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DOCUMENTI 2010 Il raddoppio dei termini per l’accertamento tributario (artt. 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e 57, comma 3, D.P.R. 633/1972) Tavolo interassociativo Abi-Ania-Assonime-Confindustria Luglio 2010

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Il raddoppio dei termini per l’accertamento tributario

(artt. 43, comma 3, D.P.R. 600/1973 e 57, comma 3,

D.P.R. 633/1972)

Tavolo interassociativo Abi-Ania-Assonime-Confindustria

Luglio 2010

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1. Il quadro normativo Gli articoli 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 57 del d.P.R. n. 633 del 1972 fissano i termini perentori entro i quali deve essere esercitata, rispettivamente ai fini delle imposte sui redditi e dell’Iva, l’azione accertativa dell’Amministrazione finanziaria. Gli uffici che non esercitano i propri poteri accertativi entro i termini indicati nelle dette disposizioni decadono dalla possibilità di esercitarli. In particolare, l’art. 43 dispone che “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui e' stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del Titolo I, l'avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”. Per l’Iva, i termini per l’azione accertativa degli uffici sono disciplinati, con formulazione del tutto analoga, dall’art. 57, del d.P.R. 633 del 1972 1. L’art. 37, commi da 24 a 26, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223 2, ha introdotto, nei citati artt. 43 e 57, un nuovo comma (e precisamente il comma 3), per disporre il raddoppio dei termini ordinari di accertamento “in caso di violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 del codice di procedura penale 3 per uno dei reati previsti dal decreto legislativo 10 marzo 2000, n. 74 4”.

1 L’articolo 57 del D.P.R. 633 del 1972, ai commi 1 e 2 stabilisce che: “Gli avvisi relativi alle rettifiche e agli accertamenti previsti nell'art. 54 e nel secondo comma dell'art. 55 devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui e' stata presentata la dichiarazione. Nel caso di richiesta di rimborso dell'eccedenza d'imposta detraibile risultante dalla dichiarazione annuale, se tra la data di notifica della richiesta di documenti da parte dell'ufficio e la data della loro consegna intercorre un periodo superiore a quindici giorni, il termine di decadenza, relativo agli anni in cui si e' formata l'eccedenza detraibile chiesta a rimborso, e' differito di un periodo di tempo pari a quello compreso tra il sedicesimo giorno e la data di consegna. In caso di omessa presentazione della dichiarazione l'avviso di accertamento dell'imposta a norma del primo comma dell'art. 55 può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata” 2 Cd. decreto Visco Bersani, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 248 del 4 agosto 2006. 3 L’art. 331 c.p.p. rubricato “Denuncia da parte di pubblici ufficiali e incaricati di un pubblico servizio” prevede che: 1. Salvo quanto stabilito dall’art. 347, i pubblici ufficiali (357 c.p.) e gli incaricati di un pubblico servizio (358 c.p.) che nell’esercizio o a causa delle loro funzioni o del loro servizio, hanno notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito. 2. La denuncia è presentata o trasmessa senza ritardo al pubblico ministero o a un ufficiale di polizia giudiziaria. 3. Quando più persone sono obbligate alla denuncia per il medesimo fatto, esse possono anche redigere e sottoscrivere un unico atto.

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Per effetto di tali modifiche, gli artt. 43 del d.P.R. n. 600 e 57 del d.P.R. n. 633 consentono, agli uffici dell’Amministrazione finanziaria, di emettere avvisi di accertamento in un tempo doppio rispetto a quello ordinario nel caso in cui, durante la propria attività di verifica, gli stessi uffici dovessero riscontrare la rilevanza penale di determinati comportamenti ex D. Lgs.vo n. 74 del 2000. La ratio della norma, come precisato nella relazione governativa al provvedimento, è quella di “garantire la possibilità di utilizzare per un periodo di tempo più ampio di quello ordinario gli elementi istruttori emersi nel corso delle indagini condotte dalla autorità giudiziaria”. Ai sensi dell’art. 37, comma 26, del citato decreto-legge n. 223, “le disposizioni di cui ai commi 24 e 25 si applicano a decorrere dal periodo d’imposta per il quale alla data di entrata in vigore del presente decreto (4 luglio 2006) sono ancora pendenti i termini di cui al primo e secondo comma dell’articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 e dell’articolo 57 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633.” In sostanza, esse operano non solo per il periodo di imposta 2006, ma anche per quelli precedenti, per i quali, all’atto della comunicazione della notitia criminis, gli uffici siano ancora legittimati a procedere all’accertamento secondo i termini non raddoppiati. 2. I problemi interpretativi evidenziati dalla dottrina e dalla prassi Sulle modifiche recate dal decreto Visco Bersani ai termini dell’azione accertatrice sono sorti diversi problemi interpretativi alimentati dalla non chiarezza del dato normativo, dalla difficoltà di dare attuazione alla sua ratio, in un contesto sistematico in cui il procedimento penale e quello tributario rimangono pur sempre indipendenti e autonomi, e dalla prassi amministrativa sviluppatasi in sede di accertamento.

4. Se, nel corso di un procedimento civile o amministrativo, emerge un fatto nel quale si può configurare un reato perseguibile di ufficio, l’autorità che procede redige e trasmette senza ritardo la denuncia al pubblico ministero. 4 I reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 sono i seguenti: - dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; - dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici; - dichiarazione infedele; - omessa dichiarazione; - emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; - concorso di persone nei casi di emissione o utilizzazione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti; - occultamento o distruzione di documenti contabili; - sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte.

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Sul tema, l’Agenzia delle entrate ha svolto rilevanti considerazioni nelle circolari n. 28/E del 4 agosto 2006 e 54/E del 23 dicembre 2009; a sua volta, la Guardia di finanza ha fornito le proprie indicazioni operative nella circolare n. 1 del 29 dicembre 2008. Copiosa risulta anche la produzione dottrinale. Allo stato attuale, tuttavia, i principali nodi interpretativi restano – ripetiamo – tutt’altro che risolti. Le questioni di fondo sulle quali in questa sede intendiamo soffermarci sono le seguenti:

- l’utilizzabilità della norma sul raddoppio dei termini per esercitare l’azione di accertamento anche in relazione ad annualità già definite per effetto della decadenza degli uffici dal proprio potere accertativo. Tale questione – che è certamente quella di maggior rilievo – è sorta proprio a causa della prassi degli organi verificatori di avvalersi delle disposizioni introdotte con il decreto-legge n. 223 del 2006 per riaprire termini di accertamento già scaduti al momento in cui essi procedono alla verifica dalla quale scaturisce la notitia criminis. Sempre più frequentemente si assiste, in particolare, alla pretesa dell’Amministrazione finanziaria di dare avvio all’accertamento relativo ad una determinata annualità, i cui termini ordinari risulterebbero già spirati al momento della verifica, sulla base della documentazione rinvenuta nel corso di altra verifica fiscale riferita ad un diverso periodo di imposta, e ciò per il solo fatto che al momento in cui viene acquisita la documentazione relativa al precedente periodo d’imposta i cui termini ordinari di accertamento sono già spirati, sarebbero ancora potenzialmente pendenti per tale periodo i termini raddoppiati;

- la più precisa identificazione del presupposto oggettivo del raddoppio dei termini, legato, come detto, alla notitia criminis; ci si chiede, in altri termini, se il presupposto applicativo della norma sia legato ad una potenziale denunciabilità della fattispecie ai fini penali o ad una effettiva attivazione della denuncia e se, a questi fini, occorre addirittura attendere una formalizzazione più rilevante, quale ad esempio, l’iscrizione nel registro degli indagati;

- l’ambito dei poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, una volta che si determinino le condizioni per il raddoppio dei termini di accertamento. Ci si chiede, in particolare, se, in ragione della ratio della norma, l’Amministrazione possa estendere il proprio potere

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accertativo su tutte le vicende attinenti all’annualità i cui termini di accertamento risultano raddoppiati o solo su quelle che (singolarmente o congiuntamente) hanno dato luogo alla notitia criminis;

- l’estensione soggettiva del raddoppio dei termini. Ci si chiede se l’estensione dei termini di accertamento in capo ad un soggetto comporti la medesima estensione anche nei confronti dei soggetti che siano con questo obbligati in solido. Il caso emblematico è quello dei soggetti IRES che abbiano optato per il consolidato, dei soggetti che abbiano optato per il regime di trasparenza ex art. 115 del TUIR e delle società che abbiamo optato per l’Iva di gruppo (ex art. 72 del d.P.R. n. 633);

- la valenza, sul regime di raddoppio dei termini di accertamento, degli esiti del procedimento penale eventualmente favorevoli al contribuente, quali il decreto di archiviazione ovvero, nel caso di rinvio a giudizio, la sentenza di proscioglimento.

3. Considerazioni generali sul coordinamento tra procedimento penale e procedimento di accertamento tributario.

Prima di analizzare partitamente le varie questioni sopra accennate, ci sembra opportuno svolgere alcune osservazioni di principio. Come detto, la ratio della disposizione introdotta con il decreto-legge n. 223 è quella di permettere agli uffici di fruire dei mezzi probatori sviluppatisi nel procedimento penale, favorendo un coordinamento tra procedimento penale e procedimento amministrativo di accertamento e, in particolare, un coordinamento tra le risultanze delle indagini effettuate in sede penale e in sede amministrativa. Si tratta, però, di un tentativo destinato ad avere effetti limitati: a parte la diversa disciplina dell’assunzione delle prove nel procedimento penale rispetto a quello tributario deve, infatti, sottolinearsi la difficoltà di dare coerenza alla ratio della disposizione in un contesto generale in cui i due procedimenti – penale e tributario - restano, per volontà del legislatore, separati e autonomi. Nell’ordinamento vigente, l’art. 20 del decreto legislativo n. 74 del 2000 fissa il principio dell’indifferenza reciproca dei percorsi e degli esiti dei due procedimenti, tributario e penale: in particolare, tale articolo vieta la sospensione del procedimento amministrativo per la pendenza del procedimento penale, nell’intento di garantire ad entrambi uno svolgimento rapido ed efficace. Questo sistema di “doppio binario”, fondandosi sulla legittimazione di esiti potenzialmente differenti, non implica la circolazione

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di materiali istruttori tra i due processi; anzi, per un’effettiva indipendenza dei due procedimenti, ogni interferenza dovrebbe essere evitata 5. In realtà, nell’ultimo decennio sono emerse, nella prassi accertativa così come nella giurisprudenza tributaria, alcune “ibridazioni” che hanno svuotato l’aspirazione ad una reale autonomia dei procedimenti. Un’effettiva indipendenza fra i due procedimenti potrebbe darsi – ripetiamo - solo se le due istruttorie fossero autonome, mentre in pratica molto spesso i fatti rilevanti emergono nel corso dell’accertamento tributario e da qui trasmigrano verso il processo penale e viceversa. Spesso i due procedimenti condividono la medesima base istruttoria: i fatti costitutivi delle rispettive fattispecie vengono individuati a partire dallo stesso percorso inquisitivo. Sicchè l’autonomia tra i due procedimenti resta circoscritta alla diversa valutazione del medesimo materiale istruttorio. Inoltre, in questi anni, la Cassazione ha in qualche modo legittimato la circolazione di materiale istruttorio tra i due procedimenti (chiedendosi, ad esempio, come si possano utilizzare le testimonianze assunte in dibattimento o quale valore attribuire alle intercettazioni) e ha così indebolito l’assunto della loro reciproca autonomia. In questo contesto, pur restando fermo l’impianto normativo di “doppio binario” fissato dall’art. 20 del decreto legislativo n. 74 del 2000, si sono inserite le disposizioni del decreto-legge n. 223 del 2006, volte proprio a consentire, come detto, l’utilizzo tributario di materiale probatorio emerso nel corso del procedimento penale. Ma questo intervento – ripetiamo - realizza risultati parziali ed occasionali, vuoi perché nel periodo di proroga gli elementi probatori nel processo penale potrebbero non aver avuto ancora compiuta valutazione, vuoi perché, all’opposto, tali elementi potrebbero comunque risultare smentiti dopo tale lasso di tempo, in esito al procedimento penale. Sarebbe, dunque, opportuna una più generale rimeditazione normativa del rapporto tra procedimento (e processo) tributario e procedimento penale, che operi una scelta chiara sul coordinamento tra l’eventuale integrazione delle istruttorie e l’estensione di uno dei due giudicati. 4. Raddoppio o “riapertura” dei termini? La più rilevante questione posta dalle disposizioni del decreto Visco Bersani riguarda, come già anticipato, l’interpretazione degli effetti che essa può avere sulla sfera giuridica dei contribuenti. In particolare, è ampiamente dibattuto se la norma consenta la riapertura di termini già spirati oppure se, in un’ottica più garantista e conforme ai principi di certezza del diritto, essa

5 Così E. MARELLO, Raddoppio dei termini per l’accertamento e crisi del “doppio binario”, in Riv. Dir. Trib., 2010, I, pp. 93 ss.

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debba essere intesa come volta a consentire il solo raddoppio dei termini non ancora decorsi al momento dell’inoltro della notitia criminis. Nella circolare n. 28/E del 4 agosto 2006, l’Agenzia delle entrate si è limitata ad affermare, parafrasando la norma, che “E’ … previsto che l’ordinario termine decadenziale per l’attività di accertamento è aumentato al doppio quando il contribuente abbia commesso una violazione che comporta obbligo di denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, per uno dei reati previsti dal D. Lgs. 10 marzo 2000, n. 74”. In effetti, proprio l’utilizzo della locuzione verbale “è aumentato” potrebbe, di per sé, lasciare intendere – ove si voglia adottare un’interpretazione rigorosamente formale - che l’ampliamento riguardi, ad avviso dell’Agenzia, solo termini ancora in corso. Nonostante ciò, nella prassi delle verifiche l’Amministrazione finanziaria sta sviluppando la tendenza a considerare il raddoppio dei termini come strumento legittimante la riapertura degli accertamenti anche su periodi di imposta ormai definiti. Seguendo tale impostazione, che ha trovato peraltro sostenitori anche in dottrina, il rilievo di violazioni che comportino un obbligo di denuncia ex art. 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal D. Lgs. n. 74 del 2000, determinerebbe un allungamento del periodo di accertamento a prescindere dall’intervenuta scadenza dei termini ordinari. Si tratterebbe, in altre parole, di una sorta di raddoppio a regime dei termini ordinari, previsto dall’ordinamento per particolari fattispecie di evasione. Questa impostazione, che condurrebbe – ribadiamo – alla riapertura di termini di accertamento già spirati non appare, a nostro avviso, condivisibile: ciò alla luce di motivazioni sia di ordine logico-sistematico sia di ordine equitativo. a) Al riguardo, occorre anzitutto ricordare che i termini di decadenza sono previsti per soddisfare un interesse ordinamentale superiore a quello delle parti in causa; l’interesse, cioè, a che determinati atti ed effetti giuridici si collochino in un tempo preciso, con la conseguenza che il decorso dei termini in questione estingue il diritto non esercitato in tali termini 6. Nel diritto amministrativo, in particolare, la decadenza derivante dal decorso del tempo risponde all’opportunità di “limitare la durata del periodo di incertezza del diritto”, in considerazione della “posizione del soggetto nei cui confronti può essere esercitata l’azione” 7. Per quanto riguarda, più specificamente, la materia fiscale, “tutta l’azione impositiva è regolata e limitata nel tempo e quindi variamente condizionata da termini” che, in relazione al rilievo, nel procedimento tributario, di tale attività, sono predeterminati dalla legge: in altre parole, la situazione di “interesse legittimo alla giusta imposizione” nella quale si trova il contribuente è

6 V. per tutti A. DI MAJO, Termine (dir. priv.) in Enc. Dir., vol. XLIV, Giuffrè, 1992, 187 ss.; V. TEDESCHI, Decadenza (dir. e proc. civ.) in Enc. Dir., vol. XI, Giuffrè, 1962, 773 ss.. 7 V. C. TALICE, Termine (dir. amm.) in Enc. Dir., vol. XLIV, Giuffrè, 1992, 222 ss..

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variamente tutelata proprio attraverso i condizionamenti temporali, in termini di decadenza, dell’azione accertativa “in ragione di fondamentali esigenze di certezza e di stabilizzazione” 8 del rapporto tributario. A differenza della prescrizione, disciplinata dall’art. 2934 c.c., il termine di decadenza non è soggetto ad interruzione, né a sospensione, salvo in quest’ultimo caso non sia disposto altrimenti 9: ne consegue che il termine di decadenza continua inarrestabile a decorrere anche se si realizza, durante il suo decorso, un fatto oggettivo o soggettivo che, ai fini della prescrizione, potrebbe essere idoneo a realizzare la sospensione o l’interruzione del termine. La decadenza dai termini di accertamento, in particolare, può essere impedita solo attraverso il compimento dell’unico atto capace di arrestarne la decorrenza ovvero, come si desume dalla lettera della norma, dalla notifica dell’avviso di accertamento. Se l’Amministrazione finanziaria non notifica l’avviso di accertamento entro il quarto anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione ovvero, nel caso di dichiarazione nulla o omessa, entro il quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata, essa decade dal potere di esercitare la pretesa impositiva. b) In questo contesto, il generale divieto di proroga dei termini di prescrizione e decadenza fissati dalla legge, sancito dallo Statuto del contribuente (art. 3, comma 3, della legge n. 212 del 2000), appare chiaramente preordinato al “rispetto del principio costituzionale di certezza del diritto, dell’affidamento e della ragionevolezza, in funzione dell’esercizio

8 V. C. GLENDI, Termine (dir. trib.), in Enc. Dir., vol. XLIV, Giuffrè, 1992, 228 ss.. 9 La Cassazione - chiamata a pronunciarsi sui termini di decadenza dell’azione dell’Amministrazione finanziaria previsti in tema di imposta di registro - con sent. n. 17810 del 2007 ha stabilito che la sospensione dei termini relativa all’istituto della prescrizione, non può applicarsi a quelli di decadenza, ostandovi espressa preclusione di legge (art. 2964 c.c.). I concetti sopra esposti trovano conferma anche nella sentenza n. 19854 del 5 ottobre 2004, nella quale le Sezioni Unite della Cassazione – chiamate a pronunciarsi sul contrasto giurisprudenziale relativo agli effetti scaturenti dalla proposizione del ricorso avverso l’avviso di accertamento viziato da nullità della notifica (nella fattispecie, l’Amministrazione finanziaria aveva notificato l’accertamento al defunto e non impersonalmente e congiuntamente agli eredi) – hanno cristallizzato gli effetti della decadenza prevista dalle singole leggi d’imposta per l’esercizio dei poteri di accertamento, rettifica e riscossione. In particolare, nella citata pronuncia viene esplicitato che “La tempestiva proposizione del ricorso avverso l’avviso di accertamento sana con effetto processuale ex tunc la nullità della notifica dell’avviso stesso, ma non determina il venir meno della decadenza – eventualmente verificatasi medio termine – dell’Amministrazione dal potere sostanziale di accertamento”. Nella medesima pronuncia, le Sezioni unite, pur riconoscendo la possibilità che la proposizione del ricorso giudiziale sani eventuali vizi di notifica dell’avviso di accertamento, stabilisce che “A diverse conclusioni deve, peraltro, pervenirsi se la sanatoria costituita dalla proposizione del ricorso alle commissioni sia intervenuta quando il termine per l’accertamento è scaduto. In tale ipotesi, infatti, il meccanismo della sanatoria deve essere combinato con quello, indefettibile, della decadenza dall’esercizio del potere, per cui la sanatoria può verificarsi solo se avvenuta prima del decorso del termine di decadenza. Vi è da rilevare, infatti, che la notificazione costituisce un elemento essenziale della fattispecie necessaria per evitare la decadenza dell’amministrazione. In altri termini, dall’esercizio del diritto di difesa mediante proposizione del ricorso non può mai derivare una convalida ex tunc di un atto imperfetto, di per sé inidoneo ad evitare la decadenza. Si tratta di una conseguenza dell’applicazione di principi generali, nei casi in cui la legge pone limiti temporali all’esercizio di poteri amministrativi”.

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del diritto di difesa del contribuente”. In tal senso si è espressa, in più occasioni, la dottrina10. Certamente, non può trascurarsi che lo Statuto del contribuente si pone, sul piano della gerarchia delle fonti, sullo stesso piano di qualsiasi altra legge o atto avente forza di legge. Tuttavia, le disposizioni dello Statuto, come previsto dall’art. 1, comma 1, della stessa legge n. 212 “ … in attuazione degli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost., costituiscono principi generali dell’ordinamento tributario e possono essere derogate o modificate solo espressamente” 11: dunque, per rispettare l’obbligo di abrogazione espressa, è necessario che le norme modificatrici siano sufficientemente chiare nella loro portata derogatoria 12. c) Anche la Corte costituzionale, dal canto suo, ha statuito (v. sentenza n. 280 del 15 luglio 2005) che non è consentito “dall’art. 24 della Costituzione, lasciare il contribuente assoggettato all’azione esecutiva del fisco per un tempo indeterminato”. Pur nell’ambito di una sentenza volta a dirimere le note questioni relative al termine per la notifica della cartella di pagamento, la Corte costituzionale ha, dunque, chiaramente sancito il principio, di carattere generale, per cui l’esercizio dell’azione impositiva deve essere legato al principio di certezza del diritto. Se la disposizione introdotta dall’art. 37 del decreto n. 223 dovesse essere letta come una riapertura dei termini per l’accertamento, essa violerebbe proprio quell’esigenza di certezza nei rapporti tra contribuente e Amministrazione finanziaria che la Corte costituzionale ha voluto tutelare. La riapertura di termini di accertamento già scaduti contrasterebbe, infatti, con l’art. 24 della Costituzione, in quanto riaprire esercizi già chiusi potrebbe comportare il rischio di accertare periodi di imposta per i quali il contribuente potrebbe avere, legittimamente, già distrutto la documentazione giustificativa e per i quali, quindi, si troverebbe costretto ad affrontare un giudizio privo di qualsiasi rilevanza documentale 13. In effetti, si potrebbe a questa obiezione replicare che, una volta stabilito che 10 V. A. AMATUCCI, Prescrizione e decadenza nel diritto tributario (profili costituzionali), in Diritto tributario e Corte costituzionale, a cura di L. PERRONE e C. BERLIRI, Napoli, 2006, 461 ss.; P. RUSSO, Manuale di diritto tributario, Milano, 2007, 66; G. MARONGIU, Lo Statuto dei diritti del contribuente, Torino, 2008, 98. 11 Come rilevato dalla dottrina (v. A. FANTOZZI, Il diritto tributario, Torino, 2004, p. 102), lo Statuto del contribuente “contiene norme auto qualificate come principi generali dell’ordinamento tributario e prevede due clausole di salvaguardia o rafforzative della propria efficacia: la prima volta a vietare deroghe e modifiche alle disposizioni dello Statuto stesso, se non espressamente sancite in una diversa norma, e la seconda volta ad escludere che tali deroghe e/o modificazioni possano essere attuate con il ricorso a leggi speciali”. 12 Così R. LUPI, Diritto tributario, parte generale, Milano, 2000, 13. 13 L’art. 22 del d.P.R. n. 600 del 1973 dispone che “Le scritture contabili obbligatorie ai sensi del presente decreto, di altre leggi tributarie, del codice civile o di leggi speciali devono essere conservate fino a quando non siano definiti gli accertamenti relativi al corrispondente periodo di imposta, anche oltre il termine stabilito dall’art. 2220 del codice civile o da altre leggi tributarie, salvo il disposto dell’art. 2457 del detto codice. Gli eventuali supporti meccanografici, elettronici o similari devono essere conservati fino a quando i dati contabili in essi contenuti non siano stampati sui libri e registri previsti dalle vigenti disposizioni di legge. L’autorità adita in sede contenziosa può limitare l’obbligo di conservazione delle scritture rilevanti per la risoluzione della controversia in corso”.

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per le fattispecie di notitia criminis il termine ordinario è raddoppiato, automaticamente il contribuente sarebbe tenuto a conservare le scritture per tale maggior termine. Ma è proprio questo il punto che denota la debolezza di questo assunto. L’emersione di una notitia criminis, nell’esplicazione dell’attività di accertamento, si presenta non come un elemento ex ante, ma come un elemento ex post; come un elemento, cioè, incerto e non prevedibile, che può venire a determinarsi solo laddove, commesso l’illecito, esso venga successivamente segnalato, al termine di una verifica, da parte di un pubblico ufficiale o di un incaricato di pubblico servizio. In altri termini, è vero che la commissione dell’illecito precede logicamente l’emersione della notitia criminis, ma è pur vero che solo tale notitia criminis integra il presupposto per il raddoppio dei termini. In questo contesto, se fosse consentito riaprire termini già scaduti all’atto della notitia criminis, l’ufficio potrebbe da un lato rimettersi in termini, con un atto di autolegittimazione ex post per tutte le attività di accertamento già scadute; dall’altro lato, soprattutto, si imporrebbe al contribuente di subire una modificazione della situazione giuridica (allungamento, appunto, dei termini di accertamento e dei conseguenti obblighi di conservazione delle scritture contabili) non conoscibile ex ante in quanto sopravvenuta solo per effetto della verifica. Proprio tali considerazioni, in definitiva, dimostrano che non siamo in presenza di un allungamento dei termini ordinari sulla base di presupposti predeterminati ex lege, come si vorrebbe ritenere a sostegno della tesi opposta, bensì di una mera proroga, occasionata da elementi eventuali conosciuti dall’ufficio in sede di verifica, che come tale non può che riferirsi ai termini di accertamento non ancora spirati. d) Le considerazioni che precedono, del resto, trovano conforto proprio nella relazione governativa la quale, come abbiamo detto, mette in evidenza che la norma non ha inteso attuare un allungamento dei termini di accertamento per fattispecie particolarmente pericolose, i cui connotati siano in ipotesi individuabili ex ante, ma mira a creare un’osmosi dei mezzi probatori dal processo penale a quello tributario, laddove situazioni del genere sopravvengano nel corso dell’accertamento. Del resto, questa ratio legis trova una indiretta, ma chiara conferma anche nella norma di decorrenza che, come abbiamo visto, ha esteso l’applicazione di questa nuova disciplina ai periodi di imposta ancora accertabili al momento di entrata in vigore del decreto n. 223. In altre parole, in assenza di una previsione di decorrenza espressa, il raddoppio dei termini avrebbe potuto alternativamente ritenersi applicabile:

- attribuendo rilevanza al principio di irretroattività della legge, solo a partire dalle dichiarazioni presentate nell’anno 2007, relative al periodo d’imposta 2006;

- tenendo conto degli artt. 43 e 57, che prevedono che l’accertamento possa essere effettuato solo su periodi d’imposta ancora aperti, a

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partire dai periodi di imposta ancora accertabili all’entrata in vigore del decreto (e cioè a partire dai periodi di imposta 2001-2002).

Con la previsione di decorrenza espressa inserita nel comma 26, il legislatore ha espressamente optato per questa seconda soluzione, in conformità, evidentemente, alla ratio della norma medesima, così come essa dovrebbe operare anche a regime. In conclusione, ribadiamo, il raddoppio dei termini di accertamento deve ritenersi operante solo a condizione che i termini ordinari, previsti dai commi primo e secondo dei predetti articoli 43 e 57 dei dd.P.R. n. 600 del 1973 e n. 633 del 1972 non siano ancora scaduti, per effetto dell’intervenuta decadenza: solo un’interpretazione della norma in tal senso può considerarsi coerente con la sua ratio e, al tempo stesso, rispettosa dei citati limiti costituzionali. Venendo, dunque, all’aspetto operativo cui si è fatto riferimento in premessa – cioè alla prassi degli organi verificatori di richiedere, in sede di verifica fiscale 14, documenti relativi ad annualità diverse da quella oggetto di verifica e di utilizzarli non tanto in sede di accertamento dell'annualità oggetto di verifica bensì per accertare proprio l'annualità cui tale documentazione si riferisce – può osservarsi quanto segue:

- qualora i verificatori ritengano rilevanti ai fini dell’attività accertativa determinati documenti, possono richiederne al contribuente l’esibizione anche se si riferiscono ad annualità diverse da quella oggetto di verifica 15;

- il contribuente potrà rifiutarsi di esibirli, ma in tal caso, i documenti non potranno più essere presi in considerazione a favore del contribuente nell’ambito del procedimento amministrativo e in

14 L’articolo 32 del D.P.R. 600 del 1973, nel disciplinare i poteri degli uffici, al n. 3, prevede che “Per l’adempimento dei loro compiti gli uffici delle imposte possono invitare i contribuenti, indicandone il motivo, a esibire o trasmettere atti e documenti rilevanti ai fini dell’accertamento nei loro confronti, compresi documenti di cui al successivo articolo 34”. Allo stesso comma 4 dell’articolo 52, del D.P.R. 633 del 1972, cui l’articolo 33 del D.P.R. 600 del 1973 fa espresso richiamo per disciplinare gli accessi, ispezioni e verifiche viene previsto che l’ispezione documentale si estende a tutti i libri, registri, documenti e scritture, compresi quelli la cui tenuta e conservazione non sono obbligatorie, che si trovano nei locali in cui l’accesso viene eseguito, o che sono comunque accessibili tramite apparecchiature informatiche installate in detti locali. Al comma 3, del predetto art. 52, tuttavia, è prevista una garanzia ulteriore, in quanto è necessaria in ogni caso l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina per procedere durante l’accesso a perquisizioni personali e all’apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili e per l’esame di documenti e la richiesta di notizie relativamente ai quali è eccepito il segreto professionale. I libri, registri, scritture e documenti di cui è rifiutata l’esibizione non possono essere presi in considerazione a favore del contribuente ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o contenziosa. 15 In determinati casi, tuttavia, (ad esempio se si tratta di plichi sigillati), non basta la mera richiesta, essendo necessaria l’autorizzazione del procuratore della Repubblica o dell’autorità giudiziaria più vicina.

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contenzioso (salvo il potere del giudice tributario di acquisirli nel processo, laddove rilevanti ai fini della decisione);

- la possibilità di utilizzare la documentazione rinvenuta per porre in

essere un nuovo accertamento riferito alla diversa annualità cui la medesima documentazione si riferisce ha trovato conferma anche nella sentenza n. 1728 del 2 marzo 1999 della Cassazione, la quale in riferimento all’atto di autorizzazione dell’accesso ai locali dell’impresa, ex articolo 52 del D.P.R. 633/1972, aveva stabilito che: “l’atto di autorizzazione dell’accesso ai locali dell’impresa (omissis), non circoscrive l’ambito dell’ispezione all’epoca del verificarsi dei fatti apprezzati per detta valutazione; essa investe anche circostanze diverse, influenti per la revisione della posizione del contribuente, nell’arco di tempo in cui è esercitabile detto potere”;

- nello stesso modo, la Cassazione si è pronunciata anche nella

sentenza n. 16731 dell’8 agosto 2005, nella quale - in relazione all’ispezione domiciliare, ex articolo 52 del D.P.R. 600 del 1973 - ha sancito che: “l’ispezione autorizzata ai sensi dell’articolo 52 del D.P.R. 633/1972 è rivolta a scoprire violazioni, non solo a fornire conforto dimostrativo alle inosservanze al momento conosciute o sospettate, di modo che non subisce, sotto il profilo temporale, limitazioni diverse da quelle attinenti al potere di accertamento, e, una volta che sia autorizzata sulla scorta dei dati a disposizione, può investire anche circostanze diverse, influenti per la revisione delle posizioni del contribuente, nell’arco di tempo entro cui è esercitabile tale potere”;

- in base a questo orientamento della Cassazione l’Amministrazione

Finanziaria, laddove rinvenga in sede di accertamento dati, elementi, fatti e circostanze con riferimento a periodi di imposta diversi rispetto a quelli oggetto dell’accertamento, è sempre ammessa ad utilizzare tali documenti per accertare e rettificare gli imponibili cui tale nuova documentazione si riferisce, pur sempre, però. nel rispetto dei termini di accertamento;

- in sostanza, l’Amministrazione Finanziaria sarebbe legittimata ad

esercitare i poteri di accertamento sui diversi periodi di imposta, ma solo a condizione che non siano spirati i termini ordinari per notificare l'avviso di accertamento;

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- qualora, invece, la documentazione riguardi periodi di imposta non più accertabili per avvenuta decadenza dei termini di accertamento, l’Amministrazione Finanziaria non potrebbe estendere su questi ultimi l’esercizio dei poteri impositivi;

- alle medesime conclusioni si dovrebbe giungere nel caso in cui,

nell’ambito di una verifica fiscale, vengano in rilievo documenti - riferiti ad un diverso periodo di imposta - idonei a determinare l’allungamento dei termini per l’accertamento. Così, ad esempio, se nell’anno 2010 viene disposta una verifica per il 2007, durante la quale si rinviene documentazione, idonea a raddoppiare il termine, relativa all’anno 2006, l’Amministrazione potrebbe essere legittimata ad effettuare l’accertamento sul periodo di imposta 2006, in quanto ancora pendente. Laddove, invece, la documentazione attenga a periodi di imposta non più accertabili, per avvenuto decorso del termine di accertamento, tale documentazione non potrebbe consentire la riapertura dei periodi ormai chiusi. Ad esempio, se nell’anno 2010 viene disposta una verifica per il 2006, durante la quale si rinviene documentazione, idonea a raddoppiare il termine, relativa all’anno 2003, l’amministrazione non potrebbe estendere l’accertamento all’anno 2003, in quanto esso, per effetto della decadenza, si è ormai chiuso.

5. L’identificazione del presupposto oggettivo per il raddoppio dei termini. Condizione normativamente posta perché scatti il raddoppio dei termini di accertamento è rappresentata dalla sussistenza di una “violazione che comporta obbligo di denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p.”, commessa dal contribuente. Nel suo tenore letterale, la norma non sembra condizionare il raddoppio dei termini all’effettiva esistenza di un’indagine: sembra sufficiente un atto (la denuncia), il quale, peraltro, di per sé non garantisce che venga svolta un’attività istruttoria. Anche in questa prospettiva, peraltro, occorre chiedersi: a) in primis, se condizione per il raddoppio dei termini di accertamento sia l’effettiva denuncia della violazione penale tributaria o l’astratta rilevanza penale del fatto; b) in secundis, se la denuncia debba provenire dalla stessa Amministrazione finanziaria ovvero possa provenire anche da un soggetto terzo rispetto all’Amministrazione finanziaria (es. dalla polizia giudiziaria o da un privato).

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In ordine alla prima questione, l’Agenzia delle entrate e la Guardia di finanza ritengono che la proroga del termine di accertamento sia collegata alla “mera sussistenza dell’obbligo di denuncia penale della violazione” 16. A nostro avviso, invece, l’effetto di raddoppio del termine di accertamento può prodursi solo in conseguenza di un’effettiva denuncia, perché “se la ratio legis è quella di attribuire rilevanza alle risultanze del procedimento penale, è indubbio che lo stesso debba essere prima innescato”17.

Semmai, un problema ulteriore che la norma pone, proprio in considerazione della sua ratio, è di stabilire se la condizione per il raddoppio dei termini si realizzi per effetto della sola denuncia ovvero se a tal fine sia necessario che, a seguito della presentazione della denuncia in forma scritta, la notitia criminis venga iscritta nel Registro delle notizie di reato.

Ricordiamo, a tale riguardo, che la valutazione ultima sull’avvio o meno delle indagini resta di competenza della Magistratura. In tal senso, l’articolo 109 del D. Lgs. n. 271 del 1989 dispone che la segreteria della Procura della Repubblica annota, sugli atti che possono contenere notizia di reato, la data e l’ora in cui sono pervenuti in ufficio e li sottopone immediatamente al Procuratore della Repubblica per l’eventuale iscrizione nel registro delle notizie di reato. Tale norma, con il riferimento all’eventualità dell’iscrizione nell’apposito Registro degli atti che possono contenere notizia di reato, presuppone un giudizio insindacabile della Procura della Repubblica in ordine alla configurabilità di un dato fatto come notizia di reato. Ne discenderebbe, a stretto rigore, che qualora una denuncia presentata in forma scritta non si qualifichi come notizia di reato, in quanto non dia luogo ad alcuna annotazione nel Registro delle notizia di reato, non si verificherebbero le condizioni necessarie ai fini del raddoppio dei termini dell’accertamento. Vero è che i due procedimenti – quello penale e quello tributario - restano, come già detto, del tutto autonomi, ma una valutazione positiva della magistratura parrebbe indispensabile non solo in considerazione della ratio della norma qui in esame e sulla quale ci siamo a lungo soffermati, ma anche per rispettare un principio più profondo dell’ordinamento: quello, cioè, che un atto cui la norma attribuisce l’effetto di modificare ex post la situazione giuridica di un soggetto (in questo caso, l’allungamento dei termini di accertamento) debba quantomeno avere avuto un primo vaglio, sia pure sommario, che ne attesti il fumus boni iuris. Tant’è che secondo una tesi ancora più rigorosa, il raddoppio dei termini per

16 In particolare, nella circolare n. 1 del 2008, la Guardia di finanza precisa che “un approccio interpretativo alla disposizione che intenda valorizzare l’intenzione del legislatore … induce a ritenere che il raddoppio dei termini di accertamento non si produce solo nei casi in cui vi sia stata, in concreto, una denuncia ai sensi dell’art. 331 c.p.p., cioè presentata da un pubblico ufficiale o da un incaricato di pubblico servizio in relazione a un reato tributario di cui ha avuto notizia a causa delle funzioni esercitate o del servizio svolto, ma pure in tutte le situazioni in cui detto obbligo sussiste in astratto …” 17 Così P. CORSO, Rapporti tra dimensione penale dell’illecito tributario e termini per l’accertamento, in Corr. Trib., 2010, 343.

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l’accertamento si dovrebbe addirittura perfezionare solo con l’esercizio dell’azione penale, e quindi con il rinvio a giudizio dell’imputato. Per completezza, peraltro, dobbiamo prendere atto che questo aspetto rimane alquanto incerto, sia alla luce del dato letterale della norma, che parla sic et simpliciter di “violazione che comporta obbligo di denuncia” e sia perché l’iscrizione nel registro non è oggetto di specifica comunicazione all’Amministrazione finanziaria. Comunque, non c’è dubbio che qualora si ritenga che una soluzione garantista non possa essere trovata in via interpretativa, si dovrebbero fare gli opportuni passi in sede normativa. Altro problema, come già accennato, è quello di stabilire se la denuncia debba provenire dalla stessa Amministrazione finanziaria ovvero possa provenire anche da un soggetto terzo rispetto ad essa (es. dalla polizia giudiziaria o da un privato). Condivisibile appare l’assunto che il raddoppio dei termini operi anche nei casi in cui la segnalazione dell’illecito penaltributario non provenga direttamente dai verificatori dell’Amministrazione finanziaria, ma sia stata comunicata all’Autorità giudiziaria dalla Polizia giudiziaria (es. Guardia di finanza); ciò perché, da un lato, il richiamato articolo 331 del c.p.c. fa salvo l’articolo 347 del c.p.c. (il quale, al comma 1, prevede che acquisita la notizia di reato, la Polizia giudiziaria, senza ritardo, riferisce al pubblico ministero, per iscritto, gli elementi essenziali del fatto e gli altri elementi sino ad allora raccolti, indicando le fonti di prova e le attività compiute, delle quali trasmette la relativa documentazione) e, dall’altro lato, perché gli agenti della Polizia giudiziaria sono qualificabili come pubblici ufficiali. Maggiori dubbi, invece, sussistono sulla possibilità che il raddoppio dei termini operi anche nel caso in cui la denuncia di reato sia presentata da privati (come invece sostenuto dalla Guardia di finanza nella circolare n. 1 del 2008). Le circolari dell’Agenzia e della Guardia di finanza sembrano adottare, sul punto, un’interpretazione intermedia, che farebbe scattare il raddoppio del termine anche in tal caso, purché però l’azione penale sia in atto. In effetti, sembrerebbe contrario alla ratio della norma ritenere che l’effetto del prolungamento del termini di accertamento si verifichi solo nel caso di illecito denunciato da uno dei soggetti qualificati indicati nell’art. 331 c.p.p. e non anche nel caso di denuncia da parte di altro soggetto; e ciò a maggior ragione nel caso in cui il Pubblico ministero che riceve la denuncia, iscriva la notizia di reato nell’apposito registro, avvii le indagini preliminari e successivamente chieda il rinvio a giudizio dell’imputato. Pur comprendendo, comunque, le ragioni dell’impostazione adottata dall’Agenzia, non possiamo non ribadire che la norma non si esprime in questi termini e che, trattandosi di una disposizione che spiega effetti su situazioni giuridiche tutelate, essa dovrebbe considerarsi di stretta interpretazione.

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Non pochi dubbi sorgono, infine, sul momento nel quale dovrebbe essere effettuata la comunicazione della notizia di reato nel caso di dichiarazione infedele, ex articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 18. Nella prassi delle verifiche fiscali, la comunicazione di cui all’articolo 331 del c.p.p. viene generalmente effettuata dagli ispettori alla chiusura del processo verbale di constatazione (di seguito pvc), anche nel caso di superamento delle soglie di cui all’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (reato di dichiarazione infedele) 19. E’ dubbio se le fattispecie previste dalle lettere a) e b) dell’articolo 4 del D.Lgs. n. 74 del 2000 possano legittimamente emergere solo in sede di emissione dell’avviso di accertamento ovvero se la comunicazione della notizia di reato possa avvenire già al termine della verifica, e dunque in sede di chiusura del pvc. Motivazioni di ordine logico sistematico inducono a ritenere che il raddoppio dei termini operi anche qualora la notitia criminis sia data al momento della comunicazione del pvc, con la precisazione, peraltro, che ove tale denuncia

18 L’articolo 4, del D.Lgs. n. 74 del 2000, recita dispone che: “Fuori dei casi previsti dagli articoli 2 e 3, è punito con la reclusione da uno a tre anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, indica in una delle dichiarazioni annuali relative a dette imposte elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo od elementi passivi fittizi, quando, congiuntamente: a) l'imposta evasa è superiore, con riferimento a taluna delle singole imposte, a lire duecento milioni; b) l'ammontare complessivo degli elementi attivi sottratti all'imposizione, anche mediante indicazione di elementi passivi fittizi, è superiore al dieci per cento dell'ammontare complessivo degli elementi attivi indicati in dichiarazione, o, comunque, è superiore a lire quattro miliardi.”. 19 La circolare del Ministero delle Finanze n. 154 del 4 agosto 2000, nella parte in cui impartisce agli Uffici le istruzioni operative in riferimento alla comunicazione della notizia di reato chiarisce che: “La denuncia, redatta per iscritto, deve contenere, ai sensi dell'articolo 331 c.p.p., la sommaria esposizione dei fatti, le fonti di prova, il giorno dell'acquisizione della notizia nonché le generalità' della persona a cui i fatti sono attribuibili. Si richiama l'attenzione degli uffici in ordine all’obbligo di presentare o trasmettere "senza ritardo" la denuncia al pubblico ministero. E' da ritenere che, in ragione della ripartizione di attribuzioni all'interno degli uffici dell'amministrazione finanziaria, l'obbligo di denuncia e, di conseguenza, le responsabilità penali connesse alla sua eventuale omissione incombono sui funzionari delegati alla firma degli atti impositivi. Per contro, qualora l'ipotesi di reato emerga in sede di verifica, tutti i componenti il nucleo sottoscriveranno la denuncia; in tal caso, l'obbligo della trasmissione della notizia di reato sorge nel momento della constatazione del fatto costituente reato. Si precisa che, con riferimento alle fattispecie delittuose di cui agli articoli 2, 3 e 4, il momento della constatazione del fatto deve intendersi al termine delle operazioni di verifica riguardanti l'anno d'imposta interessato. Per una più proficua collaborazione tra l'Amministrazione Finanziaria e quella della giustizia, nonché per una più efficace repressione dei reati e, infine, per la realizzazione di criteri di efficienza ed economicità nella gestione dell'attività amministrativa, si raccomandano gli uffici destinatari dei processi verbali redatti in sede di verifica, con allegata segnalazione di avvenuta denuncia all'autorità giudiziaria, di dedicare all'esame di detti atti priorità assoluta ai fini dell'ulteriore attività di controllo. Inoltre, deve essere inviata alla competente Procura della Repubblica un'integrazione dell'originaria denuncia, allorché emergano, nel contesto dell'attività di accertamento di spettanza degli uffici, ulteriori elementi utili all'indagine. Ciò vale, in particolare, per quelle fattispecie che comportano la quantificazione dell'imposta evasa; pertanto, gli avvisi di rettifica o di accertamento appena emessi dovranno essere inviati all'autorità giudiziaria. In effetti, solo attraverso tali atti vengono determinati puntualmente la base imponibile e l'imposta, in esito all'esercizio dell'azione accertativa. D'altra parte, se l'ufficio, titolare del potere di accertamento, dovesse ritenere infondata la pretesa tributaria, deve darne comunicazione all'A.G. senza indugio”.

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non trovi conferma nell’avviso di accertamento, la proroga non potrà più operare per un difetto genetico originario 20. 6. L’ambito dei poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, al verificarsi del raddoppio dei termini di accertamento. Problema connesso a quelli esaminati nei precedenti paragrafi riguarda la definizione dell’ambito dei poteri istruttori dell’Amministrazione finanziaria, una volta che si siano verificati i presupposti legali per la proroga dei termini di accertamento. Ci si chiede, in particolare, se gli uffici possano avviare nuove verifiche nei confronti del contribuente imputato di un reato tributario. Il legislatore tace su questi aspetti sostanziali, che pure hanno notevole rilevanza, e si limita a fornire un’indicazione di carattere temporale, laddove dispone che il termine di accertamento è raddoppiato in caso di violazione “relativamente al periodo di imposta in cui è stata commessa”. Entro questo spazio temporale, dunque, resta da chiarire se la proroga riguardi solo l’esercizio del potere di emanare un accertamento tributario utilizzando elementi probatori acquisiti (entro il termine ordinario) nell’ambito di una verifica fiscale già svolta, e ulteriori elementi provenienti dagli atti di indagine compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria, ovvero se, in regime di proroga, sia possibile svolgere indagini fiscali ulteriori, finalizzate all’acquisizione di nuovi elementi probatori. Ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, nel maggior termine a sua disposizione per effetto della proroga, l’ufficio potrebbe accertare la complessiva posizione fiscale del contribuente facendo uso dei poteri attribuiti dalla legge all’Amministrazione: in quest’ottica, il contribuente potrebbe subire una rettifica dell’imposta dovuta per un’annualità per la quale si sono prorogati i termini, e per ragioni del tutto estranee alla fattispecie che l’Amministrazione ha ritenuto rappresentare una notizia di reato da denunciare obbligatoriamente ai sensi dell’art. 331 c.p.p.. Ad esempio, in presenza di documenti rinvenuti in sede di verifica che facciano scattare la notitia criminis per deduzione di spese di rappresentanza eccedenti i limiti consentiti, gli uffici finanziari potrebbero estendere la verifica nel periodo di proroga dei termini anche ad operazioni di ristrutturazione compiute dal contribuente nell’annualità i cui termini sono stati prorogati, e che non furono oggetto di indagine in precedenza. Questa stessa posizione appare condivisa anche dalla Guardia di finanza (v. circolare n. 1 del 2008), la quale ha sostenuto che “dal testo della norma non si rinviene una esplicita preclusione alla possibilità dell’Amministrazione di provvedere entro i termini ordinari, per quel periodo d’imposta in cui la

20 Cfr.: P. CORSO, Rapporti tra dimensione penale dell’illecito tributario e termini per l’accertamento, in Corr. Trib., 2010, p. 344.

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violazione penalmente rilevante è stata commessa, con riferimento ad aspetti diversi dalla violazione stessa e, quindi, anche per irregolarità fiscali non emerse o non considerate nell’ambito del procedimento penale; sembrerebbe, pertanto, che la proroga riguardi l’intera posizione fiscale del contribuente relativamente a quel periodo d’imposta in cui si è verificato il fatto costituente reato ai sensi del D. Lgs. n. 74/2000”. L’impostazione volta ad estendere i poteri di accertamento all’integrale posizione fiscale del contribuente ha suscitato numerose perplessità in dottrina, in quanto suscettibile di lasciar spazio a possibili lesioni dei diritti del contribuente. Soluzione equilibrata e conforme alla ratio legis sarebbe, dunque, quella di “limitare l’eventuale successiva azione accertatrice del fisco a seguito della notizia di reato, magari circoscrivendola entro quei medesimi fatti da cui è scaturita la violazione tributaria” 21. In favore di questa soluzione, possiamo aggiungere che essa è già stata adottata dal legislatore con riferimento alle recenti disposizioni 22 che, in un’ottica di contrasto ai paradisi fiscali, hanno prorogato i termini per l’accertamento e la contestazione delle violazioni riferiti alle attività finanziarie detenute in Stati a fiscalità privilegiata in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale. In questo caso, il legislatore ha sì consentito l’esercizio del potere di accertamento entro un termine più ampio di quello ordinario, ma ne ha chiaramente limitato l’oggetto ai soli fatti imponibili costituiti da attività finanziarie occultate in un paradiso fiscale. Pur volendo aderire a questa impostazione - quanto meno sotto il profilo logico e sistematico - dobbiamo, tuttavia, osservare che, in effetti, la lettera della norma non depone in questo senso. Essa, in altre parole, sembra allungare i termini con riferimento all’annualità nella sua interezza e, dunque, con riferimento a qualsiasi elemento che assuma rilievo in sede di determinazione dell’imponibile. Del resto, una limitazione ai soli fatti che hanno assunto, nel caso di specie, rilievo ai fini della notitia criminis – fatti che, è bene precisare, possono essere di diversa natura ai fini del raggiungimento delle soglie di rilevanza penale delle evasioni – può determinare problemi tecnico-operativi di non facile gestione. Ciò non di meno appare opportuno ribadire – quanto meno come rilievo critico all’introduzione di una norma di tale portata - che la prospettata apertura a tutto campo dei poteri istruttori pare contrastare non solo con la ratio legis, così come esplicata nella più volte ricordata relazione governativa, ma anche con quei principi costituzionali già sopra enunciati che, a tutela della

21 Così R. LUPI, Indagini penali, certezza del diritto e proroga dei termini, 1295, che ritiene opportuno “cristallizzare le possibili contestazioni a quelle individuate fino alla scadenza del termine, ed a quelle successivamente emerse a seguito delle indagini penali” per scongiurare il rischio che la disposizione venga utilizzata “come grimaldello per prolungare, o addirittura iniziare ex novo indagini amministrative che non hanno alcun collegamento con l’inchiesta penale”. 22 Cfr. art. 12 del decreto-legge n. 78 del 2009.

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certezza del rapporto tributario e della ragionevolezza dell’agire dell’Amministrazione finanziaria, hanno posto termini decadenziali all’accertamento. E’ evidente, infatti, che in questo modo l’allungamento dei termini per tener conto dei mezzi probatori eventualmente emergenti in sede penale, potrebbe rivelarsi come uno strumento per gli uffici al fine di rimettersi in termini per procedere ad accertamenti su altre fattispecie, non effettuati negli ordinari termini decadenziali 23. 7. Il coinvolgimento di soggetti terzi nella proroga dei termini di accertamento. Ulteriore profilo problematico della disciplina di proroga dei termini di accertamento attiene alla sua possibile estensione nei confronti di soggetti diversi da quello accertato, ma legati ad esso da un rapporto di responsabilità solidale. Nella circolare n. 54/E del 23 dicembre 2009, l’Agenzia delle entrate ha precisato che la proroga dei termini vale estensivamente anche nel caso in cui, per l’accertamento tributario nei confronti del soggetto verso cui opera l’allungamento dei termini, sia necessario procedere all’accertamento anche nei confronti di altro soggetto di imposta, legato al primo da un rapporto di responsabilità solidale, come, ad esempio, nel rapporto tra consolidante e consolidata e alle ipotesi di società legate da rapporti di controllo che abbiano aderito alla procedura di liquidazione Iva di gruppo o al sistema di tassazione per trasparenza. L’assunto dell’Agenzia riteniamo si fonda su considerazioni di ordine logico, dato che la responsabilità solidale deve poter seguire i rilievi oggettivamente proponibili nei confronti del contribuente cui si è legati dal vincolo di solidarietà. Questo pone, però, un problema strettamente connesso a quello esaminato nel paragrafo precedente. Se si accetta la tesi dell’estensione dei poteri istruttori a tutto campo per l’annualità relativa al contribuente che ha subito la notitia criminis, questa estensione deve essere logicamente circoscritta ai soli rilievi movibili nei confronti di tale contribuente, e non anche dei soggetti con esso solidalmente obbligati.

23 Peraltro, anche se si volesse aderire a tale impostazione, dovrebbero comunque esser fatti salvi i principi generali dettati, in tema di accertamento, dagli artt. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 del d.P.R. n. 633 del 1972. Dunque, la possibilità di accertare l’intera posizione fiscale del contribuente dovrebbe coerentemente risultare circoscritta alla sola ipotesi in cui la notitia criminis intervenga su un periodo di imposta per il quale l’accertamento non è stato effettuato: solo in tal caso l’Amministrazione finanziaria potrebbe esperire tutti i poteri istruttori previsti dalla legge nel più ampio termine di accertamento determinatosi, anche relativamente a fatti estranei a quello oggetto di indagine penale. Nel diverso caso in cui al contribuente fosse già stato notificato un accertamento per il periodo di imposta interessato dalla notitia criminis, i poteri istruttori esercitabili nel termine raddoppiato dovrebbero invece riguardare solo i nuovi elementi (notitia criminis ed eventuali altri) in grado di giustificare l’accertamento integrativo o modificativo (cfr.: art. 43, comma 4, d.P.R. n. 600 del 1973 e art. 54, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972).

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Così, ad esempio, se si ampliano i termini di accertamento nei confronti di una società che partecipa al consolidato fiscale (a seguito della comunicazione della notitia criminis), la società consolidante potrà essere chiamata a rispondere solidalmente per tali rilievi e per gli altri eventualmente movibili nei confronti della società consolidata relativamente all’annualità oggetto di proroga, ma non potrà subire una proroga dei termini di accertamento per la sua coeva annualità oggetto di tassazione consolidata di gruppo. 8. La rilevanza, sul raddoppio dei termini, degli esiti del procedimento penale Con la circolare n. 54/E del 23 dicembre 2009, l’Agenzia delle entrate si è pronunciata sul tema della rilevanza delle vicende del processo penale sul raddoppio dei termini di accertamento, affermando che, poichè l’ampliamento dei termini di accertamento è collegato “alla mera sussistenza dell’obbligo di denuncia”, esso opera “a prescindere dalle successive vicende del giudizio penale che consegue alla denuncia”. Ad avviso dell’Agenzia, il raddoppio dei termini di accertamento resterebbe, dunque, valido anche nei casi espressamente contemplati di decreto di archiviazione e sentenza di proscioglimento. Questa ricostruzione sistematica sarebbe avvalorata, a giudizio dell’Agenzia, dall’interpretazione letterale della disposizione e dalla mens legis che se ne desume, “non considerando ragionevole ipotizzare che il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia del procedimento tributario di accertamento – e delle risultanze istruttorie ivi raccolte – al verificarsi di una fattispecie successiva ed eventuale, quale la condanna penale del contribuente”. Ulteriori elementi addotti a sostegno di questa interpretazione sono il richiamo al “principio di separazione tra procedimento amministrativo di accertamento e procedimento penale” (art. 20 del decreto legislativo n. 74 del 2000) e il rinvio alle considerazioni svolte dalla stessa Agenzia contestualmente alla conversione in legge del decreto n. 223 del 2006 (v. Circolare 4 agosto 2006, n. 28/E), in base alle quali “la norma è volta a garantire all’Amministrazione finanziaria, a fronte di fattispecie che assumono rilevanza penale, l’utilizzabilità degli elementi istruttori che emergano nel corso delle indagini condotte dall’Autorità giudiziaria per un periodo di tempo più ampio rispetto a quello previsto a pena di decadenza per l’accertamento”. Questa impostazione dell’Agenzia appare condivisibile proprio in ragione del più volte citato principio di separazione tra i due procedimenti, cui la stessa Agenzia fa esplicito riferimento, e della limitata funzione della norma in esame che, ripetiamo, è quella di creare un’osmosi dei mezzi probatori, mantenendo separate le valutazioni degli stessi nell’ambito dei due procedimenti. Tuttavia, non può non evidenziarsi che laddove il giudizio penale sia arrivato a conclusione positiva per il contribuente prima ancora dell’emanazione dell’atto di accertamento – e questa conclusione positiva abbia evidenziato l’inesistenza, anche fiscale, dei fatti a base della notitia

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criminis – di tale esito debba tenersi conto ai fini dell’operatività della norma in esame. Tale esito, cioè, dovrebbe disattivare l’allungamento dei termini per l’accertamento tributario; e ciò per gli stessi motivi indicati nel paragrafo 5, dove abbiamo evidenziato che la notitia criminis, per avere capacità di modificare una situazione giuridica a danno del contribuente (allungamento dei termini), dovrebbe essere sorretta almeno da un fumus boni iuris.