Il realismo descrittivo come impegno socio-politico: omaggio a Renato Guttuso ed a Silvio Micheli

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Marco Martini IL REALISMO DESCRITTIVO COME IMPEGNO SOCIO-POLITICO: OMAGGIO A RENATO GUTTUSO ED A SILVIO MICHELI EDIZIONI ISSUU. COM

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IL REALISMO DESCRITTIVO COME IMPEGNO SOCIO-POLITICO. 19-11-2011: OMAGGIO A RENATO GUTTUSO ED A SILVIO MICHELI. Incontri culturali organizzati dall’U.C.A.I. (Unione Cattolica Artisti Italiani) e dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Viareggio)- h. 16,00/17,30 c/o la Sala di Rappresentanza del Comune di Viareggio.

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Marco Martini

IL REALISMO DESCRITTIVO COME IMPEGNO SOCIO-POLITICO:

OMAGGIO A RENATO GUTTUSO ED A SILVIO MICHELI

EDIZIONI ISSUU. COM

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IL REALISMO DESCRITTIVO COME IMPEGNO SOCIO-POLITICO. 19-11-2011: OMAGGIO A RENATO GUTTUSO ED A SILVIO MICHELI.

Incontri culturali organizzati dall’U.C.A.I. (Unione Cattolica Artisti Italiani) e dell’Assessorato alla Pubblica Istruzione del Comune di Viareggio)- h. 16,00/17,30 c/o la Sala di Rappresentanza del Comune di

Viareggio. 1. Renato Guttuso, pittore del quotidiano (Enrico Dei, critico d’arte, 22/10/2011). Aldo Renato Guttuso, noto come Renato Guttuso, nasce a Bagaria, in Sicilia, nel 1912. Il padre si dilettava di musica e pittura, la madre Giuseppina anche di poesia. Il giovane Guttuso abbandona gli studi giuridici quando s’incontra con il pittore Pippo Rizzo; a Roma s’incontra con Scipione e con la “Scuola Romana”. Conobbe Viareggio e Lorenzo Viani, sentì la sua professione come un lavoro, un “lavoro operaio”, come lui stesso affermò. Fu un uomo di grande personalità, come si evince dalla forza dei colori della sua tavolozza; Pablo Picasso disse che “L’arte è la menzogna che ci consente di conoscere la verità”. Negli anni 1946-47 è molto proficua la produzione di Guttuso. Nel 1907 Picasso dipinge Madamoiselle d’Avignon, in cui fonde la pittura nera con il cubismo; Guttuso riprende il cubismo e la sua pittura è coerente fino alla fine; fu un grande lettore, lesse e scrisse di tutto, come sugli impressionisti. Riprende Cezanne e Matisse,la prospettiva e la sua distruzione. E’ la logica di Picasso e Braque, ma su un’altra strada. Guttuso fonde realismo e cubismo. Riprende da Caravaggio la plasticità delle sue figure, il tutto tinto da istanze sociali, come la vita dei contadini e l’attenzione per il viso e le mani sofferenti per il lavoro faticoso. Visitò molti musei, a Roma ed a Napoli, come quelli sul Risorgimento. Disegnò le tessere del P.C.I. e del P.S.I. La Crocifissione è il simbolo di tutti coloro che soffrono il carcere per le loro idee; il Sogno di un guerrafondaio è un atto d’accusa nei confronti della guerra di Corea: è un quadro di grande denuncia antibellicistica, nel clima della guerra fredda. Guttuso fu anche eletto senatore per il P.C.I. in due legislature. Descrive con colori forti i paesaggi del sud. Ebbe problemi di salute dovuti all’alcoolismo ed al fumo, che gli provocheranno un tumore che gli causerà la morte. Riprende anche l’espressionismo tedesco di Brucker, non in chiave caricaturale, ma molto più umana. Lo stesso colore del supporto della tela è talvolta utilizzato come pigmento. I libri ed il fiasco del vino sono spesso rappresentanti con grande forza cromatica. Ne La discussione emerge il suo interesse per i corpi più che per i volti, che non sono dipinti. Le nature morte di Guttuso sono spesso molto affollate di oggetti: Guttuso tende a riempire quasi tutto lo spazio, a differenza di un pittore come Moranti. Aderì al P.C.I. e, da grande intellettuale qual era, fu utilizzato dal P.C.I. come emblema della cultura. Della questione sociale Guttuso fece una sua battaglia. Guttuso, anche di fronte alla rappresentazione dei volti, si pone come un pittore, non un ritrattista. In Nudo disteso (1963) il pittore si accende di un forte esotismo, ma anche di pudore: il braccio copre il seno e Guttuso rispetta quindi l’intimità. Raramente si dedica dipingere il mondo floreale, che considera poco significativo ed utile solo come studio propedeutico. Molto importante anche L’edicola (1965), che rappresenta la tipologia d’informazione degli anni ’60. Fu una persona sempre molto coerente come uomo, come pittore e come intellettuale. 2. Silvio Micheli, cantore degli umili e della marineria viareggina (Marcello Ciccuto, professore ordinario di letteratura italiana all’Università di Pisa, 12/11/2011). Silvio Micheli è viareggino, nato nel 1911, quest’anno ricorre infatti il centenario della nascita; è morto nel 1990.. Fu critico d’arte, saggista, scrittore, romanziere, giornalista, si dedicò anche alla pittura ed alla scultura. Fu amico di Giorgio Michetti, Marcucci, Pardini, Santini, altri pittori viareggini. Diresse “Televersilia”, fu amante del mare e dell’alpinismo. Fu vicino ai problemi umani e sociali delle classi più umili. Ha cantato le storie della sua Viareggio, legate al mare. E’ un personaggio importante nella storia locale viareggina, anche se poco noto a livello nazionale. Conseguito il diploma di perito a Pisa, negli anni ’30 compie le prime esperienze culturali: il decennio ‘30/’40, a Viareggio, malgrado il grigiore imposto dal regime fascista, è ricco di stimoli culturali che tendono a superare i limiti del provincialismo e ad allargarsi a livello non solo nazionale, ma al respiro della cultura europea; si pensi a scrittori come Mario Tobino e Luca Ghiselli, che legge Conrad, Thomas Mann, Rilke. I giovani viareggini di quegli anni non collaborarono mai, fortunatamente, a riviste di regime come “La difesa della razza”, ma a periodici culturalmente aperti, come “Augustea”, tollerati dal fascismo. Micheli conobbe e studiò un pittore come Lorenzo Viani, attivo in quegli anni, e lo considerò, come Enrico Pea in letteratura, un suo padre culturale. Fece un’esperienza come operaio a Napoli, e nel romanzo Tutta la verità, pubblicato nel 1950 sul modello dei canoni del realismo socialista filosovietico, descrive la propria esperienza: è ambientato in una fabbrica di Napoli, in cui gli operai danno lezioni agli ingegneri sull’usura dei macchinari. Micheli è quindi vicino ai temi della lotta di classe, degli scioperi degli operai, dell’aspirazione ad una società nuova; in questo caso, il modello del romanzo di Micheli è un romanzo russo del suo tempo, Il Volga si getta nel Caspio. Micheli, in Tutta la verità, descrive la Napoli operaia, non quella di pizze e mandolini. La sua esperienza di operaio in fabbrica gli consentì di

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saldare il legame tra arte e vita reale, concreta, sociale. Nel 1942 presentò alla casa editrice “Einaudi” il voluminoso dattiloscritto di Pane duro, il suo più noto romanzo, ma un’incursione della Gestapo nella casa editrice portò all’incendio di molte opere, tra cui Pane duro; Micheli, sollecitato da Italo Calvino e Natalia Ginsborg riscrisse il romanzo nell’estate del 1945. Spronato da Mario Tobino, fondò la rivista Darsena nuova. Storia, arte, uomo. Micheli fu un forte organizzatore culturale, raccolse intorno a sé una vera e propria elite culturale, fu, in questo senso, una sorta di “Elio Vittorini versiliese”, e come Vittorini, riuscì ad essere indipendente da qualsiasi partito, nonostante le pressioni del P.C.I. di quegli anni sugli intellettuali, così come era riuscito a non prostituirsi alla cultura di regime durante la dittatura fascista, del quale accusò l’ipocrisia, pur cogliendo quei possibili elementi di apertura culturale. Non fu quindi, solo un narratore di storie di mare. Nel 1946 viene pubblicato Pane duro, che vince il 1° “Premio Letterario Viareggio” del dopoguerra; nel 1947 esce Un figlio, nel 1948 Paradiso maligno,nel 1950 Tutta la verità. Come giornalista, collaborò a “Milano sera” (l’edizione pomeridiana de “Il corriere della sera”, in quanto i quotidiani di allora, ridotti nel numero delle pagine rispetto a quelli odierni, avevano spesso due edizioni, quella del mattino e quella della sera), alla rivista “Vie nuove”, lesse la rivista romana “Il Regno”, conobbe Rèpaci e dedicò moltissimi articoli al premio Viareggio, collaborò a “L’Unità” nel 1959 e scrisse tantissimi articoli sul carnevale di Viareggio e sul mare. Pubblicò infine un racconto del Calvino neorealista, Paura sul sentiero. Nel 1955 pubblica Giorni di fuoco, con Editori Riuniti, e nel 1972 Capitani dell’ultima vela, con la casa editrice Mursia. Riprese il motto del ‘Gramsci classico’ “Il sommo potere dell’uomo è quello di non rimanere ignorante: chi sa, sa, e chi non sa, suo danno”.