Il Regime Delle Preclusioni Nel Nuvo Processo Civile
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DIRITTO e PROCESSONotiziario giuridico telematico – Direttore scientifico: Luca D'Apollo
Anno II – n. 1/2010
IL REGIME DELLE PRECLUSIONI
Nel nuovo processo civile________________________________________
a cura di Mirco Minardi
DOSSIER 1 – Il regime delle preclusioni nel nuovo processo civile Gennaio 2010
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DOSSIER 1 – Il regime delle preclusioni nel nuovo processo civile Gennaio 2010
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DIRITTO e PROCESSONotiziario giuridico telematico Direttore scientifico: Luca D'Apollo
DOSSIER n. 1Gennaio 2010
IL REGIME DELLE PRECLUSIONI
Nel nuovo processo civile
a cura di Mirco Minardi
(Avvocato civilista del foro di Ancona. È direttore responsabile del blog http://www.lexform.it)
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Indice
IL REGIME DELLE PRECLUSIONI
di Mirco Minardi p. 6
LA TRATTAZIONE DEL PROCESSO p. 6
LE PRECLUSIONI IN GENERE p. 9
IL REGIME DI PRECLUSIONE DELLE DOMANDE p. 12
PRECISARE, MODIFICARE, MUTARE LA DOMANDA p. 15
IL REGIME DI PRECLUSIONE DELLE ECCEZIONI p. 20
ECCEZIONI IN SENSO STRETTO E IN SENSO LATO p. 21
DIRITTO ALLA PROVA: ATTENZIONE ALLE PRECLUSIONI ASSERTIVE!
Tribunale di Piacenza, 30 novembre 2009 p. 27
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(il dossier è un estratto del volume INSIDIE E TRABOCCHETTI DELLA PRIMA UDIENZA DI TRATTAZIONE. MANUALE DI SOPRAVVIVENZA DELL'AVVOCATO, LEXFORM, 2009)
(http://www.lexform.it/trattazione-processocivile/index.php?codice=d1r_pr0c)
Sommario: 1.La trattazione del processo. – 2. Le preclusioni in genere. – 3. Il regime di preclusione delle domande.
– 4. Precisare, modificare, mutare la domanda. – 5. Il regime di preclusione delle eccezioni. – 6. Eccezioni in senso
stretto e in senso lato.
1. LA TRATTAZIONE DEL PROCESSO
La trattazione è quella fase del processo civile
dedicata alla individuazione del thema
decidendum e del thema probandum, ovverosia
dei fatti principali e dei mezzi di prova volti a
dimostrarli.
Nel “vecchio rito”, quello cioè successivo alle
riforme del ’90-‘95, la trattazione del merito del
processo iniziava solitamente alla seconda
udienza, quella cioè “del 183”1. L’udienza “del
180” era infatti dedicata alle verifiche preliminari in
rito.
Rispetto alla riforma del ’50, il legislatore degli
anni ’90 aveva strutturato il processo secondo un
rigido schema di preclusioni, distinguendo
1 Nulla impediva, su accordo delle parti, di saltare una o più udienze tra quelle previste.
nettamente la fase della individuazione del thema
decidendi rispetto a quella del thema probandi.
Scopo dichiarato era stato quello di assicurare la
concentrazione e la speditezza del processo,
evitando possibili regressioni e continui
ampliamenti.
Il fenomeno della regressione era in effetti
una caratteristica nefasta del processo post ’50;
non era raro che all’udienza fissata per la
precisazione delle conclusioni una parte
formulasse richieste di prova, così riportando
indietro la causa. Se oggi ci troviamo di fronte a
un processo estremamente rigido (e quello
entrato in vigore dal 1° marzo 2006 lo è ancor di
più!) lo si deve anche al comportamento sia della
classe forense, che in molti casi ha abusato di
quella libertà, sia della magistratura, che non ha
saputo interpretare il potere di direzione attribuito
Il regime delle preclusioni
Di Mirco Minardi
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dall’art. 175 c.p.c.2. Non sono rari processi del
“vecchissimo rito” scanditi da dieci-quindici
udienze, molte delle quali di mero rinvio, ovvero di
semplice richiesta di termini per esame o per un,
spesso fittizio, “bonario tentativo di conciliazione”.
Detto questo, vediamo più da vicino che cosa
sono queste preclusioni e a che cosa si
riferiscono.
2 Ai sensi del quale “Il giudice istruttore esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento”.
Un po’ di storia3.Il processo civile del 1865 era caratterizzato dall’assoluto predominio delle parti, le quali erano libere di stabilire come e quando arrivare alla decisione. Successivamente, però, si affermò tra gli studiosi la concezione pubblicistica del processo, tanto che i vari schemi di riforma del codice iniziarono a prevedere, seppure in modi diversi, un sistema di preclusioni. Prima di arrivare all’approvazione del codice del ’40 furono redatti diversi progetti, più o meno stringenti sotto il profilo delle preclusioni. Il progetto Solmi del 1937 sollevò addirittura la protesta non solo dei pratici ma anche di insigni studiosi, tra cui il Calamandrei che mosse aspre critiche al rigido sistema di preclusioni che si voleva introdurre.Si arrivò così all’approvazione del codice fascista, nella cui relazione si scrisse: La concentrazione è un valore da perseguirsi massimamente e le preclusioni sono lo strumento tecnico per il raggiungimento dell’obbiettivo. La strada seguita fu quella dell’ italiana saggezza: respingendo da una parte quella troppo rigorosa applicazione del principio di eventualità e di preclusione che fu giustamente rimproverata al progetto precedente, ma notevolmente rafforzando, a paragone del Codice precedente, le saracinesche poste alle speculazioni dilatorie dei litiganti in mala fede.Nel processo del ’40 la fissazione del thema decidendum e di quello probandum con gli atti introduttivi del giudizio è solo tendenziale, perché alla prima udienza di trattazione le parti possono precisare e, quand’occorre, modificare le domande, le eccezioni e le conclusioni. In ogni caso le parti possono proporre le domande e le eccezioni consequenziali a quelle già formulate; e, quando il giudice istruttore riconosce che sono rispondenti a fini di giustizia, possono proporre altre eccezioni, chiedere nuovi mezzi di prova e produrre nuovi documenti (art. 183, 1° e 2° co.). Ma non è tutto, giacché, come disponeva l’art. 184, durante l’ulteriore corso del giudizio, in presenza di gravi motivi, il giudice istruttore poteva autorizzare le parti a produrre nuovi documenti, a chiedere nuovi mezzi di prova e proporre nuove eccezioni che non fossero precluse.Caduto il fascismo, la reazione investì anche il codice di procedura civile. La riforma del ’50 eliminò il rigido sistema di preclusioni. Tuttavia, non si spensero le voci che vedevano nella “controriforma” - come da taluni venne chiamata la riforma del ’50 - la causa principale dei mali
3 Ho attinto a piene mani dal chiarissimo articolo di CEA, La trattazione della causa nel rito ordinario, www.judicium.it, cui rimando per un approfondimento. Si veda anche BALENA, Le preclusioni istruttorie tra concentrazione del processo e ricerca della verità, www.judicium.it.
della giustizia civile. Il primo passo vittorioso avvenne con l’approvazione della legge 533/73che introdusse il rito del lavoro, che è l’applicazione più estrema nel nostro ordinamento del principio di preclusione ed è proprio il rito del lavoro il modello cui avrebbe dovuto ispirarsi la riforma del rito ordinario.E così arriviamo agli anni ’90 e alla promulgazione della legge 353/90. Il modello di riferimento è il processo del lavoro così come delineato dalla riforma del 1973, anche se con qualche mitigazione. Ma la legge ebbe una gestazione travagliata, incontrò forti opposizioni del ceto forense e finì per applicarsi solo alle controversie instaurate dopo il 30 aprile 1995, con importanti modifiche che la portarono ben lontana dal modello del rito del lavoro. Il modello di trattazione che ne uscì era per certi aspetti irrazionale, perché l’udienza di assunzione delle prove era preceduta quasi sempre da almeno quattro udienze in cui sostanzialmente non accadeva nulla di rilevante.A questi inconvenienti si è tentato di rimediare con le riforme del 2005.
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2. LE PRECLUSIONI IN GENERE
Nel codice di procedura, l’unico articolo che
contiene il sostantivo “preclusioni” è il 269, ultimo
comma, il quale recita: Nell'ipotesi prevista dal
terzo comma restano ferme per le parti le
preclusioni ricollegate alla prima udienza di
trattazione, ma i termini eventuali di cui al sesto
comma dell'articolo 183 sono fissati dal giudice
istruttore nella udienza di comparizione del terzo.
Si fa riferimento, poi, ad attività “precluse” nel
primo comma dell’art. 294, là dove si dice che il
contumace che si costituisce in giudizio non può
compiere attività che gli sarebbero “precluse”,
salvo il caso in cui dimostri che la nullità della
citazione o della sua notificazione gli abbia
impedito di avere conoscenza del processo o che
la costituzione è stata impedita da causa a lui non
imputabile.
Altri articoli che parlino espressamente di
“preclusioni” non ve ne sono, anche se, come
vedremo, il codice abbonda di preclusioni.
Quando si parla di preclusioni ci si riferisce a
quelle situazioni soggettive in cui le parti sono
decadute dalla possibilità di compiere
un’attività a causa della tardività dell’iniziativa,
della sua irritualità o della già avvenuta
consumazione del potere
L’espressione “preclusione” trae origine dal mondo accademico e si deve soprattutto agli studi del Chiovenda che la identificava con la perdita, la consumazione di un diritto o di una facoltà processuale conseguente a tre diversi ordini di cause: (a) mancato esercizio entro un termine perentorio fissato dalla legge; (b) compimento di attività incompatibile con l’esercizio del diritto o
della facoltà che in seguito diviene impossibile; (c) precedente valido compimento dell’atto.Secondo il Taruffo, invece, la preclusione andrebbe intesa soltanto come mancato svolgimento tempestivo di un’attività, in assenza della quale la parte non può conseguire il risultato sperato; in sostanza, per questo insigne Autore essa viene a coincidere con un onere, la cui sanzione è la decadenza.
Le preclusioni possono riguardare:
le domande e, relativamente a quest’ultime,
la loro precisazione, modificazione e mutatio;
la chiamata in causa e l’intervento di terzi;
le eccezioni, con l’importante distinzione tra
quelle in senso lato e quelle in senso stretto
e, ancora, tra quelle in senso proprio e quelle
in senso improprio;
le conclusioni e, anche relativamente ad
esse, la precisazione, la modificazione e la
mutatio;
le allegazioni di fatti e, tra questi, quelli
principali e quelli secondari;
le argomentazioni difensive;
le richieste istruttorie;
il deposito di atti e documenti.
Non sempre il codice indica espressamente la
barriera oltre la quale non è più possibile
compiere un determinato atto; in tali casi è
necessaria un’attività di interpretazione delle
norme per stabilire se quel determinato atto,
difesa, eccezione, domanda debba o meno
essere compiuto a pena di decadenza entro un
certo termine.
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Quando si parla di un processo fondato sulle
preclusioni si intende dire che le parti hanno
l’obbligo di fissare il thema decidendum e il thema
probandum entro un termine, più o meno breve,
ma comunque abbastanza prossimo rispetto agli
atti introduttivi del giudizio e tendenzialmente
inderogabile.
In particolare, nel vigente processo civile ogni
norma che prevede una preclusione deve
considerarsi di ordine pubblico processuale4, il
che significa che l’interesse tutelato non è solo
quello di parte, ma anche quello pubblico ad un
ordinato e celere andamento del processo, con
queste importanti ricadute:
a) il giudice è tenuto a rilevare d’ufficio
la violazione di una preclusione;
trattasi quindi di eccezione in senso
lato (v. infra, parte I, cap. 4);
b) il giudice non può modificare la
disciplina delle preclusioni prevista
dal codice;
c) il giudice, pur potendo revocare le
ordinanze, ai sensi dell’art. 177 c.p.c.,
non può rimettere in termini una parte
che sia incorsa in una preclusione
per fatto colpevole;
d) le parti non possono – ancorché
d’accordo – derogare alla disciplina
delle preclusioni;
e) la perdita o la consumazione del
diritto è irrimediabile, salva la
rimessione in termini nel caso in cui
la parte sia incolpevolmente incorsa
nella preclusione (art. 153 c.p.c.).
4 Parla della natura di ordine pubblico processuale, ad es., Cass. civ. n. 4376/2000.
3. IL REGIME DI PRECLUSIONE DELLE DOMANDE
La domanda giudiziale è l’atto attraverso il
quale la parte invoca la tutela giurisdizionale,
chiedendo al giudice l’emissione di un
determinato provvedimento.
Per l’attore la prima preclusione in ordine alle
domande è determinata dalla notifica della
citazione (o dal deposito del ricorso). Difatti, una
volta instaurato il giudizio l’attore non potrà
più introdurre nuove domande verso il
convenuto se non nei casi in cui ciò sia una
“conseguenza” dell’attività difensiva di
quest’ultimo. In tal caso, e solo in tal caso, la
prima e ultima barriera preclusiva è
rappresentata dall’udienza di trattazione.
Secondo la Suprema Corte, difatti, il quarto
comma (oggi quinto) dell’art. 183 c.p.c. è volto a
tutelare l’attore a fronte delle iniziative del
convenuto, consentendogli di formulare nella
prima udienza di trattazione la nuova domanda o
la nuova eccezione che siano "conseguenza"
della domanda riconvenzionale o dell'eccezione
proposta dal convenuto con la comparsa di
risposta.
La norma – afferma espressamente la Corte -
ove contempla l'eccezione dell'avversario, va
intesa riferita all'eccezione in senso stretto, non
alla semplice controdeduzione rivolta a contestare
le condizioni dell'azione, ed inoltre postula che,
rispetto a tale eccezione, la nuova domanda o la
nuova eccezione dell'attore si presentino
consequenziali, vale a dire configurino una
contro-iniziativa necessaria per replicare
all'eccezione medesima (Cass. civ. n.
12545/2004).
Interessante anche il caso deciso dal
Tribunale di Perugia con sentenza del 30 luglio
2008. L’attore, committente, aveva agito per
ottenere la risoluzione del contratto di appalto.
L’appaltatore convenuto, in via riconvenzionale,
aveva chiesto il pagamento del saldo. All’udienza
di trattazione l’attore aveva formulato una
domanda di risarcimento dei danni che il
Tribunale ha però dichiarato inammissibile non
potendosi la stessa ricondursi nell'alveo della
<<reconventio reconventionis>>.
Ovviamente, nulla impedisce all’attore di
proporre un autonomo giudizio.
Alla luce di quanto testé detto, pertanto,
affinché la nuova domanda dell’attore possa
essere ritenuta ammissibile, occorre che essa
sia conseguenza della eccezione in senso
stretto o della domanda riconvenzionale del
convenuto. Non sono pertanto ammessi
ripensamenti, nemmeno quando la domanda
nuova sia conseguenza della domanda
introduttiva (v. esempio tratto dalla sentenza del
Tribunale di Perugia).
Questo deve indurci a fare largo uso delle
domande subordinate, cercando di prevedere,
nei limiti del possibile, tutte le difese e le
eccezioni in senso lato del convenuto. Non
dobbiamo dimenticare, ad esempio, che nulla
vieta la proposizione di una domanda subordinata
di adempimento rispetto a quella principale di
risoluzione, come esplicitato in questa massima
della Suprema Corte: il divieto posto dal secondo
comma dell’art. 1453 c.c. di chiedere
l’adempimento, una volta domandata la
risoluzione del contratto, non può essere inteso in
senso assoluto, ma è operante soltanto nei limiti
in cui esiste l’interesse attuale del contraente, che
ha chiesto la risoluzione, alla cessazione del
rapporto, per modo che, quando tale interesse
viene meno, per essere stata rigettata o dichiarata
inammissibile la domanda di risoluzione, la
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preclusione non opera, essendo cessata la
ragione del divieto, Cass. civ. n. 1077/2005.
E soprattutto dobbiamo ricordare che i tempi
del processo rischiano di compromettere
l’azione non esercitata in via subordinata, in
quanto nel frattempo prescritta. Ad esempio, la
giurisprudenza ritiene che la domanda giudiziale
volta ad ottenere l'adempimento di
un'obbligazione derivante da un contratto non
vale ad interrompere la prescrizione dell'azione,
successivamente esperita, di arricchimento senza
causa, difettando il requisito della pertinenza
dell'atto interruttivo all'azione proposta
(identificata in base al petitum ed alla causa
petendi), in quanto la richiesta di adempimento
contrattuale e quella di indennizzo per
l'ingiustificato arricchimento si pongono in una
relazione di reciproca non fungibilità e non
costituiscono articolazioni di una matrice fattuale
sostanzialmente unitaria, ma derivano da diritti
«eterodeterminati», per la identificazione dei
quali, cioè, occorre far riferimento ai relativi fatti
costitutivi, tra loro sensibilmente divergenti sul
piano genetico e funzionale (Cass. civ. n.
10966/2008).
Vediamo ora il convenuto; anch’egli incontra
uno stringente limite: la tempestiva costituzione
in giudizio rappresenta infatti l’ultimo
momento utile per proporre domande
riconvenzionali. Pertanto, il convenuto potrà
formularle solo con la comparsa di costituzione
depositata entro il termine di venti giorni prima
dell’udienza di trattazione indicata in atto di
citazione o rinviata ex art. 168 bis, V comma,
c.p.c.5. La tardività delle domande potrà essere
rilevata anche d’ufficio dal giudice (Cass. civ. n.
8224/1999).
Giurisprudenza.“L'art. 183, comma quarto, c.p.c. consente all'attore, nella prima udienza di trattazione, di proporre le sole domande e le eccezioni, anche nuove, che siano conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, ma non attribuisce alle parti la facoltàdi proporre domande nuove che potessero essere proposte già con la citazione o la comparsa di risposta (v. Cass. 30 luglio 2004 n. 14581, 18 marzo 2003 n. 3991)”, Cass. civ. 17699/2005.
Tuttavia, a differenza dell’attore, il convenuto
non può proporre domande conseguenti alle
domande ed eccezioni nuove dell’attore (c.d.
reconventio reconventionis e reconventio
exceptionis), in quanto – come meglio vedremo in
seguito – nella II memoria ex art. 183 c.p.c. egli
potrà sollevare solo nuove eccezioni, né tale
potere è attribuito nella prima udienza di
trattazione6.
Il divieto di proporre domande nuove
conosce, tuttavia, un’importante deroga, cioè
l’ipotesi prevista dall’art. 1453 c.c., ritenuta dalla
giurisprudenza prevalente sulle norme di rito.
Detta disposizione consente di mutare la
domanda di adempimento del contratto in
domanda di risoluzione e la Cassazione ha più
volte ribadito che tale mutatio può essere
5 La giurisprudenza è ferma nel negare la tempestività della costituzione avvenuta entro il termine di venti giorni prima dell'udienza rinviata ai sensi dell'art. 168 bis IV comma.
6 In dottrina, tuttavia, si registrano posizioni più aperte; v. CAPPONI, L’art. 183 c.p.c. dopo le “correzioni” della legge 28 dicembre 2005, n. 263, www.judicium.it; BRIGUGLIO, Il nuovo rito ordinario di cognizione: meno udienze, più preclusioni; (dalla l. n. 80/2005 alla l. n. 263/2005), www.judicium.it;
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esercitata sia in appello, sia nell’eventuale
giudizio di rinvio ex art. 383 c.p.c.7.
La giurisprudenza ha affermato che sostituita la domanda di adempimento con quella di risoluzione, la parte può proporre anche le domande accessorie di restituzione e di risarcimento del danno (Cass. civ. n. 26325/2008). Tuttavia, detta proposizione deve essere contestuale. Costituisce infatti domanda nuova, come tale vietata, la richiesta di risarcimento del danno o di restituzione della prestazione proposte dopo aver chiesto la sola risoluzione del contratto (Cass. civ. n. 7083/2006).
7 La disposizione si applica anche nei giudizi in opposizione a decreto ingiuntivo; pertanto, il creditore opposto può sostituire alla domanda di ingiunzione la domanda di risoluzione del contratto; v. Cass. civ. n. 9941/2006.
4. PRECISARE, MODIFICARE, MUTARE LA DOMANDA
Fino a qui abbiamo esaminato le preclusioni
con riguardo alle domande nuove. Analizziamo
ora l’attività di precisazione e di modificazione
della domanda, posto che anche tali attività non
possono essere compiute ad libitum.
Le parti, infatti, hanno la possibilità di
precisare e di modificare le loro domande sino
al I termine ex art. 183, VI comma, c.p.c..
Pertanto, la c.d. prima memoria “del 183”
rappresenta la barriera preclusiva per dette
attività.
Ma questo lo vedremo meglio quando
analizzeremo detto articolo. Qui appare opportuno
soffermarsi sui concetti di precisazione e
modificazione della domanda e di mutatio libelli,
senza alcuna pretesa di affrontare compiutamente
l’esame di una questione tra le più travagliate in
dottrina e in giurisprudenza.
Precisare la domanda (o l’eccezione)
significa sostanzialmente allegare nuovi fatti
secondari.
Riporto a tal proposito gli esempi del Luiso,
tratti dal suo celebre manuale8:
Esempio 1: richiesto il risarcimento dei danni derivati da un incidente stradale, rientra nel concetto di precisazione ogni ulteriore introduzione in giudizio delle modalità di svolgimento dell'incidente stesso.Esempio 2: chiesto l'annullamento del contratto per dolo, costituisce precisazione ogni elemento relativo all'artificio raggiro perpetrati.Esempio 3: fatta valere in giudizio usucapione di un diritto, si ha precisazione quando si allegano fatti storici relativi alle modalità del possesso.
Parliamo, invece, di modificazione della
domanda allorquando la parte alleghi in
giudizio nuovi fatti storici principali, cioè nuovi
8 LUISO, Diritto processuale civile, Giuffré, 2000.
e diversi elementi costitutivi della fattispecie del
diritto fatto valere.
Tuttavia, l’allegazione in giudizio di un nuovo
fatto costitutivo potrebbe in alcuni casi
determinare una mutatio libelli, come tale vietata.
A tal fine, è importante richiamare la distinzione
tra diritti autoindividuati e diritti eteroindividuati
(più spesso in giurisprudenza indicati con altra
terminologia ovvero come “diritti autodeterminati”
ed “eterodeterminati”).
I diritti autoindividuati si identificano in
base al loro contenuto e per essi è irrilevante il
modo di acquisto (ad es. il diritto di proprietà e gli
altri diritti reali; i diritti della personalità); i diritti
eteroindividuati si identificano, invece, proprio
in base ai fatti costitutivi (ad es. i diritti credito; i
diritti reali di garanzia).
Nei diritti autoindividuati non è necessario stabilire in virtù di quale fattispecie il diritto è sorto. Il proprietario che agisce in rivendica è tenuto a dimostrare il proprio diritto di proprietà, ma è indifferente che questo derivi da contratto, successione, accessione, usucapione, ecc.. Ciò che conta è che egli sia proprietario.
Per i diritti autoindividuati è pacifica la
possibilità di allegare in giudizio altre fattispecie
acquisitive – quanto meno fino alla I memoria “del
183”; al contrario, ciò non è possibile per i diritti
eteroindividuati. Difatti, per questi, l’allegazione
di un fatto nuovo introduce una nuova domanda.
Esempio.Se formulo una domanda di restituzione di un bene allegando la cessazione di un contratto di locazione, non potrò poi richiedere la restituzione dello stesso bene allegando l’esistenza di un contratto di comodato. Difatti, la consegna di una cosa a titolo di locazione rappresenta un fatto del tutto diverso dalla consegna di una cosa a titolo di comodato. Diversi sono gli effetti che derivano dai due contratti e dunque diversa è la causa petendi.
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Per introdurre il concetto di mutatio libelli
riporto testualmente una massima della Suprema
Corte la quale ha affermato: si ha domanda nuova
quando si avanzi una pretesa obiettivamente
diversa da quella originaria, introducendo nel
processo un "petitum" diverso e più ampio oppure
una "causa petendi" fondata su situazioni
giuridiche non prospettate prima e in particolare
su un fatto costitutivo radicalmente differente, di
modo che si ponga un nuovo tema d'indagine e si
spostino i termini della controversia, con l'effetto
di disorientare la difesa della controparte ed
alterare il regolare svolgimento del processo; si
ha, invece, semplice “emendatio” quando si incida
sulla "causa petendi", sicché risulti modificata
soltanto l'interpretazione o qualificazione giuridica
del fatto costitutivo del diritto, oppure sul
"petitum", nel senso di ampliarlo o limitarlo per
renderlo più idoneo al concreto ed effettivo
soddisfacimento della pretesa fatta valere (Cass.
civ. n. 7524/2005).
Scomponendo la massima si ricava che per la
Corte si ha mutatio libelli allorquando si
introduce nel processo: (a) una pretesa
obiettivamente diversa; (b) un petitum diverso e
più ampio; (c) situazioni giuridiche non
prospettate prima; (d) un fatto costitutivo
radicalmente diverso.
Si ha invece semplice emendatio: (a) quando
si incide sulla causa petendi modificando
l’interpretazione o la qualificazione giuridica del
fatto costitutivo; (b) quando si amplia o si limita il
petitum.
A questo punto, appare indispensabile
richiamare le nozioni di petitum e di causa
petendi.
Il petitum è ciò che si chiede al giudice e
suole distinguersi in immediato e mediato. Il
petitum immediato è il provvedimento richiesto
(la condanna, l’accertamento mero, il sequestro);
il petitum mediato è, invece, il concreto bene
della vita (es. la somma di danaro; il bene di cui si
chiede la restituzione; l’eliminazione dei vizi).
Ben più complessa è la nozione di causa
petendi. Mi avvarrò delle parole del Mandrioli9.
Per questo insigne Autore la causa petendi è la
ragione del domandare, il titolo giuridico in forza
del quale si chiede il petitum, che è dato dal fatto
costitutivo e che non va confuso con la norma
giuridica. Quest'ultima, infatti, è il presupposto da
cui discende la possibilità di conseguire un
petitum sulla base di un fatto costitutivo. Ciò è
stato confermato dalla S.C. la quale ha affermato
che la precisazione della causa petendi non
richiede che da parte attrice siano correttamente
indicate le norme applicabili al caso ed i relativi
istituti giuridici, essendo invece sufficiente la
chiara indicazione, in termini sostanziali, dei fatti
costitutivi del diritto autoindividuato azionato, (v.
Cass. civ. n. 12258/02).
Non sempre, tuttavia, il fatto costitutivo è
sufficiente per individuare la causa petendi.
Talvolta, concorre alla sua individuazione il fatto
lesivo.
Esempio: Tizio agisce in rivendica contro Caio perché questi gli ha sottratto una mucca. Successivamente, Tizio, ottenuta nel frattempo la restituzione della mucca, agisce nuovamente in rivendica contro Caio, perché questi gli ha sottratto nuovamente lo stesso bovino.
9 MANDRIOLI, Corso di diritto processuale civile, Giappichelli, 1991.
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Si tratta di azioni identiche se non fosse per la causa petendi passiva, cioè il fatto lesivo.
In genere, nei diritti relativi, quelli cioè che
spettano ad un soggetto nei confronti di una o più
persone determinate o determinabili, ad ogni fatto
costitutivo corrisponde una diversa causa petendi.
Diverso, come abbiamo poc’anzi visto, è il
caso dei diritti assoluti, ad esempio il diritto di
proprietà. Qui, qualunque sia il fatto costitutivo
(successione, compravendita, donazione) il diritto
di proprietà rimane sempre lo stesso.
Con riferimento ai diritti autodeterminati, la Corte di Cassazione sembra orientata a confermare l’indirizzo formatosi sotto la vigenza del codice riformato del ’50, affermando che non solo la parte possa legittimamente modificare i fatti costitutivi anche in grado di appello, ma addirittura che il giudice possa accogliere la domanda anche in base ad un titolo diverso rispetto a quello indicato (Cass. civ. n. 24141/2007).Così, ad esempio, è stata affermata (v. Cass. civ. n. 28228/2008) la legittimità della domanda di accertamento del diritto di proprietà esclusiva su un bene proposta in grado di appello, nonostante in primo grado si fosse chiesto l’accertamento della comproprietà (e viceversa).E ancora, in applicazione di tale principio, è stata ritenuta ininfluente, sotto il profilo della novità della domanda, la circostanza che l'attore, nel richiedere la rimozione di un'aiuola posta dal vicino su una strada, in primo grado avesse dedotto la comproprietà della strada e, in grado di appello, un diritto di servitù di passaggio (Cass. civ. n. 3089/2007).Un altro esempio. Nel corso del giudizio inteso alla tutela del diritto di proprietà dall'altrui esercizio di una veduta, dedotto come illegittimo perché derivante dall'intervenuta trasformazione di un'originaria luce, mediante la condanna del convenuto al ripristino degli accorgimenti impeditivi della veduta previsti dall'art. 901 c.c., l'allegazione di un titolo - quale l'insussistenza di una servitù di veduta - diverso rispetto a quello posto originariamente a fondamento della domanda - quale il diritto ad ottenere la conformazione dell'apertura alle caratteristiche della luce - altro non rappresenta se non
un'integrazione delle difese, aggiungendosi un ulteriore elemento di valutazione a quello precedentemente dedotto, che non dà luogo alla proposizione di una domanda nuova, così come non implica alcuna rinunzia a che il primo titolo dedotto venga anch'esso se del caso preso in considerazione, e, tanto meno, influisce in alcun modo sulle conclusioni, che restano, comunque, cristallizzate nel medesimo petitum consistente nella richiesta di accertamento della lesione del diritto di proprietà e di pronunzia idonea all'eliminazione della situazione lesiva (Cass. civ. n. 24702/2006).In dottrina, invece, è stato affermato che la natura autodeterminata di un diritto non implica che la parte possa ad libitum cambiare i fatti costitutivi. Così, ad esempio, se l’attore agisce in rivendica in forza di un titolo negoziale, non potrà all’udienza di precisazione delle conclusioni allegare, in caso di invalidità dell’atto, che il suo diritto di proprietà si fonda sull’usucapione, in quanto il mutamento va fatto comunque entro il termine per la fissazione del thema decidendum, salvo che, in mancanza dell’opposizione del convenuto, detta circostanza risulti dalle prove testimonialiacquisite e dunque non influisca sul principio di concentrazione e corretto andamento del processo10.
Fatta questa brevissima ricostruzione teorica,
vediamo qualche esempio tratto dalla
giurisprudenza della S.C., sottolineando che nella
pratica la distinzione tra modificazione e mutatio
della domanda talvolta è tutt’altro che semplice.
È stata ritenuta una emendatio libelli, ad
esempio:
il passaggio dalla richiesta di condanna in
forma specifica a quella per equivalente e
viceversa (Cass. civ. n. 12964/2005);
il mutamento della qualificazione giuridica
della pretesa (Cass. civ. n. 5006/2004);
la richiesta degli interessi legali su una
obbligazione pecuniaria (Cass. civ. n.
5570/2003);
10 Così CEA, La trattazione della causa con il rito ordinario, www.judicium.it.
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la richiesta di servitù con mezzi meccanici
a fronte di una originaria richiesta di
servitù generica (Cass. civ. n.
8083/2002);
la sostituzione della domanda di cui
all’art. 2932 c.c. con la domanda volta a
far dichiarare l’avvenuto trasferimento
della proprietà in forza della stessa
scrittura, presentata inizialmente come
preliminare e poi come contratto di
compravendita (Cass. civ. n. 7383/2001);
la generica richiesta di risarcimento per
fatto illecito della P.A. e la successiva
specificazione del fatto fonte di
responsabilità (Cass. civ. n. 17382/2002);
la richiesta di annullamento del contratto,
anziché di nullità, fondata sugli stessi fatti
(Cass. civ. n. 16708/2002);
la richiesta di annullamento del
licenziamento per giusta causa, rispetto
all’azione di nullità (Cass. civ.
n.10316/2002).
Sono state invece ritenute domande
nuove, come tali vietate:
la domanda di risoluzione del contratto in
forza di una clausola risolutiva espressa,
proposta dopo aver domandato la
risoluzione per inadempimento (Cass. civ.
n. 167/2005);
la domanda del maggior danno da
svalutazione monetaria ai sensi dell’art.
1224 c.c., allegando per la prima volta la
propria natura imprenditoriale (Cass. civ.
n. 25365/2006);
la domanda di risoluzione del contratto
avanzata dopo aver chiesto il solo
risarcimento del danno (Cass. civ. n.
17144/2006);
la domanda di accertamento della
comunione tacita familiare formulata dopo
aver chiesto la semplice divisione del
bene comune (Cass. civ. n. 514/2006);
la domanda di condanna del convenuto in
base all’art. 2050 c.c., che disciplina la
presunzione di responsabilità in materia di
attività pericolose, spiegata dopo aver
chiesto la condanna per responsabilità da
fatto illecito ex art. 2043 c.c. (Cass. civ. n.
8095/2006);
la domanda di condanna del dipendente
ai sensi dell’art. 2049 c.c. introdotta dopo
aver proposto la domanda di condanna
per cose in custodia (Cass. civ. n.
4977/79);
la richiesta di annullamento del contratto
per dolo rassegnata dopo aver
inizialmente richiesto l’annullamento per
violenza (Cass. civ. n. 6301/1984);
la domanda di risarcimento del danno alla
persona rispetto alla domanda di
risarcimento del danno a cose (Cass. civ.
n. 9370/2000);
la deduzione, nel procedimento di
opposizione all’ordinanza ingiunzione, di
vizi dell’ordinanza che ne comportano
l’annullamento, rispetto alla originaria
deduzione di legittimità del
comportamento (Cass. civ. n. 5684/2000);
la richiesta di nullità del licenziamento per
inosservanza della procedura prevista a
fronte della domanda di illegittimità per
DOSSIER 1 – Il regime delle preclusioni nel nuovo processo civile Gennaio 2010
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difetto di giusta causa (Cass. civ. n.
2363/2003).
Gli esempi rinvenibili nella giurisprudenza
sono tantissimi (e non sempre coerenti) tanto che
potremmo continuare per ore ad elencare tutti i
casi in cui una domanda è stata ritenuta nuova o
semplicemente modificata rispetto a quella
precedentemente proposta.
Ciò che qui è importante ricordare è che a
partire dal rito post riforme anni ’90-’95 le
domande nuove devono essere dichiarate
inammissibili anche in presenza del consenso,
espresso o tacito, dell’altra parte.
La ragione di ciò, si dice, riposa sul fatto che
l'intera trattazione è improntata al perseguimento
delle esigenze di concentrazione e speditezza
che non tollerano - in quanto espressione di un
interesse pubblico - l'ampliamento successivo del
thema decidendi, anche se su di esso si venga a
registrare il consenso dell'altra parte (Cass. 11
maggio 2005, n. 9875).
Si tratta, però, di un’affermazione che nella
sua assolutezza non considera le ipotesi in cui la
mutatio non determini affatto un rallentamento del
processo o una violazione del contraddittorio, ad
esempio perché, da un lato, non è necessaria
un’attività istruttoria ulteriore e, dall’altro, perché la
controparte ha preso una specifica posizione sulla
nuova domanda. Non si comprende, in questi
casi, per quale ragione si debba sanzionare
così severamente un’attività che non ha leso
nessun principio e nessuna parte.
DOSSIER 1 – Il regime delle preclusioni nel nuovo processo civile Gennaio 2010
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5. IL REGIME DI PRECLUSIONE DELLE ECCEZIONI
E veniamo ad un tema fondamentale, quello
cioè del regime di preclusione delle eccezioni.
Come si ricorderà, nel processo ante riforme
del 2005-2006 il convenuto aveva tempo sino alla
memoria di cui all’art. 180 c.p.c. per proporre le
eccezioni processuali e di merito non rilevabili
d’ufficio; termine, questo, perentorio e solitamente
fissato in venti giorni prima della udienza di
trattazione.
Pertanto, le attività difensive che il convenuto
doveva svolgere a pena di decadenza in
comparsa di risposta, costituendosi
tempestivamente in giudizio almeno venti giorni
prima dell’udienza indicata in citazione o rinviata
ai sensi dell’art. 168 bis V comma, erano
sostanzialmente due:
a) la proposizione di eventuali domande
riconvenzionali (art. 167 c.p.c.);
b) la dichiarazione di voler chiamare in causa
un terzo, con richiesta di differimento della
prima udienza (artt. 167 e 269 c.p.c.).
Relativamente all’eccezione di incompetenza
territoriale derogabile del giudice adito (art. 38,
II comma, c.p.c.) era sorto un contrasto di
giurisprudenza, in quanto alcune pronunce11
individuavano nella comparsa di costituzione
tempestivamente depositata il termine ultimo per
la sua proposizione, altre12, invece, ritenevano
che la preclusione fosse da ancorare all’udienza
di prima comparizione (art. 180 c.p.c.). Il contrasto
è stato risolto dalle Sezioni Unite (sent. 12
11 In questo senso,tra le altre, Cass. civ. n. 2672/2004; Cass. civ. n. 6849/2003 e Cass. civ. n. 1177/2002.12 v. Cass. civ. n. 2852/2003.
maggio 2008 n. 11657) le quali hanno stabilito il
principio che l'eccezione di incompetenza per
territorio derogabile è formulata tempestivamente
nella comparsa di costituzione, anche se essa è
depositata con la costituzione del convenuto fino
alla prima udienza. Successivamente alla entrata
in vigore del D. L. n. 35 del 2005, l'eccezione è
tempestivamente proposta soltanto se contenuta
nella comparsa di risposta depositata almeno
venti giorni prima dell'udienza di comparizione. Le
Sezioni Unite hanno dunque aderito al
secondo orientamento richiamato.
A queste due preclusioni collegate al primo
atto difensivo del convenuto, la riforma del 2005
ha aggiunto, come poc’anzi visto, quella relativa
all’eccezione di competenza territoriale derogabile
e una quarta, molto importante, relativa alle cd.
eccezioni in senso stretto. Il nuovo art. 167, II
comma, c.p.c. dispone, infatti, che le eccezioni
processuali e di merito che non siano rilevabili
d’ufficio possono essere sollevate, a pena di
decadenza, solo in comparsa di risposta13.
Pertanto, nei procedimenti introdotti dopo il 1
marzo 2006, ma prima del 4 luglio 2009, con la
comparsa di costituzione e risposta il convenuto
aveva l’onere di:
a) proporre eventuali domande riconvenzionali;
b) dichiarare di voler chiamare in causa un
terzo, con richiesta di differimento della prima
udienza;
13 Per GRAZIOSI, in Appunti sulla nuova fase preparatoria del processo, www.judicium.it è da accogliere con favore l'aver imposto al convenuto di formulare le proprie eccezioni sin dalla comparsa di costituzione e risposta.
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c) formulare l’eccezione di incompetenza
territoriale derogabile;
d) sollevare le eccezioni processuali e di merito
non rilevabili d’ufficio.
È bene ancora una volta ricordare che il
convenuto decade dalle suddette facoltà laddove
non si costituisca entro il termine di venti giorni
dalla udienza indicata in citazione, ovvero da
quella rinviata ai sensi dell’art. 168 bis, V
comma, c.p.c.. Deve invece considerarsi tardiva
la costituzione - e conseguentemente
inammissibili le domande riconvenzionali, le
eccezioni in senso stretto e la richiesta di
chiamata in causa del terzo - nel caso in cui la
comparsa sia depositata venti giorni prima
dell’udienza rinviata ai sensi del IV comma
dell’art. 168 bis c.p.c..
Per la Suprema Corte, la mancata equiparazione delle rispettive ipotesi di cui al quarto e quinto comma dell'art. 168 bis c.p.c. non può ascriversi a mera svista del legislatore (come sostenuto dalla dottrina), perché emerge con sufficiente chiarezza la ratio della diversa considerazione, ascrivibile al fatto che solo l'udienza indicata in citazione e quella fissata con apposito decreto dal giudice designato risultano espresse in atti scritti idonei a determinare conoscenze certe, a differenza di quanto avviene per i rinvii d'ufficio, non soggetti a comunicazioni di sorta e desumibili solo dalla previsione generale del calendario giudiziale (Cass. civ. n. 12490/2007).
E veniamo al regime attuale. La legge n.
69/2009 ha modificato l’art. 38 c.p.c. stabilendo
che l’incompetenza per materia, per valore e per
territorio inderogabile debbono essere eccepite a
pena di decadenza nella comparsa di costituzione
e risposta tempestivamente depositata.
Pertanto, attualmente, il convenuto, con la
comparsa di costituzione e risposta, ha l’onere di:
a) proporre eventuali domande
riconvenzionali;
b) sollevare le eccezioni processuali e di
merito non rilevabili d’ufficio;
c) dichiarare di voler chiamare in causa un
terzo, con richiesta di differimento della
prima udienza;
d) formulare le eccezioni di incompetenza
(per materia, valore e territorio
derogabile e non derogabile).
Quando l’art. 167 c.p.c. parla di eccezioni
si riferisce solo a quelle già sollevabili con la
notificazione della citazione, come ad esempio
l’eccezione di incompetenza per territorio
derogabile, di prescrizione, di compensazione, di
decadenza. Sarebbe incostituzionale, infatti,
impedire al convenuto di proporre eccezioni su
domande e fatti emersi in epoca successiva alla
sua costituzione. Si legga a tal proposito la
massima che segue.
Giurisprudenza.“Se, infatti, ai sensi della prima parte del comma 4 dell'art. 183 c.p.c., l'attore non incontra preclusioni e può proporre domande ed eccezioni nuove in quanto esse siano conseguenza della domanda riconvenzionale e delle eccezioni proposte dal convenuto, introducenti una situazione ulteriore rispetto a quella individuata con la citazione (Cass. 18 marzo 2003 n. 3991), analogamente deve ritenersi, al fine di una interpretazione della norma in armonia con i precetti costituzionali e con il rispetto del principio fondamentale del contraddittorio, che nuove eccezioni possono essere formulate dalle parti, anche una volta scaduto il termine di cui all'art. 180, comma 2, c.p.c., ogniqualvolta le stesse siano conseguenza di produzioni documentali della controparte tali da introdurre una nuova situazione, rispetto a quella emergente rispetto a quanto enunciato negli scritti difensivi originari”, così Cass. civ. n. 6756/2004
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6. ECCEZIONI IN SENSO STRETTO E IN SENSO LATO
Il legislatore della riforma non ha preso
ovviamente posizione in merito al delicato e mai
chiuso problema di quali siano le eccezioni non
rilevabili d’ufficio. Permettetemi di approfondire
tale aspetto, facendo prima una brevissima
digressione sull’eccezione.
Sotto un primo generale aspetto, per
eccezione si intende qualunque difesa della
quale la parte si serva per ottenere il rigetto
della domanda avversaria.
Non di rado, infatti, lo stesso legislatore usa il
termine eccezione per indicare la contestazione
dei fatti costitutivi (v., ad esempio, gli artt. 1271,
1272, 1273, 1462, 1945, 1993 cod. civ.). Così
intesa, rientra in tale categoria concettuale ogni
istanza e difesa con funzione di contrasto rispetto
alla domanda avversaria. In tale contesto si
collocano le argomentazioni difensive,
l'allegazione o negazione di fatti, l’applicazione o
meno di una norma, ecc..
Si parla in questi casi di eccezioni in senso
improprio ovvero di mere difese che oggi, a
differenza del passato, non possono essere
più formulate in maniera generica, bensì
specifica per effetto del secondo periodo
aggiunto al primo comma dell’art. 115 c.p.c.
dalla legge n. 69/2009 che dispone: Salvi i casi
previsti dalla legge, il giudice deve porre a
fondamento della decisione le prove proposte
dalle parti o dal pubblico ministero, nonché i fatti
non specificatamente contestati dalla parte
costituita (v. infra parte II, cap. 6.2.)
In buona sostanza, con la mera difesa la
parte nega il fatto costitutivo della pretesa
avversaria, con l’effetto che qualora detta
contestazione sia specifica (cfr. art. 115 c.p.c.
così come modificato dalla legge n. 69/2009)
graverà sull’altra l’onere di provare i fatti costitutivi
della domanda.
Giurisprudenza. “La nullità della clausola anatocistica di capitalizzazione trimestrale degli interessi sui saldi passivi, inserita nel contratto di conto corrente bancario da cui deriva il credito azionato in giudizio, è rilevabile d'ufficio dal giudice anche in grado di appello, rimanendo irrilevante, a tal fine, l'assenza di una deduzione (o di una tempestiva deduzione) del profilo di invalidità ad opera dell'interessato, la quale rappresenta una mera difesa, inidonea a condizionare, in senso positivo o negativo, l'esercizio del potere - di rilievo officioso della nullità del contratto”, (Cass. civ. n. 11466/2008).
Un particolare tipo di eccezione è l'eccezione
riconvenzionale la quale esprime una richiesta
che, pur rimanendo nell'ambito della difesa,
amplia il tema della controversia ma all’unico fine
della reiezione della domanda, opponendo al
diritto fatto valere dall'attore un diritto idoneo a
paralizzarlo.
Esempio.Il convenuto in rivendicazione oppone di aver usucapito l’immobile, senza tuttavia domandarne l’accertamento.
L’eccezione riconvenzionale riceve la stessa
disciplina delle eccezioni in senso stretto, pertanto
deve essere sollevata dal convenuto al più tardi
con la comparsa di costituzione e risposta
tempestivamente depositata.
DOSSIER 1 – Il regime delle preclusioni nel nuovo processo civile Gennaio 2010
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La nozione di eccezione di merito o
sostanziale in senso proprio si ricava, invece,
dall'art. 2697 c.c. secondo cui chi eccepisce
l'inefficacia dei fatti costitutivi del diritto azionato,
ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o
estinto, deve provare i fatti su cui l'eccezione si
fonda. Pertanto, alla luce di tale dato normativo, si
definiscono eccezioni sostanziali in senso
proprio quelle che consistono nella richiesta di
una decisione negativa su una domanda altrui in
forza di fatti impeditivi, modificativi ed estintivi
del diritto.
I fatti impeditivi sono quei fatti, contestuali al sorgere del diritto, che ne impediscono la venuta ad esistenza. Un esempio è nell’art. 905 del c.c. in tema di “Distanza per l'apertura di vedute dirette e balconi”. L’ultimo comma stabilisce che il divieto di aprire vedute dirette verso il fondo del vicino cessa allorquando tra i due fondi vicini vi è una via pubblica. L’esistenza di una via pubblica rappresenta pertanto un fatto impeditivo. Per la verità, talvolta un fatto può rappresentare sia un elemento costitutivo che un fatto impeditivo. Si pensi alla colpa che è sicuramente uno degli elementi occorrenti perché sorga il diritto al risarcimento del danno, tanto nella responsabilità contrattuale quanto in quella aquiliana: essa è un fatto costitutivo della domanda nella responsabilità extracontrattuale, con conseguente onere probatorio a carico dell’attore, mentre è un fatto impeditivo nella responsabilità contrattuale, come tale a carico del convenuto.I fatti estintivi sono quei fatti, successivi al sorgere dell’obbligazione, che ne determinano l’estinzione (ad es. pagamento, remissione del debito, cessione del credito).I fatti modificativi sono quei fatti che modificano il diritto, determinando conseguenze giuridiche diverse da quelle postulate dall’attore. Ad esempio, in tema di contratti agrari, la parte convenuta assume che il contratto associativo si è convertito in affitto.
Venendo alla disciplina processuale, l'art. 112
del codice di rito, intitolato Corrispondenza tra il
chiesto e il pronunciato, recita: Il giudice deve
pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti
di essa e non può pronunciare d'ufficio su
eccezioni, che possono essere proposte soltanto
dalle parti.
Come si vede, la disposizione citata afferma
implicitamente l'esistenza di due categorie di
eccezioni in senso proprio, dando per
presupposto il loro significato e cioè:
quelle sulle quali il giudice può pronunciarsi
ex officio (eccezioni in senso lato);
quelle che possono essere proposte solo
dalle parti (eccezioni in senso stretto).
In relazione alle eccezioni di merito in
senso proprio e stretto va subito ricordato che il
giudice non può pervenire al rigetto della
domanda sulla base di fatti impeditivi,
modificativi o estintivi i quali, ancorché
risultanti ex actis, non vengano allegati dalla
parte.
Esempio.Pensiamo alla eccezione di prescrizione che è una tipica “eccezione in senso proprio e in senso stretto”. Anche laddove dagli atti emergesse il decorso del termine, il giudice non potrebbe dichiarare l'estinzione del diritto in assenza di allegazione della parte.E ancora, si pensi alla compensazione. Se il convenuto produce un pagherò cambiario scaduto emesso dall’attore, ma non allega espressamente di essere a sua volta creditore in forza di quel titolo, il giudice non può dichiarare la compensazione.
Per completezza, va qui ricordato che
all’interno della categoria delle eccezioni in senso
proprio e in senso stretto, cioè non rilevabili
d’ufficio, vi è una sottocategoria in cui non basta
la semplice allegazione, ma occorre qualcosa in
più e cioè una vera e propria manifestazione di
volontà volta a conseguire una modificazione
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della realtà. In altre parole, per conseguire il
risultato difensivo occorre che l'interessato scelga
se conservare la situazione giuridica esistente,
ovvero ottenere che, secondo la norma di
previsione, si produca quella nuova.
Rappresentano un esempio di questa
tipologia di eccezioni le azioni costitutive, come
quelle di cui agli artt. 1442, ultimo comma e 1449,
secondo comma cod. civ., ove si prevede la
facoltà del convenuto di proporre, rispettivamente,
un'eccezione di annullamento e di rescissione
del contratto. Ed è opinione diffusa in dottrina
che analoga situazione sia configurabile con
riguardo alle eccezioni di risoluzione del
contratto per eccessiva onerosità (art. 1467
c.c.); di revocatoria (art. 2901 c.c.); di riduzione
di disposizioni testamentarie (art. 557 c.c.).
In altri termini, in questi casi il legislatore
costruisce la fattispecie in modo tale che la
presenza di determinate circostanze non ha una
autonoma efficacia produttiva della nuova
situazione sostanziale, ma la consegue solo se vi
è una manifestazione di volontà dell'interessato.
Esempio: Tizio conviene Caio per ottenere l’esecuzione del contratto. Caio eccepisce (e in seguito prova) che ha stipulato il contratto in stato di bisogno; che Tizio, pienamente consapevole di ciò, se ne è approfittato e che la lesione eccede la metà del valore della prestazione. Tuttavia, Caio si limita a chiedere il rigetto della domanda avversaria e non invece la rescissione del contratto per lesione exart. 1448 c.c.. In questo caso, il giudice non potrà rescindere il contratto, essendo mancata una manifestazione di volontà in tal senso.
Alla luce di quanto finora detto, sono pertanto
eccezioni in senso stretto:
a) quelle definite tali dalla legge;
b) quelle c.d. ad impugnandum jus con cui si fa
valere contro la domanda dell'altra parte un diritto
che potrebbe azionarsi separatamente in via
autonoma, e il cui esercizio si configura come
necessario perché si verifichi un mutamento della
situazione giuridica (Cass. civ. n. 1320/2000).
Ma torniamo all’art. 112 c.p.c.. Detto articolo,
secondo cui il giudice non può pronunciare
d'ufficio su eccezioni che possono essere
proposte soltanto dalle parti, suole essere
considerato una norma in bianco: sarà pertanto
il giudice a dover stabilire se l’eccezione è
rilevabile d’ufficio oppure no.
Talvolta è lo stesso legislatore ad
esonerare l'interprete da questo non
sempre facile compito, escludendo
espressamente la rilevabilità d'ufficio;
così, fra i numerosi possibili esempi
(alcuni dei quali già evidenziati),
prevedono una eccezione in senso
proprio:
l'art. 1242, I comma, cod. civ. quanto
all'eccezione di compensazione;
l'art. 1442, IV comma, cod. civ. quanto
all'eccezione di annullabilità del
contratto;
l'art. 1460, I comma, cod. civ. quanto
all'eccezione di inadempimento;
l'art. 2938 cod. civ. quanto all'eccezione di
prescrizione;
l’art. 2969 cod. civ. quanto all’eccezione
di decadenza.
Al di fuori dei casi nei quali l'interprete deve
semplicemente uniformarsi alla chiara lettera della
legge e di quelli in cui l’eccezione corrisponde ad
DOSSIER 1 – Il regime delle preclusioni nel nuovo processo civile Gennaio 2010
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un diritto che potrebbe azionarsi separatamente
(v. supra), la nozione di eccezione in senso stretto
è rimasta a lungo controversa anche nella
giurisprudenza della Corte regolatrice la quale,
tuttavia, con la sentenza pronunciata a Sezioni
Unite il 3 febbraio 1998 n. 1099 ha sancito che
l'art. 112 c.p.c. è una norma di rinvio alle
disposizioni che prevedono caso per caso
l'indispensabile iniziativa della parte, senza che
sia necessario o possibile per l'interprete la
ricerca di un principio unitario che informi quei
casi. Ciò essenzialmente per due ragioni:
la prima è che non è possibile individuare un
minimo comune denominatore alle diverse
fattispecie di eccezioni in senso stretto
disseminate nel codice;
la seconda è che l’art. 112 è formulato in
modo da far apparire normale la pronuncia
sulle eccezioni ed eccezionale quella in cui
sia riservata alla iniziativa di parte14.
Pertanto, le eccezioni sono sempre
rilevabili d’ufficio, a meno che il rilievo di parte
sia stabilito dalla legge o sia ricavabile dal
tenore letterale della norma o sulla base di
argomentazioni logico-sistematiche.
Venendo agli esempi, sono state ritenute
ipotesi di eccezioni di merito in senso proprio e
in senso stretto:
la presupposizione contrattuale (Cass.
civ. n. 3908/2000);
l’inefficacia del contratto concluso dal
falsus procurator (Cass. civ. n.
2860/2008);
14 In tal senso v. anche LUISO, Diritto processuale civile, Giuffrè, 2000.
l’eccezione di inadempimento ex art. 1460
c.c. (Cass. civ. n. 11728/2002);
la decadenza dalla garanzia per i vizi
della cosa venduta ex art. 1490 c.c.
(Cass. civ. n. 10228/2002);
la negazione della titolarità del rapporto
contrattuale (Cass. civ. n. 19170/2005);
l’aggravamento del danno da parte del
creditore ex art. 1227, II comma, c.c.
(Cass. civ. n. 8997/2003 che ribalta un
orientamento consolidatosi in senso
contrario – e quindi in termini di eccezione
in senso stretto – ed espressosi, da
ultimo, attraverso Cass. civ. n.
2868/2003).
Ipotesi di eccezioni di merito in senso
proprio e in senso lato sono:
l’interruzione della prescrizione (Cass. civ.
n. 15661/2005);
il fatto estintivo sopravvenuto diverso
dalla prescrizione: pagamento,
novazione, transazione, datio in solutum
(per la novazione v. Cass. civ. n.
3026/1999; contra, per la rimessione, v.
Cass. civ. n., 1110/1999 che giunge a tale
conclusione affermando come l’effetto
estintivo, essendo riconducibile ad un atto
di volontà del debitore, darebbe luogo ad
una sorta di diritto potestativo del
debitore, così da far dipendere da
quest’ultimo l’operare dell’effetto estintivo
medesimo);
la risoluzione consensuale del contratto
(Cass. civ. n. 12075/2007);
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la contestazione della durata del
possesso ai fini dell’usucapione (Cass.
civ. n. 5487/2004);
la rinuncia alla prescrizione (Cass. civ. n.
4804/2007);
il fatto colposo del creditore ex art. 1227, I
comma c.c. (Cass. civ. n. 15382/2006);
la compensatio lucri cum damno (Cass.
civ. n. 2112/2000);
l’inoperatività della polizza assicurativa
(Cass. civ. n. 1967/2000);
l’eccezione di nullità del contratto ogni
qual volta la domanda attorea abbia ad
oggetto un credito scaturente da quel
contratto (Cass. civ. sez. un. n.
21095/2004);
il mancato avveramento della condizione
sospensiva (Cass. civ. n. 2214/2002);
la mancata iscrizione nell’albo del
professionista che richiede un compenso
(per l’ipotesi del mediatore v. Cass. civ. n.
3127/2008);
il superamento del limite di massimale,
nelle cause in cui è parte il Fondo di
garanzia vittime della strada (Cass. civ. n.
17977/2007);
in tema di impugnazione dell'espulsione
amministrativa dello straniero,
l'affermazione della mancata conoscenza
della lingua italiana nella quale è
comunicato il provvedimento espulsivo
privo di traduzione (Cass. civ. n.
12812/2003).
Anche per le eccezioni di rito vale la
distinzione tra eccezioni in senso stretto
ed eccezioni in senso lato.
Sono, ad esempio, eccezioni di rito in
senso stretto quelle:
di compromesso (Cass. civ. n.
10925/2001);
di incapacità del teste (Cass. civ. n.
8358/2007);
di tardività del disconoscimento della
scrittura privata (Cass. civ. n. 6968/2006);
di inosservanza delle limitazioni inerenti
all'ammissibilità della prova testimoniale
ove il contratto abbisogni della forma
scritta ad probationem (Cass. civ. n.
3392/2004).
Sono esempi di eccezioni di rito in senso
lato, come tali rilevabili d'ufficio15:
il difetto della giurisdizione nei confronti della
pubblica amministrazione o del giudice
speciale (art. 37 c.p.c.);
il difetto di competenza territoriale derogabile
nel procedimento monitorio (Corte Cost. n.
410/2005);
la litispendenza (Cass. civ. n. 22900/2007);
15 La giurisprudenza della Suprema Corte ha ammesso la rilevabilità d'ufficio da parte del giudice dell'appello, anche al di fuori di specifica deduzione della parte nei limiti e secondo leregole proprie del mezzo di gravame: dei vizi del procedimento rientranti nelle ipotesi tassativamente previste dall'art. 354 c.p.c., comma 1 (Cass., Sez. 2^, n. 8232 del 1997, cit.); dell'omessa regolare notificazione del ricorso introduttivo del giudizio civile, in mancanza della costituzione del convenuto nel primo grado di giudizio (Cass., Sez. 1^, 18 novembre 1995, n. 519); del vizio di mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di un litisconsorte necessario (Cass., Sez. 2^, 22 gennaio 1964, n. 153; Cass., Sez. 2^, 9 ottobre 1979, n. 5236); delle nullità derivanti dalla violazione del principio del contraddittorio, in particolare sotto il profilo dell'invalida costituzione del rapporto processuale (Cass., Sez. 3^, 5 febbraio 1987, n. 1125; Cass., Sez. lav., 9 luglio 1991, n. 7555; Cass., Sez. lav., 22 febbraio 1992, n. 2196; Cass., Sez. 1^, 21 maggio 1998, n. 5067; Cass., Sez. 2^, 16 novembre 2000, n. 14866); del difetto di giurisdizione (Cass., Sez. Un., 14 aprile 2003, n. 5903); delle ipotesi di invalidità della sentenza equiparate alla mancanza di sottoscrizione del giudice (Cass., Sez. 1^, 22 marzo 1993, n. 3371; Cass., Sez. 2^, 5 ottobre 2001, n. 12292); della mancanza delle condizioni dell'azione, quali la legittimazione ad agire o l'interesse ad agire (Cass., Sez. 1^, 27 aprile 1988, n. 3170).
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la connessione (Cass. civ. n. 3788/92);
la pretermissione del litisconsorte necessario
(Cass. civ. n. 23628/2006);
la carenza di interesse ad agire (Cass. civ. n.
26632 del 13/12/2006);
il difetto di legittimazione ad processum
(Cass. civ. n. 20819 del 26/09/2006);
il giudicato interno ed esterno (Cass. civ., sez.
un. n. 13916/2006);
la cessazione della materia del contendere
(Cass. civ. n. 17861/2007);
l’introduzione di domande nuove (Cass. civ. n.
7270/2008);
il tardivo deposito di documenti (Cass. civ. n.
9491/2007);
il mancato rispetto delle sequenze
procedimentali in cui è scandita la trattazione
del processo (Cass. civ. n. 3607/2007);
il tardivo deposito dell’atto di appello (Cass.
civ. n. 4601/2000);
la modifica tardiva di domande ed eccezioni
(Cass. civ. n. 11318/2005);
il tardivo deposito di memorie;
la tardiva iscrizione della causa a ruolo;
la mancata partecipazione del P.M. nei giudizi
in cui l’intervento è obbligatorio (art. 158
c.p.c.);
il vizio di costituzione del giudice (art. 158
c.p.c.).
La modifica dell’art. 38 c.p.c. avvenuta per
opera della legge n. 69/2009 ha creato un nuovo
tipo di eccezione, di forma ibrida. Difatti
l’incompetenza per materia, per valore e per
territorio (derogabile e non derogabile) debbono
ora essere eccepite a pena di decadenza nella
comparsa di costituzione e risposta
tempestivamente depositata, ma potranno anche
essere rilevate d’ufficio (fatta eccezione per
l’incompetenza territoriale derogabile) entro la
prima udienza di trattazione.
Come si concilia il fatto che detta eccezione
debba essere eccepita a pena di decadenza con il
primo atto introduttivo, ma, allo stesso tempo,
possa essere rilevata d’ufficio dal giudice? La
disposizione sembra assumere rilievo in fase di
impugnazione. Qualora, infatti, la parte abbia
tardivamente sollevato l’eccezione di
incompetenza alla prima udienza e il giudice
l’abbia disattesa, in sede d’appello non potrà
dolersi del mancato accoglimento dell’eccezione,
in quanto proposta tardivamente.
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OMISSIS
Più complessa è invece la questione relativa alla prova per testi richiesta dalla difesa del convenuto Braga Stellio.Invero, risulta per tabulas che il Braga si è costituito, ed ha proposto le sue istanze istruttorie, dopo lo spirare del termine di cui all’articolo 183 comma 6 n. 1 c.p.c., pur se prima dello spirare del termine di cui all’articolo 183 comma 6 n. 2 c.p.c.La questione giuridica che deve essere affrontata dal Giudice è allora quella della tempestività di una richiesta di prove testimoniali formulata prima del decorso del termine di cui all’articolo 183 comma 6 n. 2 c.p.c., ma relativa a circostanze dedotte con comparsa di risposta depositata successivamente al termine di cui all’articolo 183 comma 6 n. 1 c.p.c.Ciò detto, la risposta non può prescindere da un’esegesi del già citato articolo 183 c.p.c.Si osserva in proposito che, a seguito della riforma del codice di rito posta in essere nel 2005 con il D.L. n. 35/2005 conv. in L. n. 80/2005 modificato dalla L. n. 263/2005, è stata prevista la concessione dei tre termini di cui all’art. 183 comma 6 c.p.c., in luogo dei precedenti quattro termini concessi, due per volta, dai previgenti articoli 183 comma 5 e 184 c.p.c.Sotto il profilo fattuale, può ritenersi che il primo dei tre termini corrisponda sostanzialmente al primo termine in precedenza posto dall’art. 183 comma 5 c.p.c., essendo deputato alla “precisazione o modificazione delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte”; il secondo termine inglobi il precedente secondo termine del previgente art. 183 comma 5 c.p.c. ed il primo termine del previgente art. 184 c.p.c., essendo finalizzato a “replicare alle domande ed
eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezione medesime”, nonché per “l’indicazione dei mezzi di prova e produzioni documentali”; il terzo termine corrisponda al secondo termine di cui al precedente art. 184 c.p.c., riguardando le “indicazioni di prova contraria”.Alla luce di ciò, sulla base del chiaro disposto letterale della norma vigente e del pacifico insegnamento giurisprudenziale formatosi nel vigore della norma ormai abrogata, deve ritenersi che il termine di cui all’articolo 183 comma 6 n. 1, corrispondente al primo termine ex articolo 183 comma 5 c.p.c. in vigore prima della riforma del 2005, rappresenta il termine ultimo oltre il quale si verificano le preclusioni assertive, atteso che entro tale termine vanno svolte le “precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni”; mentre il termine ex art. 183 comma 6 n. 2 c.p.c., corrispondente al primo termine ex articolo 184 in vigore prima della riforma del 2005, rappresenta il termine ultimo oltre il quale si verificano le preclusioni probatorie per la prova diretta, atteso che entro tale termine vanno effettuate la “indicazione dei mezzi di prova” e le “produzioni documentali”.Tanto premesso, deve evidenziarsi che, nell’ambito di un processo a preclusioni rigide quale quello vigente nel nostro ordinamento sin dal vigore della legge n. 353/1990, non può essere revocato in dubbio il principio a tenore del quale il diritto alla prova può essere esercitato solo relativamente a fatti tempestivamente allegati; e quindi relativamente a fatti dedotti prima dello spirare delle preclusioni assertive.Né può in alcun modo opinarsi che vi possa essere una sostanziale sovrapposizione e
Diritto alla prova: attenzione alle preclusioni assertive!
Tribunale di Piacenza, ordinanza del 30 novembre 2009Giudice Morlini
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coincidenza tra il momento delle preclusioni assertive e quelle probatorie, così come accade nel rito del lavoro, ove dette preclusioni si consumano, entrambe, per l’attore al momento del deposito del ricorso, per il convenuto al momento della memoria costitutiva tempestivamente depositata (cfr. artt. 414 e 416 c.p.c.). Nel rito ordinario, invece, come si è detto e come accade sin dal vigore della legge n. 353/1990, le preclusioni assertive maturano prima di quelle istruttorie.Con la conseguenza che è ben possibile che una parte, pur avendo richiesto di provare una circostanza prima dello scadere delle preclusioni
probatorie, non sia ammessa a provare tale circostanza, in quanto per la prima volta dedotta dopo lo spirare delle preclusioni assertive.È proprio questo il caso che qui occupa, atteso che la richiesta probatoria di Braga Stellio, in sé astrattamente formulata in modo tempestivo in quanto precedente allo spirare delle preclusioni istruttorie, diviene inammissibile perché riferita a fatti dedotti dallo stesso Braga dopo lo spirare delle preclusioni assertive; ed a fatti mai dedotti dalle altre parti processuali prima dello spirare di tali preclusioni.
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