Il Regionalismo ha davvero aumentato il divario tra i ...Cira 100 anni fa Marinetti esaltava la...
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Il Regionalismo ha davvero aumentato il
divario tra i sistemi sanitari regionali?
C.Cislaghi *, C.Zocchetti **, M. Braga ***, F.Giuliani *, S.Olivadoti *, A.Sferrazza*
* Agenas, Roma; ** Regione Lombardia, Milano ; *** IDI, Roma
(intervento presentato al congresso AIES del 2014)
Velocità o prudente riflessione?
Circa 100 anni fa Marinetti esaltava la “velocità” come qualità massima dell’essere e non solo
dell’azione e ahimè “velocemente” si scivolò in politica verso l’autoritarismo fascista. Sicuramente in
politica non è però il caso di esaltare invece le qualità della prudenza o della lentezza “kunderiana” ed
è quindi giusto considerare che i tempi delle riforme sono un aspetto tutt’altro che marginale,
soprattutto in questa fase, della politica del nostro Paese.
Oggi si critica l’aver forse avuto troppa fretta nel “rinnovellare” il titolo V della Costituzione per
battere sul tempo quelle che apparivano come istanze secessioniste sostenute dalla Lega Nord.
Stiamo allora molto accorti a non ripetere simmetricamente lo stesso errore, ma in direzione opposta,
enfatizzandolo oltretutto in senso moltiplicativo, cioè correggendo male ciò che era giá stato a sua
volta modificato forse non compiutamente bene.
Parlare di federalismo, ed in particolar modo di federalismo sanitario, rifacendosi al titolo V è
comunque un modo di parlare improprio; in realtà il sistema sanitario nazionale dalla legge 833 del
1978 in poi ha sempre avuto un assetto essenzialmente di natura regionalistica, anche se nelle varie
fasi con autonomie più o meno allargate, ma non può certo mai esser definito tecnicamente come
sistema federalistico. Infatti vi è federalismo solo se le entità hanno una loro propria sovranità
mentre nella realtà italiana la sovranità è bene saldamente ancorata solo allo Stato, il quale poi
acconsente che le Regioni ne governino alcune funzioni derivate: questo modello è appunto il
modello regionalistico, anche se sovente in modo improprio viene chiamato federalismo.
Il problema se il sistema sanitario debba avere una impostazione regionale o centrale può essere
visto sia dal punto di vista politico che dal punto di vista tecnico. Dal punto di vista politico
sicuramente quanto è successo negli ultimi anni ha portato molti a minare il consenso verso un ruolo
significativo per le Regioni, esattamente come era successo cinque lustri fa per lo Stato: riportare al
centro certe funzioni oggi dà l’impressione di poter ridurre gli sprechi e le illegalità. Se dovessimo
prendere una decisione basandoci esclusivamente sul consenso popolare ( o populistico), di sicuro
tale decisione oggi spingerebbe verso una neo centralizzazione del sistema sanitario.
Se però tralasciamo per un momento i sentimenti innescati dalle mode populiste e dagli echi che
alcune amministrazioni regionali hanno provocato ed assumiamo una visione più tecnica, diventa
essenziale chiedersi se un sistema sanitario sia meglio quando è affidato (almeno in parte) a delle
comunità locali o se debba invece essere totalmente governato e gestito da una autorità centrale. Per
rispondere al quesito il ragionamento deve procedere sia in termini teorici, prescindendo quindi
dalla nostra situazione contingente, sia chiedendosi espressamente se i problemi della sanità odierna
troverebbero maggior soluzione con una realizzazione compiuta del regionalismo, con un ritorno ad
un centralismo pur decentrato ovvero con soluzioni intermedie che meglio si adattino alle specifiche
caratteristiche del nostro paese.
Le ragioni del regionalismo in sanità Tra le ragioni favorevoli, almeno a livello teorico, ad un modello regionalistico in sanità vanno annotate le seguenti:
a) Le preferenze ed i bisogni dei cittadini non sono omogenei sul territorio: ciò è particolarmente vero in paesi come l’Italia dove le differenze culturali, ambientali, storiche ed anche epidemiologiche sono molto accentuate.
b) I governi locali conoscono meglio le preferenze ed i bisogni dei loro abitanti: godono quindi di un vantaggio informativo rispetto ai governi centrali che invece fanno molta fatica ad avere il quadro delle singole realtà locali (e quando lo hanno ciò avviene con molto ritardo).
c) La migliore conoscenza delle realtà locali rende più facile "adattare" l'offerta di servizi alle esigenze dei cittadini: per far ciò serve naturalmente maggior autonomia di spesa e di scelta per ottenere maggiore efficienza allocativa.
d) Oltre all’autonomia di spesa, con il regionalismo i governi locali possono usufruire anche di una autonomia di entrata: possono quindi stabilire la quantità e le modalità di prelievo fiscale "preferite" dalla cittadinanza
e) Con la moltiplicazione dei centri decisionali cresce la possibilità di sperimentare e innovare le forme di gestione ed organizzazione di servizi sanitari ed attraverso una operazione di benchmarking è possibile valutare quali di queste siano le migliori.
f) Con un assetto regionalistico si realizzano sia una maggiore partecipazione degli operatori e dei cittadini alle decisioni di governo sia un più elevato grado di controllo da parte di questi sull'operato degli amministratori; il maggior senso di appartenenza al sistema sanitario locale favorisce il consenso e l’impegno per aumentarne l’efficienza.
g) Gli enti locali sono più interessati ad attuare controlli contro l'evasione fiscale, in quanto responsabili di eventuali deficit di bilancio, e soprattutto è più facile individuare le zone di criticità in un sistema regionalista con autonomia budgettaria.
Le ragioni del centralismo in sanità
Tra le ragioni che vengono addotte da chi ritiene che un sistema regionalistico in sanità non sia la
scelta giusta possono essere indicate le seguenti:
a) Il regionalismo in sanità produce diversi sistemi di erogazione delle prestazioni sanitarie:
questo rischia di innescare delle disequità che invece un sistema centralista potrebbe far
evitare (o mitigare).
b) Per governare un sistema sanitario sono necessarie al vertice molte competenze sia gestionali
sia di governo: la frammentazione del sistema in tanti sistemi regionali costringe a riprodurre
più figure con le stesse competenze, con il rischio di non trovare le competenze necessarie e
di moltiplicare inutilmente i costi.
c) Non tutte le realtà locali hanno la stessa struttura amministrativa e politica per governare dei
sistemi sanitari: ciò fa rischiare di assegnare compiti troppo gravosi a quelle realtà che sono
meno preparate.
d) Molti dei vantaggi ritenuti tali nei sistemi sanitari regionalisti potrebbero essere identici in un
sistema centralista a forte organizzazione decentrata: questa impostazione garantirebbe
maggiore unitarietà organizzativa e maggiore controllo finanziario.
e) In sanità pubblica occorrono talvolta degli interventi che richiedono decisioni rapide e simili su
tutto il territorio: questo è possibile solo in un sistema con un forte ed efficiente potere
centrale.
f) Molte funzioni hanno delle favorevoli economie di scala solo se governate a livello centrale: è
il caso, ad esempio, della gestione degli acquisti e degli appalti.
Regionalismo e centralismo: tra sentimenti ed ideologie I punti di forza e di debolezza del modello regionalista, rispetto a quello centralista, del Sistema Sanitario sono, sul piano teorico, di facile enunciazione e comprensione. Tuttavia, le scelte che sono state operate in Italia verso una rilevante attribuzione di responsabilità alle Regioni prima e l’attuale tendenza ad una neo centralizzazione sembrano motivate da ragioni non direttamente attinenti ai due modelli organizzativi. In realtà, la scelta regionalista ha avuto un ulteriore forte impulso da una parte dalla nascita e dal consolidamento di formazioni politiche a forte spinta localistica e quindi da ragioni prettamente politiche contingenti, e dall’altra dall’impatto sull’opinione pubblica delle inchieste generate da “Mani Pulite” che evidenziavano una diffusa illegalità da parte degli esponenti dei principali partiti nazionali. Lo stesso processo, questa volta generato da una manifesta e quasi generalizzata cattiva gestione (anche con risvolti penali) dei beni pubblici da parte delle amministrazioni regionali, sembra caratterizzare la svolta in senso neo-centralista che vasti settori dell’opinione pubblica stanno proponendo e che in parte si sta realizzando (si vedano gli ultimi provvedimenti del Governo Renzi ed il ruolo che il Ministero dell’Economia e delle Finanze ed il Ministero della Salute hanno svolto negli ultimi anni). Non c’è dubbio che la realtà sanitaria italiana viaggi a diverse velocità, con un marcato divario fra le regioni del nord e del meridione, ma che questo sia il frutto delle scelte regionaliste compiute negli anni passati e non piuttosto un problema strutturale del divario economico, sociale e culturale che caratterizza le regioni italiane del nord e del centro- sud è tutto da dimostrare. L’abitudine di modificare gli assetti del nostro SSN prima di verificare le cause che hanno determinato il mancato o parziale raggiungimento degli obiettivi previsti da precedenti riforme è consolidato nel nostro paese (anche se siamo in buona compagnia con altre nazioni come la Gran Bretagna) e
sarebbe opportuno che gli eventuali cambiamenti ed aggiustamenti fossero guidati da riflessioni motivate e logicamente fondate e non dalla spinta di un’opinione pubblica comunque sfiduciata. In altre parole, è necessario distinguere i reali fallimenti di un determinato modello dalle debolezze di una classe dirigente, nazionale o locale, inadeguata a garantire in maniera competente, trasparente e responsabile il governo del sistema, e valutare quali correttivi siano necessari per ottenere i benefici attesi da quel determinato modello. Per chiarire ciò che si vuol dire con un esempio banale si considerino due poligoni, un quadrato ed un triangolo come i seguenti:
e si ipotizzi che si desideri avere due quadrati uguali, e che per ottenerli non si voglia agire modificandone la forma bensì il colore:
È ovvio che il risultato non sia soddisfacente! Fuor di parafrasi la forma del poligono è il governo della sanità, buono il quadrato e cattivo il triangolo mentre il colore è il modello del sistema, regionalismo o centralismo. I due aspetti sono in larga misura indipendenti e sicuramente il sistema può essere una componente che favorisce od ostacola la realizzazione di un buon governo, ma i fattori che lo determinano sono molti altri e per lo più indipendenti dal modello di governo. La giusta domanda allora non è se il regionalismo od il centralismo corrispondano ad un buon governo della sanità, bensì semmai quale dei due modelli aiuti il buon governo od ostacoli il cattivo governo. La nostra convinzione è che il sistema regionalista evidenzi maggiormente le realtà in cui non vi è buon governo mentre in un sistema centralista queste rimangono più nascoste. Si pensi ad esempio ad altri sistemi oltre alla sanità oggi gestiti con un modello fondamentalmente centralista come ad esempio l’istruzione, la giustizia, la sicurezza; talvolta non si colgono grandi evidenze su squilibri tra Regioni, ma questo è dovuto all’omogeneità della qualità di governo del sistema nei diversi territori oppure dipende dal fatto che non emergono con chiarezza le criticità regionali? Talaltra si dovrebbero chiedere ai calabresi, ai siciliani o ai sardi se sono contenti delle Ferrovie dello Stato o se invece preferirebbero delle ferrovie come quelle delle Regioni settentrionali o centrali. Non accada quindi che, in buona o cattiva fede, si creda di poter risolvere i problemi dell’illegalità, dell’inefficienza, della generale insoddisfazione semplicemente ritornando ad un modello centralistico; ci si accorgerebbe quasi certamente di aver peggiorato la situazione e di avere ancora meno informazioni sulla situazione gestionale e meno strumenti per riuscire ad incidere sull’erogazione dei servizi sanitari. Chi ha prodotto più disomogeneità tra le Regioni?
La Legge 23 dicembre 1978, n. 833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale" aveva disegnato un sistema sanitario fondamentalmente governato a livello nazionale ma gestito localmente dalle
Regioni e nel loro ambito dalle USL. Tra gli obiettivi dichiarati dalla legge, l’articolo 4 riportava l’ “Uniformità delle condizioni di salute sul territorio nazionale” e diceva che “Con legge dello Stato sono dettate norme dirette ad assicurare condizioni e garanzie di salute uniformi per tutto il territorio nazionale”. Fondamentalmente dalla legge 833 usciva un sistema centralista con forte decentramento che spesso veniva vissuto con un significato di maggior autonomia, basti pensare alla querelle tra Bindi e Formigoni degli anni ’90 a proposito della separazione tra produzione e rappresentanza nel modello lombardo.
L’impostazione maggiormente regionalista è stata invece sancita dalla riforma del titolo V della Costituzione fatta nel 2001. Questa riforma assegnava allo Stato, in materia sanitaria, la sola competenza esclusiva per la “determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni” e per la “determinazione dei principi fondamentali”, mentre stabiliva che “Sono materie di legislazione concorrente … la tutela della salute, e che nelle materie di legislazione concorrente spetta alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.”
Queste modifiche dei rapporti fra Stato e Regioni in materia sanitaria che cosa hanno in realtà prodotto? Si è realizzata nelle Regioni maggior uniformità dal ’78 al 2001 come chiedeva la 833? Oppure si è creata una maggior disomogeneità a causa della riforma del titolo V?
Sicuramente la riforma del titolo V ha permesso a molte Regioni di imboccare strade diverse nel disegno del loro sistema sanitario: si pensi, ad esempio, all’assetto dei sistemi sanitari della Lombardia e della Toscana, che rappresentano due sistemi tra i migliori ma che si differenziano notevolmente in termini organizzativi e gestionali.
E’ quindi interessante vedere se nelle diverse dimensioni dei sistemi sanitari la situazione si sia diversificata maggiormente negli ultimi anni di assetto almeno formalmente regionalistico. Siamo ben coscienti che l’analisi di alcuni indicatori non possa esaurire il quadro della situazione reale, ma riteniamo che se ci fosse stata una forte divaricazione regionale anche un esame dei soli indicatori principali sarebbe in grado di coglierla.
Nelle schede qui di seguito riportate sono analizzati diversi indicatori mostrando il loro andamento nazionale nel tempo e l’andamento della variabilità relativa tra le Regioni nei vari anni misurata con il coefficiente di variazione (calcolato come rapporto tra la deviazione standard dei valori regionali e la loro media); valori elevati del coefficiente di variazione indicano una rilevante disomogeneità e valori bassi una buona omogeneità. Si è preferita come misura delle distanze tra Regioni il coefficiente di variazione per la maggior facilità interpretativa rispetto ad altre misure che comunque dalle analisi effettuate non davano risultati interpretabili diversamente.
Si è ritenuto di non ponderare le misure per la dimensione delle varie Regioni così assegnando a ciascuna di loro la stessa importanza dato che l’obiettivo era cogliere la diversità tra venti universi indipendentemente dal fatto che alcuni comprendono molti abitanti ed altri molti di meno. Nei primi due grafici delle schede vi sono anche il valore della differenza del trend di ciascuna Regione rispetto al trend nazionale, e il diagramma di dispersione della media dei valori dei primi anni di ciascuna serie analizzata (posti in ascissa) e i valori della media degli ultimi anni (posti in ordinata).
Purtroppo non è stato possibile avere serie complete per tutti gli indicatori e perciò gli anni considerati sono chiaramente indicati nel primo grafico sotto il titolo della scheda.
Prevalenza autosegnalata di tumori
Fonte: Indagine annuale Multiscopo Istat
Trend del tasso nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1993-1995 Y= 2009-2011 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: la patologia tumorale autoriferita dai soggetti nell’ambito dell’indagine Multiscopo Istat
risulta in netto aumento probabilmente maggiore della realtà epidemiologica in quanto risente
anche dell’accresciuta consapevolezza dei malati e della diminuita resistenza a dichiarare la
patologia stessa. In ogni caso il trend della variabilità relativa tra regioni è pressochè
costante forse con una leggera flessione.
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Prevalenza autosegnalata di Infarti M.A.
Fonte: Indagine annuale Multiscopo Istat
Trend del tasso nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1993-1995 Y= 2009-2011 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: la prevalenza di infarti acuti del miocardio autoriferita dai soggetti nell’ambito
dell’indagine Multiscopo Istat risulta in leggero aumento ed il trend è maggiormente in
crescita al sud rispetto al nord. L’andamento della variabilità relativa tra regioni è in leggera
diminuzione dovuto per lo più all’aumento della prevalenza al sud.
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Prevalenza autosegnalata di diabete
Fonte: Indagine annuale Multiscopo Istat
Trend del tasso nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1993-1995 Y= 2009-2011 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: la prevalenza di diabete autoriferita dai soggetti nell’ambito dell’indagine Multiscopo
Istat risulta in deciso aumento in Italia ed il trend è maggiormente in crescita al sud rispetto al
nord. L’andamento della variabilità relativa tra regioni è invece costante.
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Speranza di vita alla nascita
Fonte: dati Istat
Trend del valore nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 2000-2002 Y= 2009-2011 Trend del coefficiente di variazione interreg. La speranza di vita di vita alla nascita è in Italia in continuo aumento ma aumenta maggiormente al nord (dove però in alcune Regioni era meno elevata) rispetto al sud. La variabilità relativa tra le regioni rimane però fondamentalmente costante.
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Mortalità nel primo mese di vita
Fonte: dati Istat
Trend del tasso nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1999-2001 Y= 2007-2009 Trend del coefficiente di variazione interreg. Il tasso di mortalità nel primo anno di vita è in Italia in continua diminuzione e diminuisce maggiormente al sud (dove era più elevato) rispetto al nord. La variabilità relativa tra le regioni rimane però costante.
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Posti letto ordinari per acuti per mille residenti
Fonte: dati Ministero Salute
Trend del valore nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 2002-2004 Y= 2007-2009 Trend del coefficiente di variazione interreg. Nota: I posti letto ordinari per acuti sono in netta diminuzione in Italia anche per la loro trasformazione in letti di day hospital o per l’ambulatorizzazione di alcuni interventi. La variabilità tra Regioni è aumentata nel 2001 per un ritardo di alcune nella trasformazione in DH e poi la disomogeneità è diminuita. Vi è in ogni caso una elevata omogeneità tra il primo e l’ultimo triennio analizzati.
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Degenza media ospedaliera
Fonte: dati Ministero Salute
Trend del valore nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1996-1999 Y= 2009-2011 Trend del coefficiente di variazione interreg. La degenza media dei ricoveri ospedaslieri ordinari acuti è fortemente diminuita in Italia sino all’inizio del 2000 per poi rimanere pressochè stabile; sono diminuite fortemente alcune Regioni, anche del nord, che avevano degenze elevate mentre sono diminuite di meno le Regioni che già avevano una degenza bassa. Il coefficiente di variazione indica un aumento di differenze sino al 2001 seguita da una continua diminuzione.
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5.00 6.00 7.00 8.00 9.00 0.060
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1996 1998 2000 2002 2004 2006 2008 2010
Mobilità ospedaliera interregionale
Fonte: dati Ministero Salute
Trend del valore nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1999-2000 Y= 2009-2011 Trend del coefficiente di variazione interreg. Nota: La mobilità ospedaliera è in Italia in aumento ma tra le Regioni l’andamento è alterno, però l’omogeneità aumenta. Vi sono cinque Regioni (Valle d’Aosta, Abruzzo, Molise, Calabria e Basilicata) con valori decisamente elevati anche se il valore delle piccole Regioni è dovuto proprio alla loro dimensione.
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10
Soddisfazione per l’assistenza medica
ricevuta durante i ricoveri ospedalieri
Fonte: Indagine annuale Multiscopo Istat
Trend del tasso nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1993-1995 Y= 2010-2012 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: La soddisfazione per l’assistenza medica ricevuta viene rilevata con un punteggio da 1
(migliore) a 4 (peggiore) e quindi il trend italiano è in netto miglioramento e gli scarti delle
Regioni sono migliori se inferiori all’Italia, cioè lì si migliora di più. L’omogeneità tra le Regioni
però non cambia anche se nell’ultimo anno, il 2012, sembra che possa riaprirsi la variabilità.
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1.65000
1.70000
1.75000
1.80000
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20
12
Complessità della casistica ospedaliera
Fonte: dati Ministero Salute
Trend dell’indice nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1998-1999 Y= 2011-2012 Trend del coefficiente di variazione interreg. Nota: il peso medio ha un valore che aumenta notevolmente sino al 2003 ma questo aumento dipende anche dal cambio della codifica dei DRG e del rispettivo peso Medicare ad essi associato. Il valore della complessità della casistica è in aumento nelle Regioni meridionali sopratutto per la diminuzione dei ricoveri a bassa complessità e questo ha portato ad un aumento dell’omogeneità regionale.
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0.80
0.90
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1.10
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12
Spesa sanitaria out of pocket Pro capite
Fonte: dati Istat – Indagine Multiscopo annuale
Trend del tasso nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 2000-2001 Y= 2009-2010 Trend del coefficiente di variazione interreg. La spesa out of pocket comprende sia la spesa per prestazioni integrative non fornite dal SSN (vedi ad esempio le prestazioni odontojatriche) sia la spesa per prestazioni sostitutive (ad esempio le visite ginecologiche che in maggioranza sono scelte in regime privatistico). Nella spesa OOP ci sono però anche molte voci prestazionali di più che dubbia efficacia come alcune cosidette medicine alternative. La spesa OOP mostra un aumento lieve di disomogeneità tra le Regioni quasi sicuramente dovuta alle differenze di reddito.
1.7
1.7
1.8
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Costi personale sanitario su totale costi di produzione
Fonte: modelli CE di contabilità (Ministero della Salute)
Trend della media nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 2002-2003 Y= 2011-2012 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: L’incidenza dei costi del personale sanitario della Aziende sul totale dei loro costi di
produzionedei servizi (esclusi quindi i costi di acquisti di servizi e prestazioni sanitarie “finali” )
è percentualmente in leggero calo sopratutto nelle regioni meridionali anche se le posizioni
reciproche non sono cambiate di molto. L’omogeneità tra le Regioni evidenzia fasi alterne su
valori però fondalmentalmente stabili.
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12
Spesa Sanitaria / PIL regionale
Fonte: modelli CE di contabilità (Ministero della Salute) e fonte Istat
Trend della media nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 1995-1996 Y= 2011-2012 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: Il rapporto tra spesa sanitaria e Pil delle singole Regioni è in media in continuo
aimentosino al 2010. Il trend delle Regioni del nord e del centro si comparta similmente alla
media ma per le Regioni del sud è in chiaro aumento dovuto più ad un minor aumento del Pil
che non ad un maggior incremento della spesa sanitaria. Questa differenza comporta anche
una leggera crescita della disomogeneità delle Regioni che è attribuibile all’andamento delle
economie regionali e non alle politiche del sistema sanitario nazionale.
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11
Costi servizi sanitari esternalizzati Percentuale sul costo totale dei servizi sanitari
Fonte: modelli CE di contabilità (Ministero della Salute)
Trend della media nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 2002-2003 Y= 2011-2012 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: Il trend della percentuale dei costi dei servizi sanitari sul totale dei costi dei servizi
sanitari è in decisa e costante diminuzione dal 2002 al 2012. Lazio, Campania, Sicilia e
Lombardia sono comunque le Regioni che maggiormente acquistano servizi sanitari
all’esterno delle proprie aziende. Le variazioni regionali rimangono molto simili alla variazione
nazionale anche se dal 2007 la disomogeneità sembra crescere leggermente.
0.3000
0.3200
0.3400
0.3600
0.3800
0.4000
0.4200
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0.35
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0.2 0.3 0.4 0.5 0.6
0.15
0.155
0.16
0.165
0.17
0.175
0.18
0.185
0.19
0.195
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Entrate proprie aziendali Percentuale sul totale delle entrate
Fonte: modelli CE di contabilità (Ministero della Salute)
Trend della media nazionale differenza dei trend regionali dal nazionale
Scatter plot X= 2002-2003 Y= 2011-2012 Trend del coefficiente di variazione interreg.
Nota: Il trend della percentuale delle entrare proprie rispetto al totale delle entrate è costante
nel tempo tranne che negli ultimi due anni in cui sembra sia in chiara crescita. Le Regioni che
hanno ed avevano poche entrate proprie sono la Calabria, la Puglia, la Campania e la Sicilia.
L’andamento del trend non è molto diverso tra le varie Regioni. La disomogeneità è in calo
anche se sembra che questa diminuzione si sia arrestata negli ultimi anni.
0.074
0.076
0.078
0.08
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0.084
0.086
0.088
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0.092
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12
Commenti alle schede precedenti I risultati delle analisi effettuate con indicatori di salute, indicatori economici e strutturali evidenziano una sostanziale stabilità del divario fra le Regioni italiane, ovvero non sembrano esserci stati effetti evidenti di aumento delle diversità tra Regioni a seguito del percorso regionalista. Si deve però anche segnalare che non si è neppure evidenziata, come sarebbe stato auspicabile, una minore variabilità per le condizioni di salute o di soddisfazione. Bisogna osservare che non tutti gli indicatori sono completamente sensibili agli effetti prodotti da diverse impostazioni del SSN, anche se si può ritenere che se le criticità fossero importanti si dovrebbero rilevare almeno alcune conseguenze su alcuni degli indicatori analizzati. In particolare, ad esempio, gli effetti sulla mortalità e sulla sopravvivenza potrebbero essere a più lunga scadenza, anche se quelli relativi alla mortalità infantile dovrebbero essere più sensibili e tempestivi. Gli effetti sui posti letto possono in parte essere il risultato di artifici burocratici in quanto difficilmente si riesce a misurare adeguatamente il cambio reale della dotazioni di posti letto di una Regione; la durata della degenza poi dovrebbe essere corretta per la complessità della casistica e sarebbe più adeguato analizzare l’indice di performance, che però non è disponibile sull’intera serie considerata. Il leggero allargamento del divario delle spese out of pocket delle famiglie potrebbe essere il frutto invece più del diverso impatto degli andamenti economici che di una risposta alla necessità di integrare o sostituire i servizi del SSR. Per la spesa pubblica invece i disavanzi sono diminuiti grazie ad un massiccio intervento centrale sulle Regioni in deficit, e difficilmente si potrebbe oggi dire cosa sarebbe successo in un sistema centralistico. Dovendo maggiormente approfondire la valutazione dell’impatto del regionalismo sui Servizi Sanitari forse bisognerebbe considerare la rispondenza alle aspettative ed ai bisogni locali valutando sia il grado di soddisfazione dei cittadini sia la diversificazione dell’accesso ai servizi in rapporto alle diverse prevalenze/incidenze/mortalità regionali. Altri elementi da valutare sarebbero l’efficienza allocativa, la riduzione degli sprechi, il livello di legalità e la responsabilizzazione degli amministratori, la possibilità di controllo da parte dei cittadini, la ridistribuzione dell’offerta, il livello di efficacia del sistema misurato sia attraverso gli output che attraverso gli outcome. In termini sintetici a noi sembra che non ci sia stato un vero aprirsi della forbice sulle condizioni dei sistemi sanitari regionali; sicuramente alcuni di questi, e soprattutto quelli di Regioni come la Calabria, il Molise, il Lazio, non hanno saputo cogliere le opportunità del sistema regionale per migliorare e correggere le loro criticità, mentre altre Regioni, come la Lombardia, il Veneto, l’Emilia Romagna, la Toscana e non solo, hanno fatto buon uso delle possibilità che la normativa offriva loro ed hanno adeguato il sistema alle loro esigenze. In questo contesto, i piani di rientro hanno prodotto un contenimento della spesa, ma probabilmente non sono riusciti a produrre ovunque un consolidamento delle procedure e delle professionalità tale da garantire che senza il pressante intervento dei Ministeri tutte le Regioni saprebbero oggi governarsi nel migliore dei modi. Forse, accanto ad un lavoro di controllo e di condizionamento delle scelte che è certamente risultato efficace, sarebbe necessario prevedere una crescita delle capacità di
governo e di gestione, ma non è facile ottenere questo risultato nel breve periodo, anche perché le criticità molto spesso sono più all’esterno che all’interno dei sistemi sanitari.
Valori dei coefficienti di variazione dei 15 indicatori analizzati negli anni di inizio e di fine dei periodi analizzati.
Guardando la figura sopra riportata risulta molto evidente come l’omogeneità tra le Regioni, rappresentata dai coefficienti di variazione, non sia sostanzialmente cambiata tra gli inizi e le fine dei periodi analizzati. Si può peraltro notare come per alcuni indicatori, come ad esempio la speranza di vita, l’omogeneità sia molto elevata mentre in altri, come la mobilità interregionale, si riscontra molta disomogeneità. Quale regionalismo: un regionalismo ad autonomia variabile? Molte altre potrebbero essere le argomentazioni a favore di uno o dell’altro modello ma bisogna
chiedersi se in realtà esistono solo dei modelli “puri ed assoluti” o potrebbero invece coesistere e
formarsi modelli misti.
0 0.2 0.4 0.6 0.8
Prevalenza tumori (1993-2011)
Prevalenza Infarti (1993-2011)
Prevalenza diabete (1993-2011)
Speranza di vita alla nascita (2000-2011)
Mortalità primo mese (1999-2009)
Posti letto per abitante (2002-2009)
Degenza media ospedaliera (1996-2011)
Mobilità interregionale (1999-2010)
Soddisfazione nei ricoveri (1993-2012)
Complessità casistica ospedaliera (1998-2012)
Spesa Out of pocket (2000-2010)
Costi del personale sanitario (2002-2012)
Spesa sanitaria su PIL (1995-2012)
Costi sanitari az. esternalizzati (2002-2012)
Percentuale entrate proprie (2002-2012)
CV inizio periodo
CV fine periodo
Crediamo che l’importante sia comunque l’impegno a coniugare con modalità precise ed equilibrate
l’autonomia e la responsabilità: se prevale uno dei due elementi il sistema, sia nella forma
regionalista che in quella centralista, non può funzionare. La situazione del sistema sanitario del
nostro paese sta rischiando invece di passare da una fase con più autonomia che responsabilità ad
una nuova fase con troppa responsabilità in funzione della mancanza di vera autonomia.
C’è un altro elemento che caratterizza gli assetti istituzionali del nostro paese: l’omogeneità simmetrica delle organizzazioni e dei poteri locali nonostante una evidente disomogeneità asimmetrica delle risorse e delle capacità di governo. Si può infatti dire che il sistema regionalista sanitario ha rappresentato una reale opportunità per diverse Regioni “forti” mentre ha creato altrettante criticità nelle Regioni “deboli”. Ciò potrebbe portare a ridisegnare il sistema a diverse velocità di regionalizzazione, oppure ad un ritorno ad un maggior governo centrale solo nelle Regioni in difficoltà. Non esiste “una” sola forma di regionalismo, ma diverse possibilità di definizione dei livelli di autonomia e di responsabilità; si potrebbero almeno identificare tre livelli di modelli regionali:
Forme di regionalismo autonomia responsabilità Poteri centrali di tutela
Completo
Definizione dei poteri e dei diritti dei cittadini
Totale responsabilità economica e politica
Solo nel rispetto delle regole del patto
regionale
Intermedio
Articolazione e specificazione dei poteri e dei diritti
Responsabilità economica e politica solo per alcuni settori
Intervento sostitutivo dei poteri locali in caso
di criticità
Limitato
Adeguamento dei poteri e dei diritti alle
situazioni locali
Responsabilità limitata all’esecutività di norme
e direttive centrali
Quasi completa possibilità di intervento
e sostituzione
I livelli di autonomia sono caratterizzati da diversi gradi di libertà nel definire sia le regole di gestione del potere locale sia i diritti dei cittadini, mentre la responsabilità è soprattutto inerente alla minore o maggiore dipendenza economica e politica. Conseguenza del livello dell’autonomia e della responsabilità è la legittimità del potere centrale di incidere, intervenire, surrogare il potere locale. Ma i diversi modelli sono ugualmente applicabili ad ogni situazione? Ovviamente no e la loro applicabilità dipende dall’omogeneità culturale, politica, economica del paese complessivo. Se vi sono più culture, più lingue, più religioni, più storie separate, allora è necessario ampliare l’autonomia mentre se vi è forte disomogeneità economica, produttiva, strutturale, allora difficilmente si potranno riconoscere livelli elevati di responsabilità. Ci si deve chiedere se il livello di autonomia e di responsabuilità debba essere uguale per tutte le Regioni o se possa essere modulato alla loro capacità di onorare gli obiettivi. Gli obiettivi principali sono essenzialmente due: il rispetto dell’erogazione dei LEA definiti a livello centrale ed il rispetto di un livello accettabile di contenimento della spesa. Rispetto ai LEA è importante sottolineare che questi devono essere relativi all’effettivo soddisfacimento di bisogni e non semplicemente e necessariamente all’utilizzo di procedure prestazionali. Il diritto alla salute deve essere rispettato equamente in tutto il paese, ma ciò non significa che la soluzione dei problemi di salute debba essere ovunque raggiunta con le stesse
procedure! Peraltro in molti sistemi regionali i diritti non sono sempre omogenei in tutte le aree: si pensi alle gravi differenze esistenti tra gli stati degli USA in cui, ad esempio, alcuni prevedono la pena di morte ed altrui no, diritti questi ben più rilevanti che non i diversi protocolli di cura tra diverse Regioni. In riferimento al rispetto dei vincoli di bilancio, si deve considerare che in teoria tutti dovrebbero produrre a costi simili ed erogare a quantità omogenee le prestazioni sanitarie in modo che se si quantificassero tutti i bisogni delle popolazioni, allora le Regioni dovrebbero soddisfarli con uguali, o simili spese. I disavanzi di oggi invece sono calcolati come differenza tra il finanziamento e la spesa e pertanto possono essere dovuti sia ad un eccesso di spesa che ad un difetto di finanziamento. Oggi, di fatto, il finanziamento è stabilito con una metodologia che, seppur non esplicitata in tale direzione, lo avvicina velatamente ad una pseudo spesa storica; infatti nonostante il finanziamento sia calcolato su una spesa procapite ponderata, viene poi in pratica aggiustato tenendo conto (nel cosiddetto “lapis”, cioè un aggiustamento del riparto regionale delle risorse operato con criteri di opportunità politica) dei problemi di differenza rispetto ai finanziamenti degli anni precedenti. E’ difficile oggi riformare i criteri di finanziamento dato che, dovendo rispettare la cifra totale delle risorse disponibili a livello nazionale, un aumento di finanziamento per una Regione toglierebbe la stessa somma alle rimanenti. Risolvendo le tematiche relative ad un eventuale difetto di sottofinanziamento di qualche Regione allora laddove queste evidenzino incapacità ad assumersi correttamente le responsabilità potrà essere ridotta loro anche l’autonomia in misura progressiva sino anche ad un totale commissariamento sia amministrativo che politico. Il nuovo titolo V dovrebbe prevedere quindi come competenza dello Stato solo la definizione dei principi generali del SSN e dei LEA. Le Regioni potranno in qualche misura allontanarsene solo mantenendo l’erogazione quantitativa e qualitativa dei LEA e rispettando con la spesa il livello di un giusto e corretto finanziamento. Quando le Regioni, con una valutazione periodica (ad esempio, trimestrale) evidenziano delle criticità, allora deve essere previsto un percorso di limitazione dell’autonomia che inizi dall’introduzione di maggiori controlli alla correzione delle diversità organizzative rispetto alle norme di riferimento sino al commissariamento della gestione sanitaria ed alla decadenza della Giunta e/o del Consiglio regionale. Naturalmente queste procedure devono essere studiate bene per evitare che vi siano elementi di incostituzionalità rispetto a ciò che verrà scritto nel nuovo titolo V. Deve infine essere comunque chiaro che il disavanzo prodotto non può essere assorbito tramite risorse nazionali e quindi gravare anche sulle altre Regioni che non hanno fatto disavanzi, ma deve essere coperto da una maggiorazione del copayment o delle imposte a livello regionale. Per evitare che queste maggiorazioni diventino insostenibili per la popolazione sarà appunto indispensabile che le valutazioni siano periodiche e con una frequenza stringente.