella di patrimonio, che tanto piace alla
burocrazia dellUnione Europea e, non a caso, agli organismi internazionali,
UNESCO in primo luogo.
Quanto prima affermato, che il restauro architettonico sia architettura a tutti
gli effetti (ma nel rispetto di condizioni aggiuntive che non dovrebbero affatto
spaventare un architetto ben preparato e degno di tal nome) vero in
termini di principio ma anche una realt sperimentata e vissuta proprio a
Valle Giulia, sin dalle sue origini come prima facolt di architettura
costituita in Italia.
Una facolt nella quale la linea del restauro e della storia dellarchitettura si
sempre sviluppata accanto a quella dellinvenzione e produzione
architettonica del nuovo: non per caso storici di vaglia come Leonardo
Benevolo o Sandro Benedetti sono stati e sono ancora oggi gelosi del loro
essere, in primo luogo, architetti operanti (ma cos anche Arnaldo Bruschi,
Gaetano Miarelli Mariani, Gianfranco Spagnesi e, pi indietro, lo stesso
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Guglielmo De Angelis dOssat, nei suoi
anni giovanili progettista, ad esempio,
della sede del centro di studi leopardiani a
Recanati, o Roberto Pane, vincitore, negli
anni trenta, del concorso per la nuova
facolt di economia in via Partenope, a
Napoli, opera ricca dinteressanti
suggestioni foschiniane ed, ancora pi in
l, Vincenzo Fasolo, Gustavo Giovannoni
e Camillo Boito, primo ispiratore, nel tardo
Ottocento, della facolt).
La scuola universitaria di storia e restauro
di Roma stata sempre attenta alla realt dellarchitettura, espressione
cara a De Angelis dOssat, e si tenuta costantemente da presso alla
fabbrica, senza derive astratte o letterarie. Le sue letture critiche e
architettoniche, come quelle, ad esempio, di Arnaldo Bruschi, sono proprie
di chi ha personalmente sperimentato larchitettura nel suo farsi spazio,
struttura, ritmo, corpo vivo e funzionale.
Da qui il concetto di architettura come organismo, le conseguenti analisi
formali, linguistiche e insieme strutturali di Vincenzo Fasolo, la peculiare
attenzione al disegno e cos via. Analisi che, afferma Spagnesi, poco hanno
a che fare con la storia dellarte e che non sono neanche, a ben vedere,
storia dellarchitettura, ma storia delle (singole) architetture, quindi gi
spontaneamente predisposta allinnesto sul restauro dei (singoli)
monumenti.
Sul latente contrasto fra antiquari (oggi storici dellarte e archeologi) e
architetti valga per tutti rammentare lo sprezzante giudizio di Carlo Fea nei
confronti di Giuseppe Valadier (persona che con le sue callose mani
doveva tenersi lontano dai monumenti e chiedere aiuto, semmai, ai
sapienti in materia: considerazione che anticipa singolarmente il teorema
tafuriano della scissione fra storico, conservatore e architetto, fra artista e
philosophus additus artifici, per dirla con Benedetto Croce, scissione quanto
mai equivoca e dannosa) oppure di Stendhal sempre verso Valadier
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(sciagurato che ha distrutto, e non restaurato, lArco di Tito) o sempre di
Fea nei confronti dellarchitetto settecentesco Paolo Posi reo di aver
manomesso, nel Pantheon in Roma, con barbarie lantico per
surrogarvi una buffoneria architettonica (fig. 13).
Ripetiamo invece: il restauro architettonico architettura e compete, in
primo luogo, agli architetti, cos come anche le altre forme di architettura
sulle preesistenze.
Ma quale architettura si addice al restauro ed ai monumenti, considerati nel
senso lato ma etimologicamente corretto di memorie materiali, estese dal
singolo manufatto al territorio antropizzato?
Unarchitettura che derivi da una progettazione colta, consapevole del tema
e del vincolo aggiuntivo ma qualificante che il rispetto storico comporta, le
cui istanze debbono essere accolte e risolte, senza residuo avrebbe detto
Brandi, come e pi di tante altre che gravano normalmente sulle spalle
dellarchitetto (utilitas, firmitas, venustas ed oggi una pletora di normative,
limiti di legge, economici, organizzativi e procedurali ecc.). Si potrebbe
anche dire, seguendo Cicerone, unarchitettura rispondente al criterio della
scientia et prudentia o della cognitio (o conscientia) o anche, volgarmente,
al dovere della conoscenza. Alla triade vitruviana va per aggiunto, in
questo caso, un quarto elemento, quello che Leon Battista Alberti nel suo
trattato sullarchitettura ha definito della concinnitas (concordanza, armonica
rispondenza, convenienza: da cum cano, canto insieme, allunisono).
Progettazione libera di procedere quanto si vuole, purch, s detto, su
rigorosi binari storico-critici.
Non quindi un problema di predefinizione linguistica o dun tipo di
architettura (modernista, modernista temperata, high tech, storicista-
imitativa, muratoriana o caniggiana, antimoderna, postmoderna ecc.) ma
dun metodo inteso, in senso proprio, come un cammino-guida da
percorrere per arrivare a giuste conclusioni. Un metodo che devessere
personalmente assimilato e fatto proprio da ogni architetto che voglia
operare sulla realt storica (o, se si preferisce, semplicemente antica) dei
monumenti e delle nostre citt.
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un problema che non riguarda il restauro, il quale sinteressa del metodo,
ma proprio gli architetti, ogni architetto, perch essi, a norma di legge, sono
tutti abilitati ad esercitare il restauro. un problema di acculturazione che
simpone deontologicamente ma che perlopi viene respinto con fastidio,
con tutte le drammatiche conseguenze che si possono quotidianamente
verificare (basti riflettere su come stato affrontato, in questi ultimi decenni,
il tema delle antiche superfici intonacate e quello del colore di Roma, in
gran parte ridotta, per pura insipienza e non per cattiva volont, ad una
scenografia di cattivo gusto).
Ed proprio quel cammino o metodo ci che le discipline del restauro
intendono chiarire e comunicare negli appositi corsi entro le facolt di
architettura (e con particolare convinzione in quella di Valle Giulia),
assumendo lo studente del quarto o quinto anno con tutte le sue
competenze di giovane architetto in formazione e maturazione, in primis
quelle compositive e progettuali (quindi anche tecnologiche, strutturali,
impiantistiche e, naturalmente, urbanistico-territoriali), educandolo a un
sano rapporto con le preesistenze (richiamando, a questo fine, il prezioso
contributo delle discipline storiche) non solo mentale e intellettuale ma
anche di compromissione materiale e concreta (con riferimento ad una
materia spesso degradata e segnata dal tempo) per poi restituirlo, fornito di
pi matura consapevolezza e capacit dascolto, al suo alveo naturale della
progettazione architettonica.
Per questo Valle Giulia non ha attivato, come invece altre facolt, pur
vicine, corsi di laurea in conservazione ma, per restare nellambito del
nostro tema odierno, solo in architettura e architettura-restauro.
Per questo la Scuola di specializzazione in beni architettonici e del
paesaggio di Roma rivolta agli architetti e agli ingegneri edili-architetti
primancora che ad operatori magari gi esclusivamente orientati al restauro
fin dal primo anno di studi universitari, circostanza nel nostro caso quanto
mai inutile. Utili sono invece tutte le materie proprie dellarchitettura, a
partire dalla storia e dalle esperienze vissute di formativit architettonica,
per usare la felice espressione coniata da Luigi Pareyson (1974) il quale
intende con quel termine un fare che, mentre fa, inventa il modo di fare.
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Senza capacit formative non si avr mai un buon restauratore, mentre vale
il contrario: si potr educare ad essere un valido restauratore larchitetto pi
iper-creativo, rivoluzionario, antistorico che si possa immaginare, purch sia
realmente tale.
Si tenga presente, in ultimo, che in un ambiente fortemente antropizzato
ogni progetto di architettura gi restauro, perch modifica le relazioni
esistenti tra gli oggetti ed instaura fra essi una nuova legge. Misurarsi con
lesistente gi restauro.
Sandro Benedetti (1995) si sofferma sul tema del linguaggio architettonico
da impiegare nei nuovi inserimenti entro le preesistenze, linguaggio
ovviamente della contemporaneit, intesa nella sua accezione pi vasta:
cio della complessa stratificazione formale che larchitettura della
modernit ha prodotto fino ad oggi. Ne deriva una presa di distanza da
forme desunte esclusivamente da modalit compositive dimpianto
astrattizzante, quali per esempio quelle del razionalismo funzionalistico o
del recente decostruttivismo. Tale approccio orienta invece lattenzione
verso un linguaggio che, senza rinunciare ad un sentire contemporaneo, si
proponga di trovare riverberi e consonanze con i contesti ambientali, urbani
o edilizi nei quali viene impiegato. Per Benedetti, una tendenza di
architettura che punti ad unattiva contestualizzazione quella che meglio di
ogni altra pu risolvere il problema dinserire linnovazione nel restauro: ci,
naturalmente, fermi restando i limiti di rispetto della preesistenza in tutti i
suoi valori.
Occorre esplicitamente chiarire che questa tendenza non mira a
nascondere con forme e figure architettoniche neutre il nuovo nella
preesistenza, cos come stata la regola del cosiddetto moderno
ambientato divulgato nei decenni passati. Essa aspira invece a presentarsi
nei contesti storici con il volto e la suggestione di oggi ma, al tempo stesso,
non vuole con le sue figure contrastare o sconvolgere lequilibrio figurativo
dellinsieme entro cui sinserisce. Compito del nostro tempo infatti non di
copiare o rifare il verso a modalit stilistiche del passato, ma di coglierne le
impronte, reinterpretarne i caratteri nella chiave del linguaggio delloggi ed,
-
27
infine, condurre a sintesi nuove le
suggestioni suscitate dalla struttura
figurativa della preesistenza. In
sostanza si tratta di proporre forme
atte a rispondere sia alle moderne
esigenze duso che a quelle di
ascolto dei valori del contesto
evocato.
Antn Capitel (1988) muovendo,
come anche Paolo Marconi (2004),
dallinterno della cultura del restauro
sviluppa il concetto di analogia formale, utilizzabile nei lavori dintegrazione
e aggiunta, da non intendersi come imitazione stilistica, storicistica ma
come aggiunta critica che si fonda sullavvicinamento e sullascolto
dellopera lacunosa e del suo intorno. Essa moderna ma non
indiscriminatamente creativa (p. 154), sa esprimere a vista la distinzione di
antico e nuovo ma, insieme, mira a dare o conservare unit architettonica al
manufatto. Si basa sulla realt stessa dellarchitettura da restaurare che la
fonte conoscitiva e dispirazione di tutto il processo. Fra gli esempi portati
sono molto significativi gli interventi dellarchitetto Dionisio Hernndez Gil, a
Mrida, per la sistemazione (avviata nel 1985) del Tempio di Diana, det
romana e, in Alcntara, per il restauro (iniziato nel 1962) del convento di
San Benedetto, con linteressante scala a pi rampe e lintegrazione della
volta della sala gotica, oppure il completamento della chiesa di Santa
Croce a Medina de Rioseco, in provincia di Valladolid (architetto Jos
Ignacio Linazasoro, 1985-88) (fig. 14). Il suo concetto si avvicina, in
sostanza, a quello di attiva contestualizzazione richiamato da Sandro
Benedetti.
Ignasi de Sol Morales (1985) nellopera di restauro di Gunnar Asplund
(Municipio di Gteborg, 1913, 1934-37), Carlo Scarpa (Museo di
Castelvecchio a Verona, 1953-76) e Giorgio Grassi (Castello di
Abbiategrasso, 1970) riconosce, pur nelle personali declinazioni, un
comune procedimento analogico, espressione duna nuova sensibilit
14
-
28
verso le preesistenze,
risolta tramite un
controllato dosaggio
dei rapporti fra
somiglianza e
diversit e
linterpretazione dei
tratti dominanti
nelledificio antico allo
scopo di farsene eco nelle moderne aggiunte (p. 40). Analogia da non
spingere tuttavia, come ha fatto, in un primo momento, Rafael Moneo nel
suo progetto di ampliamento del Banco de Espaa a Madrid (1978-80),
entro il solco ristretto stabilito dalle leggi dello stesso edificio, dalla sua
logica compositiva e dallorganizzazione costruttiva e spaziale esistente
senza alcun tipo di distanziamento che delimiti le caratteristiche proprie di
ogni operazione estetica, lasciando cos che la fabbrica sia condotta fino
allestremo dalle esigenze delledificio preesistente, con la conseguenza
che lanalogia si fa cos tenue e impercettibile da diventare mera
tautologia (p. 42). La vera analogia, invece, cosa diversa e tende a
superare la precedente pratica del contrasto, quale categoria formale tipica
di buona parte della modernit
novecentesca.
interessante, a questo punto,
osservare come Eduardo Souto de
Moura (2007), tornando pi di recente
sullargomento, rilevi gli affinamenti
progettuali apportati dallarchitetto, a
partire dal 2002, fino alla soluzione poi
realizzata nel 2006, nella quale le
preoccupazioni sopra accennate sono
positivamente risolte. Stante la
premessa di adottare i medesimi criteri
compositivi dellopera preesistente, i
15 15
16
-
29
materiali, la pietra, al fine di conservare il senso, Moneo ha ricercato una
nuova coerenza fra interno ed esterno, ha rinunciato a proporre le
intelaiature e la grande vetrata in forma di replica, ha adottato una
decorazione pi stilizzata, con elementi la cui volumetria pu essere letta
quasi soltanto dal rilievo e dalle ombre, ha reso le sculture della facciata
non pi realistiche ove la postura della figura, quasi come nei ritratti
cubisti, la si percepisce appena. Ha in sostanza completato ma con
lintento di mantenere a lungo termine latmosfera dellisolato tramite
limpiego di un linguaggio autonomo, distintivo, con unidentit tutta sua,
attuale, contemporanea. Conclude Souto de Moura che durante i diciotto
anni trascorsi dal concorso il Banco de Espaa di Rafael Moneo si
trasformato in un manifesto involontario riguardante la conservazione del
patrimonio storico (pp. 16-17) (figg. 15-16).
Gi da un primo sommario approccio al tema del linguaggio architettonico
da adottare in contesti antichi, architettonici o urbani, emergono tre vie, una
modernista, incarnata emblematicamente da ripetute affermazioni di Jean
Nouvel (Baudrillard, Nouvel 2003), una storicamente regressiva e, in
sostanza, ripristinatoria ed una terza via, invocata dai molti autori che si
sono espressi tanto contro la dissonanza e il contrasto quanto contro
limitazione storicistica, ma delineata con maggiore precisione da Sandro
Benedetti, in termini di ascolto e reale attenzione al passato. A tale
riguardo, per esemplificare in concreto, credo che una valida terza via sia
quella tenacemente perseguita da Guido Canali nellultimo ventennio, con
esiti di grande qualit e rigore, confermati dalla capacit di dialogare, da
architetto operante e creativo qual , con i responsabili istituzionali della
tutela, colleghi di soprintendenza, storici dellarte, archeologi. La sua
concezione di restauro leggero, oggi accompagnata da quella, altrettanto
interessante, di restauro timido proposta dallarchitetto Marco Ermentini
(2002, 2007) e tutta la sua produzione dedicata a questo genere di temi lo
dimostrano (fig. 17). N si creda che il delicatissimo trattamento di tracce e
materiali proprio di Canali, ad esempio nel restauro dellantico ospedale di
Santa Maria della Scala a Siena, vada attribuito ad una sua predilezione
iperconservativa; non affatto cos, perch egli aderisce espressamente ad
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una visione critica del
restauro che sa
spontaneamente tro-
vare il punto di equilibrio
fra conservazione, rimo-
zione, reintegrazio-ne,
innovazione ed ha la
sensibilit di sapersi
fermare in tempo e di
tradurre in stimolo poetico tutti i materiali coi quali si trova a lavorare. Tale
opzione critico - conservativa sembra proporsi oggi come la pi aggiornata
e rispondente ad una concezione culturalmente matura e sensibile alle
molteplici questioni che la disciplina, per sua natura, suscita (Carbonara
1990, 1996). In ultimo vale la pena ricordare che un ottimo esempio di
sperimentazione del metodo critico, negli stessi anni della sua
formulazione di principio, dato dal restauro post-bellico dellOspedale
Maggiore di Milano, avviato da Ambrogio Annoni e completato da Liliana
Grassi. Molto efficace la sistemazione del chiostro della Ghiacciaia, in
parte ricostruito e in parte no; in ambito pittorico, dal restauro dellAula
Magna dellUniversit di Genova, attuato rinnovando modernamente, ad
opera di Francesco Menzio, il dipinto della volta distrutto nel corso della
Seconda Guerra Mondiale (figg. 18-19).
La possibile compatibilit di antico e nuovo era anche la speranza di Renato
Bonelli (1963, ora anche 1995, pp. 27-34, da cui si cita) il quale vedeva
larchitettura di restauro (cio, sviluppata e progettata in stretta relazione
con la preesistenza e sostenuta da un forte sentire storico-critico) come
progettazione alta, unica espressione autentica dellodierna sensibilit
culturale ed, in sostanza, della modernit: Il restauro costituisce dunque
unattivit nella quale lodierna cultura attua pienamente se stessa e che
risulta pi rappresentativa della stessa architettura contemporanea, poich
dimostra una cosciente continuit col passato ed una consapevolezza del
17 17 17
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31
momento storico che ledilizia moderna non possiede (p. 31). Modernit
non parzializzata n mutilata, come certa storiografia militante ha preteso
in questultimo mezzo secolo, ma accolta in tutta la sua ricchezza di
riferimenti e prospettive, che non si riducono soltanto a quelle del
Movimento Moderno o del Razionalismo architettonico ma che contemplano
anche un vitale rapporto con la storia e con la lezione del passato (quando
solo si pensi, per esempio, oltre a Louis I. Kahn, a certi architetti costruttori
di chiese nella Germania di Weimar, come Otto Bartning e Dominikus
Bhm, al restauratore-innovatore del Castello di Praga, Joe Plenik o al
nostro Carlo Scarpa).
Sembra quindi che, sotto il profilo del linguaggio, sussistano modalit
compatibili con lantico senza, per questo, essere imitative. Sono quelle su
cui ci si prima soffermati, fondate su linee alternative e, fino ad oggi,
considerate minoritarie della modernit, non aderenti ai principi del
Movimento Moderno propagandato, ad esempio, da Nikolaus Pevsner ma
da esso autonome, pur nella loro piena attualit. Esistono ugualmente,
per, valide proposte giocate sul contrasto dialettico.
Non vale unopzione linguistica preordinata e, in s, preferibile; la questione
di metodo e di sensibilit. La giusta strada va ricercata, ogni volta, con
fatica e determinazione.
Metodo, i cui contenuti sono stati di recente lucidamente riepilogati e
discussi da Donatella Fiorani (2011) per cui: larchitettura storica costituisce
un fine, e non un mezzo della progettazione; loggetto del restauro
lopera architettonica nella sua interezza, senza indebite parzializzazioni; il
progetto di restauro non pu evitare di assumere la dimensione temporale
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quale componente significativa delle proprie scelte, ragione per cui esso
inevitabilmente, si confronta con la storia, ad essa deve consegnare il
proprio operato e la testimonianza dei propri criteri e in relazione ad essa
assume una precisa responsabilit etica; nel restauro sussiste la necessit
di effettuare una sintesi valida fra unattivit di natura analitica, dal forte
contenuto filologico e scientifico, e unoperazione pi apertamente
propositiva, soggetta a valutazioni critiche diverse. Entrambe tali
componenti, per risultare efficaci, devono essere pienamente assorbite
allinterno dellattivit di progetto: da qui la continuit e muta
alimentazione fra indagine e progetto; il processo induttivo, sicuramente
propedeutico alla fase preliminare del progetto, non pu mai effettivamente
considerarsi concluso e prosegue nelle elaborazioni definitiva ed esecutiva
dellopera, nel corso del cantiere e, a volte, anche con monitoraggi
successivi allintervento; la natura differenziata delle informazioni pone
precisi problemi di gestione e confronto dei dati, da sottoporre essi stessi ad
una speciale attivit di progettazione per definire sistemi di archiviazione,
tempi di raccolta, confronti e verifiche multidisciplinari Ne consegue che il
progetto di restauro si definisce metodologicamente quale processo di
natura eminentemente architettonica, fondato sulla gestione sistematica e
coordinata di dati scientificamente e filologicamente verificabili e strutturato
sul confronto costante fra spessore diacronico dellesistente e attualit.
Sul tema del confronto con la dimensione temporale si era gi soffermato
Claudio Varagnoli (2006) rilevando che la disciplina del restauro pu
configurarsi come una sorta di critica del progetto alla luce della
permanenza nel tempo proiettando le scelte del presente in una
dimensione temporale pi vasta, che prescinda dal solipsismo del
progettista realizzatore.
In questo modo, il restauro potrebbe riprendere la sua funzione di critica del
presente, mettendo a nudo i contrasti con le ideologie ottimistiche e
falsamente progressiste della post-modernit (p. 239).
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2. Linnesto del nuovo sullantico: un quadro di riferimento
Siamo convinti che laccostamento e, in certi casi, la saldatura di antico e
nuovo siano una realt positiva da non negare n rifiutare a priori; che tale
modernit debba essere attentamente motivata e vagliata nelle sue
modalit espressive (escludendosi, per esempio, gli atteggiamenti di voluto
diniego o azzeramento della storia e delle sue testimonianze, a meno che
tali affermazioni non rappresentino che semplici dichiarazioni di poetica,
capaci dindurre, per esempio, a scelte non di eliminazione ma di ben
studiato contrasto con lantico, sovente preferibili alla pi rassicurante via
dellimitazione e della replica linguistica); che loperatore architetto debba
essere colto, paziente nellascoltare la preesistenza e sensibile, soprattutto
consapevole dintervenire su preziose testimonianze materiali di civilt, per
definizione uniche e irripetibili.
Fra una modernit avanguardistica e rivoluzionaria, oggi declinata in chiave
high-tech e globalizzante, atopica e astorica, da una parte, ed una
postmodernit imitativa, regressiva, in certi casi falsificante fino al ricalco
stilistico dottocentesca memoria o allimpossibile replica comera e
dovera, esiste anche quella terza via, dun rapporto vivo e rispettoso con
la memoria e duna sua attiva contestualizzazione, studiata e approfondita
da storici dellarchitettura che sono al tempo stesso architetti militanti. Ma la
questione, ripetiamo, non tanto di scelta di linguaggio quanto di capacit e
cultura personale, di senso della misura, di attitudine a comprendere la
natura, il luogo e i significati del monumento o del tessuto storico in esame,
rimanendo piuttosto libera lopzione figurativa: alcune esperienze si
pongono su una linea di assoluta e, per cos dire, dirompente modernit;
altre su quella duna solidit costruttiva e dun rigore geometrico ed etico
che risente della tradizione, meno moderna ma non meno attuale, per
esempio, dun maestro come Mario Ridolfi; altre ancora su quella duna
maggiore assonanza alla preesistenza, nelle forme duna modernit pi
sussurrata, mediata e filtrata. Analogo pu risultare il discorso del
consolidamento e delle sue inevitabili ricadute figurative, soprattutto quando
non le si voglia occultare entro lalveo accogliente degli antichi muri ma,
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lasciandole bene in vista, le si faccia dialogare con essi, nel rispetto dei
fondamentali principi del restauro (distinguibilit, autenticit espressiva,
compatibilit, minimo intervento, reversibilit): basti pensare al lavoro di
Antonino Gallo Curcio o di Lorenzo Jurina. Analogo ancora quello
dellintervento impiantistico.
Paolo Portoghesi (2006) si sofferma sullargomento negando che il tema del
rapporto tra antico e nuovo possa essere risolto con apodittiche
proibizioni o licenze stabilite in assoluto. Per questa via ci si perde in
interminabili discussioni senza approdo sicuro (p. 20), mentre lunica
regola generale la riconoscibilit.
Egli osserva che lItalia, negli anni Cinquanta del secolo scorso, per opera
di Albini, dei B.B.P.R., di Scarpa, di Gardella, di Michelucci ha dimostrato
non solo la compatibilit nel restauro del nuovo e dellantico ma la
possibilit che dallaccostamento coraggioso nasca un plusvalore che
dipende dalla natura dialogica dellintervento moderno. Detto questo
sarebbe fazioso considerare il dialogo lunico metodo valido. Anche il
contrasto e la frattura possono avere un senso quando lo giustifichi
loccasione e quando nascano da una scelta meditata e sofferta. La nostra
riflessione potrebbe generare per lequivoco che il caso per caso finisca
per ammettere qualunque metodo e qualunque soluzione. vero il contrario
perch questo indirizzo non ammette giustificazioni generiche ma
presuppone ragioni strettamente legate al problema specifico affrontato.
Comunque, a prescindere dalle tendenze e dai metodi esiste oggi in Italia
una sindrome della conservazione ad ogni costo che tende ad aggravarsi
con ritmi preoccupanti (p. 21). Ad essa si deve, secondo Portoghesi, se
lItalia rimasta indietro rispetto ad altri paesi europei, come la Spagna,
lInghilterra, la Germania, lOlanda, la Francia nei quali le citt hanno
vissuto, negli ultimi ventanni, un periodo di vitale rinnovamento, attraverso
la sostituzione radicale di parti considerate obsolete e tali comunque da
ostacolare senza adeguate contropartite anche se si trattava di squallidi
esempi della pi anonima routine ottocentesca (p. 22).
Sulla natura di tale rinnovamento Portoghesi (2005) si era per gi
espresso ed in maniera tuttaltro che favorevole ad un modernismo
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indiscriminato, tanto meno a quello internazionalistico delle archistar. Egli
notava che oggi, allinizio del terzo millennio, la cultura architettonica
sembra totalmente assorbita dalla ricezione passiva delle novit
tecnologiche, dalla celebrazione dello sviluppo economico e della
globalizzazione. Perduta la fiducia nella propria missione sociale
larchitettura celebra stancamente i riti solipsistici della espressione
personale e dellautoreferenzialit dei suoi prodotti e si crogiola negli
effimeri splendori delle grandi opere spesso pensate non per dare
coesione e organicit al tessuto delle citt ma per riempire i vuoti creati
dalla obsolescenza delle strutture produttive. Per restituirle una ragion
dessere, una dignit, un respiro corale si deve combattere la tentazione di
ridefinire il suo statuto come pura attivit artistica senza altri obiettivi che
lespressione della individualit dellautore e la celebrazione pubblicitaria del
committente (pp. 7-8).
Va quindi sostenuta una tendenza che veda il progetto come il tentativo
coraggioso di conciliare le ragioni dello sviluppo con quelle che oggi
chiameremmo della sostenibilit, di rifiutare quindi che larchitettura continui
ad operare con violenza sullambiente ignorando quei processi di continua
armoniosa evoluzione che caratterizzano la natura e le sue forme viventi
(p. 12). Torna qui utile il parallelo fra lambiente naturale e quello urbano,
propriamente quello costituito dal delicato tessuto dei centri antichi,
armoniosamente evolutosi, nei confronti del quale analogo dovr essere un
atteggiamento che voglia presentarsi come virtuoso e non distruttivo.
Sempre Portoghesi (2006) richiama la natura dialogica dellintervento
moderno in ambiente antico, non dando affatto per necessaria lopzione del
contrasto. Sar poi necessario definire e cogliere la misura di questo
dialogo per non cadere nellimitazione pedissequa: in ogni caso si tratta,
come ci ricorda Luca Scalvedi (2009), recensendo la rivista Abitare la
Terra, diretta proprio da Paolo Portoghesi, di ridare spazio alla tradizione
intesa come stimolo allinnovazione nella continuit.
Secondo Sandro Benedetti (1991) tre sono, in architettura, oggi le principali
linee di ricerca: a) quella convinta della vitalit ancora piena dei contenuti e
dei portati del Moderno (a sua volta articolata secondo possibilit
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espressive latenti, da P. Rudoph a V. Gregotti; secondo orientamenti
critici di quella stessa lezione, dai Five Architects ai Decostruttivisti;
secondo la radicalizzazione modernistica concentrata nellaccentuazione
della mitologia macchinistica e tecnologica, la cosiddetta high-tech, da R.
Rogers a N. Foster); b) quella di coloro che, pur distaccandosi
dallenfasi modernistica, mantengono declinazioni formative essenzializzate
di quella stagione, arricchite da procedure compositive di
complessificazione, variamente desunte dalla lezione della tradizione culta
o popolare del pre-moderno, da I. Gardella a R. Gabetti e A. Isola, da G.
De Carlo a M. Botta; c) quella di coloro che puntano a un convinto
allontanamento, oltre che dalle convinzioni, anche dalla figurativit del
Moderno, attraverso i pi diversi recuperi della grande tradizione storica
pre-moderna: M. Ridolfi, S. Muratori, Ph. Johnson, R. Venturi, A. Rossi, P.
Portoghesi il G.R.A.U., M. Culot fino ad arrivare a esercizi eclettici, con le
realizzazioni francesi di Bofill o a perseguire un cosciente recupero
archeologico dellarchitettura antica come clamorosamente propone L.
Krier.
Si pu osservare, da un lato, levidente esaurimento degli stimoli
progressivi, che il tardo modernismo accusa, dallaltro la allegra
dissipazione linguistica, o di moda stilistica con cui alcuni attori del Post-
Moderno ne riducono la diversit e la carica rinnovatrice; il tutto, sovente,
in un giuoco di esasperato individualismo, che tende a ridurre gli spunti
storici recuperati a oggetti manipolabili ad libitum, pi che a presenze vive
da cui far partire la nuova sintesi.
Dimenticando quel necessario rapporto di attivo scambio, che sempre
nelle epoche pre-moderne lesercizio di memoria ha avuto dentro lo
spessore della tradizione.
Questa, infatti, non ripetizione stanca di formule o di sintesi gi
consolidate, ma riassunzione e riproposizione creativa. Cos conclude
Benedetti: Entro questa modalit formativa, che atta a consentire un
positivo assorbimento di quanto la modernit ha depositato di valido
insieme al superamento post-moderno della sua mitologia, pu indicarsi una
possibile linea di percorso positiva per let di transizione, entro cui sembra
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essersi incamminato il tempo del nostro agire (p. 205). Con il che si
definito un primo quadro di riferimento entro il quale ricercare i nessi con i
temi del restauro e del dialogo con le preesistenze.
3. Modernit e restauro
Non sembra condivisibile laffermazione secondo cui lItalia avrebbe
sviluppato una chiusura alla modernit a causa duna strenua volont di
tutela dellantico: il contrasto esiste ma, di certo, ha provocato danni sul
fronte pi debole, proprio quello dellantico, mentre di architettura o, se si
vuole, di edilizia moderna ne abbiamo anche troppa e in prevalenza di
bassa qualit. Semmai si pu dire che non si nota quasi nessun rigoroso
impegno nello sperimentare modalit, che abbiamo visto essere possibili, di
buona convivenza; nel ricercare un dialogo fra le ragioni liberamente
creative del progetto di architettura e quelle storico - scientifiche della
conservazione architettonica o, meglio, del progetto di restauro (anchesso
pertinente, a pieno titolo, al territorio dellarchitettura); o anche
nellindividuare una terza via, fra i due estremi dellimitazione stilistica e
dellopposizione linguistica dirompente, delleclettismo privo di metodo e
della presunta libert assoluta. Forse proprio quella del rapporto creativo
con la tradizione tratteggiata da Benedetti e sostenuta da Portoghesi,
Miarelli Mariani, Strappa (figg. 20-26).
Le difficolt e la menzionata chiusura non dipendono da pretese assurde
della cultura della conservazione bens da una pi generale incapacit
progettuale e inadeguatezza culturale degli stessi progettisti, perlopi
insensibili al problema e privi duna solida preparazione storico-critica; a ci
si aggiungano il carattere spesso soffocante duna prassi di tutela anchessa
culturalmente carente ed arretrata, lassenza duna committenza, prima di
tutto pubblica, illuminata e capace, il sistema dei concorsi e delle gare di
progettazione, che tende a premiare la quantit invece della qualit, le
molte altre ossessive incombenze, non ultima la patologica proliferazione di
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norme e leggi, che in Italia oggi rendono difficile il mestiere dellarchitetto. In
ogni modo si tratta di questioni pratiche e non di principio, assolutamente
risolvibili in termini di volont politica e amministrativa. In effetti, oggi, una
seria e diffusa attenzione al rapporto antico-nuovo ancora da costruire e
non certo che davvero interessi; manca inoltre un dialogo fra cultura e
operativit professionale, manca unautentica coscienza sociale del
problema, sostituita, com facile osservare, da un benculturalismo acritico,
alle volte istericamente conservativo altre regressivo in termini
approssimativamente storicistici. In questo panorama, inoltre, i meccanismi
economici, le norme e le procedure non aiutano, tanto meno quelle
formulate in sede di Unione Europea, largamente insensibili al tema.
Oltretutto la verifica, per cos dire, sperimentale delle modalit
dinserimento urbano del nuovo nellantico andrebbe prima condotta con
riguardo alla citt novecentesca e alle periferie, solo dopo a quella antica,
ma cos purtroppo non , anche per la volont degli architetti di confrontarsi
con presenze storicamente e qualitativamente forti e pregiate.
Eppure ci confortano le pacate considerazioni di Gaetano Miarelli Mariani
(2002) sulla necessit e possibilit duna progettazione colta, dotata di
consapevolezza storica e di senso critico; esse lasciano ben sperare sulla
futura convivenza, da perseguire con determinazione, di antico e nuovo
tanto a servizio delle nostre citt antiche quanto delle singole operazioni di
restauro sul patrimonio monumentale. Sul tema del rapporto fra storia e
restauro, da noi pi volte richiamato, ma spesso frainteso, valgono alcune
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recenti e illuminanti affermazioni di Claudio Varagnoli (2006): Lesito di tale
storia non consiste nellemettere un verdetto. Porre in luce il valore della
stratificazione, con esiti conservativi, significa che lobiettivo non fare
storia, inverandone ingenuamente gli esiti nella prassi; ma farsi storia, cio
storicizzare il proprio punto di vista (p. 232), che proprio il cuore di quanto
Renato Bonelli proponeva nellaffermare la sua visione del restauro critico e
creativo. Aggiunge a questo proposito ancora Varagnoli che il ruolo della
progettazione, e in generale della creativit, quindi fondamentale nel
percorso dellarchitetto-restauratore. importante saper dosare
questultima, piegandola a un uso dialogico con la preesistenza (p. 237).
Per Benedetti (1995) meritano di essere valorizzate, nella dimensione della
ricerca storica, le ragioni della lunga durata - delle costanti, della
tradizione, della stabilit tipologica, della normativit procedurale, della
ragionevolezza - rispetto a quelle evenemenziali della caratterizzazione
stilistica. Tutte quelle
modalit del formare
architettonico esterne a
quellossessione del
nuovo, che cadenza i
modi del Moderno (p. 8) e
la sua povera pretesa di
totale autonomia
artistica (p. 9) e di deciso
taglio operato verso la
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tradizione architettonica precedente (p. 13) comportante, fra laltro, la
riduzione delle ragioni formative alla funzione, con susseguente
abolizione di quelle ulteriori componenti, presenti da sempre nel manufatto
architettonico: simboliche, mitologiche, di connessione o derivazione dalla
fabbrilit artigiana locale emergente dal genius loci, depositate nella
memoria individuale e collettiva, di legame con la vita delle comunit e con
le tradizioni costruttive. Dimensioni che hanno da sempre costituito lo
spesso strato significativo dellarchitettura. Il tutto per sfociare
nelladozione di un altro repertorio figurativo: quello elaborato
dallavanguardia dellastrattismo, che porta a maturazione la faccia artistica
fredda del Moderno, quella del tempo del razionalismo (p. 15). Eppure
altre linee di modernit architettonica si sono sviluppate nel corso del
Novecento, basti pensare alla lezione di Louis I. Kahn ed alla necessit
perseguita di riscoprire lo spessore ontologico del costruire, di fondare
sulla conoscenza poetica, e non su una falsa razionalit, larchitettura
stessa, di stimolare lapprofondimento tra funzione e istituzione umana,
inverata nei singoli edifici (p. 194).
la linea di unaltra modernit (Benedetti 2004), declinata in termini di
ascolto e reale attenzione al passato, invocata dai molti autori che si sono
espressi tanto contro la dissonanza e il contrasto quanto contro limitazione
storicistica.
Si tratta qui daffermazioni molto lontane dalla piena libert e dalla voluta
presa di distanza fra nuovo e antico invocate, ad esempio, da Marco Dezzi
Bardeschi (2004a) la cui tesi di fondo che, pur identificandosi il restauro
con la assoluta conservazione dellesistente, il solo progetto di
conservazione della stratificata materia esistente comunque non bastail
nuovo che di necessit si aggiunge deve avere carattere di piena autonomia
e di chiara leggibilit nel contesto, come prodotto figurativo e materiale
innovativo. Egli considera, dunque, il restauro come la sommatoria di due
distinti ordini di operazioni: restauro = progetto di conservazione
dellesistente (come valore ereditato) + progetto del nuovo (come valore
aggiunto) (pp. 4-5). In altra sede Dezzi (2004b, pp. 83-84) indica le sue
predilezioni sulla natura e sul linguaggio propri di questo nuovo, aderenti
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non a una linea purista o raffinatamente high-tech, partecipe di una
Tradizione del Nuovo troppo algida e rarefatta, ma ad una linea eretica
libertaria allegramente sognante, di straordinaria forza
comunicativa, capace di creare oggetti colorati, festosi e curiosi, che
insegue il piacere intrigante e sottile della contaminazione; una via colta,
libera, gioiosa antiretorica, non mimetica e fortemente concettuale.
Ma questa, come si pu verificare considerando lintera produzione di Dezzi
Bardeschi, pi unaffermazione di poetica personale, valida quindi tanto
nellarchitettura del nuovo quanto in quella di restauro, che un argomentato
contributo di metodo. Eppure la voluta assenza, nelle sue opere, di richiami
allantico ed alle sue possibili suggestioni ripropone, coerentemente,
lasserita scissione fra progetto di conservazione e progetto del nuovo.
Va tuttavia, a questo punto, sottolineato senza lasciarsi impressionare
dalla scissione appena menzionata che il nostro ragionamento si allarga,
volutamente, a tutto campo senza separare il tema dellinserimento del
nuovo nella citt antica da quello dellinserimento del nuovo, quale atto di
restauro, nel singolo monumento, da reintegrare, consolidare o ampliare per
ragioni imprescindibili. I due temi in effetti si riducono ad uno, il primo
affrontato a scala urbanistica (il nuovo edificato come reintegrazione di una
lacuna urbana), il secondo a scala edilizia, ma non c differenza
concettuale. Riguardo al fronte opposto, neo-stilistico, ri-produttivo e
regressivo, sostanzialmente inteso a costruire una citt ormai superata e
ad aggrapparsi alla citt del XIX secolo continuando a voler fare strade
e piazze come prima ma oggi prive di senso, si esprime nuovamente
Jean Nouvel, giudicandolo proprio di quegli architetti che si attaccano
sempre alle forme del passato e si disperano se vedono la citt evolversi in
condizioni diverse da quelle che hanno adorato (Baudrillard, Nouvel
2003, p. 49).
Circa il medesimo tema della ri-produzione e della replica, che nel
restauro si spinge fino al notissimo principio del comera e dovera, utile
riflettere su quanto, presentando il suo progetto per il restauro-ricostruzione
della Fenice a Venezia, giustamente notava Aldo Rossi: che si pu
certamente pensare di riedificare il monumento dovera ma non certamente
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comera. Troppe e incolmabili sono ormai le differenze col passato, anche
solo di due secoli fa: economiche e dorganizzazione del lavoro, costruttive,
di materiali e di tecniche, normative, di gusto, di sensibilit per lo spazio,
desigenze funzionali e di comfort, soprattutto legate allirruzione
dellimpiantistica nellarchitettura. Volendo si pu tentare di fare un ricalco
esteriore e formale, ma basterebbe guardare non i prospetti bens la sola
sezione grafica di quanto si ricostruito per cogliere linnegabile diversit di
nuovo e antico.
Esattamente come accaduto alla Fenice, pur nella parte sopravvissuta e
trattata nel modo filologicamente pi scrupoloso. Si pu rifare una
scenografia, una scatola vuota, non unarchitettura completa e strutturata in
organismo; la scenografia cosa ben diversa anche dalla semplice copia
scientificamente e rigorosamente intesa. Per questa via ci si avvicina,
nuovamente, pi alle costruzioni fantastiche di Disneyland che allantico. A
proposito della recente sistemazione del Neues Museum nellIsola dei
Musei, a Berlino, opera degli architetti neoclassici Friedrich A. Stler e
Johan H. Strack, restaurata da David Chipperfield negli anni 1997-2007,
Beatrice Vivio (2009, p.13) osserva come larchitetto abbia preferito, invece,
operare in maniera mirata alla salvaguardia della complessa storia
delledificio, sia del periodo precedente alla distruzione della guerra che di
quello successivo individuando due opposte possibilit di sostituire le
mancanze con copie analogiche o con forme distinguibili secondo un
rigoroso metodo di valutazione critica caso per caso. Lobiettivo, in sintesi,
stato quello di restituire una vita funzionale alledificio, completando
lesistente senza imitazioni n intenti scenografici e trasformandone il
degrado in caratteristica acquisita, quindi accogliendo sia il nuovo che i
segni di danneggiamento come ulteriori testimonianze stratigrafiche, in un
arrangiamento finale che come una parafrasi delle antiche partiture
architettoniche. Analogamente al caso gi considerato di R. Moneo, anche
qui si nota come un improvviso avvicinamento ai principi operativi del
restauro critico, dimpronta italiana, favorito certamente da una lunga
gestazione progettuale e da una personale riflessione poetica. Involontario
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scrive Souto de Moura a proposito di Moneo, frutto probabilmente dormai
lunghe e ripetute frequentazioni italiane per Chipperfield (figg. 27-30).
4. Le ragioni dun rapporto difficile
Ci si trova in sostanza, ragionando sul rapporto antico-nuovo in architettura,
di fronte a un tema in fermento e da reimpostare profondamente, forse
ripartendo dalle conclusioni dellincontro veneziano del 1965 (Gli architetti
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moderni e lincontro tra antico e nuovo, Venezia 23-25 aprile 1965) e
cercando di superarle. Allora Bruno Zevi si espresse perentoriamente
contro ogni teoria dellambientamento, presentando lincontro antico-nuovo
in termini di necessarie sofferenze, strappi, squilibri. Renato De Fusco
studi laspetto della nuova architettura come uno dei volti propri dei mass-
media, invitando alluso di un linguaggio architettonico capace di recuperare
significati e determinare comportamenti. Giancarlo De Carlo, Italo
Insolera, Cesare Valle ed altri rimandarono a un discorso generale
urbanistico. Roberto Pane si dichiar a favore delledilizia di sostituzione
che consentiva, nella citt antica, di rinnovare conservando volumi e
allineamenti.
Il documento finale rilevava, nella situazione italiana, la contemporanea
rovina dei centri storici senza che si permettesse lesecuzione di architetture
moderne autentiche; si esprimeva contro gli edifici ambientati e i falsi storici;
auspicava la conservazione integrale dellantico e, insieme, la piena
espressione del nuovo; rifiutava quindi ledilizia di sostituzione; reclamava
una comprensione globale dei problemi e dei fenomeni della citt moderna.
Molto diverse, in quegli stessi anni, le parole di Cesare Brandi proprio sul
tema della sostanziale incompatibilit di antico e nuovo, da lui argomentate
in termini di avvenuta rottura della spazialit prospettica che aveva retto e
unificato larchitettura fino ai primi del Novecento; o le precedenti
espressioni di Renato Bonelli (1963, ora 1995), molto avanzate e quasi
profetiche, che proponevano, come detto, larchitettura di restauro come
espressione della massima consapevolezza storica: architettura moderna
proprio per tale precipuo, fondativo carattere e non per ladesione alle mode
pi attuali e peregrine. Per quanto concerne il pensiero di Brandi
richiamiamo, qui di seguito, altre sue interessanti argomentazioni, legate
alla natura intrinseca dellopera darte ed agli sviluppi della coscienza
storica attuale, traendole dallo scritto del 1964 Il nuovo sul vecchio
(ripubblicato in Brandi 1994, pp. 35-42).
Egli sostiene esplicitamente la tesi che non si possano inserire nuove
espressioni artistiche in un contesto antico, anche se lo stesso contesto
risulti da stratificazioni di epoche diverse e conseguentemente di
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espressioni a differente tenore formale (p. 35). La ragione di tale divieto
sta, pur se in parte, nella filologia, intesa s ad appurare il testo genuino di
unopera (o, se si preferisce, a restituire un testo alla sua edizione critica)
ma tassativamente senza intervenire sullo strumento che tramanda il
monumento letterario o scientifico che si vuole ricondurre alla lezione pi
pura. Nelle arti figurative invece noi ci troviamo di fronte allopera che
anche il medium attraverso cui si trasmette alla percezione, onde qualsiasi
intervento sullopera anche intervento sul modo di trasmettersi dellopera
stessa nel tempo. Si tratta di una differenza sostanziale fra la critica
letteraria e la critica del testo monumentale, che vieta la manipolazione di
questultimo, sia nel togliere sia (tornando ai canoni della filologia)
nellammettere nuove inserzioni (p. 36).
A questo proposito, richiamando la sua Teoria del restauro (1963), Brandi
rammenta tuttavia che essa, pur marginalmente, non vietava la
eventualit di nuove inserzioni, se non ed in quanto erano necessarie per la
statica dellopera o per una continuit di lettura del testo figurativo.
La questione verte, al contrario, proprio su quelle aggiunte che vorrebbero
rappresentare una nuova espressione artistica inserita in un antico
contesto.
Non dunque il punto di vista del filologo, a cui in parte ci siamo ricollegati,
ma il punto di vista opposto, quello che potremmo chiamare, con una parola
che ingiustamente alquanto screditata, del creatore. Da un lato il critico
intima di non manomettere lopera, dallaltro lartista pretende di
riprenderla, interpolarla, continuarla; ne consegue che il modo di porsi in
situazione verso lopera darte nei due casi completamente diverso. Nel
primo, accogliamo lopera darte come opera darte cos come ce lha
trasmessa il tempo, e interrogandola nelle sue strutture cerchiamo di
desumere le sue diverse fasi; nel secondo, facciamo ridiscendere lopera ad
oggetto a cui, in tutto o in parte, intendiamo dare una nuova formulazione.
Nel primo modo, consideriamo lopera darte, oltre che come unit o
complesso artistico, storicamente; nel secondo, la consideriamo in tutto o in
parte, come cosa in fieri, che noi possiamo continuare, aumentare,svolgere.
In questo caso non consideriamo lopera storicamente, ma come cosa su
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cui intendiamo fare storia, darle un nuovo corso storico oltre che artistico.
La diversit radicale di questi due punti di stazione dunque irriducibile
(pp. 37-38).
Con quale diritto e su quali basi si inserir qualcosa di nuovo in unopera
darte del passato, non gi per ragioni statiche o di conservazione, ma per
renderla pi bella? Gi la parola cos equivoca, da dovere essere
messa fra virgolette. Ma se questi dubbi si elevano per il momento attuale,
come non estenderli al passato? La risposta a questultima domanda sta
nel fatto che la considerazione storica del monumento in s e per s
conquista abbastanza recente, ed conquista che si deve al grande
storicismo ottocentesco. Ecco perch da due secoli a questa parte noi non
possiamo comportarci, di fronte al passato, con la stessa spontaneit e
libert degli artisti antichi ed ancora di quelli fino alla tarda et barocca; si
infatti, nel frattempo, determinato un cambiamento radicale nel modo di
porsi in situazione verso un monumento (p. 39). Questa coscienza storica
del monumento, una volta acquisita alla nostra civilt, non pu pi essere
invalidata. Proprio perch non un apprezzamento transeunte, ma un
modo di porsi scientifico della nostra civiltNon dunque una minore
fiducia negli artisti di oggi, ma il necessario riconoscimento di uno status
irreversibile della coscienza storica attuale ci impedisce di intervenire sui
monumenti del passato altrimenti che con atti di consolidamento e di
salvaguardia per la trasmissione al futuro (p. 41).
Il punto che qui, dunque, interessa di definire, riconosciute le differenze
fra filologia testuale e filologia delle espressioni figurative, la vera natura
degli interventi per volont di consolidamento, conservazione,
salvaguardia e continuit di lettura del testo figurativo, a fini di buona
trasmissione al futuro dei monumenti del passato, distinguendola da
quella che mira a rappresentare una nuova espressione artistica, a
manomettere lopera riprenderla, interpolarla, continuarla, per
attualizzarla e renderla pi bella (pp. 37-38). Il fatto che, a maggior
ragione proprio sui testi figurativi, come ci ha insegnato la riflessione sul
restauro critico, i diversi atti di consolidamento, conservazione, restituzione
della continuit di lettura e via dicendo (vale a dire tutte quelle inserzioni
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legittime cui accennava Brandi) non potranno mai essere neutri n
figurativamente ininfluenti; per essi andr ricercata una soluzione figurativa
facendo architettura sullarchitettura. Come ha affermato Paul Philippot, gi
ricordato in apertura, qui non si tratta di sola critica verbale ma di critica in
atto - o pi precisamente, secondo Paolo Fancelli (2006, p. 279), di
ermeneutica in atto - esercitata sulla materialit dellopera, pur se a
servizio dellopera stessa.
Ogni atto di conservazione e di restauro, pur se condotto con le migliori
intenzioni, altera e modifica. Inducono modifiche, spesso molto consistenti,
anche quelle provvidenze inizialmente immateriali che riguardano, per un
antico edifico, lattribuzione di funzioni (anche le pi blande e compatibili), il
rispetto delle normative di sicurezza, impiantistica e strutturale (si pensi ai
soli problemi di miglioramento sismico), di quelle per laccessibilit (quindi,
nuovamente, per la piena godibilit e fruibilit del monumento) e via
dicendo. In una realt complessa come larchitettura, la risposta a queste
esigenze passa attraverso un momento consapevole di progettazione, per
quanto intesa a fini conservativi e restaurativi, non astrattamente
manipolativi o riconfigurativi. Progettazione misurata, fondata
sullapprofondita conoscenza anche materica del manufatto, fortemente
critica e autocritica, attenta alle ragioni della storia e della tutela, ma pur
sempre imprescindibilmente atto di progettazione destinato a tradursi tanto
in realt materiale quanto espressiva e figurale, n pi n meno. Forse
proprio con qualcosa in pi che deriva dalla responsabilit aggiuntiva legata
alla circostanza di lavorare su beni per definizione unici e irripetibili.
Si tratta duna progettazione non di routine ma impegnata, difficile e davvero
specialistica, eppure con le sue radici ben piantate nel campo
dellarchitettura pi generalmente intesa, non suddivisibile in plurime
competenze professionali n riducibile alla loro semplice sommatoria. Tale
progettazione, al contrario, devessere fortemente unitaria e guidata da un
medesimo spirito critico e creativo, vale a dire da una capacit di
prefigurare, valutare e perseguire, pur se con i necessari aggiustamenti,
anche in corso dopera, un risultato carico dinnegabili implicazioni
estetiche.
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Nelle nostre affermazioni ed esemplificazioni a riguardo, dunque, nessuna
volont e neppure necessit di contrastare o superare il limpido teorema
brandiano ma solo il giusto chiarimento dei limiti (molto pi estesi e
impegnativi di quanto possa sembrare a prima vista) di quanto e come in
architettura (ma, a ben vedere, anche in scultura e pittura) si deve
comunque fare, sia pure volendo soddisfare esclusive ragioni conservative,
di salvaguardia o di semplice consolidamento.
Credo, quindi, che oggi i tempi siano maturi per riavviare un dialogo che si
interrotto, quasi contemporaneamente per larchitettura e per lurbanistica,
pi di mezzo secolo fa, inducendo a distinguere artificiosamente due
culture (quella del progetto e quella storica del restauro) da sempre
spontaneamente unite (cfr. Zander 1993, pp. 33-38). ovvio che si
dovranno rimuovere, con una certa fatica ma anche con fiducia e
determinazione, i detriti e le scorie che ingombrano un percorso da troppi
anni abbandonato (consuetudini inveterate, diffidenze reciproche, assenza
di spirito critico e pigrizia mentale, pressione ricorrente daggressivi
microspecialismi, scarsa frequentazione storica, bieco professionismo ecc.)
ma la strada percorribile e sembra prefigurare lusinghieri risultati,
soprattutto in un Paese con le nostre tradizioni e bellezze.
Loscillazione antico/nuovo, inoltre, fa parte delle componenti proprie del
restauro; la dialettica che la riguarda rammenta, in qualche modo, lescur-
sione, durante la messa a fuoco, dellobiettivo duna macchina fotografica,
che sfoca limmagine quando ci si allontani troppo (la modernit distaccata
dalloggetto, dalla sua storia e dal suo contesto) ma anche quando ci si
avvicini troppo (limitazione pedissequa, tanto pi se della sua sola
immagine o icona come, ad esempio, tende a fare certa impropria
riflessione sul restauro del moderno).
La messa a fuoco nitida intermedia fra allontanamento futurista (high-tech
o altro, come si preferisce) e replica o ricalco, o anche progettazione in
stile e ripristino. Non respinge la modernit (la storia sempre come storia
presente, secondo il dettato di Benedetto Croce, n la fusione di orizzonti,
secondo quello di Martin Heidegger e Hans Georg Gadamer) ma incorpora
presente e passato in vista del futuro; non rifiuta la memoria n lo scorrere
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del tempo, ma li reinvera nellattualit. Si tratta, dunque, di intervenire,
sovrapponendo il presente al passato, nello sforzo di fondere in una vera
unit lantico e il nuovo (Bonelli 1995, p. 31). Volendo esemplificare su
atteggiamenti simili in architettura, si potrebbe pensare allopera di restauro
e reintegrazione dellAlte Pinakothek di Monaco, di Leo von Klenze,
progettata e condotta da Hans Dllgast nel dopoguerra (1948-57),
allaccurato e qualificato lavoro di Giovanni Bulian nella Sala Ottagona delle
Terme di Diocleziano in Roma o, diversamente, a quello di Francesco
Scoppola in Palazzo Altemps e in Villa Poniatowski, sempre a Roma,
oppure alla suggestiva sistemazione del Cassero di Prato, curata da
Riccardo Dalla Negra e Pietro Ruschi. O
anche al raffinato lavoro, di cui s detto,
concepito da David Chipperfield per il
Neues Museum (figg. 31-33).
In conclusione, fra un neo-positivismo
acritico e riduzionistico (che vede lantico
come un mondo chiuso e compiuto, la
storia come qualcosa di oggettivo e
scientifico, quindi la sola conservazione
quale imperativo conseguente) e una
visione estetizzante e additiva (forse
ancora un po romantica ma comunque
vitale, pur se tendente al ripristino) quale
strada intraprendere nel restauro? Non si
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tratta di apprezzare, per amor di compromesso, la verit che sta nel mezzo
ma di considerare che proprio la vicenda stessa del restauro, per sua
natura, oscilla fra i due estremi, variamente esplicitati, nella riflessione
teorica, come dialettica fra le due istanze, la storica e lestetica, fra
conservazione e innovazione.
Ma qui, davvero, la verit (se di verit si pu parlare) sta nel mezzo, pur
oscillando e avvicinandosi, caso per caso, ora ad un punto ora allaltro (in
ragione del contesto, dellestensione e del tipo di danno, dellintenzionalit
sulla base della quale sinterviene ecc.).
Il restauro problema di equilibrio e di misura: pi ascolto che
esternazione o proposizione.
5. Restauro e citt
lecito domandarsi come la citt moderna possa crescere guardando al
patrimonio che lha preceduta e, allo stesso tempo, il centro storico aprirsi
agli interventi contemporanei per cercare di rispondere alla realt odierna,
cos differente da quella sua dorigine. Circa il primo quesito, sulla citt
nuova che nasce guardando allantico, ferme restando tutte le premesse
legate ai problemi funzionali e pratici moderni, si potrebbe dire che il suo
disegno dovrebbe essere frutto dun serrato dialogo con la preesistenza. Si
tratta di comprendere la morfologia del sito, i percorsi, la natura e lorigine
delle presenze architettoniche e del contesto urbanistico, il processo
tipomorfologico attraverso cui esso si formato; ci non certo a scopo di
ricalco formale o di replica ma di riflessione sulle radici conformative, da
assumere come validi spunti pre-progettuali utili ad impostare ogni seria
proposta innovativa.
Parallelamente la premessa ad unautentica e duratura conservazione
dellantico sta nellatteggiamento che si ha verso il nuovo. Esiste certamente
unaccesa discussione fra i conservatori e gli architetti innovatori. Fra chi
considera il centro antico come un unico Monumento da tutelare e chi
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vorrebbe costruirvi nuove architetture anche per modernizzare i centri
storici con nuovi edifici, nuove funzioni, ampie strade e capienti parcheggi
(Bettinelli 2006, p. 3).
Non la pensa cos un protagonista del recupero dei centri storici italiani
come Pierluigi Cervellati, il quale, intervistato da Giovanni De Pascalis
(2006, p. 16) afferma che il centro storico non una parte della citt, una
citt che dobbiamo salvaguardare e restaurare. Poi c la periferia che
dobbiamo far diventare citt, mentre adesso solo un non luogo. Inoltre
nei centri antichi vanno assolutamente proibiti, drasticamente proibiti
ulteriori inserimenti.
Lo studioso inglese Iv