Il progetto Bianchi-Di Giovanni · 2015-06-06 · ANTROPOLOGIA per il SECONDO BIENNIO e il QUINTO...

46
Adele Bianchi Parisio Di Giovanni LA DIMENSIONE ANTROPOLOGICA per il Liceo delle scienze umane e per l’opzione economico-sociale © Pearson Italia spa

Transcript of Il progetto Bianchi-Di Giovanni · 2015-06-06 · ANTROPOLOGIA per il SECONDO BIENNIO e il QUINTO...

Adele Bianchi Parisio Di Giovanni

DIGILIBRO • Il materiale online del libro misto secondo le disposizioni di leggeQuest’opera, secondo le disposizioni di legge, ha forma mista cartacea e digitale, è parzialmente disponibilein internet e rimarrà immutata, nella sua parte cartacea, per il periodo di tempo indicato dalle normative. Per la durata di vita dell’edizione saranno periodicamente resi disponibili materiali di aggiornamento.Le parti dell’opera disponibili online sono:• approfondimenti disciplinari• esercizi interattivi • sintesi audioPer accedere ai materiali, collegarsi al sito www.digilibro.pearson.it

Pearson Digital System È il “sistema aperto” di prodotti e servizi per l’attività didattica, che parte dal libro di testo e ne amplifi ca le potenzialità formative grazie alla tecnologia digitale.

Tutte le informazioni sulle estensioni digitali del libro su: www.pearson.it

LIMBOOK • Il libro sfogliabile e interattivo con materiali multimediali per fare lezione con la LIM o con PC e videoproiettoreQuest’opera è dotata di materiali digitali per la Lavagna Interattiva Multimediale (LIM) a disposizione del docente. Oltre alla versione sfogliabile del libro, sono proposti ulteriori strumenti per la lezione: • videolezioni • casi di studio interattivi • fi lmati didattici • lezioni in PowerPoint personalizzabili

eTEXT • La versione digitale scaricabile da internetQuest’opera è acquistabile anche nella versione digitale, sul sito www.scuolabook.it

Pearson Digital SystemÈ il “sistema aperto” di prodotti e servizi per l’attività didattica, che parte dal libro

di testo e ne amplifi ca le potenzialità formative grazie alla tecnologia digitale.

Il progetto Bianchi-Di Giovanni

per il Liceo delle scienze umane

per il Liceo delle scienze umane opzione economico-sociale

LA DIMENSIONE ANTROPOLOGICA

per il Liceo delle scienze umane e per l’opzione economico-sociale

SO

CIO

LOG

IA

per il SECONDO BIENNIO e il QUINTO ANNO978 88 395 3392 0

AN

TR

OP

OLO

GIA

per il SECONDO BIENNIO e il QUINTO ANNO978 88 395 3149 0

AN

TR

OP

OLO

GIA

per il SECONDO BIENNIO978 88 395 3149 0

PS

ICO

LOG

IA

per il SECONDO BIENNIO978 88 395 3390 6

9 788839 531490

978 88 395 31490

Questo volume, sprovvisto del talloncino a fronte (o opportunamente punzonato o altrimenti contrasse-gnato) è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO fuori campo I.V.A. (D.P.R. 26.10.1972, n. 633, art. 2, comma 3, lett. d). Vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 e 4, L.633/1941.

978 88 395 3149 0

A. BianchiP. Di GiovanniLa dimensioneantropologica

LA DIMENSIONE ANTROPOLOGICA

Adele Bianchi Parisio Di Giovanni

€ 20,50

SO

CIO

LOG

IA

per il SECONDO BIENNIO e il QUINTO ANNO978 88 395 3148 3 M

ETO

DO

LOG

IA D

ELL

A R

ICE

RC

A

dal SECONDO ANNO DEL PRIMO BIENNIO al QUINTO ANNO978 88 395 3235 0

9788839531490_cop.indd 1 19/03/12 16.53

© P

ears

on It

alia

spa

Adele Bianchi Parisio Di Giovanni

LA DIMENSIONE ANTROPOLOGICA

Individuo, società e politiche economicheper il Liceo delle scienze umane e per l’opzione economico-sociale

paravia

© P

ears

on It

alia

spa

Coordinamento redazionale e redazione: Alessandra MariettiProgetto grafico: Elena MarengoCoordinamento grafico: Giuseppe StefanelliCopertina: Giuseppe Stefanelli su progetto di Sunrise Advertising, TorinoImpaginazione elettronica: a cura degli AutoriControllo qualità: Giuseppe StefanelliSegreteria di redazione: Enza Menel

978 88 395 31490

Tutti i diritti riservati© 2012, Pearson Italia, Milano – Torino

Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografiche appartenenti al-la proprietà di terzi, inseriti in quest’opera, l’editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire non-ché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. È vietata la riproduzione, an-che parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata.Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume die-tro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Leriproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per usodiverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AI-DRO, corso di Porta Romana n. 108, 20122 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org

Stampato per conto della casa editrice pressoCentro Poligrafico Milano, Casarile (MI), Italia

Ristampa Anno

0 1 2 3 4 5 6 7 8 12 13 14 15 16 17

Gli Autori hanno lavorato congiuntamente alla progettazione dell’opera.Sono da attribuire a Adele Bianchi le Unità 1, 3, 5 e a Parisio Di Giovanni le Unità 2, 4 e 6.Eugenio Di Giovanni ha collaborato alla realizzazione del Modulo 1 L’uomo nella sua dimensione culturale.

© P

ears

on It

alia

spa

3

Le indicazioni ministeriali (riportate alle pp. 4-5) prevedono che lo studente fa-miliarizzi con l’antropologia, acquisisca le nozioni di base, conosca le teorie antro-pologiche e i modi di lavorare degli antropologi. Accennano poi a temi canonici e divalore pedagogico (dall’economia alla vita politica, alla parentela) per soffermarsisull’esperienza religiosa e sulle religioni nel mondo.

In linea con le indicazioni ministeriali, il testo è composto da tre Moduli. Il pri-mo (L’uomo nella sua dimensione culturale) è un’introduzione al pensiero antro-pologico. Comincia con la descrizione di una cultura lontana dalla nostra, quella dei!Kung. Dopo l’immersione in un resoconto etnografico, il testo chiarisce il concettodi cultura e il tipico modo in cui l’antropologia studia le culture umane, per passa-re poi in rassegna le teorie ed i metodi della ricerca antropologica.

Il secondo Modulo (Organizzazione e vita sociale) presenta prima i diversi tipidi società umane, di ciascuna chiarendo le modalità di adattamento all’ambiente,l’economia, l’organizzazione politica, le condizioni di vita. Si passa a parlare quindidella parentela, del matrimonio e più in generale della vita di relazione.

Nel terzo Modulo (La produzione simbolica) la prima parte tratta estesamentedella religione: analizza l’esperienza religiosa nella sua universalità e nelle varie for-me che assume, entra nelle vicende cui vanno incontro le religioni nei rapporti tra po-poli e presenta il panorama delle religioni del mondo, descrivendo anche alcunegrandi religioni, nelle pratiche, nelle credenze, nella storia. La seconda parte del Mo-dulo è dedicata all’arte e al folklore ed è l’occasione per una riflessione che aiuta asuperare l’etnocentrismo e a guardare all’attività artistica umana in modo più accor-to e consapevole.

Il libro è costruito in modo da favorire un movimento di va e vieni tra esperienzadi senso comune e conoscenza scientifica. Gli esercizi di Controlla se hai cambiatoidea aiutano ad avere in mente i due piani tra i quali ci si muove. I Moduli e le Unitàsi aprono con la presentazione di osservazioni, ricerche, ambienti ed esperienze di vi-ta quotidiana, riti e cerimonie. Le immagini sono eloquenti: mostrano somiglianze edifferenze, e lasciano intuire interi mondi dietro a scene. Dalle esperienze concrete na-scono interrogativi, ai quali lo studente trova risposta nella trattazione.

Gli esercizi di Prova ad applicare fanno fare il cammino inverso: dalle conoscenzeall’esperienza. Il libro è corredato da un’antologia di testi che, accanto a Letturedi testi recenti, ha un sezione di Classici della tradizione, che permette di legge-re autori significativi della storia dell’antropologia. Da segnalare i box di approfondi-mento, alcuni dei quali fanno collegamenti con altre discipline, e gli etnoprofili: sin-tetiche presentazioni che permettono allo studente di addentrarsi nella vita, nel-l’ambiente e nella storia di popoli diversi da noi. Anche il ricco corredoiconografico è di aiuto, nella linea della tradizione dell'antropologia visuale.

Speriamo che il libro risulti in valido supporto per lo studio e l’insegnamento nel-la nuova scuola.

Gennaio 2012 Adele Bianchi e Parisio Di Giovanni

La vigente legislazione sul libro di testo richiede che i manuali scolastici siano presentati in forma mista,cartacea e/o digitale. La Dimensione antropologica non è quindi soltanto un libro di carta, ma si componeanche di una dotazione on line integrata al testo e in esso puntualmente richiamata, che comprende: • schede di approfondimento disciplinare • esercizi interattivi • sintesi audio delle Unità • filmati didattici.

Presentazione❯❯❯

© P

ears

on It

alia

spa

4

Le nuove Indicazioni nazionali per le scienze umane

LICEO DELLE SCIENZE UMANERiportiamo le Linee generali e competenze indicate dal Ministero per l’insegnamento delle scienze umanenel Liceo delle scienze umane, seguite dagli Obiettivi specifici di apprendimento per l’antropologia nel se-condo biennio e nel quinto anno.

Linee generali e competenzeAl termine del percorso liceale lo studente si orienta con i linguaggi propri delle scienze umane nelle molteplicidimensioni attraverso le quali l’uomo si costituisce in quanto persona e come soggetto di reciprocità e di relazioni:l’esperienza di sé e dell’altro, le relazioni interpersonali, le relazioni educative, le forme di vita sociale e di curaper il bene comune, le forme istituzionali in ambito socio-educativo, le relazioni con il mondo delle idealità e deivalori. L’insegnamento pluridisciplinare delle scienze umane, da prevedere in stretto contatto con la filosofia, lastoria, la letteratura, mette lo studente in grado di:1. padroneggiare le principali tipologie educative, relazionali e sociali proprie della cultura occidentale e il ruolo

da esse svolto nella costruzione della civiltà europea;2. acquisire le competenze necessarie per comprendere le dinamiche proprie della realtà sociale, con particola-

re attenzione ai fenomeni educativi e ai processi formativi formali e non, ai servizi alla persona, al mondo dellavoro, ai fenomeni interculturali e ai contesti della convivenza e della costruzione della cittadinanza;

3. sviluppare una adeguata consapevolezza culturale rispetto alle dinamiche degli affetti.

Obiettivi specifici di apprendimentoAntropologia

SECONDO BIENNIO E QUINTO ANNOLo studente acquisisce le nozioni fondamentali relative al significato che la cultura riveste per l’uomo, com-prende le diversità culturali e le ragioni che le hanno determinate anche in collegamento con il loro dispor-si nello spazio geografico.In particolare saranno affrontate in correlazione con gli studi storici e le altre scienze umane:a. le diverse teorie antropologiche e i diversi modi di intendere il concetto di cultura ad esse sottese;b. le diverse culture e le loro poliedricità e specificità riguardo all’adattamento all’ambiente, alle modalità di

conoscenza, all’immagine di sé e degli altri, alle forme di famiglia e di parentela, alla dimensione religio-sa e rituale, all’organizzazione dell’economia e della vita politica;

c. le grandi culture-religioni mondiali e la particolare razionalizzazione del mondo che ciascuna di esse pro-duce;

d. i metodi di ricerca in campo antropologico.

È prevista la lettura di un classico degli studi antropologici, eventualmente anche in forma antologizzata.

© P

ears

on It

alia

spa

5

LICEO DELLE SCIENZE UMANE OPZIONE ECONOMICO-SOCIALERiportiamo le Linee generali e competenze indicate dal Ministero per l’insegnamento delle scienze umanenel Liceo delle scienze umane opzione economico sociale, seguite dagli Obiettivi specifici di apprendi-mento per l’antropologia nel secondo biennio.

Linee generali e competenzeAl termine del percorso liceale lo studente si orienta con i linguaggi propri della cultura nelle molteplici dimen-sioni attraverso le quali l’uomo si costituisce in quanto persona e come soggetto di reciprocità e di relazioni:l’esperienza di sé e dell’altro, le relazioni interpersonali, le forme di vita sociale e di cura per il bene comune, lerelazioni istituzionali in ambito sociale, le relazioni con il mondo delle idealità e dei valori. L’insegnamento plu-ridisciplinare delle scienze umane, da prevedere in stretto contatto con l’economia e le discipline giuridiche, lamatematica, la geografia, la filosofia, la storia, la letteratura, fornisce allo studente le competenze utili:1. a comprendere le dinamiche proprie della realtà sociale, con particolare attenzione al mondo del lavoro, ai

servizi alla persona, ai fenomeni interculturali e ai contesti della convivenza e della costruzione della cittadi-nanza;

2. a comprendere le trasformazioni socio-politiche ed economiche indotte dal fenomeno della globalizzazione,le tematiche relative alla gestione della multiculturalità e il significato socio-politico ed economico del cosid-detto “terzo settore”;

3. a sviluppare una adeguata consapevolezza culturale rispetto alle dinamiche psicosociali;4. a padroneggiare i principi, i metodi e le tecniche di ricerca in campo economico-sociale.

Obiettivi specifici di apprendimentoAntropologia

SECONDO BIENNIOLo studente acquisisce le nozioni fondamentali relative al significato che la cultura riveste per l’uomo, com-prende le diversità culturali e le ragioni che le hanno determinate anche in collegamento con il loro dispor-si nello spazio geografico.In particolare sono affrontate in correlazione con gli studi storici e le altre scienze umane e avvalendosi del-le competenze raggiunte nel campo geografico:a. le diverse teorie antropologiche e i diversi modi di intendere il concetto di cultura ad esse sottese;b. le diverse culture e le loro poliedricità e specificità riguardo all’adattamento all’ambiente, alle modalità di

conoscenza, all’immagine di sé e degli altri, alle forme di famiglia e di parentela, alla dimensione religio-sa e rituale, all’organizzazione dell’economia e della vita politica;

c. le grandi culture-religioni mondiali e la particolare razionalizzazione del mondo che ciascuna di esse pro-duce.

© P

ears

on It

alia

spa

6

❯❯❯ Controlla se hai cambiato idea 10❯❯❯ Per leggere il manuale con profitto 11

MODULO 1L’uomo nella sua dimensione culturale 12

UNITÀ 1 Antropologia e studio della cultura 14

1. La vita di un popolo di cacciatori-raccoglitori 161.1 La vita tradizionale dei !Kung 161.2 Le bande e la tribù 16ETNOPROFILOI !Kung 171.3 Lavoro e tempo libero 181.4 Il rito della spartizione della carne 20APPROFONDIAMOPossiamo davvero parlare di lavoro e tempo libero? 201.5 Il matrimonio, la famiglia, i figli 211.6 Il controllo delle nascite 231.7 La salute 241.8 L’egualitarismo 24CERCHIAMO PROVEFino a che punto c’è eguaglianza tra uomini e donne? 251.9 Ordine sociale e conflitti 251.10 Religione e arte 261.11 Spunti di riflessione 27

2. La cultura 282.1 L’oggetto di studio dell’antropologia culturale 282.2 Il concetto antropologico di cultura 292.3 Qualche precisazione 29GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEQuando è cominciata la cultura tradizionale dei !Kung? 30

APPROFONDIAMOCome cambiano le culture: innovazione e diffusione 312.4 Il concetto di popolo 32RIFLETTIAMO SULLA RICERCAIl concetto di popolo è un’astrazione? 322.5 I popoli studiati dagli antropologi 332.6 Culture e subculture 33

3. Lo sguardo antropologico 343.1 Il distacco 34RIFLETTIAMO SULLA RICERCAEtico ed emico in antropologia: che cos’è il sogno dellosciamano? 353.2 La visione dall’alto 373.3 La comparazione 37

4. Il punto di arrivo: la consapevolezza antropologica 384.1 Capire l’uomo nella sua dimensione culturale 384.2 Tollerare le diversità 384.3 Superare l’etnocentrismo 39APPROFONDIAMOComprendere l’etnocentrismo 39

Dalle parole ai concetti 40

Riepilogo 42

Esercizi 44

UNITÀ 2 Teorie e metodi dell’antropologia culturale 46

1. Storia delle teorie antropologiche 481.1 I precedenti 48GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEI resoconti di viaggio e la critica di Locke all’innatismo 491.2 Due problemi 501.3 L’evoluzionismo 51APPROFONDIAMOL’evoluzionismo e la natura dei popoli diversi da noi 541.4 Boas e la reazione all’evoluzionismo 541.5 Cultura e personalità 55RIFLETTIAMO SULLA RICERCACrescere tra gli Aloresi nella prima metà del Novecento 571.6 Il funzionalismo 591.7 Diffusionismo 611.8 Strutturalismo 621.9 Neoevoluzionismo 63APPROFONDIAMOMarvin Harris: le origini della guerra 651.10 Ridimensionare le teorie? 66

2. La ricerca empirica 672.1 Lavorare sul campo 672.2 L’osservazione partecipante 692.3 Le indagini attraverso informatori 692.4 Le interviste e le storie di vita 702.5 L’esame di documenti 722.6 Il lavoro a tavolino 72APPROFONDIAMOIl nome della disciplina 75

Dalle parole ai concetti 76

Riepilogo 79

Esercizi 82

SCHEDA 1 ■ Evoluzionismo:

storia di un’idea discussa 84

Esercitazioni 90

Indice

❯❯❯

❯❯❯

© P

ears

on It

alia

spa

7

on line

Approfondimenti • Etnoprofilo: gli indiani Irochesi• Mente e cultura: la psicologia transculturale

Sintesi audio

Esercizi interattivi

MODULO 2Organizzazione e vita sociale 92

UNITÀ 3 Le società umane 94

1. Classificare le società umane 961.1 Una tipologia neoevoluzionista 961.2 Dubbi per essere prudenti 971.3 Un utile strumento 98

2. Società di caccia e raccolta 992.1 Cacciatori-raccoglitori di ieri e di oggi 99GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINETestimonianze viventi del paleolitico? 1002.2 Caratteristiche delle società di caccia e raccolta 101ETNOPROFILOGli Aborigeni australiani 103

3. Società pastorali 1053.1 La pastorizia e le società pastorali 1053.2 Le società pastorali ieri e oggi 105GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEOrigini della pastorizia 1063.3 Caratteristiche delle società pastorali 109ETNOPROFILOI Lapponi 114

4. Società orticole 1164.1 L’orticoltura 116RIFLETTIAMO SULLA RICERCAEcologia del taglia-e-brucia 1174.2 Le società orticole ieri e oggi 1184.3 Caratteristiche delle società orticole 118APPROFONDIAMOIl grande ridistributore 123APPROFONDIAMOGli scambi kula 124ETNOPROFILOGli Yanomamo 125

5. Società statali 1275.1 Dalle tradizionali alle moderne 127GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEL’età formativa 1285.2 L’organizzazione statale 129

APPROFONDIAMOL’ordine senza il diritto 132APPROFONDIAMOSudditi e cittadini 1345.3 Come si spiega la trasformazione statale? 136APPROFONDIAMOSocietà di transizione 1365.4 L’intenso sfruttamento delle risorse ambientali 138GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINECina dei primordi e America precolombiana:civiltà statali senza aratro 1405.5 La crescita demografica 141APPROFONDIAMOEtnometodi di controllo delle nascite 1415.6 I conflitti interni 1435.7 La circoscrizione 1435.8 Le conquiste 144

Dalle parole ai concetti 145

Riepilogo 147

Esercizi 149

UNITÀ 4 La vita di relazione 152

1. Lo studio della parentela 1541.1 Un tema centrale in antropologia 1541.2 La parentela nei popoli della Terra 1541.3 Come si chiamano i parenti? 155

2. Il matrimonio 1562.1 Con chi ci si sposa? 156APPROFONDIAMOMatrimoni speciali tra i Nuer 157GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEI rischi della consanguineità 162GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEForme d’amore 1642.2 Le ragioni della regolamentazione sociale

dei matrimoni 165GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEIl matrimonio romantico conquista il mondo 1662.3 Costa sposarsi? 167APPROFONDIAMOBerberi Ait Haddidou: come fare un grandioso matrimonio spendendo poco 1682.4 Quante volte ci si può sposare? 170APPROFONDIAMOStudiare la poliandrìa 172ETNOPROFILOI Peul 1742.5 Dove vanno a vivere gli sposi? 174APPROFONDIAMOPatrilocalità, matrilocalità e guerre 175

3. I gruppi di parentela 1763.1 Gruppi di discendenza 176APPROFONDIAMOL’amnesia strutturale dei Nuer 1773.2 Parentado 1783.3 Famiglia 179

❯❯❯

© P

ears

on It

alia

spa

8

on line

APPROFONDIAMOEvitamento e parentela di scherzo 180

4. L’amicizia 1814.1 L’amicizia in antropologia 1814.2 Le componenti dell’amicizia 1824.3 L’amicizia nelle diverse culture 182

5. Le emozioni 1835.1 La natura delle emozioni 1835.2 Le emozioni etniche 184ETNOPROFILOI Giriama 1865.3 L’espressione delle emozioni 187ETNOPROFILOI Kaluli 187

Dalle parole ai concetti 189

Riepilogo 191

Esercizi 193

SCHEDA 2 ■ Natura e cultura 195

Esercitazioni 209

Approfondimenti • Etnoprofilo: i Tuareg• Etnoprofilo: i Masai• La schiavitù• Etnografia della comunicazione• Etnoprofilo: gli Ifaluk• Comunicazione non verbale• Etnoprofilo: gli Eschimesi

Sintesi audio

Esercizi interattivi

MODULO 3La produzione simbolica 212

UNITÀ 5 La religione 214

1. Il punto di vista antropologico 2161.1 Un punto di vista scientifico 2161.2 Il fenomeno religioso studiato con distacco

e in chiave “terrena” 2161.3 Quello che lo studio scientifico non può dirci 2171.4 Il contributo dell’antropologia e

delle altre scienze umane 218

2. Come definire la religione? 2192.1 Problemi che s’incontrano 219

2.2 Indicazioni da seguire 2202.3 Una definizione accettabile 221GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINECredenze e conoscenze 221

3. L’universalità dell’esperienza religiosa 2233.1 Un’esperienza presente in tutte le società

umane 2233.2 La religione preistorica 2243.3 Come si spiega l’universalità dell’esperienza

religiosa? 2263.4 Il bisogno di trascendenza 227GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEAutoconsapevolezza e dipendenza infantile: radici del bisogno di trascendenza? 2283.5 Due teorie basate sul bisogno di trascendenza 2293.6 Teorie basate sui bisogni della società 230APPROFONDIAMOL’analisi di Durkheim del totemismo 231APPROFONDIAMOL’induismo 2333.7 Si può fare a meno della religione? 234

4. La variabilità delle forme religiose 2364.1 Le credenze 236GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEI comuni pensieri soprannaturali 237ETNOPROFILOI Pigmei 2414.2 I mezzi per interagire con il soprannaturale 242ETNOPROFILOGli Azande 245APPROFONDIAMOMagia e religione 2464.3 Gli specialisti del sacro 2474.4 Le forme sociali dell’esperienza religiosa 2484.5 Come si spiegano le differenze? 252

5. Le religioni nei rapporti tra popoli 2535.1 Quando una religione è sotto la pressione

di un’altra cultura 253APPROFONDIAMOSorti diverse di due movimenti millenaristici 2555.2 Secolarizzazione e radicalismo 257GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINELe origini della secolarizzazione 2585.3 I conflitti religiosi 259APPROFONDIAMOIl confine religioso africano 261

6. Il panorama delle religioni del mondo 2636.1 Tipi di religioni 263GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINELa classificazione di Weber 2656.2 Come sono distribuite le religioni nel mondo 265APPROFONDIAMOL’islam 269

Dalle parole ai concetti 273

Riepilogo 275

Esercizi 277

❯❯❯

❯❯❯

© P

ears

on It

alia

spa

9

on line

UNITÀ 6 L’arte 280

1. Che cos’è l’arte? 2821.1 Arte e non-arte 282APPROFONDIAMOLa scultura dei Fang 2841.2 La sublimazione occidentale dell’arte 2851.3 Come si spiega la sublimazione moderna

dell’arte? 286APPROFONDIAMOL’arte tradizionale nei musei 2881.4 Alla ricerca di una nozione più ampia di arte 2891.5 Creazione ludica 2891.6 Comunicazione di emozioni 2901.7 Attività culturale 292ETNOPROFILOI Pueblo 292

2. Espressioni artistiche e società 2942.1 Come si spiega la variabilità delle espressioni

artistiche? 2942.2 Vincoli socio-culturali 2942.3 Stile e identità 295GUARDIAMO AD ALTRE DISCIPLINEArte e divisioni sociali 2952.4 La società rispecchiata nell’arte 297

3. Arte e folklore 2983.1 Che cos’è il folklore 2983.2 Una forma d’arte popolare? 2993.3 L’interesse per il folklore 300APPROFONDIAMOLa danza singalese dei demoni 301

Dalle parole ai concetti 302

Riepilogo 303

Esercizi 305

SCHEDA 3 ■ L’antropologia applicata 307

SCHEDA 4 ■ Le lingue del mondo 318

Esercitazioni 332

Approfondimenti • Religioni etiche orientali• Sciamanesimo• Etnoprofilo: i Kwaio• L’ebraismo• Etnoprofilo: i Maori• Etnoprofilo: gli Asaro

Sintesi audio

Esercizi interattivi

Classici della tradizione 334C1 J.G. Frazer, I principi della magia 334C2 F. Boas, Realismo e simbolismo nell’arte

degli Indiani d’America 336C3 R. Benedict, Il carattere apollineo degli Zuni 340C4 R. Benedict, Dilemmi e virtù nella tradizionale

morale giapponese 344C5 B. Malinowski, I primi giorni in Nuova Guinea 346C6 B. Malinowski, Il significato del kula 349C7 E. Evans-Pritchard, La stregoneria nella vita

degli Azande 353C8 E. Evans-Pritchard, Il sistema politico dei Nuer 356C9 C. Lévi-Strauss, È davvero universale la famiglia? 358

Letture 361L1 Magia e politica tra gli Abelam (A. Forge) 361L2 Dobbiamo imparare dai cacciatori-raccoglitori?

(M. Konner) 363L3 La vita spensierata del cacciatore-raccoglitore

(M. Sahlins) 366L4 Capire i “maaloo” samoani (A. Duranti) 368L5 Withigo: una malattia per scongiurare

il cannibalismo (J. Leff) 370L6 Continuare a essere un cacciatore

(E. Carpenter) 371L7 Perché i cacciatori-raccoglitori non ringraziano

(M. Harris) 373L8 Antropologia dello shopping (R.H. Robbins) 374

Suggerimenti per l’approfondimento 376

Gli etnoprofili 377

Lavori citati 378

Indice Dalle parole ai concetti 381

Indice dei nomi 382

Soluzioni degli esercizi 384

❯❯❯

© P

ears

on It

alia

spa

10

Controlla se hai cambiato idea❯❯❯

1. I nostri antenati preistorici vivevano miseramenteQ e

2. Senza un’autorità che la controlla, la vita associata degliuomini è per forza lotta senza quartiere Q e

3. Ci sono popoli senza territorio Q e

4. Abitudini di altri popoli, che ci sembrano sicuramenteassurde, per noi sarebbero ovvie e naturali, se fossimonati lì

5. Tra gli antropologi c’è accordo sulla spiegazione da darealle differenze culturali tra popoli Q e

6. In antropologia l’idea che l’umanità progredisca versoforme culturali migliori è stata criticata Q e

7. Per l’antropologo recarsi a far ricerca presso un popololontano è spesso motivo di conflitti interiori Q e

8. Gli antropologi preferiscono limitarsi a osservare pernon farsi influenzare dagli interessati Q e

9. In tutte le società umane note è presente lo StatoQ e

10. I popoli che non hanno il diritto riescono egualmente arisolvere pacificamente le controversie Q e

11. Il controllo delle nascite è una pratica tipicamente moderna Q e

12. Tutti i popoli della Terra sorvegliano attentamente i confini del proprio territorio Q e

13. La famiglia nucleare (genitori e figli) è assente nei po-poli tradizionali Q e

14. L’amicizia in tutti i popoli è disinteressata Q e

15. In alcune culture le persone provano emozioni che in altre culture non esistono Q e

16. Ovunque i matrimoni sono decisi dagli sposi Q e

17. Ci sono religioni senza fede Q e

18. L’esperienza religiosa è presente in tutte le culture notedi ieri e di oggi Q e

19. I conflitti religiosi sono più accentuati nei popoli dovenon c’è lo Stato a controllarli Q e

20. In tutte le religioni ci sono sacerdoti Q e

21. Tutti i popoli distinguono tra opere d’arte e opere d’ingegno che non sono opere d’arte Q e

22. Nei popoli tradizionali il senso estetico è carenteQ e

23. Gli scimpanzé mostrano di avere tendenze artisticheQ e

24. Il folklore è una manifestazione della tradizione contadina Q e

L’antropologia è una scienza e, come tutte le scienze, a volte dice cose che il senso comune condivide o tro-va plausibili, altre volte cose che contraddicono le nostre convinzioni o che non avremmo mai immaginato.Nel caso dell’antropologia, come delle altre scienze umane, l’impatto delle conoscenze scientifiche sul sen-so comune è più sentito. Ognuno di noi infatti è uno scienziato ingenuo della realtà umana, cioè a suo mo-do nella vita cerca di capire se stesso, gli altri e quel che accade, molto più di quanto non sia un fisico, un chi-mico o un biologo ingenuo. L’antropologia ha di particolare che spesso mette in discussione convinzioni ra-dicate nella nostra cultura, che consideriamo ovvie, senza renderci conto che rispecchiano solo il nostromodo di vedere.Il test riportato qui sotto può aiutarci a prendere atto della differenza tra senso comune e conoscenza scien-tifica e così ad accostarci nel modo giusto allo studio della materia. Rispondiamo alle domande semplice-mente, in modo spontaneo, senza cercare d’indovinare che cosa può dire la tradizione antropologica. Se-gnamo le risposte chiaramente. Alla fine di ogni Unità ritroveremo i quattro item che si riferiscono agli ar-gomenti di quella Unità, risponderemo di nuovo e andremo a confrontare le risposte con quelle date adesso.

© P

ears

on It

alia

spa

11

Per leggere il manuale con profitto❯❯❯

L’antropologia è una materia scientifica. Di conseguenza i testi di antropologia sono scritti secondo i cano-ni della letteratura scientifica. Dal momento che è un manuale scolastico, questo testo è scritto in modo darisultare accessibile anche a chi non ha esperienza di lettura di testi scientifici. Rispetta comunque alcuneregole di scrittura scientifica. Da un lato è inevitabile che sia così, dall’altro questo fatto permette a chi stu-dia di esercitarsi e imparare gradatamente a leggere testi scientifici. È un apprendimento importante, vistoil peso che oggi ha la ricerca scientifica nella società e visto che è più facile che in passato imbattersi in te-sti scientifici, ad esempio su Internet o su riviste diffuse in edicola. Alcuni suggerimenti possono aiutarci a leggere il testo con profitto.

❯ Fare attenzione al dettato. Nei discorsi scientifici si tende a essere precisi, a dire esattamente ciò che vadetto. Perciò chi legge deve attenersi a quel che c’è scritto, cogliere il senso logico dei discorsi, altrimenti ri-schia di fraintendere. Ad esempio, dove si parla della regolamentazione sociale dei matrimoni (Unità 4, par.2.2), si dice «Il matrimonio inteso come alleanza è tipico delle società acefale, cioè di quelle società che nonhanno un potere centrale di tipo statale». Vuol dire che il matrimonio come alleanza si ritrova solo nelle so-cietà acefale? No, l’affermazione dice semplicemente che nelle società acefale il matrimonio come alleanzaè di riscontro assai frequente e ha un peso particolare. Quella frase dice che l’unico senso che ha il matri-monio in una società acefala è l’alleanza? Che non ci sono altri significati del matrimonio in queste società?Assolutamente no. Andando avanti a leggere, poche righe più sotto scopriamo che, sempre in società ace-fale, i matrimoni assicurano equilibri demografici ed economici.

❯ Fare attenzione al linguaggio tecnico. Nella tradizione scientifica si utilizzano espressioni consolidate,che sottintendono un intero mondo di conoscenze. Conoscerle è parte dell’apprendimento della materia.Ad esempio, gli antropologi intendono qualcosa di preciso quando usano la parola “clan”. Nel linguaggiocomune viene adoperata per indicare un gruppo chiuso o in senso spregiativo per riferirsi a una cricca. Inantropologia è un raggruppamento sociale formato da individui che si considerano discendenti di uno stes-so antenato, che è immaginario o mitico. Quando la linea che ricongiunge all’antenato comune è reale eben ricostruibile, gli antropologi non usano il termine “clan”, ma “lignaggio”.

❯ Avere in mente che dietro c’è la tradizione scientifica. I discorsi che leggiamo non sono opinioni dichi scrive, ma sintesi di ciò che la ricerca scientifica a oggi ha appurato e tramanda. Spesso vengono citatistudi a sostegno di ciò che viene detto e a volte nei box questi studi sono illustrati più estesamente. Su cer-te questioni troviamo anche idee diverse espresse nella storia della disciplina e dibattiti. Conviene avere inmente che il sapere scientifico è frutto anche di tutto questo lavoro di confronto tra studiosi.

❯ Riconoscere le citazioni bibliografiche. Proprio perché i discorsi sintetizzano la tradizione di ricerca chec’è dietro, in un testo scientifico si riportano abitualmente citazioni bibliografiche, cioè si indicano sintetica-mente le pubblicazioni dei lavori di ricerca su cui ci si basa. Le citazioni si fanno seguendo un insieme di rego-le, noto come Harvard Style. Per riconoscere le citazioni, dobbiamo badare alla situazione in cui, dopo il nomedi un autore (o i nomi di più autori) ci sono una o più date tra parentesi o a quella in cui tra parentesi ci sononomi di autori e date. In fondo al libro troviamo poi nei Lavori citati le pubblicazioni cui le citazioni si riferisco-no. Basta cercare gli autori, seguendo l’ordine alfabetico, e poi controllare la data. In alcuni casi, quando si trat-ta di autori che hanno fatto la storia della disciplina, troviamo il nome seguito da una parentesi con data di na-scita e di morte. Questo caso si distingue facilmente dalla citazione bibliografica, perché le due date sono se-parate da un trattino, non da una virgola, come si fa quando si citano più opere di uno stesso autore.©

Pea

rson

Ital

ia s

pa

12

❯❯❯ Su una spiaggia dei giorni nostri è normaleper una donna andare in giro in bikini. Nell’Ot-tocento le donne, come ci mostra il disegno alcentro, facevano il bagno infagottate e scende-vano in acqua da un’apposita cabina che le co-priva alla vista di chi stava sulla spiaggia. Anchevestite, erano imbarazzate a farsi vedere duran-te il bagno da chiunque stesse sulla spiaggia,specie se dell’altro sesso. La foto in alto a de-stra è stata scattata su una spiaggia della Nor-mandia un secolo dopo, nel 1908. Le donne so-no vestite, come se fossero per strada, e portanoil parasole, che dà loro un tocco di femminilitàe di nobiltà. C’è un tocco di nobiltà, perché, con-trariamente a quanto accade oggi, ad abbron-zarsi era chi lavorava in campagna o comunquesvolgeva attività umili sotto il sole. I benestantierano rigorosamente pallidi.

❯❯❯ Sempre qui sopra, in basso a destra, vedia-mo una giovane vestita col subligar, un costumesimile a un bikini. È un particolare di un mosaicoromano del IV secolo a.C., che si trova nella Villadel Casale, in Sicilia. L’impressione di attualità èdavvero sorprendente. Non solo le giovani indos-sano una specie di bikini, ma fanno attività spor-tive e giochi che ricordano la pallavolo.

MODULO 1

L’uomo nella sua dimensione culturale

© P

ears

on It

alia

spa

UNITÀ 1Antropologia e studio della culturaChe cosa studia l’antropologia culturale e come

UNITÀ 2Teorie e metodi dell’antropologia culturaleLe idee sulle differenze culturali e i modi di studiarle sul campo

SCHEDA 1 EVOLUZIONISMO: STORIA DI UN’IDEA DISCUSSA

esercitazioni

In questo modulo cercheremo di capire che cos’è la cultura e come mai nell’umanità c’è una grandevarietà di culture diverse. Ci chiederemo anche perché gli antropologi studiano le culture umane ecome le studiano, a partire da quali idee e con quali metodi.

❯❯❯

13

❯❯❯ In età romana le donne, specie quelle di fa-miglia patrizia, erano decisamente disinvolte.Successivamente, soprattutto per effetto delleprescrizioni religiose cristiane, abbigliamento eabitudini femminili sono divenuti molto più ca-stigati. Sono rimasti per secoli così, anche du-rante lo sport, in piscina o sulle spiagge. Il bi-kini, ideato dallo stilista francese Louis Réardnel 1946, si è diffuso nella seconda metà delNovecento.

❯❯❯ Come mostrano le immagini qui accanto,il bikini oggi non è usuale per tutti i popoli. Perla religione islamica le donne devono portare ilburqa anche in spiaggia. Recentemente la sti-lista islamica Ahiida Zanetti ha ideato il burqi-ni, un burqa che permette di muoversi più li-beramente (lo vediamo sulla destra).

❯❯❯ Quello che è accettabile in un’epoca è in-decente in un’altra e nella stessa epoca la de-cenza non viene intesa da tutti allo stesso modo.Stiamo scoprendo la nostra dimensione cultura-le, cioè il fatto che idee, regole di vita, compor-tamenti degli esseri umani cambiano col cam-biare della cultura cui appartengono.

verso le competenze

© P

ears

on It

alia

spa

Quella mattina del 1963 l’antropologo Richard Lee era appena arrivato tra i !Kung, ilpopolo africano che intendeva studiare. Alcuni di loro gli chiedono un passaggio in LandRover fino a un bosco, dove possono raccogliere noci di mongongo, il loro cibo princi-pale e anche quello che più apprezzano. Dicono che hanno fame e che nelle vicinanzenon è rimasto praticamente più niente da raccogliere. Siamo a ottobre, verso la fine del-la stagione secca, che inaridisce la boscaglia e rende più rare le risorse di cibo vegetale.Lee pensa che abbiano serie difficoltà a procurarsi da mangiare e senz’altro acconsente.

Il viaggio è alquanto avventuroso. «Arrancammo per ore – scrive Lee – a trazione inte-grale e a passo d’uomo, dove non era mai transitato prima un autocarro, sterzando perevitare formicai e aggirando alberi caduti». Una volta arrivati a destinazione, Lee (lo ve-diamo nella foto qui sotto circondato da !Kung che raccolgono noci di mongongo) si tro-va di fronte a una sorpresa. In due ore i !Kung raccolgono una quantità impressionante dicibo. Alla fine hanno un carico che per le donne va dai 14 ai 23 chili a testa e per gli uomi-ni dai 7 ai 12 chili. Nel complesso ciascuno ha raccolto cibo sufficiente a una persona per

5-10 giorni. «Un guadagno niente male – com-menta Lee – per due ore di lavoro!».

Per capire fino in fondo lo stupore di Lee dob-biamo sapere chi erano i !Kung e che cosa si pen-sava di loro. I !Kung erano un popolo che si pro-curava da vivere in modo simile ai nostri antena-ti preistorici, cioè andando a caccia e rac cogliendoi prodotti che la natura offriva spontaneamente.Quando Lee li studiò, erano ancora isolati, nonavevano avuto molti contatti con gente diversa eil loro modo di vivere era rimasto incontamina-to. L’idea comune era che popoli del genere con-ducessero una vita di stenti, dura e misera in tut-ti i sensi. Del resto si tendeva a pensare che fos-

UNITÀ 1

14

SEGUI IL COLOREtitoli, nomi, termini,concetti chiave sonoevidenziati con il colore

Antropologia e studio della culturaChe cosa studia l’antropologia culturale e come

© P

ears

on It

alia

spa

se così anche la vita dei nostri antenati preistorici. Il filosofo inglese del XVII secolo Tho-mas Hobbes aveva definito lurida, brutale e corta la vita degli uomini allo stato di natu-ra. Gli studiosi di preistoria concordavano tutto sommato con Hobbes. Ecco come RobertBraidwood, qualche anno prima che Lee andasse a studiare i !Kung, immaginava la vitadell’uomo dell’età della pietra: «un individuo che passi la vita intera a seguire animali perucciderli e cibarsene o a spostarsi da un campo di bacche a un altro, in realtà non fa chevivere esattamente come un animale».

Quando i !Kung gli avevano chiesto il passaggio in Land Rover, Lee aveva pensato chesi trattasse davvero di gente che viveva di stenti. Poche ore dopo però si era ricreduto:avrebbero potuto benissimo andare a piedi e tornare nello stesso tempo portando tuttaquella quantità di cibo. Lamentandosi delle proprie condizioni avevano detto una mez-za bugia. Lo avevano fatto per convincerlo e godere così della comodità e del gusto di an-dare in Land Rover. «Il mio primo giorno di ricerca sul campo – scrive Lee – mi aveva giàinsegnato a mettere in discussione un giudizio diffuso sui cacciatori-raccoglitori: che sia-no condannati alla precarietà, a una lotta costante per l’esistenza». Altre sorprese atten-devano Lee durante il suo soggiorno presso i !Kung.

L’antropologia studia i popoli della Terra come ha fatto Lee con i !Kung. Cerca di ca-pire come effettivamente vivono. Si sforza di mettere da parte i pregiudizi, per andare avedere com’è davvero la loro vita, descriverne i vari aspetti e introdurci nel mondo diquei popoli. Così spesso scopre cose inaspettate e ci fa vedere l’uomo, noi e gli altri inuna luce diversa. In questa unità cercheremo di farci un’idea più precisa di come gli an-tropologi studiano i popoli della terra e del senso e del valore del loro lavoro.

leggere qui aiuta la memoria e fa risparmiare lavoro

y Che cosa intendono gli antropologi per cultu-ra? Quali caratteristiche ha la cultura? In qua-le rapporto sta con l’idea di società? E conl’idea di popolo?

y Come gli antropologi studiano la cultura dei po-poli? Di quali popoli si occupano? Come gli an-tropologi li considerano? Con quale atteggia-mento mentale si accostano a essi? Instauranoconfronti tra i popoli noti? Perché?

y Qual è il fine ultimo della ricerca antropologica?Che cosa si vuole capire studiando la cultura deivari popoli?

y C’è qualcosa nello studio antropologico delleculture dei popoli della Terra che può aiutarci amigliorare? Qual è la lezione che l’uomo di og-gi può ricavare dalla tradizione antropologica?

W Avere chiaro il concetto antropologico di culturaed essere in grado di articolarlo nei suoi variaspetti anche attraverso esempi concreti. Esse-re in grado di distinguere i concetti di cultura, po-polo e società e di discuterne criticamente.

W Avere chiaro l’oggetto di studio dell’antropolo-gia culturale e saper descrivere il tipico modocon cui la ricerca antropologica guarda alla va-rietà di culture che caratterizza i popoli dellaTerra.

W Rendersi conto del valore formativo della consa-pevolezza antropologica. In particolare aver chia-ro che l’uomo vive in una dimensione culturale eche perciò deve imparare a tollerare le diversità,superare l’etnocentrismo e al tempo stesso nonscandalizzarsi dell’etnocentrismo.

ci chiediamo... puntiamo a...

❯❯❯

15©

Pea

rson

Ital

ia s

pa

MODULO 1

1. La vita di un popolo di cacciatori-raccoglitori

1.1 La vita tradizionale dei !Kung. I !Kung sono un popolo di cacciatori-raccoglitori dell’Africa meridionale (etnoprofilo, p. 17). È meglio dire che erano un po-polo di cacciatori-raccoglitori, perché oggi per lo più hanno abbandonato le loro abi-tudini.

Si procurano ancora parte del cibo con la raccolta e con la caccia, ma queste attivi-tà per loro sono ormai secondarie. La selvaggina è divenuta scarsa e a caccia oggi i!Kung vanno in genere per mostrare ai turisti le loro tradizioni o assoldati da caccia-tori che se ne servono come guide. Si procurano da vivere principalmente grazie aisussidi, le pensioni, la vendita di manufatti ai turisti e gli stipendi che ricevono dai pro-prietari di fattorie, alberghi e organizzazioni turistiche per cui lavorano. La loro risor-sa principale oggi è in realtà costituita dal fatto che rappresentano un’attrazione per ilturismo etnico, cioè interessato a vedere le usanze di popoli lontani.

Anche se i !Kung oggi non vivono più come un tempo, conosciamo il loro sistema tra-dizionale di vita grazie alle ricerche di Richard Lee (1979, 1992) e di altri antropologi chehanno potuto studiare questo popolo quando ancora viveva di caccia e raccolta. Le de-scrizioni degli antropologi sono di grande interesse. Ritraggono uno dei popoli di caccia-tori-raccoglitori rimasti al mondo che si è riusciti a studiare prima che il loro modo di vi-vere cambiasse. Altri, pure studiati prima che cambiassero, sono gli Aborigeni australianie gli Inuit o Eschimesi. Dalla conoscenza dei !Kung e degli altri cacciatori-raccoglitori pos-siamo trarre suggerimenti per capire come vivevano i nostri antenati dell’età della pietra,anche se dobbiamo essere cauti quando trasferiamo ai popoli preistorici, che pure viveva-no di caccia e raccolta, le informazioni raccolte sui cacciatori-raccoglitori dei tempi nostri.

1.2 Le bande e la tribù. I !Kung vivono in pic-coli gruppi nomadi di 40-50 persone, che in antropologiasi chiamano bande. Una banda è autosufficiente perquanto riguarda la produzione e ha un proprio territoriodal quale attingere risorse. Gli sconfinamenti peraltro so-no tollerati, specie se dettati da situazioni di emergenza edi necessità. Gli accampamenti sono mobili, dato che i!Kung si spostano, soprattutto alla ricerca di acqua, risor-sa vitale in un altipiano desertico. Nella stagione secca gliaccampamenti si addensano attorno alle sorgenti peren-ni, mentre nella stagione delle piogge (nei mesi caldi),quando trovare acqua è più facile, si disperdono sul terri-torio e si spostano di frequente.

Ciascuna banda ha un capo, ma non si tratta di uncapo come lo intendiamo noi. Non è un capo formale,con un’autorità riconosciuta e con un potere, con mez-zi per imporre la propria volontà. Il capobanda è sem-plicemente un individuo particolarmente stimato, di so-lito per la sua abilità nella caccia o in altre attività o perla saggezza, e che viene ascoltato più degli altri. Quan-do Lee spiegò ai !Kung che cos’è per noi un capo e chie-

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE16

Chi sono i !Kung?

Perché è cosìinteressante la loro

vita tradizionale?

❯❯❯ figura 1.1 Un villaggio !Kung di oggi.Il villaggio è formato ancora dalle tipiche capanne a cupola dei!Kung. Le capanne però sono fisse, non mobili come quelle tradi-zionali, che i !Kung si portavano dietro negli spostamenti. Anchese potrebbero disporre di strutture moderne, questi !Kung man-tengono le tradizionali capanne d’erba per farle visitare ai turisti.Gli abiti e il pallone con cui gioca il ragazzo al centro dello spiaz-zo svelano che non siamo in un vero villaggio tradizionale.

Foto: CHRIS JOHNS

© P

ears

on It

alia

spa

se se avessero capi, si sentì rispondere: «Certo che ne abbiamo! In pratica siamo tutticapi […] ognuno è capo di se stesso».

Le decisioni di interesse collettivo (ad esempio se spostare il campo o come fron-teggiare una crisi) vengono prese in assemblee alle quali partecipano tutti gli adulti edove spesso sono le donne e gli anziani ad avere l’ultima parola. Le bande !Kung so-no in effetti molto coinvolgenti e partecipative: tutti hanno in mente i problemi co-muni, ciascuno si sforza di dare il proprio contributo per risolverli e il contributo diognuno è apprezzato.

L’insieme delle bande forma la tribù !Kung. Anche la tribù ha un proprio territorio egli sconfinamenti tra tribù sono meno tollerati di quelli tra bande. L’unione della tribù èbasata sul fatto che si parla la stessa lingua (la khoisanide, piuttosto particolare e com-plicata per un non !Kung), si hanno in comune tradizioni, riti, cerimonie, ci si chiama conlo stesso nome e ci si sente uniti e distinti dagli altri Boscimani.

Il vero cemento della tribù però è la parentela. I giovani sposano persone di altre ban-de della tribù. I matrimoni non riguardano solo gli sposi e le loro famiglie, ma sono comepatti di reciproca solidarietà e alleanza tra le rispettive bande. Così la tribù finisce per es-

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 17

Come sonoorganizzate le bande !Kung?

I !Kung sono una tribù di Boscimani del Kalahari,vasto altipiano desertico dell’Africa australe, che siestende sul territorio di più Stati a un’altitudine tragli 800 e i 1300 metri. I Boscimani sono stati chia-mati così dai coloni olandesi che li hanno incontratialla fine del XVI secolo: l’olandese boschjesmanvuol dire “uomo della boscaglia”. Dal punto di vi-sta somatico sono pigmoidi, cioè di bassa statura(tra 140 e 160 cm) ma non così piccoli come i pig-mei, hanno un caratteristico accumulo di grassosulle natiche (la steatopigìa), sono longilinei, dipelle asciutta, carnagione rossastra e capelli neriche si arricciano “a grani di pepe”. Probabilmente discesi dal nord in età preistorica,i Boscimani una volta occupavano tutta l’Africameridionale e sono stati costretti a rifugiarsi neldeserto del Kalahari per le pressioni di altri popo-li, soprattutto i Bantu, allevatori-agricoltori, e gliOttentotti, cacciatori-raccoglitori che avevano adot-tato i sistemi di produzione dei Bantu. La popola-zione boscimane è valutata attualmente intorno al-le 90 mila persone. I !Kung sono alcune migliaia. Il punto esclamativo staa indicare un particolare schiocco metallico, un clickiniziale nella pronuncia del nome. Come i vicini Ot-tentotti, i !Kung sono di lingua khoisanide, una fami-

glia linguistica caratte-rizzata proprio dai clickche accompagnano ilparlato. Si chiamanoanche Ju/hoansi o San,nome dato loro dagliOttentotti e che vuol di-re aborigeni, gente delposto. Delle tribù Boscimani i !Kung sono ritenutila più pura, la meno contaminata dai rapporti conpopoli di altre culture. Questo almeno valeva fino apoco tempo fa. Il deserto del Kalahari ha protetto a lungo i Bosci-mani dal contatto con altri popoli. La carenza d’ac-qua infatti rendeva per altri impossibile vivere inquell’ambiente. Solo cacciatori-raccoglitori abituatia cavarsela in quelle condizioni potevano resistere.Ad esempio, durante la stagione delle piogge i Bo-scimani usavano creare serbatoi sotterrando uovadi struzzo riempite d’acqua e sigillate. Durante lastagione secca erano bravi a cavare liquidi da me-loni e tuberi. I !Kung erano tra i più abili. Con laciviltà sono arrivati i pozzi e con i pozzi tutti han-no potuto abitare il Kalahari. Paradossalmente ipozzi, creati per aiutarli, hanno contribuito a di-struggere il loro mondo.

etnoprofilo

I !KungANGOLA

ZAIRE

ZAMBIA

BOTSWANA

NAMIBIA

ZIMBABWE

MALAWI

MOZAMBICO

SWAZILAND

LESOTHO

SUDAFRICA

TANZANIA

!KUNG

¸

Che cosa tieneunite le bande di una tribù !Kung?

© P

ears

on It

alia

spa

sere tenuta assieme da una rete di alleanze matrimoniali. A tenere insieme le bande diuna tribù non sono solo le parentele acquisite con i matrimoni, ma anche i legami di pa-rentela informali che tra i !Kung si stabiliscono tra persone con lo stesso nome. Quandonasce un bambino, gli si dà il nome di un genitore o di un nonno o di uno zio, ma tutti quel-li che si chiamano come lui, anche se non sono parenti, si ritengono parenti del nuovo na-to: sono parenti onomastici (dal greco onomastikós = che ha a che fare col dare i nomi).

A fare sentire uniti tutti i membri della tribù !Kung contribuiscono i continui flussi mi-gratori interni. L’appartenenza a una banda non è rigida e definitiva. Le persone pos-sono uscire da una banda, aggregarsi per un periodo di tempo a un’altra, per poi torna-re a quella di origine. Le coppie con o senza figli passano la maggior parte del loro tem-po nella banda dei genitori di lui, ma possono trasferirsi anche per parecchio tempopresso la banda della famiglia di lei.

1.3 Lavoro e tempo libero. I !Kung si procurano da mangiare con la caccia e conla raccolta. Vanno a caccia di animali, specie antilopi, e raccolgono vegetali, uova e piccolianimali facili da prendere. La caccia è riservata agli uomini (le donne ne sono escluse),mentre la raccolta è prettamente femminile, anche se gli uomini in casi particolari (adesempio se viene individuata una fonte di cibo molto ricca) possono dare una mano.

La raccolta è un lavoro quotidiano. Le donne ogni giorno escono in gruppo e percor-rono mediamente da 4 a 20 chilometri, stando fuori qualche ora [figura 1.2]. Portanocon sé, in apposite sacche legate al corpo, i figli più piccoli, mentre lasciano all’accam-pamento i più grandi.

La raccolta viene portata avanti tranquillamente, chiacchierando, anche se il passoè spedito. Oltre alle noci di mongongo (l’alimento base dei !Kung), si raccolgono bac-che, erbe, frutti vari, uova di struzzo, bruchi, insetti, miele, serpentelli, tartarughe e pic-coli uccelli non in grado di volare. I !Kung non raccolgono quel che trovano, ma scel-gono accuratamente in modo da fare una dieta varia e mangiare di volta in volta ciòche a loro più piace e hanno voglia di mangiare. Le donne sono in grado di distin-guere circa 200 tipi di piante e radici commestibili. Di queste solo 14 sono davvero im-portanti per la nutrizione, le altre sono cibi voluttuari.

I cibi raccolti vengono spartiti. Chi ha preso di più ne dà tranquillamente a chi ha mes-so insieme di meno. Soprattutto si provvede a rifornire chi per qualche motivo non è

potuto uscire e diversamente resterebbe senza cibo. Le battute di caccia si effettuano in media una o due

volte alla settimana. Non c’è però una regola fissa:ogni volta la decisione di uscire a caccia viene presasul momento. I cacciatori si mettono sulle tracce di unapreda e, quando l’avvistano, la colpiscono con le frec-ce. Di regola riescono solo a ferirla e l’animale scappa.Le frecce sono avvelenate, ma il veleno ha bisogno ditempo per agire: almeno 24 ore. Perciò a questo pun-to inizia l’inseguimento, che può durare anche giorni.Lasciandosi guidare dalle tracce, i cacciatori seguonol’animale ferito fino a che, se nessun predatore l’ha di-vorato, lo ritrovano ormai morto o non più in grado difuggire.

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE18 MODULO 1

Come ci si procura da mangiare?

❯❯❯ figura 1.2 Donne !Kung tornano dalla raccolta.Siamo all’epoca dello studio di Lee, quando le abitudini !Kungerano ancora intatte.

© P

ears

on It

alia

spa

I !Kung sono abilissimi a scovare e interpretare le traccedegli animali. Esaminando le orme di un animale o le feci cheha lasciato o gli arbusti che ha calpestato sono in grado distabilire la razza, il sesso, l’età, le dimensioni, se è in salute omeno, da quanto tempo è passato e dove può essere diretto. I !Kung trovano naturale questa arte di decifrare le tracce, chesi tramandano da millenni, tanto che ai visitatori meraviglia-ti dicono che come altri leggono i libri, loro leggono il bush,cioè la boscaglia. L’arte dei !Kung di decifrare le tracce è unostraordinario patrimonio di conoscenza, tanto che ricercatoricome Louis Liebenberg si sono preoccupati di conservarlo etradurlo in banche dati e software [figura 1.3]. Nella pagina diapertura in alto vediamo Liebenberg che lavora al suo proget-to informatico assieme a informatori !Kung.

Una volta catturata, la preda viene portata all’accampamento e qui la carne viene spar-tita. Come il cibo raccolto, quello cacciato è a disposizione di tutti. La spartizione dellacarne però è un momento particolare della vita dei !Kung, che va approfondito: ne par-leremo ancora più avanti.

I !Kung non si preoccupano di creare scorte alimentari. L’acqua è l’unica risorsa che al-la fine della stagione delle piogge mettono da parte per la stagione secca, quando scar-seggerà (etnoprofilo, p. 17). Le uova di struzzo riempite d’acqua e sigillate vengono con-servate nelle capanne o seppellite lungo i sentieri da percorrere. Per quanto riguarda il ci-bo, si direbbe che i !Kung non siano previdenti, che vivano alla giornata senza preoccuparsidel futuro. Tendono anche a essere prodighi, quasi sciuponi: se hanno molto cibo, ne con-sumano molto e godono dell’abbondanza che è loro capitata. In realtà i !Kung contano sul-le risorse che l’ambiente in cui vivono mette loro a disposizione, sulla loro abilità di sfrut-tarle e soprattutto sulla reciprocità. È il principio per cui ci si aiuta a vicenda e ciascuno,se attraversa un momento in cui non ha di che mangiare, può contare sulla generosità de-gli altri. Come dice l’antropologo Marvin Harris, la reciprocità è la loro banca.

Oltre che a cacciare e a raccogliere, i !Kung si dedicano a cucinare, a tenere la casa, afabbricare vestiti, archi, frecce e altri utensili. La preparazione del veleno è un’arte, cherichiede di conoscere animali e vegetali da cui estrarlo e tecniche di estrazione.

L’mpegno nella caccia, nella raccolta e nelle altre attività lascia ai !Kung molto tempolibero. Secondo i calcoli fatti dagli antropologi, a procurarsi ilcibo i !Kung mediamente dedicano circa 17 ore a settimana,alla fabbricazione di oggetti 6 ore e nelle faccende domesti-che 19. Nel complesso l’impegno necessario a soddisfare ibisogni legati alla sussistenza è di 42 ore settimanali. To-gliendo 9 ore di sonno al giorno, restano 78 ore a settimana.Tanto per fare un confronto, un nostro lavoratore dipenden-te che mediamente lavora 35 ore a settimana tra spostamen-ti in auto o con mezzi pubblici, acquisti al supermercato, pra-tiche burocratiche da sbrigare, code in banca o in posta, la-vori di casa e altre faccende è impegnato per ben più di 42 oresettimanali e non può certo godere di 78 ore di tempo libe-ro.

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 19

Si fanno scortealimentari?

Procurarsi il cibo e gli altri impegniquanto tempo della vita occupano?

❯❯❯ figura 1.4 Cacciatori !Kung attraversano unasalina.

❯❯❯ figura 1.3 L’antica arte !Kung delle traccediventa tecnologica.

Foto: CHRIS JOHNS

© P

ears

on It

alia

spa

Il tempo libero viene impiegato nei rapporti sociali, nei giochi, nelle danze, nelle con-versazioni, nei riti. L’accampamento !Kung è pieno di vita. Si direbbe che i !Kung curi-no con particolare attenzione la propria vita sociale e la propria piccola società.

1.4 Il rito della spartizione della carne. Il cibo viene abitualmente spar-tito, sia quello raccolto sia quello procurato con la caccia. La spartizione della cacciagio-ne è però un’attività cui viene data grande importanza: coinvolge tutta la banda in unacerimonia che si svolge secondo un protocollo fatto di regole ben precise. Una volta cat-turata, la preda viene portata all’accampamento e qui, quando gli altri sono presenti, co-mincia la spartizione. A presiederla è il proprietario della freccia che ha colpito l’animale.Non necessariamente è il cacciatore che l’ha lanciata, dato che i !Kung si passano l’unl’altro le frecce.

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE20 MODULO 1

Parlare di lavoro e di tempo libe-ro ci aiuta a descrivere la vita dei!Kung. Dobbiamo fare attenzioneperò quando usiamo queste paro-le: per noi sono comode, facili dacapire, ma sono anche fonte diequivoci. Si riferiscono a concet-ti che noi abbiamo e i !Kung nonhanno o, meglio, non avevano.Ora che non vivono più isolati, i!Kung conoscono il lavoro e iltempo libero. Ce lo fa vedere l’im-magine qui accanto di una donna!Kung che fa la domestica incambio di vitto, alloggio e un po’di paga. Solo un paio di genera-zioni prima un’esperienza del ge-nere sarebbe stata impensabile. La parola “lavoro” non esiste nel-la lingua khoisanide. Raccoglie-re, cacciare, fabbricare oggetti,sbrigare faccende domestiche peri !Kung si dice “vivere”. In effet-ti l’idea di lavoro come occupa-zione retribuita, cioè impegno dienergie e tempo per avere in cam-bio una remunerazione da adope-rarsi poi per vivere, non ha senso

in società come quelle dei cac-ciatori-raccoglitori. È tipica dellesocietà statali, comparse nellastoria dell’umanità 5-6 mila annifa (le società di cacciatori-racco-glitori esistono da 100 mila annicirca). Nelle società statali, di-versamente da quel che accadetra i cacciatori- raccoglitori, le at-tività sono organizzate in modotale che una parte della popola-zione si incarica di produrre il ci-bo per tutti, mentre un’altra svol-ge attività specializzate (artigiani,ingegneri, medici, contabili, ban-chieri, soldati ecc.) e in cambiodelle proprie prestazioni riceve laremunerazione con cui acquista ibeni necessari da chi li produce. L’idea di tempo libero è ancora piùrecente: è moderna. Si è fattastrada dal XVII secolo in poi,quando il lavoro si è spostato nel-le fabbriche ed è cominciatal’esperienza di separare la vita la-vorativa dalla vita privata. Gli arti-giani e gli agricoltori in realtà la-voravano in casa e per loro, un po’

come per i !Kung, non c’era unanetta distinzione tra i momenti dilavoro e i momenti di vita privata.Per i !Kung la separazione lavoro-tempo libero è ancora più sfuma-ta, perché mentre raccolgono ocacciano o fabbricano fanno espe-rienze di relazione con gli altri cheli divertono e quando non sonoimpegnati a raccogliere, cacciare,costruire, in realtà sono impegna-ti nei rapporti sociali, ai quali de-vono partecipare e che devono ge-stire per tenere in vita il loro mon-do sociale. Oggi, da quando sonoarrivati nel Kalahari le fattorie, glialberghi, i datori di lavoro e i turi-sti, i !Kung stanno sperimentan-do il lavoro e il tempo libero comeli intendiamo noi.

approfondiamo

Possiamo davvero parlare di lavoro e tempo libero?

Perché è cosìimportante

il momento in cui ci si divide la carne

della selvaggina uccisa?

© P

ears

on It

alia

spa

Le carni vengono divise innanzitutto tra i cacciatori che hanno preso parte alla bat-tuta, riservando la quota maggiore a chi ha colpito l’animale ed è “l’eroe del giorno”. I cacciatori a loro volta provvedono a distribuirle ai famigliari, pensando prima ai geni-tori della moglie, poi alla moglie ed ai figli e infine alla propria famiglia di origine. I fa-migliari dei cacciatori a loro volta provvedono a spartire ulteriormente la carne distri-buendola a tutti quelli che si trovano nell’accampamento.

La spartizione serve concretamente a far sì che tutti mangino regolarmente carne, maha anche un valore simbolico. È un momento in cui la solidarietà della banda si rafforzae in cui ognuno sente di essere al sicuro nel gruppo. Si tratta di una sicurezza essenziale. Tra i !Kung, se non si può contare gli uni sulla generosità degli altri, c’è il rischio di duriperiodi di magra.

Il valore simbolico della spartizione si capisce meglio se ci si rende conto di quanto siapreziosa per i !Kung la preda. Nella visione del mondo dei !Kung aggredire e ucciderecruentemente un animale è cosa che a rigore non andrebbe fatta, perché gli animali han-no un’anima e perché la Terra e le forme di vita non sono state create per i comodi del-l’uomo. Se si caccia è per effettiva necessità. La caccia ha senso ed è giustificata solo sela preda è sfruttata al meglio per soddisfare i bisogni di tutti. Per i !Kung non c’è cacciasenza spartizione.

Al di là della sua utilità pratica, la spartizione serve a ribadire l’unità del gruppo, la di-pendenza dell’uno dall’altro, l’impegno alla generosità reciproca, il rispetto della vita edella natura e il senso dell’armonia interna al gruppo e nel rapporto con l’ambiente. Ilfatto che sia una cerimonia pubblica con un suo protocollo dice proprio che il suo sen-so va ben oltre il fatto pratico. Gli antropologi chiamano queste speciali attività riti.

1.5 Il matrimonio, la famiglia, i figli. Tra i !Kung vige la monogamìa (dalgreco mónos = uno solo e gámos = nozze): un uomo sposa una sola donna e una donnaun solo uomo. Solo in casi eccezionali un uomo riesce a vincere la gelosia della mogliee ad avere più donne, di cui però una sola viene considerata a tutti gli effetti sua moglie.

I matrimoni vengono decisi in anticipo dai genitori. Non ci si può sposare con chisi vuole, perché il matrimonio serve a stabilire alleanze tra bande e a cementare l’unio-ne della tribù (par. 1.2). I genitori scelgono con chi far sposare i figli sulla base delle esi-genze di alleanza tra bande che in quel momento ci sono. In ogni caso bisogna ri-spettare alcune regole. La persona con cui ci si sposa dev’essere di un’altra banda, madev’essere comunque della tribù. Si dice che c’è esogamìa di banda, in quanto si ten-de a sposarsi fuori della banda (il termine esogamìa è composto di eso = fuori e gamía= nozze) e endogamìa di tribù, perché ci si sposa dentro la tribù (da endo = dentro egamía = nozze). A volte accade che gli interessati si rifiutino di sposarsi. Generalmen-te allora i genitori desistono e lasciano che seguano i loro desideri. È proibito sposar-si con parenti stretti (fino ai cugini di secondo grado) e anche con i parenti informaliche hanno lo stesso nome.

L’accordo matrimoniale tra famiglie viene sancito con uno scambio di doni. Il matri-monio è celebrato con un “rito di cattura”: il giovane porta la ragazza a forza nella nuo-va capanna matrimoniale, mentre questa si dispera e si ribella.

Abitualmente la coppia va a vivere nella banda di lui e vicino ai suoi genitori. Nel lin-guaggio antropologico si parla di residenza virilocale (dal latino vir = maschio e locus= luogo). Tuttavia i flussi migratori interni, il fatto che ci si sposti da una banda all’altra

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 21

Con chi ci si sposa?

Come ci si sposa?

Dove vanno a vivere gli sposi?

© P

ears

on It

alia

spa

(par. 1.2), consentono alle nuove coppie di vivere ora vicino ai genitori dilui, ora vicino ai genitori di lei.

Se la coppia supera i primi anni, ritenuti i più critici, il matrimonio duradi solito tutta la vita. Inizialmente la frequenza delle separazioni si avvici-na a quella dei paesi avanzati con alto tasso di divorzi (è intorno al 40%),ma dopo un quinquennio scende a valori decisamente bassi. Le separazio-ni sono dovute in genere a tradimenti o più spesso alle incompatibilità chenascono nei primi anni. Per lo più è la donna a dare il via alla separazione.Decisa la rottura, tutto si svolge in maniera semplice e informale. I figli re-stano con la madre e i rapporti tra gli ex coniugi si mantengono buoni: co-me dice Lee, si tratta di divorzi cordiali.

Le coppie e i loro figli vivono per conto proprio, separati da genitori e al-tri parenti. Quella dei !Kung è una famiglia nucleare, formata solo da ge-nitori e figli. I genitori della generazione precedente, se sono ancora entrambiin vita, stanno in una loro capanna, altrimenti, se sono rimasti soli, dormo-no sotto gli “alberi-dormitorio”, persino durante il rigido inverno. Anche gliscapoli e le altre persone sole si comportano allo stesso modo. Per i !Kung lacapanna è l’abitazione della famiglia.

La gestione della vita domestica è essenzialmente compito delle donne.Il ruolo riproduttivo della donna gode di profonda considerazione tra i!Kung e le donne vivono la maternità con grande senso di responsabilità.Sono le madri ad allevare i figli, aiutate spesso dalle altre donne. I padri so-no affettuosi con i figli, ma non interferiscono con il lavoro delle madri. Lemadri !Kung amano i figli e hanno un rapporto caldo ed intenso con i pic-

coli. Dopo aver avuto un figlio lasciano passare almeno 4-5 anni prima di averne un al-tro, cosa che consente loro di dedicarsi a un piccolo per volta. Allattano per 4-5 anni e por-tano con sé il bambino quando escono assieme alle altre donne per la raccolta [figura 1.5].

Quando sono più grandi i bambini non vengono più portati nelle spedizioni di rac-colta, ma lasciati all’accampamento, anche perché spesso le madri hanno i nuovi natida portare con sé. Si tratta di un momento importante nella vita del piccolo !Kung, chepassa da un rapporto privilegiato con la madre a un rapporto allargato col gruppo e co-mincia a imparare cose nuove da tutti. Essere lasciati al campo non è solo un parcheggio,un babysitting, ma è un’occasione per acquisire le competenze necessarie per vivere nel-la società !Kung.

I figli lasciati al campo hanno modo di stare con gli altri bambini. Formano un grup-po di età differenti, per cui i più grandi possono insegnare ai più piccoli, magari giocan-do. Ci sono poi gli adulti rimasti al campo, pronti, specie i più anziani, a intrattenersicon loro e ad insegnare. Per i bambini lasciati al campo si configura una situazione diistruzione informale, di insegnamento senza che ci sia una vera e propria scuola. I piùgrandicelli conoscono anche momenti di istruzione più intenzionale e mirata, sotto laguida degli adulti. I ragazzi apprendono dai maschi adulti le tecniche di sopravvivenzae di caccia, compresa l’arte di seguire le orme degli animali e di analizzarle (par. 1.3). Leragazze vengono istruite dalle donne sull’arte di raccogliere, che implica tra l’altro la ca-pacità di riconoscere le specie vegetali (par. 1.3). Gli adulti con i bambini e i ragazzi nonsono mai autoritari, tendono a essere protettivi, ma lasciano anche che ognuno faccia leproprie esperienze e segua la propria strada.

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE22 MODULO 1

❯❯❯ figura 1.5 Portarsi dietro ilpiccolo.Legato al corpo con un apposito telo,in posizione verticale, il bimbo puòguardarsi attorno mentre la madrecammina e raccoglie. Il copricapo delbambino e le stoffe testimoniano l’ar-rivo di beni di fattura occidentale.

Foto: P. CLOTHUSCHE

Com’è la vita in famiglia e come

vengono allevati i figli?

© P

ears

on It

alia

spa

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 23

❯❯❯ figura 1.6 Bambino che gioca a cacciare come un adulto.

1.6 Il controllo delle nascite. Le famiglie !Kung non sono numerose: me-diamente sono formate da 4-5 persone, i genitori e due o tre figli. I !Kung tendono amettere al mondo pochi figli. In una banda il numero di nuovi nati ogni anno è all’in-circa pari al numero di persone che muoiono. Se ci sono persone che lasciano la bandaper aggregarsi ad altre, in genere ce ne sono altrettante che arrivano da altre bande (par.1.2). Il risultato è che la popolazione non cresce: si dice che c’è un regime demografi-co stazionario.

Mantenere costante la popolazione per i !Kung è importante. Per ogni persona c’è piùdi un Km2 di territorio dove prelevare cibo. Se la popolazione aumentasse, si ridurrebbeanche il territorio per persona. A questo punto i !Kung avrebbero serie difficoltà a pro-curarsi il cibo, a meno di invadere il territorio di altri, con tutti i guai che ne potrebberoscaturire. Ma come fanno i !Kung a controllare le nascite?

La loro condizione fisica in questo li aiuta. Le donne !Kung, come del resto anche imaschi, sono particolarmente magre. In parte la magrezza è costituzionale, in parte si de-ve all’intensa attività fisica che fanno camminando. In ogni caso la scarsità di grasso sot-tocutaneo conferisce loro un aspetto caratteristico, notato dai viaggiatori e dagli antro-pologi fin dai primi contatti con questo popolo. Quando la magrezza supera una certasoglia, la fertilità femminile diminuisce. Perciò le donne !Kung hanno una fertilità di ba-se ridotta.

Alla bassa fertilità di base si aggiunge il fatto che allattano i bambini fino all’età di4-5 anni. Prolungano l’allattamento per risparmiare i cibi procurati con la caccia e laraccolta, ma la loro scelta di economia delle risorse ha ricadute sulla fecondità. Finchéla donna allatta, meccanismi ormonali inibiscono l’ovulazione e il rischio di nuove gra-vidanze è basso.

Le coppie !Kung poi tendono ad astenersi dai rapporti sessuali durante l’allattamento. Mettere al mondo un secondo figlio quando ce n’è già uno creerebbe seri problemi. Cisarebbe una bocca in più da sfamare e un peso in più da portare nelle battute di raccolta.Il latte difficilmente basterebbe per due e non è così semplice trovare cibo adatto che losostituisca.

Perché la popolazione!Kung resta stabile?

Perché è importanteche la popolazioneresti stabile?

Come fanno i !Kung a limitare le nascite?

© P

ears

on It

alia

spa

1.7 La salute. Nel complesso i !Kung godono di relativo benessere. Anche se l’at-tività fisica che fanno è piuttosto intensa, non si sottopongono a fatica prolungata e noncompromettono il proprio stato fisico. Sono magri, asciutti, ma sani. Caccia e raccoltaconsentono loro di alimentarsi bene. I !Kung consumano circa 2300 Kcal pro capite, piùdel loro fabbisogno minimo calcolato intorno alle 2000 Kcal e al di sopra dei consumi ali-mentari di vari paesi del mondo di oggi.

La dieta è abbastanza equilibrata, grazie anche all’apporto proteico delle noci dimongongo (ricche di proteine vegetali) e di cibi animali ottenuti con la raccolta e lacaccia. Il ridotto numero di ore di lavoro e il tempo libero mettono i !Kung in condi-zione di non stressarsi e contribuiscono considerevolmente al loro benessere, dimo-strato anche dagli esami medici. Vivono piuttosto a lungo. La percentuale di anziani(65 anni e oltre) è del 10%, si avvicina a quello dei paesi più ricchi del mondo e si at-testa al di sopra di molti altri.

1.8 L’egualitarismo. La società !Kung è egualitaria. Con questo termine si in-tende non che le persone sono considerate tutte eguali, ma tutte alla pari. I !Kung sti-mano molto le abilità personali, per cui chi ha talento e riesce in questa o quell’attivitàguadagna prestigio presso gli altri. Tutti però hanno la possibilità di dimostrare il propriotalento e il talento di chiunque viene riconosciuto non appena si manifesta. D’altra par-te, se una persona che aveva dimostrato talento ne dimostra sempre meno, il suo pre-stigio cala.

Di fatto, nonostante le differenze di prestigio, le persone tutto sommato sono sullostesso piano. Abbiamo visto che non ci sono veri e propri capi, cioè che non ci sono per-sone che hanno più potere degli altri (par. 1.2). Non ci sono neppure persone che accu-mulano ricchezze: i beni dei !Kung (bastoni da scavo, frecce, abiti, monili, vasellame, pi-pe ecc.) sono distribuiti uniformemente.

L’egualitarismo dei !Kung non fiorisce spontaneo: è costruito e conservato giornoper giorno con grande cura. I !Kung sanno bene che qualcuno può emergere nel grup-po e rivendicare una posizione di superiorità. Di conseguenza sono vigili e si sforza-no di prevenire e frenare tutto ciò che può minacciare la parità. L’egualitarismo è as-sicurato innanzitutto dal costante controllo reciproco nei rapporti interpersonali. I!Kung hanno forte il senso dell’eguaglianza e sono abituati a farsi valere. Perciò chiprevarica deve fare i conti con la vittima della prevaricazione. Nella società !Kung so-no operanti poi meccanismi tesi specificamente a impedire o a frenare l’ascesa socia-le di qualcuno a scapito degli altri.

Accumulare beni è oggettivamente difficile per via del nomadismo: spostandosi dicontinuo senza mezzi di trasporto, le cose che si possono portare dietro sono po-che. L’accumulo è frenato però anche dalla pratica dello xharo, lo scambio di doni.Tutto ciò che una persona o una famiglia ha in più viene usato come dono da fare adaltri della stessa banda o di altre bande. Si crea così una fitta rete di donazioni reci-proche e il di più circola nella tribù, anziché fermarsi nelle mani di qualcuno.

In vari modi, per lo più basati sulla derisione e sullo scherzo, si cerca di sminui-re il prestigio che le persone si guadagnano. Ad esempio, durante tutto il rito dellaspartizione della carne (par. 1.4) il cacciatore che ha colpito l’animale, nonostante sia“l’eroe del giorno”, viene preso in giro e la sua impresa è ridimensionata. Il caccia-tore deve stare al gioco e dare prova di modestia.

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE24 MODULO 1

Tra i !Kung ci siconsidera alla pari?

Come si evita chealcuni assumano

posizioni di superiorità?

I !Kung godono di benessere fisico?

© P

ears

on It

alia

spa

1.9 Ordine sociale e conflitti. I !Kung sono tendenzialmente pacifici. Scon-tri bellici tra gruppi si verificano, ma sono sporadici, limitati e non particolarmente vio-lenti. Più che altro si tratta di messe in scena, in cui ci si fronteggia con le armi, ma, nonappena qualcuno si fa male o rischia di farsi male, si smette.

I !Kung vivono serenamente anche all’interno del gruppo di appartenenza: «genteinoffensiva» li definisce l’antropologa Lorna Marshall. Generalmente i !Kung sono per-sone miti e gentili, forse per il tipo di educazione che ricevono fin da piccoli. Non è pe-rò solo grazie al loro carattere che riescono a mantenere l’ordine e l’armonia sociale.

Abbiamo detto che la società !Kung è egualitariae abbiamo portato diverse osservazioni a sostegnodi questa affermazione. In antropologia però è im-portante interpretare con attenzione le informa-zioni di cui si dispone e vagliarle criticamente. Sicuramente i rapporti paritetici che i !Kung han-no tra loro sono impressionanti per chi come noiè abituato a vivere in società con evidenti disu-guaglianze. Se andiamo a fondo però scopriamoche l’egualitarismo dei !Kung non è proprio per-fetto. Per quanto modesta, c’è una disuguaglian-za di genere: gli uomini hanno qualche privilegioin più rispetto alle donne. La raccolta è di fatto l’attività più importante peril sostentamento dei !Kung. È stato calcolato checopre il 60-80% del fabbisogno di cibo. Eppure i!Kung stimano molto di più l’attività maschile del-la caccia. Si direbbe che, con una sfumatura di in-giustizia, non riconoscano alla donna il suo ruolodecisivo nel procurarsi da vivere. Sono diverse le ra-gioni che portano a tenere in più alta considera-zione la caccia. La carne viene consumata più dirado ed è ritenuta un alimento superiore ai vegetali.La battuta di caccia poi, a differenza della raccol-ta, è impegnativa, imprevedibile e a volte rischio-sa: ha qualcosa di eroico, mentre la raccolta è rou-tinaria. Resta il fatto però che il contributo del ses-so femminile all’approvvigionamento di cibo èsottovalutato. Fa pensare alla disuguaglianza anche la rigidaesclusione delle donne dalla caccia. Non mera-viglia che alla caccia si dedichino gli uomini, da-to che le donne hanno i piccoli da accudire e non

potrebbero star fuori per lunghe battute. Ma per-ché tenerle rigorosamente fuori? Si può sospet-tare che gli uomini custodiscano la prerogativa disvolgere l’attività più prestigiosa, che tenganoper sé il mondo eroico della caccia. Certo è an-che un modo di proteggere la donna, di tenerlalontano dal lato violento del rapporto con l’am-biente.D’altra parte, se guardiamo ad altre sfere dell’esi-stenza, la disuguaglianza di genere scompare. Inattività diverse dalla raccolta e dalla caccia, uomi-ni e donne collaborano allo stesso titolo. Nella foto qui sotto, del 1947, quando la cultura!Kung era ancora incontaminata, vediamo marito emoglie intenti a costruire la capanna. In un lavorodel genere entrambi sono protagonisti e non c’è so-stanziale divisione dei compiti. Ci sono poi ambitiin cui è protagonista ladonna e sono ambitiche contano molto.Sembra quasi che ledonne lascino volentie-ri all’uomo lo spaziodella caccia, perchépensano sia meglio co-sì e sanno di avere ilprimato in altri campi.Nelle assemblee, quan-do si tratta di decideredel destino della ban-da, alla fine l’ultimaparola spetterà a loro eagli anziani (par. 1.2).

cerchiamo prove I METODI DELLA RICERCA IN ANTROPOLOGIAINTERPRETAZIONE DEI DATI

Fino a che punto c’è eguaglianza tra uomini e donne?

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 25

Come viene mantenutala pace dentro la banda?

© P

ears

on It

alia

spa

Tra i !Kung le tensioni nascono, più che altro sulla spartizione del cibo, sull’impegno nellavoro, sui problemi matrimoniali e sulla fedeltà coniugale. Di solito tutto si risolve in li-ti senza conseguenza, ma sono stati documentati anche casi di assassinio e, seppure ec-cezionalmente, faide di sangue, vendette a catena tra famiglie. La tranquillità di cui go-dono i !Kung, come l’egualitarismo, è costruita.

L’aggressività è considerata una minaccia per il gruppo, per cui esistono sistemi di pa-cificazione abbastanza codificati e ripetitivi. Non appena alcuni litigano, gli altri si pre-occupano di risolvere la tensione, per lo più scherzando. Un modo per sanare le discor-die è fumare assieme passandosi la pipa o organizzare una danza. Chi è arrabbiato conqualcun altro può sfogarsi in un soliloquio di lamentela in pubblico: rimugina ad altavoce sui torti che pensa di aver subito senza fare nomi. Ritirarsi per alcuni giorni nellamacchia è un altro sistema. Il mezzo più importante per mantenere l’ordine e l’armoniaè costituito però dai flussi migratori interni alla tribù (par. 1.2). Se nascono gravi dissididentro una banda, ci si divide e ci si aggrega ad altre bande. È stato calcolato che ognianno tra i !Kung il 10-15% della popolazione si trasferisce stabilmente da un campo al-l’altro.

1.10 Religione e arte. I !Kung pensano che ci sia un Creatore, un essere supre-mo che ha fatto la Terra e ogni forma di vita, e lo invocano recitando preghiere collettive.«Tu, o mio Creatore – dice una preghiera !Kung – nel corso di questo mese fammi rice-vere animali e altri doni favorevoli». Alla luna nuova si rivolgono preghiere per la piog-gia: «Luna nascente, sorgi e donaci l’acqua, Luna nuova, donaci acqua in abbondanza».

I !Kung hanno una religione sciamanica. Non ci sono operatori religiosi professio-nali, persone che si dedicano a tempo pieno a servizi religiosi, come i sacerdoti. Del re-sto in società come quella dei !Kung nessuno fa un lavoro specializzato, ma tutti colla-borano alla vita del gruppo (par. 1.3). L’attività religiosa è affidata a sciamani, individuiai quali si attribuisce una particolare dote: riuscire a entrare in comunicazione con glispiriti.

Si crede che esistano spiriti dappertutto, negli animali, nelle piante, nei minerali, nel so-le, nella luna. Lo sciamano può farsi dire dagli spiriti come curare una malattia o dove sitrova la preda da cacciare, come può farsi autorizzare a cacciare un animale. C’è infatti lacredenza che per uccidere un animale occorra una speciale concessione del Creatore.

Lo sciamano entra in comunica-zione con gli spiriti quando va intrance, cioè in uno stato mentaleparticolare, in cui non avverte più glistimoli del mondo intorno a lui e haun’esperienza simile al sogno. Sicrede che una parte della sua animasi stacchi dal corpo e migri altrove.Lo sciamano in effetti è solo unoche ha uno speciale potere e lo met-te a disposizione della comunità.Come ogni altra persona di talento,lo sciamano non gode di specialiprivilegi, ma è stimato per ciò che fa.

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE26 MODULO 1

Quali credenzereligiose hanno

i !Kung?

Chi sono gli sciamani?

❯❯❯ figura 1.7 Disegni decorativi !Kung.I disegni sono adoperati nella tessitura di stoffe per capi d’abbigliamento. A destra ve-diamo schematizzate alcune forme tipiche.

Foto: JOY TESSMAN

© P

ears

on It

alia

spa

L’arte dei !Kung si esprime nella musica, nella danza, nella fabbricazione di ornamentie nei disegni decorativi [figura 1.7]. Questi sono particolarmente interessanti. Sebbenesiano tipici dei !Kung, hanno certe caratteristiche che si ritrovano in tutte le società egua-litarie di cacciatori-raccoglitori. Si è pensato perciò che queste caratteristiche sianoespressione del modo di pensare e di vedere il mondo di chi fa l’esperienza di vivere inuna piccola società senza gerarchie. Ci sono elementi uguali che si ripetono, il che fapensare al principio di parità. Ci sono poi evidenti simmetrie, che suggeriscono un prin-cipio di equilibrio, che governa sempre i rapporti tra le persone e tra uomini e ambien-te naturale. L’assenza di recinzioni è suggestiva della libertà, del fatto che non vi sianolimitazioni e imposizioni da subire. Gli spazi vuoti invece fanno pensare all’esperienzadi isolamento in cui si vive in società formate da piccoli gruppi nomadi, dove la presen-za di estranei è un evento eccezionale.

1.11 Spunti di riflessione. Nella vita dei !Kung ci sono alcuni fatti sorprendenti,che contraddicono le aspettative che potremmo avere sulla base della nostra tradizionee del nostro modo comune di pensare. L’antropologo Richard Lee, già dal primo giornodel suo lavoro di ricerca, si era accorto che non era vero che i cacciatori-raccoglitori vivonomiseramente. Andando più a fondo si scopre addirittura che a loro modo conducono unavita agiata: scelgono i cibi, consumano subito quel che hanno, non devono preoccuparsidel futuro, hanno parecchio tempo libero, si divertono anche quando sono impegnati aprocurarsi il cibo, godono di salute e hanno vita lunga. L’antropologo Marshall Shalins di-ce che quella dei !Kung è una «originaria società opulenta».

I !Kung per star bene usano la strategia di non pretendere troppo. Limitano le nasci-te e così evitano di espandersi come popolazione, cosa che metterebbe fine alla loro opu-lenza. Frenano l’avidità, scoraggiano la voglia egoistica di avere di più. Notiamo che i sin-goli hanno una tendenza all’avidità, a volte vorrebbero di più, ma la società li tiene a ba-da e fa valere la regola della moderazione.

È interessante il fatto che siano monogami, che i rapporti di coppia siano improntatialla fedeltà e all’amore e che, superati i primi anni, i matrimoni durino tutta la vita.Un’idea sbagliata che avevano gli antropologi dell’Ottocento era quella della promiscuitàprimitiva. Si pensava che fuori dalla civiltà come noi la intendiamo i rapporti sessualifossero liberi e non ci fossero i vincoli di fedeltà tipici del matrimonio.

Interessante è anche il fatto che ci siano famiglie nucleari. È diffusa la convinzioneche la famiglia nucleare sia tipica del mondo di oggi, mentre la ritroviamo anche tra i cacciatori-raccoglitori. Ma il semplice fatto che ci siano famiglie è motivo di riflessione.Nell’Ottocento alcuni antropologi avevano sostenuto che ai primordi della storia uma-na le famiglie non c’erano. Il teorico del comunismo Engels pensava che le famiglie fos-sero unità egoistiche, animate da interessi privati, che a un certo punto della storia uma-na erano intervenute a turbare una felice vita collettiva in cui tutto era in comune. Se-nonché tra i cacciatori-raccoglitori ci sono famiglie e non c’è egoismo, ma al contrarioregnano moderazione e solidarietà. D’altra parte non è affatto vero che è tutto in co-mune. Anche se l’avidità è scoraggiata, la proprietà privata esiste ed è attentamente sal-vaguardata.

Anche nel regno animale ci sono unità famigliari, per cui è assolutamente errato con-siderare la famiglia un prodotto della storia umana. La famiglia è naturale. Semmai so-no prodotti della storia umana i cambiamenti cui è andata e va ancora incontro.

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 27

Che cos’ha di caratteristico l’arte !Kung?

Perché la vita dei !Kungnon può dirsi povera?

Quali altri fattisorprendenti ci sononel ritratto dei !Kung?

© P

ears

on It

alia

spa

Gli spunti di riflessione sono molti. Che dire, ad esempio, della reciprocità, di questa “ban-ca” che dà ai !Kung sicurezza? E che dire della grande tolleranza che i !Kung dimostranoquando applicano le regole e gestiscono i rapporti? E delle “separazioni cordiali”? I !Kung nonpensano di dover conservare ad ogni costo un’unione matrimoniale che nei fatti è fallita. Noiabbiamo da poco conquistato, dopo millenni, questa libertà nei confronti delle tradizioni ma-trimoniali. Diversamente da noi però i !Kung, quando si separano, riescono a farlo serena-mente, continuando a rispettarsi e senza grossi turbamenti. Le esperienze di separazionedelle coppie delle nostre civiltà sono invece solitamente molto travagliate, con litigi e con-tenziosi giudiziari per l’affidamento dei figli o per questioni patrimoniali.

C’è molto da riflettere anche sulle credenze religiose dei !Kung e sull’opera degli scia-mani. Più avanti (“Etico ed emico in antropologia: che cos’è il sogno dello sciamano?”,pp. 35 s.) metteremo a confronto l’interpretazione che danno i !Kung della comunicazio-ne con gli spiriti con l’interpretazione che ne dà la nostra scienza. Vedremo come questoconfronto può esserci utile per renderci conto meglio di che cosa vuol dire conoscere cre-denze e abitudini di vita molto diverse dalle nostre.

2. La cultura

2.1 L’oggetto di studio dell’antropologia culturale. Abbiamo potutodescrivere la vita tradizionale dei !Kung grazie alle ricerche di Richard Lee e altri.Gli antropologi che hanno fatto ricerca presso i !Kung direbbero che ne hanno stu-diato la cultura e che i discorsi delle pagine precedenti sono un ritratto della cultu-ra !Kung.

L’antropologia culturale in effetti studia la cultura dei popoli della Terra. Di cia-scun popolo descrive la cultura nel dettaglio, aspetto per aspetto, senza tralasciarenulla, come abbiamo cercato di fare parlando dei !Kung. Anche se analizza i tratti unoa uno, l’antropologo ha sempre presente che la cultura di un popolo è qualcosa diunitario, dove ogni cosa è legata alle altre. Nei discorsi sui !Kung abbiamo cercato ditracciare un quadro di insieme e di fare collegamenti tra particolari diversi.

L’antropologia culturale non si limita a studiare un popolo o pochi popoli. Puntaa studiare tutti quelli di oggi e del passato. Mette poi a confronto i popoli della Ter-ra, per trarne indicazioni di carattere generale e per cercare in ultima analisi di ca-pire l’uomo. Ma che cosa si intende per cultura?

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE28 MODULO 1

Che cosa studiano gli antropologi col loro

lavoro di ricerca?

Abbiamo esaminato la vita di un popolo lontano da noi, i !Kung. Lo abbiamo fatto basandoci sulle ri-cerche degli antropologi che hanno potuto studiare questo popolo quando ancora viveva in modo tradi-zionale. Cerchiamo di capire ora che cosa studia esattamente l’antropologo quando va a far ricerca pres-so un popolo come i !Kung. Riflettere su questo sarà l’occasione per chiarire più in generale di che co-sa si occupa l’antropologia culturale.

facciamo il punto

© P

ears

on It

alia

spa

2.2 Il concetto antropologico di cultura. Nel linguaggio comune il termi-ne “cultura” è adoperato in genere con un significato diverso da quello dell’antropologiaculturale. Sta a indicare solitamente un patrimonio di competenze e conoscenze che pernoi hanno valore, come quando diciamo che una persona “ha cultura” o che “ha cultura mu-sicale” o che è bene “promuovere la cultura”. La nozione di cultura dell’antropologia èneutrale: non è associata all’idea di bene e di male. Non ha a che fare neppure con la bra-vura degli individui, ciò che sanno e fanno in letteratura, arte, scienza, ma indica un feno-meno collettivo, che riguarda interi popoli o gruppi che vivono dentro un popolo e che èfatto di molte altre cose oltre le opere di valore, il sapere e le abilità.

Per cultura in antropologia culturale si intende il complesso delle convinzioni e deicomportamenti che caratterizzano gli appartenenti a un popolo. Rientrano nella cul-tura le conoscenze, le credenze, i miti, l’arte, la morale, il diritto, la politica, le usanze, icostumi, le abitudini, i sistemi educativi, il linguaggio, la parentela e ogni altro aspettodell’organizzazione sociale e della vita di un popolo. Quando parliamo di cultura dei!Kung o di un altro popolo, ci riferiamo a tutto questo, cioè al mondo in cui quei popo-li vivono e che li caratterizza.

2.3 Qualche precisazione. Alcune precisazioni aiutano a capire meglio che co-s’è la cultura.

5 È parte materiale e parte immateriale. Descrivendo i !Kung abbiamo par-lato di molte cose concrete, come le capanne a cupola, le frecce, il veleno, le sacche perportare i bambini, le uova di struzzo piene d’acqua e sigillate, le noci di mongongo, l’al-tipiano desertico del Kalahari, la stagione secca e la stagione delle piogge. Sono concre-ti anche i comportamenti di persone che possiamo osservare, come fabbricare una frec-cia, distinguere tra vegetali o andare in trance. Tutto questo è ciò che gli antropologi chia-mano cultura materiale. È l’insieme dei beni posseduti da un popolo, delle condizionidel suo ambiente fisico e dei comportamenti concreti delle persone.

La nostra descrizione dei !Kung è piena però di realtà immateriali, impalpabili, che esi-stono non perché stanno nel mondo fisico, ma perché sono diffusamente presenti nel-la testa delle persone di quel popolo. Ad esempio, l’idea che lo sciamano quando va intrance parli con gli spiriti è una credenza che i !Kung hanno in mente. Ma anche le lororegole ci sono in quanto presenti nelle loro menti. Una persona o una famiglia si spo-stano da una banda all’altra. Questo è un comportamento concreto, ma è reso possibi-le dal fatto che c’è l’usanza dei flussi migratori interni, cioè dal fatto che tutti pensano cheagire così è normale. Gli antropologi solitamente chiamano cultura simbolica l’insie-me delle realtà immateriali presenti nella mente delle persone.

Il lato immateriale della cultura non è meno reale di quello materiale. Possiamo ren-dercene conto riflettendo sul fatto che si impone alle persone e c’è prima di loro, unpo’ come l’ambiente fisico. Quando nasce, un !Kung entra in un mondo in cui ci sonogià le bande e la tribù, la famiglia nucleare, la monogamìa, la reciprocità, le spartizio-ni del cibo e via dicendo. Gran parte della sua vita è spesa ad essere preparato per sta-re in quel mondo. Può discostarsi dalle regole che trova, ha facoltà di manovra, ma so-lo entro certi limiti e nella misura in cui riesce a farsi spazio e quel che fa viene tolle-rato. Tra i !Kung ci si può rifiutare di sposare la persona che i genitori hanno scelto, maè praticamente impossibile per una donna diventare cacciatrice e per un maschio èmolto difficile avere più mogli.

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 29

Che cosa intendono gli antropologi per cultura?

Di che cosa è fatta la cultura?

© P

ears

on It

alia

spa

Abbiamo detto che il tradizionalesistema di vita dei !Kung dura dal-la preistoria, da circa 20000 anni.

È certo che sia così? Alcuni studiosi di storia del-l’Africa hanno sostenuto che i!Kung e gli altri Boscimani delKalahari, prima che arrivasserogli Europei a colonizzare il conti-nente africano, cioè prima delXIX secolo, vivevano diversamen-te. Secondo questa teoria, quan-do potevano spaziare nell’Africameridionale, vivevano di pastori-zia in condizioni totalmente di-verse. Quando i coloni hanno in-vaso il resto dell’Africa meridio-nale, si sarebbero ritirati nelKalahari. Qui si sarebbero ridot-ti a vivere di caccia e raccolta pernecessità, perché quel territorio

desertico non permetteva di farealtro. Secondo questi studiosi distoria dell’Africa, passare allacaccia e raccolta sarebbe statoun ripiego: la vita da pastori sa-rebbe stata molto migliore. In realtà, come abbiamo visto, la vi-ta del cacciatore-raccoglitore non èpoi così misera. In ogni caso abbia-mo prove che i Boscimani del Ka-lahari sono sempre stati cacciatori-raccoglitori fin dalla preistoria. Gliarcheologi hanno trovato pitturerupestri fatte dagli antenati deiBoscimani, che raffigurano le tipi-che scene della vita del cacciatore-raccoglitore: danze, caccia, spar-tizioni e sciamani all’opera.

guardiamo ad altre discipline

Quando è cominciata la cultura tradizionale dei !Kung?

STORIA - ARCHEOLOGIA

5 È un complesso. Manufatti, comportamenti, convinzioni, conoscenze, credenze,miti e tutto il resto formano un insieme unitario, dove le cose sono collegate tra loro. Adesempio, il fatto che gli sconfinamenti delle bande siano tollerati è in accordo con il prin-cipio di reciprocità, che spinge ad aiutarsi a vicenda e a spartirsi il cibo dentro la banda. Sequelli di un’altra banda sconfinano, evidentemente hanno difficoltà a reperire cibo nel pro-prio territorio. Per essere solidali bisogna tollerare il loro comportamento. Per fare un altroesempio, i !Kung hanno certe abilità spiccate, come decifrare le tracce di animali, tirare conl’arco o discernere tra centinaia di vegetali. La loro bravura è chiaramente collegata al fat-to che, quando i figli diventano più grandi e restano al campo, gli adulti, specie gli anzia-ni, si incaricano di tramandare la loro arte millenaria (par. 1.5). L’insieme degli elementi diuna cultura forma un complesso organico, è un sistema di vita.

5 Tende a riprodursi. La cultura di un popolo si tramanda di generazione in gene-razione, per cui tende a perpetuarsi nel tempo, a riprodursi. Gli antropologi calcolano cheil sistema di vita dei !Kung così com’è stato descritto nella seconda metà del Novecento, pri-ma che l’arrivo della civiltà lo cambiasse, durava quasi inalterato da circa 20 mila anni.

La cultura si riproduce grazie al fatto che in vari modi la comunità prepara le nuove ge-nerazioni a inserirsi in quel sistema di vita. Presso i !Kung momenti appositamente dedi-cati a questa formazione sono quelli in cui i bambini più grandi restano al campo (par. 1.5).Fin dalla nascita però si è immersi in un ambiente che forma a vivere secondo quel siste-ma. Ad esempio, l’affetto da cui i piccoli sono circondati e il fatto che gli adulti non sonomai autoritari senz’altro contribuiscono a fare dei !Kung gente sicura di sé, ma fonda-

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE30 MODULO 1

Questa pittura preistorica rappresentauna scena di caccia di Boscimani. Sinoti il grasso sulle natiche, la steatopi-gìa (etnoprofilo, p. 17). La figura alcentro sembra uno sciamano: come glisciamani ha il corpo dipinto o tatuato.

Le componenti della cultura formano

un tutto unitario?

La cultura si tramandada una generazione

all’altra?

Come si tramanda?

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 31

mentalmente mite. Il lavoro che la comunità fa, intenzionalmente o meno, per prepararele nuove generazioni al sistema di vita di quella cultura si chiama socializzazione. In unacultura poi ci sono sempre meccanismi di conservazione, che tendono a impedire che gliindividui trasgrediscano le regole e cambino il sistema di vita. Ad esempio, se un !Kungprova ad arrabbiarsi e ad essere aggressivo, gli altri sdrammatizzano scherzando o invita-no a fumare insieme la pipa o organizzano una danza (par. 1.9). Così il modo di fare mitee bonario, appreso fin dall’infanzia, viene conservato.

Che una cultura tenda a riprodursi non vuol dire che non cambi. Tutte le culture col pas-sare del tempo cambiano. A volte i cambiamenti sono modesti e lenti, com’è accaduto incirca 20 mila anni di storia dei !Kung. Altre volte sono vertiginosi: in breve tempo quellacultura si trasforma radicalmente. È quel che sta avvenendo oggi ai !Kung, ma è anchequello che sta avvenendo a noi. Se ci guardiamo indietro solo di qualche decennio, sco-priamo che praticamente non c’erano separazioni e divorzi, né cellulari, né Internet, né ci-bi provenienti da tutte le parti del mondo e via dicendo.

Le culture cambiano?

I cambiamenti possono venire dal-l’interno, nascere dentro quellacultura. Si parla allora di innova-

zione. Può trattarsi di vere e pro-prie invenzioni. Ad esempio, nel-la loro storia millenaria qualche!Kung a un certo punto avrà pen-sato di adoperare come serbatoid’acqua le uova di struzzo, gli al-tri hanno trovato buona l’idea el’hanno adottata. Nella foto qui alato, scattata nel 1955, vediamoun giovane che porta con sé treuova e beve da una, come noi fa-remmo con una borraccia. I cam-biamenti della nostra civiltà degliultimi decenni sono in parte do-vuti a invenzioni. Un’innovazione però può esseredovuta semplicemente al fatto chele persone cominciano a compor-tarsi diversamente da come pre-scrive la tradizione e piano pianoun vecchio modello di vita vienesostituito da uno nuovo. Abbiamovisto che tra i !Kung le persone avolte trasgrediscono delle regole:ad esempio, rifiutano di sposare la

persona prescelta o provano adavere una seconda moglie o a trat-tenere beni. Gli altri ora tollerano,ora reprimono questi comporta-menti. Se dovessero prevalere,queste trasgressioni smetterebberodi essere trasgressioni e divente-rebbero un nuovo modello di vita. È più o meno quello che è acca-duto da noi con le separazioni ei divorzi. A partire dagli anniSessanta del Novecento negliStati Uniti, nei paesi europei ein altri paesi del mondo sono an-dati aumentando sempre più se-parazioni e divorzi. È successoprincipalmente perché le perso-ne credevano sempre meno alvincolo del matrimonio: diversa-mente da prima, ora pensavanodi non essere obbligate a resta-re assieme per il solo fatto di es-sere sposate, anche se la rela-zione non era soddisfacente. Le culture cambiano anche a se-guito dei contatti con altri popo-li. I !Kung stanno cambiando ra-pidamente proprio per questo. Gli

altri popoli portano cultura mate-riale e cultura simbolica, cioè og-getti diversi e modelli diversi divita. Ad esempio, i !Kung hannoconosciuto i vestiti occidentali oi fuoristrada come il Land Roverdi Lee, ma anche il lavoro dipen-dente, l’idea stessa di lavoro e ditempo libero. Quando una cultu-ra entra in contatto con un’altra,in parte ne assume i tratti, in par-te resiste. In ogni caso in qual-che misura cambia. Questo ge-nere di cambiamento culturale sichiama di solito diffusione, per-ché c’è un passaggio di elementidall’una all’altra.

approfondiamo

Come cambiano le culture: innovazione e diffusione

5 È propria di un popolo. Riuniamo le conoscenze, le credenze, i miti, l’arte e tut-ti gli altri aspetti di una cultura perché appartengono a un determinato popolo. Il popoloè il perno della cultura, il centro intorno al quale tutti i suoi elementi ruotano.

2.4 Il concetto di popolo. La nozione di popolo è centrale per definire la cultu-ra e l’antropologia culturale. Tuttavia non si tratta di un concetto scontato come può sem-brare a prima vista. In linea di massima un popolo è individuato da un nome, è formatoda persone che si richiamano a un’origine comune e ad un’unica tradizione, che condivi-dono la lingua e la storia e fanno parte della stessa società.

Far parte della stessa società significa vivere assieme su uno stesso territorio e stare inrapporto. Quando la società è piccola, come nel caso dei !Kung, le persone hanno mododi incontrarsi, di comunicare faccia a faccia e di dar vita a una rete di relazioni stabili che liunisce. Nelle società più grandi un rapporto così stretto non è possibile, neppure sfruttan-do i moderni mezzi di comunicazione. Comunque però si vive assieme e, seppure per lopiù indirettamente, si è gli uni in rapporto con gli altri.

Non sempre però le cose si presentano in modo così ordinato da consentire di isolareun popolo sulla base di tutte le caratteristiche ricordate. Esistono popoli senza territorio.I !Kung, sebbene si spostino, lo fanno all’interno di un territorio che considerano proprio.Ci sono però popoli nomadi che si spostano in modo tale che è davvero difficile assegna-re loro un territorio. Ad esempio, i Peul (etnoprofilo, p. 174) sono un popolo di pastori dicirca seimila persone che, divisi in piccoli gruppi, migrano continuamente su una vasta re-gione tra il Golfo di Guinea, la costa atlantica del Senegal e il lago Ciad e nei loro sposta-menti passano per i territori di altri popoli, sedentari e urbanizzati. Esistono anche popo-

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE32 MODULO 1

riflettiamo sulla ricerca

Il concetto di popolo è un’astrazione?

Un famoso antropologo, il norvegese Fredrik Barth(1969) ha criticato l’idea di popolo come qualcosa difisso e di circoscritto. È arrivato ad affermare che ilconcetto di popolo è un’astrazione. Per semplicità –dice Barth – dividiamo l’umanità in una serie di po-poli ben definiti e separati. In realtà forziamo un po’le cose, perché l’umanità non è segmentata con tan-ta precisione e perché le divisioni sono fluide.Il concetto di popolo, anche se è un’astrazione chenon sempre trova piena rispondenza nella realtà, èutile: permette all’antropologo di distinguere le cul-ture che studia, considerandole ciascuna apparte-nente a un dato popolo con un proprio nome. Cosìl’antropologo riesce a precisare il proprio oggetto distudio: se gli chiediamo su che cosa sta facendo ri-cerca, ci risponderà che si occupa della cultura diquesto o quel popolo. Non dobbiamo meravigliarci,perché la ricerca comporta sempre qualche forzatura,

giacché piega la realtà alle esigenze del pensiero.Barth dice che il concetto di popolo è un’astrazione

euristica, cioè un’astrazione che serve a far ricerca ea conoscere (euristico deriva dal greco eurískein, chevuol dire scoprire, conoscere).Il concetto di popolo per l’antropologo è importan-te anche perché gli è di aiuto al momento di di-stinguere il proprio oggetto di studio da quello delsociologo. La sociologia analizza le società, a pre-scindere dal fatto che siano formate da un unico po-polo o da più popoli. Studiando la società studia an-che il sistema di vita o i sistemi di vita della genteche ci vive, cioè ciò che gli antropologi chiamanocultura. L’antropologia invece centra il suo studiosulla cultura dei popoli e considera le società cuiquesti danno vita come uno dei prodotti culturali dicui occuparsi, accanto alla parentela, alla famiglia,all’arte ecc.

Per ogni cultura c’è un popolo?

Come definire un popolo?

Che differenza c’ètra popolo, cultura

e società?

Ci sono popoli senza territorio?

li frammentati, sparsi su territori diversi. È il caso dei Kurdi: la maggior parte di loro vivein Turchia, ma gruppi numerosi si trovano in Iran, in Iraq e altri ve ne sono in Siria, in pae-si del Caucaso e in Germania. Nonostante siano sparsi, i vari gruppi di Kurdi si conside-rano un’unità e hanno rafforzato la loro identità nel tempo, distinguendola da quella del-la gente dei posti dove vivono.

Sono molte poi le società dentro le quali vivono popoli diversi. Le persone abitanolo stesso territorio, entrano in rapporto tra loro, ma sentono di appartenere per la lin-gua, le tradizioni, la storia, il sistema di vita a popoli diversi. Si parla di società mul-

tietniche (dal greco éthnos = popolo). Ancora più complesso è il quadro se conside-riamo il cammino dei popoli nel corso della storia: può accadere che la lingua si tra-sformi, che cambi il nome del popolo, che in conseguenza di scissioni, alleanze oconquiste ci siano rimescolamenti con altri popoli.

2.5 I popoli studiati dagli antropologi. Gli antropologi per decenni si sonodedicati a studiare popoli lontani da noi. Il loro interesse era diretto verso le culture nonancora trasformate dall’impatto col mondo occidentale. I Boscimani del Kalahari, comepure gli Eschimesi, gli Indiani d’America, gli Indios della Selva, gli abitanti di isole dell’Oceania e di alcuni luoghi dell’Africa subsahariana sono esempi di popoli lontaniche sono stati accuratamente studiati.

Lévi-Strauss, uno dei maestri dell’antropologia culturale del Novecento, ha definito efficacemente l’antropologo «astronomo delle scienze sociali». Tra gli scienziati della natura il fisico, il chimico, il geologo, il biologo studiano fenomeni vicini a noi, che sipossono osservare sulla Terra. L’astronomo invece si interessa a ciò che accade in puntilontani dell’universo. Qualcosa di simile fa l’antropologo nelle scienze sociali.

Lévi-Strauss aveva in mente soprattutto l’antropologia culturale della prima metàdel XX secolo. Negli ultimi decenni le cose sono cambiate. In quasi un secolo di ricer-che antropologiche le culture lontane dalle nostre erano state studiate a tappeto ederano ormai ampiamente note. Molte stavano di fatto sparendo sotto l’influsso occi-dentale, schiacciate, riassorbite, trasformate. Gli antropologi hanno smesso di occu-parsi solo di popoli lontani e hanno cominciato a studiare anche popoli più vicini anoi, come quelli dell’India, del mondo arabo, della Cina, dei paesi dell’America meri-dionale. Poi hanno diretto l’attenzione sull’Occidente avanzato, cioè sui paesi europeie nordamericani.

Nei manuali attuali di antropologia i popoli lontani occupano ancora la maggior par-te dello spazio, ma si fa anche riferimento a realtà più vicine a noi e alle nostre. MarvinHarris, noto antropologo statunitense, in un manuale che ha avuto grande successo, de-dica l’ultimo capitolo agli Stati Uniti, descrivendo aspetti dell’economia, della politica,della famiglia, della religione, delle ideologie.

2.6 Culture e subculture. Gli antropologi culturali a volte si dedicano a studiareuna subcultura o sottocultura. Questi termini indicano una cultura che sta dentro unacultura più ampia. All’interno di un popolo possono esserci gruppi che vivono in qual-che misura isolati, perché sono emarginati o perché hanno qualcosa che li accomuna eli distingue o per altre ragioni. Sono gruppi che in genere hanno un loro sistema di vita,che può essere identificato e studiato in quanto particolare e in parte diverso da quellodegli altri.

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 33

E società con più popoli?

Gli antropologistudiano solo popoli lontani da noi come i !Kung?

Che cosa intendono gli antropologi per subcultura?

L’antropologo, come va a studiare la cultura dei !Kung o di un altro popolo, può an-dare tra i barboni di una città o tra gli abitanti di una baraccopoli o di un quartiere o inun’associazione di dirigenti di azienda o tra i pendolari che usano quotidianamente lametropolitana o tra i ragazzi che amano l’informatica, sempre con l’intento di cercare dicapire che cosa caratterizza il loro sistema di vita.

Allo studio delle subculture si dedicano anche i sociologi, che a volte lo fanno con me-todi simili a quelli adoperati dagli antropologi. È la cosiddetta ricerca etnografica in so-ciologia. In questi casi il lavoro del sociologo è molto simile a quello dell’antropologo e ledue discipline tendono a confondersi. A ben guardare però c’è una differenza di intenti:il sociologo studia le subculture per capire meglio la società in cui sono inserite, l’antro-pologo è interessato soprattutto a conoscere quei mondi, per confrontarli con altri.

3. Lo sguardo antropologico

3.1 Il distacco. Quando studiano una cultura, gli antropologi lo fanno guardando-la in un modo particolare, profondamente diverso da come farebbe una persona qual-siasi. Come prima cosa si preoccupano di restare distaccati. Generalmente vanno a vi-vere per periodi anche lunghi in mezzo ai popoli o i gruppi che studiano, si mescolanoa loro. Tuttavia si sforzano di restare mentalmente distaccati.

Tendono a studiare il sistema di vita di un popolo come farebbe uno venuto da lon-tano, un marziano che sa poco o nulla dell’esperienza umana. Invece di partire dalleproprie convinzioni e dai propri giudizi, cercano di capire quel che le persone dei popo-li studiati fanno mettendosi nei loro panni, partendo dal loro punto di vista.

Mantenersi distaccati quando si studia la vita degli uomini non è facile. Abitualmen-te gli uomini non sopportano la distanza culturale. Quando ci troviamo dinnanzi a gen-te che ha convinzioni e abitudini di vita molto diverse dalle nostre, cioè che apparten-gono a una cultura lontana dalla nostra, siamo portati a eliminare o a ridurre la distan-za che ci separa con stratagemmi mentali. Facciamo ragionamenti, spesso falsi esemplicistici, che ci fanno credere che la distanza non ci sia.

L’espediente più banale consiste nel giudicare frettolosamente. Ad esempio, possia-mo liquidare le condizioni di vita dei cacciatori-raccoglitori semplicemente dicendo chesi tratta di modi di vivere primitivi e incivili. Un altro sistema, più cauto e riflessivo, ma

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE34 MODULO 1

Ci sono ricercheantropologiche su subculture?

Abbiamo visto che gli antropologi studiano la cultura dei popoli della Terra, dai più lontani da noi a noi,o le subculture, cioè culture di gruppi all’interno di un popolo. Abbiamo anche cercato di chiarire il con-cetto di cultura e quello di popolo, che ne è il perno. Ci siamo resi conto che, se si va a fondo, i concettinon sono più così semplici e scontati come possono sembrare a prima vista. Chiediamoci ora qual è lospirito, l’atteggiamento mentale con cui l’antropologo si accosta a una cultura. Vedremo che è partico-lare e ricco di insegnamenti utili, specie nel mondo di oggi.

facciamo il punto

Che cosa significa chel’antropologo guarda

alle culture con distacco?

comunque sbagliato, è analizzare i comportamenti degli altri secondo i parametri abitualida noi. Così concludiamo che le condizioni di vita dei cacciatori-raccoglitori sono mise-re, per il semplice fatto che noi, se vivessimo in quelle condizioni, ci sentiremmo moltopoveri. Ragionando così non ci rendiamo conto che altri, di un’altra cultura, possonopercepire e vivere quelle esperienze in modo anche radicalmente diverso.

Lo sforzo dell’antropologia culturale, in oltre un secolo di studi, è stato evitare gli stra-tagemmi mentali con cui solitamente ci spieghiamo le diversità. Per fare questo l’antro-pologo cerca il più possibile di mettere da parte il proprio punto di vista, sospendere ilgiudizio e guardare alle esperienze come le vedono quelli che studia. Se si capiscono glialtri, se si ricostruisce il loro mondo, la distanza tra noi e loro rimane. Non sembranopiù gente come noi che, per qualche ragione, fa cose strane o sbaglia: sono invece po-poli diversi da noi, culturalmente lontani.

L’antropologo culturale, proprio perché attento a capire la cultura degli altri, sa con-servare la distanza, ha lo sguardo di chi viene da lontano. Questo sguardo è importanteanche quando studiamo le nostre stesse civiltà. Se ci interessiamo, ad esempio, ai bar-boni che vivono in una città o ai poveri che vivono nelle baraccopoli, ci troviamo di nuo-vo alle prese con il problema della diversità e rischiamo di perdere la distanza, di incor-rere cioè in giudizi e ragionamenti sbrigativi che ci impediscono di capire le cose.

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 35

riflettiamo sulla ricerca

Etico ed emico in antropologia: che cos’è il sogno dello sciamano?

Abbiamo detto che per ottenere il distacco l’antro-pologo deve mettere da parte il proprio punto di vi-sta, sospendere il giudizio e assumere il punto di vi-sta di quelli che studia. Le cose però non sono cosìsemplici: l’antropologo può sforzarsi di evitare, al-meno in prima battuta, di guardare ai fatti a partiredalla propria visione del mondo. Non può però ab-bandonare del tutto la propria visione. Dopo aver fat-to lo sforzo di mettersi nei panni di quelli che studia,finirà per riprenderla. Il problema si fa sentire so-prattutto quando si tratta di credenze difficili dacondividere o di comportamenti che ai nostri occhiappaiono moralmente riprovevoli, come il cannibali-smo o l’infanticidio. In questi casi l’antropologo èalle prese con un vero e proprio dilemma: deve ope-rare una difficile scelta tra due orientamenti alter-nativi. Ad esempio, i !Kung sostengono che lo scia-mano comunica con gli spiriti e che grazie a questosuo potere riesce a stabilire dove si trova una predao trova il modo di curare una malattia (par. 1.10).L’antropologo gli crederà? Solitamente si parla di orientamento emico quandol’antropologo cerca di entrare nella visione del mon-

do di quelli che studia e accetta le loro convinzioni ei loro giudizi. Si usa invece l’espressione orienta-

mento etico per indicare l’atteggiamento del ricerca-tore che si basa sui propri criteri per stabilire che co-s’è oggettivo, reale e giusto, a prescindere da ciò chepensano e dicono gli interessati.I termini etico ed emico sono stati coniati dal lin-guista statunitense Kenneth Pike, che aveva inmente la distinzione tra due branche della lin-guistica: la fonetica, in cui si studiano i suoni lin-guistici come oggettivamente sono (per le loro ca-ratteristiche fisiche, che si possono studiare conappositi strumenti), e la fonemica, interessata astudiare i suoni lin-guistici come ven-gono percepiti dallepersone che parlanoquella lingua. Anchese coniati da un lin-guista, i termini sonopenetrati in antropo-logia, dove vengonousati correntemente.

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE36 MODULO 1

La prospettiva etica espone al rischio di etnocen-trismo (par. 4.3). Finiamo per dare per scontatoche il nostro modo di pensare sia superiore agli al-tri e che di conseguenza debba essere universale,valido per tutti. L’orientamento etico spinge anchea liquidare fenomeni complessi e di grande signi-ficato culturale, quali la religione o la magia, consuperficialità. D’altra parte l’orientamento emico presenta a suavolta problemi. Il punto di vista degli interessatideve essere sempre ricostruito dal ricercatore, vainterpretato e nel lavoro di interpretazione reintro-duciamo il nostro modo di vedere occidentale. Laricerca poi non può fermarsi alla semplice rico-struzione dei fatti dal punto di vista degli interes-sati, ma deve arrivare a una lettura di tipo scienti-fico, cioè basata su una logica che aspira ad averevalore universale. In realtà la ricerca più raffinata si muove continua-mente tra indagine etica e indagine emica, alter-nando l’una all’altra in un cammino a spirale, cheporta a conoscere sempre più a fondo i fatti. Pro-viamo a riflettere sull’esperienza che fanno gli scia-mani quando comunicano con gli spiriti, esperien-za che ritroviamo non solo tra i !Kung, ma in moltialtri popoli che hanno religioni sciamaniche. Per en-trare in contatto con gli spiriti gli sciamani hannobisogno di entrare in uno stato di trance, una condi-zione psichica particolare caratterizzata da insensi-bilità o scarsa sensibilità agli stimoli e da alterazio-ni della coscienza. Dall’esterno lo stato di trancepuò essere impressionante, come fa capire la de-scrizione che ne fa Piers Vitebsky (1995), antropo-logo di Cambridge: «tremori, brividi, pelle d’oca,svenimenti, perdita dell’equilibrio, sbadigli, letar-gia, convulsioni, occhi sbarrati, insensibilità al ca-lore, al freddo e al dolore, contrazioni inconsulte,ansiti, sguardo vitreo». Lo stato di trance viene in-dotto a volte ricorrendo a droghe. Gli sciamani!Kung cadono in trance trovando la concentrazionedopo il frastuono e la confusione di una danza.Durante lo stato di trance ci sono i sogni, nei qualilo sciamano incontra gli spiriti, ci dialoga e in qual-che modo ne sfrutta i poteri. Nelle concezioni scia-maniche i sogni non sono prodotti della mente, maesperienze reali alle quali chi sogna assiste. Quan-do sogniamo, una nostra anima – nelle tradizionisciamaniche ogni uomo ne ha due o anche più – sistacca dal corpo e vaga, mentre un’altra resta econtinua a coordinare le funzioni vitali. Lo stato di

trance serve a creare le condizioni in cui un’animapuò uscire dal corpo e incontrare gli spiriti. Lo scia-mano non è altro che un individuo naturalmentepredisposto e opportunamente addestrato, che rie-sce ad accedere al mondo soprannaturale.Se l’antropologo pensasse che gli sciamani nonsperimentano davvero ciò che dicono di sperimen-tare e liquidasse le esperienze sciamaniche comemesse in scena, si farebbe portare fuori strada dasbrigativi giudizi etnocentrici. L’antropologo dà fi-ducia agli sciamani e a chi crede negli sciamani. Sifa raccontare le esperienze e le ricostruisce cosìcome le vedono gli interessati. A questo punto pe-rò può consultare la nostra scienza occidentale eservirsene per capire meglio quelle esperienze. Lapsicologia di oggi è arrivata alla conclusione che isogni sono prodotti dalla mente quando è oziosa.Se non ci sono stimoli da elaborare, come abitual-mente accade nel sonno, la mente comincia a cer-care informazioni nella memoria. Prende poi le in-formazioni che ha pescato e le mette assieme percostruire narrazioni, che mette in scena con im-magini e suoni. Fatto interessante, noi sogniamoabitualmente durante il sonno, ma possiamo so-gnare anche senza dormire. È sufficiente essereabbastanza allenati per farlo. Lo sciamano non so-lo è allenato, ma ha anche una parte di memoriaattiva, pronta all’uso. La preparazione dello scia-mano infatti consiste anche nel fare conoscenzadel mondo degli spiriti, il che vuol dire creare unbagaglio di memoria a riguardo. Ecco che siamo ingrado di dare una lettura dell’esperienza sciama-nica a partire dalle nostre cognizioni scientifiche,senza bisogno di liquidarle come falsità. Possiamo andare oltre. Gli sciamani di solito han-no un discreto successo nelle loro previsioni: adesempio, gli sciamani !Kung riescono a dire dovesi trova la preda dei cacciatori con una precisioneirraggiungibile tirando a indovinare. La nostrascienza lo dimostra dati alla mano. Inoltre spiegache, proprio perché non partecipa alle battute dicaccia, lo sciamano non è dentro gli schemi deglialtri cacciatori, il che gli dà un vantaggio mentale. Un’ultima osservazione può aiutarci a liberarci del-l’etnocentrismo. Tra noi circola un’idea popolaresui sogni, derivata dalla psicanalisi: che nel sognoemerga l’inconscio. Questa convinzione non è poitanto diversa dalla sciamanica: si accede sempre aun altro mondo, solo che è l’inconscio, anzichè ilsoprannaturale.

3.2 La visione dall’alto. Lo sguardo antropologico, oltre che dalla distanza, è ca-ratterizzato da una visione dall’alto: l’antropologo cerca di non perdere la visione pano-ramica delle culture che studia. Quando analizza un particolare, lo inserisce sempre nelcomplesso della cultura. Ad esempio, studiando le condizioni di vita dei !Kung, l’antro-pologo non si limita a considerare come si procurano il cibo, quel che mangiano e i benidi cui dispongono, ma collega questi aspetti della loro vita con l’organizzazione del tem-po, i modi abituali d’impiegare il tempo libero, la salute, il fatto che non ci sia accumulodi beni, che l’avidità venga socialmente scoraggiata e via dicendo (par. 1).

La visione dall’alto è utile, perché fa cogliere collegamenti che altrimenti sfuggirebberoe perché a volte smaschera false convinzioni. Non appena inseriamo le disponibilità ma-teriali dei !Kung nel loro sistema di vita, diventa difficile considerarli gente che vive mi-seramente. Si fa strada l’idea che abbiano un’altra forma di benessere, basata sulla stra-tegia di chiedere poco (par. 1.11).

La visione dall’alto deriva dal fatto che gli studi classici di antropologia sono staticondotti su culture di piccole dimensioni, che si potevano studiare con facilità nel lo-ro complesso. I cacciatori-raccoglitori, ad esempio, vivono in bande, gruppi nomadi,che al più arrivano a qualche centinaio di persone. I primi antropologi erano a tuttocampo e quando studiavano un popolo ne esaminavano tutti gli aspetti. Oggi gli an-tropologi tendono a essere specialisti, esperti, ad esempio, di parentela o di politica odi religione, e a studiare popoli grandi, che non si riesce ad abbracciare per intero. Èrimasta però la tendenza a guardare le cose dall’alto.

3.3 La comparazione. Gli antropologi, quando studiano la cultura di un po-polo, fanno sempre confronti con quelle di altri popoli e mettono in evidenza somi-glianze e differenze. Se confrontiamo il sistema di vita dei !Kung con quello di altricacciatori-raccoglitori, scopriamo che la struttura delle bande, le famiglie, i sistemiper procurarsi il cibo e molti altri aspetti sono sostanzialmente gli stessi. Troviamoperò anche differenze.

Ad esempio, gli Aborigeni australiani (etnoprofilo, pp. 103 s.) hanno una culturamateriale in parte diversa: non hanno capanne, ma tettoie per proteggersi dalla piog-gia, usano il boomerang e hanno molti meno oggetti da portarsi dietro quando si spo-stano. Usano bere tè caldo, preparato mettendo sassi bollenti nell’acqua dove le erbesono in infusione. Non mantengono lo stesso nome per tutta la vita, ma lo cambianospesso, ogni volta che acquisiscono un’abilità nuova. Hanno molti più riti e cerimo-nie e una visione magico-religiosa più complessa. Quando gli Aborigeni vivevano an-cora isolati, più della metà dei bambini, a causa di condizioni igienico-ambientali, mo-riva nel primo anno di vita. Perciò gli Aborigeni tendono a fare molti più figli, media-mente sette per famiglia, contro i due o tre dei !Kung.

Possiamo confrontare i !Kung non solo con altri cacciatori-raccoglitori, ma anchecon popoli dalla cultura completamente diversa. Nella descrizione delle pagine pre-cedenti abbiamo fatto confronti con i nostri attuali sistemi di vita. Attraverso i con-fronti gli antropologi cercano di capire senso e ragioni di questo o quell’aspetto del-le culture che studiano. Le comparazioni permettono anche di trarre conclusioni divalore generale su certi aspetti della vita umana. Ad esempio, notare che la famigliac’è dappertutto, anche tra i cacciatori-raccoglitori, falsifica l’idea che sia un prodottostorico (par. 1.11). L’egualitarismo dei cacciatori-raccoglitori, grazie al confronto con

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 37

Che cosa significa chel’antropologo guarda le culture dall’alto?

Gli antropologimettono a confronto le varie culture chestudiano?

popoli socialmente più organizzati, ci ha fatto capire che più c’è organizzazione so-ciale, più c’è disuguaglianza e che il più alto grado di disuguaglianza si raggiungedove si producono più beni di quanto strettamente necessario e c’è un’organizza-zione politica statale.

4. Il punto di arrivo: la consapevolezza antropologica

4.1 Capire l’uomo nella sua dimensione culturale. Gli antropologipartono dallo studio delle culture dei vari popoli della Terra, ma il loro obiettivo ultimo nonè limitarsi a descriverle. L’antropologo vuole arrivare a capire l’uomo nella sua dimensio-ne culturale. Perciò la disciplina si chiama antropologia, termine che vuol dire per l’ap-punto “studio dell’uomo” (dal greco ánthropos = uomo e lógos = discorso, conoscenza). Mache cosa vuol dire conoscere l’uomo nella sua dimensione culturale?

L’antropologia culturale mette in evidenza che ognuno nasce e vive dentro una cultura. È tipico dell’uomo nascere e vivere in una determinata cultura. Per gli animali non è così.Nel regno animale ci sono forme di cultura, ma non c’è quella grande varietà di cultureche caratterizza l’umanità (Scheda 1). Neppure accade che le culture si trasformino rapi-damente o che culture assai diverse entrino in contatto e influiscano profondamente l’unasull’altra. Uno scimpanzé vive molto semplicemente nella cultura degli scimpanzé e nongli può capitare di confrontarsi con migliaia di culture diverse di scimpanzé.

4.2 Tollerare le diversità. Ognuna delle innumerevoli culture umane ha una sualogica. La cultura di un popolo deriva da aggiustamenti che nel tempo hanno portato quelpopolo ad adattarsi all’ambiente e alle condizioni in cui vive. Perciò quel sistema di vita hasenso per quel popolo, con quel passato, che vive in quel luogo e in quel tempo.

Gli antropologi sanno che ogni cultura ha una sua logica e cercano di comprenderla.Questo li rende tolleranti verso le diversità che incontrano. Sono pronti ad accettare ideee comportamenti diversi dai propri, perché sono animati da curiosità e vogliono capireprima di giudicare. Perciò gli antropologi evitano espressioni come “popoli selvaggi” o“barbari” o “primitivi” per indicare popoli come i !Kung. Preferiscono espressioni più sem-plici e rispettose, come “popoli diversi da noi” o “lontani da noi” o “altre culture”.

Essere tolleranti non vuol dire necessariamente rinunciare a valutare quel che è meglioe quel che è peggio. Un antropologo può tranquillamente pensare che la pace sia megliodella guerra o che una vita sana sia meglio di una vita misera. Siamo stati contenti di sco-prire che i !Kung non vivevano poi tanto male e un po’ ci è dispiaciuto venire a sapere chestanno andando incontro a cambiamenti culturali incerti e forse problematici. Valutare ilmeglio e il peggio consente all’antropologo di partecipare anche a programmi per cambiarela vita di certi popoli, offrendo loro condizioni migliori.

Tollerare per l’antropologo vuol dire privilegiare la conoscenza della cultura che si hadavanti e mettere da parte i pregiudizi. Anche se alcuni antropologi l’hanno sposato, i piùsono contrari al relativismo culturale, cioè all’idea che tutti i modelli di vita siano ugua-li, da mettere sullo stesso piano e che ci si debba astenere da qualsiasi valutazione.

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE38 MODULO 1

Che cosa vuoleottenere l’antropologo

impegnandosi nello studio

delle varie culture?

Che cosa vuol dire che gli antropologi

sono tolleranti nei riguardi

delle diversità?

4.3 Superare l’etnocentrismo. Col loro sforzo di capire l’uomo nella sua di-mensione culturale, gli antropologi cercano di superare l’etnocentrismo. Per etnocen-trismo (dal greco éthnos = popolo) s’intende la tendenza a considerare il proprio popo-lo al centro del mondo e ad esaminare e giudicare le altre culture secondo gli schemi diriferimento derivati dalla propria. Automaticamente prendiamo come giusti e umana-mente autentici i comportamenti e le convinzioni della nostra cultura, mentre finiamo percriticare, svalutare, ritenere inferiori, rifiutare quelli degli altri. Stentiamo anche a com-prendere effettivamente ciò che pensano e fanno quelli che non sono come noi, perchéelaboriamo interpretazioni e spiegazioni distorte, basate sui nostri criteri.

Mostrandoci l’uomo nella sua dimensione culturale, l’antropologia culturale ci aiuta asuperare l’etnocentrismo. Ci fa capire come mai siamo etnocentrici. Siamo nati e cresciu-ti nella nostra cultura, abbiamo fatto nostro quel sistema di vita al punto da considerarloil modo in cui vive l’uomo. Perciò finiamo per credere di essere noi i veri rappresentantidell’umanità. È normale che sia così: la forza della cultura sta proprio nel fatto di influireprofondamente sulle persone che ci vivono dentro.

Stiamo però trascurando un fatto, che diventa subito chiaro non appena ricordiamoche ogni uomo nasce e vive dentro una propria cultura. Se fossimo nati e cresciuti inun’altra cultura, ad esempio tra i !Kung, quei modi di vivere che a prima vista possonosembrarci selvaggi, sarebbero i nostri.

L’antropologia culturale contiene un patrimonio di grande valore pedagogico per gli uo-mini di oggi. Con l’intensificarsi delle comunicazioni, dei contatti, degli scambi e delle mi-grazioni, entriamo sempre più spesso in rapporto con culture diverse dalla nostra. Riusci-re a superare l’etnocentrismo e imparare a essere tolleranti, senza rinunciare a valutare ciòche è bene e ciò che è male, è una virtù dei tempi nostri.

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 39

Che cos’èl’etnocentrismo?

Come l’antropologia lo fa superare?

Se stiamo pensando di liquidarel’etnocentrismo come un modo dipensare vergognoso, vuol dire chenon abbiamo ancora consapevo-lezza antropologica e in un certosenso siamo etnocentrici. Gli an-tropologi hanno messo in eviden-za che l’etnocentrismo è univer-sale: si ritrova in tutti i popoli del-la Terra. In vari popoli si manifestacon evidenza nei nomi adoperatiper designare se stessi e gli altri.Spesso ci si chiama con paroleche vogliono dire “l’umanità”, “gliuomini”, “il popolo”, come se gli

altri non fossero uomini e non for-massero un popolo. Sono comunitermini che vogliono dire “noi”,per sottolineare l’estraneità deglialtri. Dai popoli vicini invece siviene chiamati a volte con nomidi animali o comunque meno lu-singhieri. Ad esempio, i Mundu-rucú chiamano se stessi “Weydié-nie”, che vuol dire “noi”, mentrea chiamarli Mundurucú sono i Pa-rintintin, un popolo vicino. Mun-durucú, il termine che è entratoin uso in antropologia, vuol dire“formiche”.

L’etnocentrismo si ritrova dapper-tutto perché l’individuo si identifi-ca nella cultura in cui cresce. Que-sto fatto è importante, perché cosìl’individuo si sente a suo agio nel-la propria cultura, vi si muove age-volmente e ha l’impressione che lasua vita sia un valore. Tuttavia puòessere fonte di difficoltà, quandosi entra in rapporto con gente di al-tre culture. Il termine è stato co-niato all’inizio del Novecento daWilliam Graham Sumner, preoccu-pato delle manifestazioni di intol-leranza e razzismo negli USA.

approfondiamo

Comprendere l’etnocentrismo

MODULO 1

dalle paroleai concetti

• Alleanze matrimoniali. Coaliz-zazione tra gruppi basata su matri-moni tra sposi appartenenti all’unoe all’altro. Come ha messo in evi-denza l’antropologo Lévi-Strauss,consentono un’organizzazione neipopoli (➞) che non hanno un pote-re centrale statale. Tra i !Kung con-tribuiscono a tenere unite le bande(➞) di una tribù (➞).

• Banda. Organizzazione sociale ti-pica delle società nomadi di caccia-tori- raccoglitori (➞), costituita dapic coli gruppi (da qualche decina aqualche centinaia di persone), for-mati da famiglie con aggregate per-sone sole. Le bande hanno compo-sizione fluida, si spostano restandoall’interno di un proprio territorio,afferiscono a tribù (➞) e, sebbenepossano avere capi (➞), prendonole decisioni di interesse collettivo inmodo partecipativo, solitamente inassemblee.

• Cacciatori-raccoglitori. Espres-sione adoperata per indicare queipopoli (➞) che sfruttano risorse ali-mentari offerte dalla natura senzainterventi tesi a piegare questa alleproprie esigenze di rifornimento,quali l’allevamento del bestiame ol’agricoltura.

• Capi. Con questo termine si indi-cano solitamente quegli individui aiquali viene riconosciuta un’autorità,ma che la esercitano senza che unastruttura politica organizzata con-

ferisca loro potere. Compiti e fun-zioni dei capi variano da cultura acultura. Tra i cacciatori-raccoglitori(➞) sono molto limitati.

• Cultura. È l’oggetto di studio del-l’antropologia culturale. Edward Ty-lor, uno dei fondatori della discipli-na, la definisce «quell’insieme com-plesso che include la conoscenza, lecredenze, l’arte, la morale, il diritto, ilcostume, e qualsiasi altra capacità eabitudine acquisita dall’uomo co-me membro di una società». La no-zione antropologica di cultura si di-scosta da quella del linguaggio co-mune, dove il termine è sinonimodi “erudizione” e richiama alla men-te un sapere elitario, che contrap-pone “colti” e “incolti”. Prima ancorache fosse adottata dagli antropo-logi, la nozione antropologica dicultura era stata proposta, già nelSettecento, da studiosi tedeschi,che intendevano mettere in di-scussione l’idea che il modo dipensare e di fare delle persone dot-te fosse superiore. La definizione diTylor è tutto sommato attuale, an-che se dà scarso rilievo alla culturamateriale, fatta di comportamentie cose concrete, tralascia la ten-denza a riprodursi e fa riferimentoalla società, anziché al popolo (➞).

• Diffusione. Processo attraverso ilquale componenti di una culturapassano ad un’altra. Può avvenire inconseguenza di un contatto cultu-rale, quando popoli vicini entrano

in rapporto, o per effetto di flussimigratori, se persone di una culturasi trasferiscono nell’altra. La diffu-sione, assieme all’innovazione (➞),è un meccanismo di cambiamentoculturale.

• Emico/etico. Termini coniati dallinguista Kenneth Pike per indicarela tendenza a capire le esperienzedal punto di vista soggettivo di chile vive o a partire dai criteri di chi leosserva. In antropologia i due orien-tamenti di fatto vanno combinati,altrimenti si rischia di cadere o nelrelativismo culturale (➞) o in unasorta di cecità da etnocentrismo(➞).

• Endogamìa di tribù. Si chiamacosì la regola, vigente presso i!Kung, per cui ci si sposa con perso-ne della stessa tribù (➞), seppure dibande (➞) diverse, nel rispetto del-la esogamìa di banda (➞).

• Esogamìa di banda. Si chiamacosì la regola, vigente presso i!Kung, per cui ci si sposa con perso-ne di altre bande (➞), sebbene del-la stessa tribù (➞), nel rispetto del-l’endogamìa di tribù (➞).

• Etnocentrismo. Termine intro-dotto da William Graham Sumnerper indicare la tendenza a interpre-tare e giudicare la cultura altrui inbase ai criteri della propria. Anchese va superato, bisogna tener pre-sente che rappresenta una tenden-za generale dei popoli (➞). Il termi-

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE40

ATTENZIONE

AL COLORE

le parole in blu

sono presenti nell’unità,quelle in arancione

sono nuove

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 41

ne si applica anche ai rapporti trasubculture (➞).

• Innovazione. Processo di intro-duzione in una cultura di un ele-mento nuovo (uno strumento,un’idea, un comportamento ecc.),dovuto al fatto che l’elemento nuo-vo viene inventato e l’invenzione si diffonde. Com’è stato sottolinea-to, l’invenzione non è soltanto qual-cosa di sporadico, ma avviene co-stantemente nella vita di una cultu-ra, ogni volta che ci si discosta daimodi di pensare e di fare conven-zionali. In questo senso in una cul-tura c’è un costante rapporto dina-mico tra ’invenzione e convenzione.Assieme alla diffusione (➞) è unodei meccanismi di cambiamentoculturale.

• Parenti onomastici. Presso i!Kung sono quelle persone dellastessa banda (➞) o di altre bandedella tribù (➞) che portano lo stes-so nome, a prescindere dai legamidi sangue.

• Popolo. In antropologia sta a in-dicare un gruppo umano accomu-nato da lingua, tradizioni, organiz-zazione sociale, produzioni simbo-liche e abitudini di vita, da unastessa cultura (➞). Anche se il con-cetto di popolo, come giustamenteè stato osservato da Fredrik Barth, èun’astrazione che implica qualcheforzatura, generalmente è usato da-gli antropologi per isolare le cultureche studiano. Nel linguaggio co-mune il termine è usato anche in al-tri sensi, come equivalente di “na-zione” o di popolazione di uno Sta-to o per indicare categorie sociali (“il popolo dei poveri”, “il popolo dellepartite IVA”).

• Relativismo culturale. Detto an-che determinismo culturale, è unaprospettiva maturata nella primametà del Novecento, specie ad ope-ra di Franz Boas, come reazione a

certa antropologia del XIX secolo,improntata all’etnocentrismo (➞).Sostiene che le manifestazioni diuna cultura (➞) hanno senso e pos-sono essere comprese solo nel con-testo di quella cultura, in quantoculturalmente determinate (di quil’espressione “determinismo cultu-rale”). L’antropologo dovrebbe as-sumere perciò un orientamentoemico (➞). Al relativismo si opponeil razionalismo, secondo il quale esi-stono principi e modi di ragionareuniversali, che possono essere usa-ti per confrontare le diverse culture.Il relativismo, al pari dell’orienta-mento emico, se estremizzato, di-venta insostenibile. Se ogni cosa sicapisce solo dall’interno, dal mo-mento che non apparteniamo allacultura che stiamo studiando, nonabbiamo speranza di capirla. Le no-stre descrizioni diventano illusioni.

• Residenza virilocale. Si chiamacosì la regola, vigente presso i!Kung, per cui gli sposi vanno a vi-vere nella banda (➞) del marito.

• Rito. Procedura standardizzata eripetitiva, che di solito s’inserisce al-l’interno di feste o attività di culto,ma che può essere anche indipen-dente dalla religione, come nel casodella spartizione della carne pressoi !Kung. La pratica ha valore simbo-lico: rafforza nei membri della co-munità sentimenti e convinzionicondivise e consente di comunica-re conoscenze ed esperienze.

• Sciamanesimo. Forma di religio-ne magica basata sul potere di co-municare con le potenze sopranna-turali attribuito allo sciamano.

• Sciamano. Dal tunguso (linguaaltaica della Siberia orientale) shaman, il termine indica un indi-viduo cui viene riconosciuta la spe-ciale abilità di entrare in comuni-cazione con spiriti e potenze so-prannaturali e che la esercita per

fini pratici, a beneficio degli altri edella collettività, abitualmentesenza essere un operatore religio-so professionale. Lo sciamano èl’unico operatore del sacro tra i cacciatori-raccoglitori (➞) e in altresocietà semplici, ma si ritrova an-che nelle società complesse, dovesono presenti sacche di sciamane-simo (in particolare in Siberia, inNord Europa, nelle Americhe, in In-dia, Australia, Africa centrale e me-ridionale).

• Subcultura (o sottocultura). È ilsistema di vita di un gruppo che inparte diverge dal sistema di vita do-minante nella società più ampia.Quando una subcultura è in oppo-sizione alla cultura dominante, siparla di controcultura. Lo studiodelle subculture è divenuto rilevan-te in antropologia quando gli an-tropologi hanno cominciato a stu-diare le società complesse.

• Tribù. Nell’organizzazione socialedi popoli di cacciatori-raccoglitoricome i !Kung il termine indica un in-sieme di bande (➞), che hanno unatradizione comune e sono tenuteinsieme anche da legami di paren-tela e da flussi migratori interni. Inantropologia culturale il termineperò è stato usato in sensi diversi,senza una definizione precisa. Ge-neralmente indica, come nel casodei cacciatori-raccoglitori, un’orga-nizzazione sociale priva di un pote-re centrale di tipo statale. Il termineè stato usato anche in senso più la-to, per indicare qualsiasi comunitàpriva di un’unità politica. Nell’Africacoloniale si è in passato esageratonell’individuare tribù all’interno del-le società e dei popoli. L’idea che cifossero comunità tribali ben distin-te ha portato le amministrazioni co-loniali a commettere errori di ge-stione, sottovalutando gli stretti le-gami tra le diverse comunità.

riepilogo

leggere qui aiuta la memoria e fa risparmiare lavoro

❯❯❯ Sintesiaudio

MODULO 1

❯❯❯ Gli antropologi hanno potuto ricostruire lacultura tradizionale dei !Kung, Boscimani del Kala-hari che vivono di caccia e raccolta, quando ancoranon era stata contaminata. Come altri cacciatori- raccoglitori, hanno una tipica organizzazione so-ciale in bande nomadi, collegate tra loro a formarela tribù. Le bande sono piccole (40-50 persone) ehanno composizione variabile, perché persone efamiglie passano frequentemente da una banda al-l’altra. Elastici sono anche i confini del territorio en-tro il quale la banda si muove. La tribù è tenuta in-sieme da alleanze matrimoniali tra bande e da le-gami tra persone con lo stesso nome, che vengonoassimilati alla parentela.

❯❯❯ I !Kung si procurano da mangiare soprattuttocon la raccolta (di vegetali, uova e piccoli animali),che copre il 60-80% del fabbisogno di cibo ed è ef-fettuata ogni giorno dalle donne. La caccia, che sipratica una o due volte a settimana, è rigorosa-mente riservata agli uomini. Sebbene conti menoai fini della nutrizione, è caricata di un senso e diun valore particolari, per via della spartizione del-la carne. La selvaggina catturata viene divisa se-condo un preciso cerimoniale e questo rito serve arafforzare il principio di reciprocità, secondo il qua-le ci si aiuta a vicenda, ognuno può contare sullasolidarietà del gruppo e tutti possono conseguen-temente sperare in una sussistenza sicura, anche senon si mettono da parte scorte di cibo. Le donnenella raccolta e gli uomini nella caccia mostranograndi abilità, in particolare le prime nel discerne-re tra varietà di vegetali, gli altri nell’interpretare letracce degli animali. Tolti raccolta, caccia e altri im-pegni, i !Kung hanno molto tempo libero: grossomodo un’ottantina di ore a settimana, molto più diun uomo delle nostre civiltà. Nel tempo libero cu-rano i rapporti sociali, il divertimento e i riti.

❯❯❯ I !Kung sono monogami. Sono i genitori a de-cidere con chi i figli si sposano, seguendo regole sta-bilite, che contribuiscono a tenere unite le bandedella tribù: ci si sposa con persone di un’altra banda

(esogamìa di banda) e della stessa tribù (endogamìadi tribù). Così sono possibili alleanze matrimoniali frale bande. A tenere unite le bande concorrono peral-tro anche i movimenti migratori interni alla tribù. Lacoppia va a vivere nella banda del marito (residenzavirilocale), ma può migrare per periodi presso la ban-da della moglie. Le separazioni, che di solito avven-gono nei primi anni, sono caratteristicamente cor-diali, senza conflittualità. La famiglia è nucleare, for-mata da genitori e figli. Le madri allevano i figli e seli portano dietro nelle spedizioni di raccolta fin versoi 4-5 anni, giacché fino a questa età li allattano. I bam-bini più grandi restano nell’accampamento, dovehanno modo di ricevere istruzione dagli adulti, spe-cie dai più anziani. I !Kung hanno un regime demo-grafico stazionario, cioè con una popolazione chenon cresce. Ottengono questo risultato perché ledonne hanno in media 2 o 3 figli. Le donne !Kung so-no per costituzione poco prolifiche, ma a ridurre ilnumero di figli è l’allattamento prolungato, che di-viene un tradizionale sistema di controllo delle na-scite. I !Kung godono di buona salute e hanno unavita media paragonabile a quella raggiunta nelle ci-viltà statali grazie ai progressi della medicina.

❯❯❯ La società !Kung è egualitaria, nel senso che c’èuno spiccato senso di parità. I !Kung hanno vari si-stemi per evitare che qualcuno emerga e rivendichiuna posizione di superiorità, dalle donazioni reci-proche al deridere chi acquista prestigio, per merita-to che sia. Ci sono sfumature di disuguaglianza uo-mo-donna, legate soprattutto al fatto che la caccia èriservata ai maschi e gode di grande considerazione,anche per il suo valore simbolico. Peraltro le donnehanno peso nella società e a loro e agli anziani spet-ta la decisione ultima nelle assemblee. Oltre cheegualitaria, la società dei !Kung è pacifica. Le guerresono più che altro messe in scena in cui difficilmen-te ci si fa male. Vari sistemi di pacificazione servonoa stemperare i conflitti.

❯❯❯ La religione !Kung è sciamanica. Lo sciamano ca-de in trance e nel sogno entra in comunicazione con

L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE42

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 43

gli spiriti, che gli dicono dove si trova la preda che icacciatori cercano o come curare una malattia. L’arte siesprime nella musica, nella danza, nella fabbricazionedi ornamenti e nei disegni decorativi delle stoffe.Questi ultimi sono tipici di società di cacciatori- raccoglitori, con geometrie ripetitive, simmetriche esenza delimitazioni, che suggeriscono parità, equili-brio e libertà. Lo studio antropologico di un popolocome i !Kung suggerisce numerosi spunti di rifles-sione, specie se facciamo il confronto con altri popolie con la nostra cultura. Gli antropologi fin dall’iniziosono rimasti impressionati dalla qualità di vita e dairapporti cordiali, cosa che contraddice palesementel’idea, a lungo dominante nella tradizione occiden-tale, che la vita di chi vive in società semplici sia mi-sera e piena di conflitti.

❯❯❯ L’antropologia culturale studia le culture deivari popoli della Terra. Per cultura s’intende l’insie-me delle convinzioni e dei comportamenti degli ap-partenenti a un popolo. La cultura è formata dacomponenti sia materiali sia simboliche ed è uncomplesso organico, un sistema di vita. Tende a per-petuarsi, anche se di fatto cambia per effetto di dif-fusione e innovazione, cioè attraverso i contatti conaltre culture e le riorganizzazioni che avvengonodall’interno. In antropologia ha un certo peso il con-cetto di popolo, giacché gli antropologi tendono ariferire a popoli le culture che studiano. In passato

questo è stato possibile perché gli antropologi stu-diavano popoli di piccole dimensioni effettivamen-te unitari. Da quando gli antropologi si sono inte-ressati a società complesse e multietniche, è dive-nuto più difficile mantenere il riferimento ai popoli.L’interesse degli antropologi si è spostato sulle sub-culture, cioè sui sistemi di vita di gruppi che vivonoall’interno di società più ampie, come gli abitantidelle baraccopoli o i barboni.

❯❯❯ Che studi la cultura di un popolo di piccole di-mensioni o che s’interessi a una società complessa oa una subcultura all’interno di una società comples-sa, l’antropologo adotta un tipico approccio: ha unosguardo antropologico. Questo è caratterizzato dal-la distanza, cioè dallo sforzo di rispettare la diversitàsenza ridurla ai nostri schemi. C’è poi la visione dal-l’alto, che fa cogliere l’insieme e la rete di collega-menti tra gli elementi della cultura. L’antropologotende anche a fare comparazioni tra culture diverse,cosa che permette di cogliere somiglianze e diffe-renze e anche di arrivare a conclusioni di caratteregenerale. La ricerca antropologica consente di co-gliere la diversità delle culture umane, cosa che, oltrea essere di grande interesse di per sé, ha un enormevalore pedagogico, specie nel mondo di oggi. Inse-gna a tollerare le diversità e a superare l’etnocentri-smo, cioè la tendenza a interpretare e giudicare glialtri a partire dai nostri schemi.

MODULO 1 L’UOMO NELLA SUA DIMENSIONE CULTURALE44

1. In una banda !Kung le decisioni di interesse collettivovengono prese dal capo Q e

2. I matrimoni contribuiscono a tenere unita la tribù dei!Kung Q e

3. Dopo un’abbondante raccolta i !Kung mettono daparte il cibo che avanza Q e

4. Per i !Kung non esistono i nostri concetti di lavoro etempo libero Q e

5. La carne viene spartita tra i componenti della banda secondo una precisa procedura Q e

6. Quando si sposano i !Kung vanno a vivere nella stes-sa capanna dei genitori del marito Q e

7. I !Kung hanno bisogno di espandere i propri territori in

quanto la loro popolazione cresce Q e

8. I !Kung sono poligami Q e

9. Per gli antropologi la cultura coincide con gli aspettisimbolici del sistema di vita di un popolo Q e

10. Se un popolo resta isolato, la sua cultura sicuramentenon cambia Q e

11. Tra gli antropologi c’è accordo sul fatto che nello stu-dio di culture diverse occorre attenersi a un approc-cio rigorosamente emico Q e

12. Tra i !Kung l’avidità

�a non esiste�b è sfrenata�c esiste, ma è tenuta sotto controllo

1. I nostri antenati preistorici vivevano miseramenteQ e

2. Senza un’autorità che la controlla, la vita associata degliuomini è per forza lotta senza quartiere Q e

3. Ci sono popoli senza territorio Q e

4. Abitudini di altri popoli, che ci sembrano sicuramenteassurde, per noi sarebbero ovvie e naturali, se fossi-mo nati lì Q e

1. Il brano che segue, tratto da un libro di Marvin Harris, noto antropologo statunitense, mostra attraverso un esempiocome in antropologia si adoperano orientamento emico ed etico (“Etico ed emico in antropologia: che cos’è il sognodello sciamano?”, pp. 35 s.):

L’esempio seguente dimostra quanto sia importante la differenza tra disciplina emica ed etica […] Nel distretto

di Trivandrum, dello stato di Kerala nel sud dell’India, gli allevatori asserivano che non avrebbero mai delibe-

ratamente abbreviato la vita di uno dei loro animali […] riaffermando in tal modo la tradizionale proibizione

confronta le risposte date qui con quelle date prima di aver studiato p. 10

soluzioni p. 384

❯❯❯ Controlla se hai cambiato idea

❯❯❯ Verifica la preparazione

esercizi

❯❯❯ Prova ad applicare

Eserciziinterattivi

comprendere e interpretare testi - applicareconcetti e schemi

verso le competenze

UNITÀ 1 ANTROPOLOGIA E STUDIO DELLA CULTURA 45

hindu circa l’uccisione dei bovini. Tuttavia, tra gli allevatori di Kerala l’indice di mortalità dei vitelli maschi è cir-

ca il doppio di quello delle femmine […] Gli stessi allevatori sono consapevoli che i maschi tendono a morire

più delle femmine […] «I maschi si ammalano più spesso» – dicono. Richiesti di spiegare perché questi si am-

malino più frequentemente, alcuni allevatori ipotizzano che essi mangino meno delle femmine. Infine, am-

mettono anche che i maschi mangiano meno perché non gli viene permesso di succhiare dai capezzoli della

madre per più di pochi secondi. Ma nessuno oserebbe affermare che, essendovi scarsa richiesta di animali da

traino nel Kerala, i maschi sono eliminati […] L’emica della situazione consiste nel fatto che nessuno abbre-

vierebbe scientemente o di buon grado la vita di un vitello. Gli allevatori continuano a sostenere che ognuno

di essi ha “diritto alla vita” indipendentemente dal sesso, ma l’etica di questa situazione sta nel fatto che i rap-

porti numerici dei bovini, a seconda del sesso, sono sistematicamente adattati ai bisogni dell’ecologia e del-

l’economia locali, attraverso un “bovicidio” prevalentemente maschile. Anche se gli indesiderati vitelli non ven-

gono soppressi, molti di essi sono più o meno affamati a morte.

da M. Harris, Antropologia culturale, Zanichelli, Bologna 1990 (trad. it. di V. Trifari)

• Come viene visto il bovicidio dei maschi in ottica emica, assumendo il punto di vista degli allevatori? • Come viene visto dall’antropologo quando adotta l’approccio etico? • A ben guardare, analisi emica ed etica s’intrecciano in un movimento a spirale. Il confronto tra infor-

mazioni ricavate con orientamento emico e informazioni ricavate con orientamento etico permette diandare più a fondo e comprendere meglio il fenomeno culturale in esame. Prova a ricostruire i pas-saggi di questo processo d’indagine.

2. Nell’immagine qui sotto vediamo una scena di vita dei !Kung. Non sappiamo che cosa è accaduto, mavediamo che la moglie è in atteggiamento al tempo stesso severo e comprensivo verso il marito ai suoipiedi. Notiamo anche che ci sono spettatori. Prova a interpretare la scena alla luce di quanto hai studiatoa proposito della vita matrimoniale dei !Kung, dei rapporti tra i sessi e del controllo sociale dei conflit-ti (parr. 1.5, 1.8-9]