Il punto Con questo - CGIL BRESCIA · La legge di Stabilità del Governo Renzi è ina-deguata in...

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manifestazione promossa da CGIL e UIL ore 9 piazza Garibaldi - Brescia conclusione in piazza Loggia NO al Jobs Act NO alla legge di Stabilità SI al Piano per il Lavoro per occupazione e buona crescita Con quESto JobS AcT reStI pRecARi@ Il punto Brescia - Via Folonari 20 - Tel. 030 37291 - Fax 030 3729215 - www.cgil.brescia.it Foglio della Camera del Lavoro di Brescia - Novembre 2014 VENERDÌ 12 DICEMBRE SCIOPERO GENERALE dell’intera giornata di tutte le categorie del pubblico e del privato

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manifestazione promossada CGIL e UILore 9 piazza Garibaldi - Bresciaconclusione in piazza Loggia

NO al Jobs ActNO alla legge di StabilitàSI al Piano per il Lavoro per occupazione e buona crescita

Conquesto

JobsAct

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Il punto Brescia - Via Folonari 20 - Tel. 030 37291 - Fax 030 3729215 - www.cgil.brescia.it

Foglio della Camera del Lavoro di Brescia - Novembre 2014

VENERDÌ12 DICEMBRESCIOPEROGENERALEdell’intera giornatadi tutte le categoriedel pubblico e del privato

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2 Il punto www.cgil.brescia.it www.cgil.brescia.it Il punto 3

La legge di Stabilità del Governo Renzi è ina-deguata in termini di investimenti e politiche di sostegno alla crescita. Le risorse messe in gioco nel 2015 rappresentano qualche frazione di de-cimale del Pil. La realtà è che il Governo con-tinua a sottovalutare l’impatto recessivo delle politiche di austerità e il rischio di deflazione con le sue drammatiche conseguenze econo-miche e sociali. Le previsioni di crescita per il 2015, oltre che modeste (+0,5% di Pil) sono anche irrealistiche perché austerità e crescita, questo è il punto centrale, non sono conciliabili. E Renzi, al di là di qualche battuta buona per i titoli sui giornali, non ha voluto o non è stato in grado (raccontano gli ottimisti) di modificare le politiche di austerità che stanno trascinando in basso l’Europa. La manovra del Governo ha tolto tasse alle im-prese (l’Irap) senza nemmeno distinguere tra imprese che innovano e creano occupazione

L’ORA DELLA SCELTA: AUSTERITÀ O CRESCITA LE PROPOSTE DELLA CGIL PER LA RIPRESA

LE TUTELE CRESCENTIDEL GOVERNO RENZICHE ABBASSANODIRITTI E COMPENSI

LE FALSE PROMESSE DEL JOBS ACT,LE BUGIE SULL’ARTICOLO 18

e quelle che non lo fanno. E, soprattutto, non ha detto che il taglio dell’Irap e quelli agli enti locali incideranno in misura diretta su sanità, welfare e servizi per i cittadini e le cittadine. Con il blocco della contrattazione nazionale fino al 2015 diventano sei gli anni di blocco dei contratti nazionali nel Pubblico impiego e nella scuola, con una perdita stimata per lavoratore o lavoratrice intorno ai 5 mila euro annui. In pre-visione, il blocco potrebbe durare fino al 2018. Da anni la Cgil è impegnata per dire che auste-rità e crescita non sono compatibili e che serve un Piano del Lavoro che metta al centro innova-zione, ricerca, economia verde, opere di mitiga-zione del cambiamento climatico riassetto idro-geologico del Paese. Meno grandi, opere e tante piccole opere è stato uno slogan che abbiamo usato negli anni. Se fosse stato messo in pratica, in questi giorni ci sarebbero meno esondazioni di fiumi e più posti di lavoro.

1. Un piano straordinario per l’oc-cupazione giovanile e femminile

Da finanziare attraverso un’imposta sulle grandi ricchezze finanziarie (solo sul 5% delle famiglie ultraricche d’Italia). Non abbiamo paura di usare le parole: si chiama patrimoniale, e tassa di più le grandi ricchezze - quelle grandi, ripetiamo - per dare risorse per il lavoro. Con un gettito di cir-ca 10 miliardi di euro l’anno si potrebbero dav-vero creare oltre 740mila nuovi posti di lavoro (pubblici e privati), aggiuntivi, in tre anni, per la produzione di beni comuni e servizi pubblici, a partire dal riassetto idrogeologico e da program-mi di nuove politiche sociali. Recupero del ter-ritorio e bonifiche ambientali sono una grande risorsa per la crescita del Paese.

2. Una politica industriale per l’in-novazione

Con il sostegno delle grandi imprese pubbli-che nazionali e di Cassa Depositi e Prestiti, programmando nuove infrastrutture materia-li e digitali, maggiori risorse per la Ricerca & Sviluppo (che peraltro andrebbero subito ad in-crementare il PIL per effetto delle nuove regole Sec-2010) e investimenti pubblici, soprattutto a livello locale (anche attraverso tavoli territoriali di programmazione negoziata per lo sviluppo, con la partecipazioni di tutti gli attori locali al governo della formazione della spesa, dei fondi europei e degli indirizzi delle risorse private).

3. Una forte riduzione del carico fiscale sui redditi da lavoro e da pensione

Se la lotta all’evasione e alla corruzione non fosse solo annunciata avremmo ben più soldi a disposizione che non quelli per il bonus Irpef. Se l’evasione fiscale fosse ai livelli di quella francese o tedesca in Italia avremmo a disposi-zione tra i 65 e gli 80 miliardi di euro all’anno da investire in innovazione, ricerca, formazio-ne, ammortizzatori e politiche sociali.

Solo un’inversione della politica economica può garantire la ripresa e, con essa, una nuova espansione delle politiche sociali e un avanza-mento della struttura economica e produttiva italiana.

La semplificazione delle tipologie contrattuali è solo auspicata nel testo del Jobs Act. L’attuale testo è generico ma al momento è ipotizzabile rimangano molte forme di lavoro precario: as-sociazioni in partecipazione, partite Iva indivi-duali, voucher.E quindi, a meno di nuove modifiche, non ci sarà alcun scambio tra contratto a tutele cre-scenti e superamento delle principali forme di lavoro precario. Dal testo si potrebbe presumere solo la can-cellazione del contratto a progetto, che ri-sorgerebbe però in altre forme precarie o che verrebbe trasformato in partita Iva, che costa molto meno. Un esempio? Oggi col contratto a progetto l’azienda deve pagare almeno i due terzi dei contributi previdenziali, con la partita iva non sarebbe più tenuta a farlo. Ci sarà un aumento dei compensi per far fronte a questo “nuovo onere” per il lavoratore? Alzi la mano chi lo pensa. Alla faccia delle tutele crescenti, insomma. Non stiamo parlando di poche per-sone in questa situazione, ma di circa 650mila persone che in realtà già oggi sono certe che la loro situazione, col Jobs Act, peggiorerà rispet-to a al loro stato già precario.

Alcuni esempiVoucherAl momento tutte le prestazioni occasionali che non superano i 5 mila euro annui sono tra le forme più utilizzate di elusione del lavoro su-bordinato e della contribuzione previdenziale.

Aumentare il limite dei 5 mila euro, così come previsto dal Jobs Act, più che ridurre la preca-rietà porta a un risultato pratico: aumentare la quota di lavoro subordinato poco retribuito ed esentasse disponibile ad ore in qualsiasi mo-mento. Non solo, l’esperienza dice che in ma-teria i controlli sono scarsi dal momento che l’apparato ispettivo non sarà mai in grado di verificare che dopo l’acquisto di un voucher di un’ora la prestazione non sia in realtà più lunga.

Partire IVANon si prevede alcun intervento per le partite Iva individuali (oltre 3 milioni nel 2013). È uno dei nodi centrali dal momento che per le im-prese questa è comunque la scappatoia nel caso non venissero più utilizzate altre forme di lavo-ro precario: trasferire i costi e i rischi su questi lavoratori che costano meno sia dal punto di vi-sta lavorativo che di costo del lavoro (es. si pa-gano loro tutta la previdenza) e sono in assenza di diritti e tutele. La sintesi migliore di quello che sarà il Jobs Act l’ha fatta Maurizio Sacconi, Nuovo cen-trodestra prima Forza Italia, che sulle pagine del Corriere del 16 novembre (dopo, quindi le modifiche annunciate): «Le regole saranno più convenienti per il datore di lavoro. Le mansioni diventeranno flessibili e l’impiego di tecnolo-gie più libere».Cosa ha detto Sacconi sull’articolo 18? «Inden-nizzo, tranne nei casi di licenziamenti discipli-nari particolarmente diffamanti».

Cosa proponiamo

Hanno provato a raccontarci che togliere l’arti-colo 18 serve ad aumentare le tutele per i pre-cari. Non è così, la tutela individuale del posto di lavoro (articolo 18) in caso di licenziamento illegittimo non c’entra con lo stato di precarietà di milioni di lavoratori e lavoratrici. Non solo giovani, sia chiaro. La flexsecurity del governo Renzi si riduce a un modesto incremento della indennità di disoccu-pazione ordinaria (la cosiddetta Aspi introdotta dalla legge Fornero) con la previsione a regime di una durata di 12 mesi e di 18 mesi per i soli lavoratori ultracinquantenni, ma con la scom-parsa, allo stesso tempo, dell’indennità di mo-bilità di lunga durata da 2 a 4 anni. In pratica, in media, i tempi dell’indennità di disoccupazione si dimezzano. Il Jobs Act punta però a fare anche qualcosa di peggio: con la Naspi (la nuova Aspi, il linguag-gio tecnico serve a nascondere la sostanza...) si rafforza l’idea del principio assicurativo legato alla durata del rapporto di lavoro. In pratica, chi è più precario e ha lavori più intermittenti avrà indennità più basse e di brevissima durata. Ma non ci avevano raccontato che il Jobs Act servi-va ad aumentare le tutele?

E L’ARTICOLO 18?Al pari del sindacato, l’articolo 18 viene in queste settimane descritto come il peggiore dei mali dell’Italia. Non la corruzione, non l’illega-lità diffusa, non le cause civili che durano dieci anni sono il freno agli investimenti in Italia, ma lo statuto dei lavoratori. L’articolo 18 impedi-sce i licenziamenti in Italia? «Magari avesse avuto questo potere», dicono le centinaia di migliaia di uomini e donne che hanno perso il lavoro negli ultimi anni.No, l’articolo 18 riguarda solo i licenziamenti individuali illegittimi e dice che se uno viene licenziato ingiustamente ha diritto a essere rein-tegrato sul posto di lavoro. I casi sono pochi, ma aveva un effetto deterrente. Con la modifica prevista invece viene detto che, anche nel caso di licenziamento illegittimo, non hai più il di-ritto di tornare sul posto di lavoro ma solo a un indennizzo. L’attacco allo Statuto dei lavoratori prevede anche due altre modifiche di sostanza: lo spio-naggio elettronico (il controllo a distanza senza limitazioni) e il “demansionamento”, cioè la possibilità di cambiare compiti (e compensi) assegnati o trasferimenti di sede senza alcuna discussione preventiva.

Dietro la propaganda il Jobs Act non ha alcuna intenzione di ridurre il livello di precarietà lavorativa ed esistenziale di milioni di uomini e donne, più o meno giovani. La sintesi migliore l’ha fatta l’ex ministro del Lavoro Sacconi (ora NCD prima FI): «Le regole saranno più convenienti per il datore di lavoro»

Il tutto, dicono, per favorire l’aumento di lavo-ro, quando il problema è come creare lavoro. Se fosse vero che il governo ha intenzione di cre-are posti di lavoro, le norme che ci sono nella legge di stabilità e nel Jobs Act rispetto ai pre-cari sarebbero tutte diverse, sarebbero norme di conferma e stabilizzazione dei posti di lavoro. Le risorse, tutte quelle disponibili, dovrebbero essere usate per creare lavoro, ma così non è. Ma il lavoro, è questo il punto, è la soluzione, non il problema.

Dire che si toglie ai «garantiti» per dare di più ai precari è la base dell’operazione di propaganda del GovernoLa verità è che peggiorano le condizioni per tutti, anche sul fronte degli ammortizzatori sociali in caso di licenziamento

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4 Il punto www.cgil.brescia.it

Cara lavoratrice, caro lavoratore, cara disoccupata, caro disoccupato, cara pensionata, caro pensionato, il 12 dicembre abbiamo promosso, assieme alla UIL, uno

sciopero generale dell’intera giornata. Ci saranno manife-

stazioni in ogni città e a Brescia ci ritroveremo in piazza

Garibaldi alle ore 9. Nell’ultimo mese siamo scesi in piazza spesso. Il 25 ottobre,

a Roma, eravamo in centinaia di migliaia per dire no a que-

sta legge di stabilità e a questo Jobs Act. Un successo straordinario quella manifestazione, il vero

dato di novità degli ultimi mesei, la fine dell’unanimismo

per le politiche del governo. Nei giorni successivi abbiamo

manifestato anche a Brescia, in occasione della venuta di

Renzi all’assemblea annuale dell’Associazione Industriale

Bresciana (il giorno degli insulti congiunti al sindacato);

l’otto novembre a Roma, la manifestazione unitaria dei sin-

dacati per dire che non è possibile restare senza contratto

da oltre cinque anni; il 14 novembre a Milano, per lo sciope-

ro e la manifestazione dei metalmeccanici in piazza Duomo.

Al centro della mobilitazione l’opposizione a questo Jobs Act

e alla legge di Stabilità. Il Jobs Act riduce ancora una volta

diritti e tutele e, al di là della propaganda, non rappresenta

assolutamente un superamento dello stato di precarietà per

milioni di persone, anzi. La legge di stabilità regala soldi alle

imprese (6 miliardi solo di Irap), non distingue tra chi in-

veste e mantiene occupazione in Italia e chi non lo fa, resta

nel segno delle politiche di austerità, toglie risorse agli enti

locali e ai servizi per i cittadini. I tagli ai patronati, soldi che arrivano dai fondi di lavora-

tori e imprese, non sono solo un attacco al sindacato ma

soprattutto ai cittadini. I patronati svolgono per legge un

servizio gratuito e se vengono tagliate le risorse la strada è

una sola: riduzione del servizio. O, in alternativa, pagamen-

to dello stesso da privati. L’Italia è anche questo: far pagare

i disoccupati per la domanda di disoccupazione. In piazza, oltre al No, porteremo soprattutto le nostre pro-

poste: il piano straordinario per l’occupazione giovanile e

femminile; una politica industriale per l’innovazione; una

forte riduzione del carico fiscale per lavoratori e pensionati.

Serve una patrimoniale sulle grande ricchezze, non abbia-

mo paura di usare le parole, per ridurre le disuguaglianze e

liberare risorse per la crescita del Paese. Nel Paese delle grandi opere inutili servono mille piccole

opere. I disastri ambientali di queste ultime settimane di-

cono meglio di tante parole che investimenti sul dissesto

idrogeologico e per le bonifiche ambientali sarebbero non

solo necessari ma creerebbero anche buona occupazione.

È l’ora della scelta, austerità e crescita non sono compati-

bili ed è ora che i lavoratori e le lavoratrici ritornino prota-

gonisti. Il 5 dicembre sarà una tappa importante di questo

cammino: dovremo essere in tanti per dire che non ci ras-

segniamo al declino e che dalla crisi si può uscire solo con

buone proposte. Diverse da quelle del Jobs Act e dalla legge

di Stabilità. Che siano inclusive, che diano tutele e diritti e

non li tolgano, che pensino al futuro. Damiano Galletti

segretario Camera del Lavoro di Brescia

25 ottobre, roma:manifestazione nazionale Cgil

3 novembre, bresCia:manifestazione all’assemblea

annuale aib

8 novembre, roma:manifestazione nazionale

unitaria del PubbliCo imPiego

14 novembre, milano:sCioPero nazionale fiom Cgil

VENERDÌ 12 DICEMBRESCIOPERO GENERALEORE 9 P.zza GARIBALDI