Il processo della collana - liberliber.it · di Rohan, moglie del conte d'Angoulême, avo di...

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QUESTO E-BOOK:

TITOLO: Il processo della collanaAUTORE: Funck Brentano, FrantzTRADUTTORE: Nessi, A.CURATORE: NOTE: CODICE ISBN E-BOOK: n. d.

DIRITTI D'AUTORE: no

LICENZA: questo testo è distribuito con la licenzaspecificata al seguente indirizzo Internet:http://www.liberliber.it/online/opere/libri/licenze/

COPERTINA: n. d.

TRATTO DA: Il processo della collana : secondo nuovidocumenti raccolti in parte da A. Begis / FrantzFunck-Brentano. - Milano : Athena, \192.?. - 328 p.,\12! c. di tav. : ill. ; 17 cm.

CODICE ISBN FONTE: n. d.

1a EDIZIONE ELETTRONICA DEL: 13 giugno 2018

INDICE DI AFFIDABILITA': 1

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TRATTO DA: Il processo della collana : secondo nuovidocumenti raccolti in parte da A. Begis / FrantzFunck-Brentano. - Milano : Athena, \192.?. - 328 p.,\12! c. di tav. : ill. ; 17 cm.

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0: affidabilità bassa 1: affidabilità standard 2: affidabilità buona 3: affidabilità ottima

SOGGETTO:HIS013000 STORIA / Europa / Francia

DIGITALIZZAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

REVISIONE:Paolo Oliva, [email protected]

IMPAGINAZIONE:Paolo Alberti, [email protected]

PUBBLICAZIONE:Catia Righi, [email protected]

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4ISULLA SOGLIA DELLACATTEDRALE DI STRASBURGO............................11II.IL PRINCIPE LUIGI....................................................15III.L'AMBASCIATA DI VIENNA....................................21IV.MARIA TERESA.........................................................30V.MARIA ANTONIETTA...............................................35VI.GIOVANNA DI VALOIS.............................................56VII.IL CONTE DE LA MOTTE.........................................67VIII.AL CASTELLO DI SAVERNE...................................75IX.CAGLIOSTRO.............................................................81X.MISERIA DI GIOVANNA DI VALOIS.....................103XI.ATTORNO ALLA CORTE.........................................111

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Indice generale

Liber Liber......................................................................4ISULLA SOGLIA DELLACATTEDRALE DI STRASBURGO............................11II.IL PRINCIPE LUIGI....................................................15III.L'AMBASCIATA DI VIENNA....................................21IV.MARIA TERESA.........................................................30V.MARIA ANTONIETTA...............................................35VI.GIOVANNA DI VALOIS.............................................56VII.IL CONTE DE LA MOTTE.........................................67VIII.AL CASTELLO DI SAVERNE...................................75IX.CAGLIOSTRO.............................................................81X.MISERIA DI GIOVANNA DI VALOIS.....................103XI.ATTORNO ALLA CORTE.........................................111

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XII.IL PERSONALE DI CASA DELLA CONTESSA.. . .117XIII.IL DOLORE DEL CARDINALE DI ROHAN..........122XIV.IL FAVORE DELLA REGINA..................................133XV.LA BARONESSA D'OLIVA......................................139XVI.IL BOSCHETTO DI VENERE..................................144XVII.PRIMI EFFETTI DELLE GRAZIE REGALI............149XVIII.ENIGMA DELICATO................................................156XIX.LA COLLANA...........................................................161XX.UN SUPPLEMENTODELLE «MILLE E UNA NOTTE»...........................170XXI.BETTE D'ETIENVILLEBORGHESE DI SAINT-OMER.................................179XXIIIL FIDANZAMENTODEL BARONE DI FAGES.........................................195XXIII.LO SCOPPIO DELLA FOLGORE............................202

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XII.IL PERSONALE DI CASA DELLA CONTESSA.. . .117XIII.IL DOLORE DEL CARDINALE DI ROHAN..........122XIV.IL FAVORE DELLA REGINA..................................133XV.LA BARONESSA D'OLIVA......................................139XVI.IL BOSCHETTO DI VENERE..................................144XVII.PRIMI EFFETTI DELLE GRAZIE REGALI............149XVIII.ENIGMA DELICATO................................................156XIX.LA COLLANA...........................................................161XX.UN SUPPLEMENTODELLE «MILLE E UNA NOTTE»...........................170XXI.BETTE D'ETIENVILLEBORGHESE DI SAINT-OMER.................................179XXIIIL FIDANZAMENTODEL BARONE DI FAGES.........................................195XXIII.LO SCOPPIO DELLA FOLGORE............................202

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XXIV.«FANGO SUL PASTORALEE SULLO SCETTRO»...............................................223XXV.LA BASTIGLIA.........................................................233XXVI.I PRELIMINARI DEL GIUDIZIO.............................247XXVII.CORRISPONDENZA CLANDESTINA...................259XXVIII.LA DIFESA E I DIFENSORI.....................................263XXIX.«LE ULTIME NOVITÀ! LE ULTIME NOVITÀ»....274XXX.PRIMA DEL GIUDIZIO............................................278XXXI.LA SIGNORA CAGLIOSTRO IN LIBERTÀ...........284XXXII.IL GIUDIZIO..............................................................287XXXIII.TRIONFO POPOLARE.............................................302XXXIV.IL DOLORE DELLA REGINA.................................305XXXVI MAGISTRATI..........................................................308XXXVI.ORDINI D'ESILIO.....................................................313XXXVII.BETTE D'ETIENVILLE ROMANZIERE.................318

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XXIV.«FANGO SUL PASTORALEE SULLO SCETTRO»...............................................223XXV.LA BASTIGLIA.........................................................233XXVI.I PRELIMINARI DEL GIUDIZIO.............................247XXVII.CORRISPONDENZA CLANDESTINA...................259XXVIII.LA DIFESA E I DIFENSORI.....................................263XXIX.«LE ULTIME NOVITÀ! LE ULTIME NOVITÀ»....274XXX.PRIMA DEL GIUDIZIO............................................278XXXI.LA SIGNORA CAGLIOSTRO IN LIBERTÀ...........284XXXII.IL GIUDIZIO..............................................................287XXXIII.TRIONFO POPOLARE.............................................302XXXIV.IL DOLORE DELLA REGINA.................................305XXXVI MAGISTRATI..........................................................308XXXVI.ORDINI D'ESILIO.....................................................313XXXVII.BETTE D'ETIENVILLE ROMANZIERE.................318

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XXXVIII.L'ESECUZIONE DELLA SENTENZA.....................323XXXIX.IL CREDITO DELLA COLLANA............................329

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XXXVIII.L'ESECUZIONE DELLA SENTENZA.....................323XXXIX.IL CREDITO DELLA COLLANA............................329

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FRANTZ FUNCK-BRENTANO

ILPROCESSO DELLA COLLANA

SECONDO NUOVI DOCUMENTI

raccolti in parte da A. Bégis

Con 12 illustrazioni1

1 Il volume contiene in realtà soltanto 6 illustrazioni [nota perl’edizione elettronica Manuzio].

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FRANTZ FUNCK-BRENTANO

ILPROCESSO DELLA COLLANA

SECONDO NUOVI DOCUMENTI

raccolti in parte da A. Bégis

Con 12 illustrazioni1

1 Il volume contiene in realtà soltanto 6 illustrazioni [nota perl’edizione elettronica Manuzio].

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Al mio caro Maestro

Alberto Sorel

Avevo lasciato appena i banchi della scuola e già voiguidavate i miei sforzi con la vostra autorità e con unabenevolenza che mai potrò dimenticare. Non avete maicessato di seguirmi nella mia modesta carriera, sorreg-gendomi coi vostri incoraggiamenti. E avevo davantiagli occhi e ho tuttora l'esempio che con tanta semplici-tà e tanta larghezza ci viene dalla vostra vita consacra-ta alla scienza, alla letteratura in ciò che ha di miglioree di più nobile, e all'amore della patria.

Con riconoscenza e rispetto, ho l'onore di essere ilvostro allievo devotissimo

Frantz Funck-Brentano.

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Al mio caro Maestro

Alberto Sorel

Avevo lasciato appena i banchi della scuola e già voiguidavate i miei sforzi con la vostra autorità e con unabenevolenza che mai potrò dimenticare. Non avete maicessato di seguirmi nella mia modesta carriera, sorreg-gendomi coi vostri incoraggiamenti. E avevo davantiagli occhi e ho tuttora l'esempio che con tanta semplici-tà e tanta larghezza ci viene dalla vostra vita consacra-ta alla scienza, alla letteratura in ciò che ha di miglioree di più nobile, e all'amore della patria.

Con riconoscenza e rispetto, ho l'onore di essere ilvostro allievo devotissimo

Frantz Funck-Brentano.

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ISULLA SOGLIA DELLA

CATTEDRALE DI STRASBURGO.

Il 19 aprile 1770, l'arciduchessa Maria Antonietta, fi-glia dell'imperatrice regina Maria Teresa, sposava perprocura, nella chiesa degli Agostini di Vienna, Luigi, ni-pote di Luigi XV, diventato per la morte di suo padreerede della corona di Francia. Essa non aveva ancoraquindici anni. Il 21 aprile, lasciò l'Austria, accompagna-ta dal principe Stahremberg. Passando da Strasburgo, l'8maggio, venne arringata da un giovane prelato, il vesco-vo coadiutore della diocesi, il principe Luigi di Rohan.Sotto l'alto portone della cattedrale, Luigi di Rohan siavanzò incontro alla delfina salutando con grazia disin-volta e leggiera. Dietro a lui, stavano i dignitari laici edecclesiastici del capitolo: il principe Ferdinando di Ro-han, arcivescovo di Bordeaux, grande podestà; il princi-pe di Lorena, gran decano; il vescovo di Tournai, i dueconti di Truchsess, i conti di Salm e di Manderscheid, i

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ISULLA SOGLIA DELLA

CATTEDRALE DI STRASBURGO.

Il 19 aprile 1770, l'arciduchessa Maria Antonietta, fi-glia dell'imperatrice regina Maria Teresa, sposava perprocura, nella chiesa degli Agostini di Vienna, Luigi, ni-pote di Luigi XV, diventato per la morte di suo padreerede della corona di Francia. Essa non aveva ancoraquindici anni. Il 21 aprile, lasciò l'Austria, accompagna-ta dal principe Stahremberg. Passando da Strasburgo, l'8maggio, venne arringata da un giovane prelato, il vesco-vo coadiutore della diocesi, il principe Luigi di Rohan.Sotto l'alto portone della cattedrale, Luigi di Rohan siavanzò incontro alla delfina salutando con grazia disin-volta e leggiera. Dietro a lui, stavano i dignitari laici edecclesiastici del capitolo: il principe Ferdinando di Ro-han, arcivescovo di Bordeaux, grande podestà; il princi-pe di Lorena, gran decano; il vescovo di Tournai, i dueconti di Truchsess, i conti di Salm e di Manderscheid, i

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tre principi di Hohenlohe, i due conti di Königseck, ilprincipe Guglielmo di Salm; poi il gruppo dei canoniciin rocchetto e in mantellina, usciti da quelle casette cheattorniano la cattedrale come gli angeli seduti ai piedidella Vergine nei quadri dei primi pittori cristiani.

Luigi di Rohan aveva una figura snella e slanciata.Nel portamento e nell'andatura, ogni movimento tradivain lui l'aristocrazia della razza. I lineamenti erano finis-simi, fini come lo sguardo, d'un azzurro limpido, ch'era,insieme, cauto e carezzevole. Aveva quasi una bellezzafemminile nella lunga veste d'amoerro viola, ricadentein pieghe alla Watteau, sotto la spuma leggiera del puntod'Inghilterra. La mitra d'oro e di pietre preziose glisplendeva sulla fronte; e in dito l'anello episcopale.

Nella chiarità del cielo la freccia acuta della cattedra-le lanciava il ricamo delle sue pietre rosse. Dalle grandiporte spalancate fiammeggiava, in fondo alla navata, ilgioiello dei vetri a mille colori luminosi; e l'armoniabrillante degli organi, in onde sonore, inondava il sacrorecinto, allargava la piazza. Erano come ventate rumoro-se che s'ingolfavano giù per le strade frammischiandosialle acclamazioni della folla; perchè il popolo si pigiavafin sui gradini del tempio ed era accorso da tutti i puntidella provincia nei costumi paesani, vestiario festivo;massa animata, variopinta, in cui il verde dei corpettiera d'una tinta fresca e decisa come il verde dei prati e ibiondi capelli delle ragazze luccicavano d'uno splendoremoderato e dolce sotto i larghi nastri neri.

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tre principi di Hohenlohe, i due conti di Königseck, ilprincipe Guglielmo di Salm; poi il gruppo dei canoniciin rocchetto e in mantellina, usciti da quelle casette cheattorniano la cattedrale come gli angeli seduti ai piedidella Vergine nei quadri dei primi pittori cristiani.

Luigi di Rohan aveva una figura snella e slanciata.Nel portamento e nell'andatura, ogni movimento tradivain lui l'aristocrazia della razza. I lineamenti erano finis-simi, fini come lo sguardo, d'un azzurro limpido, ch'era,insieme, cauto e carezzevole. Aveva quasi una bellezzafemminile nella lunga veste d'amoerro viola, ricadentein pieghe alla Watteau, sotto la spuma leggiera del puntod'Inghilterra. La mitra d'oro e di pietre preziose glisplendeva sulla fronte; e in dito l'anello episcopale.

Nella chiarità del cielo la freccia acuta della cattedra-le lanciava il ricamo delle sue pietre rosse. Dalle grandiporte spalancate fiammeggiava, in fondo alla navata, ilgioiello dei vetri a mille colori luminosi; e l'armoniabrillante degli organi, in onde sonore, inondava il sacrorecinto, allargava la piazza. Erano come ventate rumoro-se che s'ingolfavano giù per le strade frammischiandosialle acclamazioni della folla; perchè il popolo si pigiavafin sui gradini del tempio ed era accorso da tutti i puntidella provincia nei costumi paesani, vestiario festivo;massa animata, variopinta, in cui il verde dei corpettiera d'una tinta fresca e decisa come il verde dei prati e ibiondi capelli delle ragazze luccicavano d'uno splendoremoderato e dolce sotto i larghi nastri neri.

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Gli organi tacquero e il prelato disse con voce chiarae penetrante che la solennità della circostanza facevaleggermente tremare: «Voi state per essere fra noi, Si-gnora, l'immagine vivente di quella imperatrice dilettache forma da lungo tempo l'ammirazione dell'Europacome lo sarà dei posteri. È l'anima di Maria Teresa chesta per unirsi all'anima dei Borboni».

La piccola principessa ebbe un attimo d'emozione.Due lagrime inumidirono le sue guance, fattesi più ro-see, una luce le passò sulla fronte. Provava ancoral'angoscia degli ultimi abbracci, gli ultimi abbracci disua madre lasciata così lontano. L'aveva abbandonata,per sempre forse; ed era ancora una bambina. Maria An-tonietta adorava la madre che aveva vegliato sulla suaeducazione con la forza dell'intelligenza e tutta la tene-rezza del cuore; ed ecco all'evocazione di quel prelatosconosciuto, dal volto così grazioso, chiaro e come tra-sparente nella gloria della sua acconciatura, fra i cantisacri e le volute bianche dell'incenso, apparirle l'imma-gine venerata. Maria Antonietta, con la testa china e ilseno un po' ansante, entrò sotto le alte navate dove ilrombo dei grandi organi ricominciava ad echeggiare.

La truppa formava una doppia siepe al suo passaggio.La delfina giunse al coro centrale a' piè del quale stava-no i Cento Svizzeri in uniformi variegate. Davantiall'altare di San Lorenzo, accerchiato dalle guardie delcorpo, un inginocchiatoio l'aspettava. Essa vi si inginoc-chiò mentre le dame della sua corte si allineavano suglisgabelli. E Rohan, prima di mettersi sotto il baldacchino

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Gli organi tacquero e il prelato disse con voce chiarae penetrante che la solennità della circostanza facevaleggermente tremare: «Voi state per essere fra noi, Si-gnora, l'immagine vivente di quella imperatrice dilettache forma da lungo tempo l'ammirazione dell'Europacome lo sarà dei posteri. È l'anima di Maria Teresa chesta per unirsi all'anima dei Borboni».

La piccola principessa ebbe un attimo d'emozione.Due lagrime inumidirono le sue guance, fattesi più ro-see, una luce le passò sulla fronte. Provava ancoral'angoscia degli ultimi abbracci, gli ultimi abbracci disua madre lasciata così lontano. L'aveva abbandonata,per sempre forse; ed era ancora una bambina. Maria An-tonietta adorava la madre che aveva vegliato sulla suaeducazione con la forza dell'intelligenza e tutta la tene-rezza del cuore; ed ecco all'evocazione di quel prelatosconosciuto, dal volto così grazioso, chiaro e come tra-sparente nella gloria della sua acconciatura, fra i cantisacri e le volute bianche dell'incenso, apparirle l'imma-gine venerata. Maria Antonietta, con la testa china e ilseno un po' ansante, entrò sotto le alte navate dove ilrombo dei grandi organi ricominciava ad echeggiare.

La truppa formava una doppia siepe al suo passaggio.La delfina giunse al coro centrale a' piè del quale stava-no i Cento Svizzeri in uniformi variegate. Davantiall'altare di San Lorenzo, accerchiato dalle guardie delcorpo, un inginocchiatoio l'aspettava. Essa vi si inginoc-chiò mentre le dame della sua corte si allineavano suglisgabelli. E Rohan, prima di mettersi sotto il baldacchino

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pontificale, volgendosi verso la bimba china, la benedis-se con gesto largo e tranquillo. Dall'alto del coro le arpefacevano piovere sulle fredde lastre della chiesa le loronote argentine. La messa cominciò.

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pontificale, volgendosi verso la bimba china, la benedis-se con gesto largo e tranquillo. Dall'alto del coro le arpefacevano piovere sulle fredde lastre della chiesa le loronote argentine. La messa cominciò.

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II.IL PRINCIPE LUIGI.

Alla Corte di Francia, la giovine e graziosa Delfinavenne accolta con magnificenza; ma da Compiègne o daVersailles essa s'informò più di una volta del bel prelatod'Alsazia che, al suo arrivo in terra francese, aveva su-scitato in lei una emozione così viva. Nel suo palazzo diSaverne, presso Strasburgo, circondato dalla nobiltà edalle più belle donne della provincia, il principe Luigi,come lo chiamarono fino al giorno in cui indossò la por-pora cardinalizia, faceva la vita d'un signore feudale. Acavallo, seguito dalle mute urlanti, lungo le pianure, neiboschi, dava la caccia alla volpe e al cinghiale. Nellesale del palazzo, i vini del Reno e d'Ungheria scorreva-no a fiotti e interi capretti venivano serviti sulle mense.

Il duca d'Aiguillon, sostenuto dall'onnipotente favori-ta del re Luigi XV, Giovanna Benedetta Vaubernier,contessa du Barry, era stato di recente eletto ministro.Egli era devoto all'illustre famiglia dei Rohan-Soubise,

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II.IL PRINCIPE LUIGI.

Alla Corte di Francia, la giovine e graziosa Delfinavenne accolta con magnificenza; ma da Compiègne o daVersailles essa s'informò più di una volta del bel prelatod'Alsazia che, al suo arrivo in terra francese, aveva su-scitato in lei una emozione così viva. Nel suo palazzo diSaverne, presso Strasburgo, circondato dalla nobiltà edalle più belle donne della provincia, il principe Luigi,come lo chiamarono fino al giorno in cui indossò la por-pora cardinalizia, faceva la vita d'un signore feudale. Acavallo, seguito dalle mute urlanti, lungo le pianure, neiboschi, dava la caccia alla volpe e al cinghiale. Nellesale del palazzo, i vini del Reno e d'Ungheria scorreva-no a fiotti e interi capretti venivano serviti sulle mense.

Il duca d'Aiguillon, sostenuto dall'onnipotente favori-ta del re Luigi XV, Giovanna Benedetta Vaubernier,contessa du Barry, era stato di recente eletto ministro.Egli era devoto all'illustre famiglia dei Rohan-Soubise,

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influentissima a Corte, sopratutto per la situazione diM.me de Marsan, governante dei Figli di Francia.

Il 9 giugno 1771, Maria Antonietta scriveva alla ma-dre, Maria Teresa: «Dicono che è il coadiutore di Stra-sburgo che deve venire a Vienna come ambasciatore. Èdi grandissimo casato, ma la vita che ha sempre tenutosomiglia piuttosto a quella d'un soldato che non a quelladi un coadiutore».

Il conte di Mercy-Argenteau, rappresentante della co-rona d'Austria presso il re di Francia, e, consigliere fe-delissimo di Maria Teresa, stava per diventare quello diMaria Antonietta.

Scriveva dal canto suo: «Questo ecclesiastico è inte-ramente ligio alla combriccola della contessa du Barry edel d'Aiguillon, e temo che non sia il solo inconvenienteche lo rende poco adatto al posto destinatogli».

I Rohan si dicevano discendenti dell'antica casa so-vrana di Brettagna, essendo venuti in Francia con Anna,la piccola «duchessa in zoccoli» che sposò Carlo VIII.Erano attinenti al ramo dei Valois per mezzo di Caterinadi Rohan, moglie del conte d'Angoulême, avo di France-sco I; erano imparentati coi Borboni stessi per parte diEnrico IV, abbiatico d'una Rohan che aveva sposato ilduca d'Albret, re di Navarra. I Rohan erano tutt'uno coiprincipi di Lorena, a parità con loro, immediatamentedopo i principi del sangue.

Il principe Luigi di Rohan era nato nel 1734. Nel1760 era stato nominato coadiutore del vescovo di Stra-sburgo e consacrato l'anno medesimo vescovo di Cano-

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influentissima a Corte, sopratutto per la situazione diM.me de Marsan, governante dei Figli di Francia.

Il 9 giugno 1771, Maria Antonietta scriveva alla ma-dre, Maria Teresa: «Dicono che è il coadiutore di Stra-sburgo che deve venire a Vienna come ambasciatore. Èdi grandissimo casato, ma la vita che ha sempre tenutosomiglia piuttosto a quella d'un soldato che non a quelladi un coadiutore».

Il conte di Mercy-Argenteau, rappresentante della co-rona d'Austria presso il re di Francia, e, consigliere fe-delissimo di Maria Teresa, stava per diventare quello diMaria Antonietta.

Scriveva dal canto suo: «Questo ecclesiastico è inte-ramente ligio alla combriccola della contessa du Barry edel d'Aiguillon, e temo che non sia il solo inconvenienteche lo rende poco adatto al posto destinatogli».

I Rohan si dicevano discendenti dell'antica casa so-vrana di Brettagna, essendo venuti in Francia con Anna,la piccola «duchessa in zoccoli» che sposò Carlo VIII.Erano attinenti al ramo dei Valois per mezzo di Caterinadi Rohan, moglie del conte d'Angoulême, avo di France-sco I; erano imparentati coi Borboni stessi per parte diEnrico IV, abbiatico d'una Rohan che aveva sposato ilduca d'Albret, re di Navarra. I Rohan erano tutt'uno coiprincipi di Lorena, a parità con loro, immediatamentedopo i principi del sangue.

Il principe Luigi di Rohan era nato nel 1734. Nel1760 era stato nominato coadiutore del vescovo di Stra-sburgo e consacrato l'anno medesimo vescovo di Cano-

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pe in partibus. Dotato per natura di molti pregi, era unfiore finissimo dell'aristocrazia, come ne producono leciviltà raffinate nei loro più delicati prodotti. Avevamolto cuore e molto spirito e un'eleganza sottile di cui ladignità ecclesiastica metteva in risalto l'incanto singola-re «una galanteria e una compitezza da gran signore –dice la baronessa d'Oberkirch – che ho raramente incon-trato in altri». Era stato ricevuto membro dell'Accade-mia francese a ventisette anni e, fra tanti nomi illustri,figurava con onore. Nessuno aveva una conversazionepiù simpatica della sua. Gli Immortali si dichiaravanoentusiasti della sua compagnia. Un cuore «sensibile»come dicevano i contemporanei, e una grande sostanzagli permettevano di fare il bene largamente. Lo facevacon buona grazia e spirito giocondo. Più tardi, dopo cheuna catastrofe terribile l'ebbe atterrato, trovò, nell'avver-sità, delle persone che si ricordarono delle sue qualitàsimpatiche e degli scrittori per ripeterlo forte. Manuelnel suo Guardia del corpo, un libello ingiurioso che fecemolto chiasso e fu citato in giudizio dietro richiesta deiRohan, ne traccia il ritratto: «Ha davvero buon cuore. Èaltero ma non troppo. Trattandolo da monsignore, si ot-tiene da lui ciò che si vuole. Generoso oltre ogni dire,avrebbe a suo favore mille episodii che sarebbe dovero-so pubblicare. Sarebbe questa l'ora, o mai più. Ma lagente tace. La riconoscenza è muta, la calunnia ha centovoci. Rendere servizio è una bella cosa: ma a chi? Sem-pre a degli ingrati! E poi, fate ancora del bene. Eccoperchè pochi si curano di farne!».

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pe in partibus. Dotato per natura di molti pregi, era unfiore finissimo dell'aristocrazia, come ne producono leciviltà raffinate nei loro più delicati prodotti. Avevamolto cuore e molto spirito e un'eleganza sottile di cui ladignità ecclesiastica metteva in risalto l'incanto singola-re «una galanteria e una compitezza da gran signore –dice la baronessa d'Oberkirch – che ho raramente incon-trato in altri». Era stato ricevuto membro dell'Accade-mia francese a ventisette anni e, fra tanti nomi illustri,figurava con onore. Nessuno aveva una conversazionepiù simpatica della sua. Gli Immortali si dichiaravanoentusiasti della sua compagnia. Un cuore «sensibile»come dicevano i contemporanei, e una grande sostanzagli permettevano di fare il bene largamente. Lo facevacon buona grazia e spirito giocondo. Più tardi, dopo cheuna catastrofe terribile l'ebbe atterrato, trovò, nell'avver-sità, delle persone che si ricordarono delle sue qualitàsimpatiche e degli scrittori per ripeterlo forte. Manuelnel suo Guardia del corpo, un libello ingiurioso che fecemolto chiasso e fu citato in giudizio dietro richiesta deiRohan, ne traccia il ritratto: «Ha davvero buon cuore. Èaltero ma non troppo. Trattandolo da monsignore, si ot-tiene da lui ciò che si vuole. Generoso oltre ogni dire,avrebbe a suo favore mille episodii che sarebbe dovero-so pubblicare. Sarebbe questa l'ora, o mai più. Ma lagente tace. La riconoscenza è muta, la calunnia ha centovoci. Rendere servizio è una bella cosa: ma a chi? Sem-pre a degli ingrati! E poi, fate ancora del bene. Eccoperchè pochi si curano di farne!».

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Fra questi episodii «che sarebbe doveroso pubblica-re», citiamo il seguente.

Il principe Luigi teneva tavola bandita, a Saverne. Unpovero cavaliere di San Luigi venne a sedervisi; ma nonavea, come avevano gli altri, una moneta d'argento dafar scivolare sotto il tovagliolo per il valletto che servi-va. E il valletto si affrettava a segnalare al principequell'ospite miserevole che giungeva senz'essere invita-to. Rohan ordinò di farlo sedere, la volta seguente, ac-canto a lui: onore che fece meravigliare il cavaliere; macostui non tardò ad indovinare la malizia dalla faccia delservo. Del resto, tutto andava bene quando, sulla finedel pasto, il principe, che s'occupava di magìa, chiese aun tratto:

— Quanti diavoli conoscete?— Tre, monsignore.— Tre?— Un povero diavolo che trova da mangiare da un

buon diavolo, ma che un cattivo diavolo ha voluto met-tere nell'imbarazzo.

Rohan, contento della risposta, annunziò che la posa-ta del cavaliere d'ora innanzi ci sarebbe stata sempre allasua mensa.

Citiamone un altro.A Saverne, Rohan ospitava talvolta fino a duecento

invitati, la stessa notte, oltre la servitù. Una signora mol-to bella, accompagnata da un giovane ufficiale, essendovenuta in visita, il principe trattenne ambedue. Ma undomestico venne ad avvertirlo che non c'era più posto.

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Fra questi episodii «che sarebbe doveroso pubblica-re», citiamo il seguente.

Il principe Luigi teneva tavola bandita, a Saverne. Unpovero cavaliere di San Luigi venne a sedervisi; ma nonavea, come avevano gli altri, una moneta d'argento dafar scivolare sotto il tovagliolo per il valletto che servi-va. E il valletto si affrettava a segnalare al principequell'ospite miserevole che giungeva senz'essere invita-to. Rohan ordinò di farlo sedere, la volta seguente, ac-canto a lui: onore che fece meravigliare il cavaliere; macostui non tardò ad indovinare la malizia dalla faccia delservo. Del resto, tutto andava bene quando, sulla finedel pasto, il principe, che s'occupava di magìa, chiese aun tratto:

— Quanti diavoli conoscete?— Tre, monsignore.— Tre?— Un povero diavolo che trova da mangiare da un

buon diavolo, ma che un cattivo diavolo ha voluto met-tere nell'imbarazzo.

Rohan, contento della risposta, annunziò che la posa-ta del cavaliere d'ora innanzi ci sarebbe stata sempre allasua mensa.

Citiamone un altro.A Saverne, Rohan ospitava talvolta fino a duecento

invitati, la stessa notte, oltre la servitù. Una signora mol-to bella, accompagnata da un giovane ufficiale, essendovenuta in visita, il principe trattenne ambedue. Ma undomestico venne ad avvertirlo che non c'era più posto.

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« — Di' un po': l'appartamento dei bagni è occupato?— No, monsignore.— Non vi sono dentro due letti?— Sì, monsignore, ma nella stessa stanza; e

quell'ufficiale...— Ebbene? non sono forse venuti insieme? È la gente

di cervello corto come voialtri che vede tutto in male.Vedrete che staranno benone. Non c'è da obiettare pro-prio niente».

E infatti «stettero benone» e non «obiettarono proprioniente» nè l'ufficiale, nè la signora.

Si accusava Luigi di Rohan di essere leggiero, difettodella sua casta e della sua educazione; da ciò proveniva,d'altronde, la piacevolezza del suo spirito. «Dovrebbecalzare delle buone suole di piombo – prosegue Manuel– e coprirsi la nuca con una buona calotta di piombo:era la precauzione del leggiero Philotas per non trovarsiin balìa d'ogni vento».

«Era affabile e compito – dice un altro libellista – magli capitava troppo spesso, come succede a un grande, dinon piegarsi alle maniere premurose degli altri. Dotatod'un cervello attivo e pronto, afferrava le idee prima chefossero espresse, figurandosi già tutto quello che appenacominciava a dire la lingua pesante d'un arringatore; esubito stanco dell'attenzione che richiedevano da lui, in-disponeva per il poco peso che dava alle cose a cui glialtri ne davano di più. Sempre tacciato dagli inferiori digiudicare troppo leggermente perchè i suoi giudizi eranotroppo rapidi e le conclusioni anche se giustissime, non

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« — Di' un po': l'appartamento dei bagni è occupato?— No, monsignore.— Non vi sono dentro due letti?— Sì, monsignore, ma nella stessa stanza; e

quell'ufficiale...— Ebbene? non sono forse venuti insieme? È la gente

di cervello corto come voialtri che vede tutto in male.Vedrete che staranno benone. Non c'è da obiettare pro-prio niente».

E infatti «stettero benone» e non «obiettarono proprioniente» nè l'ufficiale, nè la signora.

Si accusava Luigi di Rohan di essere leggiero, difettodella sua casta e della sua educazione; da ciò proveniva,d'altronde, la piacevolezza del suo spirito. «Dovrebbecalzare delle buone suole di piombo – prosegue Manuel– e coprirsi la nuca con una buona calotta di piombo:era la precauzione del leggiero Philotas per non trovarsiin balìa d'ogni vento».

«Era affabile e compito – dice un altro libellista – magli capitava troppo spesso, come succede a un grande, dinon piegarsi alle maniere premurose degli altri. Dotatod'un cervello attivo e pronto, afferrava le idee prima chefossero espresse, figurandosi già tutto quello che appenacominciava a dire la lingua pesante d'un arringatore; esubito stanco dell'attenzione che richiedevano da lui, in-disponeva per il poco peso che dava alle cose a cui glialtri ne davano di più. Sempre tacciato dagli inferiori digiudicare troppo leggermente perchè i suoi giudizi eranotroppo rapidi e le conclusioni anche se giustissime, non

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erano favorevoli a tutti, egli vedeva le proprie qualitàbrillanti, a cui non s'era curato di dare la forma che oc-correva perchè apparissero seducenti per se stesse, con-tribuire a screditarlo e servire da arma contro di lui».

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erano favorevoli a tutti, egli vedeva le proprie qualitàbrillanti, a cui non s'era curato di dare la forma che oc-correva perchè apparissero seducenti per se stesse, con-tribuire a screditarlo e servire da arma contro di lui».

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III.L'AMBASCIATA DI VIENNA.

Per allestire la propria ambasciata, Rohan aveva spe-so somme favolose. Due carrozze di gala del valore diquarantamila franchi, dai cuscini di velluto malva conpassamani d'argento, e i grembiuli di cuoio, le cortine eil cappotto foderati di seta bianca: si sarebbero dette del-le lanterne enormi impennacchiate, cesellate da orefici esostenute da molle d'acciaio. L'intera carrozzeria, e per-fino la conca in cui il cocchiere posava i piedi, era di-pinta a stemmi e fiori incorniciati di pietruzze d'oro sul-le lacche lucenti. Una scuderia di cinquanta cavalli, ilcui primo scudiere era brigadiere degli eserciti del re, unsotto-scudiere e due battistrada; sei paggi presi nella no-biltà brettone e alsaziana, vestiti di seta e di velluto a ri-cami, con un governatore per il mestiere delle armi e unprecettore per il latino; due gentiluomini per gli onoridella camera da letto – l'uno era cavaliere di Malta, il se-condo capitano di cavalleria –; sei camerieri, un mag-giordomo, un capo-credenziere vestiti tutti di rosso con

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III.L'AMBASCIATA DI VIENNA.

Per allestire la propria ambasciata, Rohan aveva spe-so somme favolose. Due carrozze di gala del valore diquarantamila franchi, dai cuscini di velluto malva conpassamani d'argento, e i grembiuli di cuoio, le cortine eil cappotto foderati di seta bianca: si sarebbero dette del-le lanterne enormi impennacchiate, cesellate da orefici esostenute da molle d'acciaio. L'intera carrozzeria, e per-fino la conca in cui il cocchiere posava i piedi, era di-pinta a stemmi e fiori incorniciati di pietruzze d'oro sul-le lacche lucenti. Una scuderia di cinquanta cavalli, ilcui primo scudiere era brigadiere degli eserciti del re, unsotto-scudiere e due battistrada; sei paggi presi nella no-biltà brettone e alsaziana, vestiti di seta e di velluto a ri-cami, con un governatore per il mestiere delle armi e unprecettore per il latino; due gentiluomini per gli onoridella camera da letto – l'uno era cavaliere di Malta, il se-condo capitano di cavalleria –; sei camerieri, un mag-giordomo, un capo-credenziere vestiti tutti di rosso con

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passamani sulle cuciture; due domestici vestitiall'ungherese, con alamari e pennacchi; quattro corridorifregiati di ricami d'oro e lustrini d'argento: – ognuno diquesti costumi era costato quattromila lire e scintillavaal sole in un barbaglio fantastico; – dodici domestici inlivrea; due svizzeri, l'uno dei quali, il più magro, per gliappartamenti; e l'altro, molto panciuto, per il serviziodella porta. Accompagnavano i pasti sei musici vestiti discarlatto, con le bottoniere filigranate d'oro fino; poi unintendente di casa, un tesoriere, quattro gentiluominid'ambasciata nominati e brevettati dalla Corte; come se-gretario d'ambasciata, un gesuita; e, per assecondare ilgesuita, quattro segretari-aggiunti.

Maria Teresa non aveva accolto molto favorevolmen-te il nome del nuovo ambasciatore. «Ho motivo di esse-re malcontenta della scelta che la Francia ha fatto d'uncosì pessimo soggetto quale è il coadiutore di Strasbur-go – così scriveva a Mercy Argenteau. – L'avrei forse ri-fiutato se non fossa stata trattenuta dal timore dei guaiche avrebbero potuto ricadere su mia figlia. Ma non tra-lascerete di far capire alla Corte di Francia che sarà beneraccomandare a codesto ambasciatore di tenere una piùsaggia condotta, conforme al suo stato. Vi confesso cheho paura per le nostre donne di qui».

Rohan giunse a Vienna il 10 gennaio 1772. Presentòle sue credenziali il 19. Maria Teresa si meravigliò diprovare a tutta prima un'impressione favorevole. Nescrisse al suo rappresentante di Versailles: «Rohan sipresenta semplicemente e sempre a un modo, senza

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passamani sulle cuciture; due domestici vestitiall'ungherese, con alamari e pennacchi; quattro corridorifregiati di ricami d'oro e lustrini d'argento: – ognuno diquesti costumi era costato quattromila lire e scintillavaal sole in un barbaglio fantastico; – dodici domestici inlivrea; due svizzeri, l'uno dei quali, il più magro, per gliappartamenti; e l'altro, molto panciuto, per il serviziodella porta. Accompagnavano i pasti sei musici vestiti discarlatto, con le bottoniere filigranate d'oro fino; poi unintendente di casa, un tesoriere, quattro gentiluominid'ambasciata nominati e brevettati dalla Corte; come se-gretario d'ambasciata, un gesuita; e, per assecondare ilgesuita, quattro segretari-aggiunti.

Maria Teresa non aveva accolto molto favorevolmen-te il nome del nuovo ambasciatore. «Ho motivo di esse-re malcontenta della scelta che la Francia ha fatto d'uncosì pessimo soggetto quale è il coadiutore di Strasbur-go – così scriveva a Mercy Argenteau. – L'avrei forse ri-fiutato se non fossa stata trattenuta dal timore dei guaiche avrebbero potuto ricadere su mia figlia. Ma non tra-lascerete di far capire alla Corte di Francia che sarà beneraccomandare a codesto ambasciatore di tenere una piùsaggia condotta, conforme al suo stato. Vi confesso cheho paura per le nostre donne di qui».

Rohan giunse a Vienna il 10 gennaio 1772. Presentòle sue credenziali il 19. Maria Teresa si meravigliò diprovare a tutta prima un'impressione favorevole. Nescrisse al suo rappresentante di Versailles: «Rohan sipresenta semplicemente e sempre a un modo, senza

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smorfie nè albagìa, molto compito con tutti quanti. Dap-prima dichiarò di non voler frequentare gli spettacoli;ma poi cambiò d'opinione».

Sgraziatamente, anche Maria Teresa mutò prestod'opinione rispetto al rappresentante del re di Francia,per tornare alle prevenzioni che la sua corrispondenzacon Mercy-Argenteau le aveva ispirata. L'imperatriceera dotata d'un carattere molto semplice e molto diritto;e, profondamente tedesca, prendeva tutto sul serio. Imodi leggieri del prelato, la sua eleganza mondana, isuoi discorsi piacevoli, da cui trapelava una punta diquella galanteria che formava allora il pericoloso splen-dore della Corte di Francia, dapprima la stupirono, poila spaventarono e finirono col farle orrore. Un vescovoche si recava agli inviti della nobiltà del paese in costu-me da caccia – giustacuore verde con alamari d'oro, piu-me di falco a pennacchio sul berretto; – che, nel suo ca-stello sulle rive del Danubio, dono regale della reginad'Ungheria all'ambasciatore di Francia, riceveva in tu-multuose partite di caccia le più illustri famiglie diVienna e in una sola giornata tirava con le proprie manifino a 1328 colpi di fucile; un prete che assisteva in ac-conciatura brillante ai balli mascherati e vi riceveva dal-la principessa d'Auersperg – in costume d'«ebrea ricca»– un portafogli tutto ricamato d'oro; un prelato che,nell'ambasciata stessa, organizzava delle cene a tavoliniper le dame della Corte e non si peritava di rivolgereloro, nel modo più gentile, i complimenti più melati –

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smorfie nè albagìa, molto compito con tutti quanti. Dap-prima dichiarò di non voler frequentare gli spettacoli;ma poi cambiò d'opinione».

Sgraziatamente, anche Maria Teresa mutò prestod'opinione rispetto al rappresentante del re di Francia,per tornare alle prevenzioni che la sua corrispondenzacon Mercy-Argenteau le aveva ispirata. L'imperatriceera dotata d'un carattere molto semplice e molto diritto;e, profondamente tedesca, prendeva tutto sul serio. Imodi leggieri del prelato, la sua eleganza mondana, isuoi discorsi piacevoli, da cui trapelava una punta diquella galanteria che formava allora il pericoloso splen-dore della Corte di Francia, dapprima la stupirono, poila spaventarono e finirono col farle orrore. Un vescovoche si recava agli inviti della nobiltà del paese in costu-me da caccia – giustacuore verde con alamari d'oro, piu-me di falco a pennacchio sul berretto; – che, nel suo ca-stello sulle rive del Danubio, dono regale della reginad'Ungheria all'ambasciatore di Francia, riceveva in tu-multuose partite di caccia le più illustri famiglie diVienna e in una sola giornata tirava con le proprie manifino a 1328 colpi di fucile; un prete che assisteva in ac-conciatura brillante ai balli mascherati e vi riceveva dal-la principessa d'Auersperg – in costume d'«ebrea ricca»– un portafogli tutto ricamato d'oro; un prelato che,nell'ambasciata stessa, organizzava delle cene a tavoliniper le dame della Corte e non si peritava di rivolgereloro, nel modo più gentile, i complimenti più melati –

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sembrava alla pia sovrana un rappresentante del demo-nio piuttosto che quello del Re Cristianissimo.

«Il 7 settembre 1773 – scrive uno de' suoi ufficiali – ilprincipe di Rohan diede una caccia al cervo. Oltre varisignori, vi assistettero la principessa di Lichnowska, lecontesse di Bergen e di Diethichstein. Si fu molto alle-gri. Siccome la caccia finì tardi, fummo sorpresi dallanotte e da un temporale. Le signore, ch'erano giunte in-sieme, si divisero per tornarsene negli equipaggi, dimodo che la principessa di Lichnowska e la contessa diDietrichstein vennero col principe e con me». Non ave-vano fatto cinquanta passi dalla casa del guardiano cheil prelato con i suoi ufficiali e le due signore andavano acadere alla rinfusa in un fossato.

Dal punto di vista morale, c'era una doglianza seria eprecisa da formulare contro il principe Luigi? Maria Te-resa sarebbe stata imbarazzata di dirlo; e qualunque fos-se l'opinione degli storici a tal riguardo fino ad oggi, noinon lo crediamo; ma le apparenze sembravano talmenteabbominevoli all'imperatrice da non lasciarle dubbio,nel suo cervello di donna, che anche il fondo fosse tale.«L'ambasciatore Rohan – scrive quindici giorni dopo ildi lui arrivo – è un grosso volume infarcito di discorsipessimi e ben poco conformi al suo stato ecclesiastico ealtresì di ministro, ch'egli snocciola impudentemente adogni occasione; senza conoscenza degli affari e senzaattitudini sufficienti, con un fondo di leggerezza, di pre-sunzione e di storditezza. La folla del suo seguito è pure

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sembrava alla pia sovrana un rappresentante del demo-nio piuttosto che quello del Re Cristianissimo.

«Il 7 settembre 1773 – scrive uno de' suoi ufficiali – ilprincipe di Rohan diede una caccia al cervo. Oltre varisignori, vi assistettero la principessa di Lichnowska, lecontesse di Bergen e di Diethichstein. Si fu molto alle-gri. Siccome la caccia finì tardi, fummo sorpresi dallanotte e da un temporale. Le signore, ch'erano giunte in-sieme, si divisero per tornarsene negli equipaggi, dimodo che la principessa di Lichnowska e la contessa diDietrichstein vennero col principe e con me». Non ave-vano fatto cinquanta passi dalla casa del guardiano cheil prelato con i suoi ufficiali e le due signore andavano acadere alla rinfusa in un fossato.

Dal punto di vista morale, c'era una doglianza seria eprecisa da formulare contro il principe Luigi? Maria Te-resa sarebbe stata imbarazzata di dirlo; e qualunque fos-se l'opinione degli storici a tal riguardo fino ad oggi, noinon lo crediamo; ma le apparenze sembravano talmenteabbominevoli all'imperatrice da non lasciarle dubbio,nel suo cervello di donna, che anche il fondo fosse tale.«L'ambasciatore Rohan – scrive quindici giorni dopo ildi lui arrivo – è un grosso volume infarcito di discorsipessimi e ben poco conformi al suo stato ecclesiastico ealtresì di ministro, ch'egli snocciola impudentemente adogni occasione; senza conoscenza degli affari e senzaattitudini sufficienti, con un fondo di leggerezza, di pre-sunzione e di storditezza. La folla del suo seguito è pure

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un miscuglio di persone prive di merito e di buoni co-stumi».

E il tempo non fece che accentuare quell'opinione sfa-vorevole, a un punto tale che l'antipatia divenne a pocoa poco nell'imperatrice una specie di odio violento e ar-dente.

A Baden, dove si era recato per i bagni, – a sei legheda Vienna, – il principe Luigi diede una festa popolareall'aria aperta. «Molte signore e molti signori di Viennasono venuti a questa festa. La festa si teneva in due ta-verne bellamente aggiustate con rami d'albero, in fondoalle quali stavano due botti di vino. Accanto alle botti,ceste di pane e di carne che venivano lanciati e sparsidappertutto. Il vino scorreva; chiunque ne volesse nonaveva che da presentarsi con un boccale. Fra quelle ca-supole, c'era un gran pino altissimo, con un vestito com-pleto per chi fosse andato lassù a cercarlo. Questa sortadi alberi vien piallata e unta per accrescere la difficoltà.Dopo che parecchi campioni si furono invano estenuatinella ricerca del bottino, ve ne fu uno che riuscì.L'applaudirono al suono dei timballi e delle trombe.Dopo simile passatempo, si cominciò a rappresentare lacommedia tedesca sopra un teatro eretto per l'occasionee graziosamente addobbato. Le signore e la gente distin-ta stavano in faccia al palco sotto una tenda enorme. Aldi là della tenda, c'era una casetta in cui vennero servitiin abbondanza gelati e rinfreschi. La plebaglia potè assi-stere comodamente alla commedia che finì con tantifuochi d'artifizio vicino all'acqua. Si ballò un po', davan-

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un miscuglio di persone prive di merito e di buoni co-stumi».

E il tempo non fece che accentuare quell'opinione sfa-vorevole, a un punto tale che l'antipatia divenne a pocoa poco nell'imperatrice una specie di odio violento e ar-dente.

A Baden, dove si era recato per i bagni, – a sei legheda Vienna, – il principe Luigi diede una festa popolareall'aria aperta. «Molte signore e molti signori di Viennasono venuti a questa festa. La festa si teneva in due ta-verne bellamente aggiustate con rami d'albero, in fondoalle quali stavano due botti di vino. Accanto alle botti,ceste di pane e di carne che venivano lanciati e sparsidappertutto. Il vino scorreva; chiunque ne volesse nonaveva che da presentarsi con un boccale. Fra quelle ca-supole, c'era un gran pino altissimo, con un vestito com-pleto per chi fosse andato lassù a cercarlo. Questa sortadi alberi vien piallata e unta per accrescere la difficoltà.Dopo che parecchi campioni si furono invano estenuatinella ricerca del bottino, ve ne fu uno che riuscì.L'applaudirono al suono dei timballi e delle trombe.Dopo simile passatempo, si cominciò a rappresentare lacommedia tedesca sopra un teatro eretto per l'occasionee graziosamente addobbato. Le signore e la gente distin-ta stavano in faccia al palco sotto una tenda enorme. Aldi là della tenda, c'era una casetta in cui vennero servitiin abbondanza gelati e rinfreschi. La plebaglia potè assi-stere comodamente alla commedia che finì con tantifuochi d'artifizio vicino all'acqua. Si ballò un po', davan-

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ti a tutti; poi, con le vetture del principe, le signore an-darono a casa sua. Dopo cena si ballò daccapo».

Per poco l'incidente della cena non degenerò in unalite fra l'imperatrice e l'ambasciatore.

Era un'innovazione di Rohan che gli era valsa il piùgran successo. Il giovine prelato radunava in casa suadelle comitive da cento a centocinquanta persone sceltefra le migliori famiglie dell'Austria. Delle tavole di sei oal massimo di otto coperti si moltiplicavano nei bei sa-lotti del palazzo Lichtenstein i cui giardini erano illumi-nati. I convitati si raggruppavano a piacer loro; che gio-condo chiacchierìo fra il tintinnìo della porcellana,dell'argenteria e dei cristalli! Il nostro ambasciatore evi-tava così la monotonìa compassata e silenziosa dellelunghe tavole ufficiali in cui tutti, fino allora, in quelleagapi diplomatiche, s'erano tanto solennemente e diplo-maticamente annoiati. Non ci si deve dunque meravi-gliare se, talvolta, la gaiezza diventava piuttosto rumo-rosa. Era sempre, affermava Rohan, di buon gusto. Lecene erano seguite da giuochi, da danze, da concerti, incui la gioventù – dice l'abate Georgel – godeva sotto gliocchi dei genitori d'un'onesta libertà». Presiedeva Ro-han, con quanto garbo lo si può immaginare. I giuochi ele risa, beavano il prelato, intrecciavano attorno a lui in-trighi d'amore. E siccome la compagnia si divertiva im-mensamente, non usava separarsi che alle ore piccole.Gli inviti alle incantevoli cene del vescovo vennerosempre più ricercati e Maria Teresa fu sempre più con-vinta che l'ambasciatore di Francia «le corrompeva la

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ti a tutti; poi, con le vetture del principe, le signore an-darono a casa sua. Dopo cena si ballò daccapo».

Per poco l'incidente della cena non degenerò in unalite fra l'imperatrice e l'ambasciatore.

Era un'innovazione di Rohan che gli era valsa il piùgran successo. Il giovine prelato radunava in casa suadelle comitive da cento a centocinquanta persone sceltefra le migliori famiglie dell'Austria. Delle tavole di sei oal massimo di otto coperti si moltiplicavano nei bei sa-lotti del palazzo Lichtenstein i cui giardini erano illumi-nati. I convitati si raggruppavano a piacer loro; che gio-condo chiacchierìo fra il tintinnìo della porcellana,dell'argenteria e dei cristalli! Il nostro ambasciatore evi-tava così la monotonìa compassata e silenziosa dellelunghe tavole ufficiali in cui tutti, fino allora, in quelleagapi diplomatiche, s'erano tanto solennemente e diplo-maticamente annoiati. Non ci si deve dunque meravi-gliare se, talvolta, la gaiezza diventava piuttosto rumo-rosa. Era sempre, affermava Rohan, di buon gusto. Lecene erano seguite da giuochi, da danze, da concerti, incui la gioventù – dice l'abate Georgel – godeva sotto gliocchi dei genitori d'un'onesta libertà». Presiedeva Ro-han, con quanto garbo lo si può immaginare. I giuochi ele risa, beavano il prelato, intrecciavano attorno a lui in-trighi d'amore. E siccome la compagnia si divertiva im-mensamente, non usava separarsi che alle ore piccole.Gli inviti alle incantevoli cene del vescovo vennerosempre più ricercati e Maria Teresa fu sempre più con-vinta che l'ambasciatore di Francia «le corrompeva la

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nobiltà». Incaricò il principe di Sassonia – Hildburghan-sen «ai consigli del quale l'età, la posizione, la conside-razione contribuivano a dar peso» di presentare le suerimostranze. Rohan rispose con le più belle maniere delmondo e con perfetta compitezza che la massima decen-za non mancava mai dal presiedere a quelle riunioni;che l'annunzio n'era già stato diramato per tuttoquell'anno e non avrebbero potuto venir sospese senzapericolo di far correre le peggiori voci, tanto riguardoagli ospiti quanti riguardo a lui stesso. «Sua Maestà –diss'egli – è supplicata di voler pesare simili ragioni contutta la sua saggezza e di non volere esigere nulla chepossa recar danno alla riputazione dell'ambasciatore nonmeno che a quella delle prime case di Vienna che glifanno l'onore di frequentare tali assemblee». E le «as-semblee» continuarono come per l'innanzi.

Ciò che irritava maggiormente Maria Teresa, in quel-le discussioni, che avvenivano ora di frequente, erano lemaniere da gran signore di Rohan che gli davano il van-taggio, unitamente alle armi affilatissime del suo spiritomordace. Durante una disputa, avvenne che il personaledell'ambasciatore malmenasse un segretario della Coro-na chiamato Gapp. Maria Teresa impose che i colpevolivenissero arrestati. «Ma i loro colleghi – essa scrive – sisono creduti in dovere di venirli a visitare, per distrarlinella prigionia. Essendosi uno di essi ammalato, Rohanha chiesto di riprenderselo in casa facendolo sostituireda altri due che sarebbero rimasti al posto del colpevole.Tutto questo è accompagnato da un'aria di canzonatura,

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nobiltà». Incaricò il principe di Sassonia – Hildburghan-sen «ai consigli del quale l'età, la posizione, la conside-razione contribuivano a dar peso» di presentare le suerimostranze. Rohan rispose con le più belle maniere delmondo e con perfetta compitezza che la massima decen-za non mancava mai dal presiedere a quelle riunioni;che l'annunzio n'era già stato diramato per tuttoquell'anno e non avrebbero potuto venir sospese senzapericolo di far correre le peggiori voci, tanto riguardoagli ospiti quanti riguardo a lui stesso. «Sua Maestà –diss'egli – è supplicata di voler pesare simili ragioni contutta la sua saggezza e di non volere esigere nulla chepossa recar danno alla riputazione dell'ambasciatore nonmeno che a quella delle prime case di Vienna che glifanno l'onore di frequentare tali assemblee». E le «as-semblee» continuarono come per l'innanzi.

Ciò che irritava maggiormente Maria Teresa, in quel-le discussioni, che avvenivano ora di frequente, erano lemaniere da gran signore di Rohan che gli davano il van-taggio, unitamente alle armi affilatissime del suo spiritomordace. Durante una disputa, avvenne che il personaledell'ambasciatore malmenasse un segretario della Coro-na chiamato Gapp. Maria Teresa impose che i colpevolivenissero arrestati. «Ma i loro colleghi – essa scrive – sisono creduti in dovere di venirli a visitare, per distrarlinella prigionia. Essendosi uno di essi ammalato, Rohanha chiesto di riprenderselo in casa facendolo sostituireda altri due che sarebbero rimasti al posto del colpevole.Tutto questo è accompagnato da un'aria di canzonatura,

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da ironie e impertinenze intollerabili. Ma gli è stato ri-sposto che qui non si usa far subìre agli innocenti il ca-stigo del colpevole e che del resto l'ammalato sarebbestato curato meglio stando agli arresti che non fuori».

Pazienza ancora se, nella cerchia dell'imperatrice, lesue antipatie fossero state condivise! Ma quel diavolo diun vescovo con le sue «buffonate» incantava la gente esi attirava i cuori. La corrispondenza dell'imperatricecon Mercy-Argenteau rigurgita di dispetto. «Le nostredonne – dice – giovani e vecchie, belle e brutte, ne sonostregate. Egli è il loro idolo, le fa sdilinquire, tanto chesi trova benissimo qui e afferma di volerci restare anchedopo la morte di suo zio», (il vescovo titolare di Stra-sburgo). Lo stesso imperatore Giuseppe II, associatodalla madre al trono, sembra conquistato: «All'Impera-tore piace, a dire il vero, d'intrattenersi con lui; ma perfargli dire delle scipitaggini, freddure e buffonate». Per-fino il cancelliere Kaunitz si dichiara affascinato daquell'ambasciatore. L'imperatrice vorrebbe consolarseneriflettendo che ciò avviene «perchè costui non gli dà im-paccio e gli dà prova d'ogni sorta di sottomissione». Èun parlare di donna incollerita. Ma capiva che l'azionedel giovine prelato era più seria di così.

«Essendo questo stesso Rohan – scrive a Mercy il 6novembre 1773 – stato per Sant'Uberto con l'imperatore,costui lo fece sedere a tavola accanto a sè e chiacchieròdue ore di seguito, non so di che; ma ne è risultato undesiderio marcatissimo di andare a Parigi subito dopoPasqua. Il giro, le visite, la vita da fare, tutto venne pre-

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da ironie e impertinenze intollerabili. Ma gli è stato ri-sposto che qui non si usa far subìre agli innocenti il ca-stigo del colpevole e che del resto l'ammalato sarebbestato curato meglio stando agli arresti che non fuori».

Pazienza ancora se, nella cerchia dell'imperatrice, lesue antipatie fossero state condivise! Ma quel diavolo diun vescovo con le sue «buffonate» incantava la gente esi attirava i cuori. La corrispondenza dell'imperatricecon Mercy-Argenteau rigurgita di dispetto. «Le nostredonne – dice – giovani e vecchie, belle e brutte, ne sonostregate. Egli è il loro idolo, le fa sdilinquire, tanto chesi trova benissimo qui e afferma di volerci restare anchedopo la morte di suo zio», (il vescovo titolare di Stra-sburgo). Lo stesso imperatore Giuseppe II, associatodalla madre al trono, sembra conquistato: «All'Impera-tore piace, a dire il vero, d'intrattenersi con lui; ma perfargli dire delle scipitaggini, freddure e buffonate». Per-fino il cancelliere Kaunitz si dichiara affascinato daquell'ambasciatore. L'imperatrice vorrebbe consolarseneriflettendo che ciò avviene «perchè costui non gli dà im-paccio e gli dà prova d'ogni sorta di sottomissione». Èun parlare di donna incollerita. Ma capiva che l'azionedel giovine prelato era più seria di così.

«Essendo questo stesso Rohan – scrive a Mercy il 6novembre 1773 – stato per Sant'Uberto con l'imperatore,costui lo fece sedere a tavola accanto a sè e chiacchieròdue ore di seguito, non so di che; ma ne è risultato undesiderio marcatissimo di andare a Parigi subito dopoPasqua. Il giro, le visite, la vita da fare, tutto venne pre-

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stabilito fra loro; hanno dato dei preavvisi per il perso-nale. Vedete da questo saggio quanta influenza può ave-re sullo spirito dell'imperatore un uomo ardito e che sipresenta bene. Ed ecco la cosa più sgradita nella mia si-tuazione. Un miserabile può annullare con una sola pa-rola il risultato di un lavoro assiduo».

I rapporti giunsero all'estrema tensione quando Ro-han, svelando le manovre di Mercy alla Corte di Francia– dove costui s'era procurato, fin nelle più alte sfere,contatti mediante cui veniva informato di tutto ciò cheavveniva nei consigli – ricorse, in Vienna, a mezzi con-simili. Prendendo risolutamente il proprio partito, MariaTeresa chiese a Mercy-Argenteau d'ottenere il richiamo.Fino ad allora aveva avuto la ragione e il buon dirittodalla sua parte; commise, da quel momento, il fallo gra-vissimo d'immischiare sua figlia, Maria Antonietta, nelproprio risentimento, col chiederle di collaborare a suavolta al ritorno del coadiutore e sforzandosi di farle con-dividere la propria avversione per lui.

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stabilito fra loro; hanno dato dei preavvisi per il perso-nale. Vedete da questo saggio quanta influenza può ave-re sullo spirito dell'imperatore un uomo ardito e che sipresenta bene. Ed ecco la cosa più sgradita nella mia si-tuazione. Un miserabile può annullare con una sola pa-rola il risultato di un lavoro assiduo».

I rapporti giunsero all'estrema tensione quando Ro-han, svelando le manovre di Mercy alla Corte di Francia– dove costui s'era procurato, fin nelle più alte sfere,contatti mediante cui veniva informato di tutto ciò cheavveniva nei consigli – ricorse, in Vienna, a mezzi con-simili. Prendendo risolutamente il proprio partito, MariaTeresa chiese a Mercy-Argenteau d'ottenere il richiamo.Fino ad allora aveva avuto la ragione e il buon dirittodalla sua parte; commise, da quel momento, il fallo gra-vissimo d'immischiare sua figlia, Maria Antonietta, nelproprio risentimento, col chiederle di collaborare a suavolta al ritorno del coadiutore e sforzandosi di farle con-dividere la propria avversione per lui.

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IV.MARIA TERESA.

Si può dire che Maria Antonietta è stata vittima dellapropria tenerezza per la madre. Quale sentimento sareb-be stato più legittimo rivolto a una madre come MariaTeresa, il cui genio era assai più grande del cuore? AMaria Antonietta – venuta in Francia a quindici anni,accanto a un marito pesante, goffo, taciturno, che nonpoteva allora capirla e che non la capì d'altronde se nona poco a poco, man mano lo spirito di lui si andava svi-luppando; gettata a quindici anni in quella Corte ove ilvizio troneggiava con impudente audacia impersonatonella Du Barry; in balìa, nella più assoluta inesperienzadelle passioni ambiziose che facevano a gara per ottene-re la sua influenza, contendendosi il suo appoggio, pun-to di mira dei più bassi intrighi e dei più perfidi moven-ti, chi al mondo, poteva servirle di sostegno e guida?Non ne aveva nè poteva averne altri all'infuori di suamadre. Suo marito non vede nè sente; Luigi XV è cor-rotto e indifferente; le sue zie, Madama Adelaide, Ma-

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IV.MARIA TERESA.

Si può dire che Maria Antonietta è stata vittima dellapropria tenerezza per la madre. Quale sentimento sareb-be stato più legittimo rivolto a una madre come MariaTeresa, il cui genio era assai più grande del cuore? AMaria Antonietta – venuta in Francia a quindici anni,accanto a un marito pesante, goffo, taciturno, che nonpoteva allora capirla e che non la capì d'altronde se nona poco a poco, man mano lo spirito di lui si andava svi-luppando; gettata a quindici anni in quella Corte ove ilvizio troneggiava con impudente audacia impersonatonella Du Barry; in balìa, nella più assoluta inesperienzadelle passioni ambiziose che facevano a gara per ottene-re la sua influenza, contendendosi il suo appoggio, pun-to di mira dei più bassi intrighi e dei più perfidi moven-ti, chi al mondo, poteva servirle di sostegno e guida?Non ne aveva nè poteva averne altri all'infuori di suamadre. Suo marito non vede nè sente; Luigi XV è cor-rotto e indifferente; le sue zie, Madama Adelaide, Ma-

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dama Sofia e Madama Vittoria, sono zitelle dal cuorearido, dal pensiero ristretto, inacidite, sgarbate, ches'annoiano. È la Du Barry che sceglie per la Delfina ladama che presiede alla sua acconciatura.

Maria Teresa ne approfittò per farsi della figlia unostrumento della propria politica. L'imperatrice non intui-va certo quanto sarebbe diventata funesta quella compli-cità per «la povera innocente regina» come talvolta lachiamava; e costei, dal canto suo, allevata nell'idea chel'unione indissolubile della Francia e dell'Austria assicu-rasse la felicità del mondo, non poteva immaginare, nel-la bontà, semplicità e ingenuità dell'essere suo, che ser-vendo gli interessi materni sarebbe stata esposta un gior-no al rimprovero d'aver servito male quelli della suanuova patria.

Per agire sulla figlia, Maria Teresa non aveva soltantole lettere che le andava scrivendo con premura tanto for-te e autorevole; ma le aveva messo vicino un agented'un tatto e d'una destrezza a tutta prova, il conte deMercy-Argenteu.

«Circa Rohan – così scrive al suo rappresentante – nefaccio cenno a mia figlia, ingiungendole di non parlarnese non a voi. Senza sporgere lamentele formali, m'augu-rerei – e conto che il re vorrà compiacermi – liberando-mi da questo rappresentante indegno». E Mercy rispon-de: «Ho chiesto a madama la Delfina tre o quattro giornidi tempo per ben combinare la mossa che Sua AltezzaReale dovrà fare rispetto al principe di Rohan. Le espor-rò quali mezzi dovrà impiegare».

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dama Sofia e Madama Vittoria, sono zitelle dal cuorearido, dal pensiero ristretto, inacidite, sgarbate, ches'annoiano. È la Du Barry che sceglie per la Delfina ladama che presiede alla sua acconciatura.

Maria Teresa ne approfittò per farsi della figlia unostrumento della propria politica. L'imperatrice non intui-va certo quanto sarebbe diventata funesta quella compli-cità per «la povera innocente regina» come talvolta lachiamava; e costei, dal canto suo, allevata nell'idea chel'unione indissolubile della Francia e dell'Austria assicu-rasse la felicità del mondo, non poteva immaginare, nel-la bontà, semplicità e ingenuità dell'essere suo, che ser-vendo gli interessi materni sarebbe stata esposta un gior-no al rimprovero d'aver servito male quelli della suanuova patria.

Per agire sulla figlia, Maria Teresa non aveva soltantole lettere che le andava scrivendo con premura tanto for-te e autorevole; ma le aveva messo vicino un agented'un tatto e d'una destrezza a tutta prova, il conte deMercy-Argenteu.

«Circa Rohan – così scrive al suo rappresentante – nefaccio cenno a mia figlia, ingiungendole di non parlarnese non a voi. Senza sporgere lamentele formali, m'augu-rerei – e conto che il re vorrà compiacermi – liberando-mi da questo rappresentante indegno». E Mercy rispon-de: «Ho chiesto a madama la Delfina tre o quattro giornidi tempo per ben combinare la mossa che Sua AltezzaReale dovrà fare rispetto al principe di Rohan. Le espor-rò quali mezzi dovrà impiegare».

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Incitata e spinta dalle due parti, Maria Antonietta sco-prì le proprie batterie. Parlò direttamente alla signora diMarsan, zia del principe Luigi, e le consigliò di far chie-dere dalla famiglia stessa il richiamo del giovane amba-sciatore. In quel momento, sembra che Maria Teresa ab-bia intravvisto il pericolo che faceva correre a sua figlia.«Siccome i parenti di Rohan sono numerosi e abbastan-za potenti, c'è chi teme ch'essi non vendichino su mia fi-glia i torti che pretendono d'aver ricevuto per i passi dame fatti. E tanto più si teme questo, quanto meno si sup-pone che mia figlia tenga per sè le lettere che io le scri-vo concernenti la persona di Rohan. Voi saprete esseremiglior giudice del valore di simili supposizioni. Vi ri-peto soltanto che Rohan è sempre più noncurante ed in-solente. Mi spiacerebbe molto se si volesse ritardare oeludere e del tutto il suo richiamo, costringendomi a unpasso più forte per essere finalmente sbarazzata d'unuomo tanto insopportabile».

Una circostanza aveva fatto condividere a Maria An-tonietta i più vivi risentimenti di sua madre. Rohan, chesi sapeva vivamente preso di mira dall'imperatrice, tro-vava nel proprio spirito mordente le risposte necessarie.Erano arguzie crudeli. In una lettera al ministro degli af-fari esteri, d'Aiguillon, gli scriveva, non senza una certaverità: «Ho effettivamente visto piangere Maria Teresasulla disgrazia della Polonia oppressa; ma questa princi-pessa, addestrata nell'arte di non lasciarsi indovinare, misembra aver le lagrime a propria disposizione; con unamano, tiene il fazzoletto per asciugare il pianto della

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Incitata e spinta dalle due parti, Maria Antonietta sco-prì le proprie batterie. Parlò direttamente alla signora diMarsan, zia del principe Luigi, e le consigliò di far chie-dere dalla famiglia stessa il richiamo del giovane amba-sciatore. In quel momento, sembra che Maria Teresa ab-bia intravvisto il pericolo che faceva correre a sua figlia.«Siccome i parenti di Rohan sono numerosi e abbastan-za potenti, c'è chi teme ch'essi non vendichino su mia fi-glia i torti che pretendono d'aver ricevuto per i passi dame fatti. E tanto più si teme questo, quanto meno si sup-pone che mia figlia tenga per sè le lettere che io le scri-vo concernenti la persona di Rohan. Voi saprete esseremiglior giudice del valore di simili supposizioni. Vi ri-peto soltanto che Rohan è sempre più noncurante ed in-solente. Mi spiacerebbe molto se si volesse ritardare oeludere e del tutto il suo richiamo, costringendomi a unpasso più forte per essere finalmente sbarazzata d'unuomo tanto insopportabile».

Una circostanza aveva fatto condividere a Maria An-tonietta i più vivi risentimenti di sua madre. Rohan, chesi sapeva vivamente preso di mira dall'imperatrice, tro-vava nel proprio spirito mordente le risposte necessarie.Erano arguzie crudeli. In una lettera al ministro degli af-fari esteri, d'Aiguillon, gli scriveva, non senza una certaverità: «Ho effettivamente visto piangere Maria Teresasulla disgrazia della Polonia oppressa; ma questa princi-pessa, addestrata nell'arte di non lasciarsi indovinare, misembra aver le lagrime a propria disposizione; con unamano, tiene il fazzoletto per asciugare il pianto della

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compassione e con l'altra brandisce la spada per fare daterza compartecipe al bottino». Per sbadataggine, o for-se per malignità, giacchè d'Aiguillon detestava MariaAntonietta, il ministro portò la lettera alla Du Barry, allaquale parve ameno darne lettura durante una delle suecene. E tutti i cortigiani ad applaudire; e l'uno di essi aripetere ipso facto l'epigramma a Maria Antonietta. Sipuò immaginare l'irritazione della Delfina. Ella non du-bita più che Rohan non sia direttamente in corrispon-denza con l'amante del re, con la favorita dai vergognosicostumi, per dare così in pasto alle beffe di costei le vir-tù e l'onore di sua madre.

Non fu se non due mesi dopo la morte di Luigi XV,allorchè salito Luigi XVI al trono, l'influenza di MariaAntonietta divenne preponderante, che l'imperatriced'Austria potè sbarazzarsi di quella «brutta vergognosaambasciata» per dirla con una sua espressione. Il ranco-re di Maria Teresa era così forte che, quando si trattò diun ritorno momentaneo – desiderando Rohan andare aVienna per congedarsi dalla Corte e dai suoi amici, –essa ne scrisse a Mercy: «Sarei oltre ogni dire spiacentedell'esecuzione di tal piano, come d'un insulto fatto a mepersonalmente». Rohan venne sostituito dal barone diBreteuil. «Breteuil potrebbe trovare, ai suoi primi esordiqui, qualche seccatura – osserva Maria Teresa – tanto siè prevenuti a favore del suo predecessore. I partigiani diquest'ultimo, cavalieri e dame, senza distinzione d'età,sono assai numerosi, senza eccettuare Kaunitz, e nem-meno l'imperatore. A tutti gli amici, Rohan inviò il pro-

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compassione e con l'altra brandisce la spada per fare daterza compartecipe al bottino». Per sbadataggine, o for-se per malignità, giacchè d'Aiguillon detestava MariaAntonietta, il ministro portò la lettera alla Du Barry, allaquale parve ameno darne lettura durante una delle suecene. E tutti i cortigiani ad applaudire; e l'uno di essi aripetere ipso facto l'epigramma a Maria Antonietta. Sipuò immaginare l'irritazione della Delfina. Ella non du-bita più che Rohan non sia direttamente in corrispon-denza con l'amante del re, con la favorita dai vergognosicostumi, per dare così in pasto alle beffe di costei le vir-tù e l'onore di sua madre.

Non fu se non due mesi dopo la morte di Luigi XV,allorchè salito Luigi XVI al trono, l'influenza di MariaAntonietta divenne preponderante, che l'imperatriced'Austria potè sbarazzarsi di quella «brutta vergognosaambasciata» per dirla con una sua espressione. Il ranco-re di Maria Teresa era così forte che, quando si trattò diun ritorno momentaneo – desiderando Rohan andare aVienna per congedarsi dalla Corte e dai suoi amici, –essa ne scrisse a Mercy: «Sarei oltre ogni dire spiacentedell'esecuzione di tal piano, come d'un insulto fatto a mepersonalmente». Rohan venne sostituito dal barone diBreteuil. «Breteuil potrebbe trovare, ai suoi primi esordiqui, qualche seccatura – osserva Maria Teresa – tanto siè prevenuti a favore del suo predecessore. I partigiani diquest'ultimo, cavalieri e dame, senza distinzione d'età,sono assai numerosi, senza eccettuare Kaunitz, e nem-meno l'imperatore. A tutti gli amici, Rohan inviò il pro-

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prio ritratto cesellato sopra una sottile tavoletta d'avorio;e fu tale il loro entusiasmo ch'essi fecero montare l'avo-rio in anello, accerchiandolo di perle e di brillanti. Ilcancelliere Kaunitz, portava anch'esso quell'anello suldito medio. «Avrei stentato a crederlo – dice Maria Te-resa – se non me ne fossi convinta coi miei propri oc-chi».

Luigi di Rohan vide in quel richiamo un'offesa. Nonperdonò a Breteuil d'aver preso il suo posto e sospettòche avesse contribuito alla sua disgrazia. Lo perseguitòa sua volta con frizzi pungenti. Breteuil, uomo di tempraassai diversa, non gli rispose se non col silenzio e conun odio vigoroso che, più tardi, in circostanze terribili,doveva brutalmente mettere in azione.

Nel suo rancore, Rohan non giunse tuttavia a colpirela bella piccola sovrana che aveva un tempo, al suo arri-vo in Francia, accolta in un giorno di festa e di speranza,sotto il portone drappeggiato di velluto color granatadell'alta cattedrale di pietra rossa.

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prio ritratto cesellato sopra una sottile tavoletta d'avorio;e fu tale il loro entusiasmo ch'essi fecero montare l'avo-rio in anello, accerchiandolo di perle e di brillanti. Ilcancelliere Kaunitz, portava anch'esso quell'anello suldito medio. «Avrei stentato a crederlo – dice Maria Te-resa – se non me ne fossi convinta coi miei propri oc-chi».

Luigi di Rohan vide in quel richiamo un'offesa. Nonperdonò a Breteuil d'aver preso il suo posto e sospettòche avesse contribuito alla sua disgrazia. Lo perseguitòa sua volta con frizzi pungenti. Breteuil, uomo di tempraassai diversa, non gli rispose se non col silenzio e conun odio vigoroso che, più tardi, in circostanze terribili,doveva brutalmente mettere in azione.

Nel suo rancore, Rohan non giunse tuttavia a colpirela bella piccola sovrana che aveva un tempo, al suo arri-vo in Francia, accolta in un giorno di festa e di speranza,sotto il portone drappeggiato di velluto color granatadell'alta cattedrale di pietra rossa.

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V.MARIA ANTONIETTA.

Quando entrò a Strasburgo, la piccola Delfina pro-nunciò una frase che la città aveva poi ripetuto. Siccomeil capo della Magistratura, vale a dire il Consiglio diCittà, allo scopo di riuscirle gradito, incominciava ad ar-ringarla in tedesco, essa lo interruppe:

«Non parlate tedesco, signore; a cominciare da oggiio non capisco altro che il francese».

Dobbiamo alla penna di Edmondo e Giulio di Gon-court il miglior ritratto di Maria Antonietta che mai siaesistito:

«Un cuore che si slancia, si abbandona, si prodiga,una giovinetta che va incontro alla vita e con le bracciaaperte, avida di amare e di essere amata: ecco la delfina.Amava tutte le cose che cullano e fanno fantasticare,tutte le gioie che interessano le giovani donne e distrag-gono le giovani sovrane: i ritiri famigliari ove l'amiciziasi espande, le conversazioni intime in cui la mente sisvela, e la natura, la grande amica, e i boschi, i nostri

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V.MARIA ANTONIETTA.

Quando entrò a Strasburgo, la piccola Delfina pro-nunciò una frase che la città aveva poi ripetuto. Siccomeil capo della Magistratura, vale a dire il Consiglio diCittà, allo scopo di riuscirle gradito, incominciava ad ar-ringarla in tedesco, essa lo interruppe:

«Non parlate tedesco, signore; a cominciare da oggiio non capisco altro che il francese».

Dobbiamo alla penna di Edmondo e Giulio di Gon-court il miglior ritratto di Maria Antonietta che mai siaesistito:

«Un cuore che si slancia, si abbandona, si prodiga,una giovinetta che va incontro alla vita e con le bracciaaperte, avida di amare e di essere amata: ecco la delfina.Amava tutte le cose che cullano e fanno fantasticare,tutte le gioie che interessano le giovani donne e distrag-gono le giovani sovrane: i ritiri famigliari ove l'amiciziasi espande, le conversazioni intime in cui la mente sisvela, e la natura, la grande amica, e i boschi, i nostri

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confidenti, e la campagna e l'orizzonte, in cui lo sguardoe il pensiero si perdono, e i fiori e la loro festa eterna.Per un contrasto singolare, la gaiezza maschera il fondotenero, quasi malinconico, della delfina. È una giocondi-tà folle, leggiera, petulante, che va e viene e riempie tut-ta Versailles di movimento e di vita. La mobilità, l'inge-nuità, la spensieratezza, l'espansione, la monelleria; ladelfina porta e diffonde attorno a sè, quasi correndo, ilchiasso de' suoi molteplici vezzi. La giovinezza el'infanzia, tutto in lei si confonde per sedurre, tutto sicollega contro l'etichetta, e tutto piace nella principessa,la più adorabile, la più donna, se così si può dire, di tuttele donne della Corte. E sempre saltellante e volteggian-te, passa come una canzone, come un lampo, senza cu-rarsi nè del suo strascico nè delle sue dame d'onore».

Alla testa di queste dame d'onore viene la signora deNoailles, vecchia aia grave e solenne, compresadell'importanza del proprio ufficio. La delfina, scherzo-sa, l'ha battezzata: la Signora Etichetta. Quando la Delfi-na diventata regina e madre e tenendo il bambino fra lebraccia, voleva deporlo nella culla, la signora de Noail-les interveniva: non era cosa conforme all'etichetta. Ca-pitò una volta che, essendo Maria Antonietta a cavallod'un asino, la bestia, con un colpo delle reni, la lanciassesul prato. Eccola seduta sull'erba alta, con le sottaneall'aria, che batte le mani: «Presto! andate a cercare lasignora de Noailles, perchè ci dica che cosa esige l'eti-chetta quando una regina cade dall'asino!».

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confidenti, e la campagna e l'orizzonte, in cui lo sguardoe il pensiero si perdono, e i fiori e la loro festa eterna.Per un contrasto singolare, la gaiezza maschera il fondotenero, quasi malinconico, della delfina. È una giocondi-tà folle, leggiera, petulante, che va e viene e riempie tut-ta Versailles di movimento e di vita. La mobilità, l'inge-nuità, la spensieratezza, l'espansione, la monelleria; ladelfina porta e diffonde attorno a sè, quasi correndo, ilchiasso de' suoi molteplici vezzi. La giovinezza el'infanzia, tutto in lei si confonde per sedurre, tutto sicollega contro l'etichetta, e tutto piace nella principessa,la più adorabile, la più donna, se così si può dire, di tuttele donne della Corte. E sempre saltellante e volteggian-te, passa come una canzone, come un lampo, senza cu-rarsi nè del suo strascico nè delle sue dame d'onore».

Alla testa di queste dame d'onore viene la signora deNoailles, vecchia aia grave e solenne, compresadell'importanza del proprio ufficio. La delfina, scherzo-sa, l'ha battezzata: la Signora Etichetta. Quando la Delfi-na diventata regina e madre e tenendo il bambino fra lebraccia, voleva deporlo nella culla, la signora de Noail-les interveniva: non era cosa conforme all'etichetta. Ca-pitò una volta che, essendo Maria Antonietta a cavallod'un asino, la bestia, con un colpo delle reni, la lanciassesul prato. Eccola seduta sull'erba alta, con le sottaneall'aria, che batte le mani: «Presto! andate a cercare lasignora de Noailles, perchè ci dica che cosa esige l'eti-chetta quando una regina cade dall'asino!».

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LA FAMOSA COLLANA

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LA FAMOSA COLLANA

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Questa battuta caratterizza lo spirito di Maria Anto-nietta, la sua ironia fatta di gaiezza e di buon senso; iro-nia graziosa, ch'era propria dell'epoca, ma che suscitòcontro di lei inimicizie irriducibili. Nella sua bocca disovrana, le parole avevano un peso maggiore. I frizziche lanciava penetravano più a fondo, e le ferite che fa-cevano erano tanto più dolorose quanto più avevano col-pito giusto.

Quand'era giunta alla Corte di Francia, Maria Anto-nietta era ancora una bambina. Luigi XV ne fa l'osserva-zione. Il suo piacere più grande, – di lei, sposa dell'erededel trono – consiste nel giuocare con i ragazzi della suaprima cameriera, gualcendosi le vesti, deteriorando ilmobilio, mettendo il salotto a soqquadro. Si ha l'impres-sione che da un momento all'altro stia per entrare lamamma a dare una ramanzina. Infatti, il corriere diVienna le reca una sgridata:

«Dicono – scrive sua madre – che cominci a metteretutto in ridicolo e a ridere in faccia alla gente. Se è vero,ti farebbe gran torto, e meritatamente, facendo perfinodubitare della bontà del tuo cuore. Questo difetto, miacara figlia, non è piccolo in una principessa».

Luigi XV fa chiamare la signora di Noailles. Desideraparlare alla Delfina. Certamente le sue qualità e il suofascino meritano ogni lode; però è troppo vivace in pub-blico e troppo famigliare per esempio, a caccia, quandodistribuisce le provviste ai giovani radunati attorno allasua vettura. Sciocchezze, si dirà. Ma Luigi XV, spiritochiaroveggente, leggeva forse nell'avvenire.

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Questa battuta caratterizza lo spirito di Maria Anto-nietta, la sua ironia fatta di gaiezza e di buon senso; iro-nia graziosa, ch'era propria dell'epoca, ma che suscitòcontro di lei inimicizie irriducibili. Nella sua bocca disovrana, le parole avevano un peso maggiore. I frizziche lanciava penetravano più a fondo, e le ferite che fa-cevano erano tanto più dolorose quanto più avevano col-pito giusto.

Quand'era giunta alla Corte di Francia, Maria Anto-nietta era ancora una bambina. Luigi XV ne fa l'osserva-zione. Il suo piacere più grande, – di lei, sposa dell'erededel trono – consiste nel giuocare con i ragazzi della suaprima cameriera, gualcendosi le vesti, deteriorando ilmobilio, mettendo il salotto a soqquadro. Si ha l'impres-sione che da un momento all'altro stia per entrare lamamma a dare una ramanzina. Infatti, il corriere diVienna le reca una sgridata:

«Dicono – scrive sua madre – che cominci a metteretutto in ridicolo e a ridere in faccia alla gente. Se è vero,ti farebbe gran torto, e meritatamente, facendo perfinodubitare della bontà del tuo cuore. Questo difetto, miacara figlia, non è piccolo in una principessa».

Luigi XV fa chiamare la signora di Noailles. Desideraparlare alla Delfina. Certamente le sue qualità e il suofascino meritano ogni lode; però è troppo vivace in pub-blico e troppo famigliare per esempio, a caccia, quandodistribuisce le provviste ai giovani radunati attorno allasua vettura. Sciocchezze, si dirà. Ma Luigi XV, spiritochiaroveggente, leggeva forse nell'avvenire.

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L'abate di Vermond, ch'era stato inviato a Vienna persorvegliare l'educazione della futura delfina, non avevacreduto di dover combattere le tendenze del di lei carat-tere. Le aveva, anzi, accentuate. Anche Vermond era unuomo del suo tempo: un abate del secolo decimottavo, acui piacevano lo spirito, le botte caustiche, il buon sensoe il buon umore. Via la noia, l'etichetta, l'ingombro delcerimoniale, con cui un'eredità secolare ha legato la re-gina di Francia! «L'abate di Vermond – dicono i Gon-court – voleva, con l'educazione, mettere Maria Anto-nietta a livello del suo sesso piuttosto che della sua posi-zione». È la dottrina di Gian Giacomo. L'autoredell'Emilio non avrebbe diversamente educato il proprioallievo.

Se fosse permesso di supporre che Rousseau avrebbeammesso una sovrana nello Stato ideale da lui sognato,si direbbe proprio che Maria Antonietta sarebbe stataquella. Qual'è la sua caratteristica? L'amore della natura,l'orrore dei convenzionalismi e la sensibilità del cuore.C'è forse altro nelle dottrine morali di Gian Giacomo?

Essa concepiva così l'esistenza come se la figura unapiccola signorina sentimentale negli anni primaverili:andare di buon mattino in cima al colle ad assistere allevar del sole, correre per le zolle erbose, tra i fiori deicampi, passeggiare nei boschi oppure di sera al chiaro diluna. La sua residenza favorita è un soggiorno che hacercato di ravvicinare alla campagna meglio che ha po-tuto, il Trianon. Non è stato, il Trianon quel villaggio daOpera comica che i de Goncourt si sono figurati, ma un

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L'abate di Vermond, ch'era stato inviato a Vienna persorvegliare l'educazione della futura delfina, non avevacreduto di dover combattere le tendenze del di lei carat-tere. Le aveva, anzi, accentuate. Anche Vermond era unuomo del suo tempo: un abate del secolo decimottavo, acui piacevano lo spirito, le botte caustiche, il buon sensoe il buon umore. Via la noia, l'etichetta, l'ingombro delcerimoniale, con cui un'eredità secolare ha legato la re-gina di Francia! «L'abate di Vermond – dicono i Gon-court – voleva, con l'educazione, mettere Maria Anto-nietta a livello del suo sesso piuttosto che della sua posi-zione». È la dottrina di Gian Giacomo. L'autoredell'Emilio non avrebbe diversamente educato il proprioallievo.

Se fosse permesso di supporre che Rousseau avrebbeammesso una sovrana nello Stato ideale da lui sognato,si direbbe proprio che Maria Antonietta sarebbe stataquella. Qual'è la sua caratteristica? L'amore della natura,l'orrore dei convenzionalismi e la sensibilità del cuore.C'è forse altro nelle dottrine morali di Gian Giacomo?

Essa concepiva così l'esistenza come se la figura unapiccola signorina sentimentale negli anni primaverili:andare di buon mattino in cima al colle ad assistere allevar del sole, correre per le zolle erbose, tra i fiori deicampi, passeggiare nei boschi oppure di sera al chiaro diluna. La sua residenza favorita è un soggiorno che hacercato di ravvicinare alla campagna meglio che ha po-tuto, il Trianon. Non è stato, il Trianon quel villaggio daOpera comica che i de Goncourt si sono figurati, ma un

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piccolo villaggio reale, con uno sfruttamento agricoloserio, una vera latteria e dei veri fattori.

«Quel soggiorno campestre – scrive il signor di No-lhac – aumenta la familiarità e l'assenza di ogni posa. Laregina di Francia vi occupa meno posto che non la si-gnora di Montesson o la marescialla di Lussemburgonella loro cerchia a Parigi. È una padrona di casa chenon ha pretese e permette volentieri che i suoi invitati siraggruppino attorno a un'altra donna, la signora di Poli-gnac, per esempio, serbando a se stessa il compitodell'ospitalità. Il suo più gran piacere è di riuscire gradi-ta agli ospiti, tutti amici suoi, amici scelti dal suo cuoree dai quali si crede amata». Quando entra lei, le donnenon smettono di suonare la spinetta nè di ricamare al te-laio; nè gli uomini si staccano dal bigliardo o dal «tric-trac».

Si conoscono i gesti della sua sensibilità. Seduta inpoltrona, a sommo d'un palco dove la signora Vigée-Lebrun stava ritraendola, era lei che si precipitava a rac-cogliere il pennello dell'artista, nel timore che a costei,in istato di gravidanza inoltrata, facesse male il chinarsi.I ricordi della Vigée-Lebrun contengono graziosi parti-colari circa le «sedute» del suo modello. Quando eranostanche di dipingere e di posare, la regina e l'artista can-tavano sul clavicembalo i duetti di Grétry. Era la reginache, preoccupandosi per le ragazze giovani addette alsuo servizio, leggeva al mattino le commedie che si da-vano la sera – lei che così difficilmente si prestava allalettura – per sapere se lo spettacolo fosse adatto alla loro

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piccolo villaggio reale, con uno sfruttamento agricoloserio, una vera latteria e dei veri fattori.

«Quel soggiorno campestre – scrive il signor di No-lhac – aumenta la familiarità e l'assenza di ogni posa. Laregina di Francia vi occupa meno posto che non la si-gnora di Montesson o la marescialla di Lussemburgonella loro cerchia a Parigi. È una padrona di casa chenon ha pretese e permette volentieri che i suoi invitati siraggruppino attorno a un'altra donna, la signora di Poli-gnac, per esempio, serbando a se stessa il compitodell'ospitalità. Il suo più gran piacere è di riuscire gradi-ta agli ospiti, tutti amici suoi, amici scelti dal suo cuoree dai quali si crede amata». Quando entra lei, le donnenon smettono di suonare la spinetta nè di ricamare al te-laio; nè gli uomini si staccano dal bigliardo o dal «tric-trac».

Si conoscono i gesti della sua sensibilità. Seduta inpoltrona, a sommo d'un palco dove la signora Vigée-Lebrun stava ritraendola, era lei che si precipitava a rac-cogliere il pennello dell'artista, nel timore che a costei,in istato di gravidanza inoltrata, facesse male il chinarsi.I ricordi della Vigée-Lebrun contengono graziosi parti-colari circa le «sedute» del suo modello. Quando eranostanche di dipingere e di posare, la regina e l'artista can-tavano sul clavicembalo i duetti di Grétry. Era la reginache, preoccupandosi per le ragazze giovani addette alsuo servizio, leggeva al mattino le commedie che si da-vano la sera – lei che così difficilmente si prestava allalettura – per sapere se lo spettacolo fosse adatto alla loro

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età. Il postiglione della carrozza in cui si trova MariaAntonietta cade e si ferisce. Essa si rifiuta di proseguiree non vuol ripartire se non un'ora dopo che tutte le me-dicazioni sono state fatte. Ha organizzato lei tutti i soc-corsi, chiamando tutti – tanto è commossa – «amicomio», paggi, palafrenieri, postiglioni. Diceva, dandoloro del tu: «Amico mio, va' a cercare il chirurgo; amicomio, corri presto a cercare una barella; amico mio, guar-da un po' se parla e se capisce!».

È questo il tratto più saliente del suo carattere e quel-lo che le nuocerà di più; l'irresistibile bisogno di darprova della sua affezione a coloro che ama e di riceverele testimonianze di affetto di quelli da cui si crede ama-ta. In primo luogo, sua madre. Costei conosce la figlia.Sa la potenza della tenerezza che ha ispirata in lei; e sache in Maria Antonietta la testa non è capace di lottarecontro il cuore. Ne usa e ne abusa. Dopo avere ottenutoda lei quello che più di tutto le pareva duro, quello cherivoltava tutto l'essere suo, far buon viso alla du Barry, –nell'epoca in cui costei, amante di Luigi XV, dominavala Corte – Maria Teresa e Giuseppe II fanno pressioni suMaria Antonietta e riescono a farne la loro ausiliarianella faccenda della divisione della Polonia, in quelladella successione di Baviera, in quella dell'apertura dellaSchelda. La sola idea politica che la regina abbia ricevu-to da piccola e che, col tempo, abbia preso in lei mag-gior forza, si è che la stretta unione della famiglia di suamadre con la famiglia di suo marito, cementandol'alleanza delle corone di Francia e d'Austria, è la base

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età. Il postiglione della carrozza in cui si trova MariaAntonietta cade e si ferisce. Essa si rifiuta di proseguiree non vuol ripartire se non un'ora dopo che tutte le me-dicazioni sono state fatte. Ha organizzato lei tutti i soc-corsi, chiamando tutti – tanto è commossa – «amicomio», paggi, palafrenieri, postiglioni. Diceva, dandoloro del tu: «Amico mio, va' a cercare il chirurgo; amicomio, corri presto a cercare una barella; amico mio, guar-da un po' se parla e se capisce!».

È questo il tratto più saliente del suo carattere e quel-lo che le nuocerà di più; l'irresistibile bisogno di darprova della sua affezione a coloro che ama e di riceverele testimonianze di affetto di quelli da cui si crede ama-ta. In primo luogo, sua madre. Costei conosce la figlia.Sa la potenza della tenerezza che ha ispirata in lei; e sache in Maria Antonietta la testa non è capace di lottarecontro il cuore. Ne usa e ne abusa. Dopo avere ottenutoda lei quello che più di tutto le pareva duro, quello cherivoltava tutto l'essere suo, far buon viso alla du Barry, –nell'epoca in cui costei, amante di Luigi XV, dominavala Corte – Maria Teresa e Giuseppe II fanno pressioni suMaria Antonietta e riescono a farne la loro ausiliarianella faccenda della divisione della Polonia, in quelladella successione di Baviera, in quella dell'apertura dellaSchelda. La sola idea politica che la regina abbia ricevu-to da piccola e che, col tempo, abbia preso in lei mag-gior forza, si è che la stretta unione della famiglia di suamadre con la famiglia di suo marito, cementandol'alleanza delle corone di Francia e d'Austria, è la base

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necessaria di qualsiasi politica salutare ad ambo gli Sta-ti. Scrive a sua madre in termini commoventi:

«Mercy mi ha fatto vedere la sua lettera che mi hadato molto da pensare. Farò del mio meglio per contri-buire alla conservazione dell'alleanza e della buonaunione. Che ne sarebbe di me se avvenisse una rotturafra le due famiglie? Spero che il Buon Dio mi preserve-rà da tale disgrazia ispirandomi ciò che devo fare. L'hopregato con tutto il cuore».

Non crede di tradire gli interessi della Francia. –D'altronde li tradisce? – Ma il suo contegno assumeràproporzioni favolose e verrà snaturato nel pensiero po-polare. Il suo regno finirà al grido di: «Abbassol'Austriaca!» che l'accompagnerà fino al patibolo. E direche sua madre e suo fratello, irritati di trovare in lei del-le resistenze di Francese, l'accusano invece d'ingratitudi-ne, benchè ella si sforzi di compiacerli, e di non essere,di fronte a loro, che la figlia e la sorella devota che siaspettavano d'avere!

Spinta da quella smania di affezione, Maria Antoniet-ta credette che, essendo sovrana, le fosse possibile, lefosse permesso avere degli amici. Conosciamo le suesimpatie cordiali, graziosissime di forma. Due nomisono diventati celebri: quelli della deliziosa principessadi Lamballe e della attraente contessa di Polignac.

«La contessa di Polignac – dice il duca di Lévis –aveva il volto più celestiale che si potesse immaginare.Sguardo, sorriso, tutte le fattezze erano angeliche. Ave-

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necessaria di qualsiasi politica salutare ad ambo gli Sta-ti. Scrive a sua madre in termini commoventi:

«Mercy mi ha fatto vedere la sua lettera che mi hadato molto da pensare. Farò del mio meglio per contri-buire alla conservazione dell'alleanza e della buonaunione. Che ne sarebbe di me se avvenisse una rotturafra le due famiglie? Spero che il Buon Dio mi preserve-rà da tale disgrazia ispirandomi ciò che devo fare. L'hopregato con tutto il cuore».

Non crede di tradire gli interessi della Francia. –D'altronde li tradisce? – Ma il suo contegno assumeràproporzioni favolose e verrà snaturato nel pensiero po-polare. Il suo regno finirà al grido di: «Abbassol'Austriaca!» che l'accompagnerà fino al patibolo. E direche sua madre e suo fratello, irritati di trovare in lei del-le resistenze di Francese, l'accusano invece d'ingratitudi-ne, benchè ella si sforzi di compiacerli, e di non essere,di fronte a loro, che la figlia e la sorella devota che siaspettavano d'avere!

Spinta da quella smania di affezione, Maria Antoniet-ta credette che, essendo sovrana, le fosse possibile, lefosse permesso avere degli amici. Conosciamo le suesimpatie cordiali, graziosissime di forma. Due nomisono diventati celebri: quelli della deliziosa principessadi Lamballe e della attraente contessa di Polignac.

«La contessa di Polignac – dice il duca di Lévis –aveva il volto più celestiale che si potesse immaginare.Sguardo, sorriso, tutte le fattezze erano angeliche. Ave-

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va una di quelle teste in cui Raffaello sa accoppiareun'espressione spirituale a una dolcezza infinita».

Il timbro della sua voce era puro e affascinante. Can-tava in modo semplice e soave e col più vezzoso abban-dono. I suoi movimenti sciolti e quasi negletti avevanol'incanto delle cose naturali. La sua acconciatura erasempre semplicissima: una rosa tra i capelli, una vestedi percalle, di mussolina leggiera, bianca, ondeggiante,in ottima armonia col suo carattere aperto, tenero, affet-tuoso. Le parole parevano carezze, il sorriso aveva la te-nerezza d'un bacio. Maria Antonietta ne fu conquistatafin dal primo giorno. E fu una di quelle graziose amici-zie di gioventù fatte di famigliarità e di spensieratezza,di confidenze e di scherzi: «Dei giuochi in cui le dueamiche non erano più che due donne, e folleggiando elottando in modo quasi da scapigliarsi, con mille vezzivivaci, litigavano fra loro a chi fosse la più forte».L'affezione della signora di Polignac per la regina erasincera e disinteressata. Il suo distacco dagli onori mon-dani e dalla ricchezza era stata una delle principali at-trattive agli occhi di Maria Antonietta e uno stimolo acolmarla di favori. Con quanta gioia era venuta a sapereun giorno che la sua amica aveva il carico d'una fami-glia, che era priva di beni di fortuna ed alloggiava a Ver-sailles in una modesta casa della via dei Bons-Enfants!E allora, subito, ecco dei posti, e pensioni e titoli. Pocoambiziosa per se stessa, la signora di Polignac, nonmeno della sua amica, era tutto affetto e devozione per isuoi cari. E un vero partito si raggruppò attorno a lei;

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va una di quelle teste in cui Raffaello sa accoppiareun'espressione spirituale a una dolcezza infinita».

Il timbro della sua voce era puro e affascinante. Can-tava in modo semplice e soave e col più vezzoso abban-dono. I suoi movimenti sciolti e quasi negletti avevanol'incanto delle cose naturali. La sua acconciatura erasempre semplicissima: una rosa tra i capelli, una vestedi percalle, di mussolina leggiera, bianca, ondeggiante,in ottima armonia col suo carattere aperto, tenero, affet-tuoso. Le parole parevano carezze, il sorriso aveva la te-nerezza d'un bacio. Maria Antonietta ne fu conquistatafin dal primo giorno. E fu una di quelle graziose amici-zie di gioventù fatte di famigliarità e di spensieratezza,di confidenze e di scherzi: «Dei giuochi in cui le dueamiche non erano più che due donne, e folleggiando elottando in modo quasi da scapigliarsi, con mille vezzivivaci, litigavano fra loro a chi fosse la più forte».L'affezione della signora di Polignac per la regina erasincera e disinteressata. Il suo distacco dagli onori mon-dani e dalla ricchezza era stata una delle principali at-trattive agli occhi di Maria Antonietta e uno stimolo acolmarla di favori. Con quanta gioia era venuta a sapereun giorno che la sua amica aveva il carico d'una fami-glia, che era priva di beni di fortuna ed alloggiava a Ver-sailles in una modesta casa della via dei Bons-Enfants!E allora, subito, ecco dei posti, e pensioni e titoli. Pocoambiziosa per se stessa, la signora di Polignac, nonmeno della sua amica, era tutto affetto e devozione per isuoi cari. E un vero partito si raggruppò attorno a lei;

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dapprima i parenti, poi gli amici, e infine i cortigiani.Attorno a quell'amicizia fresca e graziosa, intreccio didue rose sotto la chiarità del cielo, gli intrighi si annoda-no e si formano cabale, manovre e mene segrete. MariaAntonietta diventa prigioniera della propria amicizia. Leliane e gli sterpi soffocano i fiori nel loro fragile splen-dore. All'amica la regina non può rifiutare nulla; e sivede così, per mezzo suo, innalzarsi a poco a poco aglionori e alla ricchezza una intera famiglia col suo corteod'amici, di accoliti e di clienti: la fazione dei Polignac.Intanto la miseria pubblica sempre più incrudelisce. Lebancarotte sono clamorose, le imposte sembrano più pe-santi, e, nel disagio generale, la prosperità rapida, ingiu-stificata, dei Polignac, sembra una sfida provocante. ACorte, la nobiltà se ne irrita, il malcontento invade Pari-gi, la Francia intera. S'accresce, s'inasprisce a distanza.

Da quattro anni – scrive Mercy – si calcola che tuttala famiglia di Polignac, senza nessun merito verso loStato e puramente a titolo di favore, si è procurata, tantoin grandi cariche, quanto in altri benefici, la rendita an-nuale di quasi cinquecentomila lire. Tutte le famiglie piùmeritevoli protestano contro il torto fatto loro da un talesperpero di favori, e, qualora se ne vedesse aggiungereuno che sarebbe senza esempio, – si trattava del regalodella terra di Bitche in Lorena – i clamori e il malcon-tento giungerebbero al colmo».

E passi ancora se, in quel commercio amichevole, chea lei pareva l'essenza della vita, Maria Antonietta avessetrovato delle anime sincere e devote al pari della sua...

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dapprima i parenti, poi gli amici, e infine i cortigiani.Attorno a quell'amicizia fresca e graziosa, intreccio didue rose sotto la chiarità del cielo, gli intrighi si annoda-no e si formano cabale, manovre e mene segrete. MariaAntonietta diventa prigioniera della propria amicizia. Leliane e gli sterpi soffocano i fiori nel loro fragile splen-dore. All'amica la regina non può rifiutare nulla; e sivede così, per mezzo suo, innalzarsi a poco a poco aglionori e alla ricchezza una intera famiglia col suo corteod'amici, di accoliti e di clienti: la fazione dei Polignac.Intanto la miseria pubblica sempre più incrudelisce. Lebancarotte sono clamorose, le imposte sembrano più pe-santi, e, nel disagio generale, la prosperità rapida, ingiu-stificata, dei Polignac, sembra una sfida provocante. ACorte, la nobiltà se ne irrita, il malcontento invade Pari-gi, la Francia intera. S'accresce, s'inasprisce a distanza.

Da quattro anni – scrive Mercy – si calcola che tuttala famiglia di Polignac, senza nessun merito verso loStato e puramente a titolo di favore, si è procurata, tantoin grandi cariche, quanto in altri benefici, la rendita an-nuale di quasi cinquecentomila lire. Tutte le famiglie piùmeritevoli protestano contro il torto fatto loro da un talesperpero di favori, e, qualora se ne vedesse aggiungereuno che sarebbe senza esempio, – si trattava del regalodella terra di Bitche in Lorena – i clamori e il malcon-tento giungerebbero al colmo».

E passi ancora se, in quel commercio amichevole, chea lei pareva l'essenza della vita, Maria Antonietta avessetrovato delle anime sincere e devote al pari della sua...

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Della sua cara Polignac non dubitò; ma constatò ungiorno che l'amica prediletta non era stata altro, nellesue mani, da anni, che lo strumento atto a procurare legrazie. E poi quante delusioni! La regina voleva essereamata per se stessa e non tardò a capire che in lei siamava soltanto la regina. Che dolore ricredersi. E ricre-dendosi sul conto dei Francesi, a poco a poco si trovavacosì respinta verso gli stranieri, in cui s'imbattè in casadella signora d'Ossun, o nei saloni delle ambasciate, gliStaêl-Holstein, gli Strathoven, i Fersen, gli Esterhazy, ilprincipe di Ligne. Tanto che a Corte, attorno a lei, il ma-lumore aumenta. E quando le dimostrano gli inconve-nienti di quella recente preferenza per gli stranieri, ri-sponde, sorridendo malinconicamente, con una parolastraziante: «Avete ben ragione ma, vedete, gli è chequelli non mi chiedono niente».

E allora, fra coloro che chiedono senza tregua e senzaremissione, quanta collera! Una collera che si traduce inlagnanze, in recriminazioni, e, tra breve, in epigrammi,in satire. Perfino in seno alla Corte cantano con tono dimotteggio:

La reginetta ancor ventenneche tratta male e fa la fieraritornerà donde sen venne

larillalera!Senz'ombra di malevolenza, così, alla stordita, anzi di

solito credendo far piacere agli amici, la regina s'è alie-nate, l'una dopo l'altra, le più potenti famiglie della Cor-

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Della sua cara Polignac non dubitò; ma constatò ungiorno che l'amica prediletta non era stata altro, nellesue mani, da anni, che lo strumento atto a procurare legrazie. E poi quante delusioni! La regina voleva essereamata per se stessa e non tardò a capire che in lei siamava soltanto la regina. Che dolore ricredersi. E ricre-dendosi sul conto dei Francesi, a poco a poco si trovavacosì respinta verso gli stranieri, in cui s'imbattè in casadella signora d'Ossun, o nei saloni delle ambasciate, gliStaêl-Holstein, gli Strathoven, i Fersen, gli Esterhazy, ilprincipe di Ligne. Tanto che a Corte, attorno a lei, il ma-lumore aumenta. E quando le dimostrano gli inconve-nienti di quella recente preferenza per gli stranieri, ri-sponde, sorridendo malinconicamente, con una parolastraziante: «Avete ben ragione ma, vedete, gli è chequelli non mi chiedono niente».

E allora, fra coloro che chiedono senza tregua e senzaremissione, quanta collera! Una collera che si traduce inlagnanze, in recriminazioni, e, tra breve, in epigrammi,in satire. Perfino in seno alla Corte cantano con tono dimotteggio:

La reginetta ancor ventenneche tratta male e fa la fieraritornerà donde sen venne

larillalera!Senz'ombra di malevolenza, così, alla stordita, anzi di

solito credendo far piacere agli amici, la regina s'è alie-nate, l'una dopo l'altra, le più potenti famiglie della Cor-

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te: i Rohan-Marsan-Soubise, che avevano acquistatouna situazione preponderante, i Clermont-Tannerre, iCivrac, i La Rochefoucauld, i Noailles, i Crillon, iMontmorency. Rivarol fa un'osservazione molto profon-da. Luigi XVI amava sua moglie d'un amore che gli ulti-mi Borboni non avevano accordato che alle loro amanti.Maria Antonietta ereditò l'odio che l'amante del re solle-vava attorno a sè. Aveva inoltre contro di sè le maldi-cenze delle donne giunte a Corte per mezzo della DuBarry. La sua virtù stessa, la sua purezza, erano un in-sulto per quest'ultime; e si sforzavano di offuscarle. Laregina non vuol più vedersi attorno gente dai costumileggieri. Le donne non vedove non compariranno se noninsieme ai mariti; il che cancella dalla lista una infinitàdi nomi. Affronti che non si perdonano.

Alla combriccola dei cortigiani non tarda ad aggiun-gersi quella dei bigotti. La religione della regina è fran-ca, semplice, diritta, impulsiva. Le cerimonie e le prati-che esterne a lei sembrano meno accette a Dio deglislanci dell'anima e della bontà del cuore. E neanche i bi-gotti le perdonano questo. Tanto più che questi bigotti,La Vauguyon e il suo seguito, la contessa di Marsan e lasua cricca, erano stati i più cinici piaggiatori della DuBarry e dei vizi del vecchio re. Maria Antonietta, infini-tamente buona, non si sarebbe arrischiata a fare un verotorto nemmeno alla persona secondo lei meno stimabile;ma quella stessa foga che metteva nelle sue simpatie lametteva anche nelle antipatie. Sono due cose inseparabi-li in una persona di carattere. Anche il suo cuore era

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te: i Rohan-Marsan-Soubise, che avevano acquistatouna situazione preponderante, i Clermont-Tannerre, iCivrac, i La Rochefoucauld, i Noailles, i Crillon, iMontmorency. Rivarol fa un'osservazione molto profon-da. Luigi XVI amava sua moglie d'un amore che gli ulti-mi Borboni non avevano accordato che alle loro amanti.Maria Antonietta ereditò l'odio che l'amante del re solle-vava attorno a sè. Aveva inoltre contro di sè le maldi-cenze delle donne giunte a Corte per mezzo della DuBarry. La sua virtù stessa, la sua purezza, erano un in-sulto per quest'ultime; e si sforzavano di offuscarle. Laregina non vuol più vedersi attorno gente dai costumileggieri. Le donne non vedove non compariranno se noninsieme ai mariti; il che cancella dalla lista una infinitàdi nomi. Affronti che non si perdonano.

Alla combriccola dei cortigiani non tarda ad aggiun-gersi quella dei bigotti. La religione della regina è fran-ca, semplice, diritta, impulsiva. Le cerimonie e le prati-che esterne a lei sembrano meno accette a Dio deglislanci dell'anima e della bontà del cuore. E neanche i bi-gotti le perdonano questo. Tanto più che questi bigotti,La Vauguyon e il suo seguito, la contessa di Marsan e lasua cricca, erano stati i più cinici piaggiatori della DuBarry e dei vizi del vecchio re. Maria Antonietta, infini-tamente buona, non si sarebbe arrischiata a fare un verotorto nemmeno alla persona secondo lei meno stimabile;ma quella stessa foga che metteva nelle sue simpatie lametteva anche nelle antipatie. Sono due cose inseparabi-li in una persona di carattere. Anche il suo cuore era

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franco e vivace, si trattasse d'amicizie o di avversioni.Queste si traducevano in atti bruschi, ghiribizzi, parolesferzanti come staffilate che faceva scoppiettare conmano leggiera. Ed è così che attorno a lei, si accumula-no odii, rancori e livori. Alle sue frasi motteggiatrici,mille bocche invisibili, da nascondigli oscuri ma perquesto non meno temibili, rispondono con dardi avvele-nati.

«È nelle cattiverie e nelle menzogne diffuse, dal 1785al 1788, dalla Corte contro la regina – scriveva il contede la Marck – che bisogna cercare i pretesti delle accusedel tribunale rivoluzionario nel 1793 contro Maria An-tonietta».

La regina, è vero, era d'umore gaio, leggiero, se sivuole. «Amava la vita – dicono i Goncourt – il diverti-mento, la distrazione, cose che sono sempre piaciute allagioventù e alla bellezza». La contessa de la Marck, de-scrivendo la Corte di Francia, ne parla a Gustavo II: «Laregina va sempre all'Opera, alla commedia; fa debiti,sollecita processi, si mette indosso tante piume e fioc-chetti e nappine e scherza su tutto». La osservazionenon è ancora troppo maligna ma sta per invelenirsi. Alballo in casa de Vitry, Maria Antonietta era in incognito,mascherata, con la duchessa de la Vauguyon. Il marche-se Caracciolo, ambasciatore di Napoli, non la riconoscee avvia conversazione con lei, scherzosamente. L'intrigodiverte la regina che risponde a tono. Ma ecco il mar-chese arrossire di confusione; trillando una risata, la re-gina s'è tolta la maschera. L'indomani, la cronaca

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franco e vivace, si trattasse d'amicizie o di avversioni.Queste si traducevano in atti bruschi, ghiribizzi, parolesferzanti come staffilate che faceva scoppiettare conmano leggiera. Ed è così che attorno a lei, si accumula-no odii, rancori e livori. Alle sue frasi motteggiatrici,mille bocche invisibili, da nascondigli oscuri ma perquesto non meno temibili, rispondono con dardi avvele-nati.

«È nelle cattiverie e nelle menzogne diffuse, dal 1785al 1788, dalla Corte contro la regina – scriveva il contede la Marck – che bisogna cercare i pretesti delle accusedel tribunale rivoluzionario nel 1793 contro Maria An-tonietta».

La regina, è vero, era d'umore gaio, leggiero, se sivuole. «Amava la vita – dicono i Goncourt – il diverti-mento, la distrazione, cose che sono sempre piaciute allagioventù e alla bellezza». La contessa de la Marck, de-scrivendo la Corte di Francia, ne parla a Gustavo II: «Laregina va sempre all'Opera, alla commedia; fa debiti,sollecita processi, si mette indosso tante piume e fioc-chetti e nappine e scherza su tutto». La osservazionenon è ancora troppo maligna ma sta per invelenirsi. Alballo in casa de Vitry, Maria Antonietta era in incognito,mascherata, con la duchessa de la Vauguyon. Il marche-se Caracciolo, ambasciatore di Napoli, non la riconoscee avvia conversazione con lei, scherzosamente. L'intrigodiverte la regina che risponde a tono. Ma ecco il mar-chese arrossire di confusione; trillando una risata, la re-gina s'è tolta la maschera. L'indomani, la cronaca

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s'impadronisce dell'aneddoto e già sente quanto pocobasterebbe per volgerlo a danno dell'onore della giovanedonna. La famigliarità di Maria Antonietta venned'altronde esagerata. «Il suo tatto – dice il principe deLigne – imponeva non meno della sua maestà. Era im-possibile dimenticarlo e nemmeno dimenticare se stes-si». È andata all'Opera con la principessa d'Hénin.L'asse della sua carrozza si spezza. Sale in vettura danolo e giunge a teatro così. Nessuno verrebbe a saperedell'avventura se, franca e spensierata, non la raccontas-se ella stessa, subito entrando: «In vettura da piazza pervenire all'Opera io, non vi par divertente?». L'indomanisi andavano sussurrando di orecchio in orecchio sconcedicerie a proposito di non so quale losca avventura incui la regina doveva essere immischiata. La graziosagita, un bel mattino d'aprile, sulle colline di Marly, dacui si vedrà il sorgere del sole, è svolta in un intero li-bello, una sconcezza: Il sorgere dell'Aurora, che i corti-giani si trasmettono l'un l'altro di nascosto. Nelle caldeserate estive, sulle terrazze di Versailles, a Maria Anto-nietta piace passeggiare. Orchestrine invisibili tra il fo-gliame fanno udire accordi che la dolcezza della notterende più melodiosi. Maria Antonietta, che ama il popo-lo e predilige l'emozione di sentire che attorno a lei tutticondividono il suo piacere, vuole che la folla entri libe-ramente. Al braccio del conte d'Artois o della contessadi Polignac, può imbattersi nel primo venuto. Le gazzet-te londinesi si riempiono di particolari infami sui «not-turnali» di Versailles. Gli Inglesi sono ghiotti dei parti-

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s'impadronisce dell'aneddoto e già sente quanto pocobasterebbe per volgerlo a danno dell'onore della giovanedonna. La famigliarità di Maria Antonietta venned'altronde esagerata. «Il suo tatto – dice il principe deLigne – imponeva non meno della sua maestà. Era im-possibile dimenticarlo e nemmeno dimenticare se stes-si». È andata all'Opera con la principessa d'Hénin.L'asse della sua carrozza si spezza. Sale in vettura danolo e giunge a teatro così. Nessuno verrebbe a saperedell'avventura se, franca e spensierata, non la raccontas-se ella stessa, subito entrando: «In vettura da piazza pervenire all'Opera io, non vi par divertente?». L'indomanisi andavano sussurrando di orecchio in orecchio sconcedicerie a proposito di non so quale losca avventura incui la regina doveva essere immischiata. La graziosagita, un bel mattino d'aprile, sulle colline di Marly, dacui si vedrà il sorgere del sole, è svolta in un intero li-bello, una sconcezza: Il sorgere dell'Aurora, che i corti-giani si trasmettono l'un l'altro di nascosto. Nelle caldeserate estive, sulle terrazze di Versailles, a Maria Anto-nietta piace passeggiare. Orchestrine invisibili tra il fo-gliame fanno udire accordi che la dolcezza della notterende più melodiosi. Maria Antonietta, che ama il popo-lo e predilige l'emozione di sentire che attorno a lei tutticondividono il suo piacere, vuole che la folla entri libe-ramente. Al braccio del conte d'Artois o della contessadi Polignac, può imbattersi nel primo venuto. Le gazzet-te londinesi si riempiono di particolari infami sui «not-turnali» di Versailles. Gli Inglesi sono ghiotti dei parti-

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colari scabrosi che trasformano quelle passeggiate fami-gliari in orgie immonde. I fogli passano la Manica, ven-gono tradotti, allagano Parigi.

I cronisti imbastiscono follie intorno al Trianon. Ma-zières vi ha fatto una decorazione dipinta su tela con in-castonature di vetrame. Subito si fa un gran parlare dimuri di diamanti: in breve scintillano talmente nella fan-tasia popolare che, quando i deputati agli Stati generali,nel 1789, visitano il Trianon, chiedono insistentementedi vedere la sala dei diamanti. E siccome è impossibilefargliene vedere neanche una, se ne vanno con la con-vinzione che si è nascosto loro quella testimonianza del-le pazzie regali.

Le spese e i debiti della regina furono l'arma più tre-menda d'accusa contro di lei. La sua spensieratezza n'erastata la causa. Luigi XVI dovette un giorno saldare fintrecentomila lire di debiti fatti personalmente dalla so-vrana. I giornalisti ne parlarono:

«Pagandole quei trecentomila franchi – dicono i Me-moriali secreti di Bachaumont – il re le ha fatto sentireche coloro da cui era circondata, per timore di spiacerle,le celavano la verità. La pregava di riflettere che queldenaro proveniva dalla più pura sostanza del popolo enon doveva venir adoperato in spese frivole». Il fatto,divulgato, ebbe delle conseguenze. Nel 1777, una certaCalhonet de Villiers fu arrestata per aver scroccato enor-mi somme di danaro servendosi del nome della regina.All'appaltatore generale Béranger, che desiderava certionori a Corte, aveva fatto credere che la regina deside-

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colari scabrosi che trasformano quelle passeggiate fami-gliari in orgie immonde. I fogli passano la Manica, ven-gono tradotti, allagano Parigi.

I cronisti imbastiscono follie intorno al Trianon. Ma-zières vi ha fatto una decorazione dipinta su tela con in-castonature di vetrame. Subito si fa un gran parlare dimuri di diamanti: in breve scintillano talmente nella fan-tasia popolare che, quando i deputati agli Stati generali,nel 1789, visitano il Trianon, chiedono insistentementedi vedere la sala dei diamanti. E siccome è impossibilefargliene vedere neanche una, se ne vanno con la con-vinzione che si è nascosto loro quella testimonianza del-le pazzie regali.

Le spese e i debiti della regina furono l'arma più tre-menda d'accusa contro di lei. La sua spensieratezza n'erastata la causa. Luigi XVI dovette un giorno saldare fintrecentomila lire di debiti fatti personalmente dalla so-vrana. I giornalisti ne parlarono:

«Pagandole quei trecentomila franchi – dicono i Me-moriali secreti di Bachaumont – il re le ha fatto sentireche coloro da cui era circondata, per timore di spiacerle,le celavano la verità. La pregava di riflettere che queldenaro proveniva dalla più pura sostanza del popolo enon doveva venir adoperato in spese frivole». Il fatto,divulgato, ebbe delle conseguenze. Nel 1777, una certaCalhonet de Villiers fu arrestata per aver scroccato enor-mi somme di danaro servendosi del nome della regina.All'appaltatore generale Béranger, che desiderava certionori a Corte, aveva fatto credere che la regina deside-

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rasse contrarre un prestito all'insaputa del re, perchè co-stui la sgridava per le sue spese eccessive. E gli mostròdelle ricevute false. Il denaro venne dato.

«La regina – scrive il Beugnot – aveva allora una ri-putazione di leggerezza che, certo, non ha mai meritato.Si sospettava che fosse alle prese con necessità di dena-ro provocate dalla sua passione dello spendere. Si cita-vano di lei certe parole, certe battute, che la facevano di-scendere dal suo grado di regina a quello di donna trop-po compiacente. E, nel pensiero, si diventava famigliariverso di lei, a quest'ultimo titolo».

Qualche mese dopo l'affare Calhouet de Villiers, il 19dicembre 1778, Maria Antonietta dava alla luce il suoprimo figlio. Era aspettato da otto anni. «La mia salutesi è interamente rimessa – scrive a sua madre poco tem-po dopo. – Sto per riprendere la vita solita e, quindi,spero di poter presto annunziare alla mia cara mammadelle nuove speranze di gravidanza. Essa può star sicuracirca la mia condotta e sento troppo la necessità di averedei figli per minimamente trascurarmi a tal proposito.Se un tempo ho avuto dei torti, era fanciullaggine e leg-gerezza; ma adesso la mia testa è assai posata e si puòcontare che io senta bene tutti i miei doveri su questopunto. Del resto, lo devo al re».

Parole sincere che vennero messe in pratica. Una pro-fonda e durevole riforma avviene in tutta la vita dellasovrana. Ma si è ancora in tempo a fermare la maldicen-za? Maria Antonietta vuol dare, cominciando da se stes-sa, l'esempio dell'economia. Nell'esposizione annuale

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rasse contrarre un prestito all'insaputa del re, perchè co-stui la sgridava per le sue spese eccessive. E gli mostròdelle ricevute false. Il denaro venne dato.

«La regina – scrive il Beugnot – aveva allora una ri-putazione di leggerezza che, certo, non ha mai meritato.Si sospettava che fosse alle prese con necessità di dena-ro provocate dalla sua passione dello spendere. Si cita-vano di lei certe parole, certe battute, che la facevano di-scendere dal suo grado di regina a quello di donna trop-po compiacente. E, nel pensiero, si diventava famigliariverso di lei, a quest'ultimo titolo».

Qualche mese dopo l'affare Calhouet de Villiers, il 19dicembre 1778, Maria Antonietta dava alla luce il suoprimo figlio. Era aspettato da otto anni. «La mia salutesi è interamente rimessa – scrive a sua madre poco tem-po dopo. – Sto per riprendere la vita solita e, quindi,spero di poter presto annunziare alla mia cara mammadelle nuove speranze di gravidanza. Essa può star sicuracirca la mia condotta e sento troppo la necessità di averedei figli per minimamente trascurarmi a tal proposito.Se un tempo ho avuto dei torti, era fanciullaggine e leg-gerezza; ma adesso la mia testa è assai posata e si puòcontare che io senta bene tutti i miei doveri su questopunto. Del resto, lo devo al re».

Parole sincere che vennero messe in pratica. Una pro-fonda e durevole riforma avviene in tutta la vita dellasovrana. Ma si è ancora in tempo a fermare la maldicen-za? Maria Antonietta vuol dare, cominciando da se stes-sa, l'esempio dell'economia. Nell'esposizione annuale

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del «Salon» del 1783 c'è il suo ritratto fatto dalla signoraVigée Lebrun, in veste lunga, bianca, tutt'unita. Si vestecome una cameriera, dicono gli uni; vuole – affermanogli altri – rovinare il commercio di Lione e arricchire iBelgi di Courtrai, sudditi di suo fratello. E si è costrettia togliere il ritratto. Da questo solo episodio si scorge laprofondità dell'azione che è stata esercitata a suo danno.

«Le accuse contro la regina – dice de Nolhac – si leg-gono negli opuscoli osceni che girano per i circoli e pas-sano da una mano all'altra, dal gabinetto di toelettaall'anticamera; si ritrovano in quelle raccolte manoscrit-te su cui si arrossisce di dover riconoscere degli stemminobiliari e degli ex-libris femminili. Le immondizie cheverranno rimosse dalla Rivoluzione, le allusioni a Mes-salina e a Fredegonda, vi vengono sfoggiate in strofettepiccanti, dalle rime incipriate e ben tornite e le cantanole grandi dame sulle ariette di moda, nell'intimità dellecene prelibate. Ma le finestre stanno aperte; i passanti,nella strada, odono, ascoltano, ripetono; e, dal salotto, lacanzone scende all'osteria. Questo popolo, a cui si inse-gna il disprezzo della regina, delle donne e delle madri,non scorderà nessuna delle lezioni ricevute; sono i ritor-nelli delle persone di Corte che la accompagneranno allaghigliottina».

Eppure, se una donna avesse dovuto riuscir simpaticaagli uomini della Rivoluzione, era proprio Maria Anto-nietta. Si avvicinava al popolo per l'affetto che provavaper lui, per la commozione che le destava, e per il modocon cui si sforzava di capirlo. Si avvicinava agli uomini

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del «Salon» del 1783 c'è il suo ritratto fatto dalla signoraVigée Lebrun, in veste lunga, bianca, tutt'unita. Si vestecome una cameriera, dicono gli uni; vuole – affermanogli altri – rovinare il commercio di Lione e arricchire iBelgi di Courtrai, sudditi di suo fratello. E si è costrettia togliere il ritratto. Da questo solo episodio si scorge laprofondità dell'azione che è stata esercitata a suo danno.

«Le accuse contro la regina – dice de Nolhac – si leg-gono negli opuscoli osceni che girano per i circoli e pas-sano da una mano all'altra, dal gabinetto di toelettaall'anticamera; si ritrovano in quelle raccolte manoscrit-te su cui si arrossisce di dover riconoscere degli stemminobiliari e degli ex-libris femminili. Le immondizie cheverranno rimosse dalla Rivoluzione, le allusioni a Mes-salina e a Fredegonda, vi vengono sfoggiate in strofettepiccanti, dalle rime incipriate e ben tornite e le cantanole grandi dame sulle ariette di moda, nell'intimità dellecene prelibate. Ma le finestre stanno aperte; i passanti,nella strada, odono, ascoltano, ripetono; e, dal salotto, lacanzone scende all'osteria. Questo popolo, a cui si inse-gna il disprezzo della regina, delle donne e delle madri,non scorderà nessuna delle lezioni ricevute; sono i ritor-nelli delle persone di Corte che la accompagneranno allaghigliottina».

Eppure, se una donna avesse dovuto riuscir simpaticaagli uomini della Rivoluzione, era proprio Maria Anto-nietta. Si avvicinava al popolo per l'affetto che provavaper lui, per la commozione che le destava, e per il modocon cui si sforzava di capirlo. Si avvicinava agli uomini

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della Rivoluzione per le idee che aveva in comune. Nonfu lei a ottenere l'autorizzazione del Matrimonio di Fi-garo; lei che fece ogni sforzo perchè Voltaire venisse ri-cevuto a Corte? Fu Maria Antonietta a far tornare Nec-ker al ministero. Fu lei che sostenne la doppia rappre-sentanza per il Terzo stato. E nel 1788, sopprimeva per1.200.000 lire di cariche nella sua Casa.

L'8 giugno del 1773, era avvenuto l'ingresso solennedi Luigi XVI, ancora Delfino, nella città di Parigi, conla Delfina. L'entusiasmo della folla giungeva fino al de-lirio. Le case erano infiorate, i cappelli volavano peraria. Acclamazioni ininterrotte: «Viva monsignor Delfi-no! viva madama Delfina!» echeggiavano a migliaia.«Signora – diceva il duca di Brissac – voi avete qui due-centomila innamorati». Maria Antonietta volle scenderenei giardini, frammischiarsi direttamente alla folla, rin-graziare più da vicino, stringere le mani stese verso dilei. E scrive alla madre una lettera in cui palpita il suocuore:

«Quanto a onori, potete immaginarvi quanti ne abbia-mo ricevuti; ma questa, benchè bellissima, non è la cosache m'abbia maggiormente commossa; lo è invece, la te-nerezza e la premura di questo povero popolo che, mal-grado le imposte da cui è gravato, pareva trasportatodalla gioia di vederci. Quando ci siamo recati a passeg-giare alle Tuileries, c'era una folla tanto grande che sia-mo stati tre quarti d'ora senza potere andare nè avanti nèindietro. Abbiamo raccomandato parecchie volte alleguardie di non colpire nessuno. Al ritorno, siamo saliti

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della Rivoluzione per le idee che aveva in comune. Nonfu lei a ottenere l'autorizzazione del Matrimonio di Fi-garo; lei che fece ogni sforzo perchè Voltaire venisse ri-cevuto a Corte? Fu Maria Antonietta a far tornare Nec-ker al ministero. Fu lei che sostenne la doppia rappre-sentanza per il Terzo stato. E nel 1788, sopprimeva per1.200.000 lire di cariche nella sua Casa.

L'8 giugno del 1773, era avvenuto l'ingresso solennedi Luigi XVI, ancora Delfino, nella città di Parigi, conla Delfina. L'entusiasmo della folla giungeva fino al de-lirio. Le case erano infiorate, i cappelli volavano peraria. Acclamazioni ininterrotte: «Viva monsignor Delfi-no! viva madama Delfina!» echeggiavano a migliaia.«Signora – diceva il duca di Brissac – voi avete qui due-centomila innamorati». Maria Antonietta volle scenderenei giardini, frammischiarsi direttamente alla folla, rin-graziare più da vicino, stringere le mani stese verso dilei. E scrive alla madre una lettera in cui palpita il suocuore:

«Quanto a onori, potete immaginarvi quanti ne abbia-mo ricevuti; ma questa, benchè bellissima, non è la cosache m'abbia maggiormente commossa; lo è invece, la te-nerezza e la premura di questo povero popolo che, mal-grado le imposte da cui è gravato, pareva trasportatodalla gioia di vederci. Quando ci siamo recati a passeg-giare alle Tuileries, c'era una folla tanto grande che sia-mo stati tre quarti d'ora senza potere andare nè avanti nèindietro. Abbiamo raccomandato parecchie volte alleguardie di non colpire nessuno. Al ritorno, siamo saliti

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sopra una carrozza scoperta. Non posso dirvi, mia caramamma, le effusioni di gioia, d'affetto, che ci hanno te-stimoniato in quel momento. Quanto si è felici, nel no-stro stato, di guadagnarsi l'amicizia del popolo così abuon mercato! Eppure non c'è nulla di più prezioso.L'ho sentito e non lo dimenticherò mai».

Maria Antonietta e i Francesi della Rivoluzione eranofatti per intendersi; ma fra la regina e il paese s'era insi-nuato Don Basilio: l'uomo del giorno. Beaumarchais,che ha lasciato un quadro pittoresco del suo tempo, loha meravigliosamente definito: «La calunnia!... non c'èbassa malvagità, non c'è cosa orrenda, non c'è favola as-surda che non si possa far accettare con un po' d'artifi-cio... Dapprima è un ronzìo leggiero che rasenta il suolocome la rondinella prima del temporale; mormora pia-nissimo e fila via e lascia cadere, mentre corre, il dardoavvelenato. C'è una bocca che lo raccoglie e piano pia-no, abilmente, ve lo insinua. Il male è fatto, germoglia,striscia, cammina, rinforzando, va diabolicamente dibocca in bocca; poi, a un tratto, non si sa come, voi ve-dete la calunnia ergersi, fischiare, gonfiarsi, crescere avista d'occhio. Prende lo slancio, allarga il volo, turbina,avvolge, strappa, trascina, scoppia e tuona; e diventa,grazie al cielo, un grido. generale, un crescendo pubbli-co, un coro universale di odio e a di proscrizione».

I Goncourt hanno scritto le seguenti righe piene d'unaprofonda verità:

«La vita privata, con le sue gioie, i suoi attaccamenti,è proibita ai sovrani. Prigionieri di Stato nei loro palaz-

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sopra una carrozza scoperta. Non posso dirvi, mia caramamma, le effusioni di gioia, d'affetto, che ci hanno te-stimoniato in quel momento. Quanto si è felici, nel no-stro stato, di guadagnarsi l'amicizia del popolo così abuon mercato! Eppure non c'è nulla di più prezioso.L'ho sentito e non lo dimenticherò mai».

Maria Antonietta e i Francesi della Rivoluzione eranofatti per intendersi; ma fra la regina e il paese s'era insi-nuato Don Basilio: l'uomo del giorno. Beaumarchais,che ha lasciato un quadro pittoresco del suo tempo, loha meravigliosamente definito: «La calunnia!... non c'èbassa malvagità, non c'è cosa orrenda, non c'è favola as-surda che non si possa far accettare con un po' d'artifi-cio... Dapprima è un ronzìo leggiero che rasenta il suolocome la rondinella prima del temporale; mormora pia-nissimo e fila via e lascia cadere, mentre corre, il dardoavvelenato. C'è una bocca che lo raccoglie e piano pia-no, abilmente, ve lo insinua. Il male è fatto, germoglia,striscia, cammina, rinforzando, va diabolicamente dibocca in bocca; poi, a un tratto, non si sa come, voi ve-dete la calunnia ergersi, fischiare, gonfiarsi, crescere avista d'occhio. Prende lo slancio, allarga il volo, turbina,avvolge, strappa, trascina, scoppia e tuona; e diventa,grazie al cielo, un grido. generale, un crescendo pubbli-co, un coro universale di odio e a di proscrizione».

I Goncourt hanno scritto le seguenti righe piene d'unaprofonda verità:

«La vita privata, con le sue gioie, i suoi attaccamenti,è proibita ai sovrani. Prigionieri di Stato nei loro palaz-

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zi, non possono uscirne senza diminuire la religione deipopoli e il rispetto dell'opinione. Ciò che a loro piacedev'essere grande e regale, la loro amicizia alta e nonconfidenziale, il loro sorriso pubblico ed esteso a tutti.Non sono padroni nemmeno del proprio cuore e non èloro dato di seguirne gli impulsi e abbandonarvisi. Leregine sono sottomesse al pari dei re a questa pena e aquesta espiazione della regalità. Scendendo a gusti pri-vati, nè il sesso, nè l'età, nè la semplicità dell'animo, nèil candore degli istinti, nè la purezza e la devozione del-le simpatie, varranno ad acquistare loro l'indulgenza deicortigiani e nemmeno il silenzio dei cattivi o la caritàdella storia».

Imbevuta dalla filosofia sentimentale e naturalistache, dal borghese al gentiluomo, aveva fatto breccia intutte le menti, Maria Antonietta, donna del suo tempo,di cui fu l'espressione viva e pittoresca, credette che, es-sendo regina, si potesse essere donna. Errore che la Cor-te in cui viveva non le perdonò; che non le perdonò laRivoluzione e che oggidì ancora noi stentiamo molto acompatire.

Ecco in quali condizioni Maria Antonietta partoriva.Il guardasigilli, i ministri e segretarii di Stato aspetta-

vano nel Grande Gabinetto, insieme alla Casa del re, laCasa della regina e coloro che partecipavano alle cosi-dette grandi entrate. Il resto della Corte gremiva la salada giuoco e la galleria. A un tratto, tuona una voce: «Laregina sta per partorire!». La Corte si precipita alla rin-fusa con la folla. L'uso vuole che tutti entrino in quel

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zi, non possono uscirne senza diminuire la religione deipopoli e il rispetto dell'opinione. Ciò che a loro piacedev'essere grande e regale, la loro amicizia alta e nonconfidenziale, il loro sorriso pubblico ed esteso a tutti.Non sono padroni nemmeno del proprio cuore e non èloro dato di seguirne gli impulsi e abbandonarvisi. Leregine sono sottomesse al pari dei re a questa pena e aquesta espiazione della regalità. Scendendo a gusti pri-vati, nè il sesso, nè l'età, nè la semplicità dell'animo, nèil candore degli istinti, nè la purezza e la devozione del-le simpatie, varranno ad acquistare loro l'indulgenza deicortigiani e nemmeno il silenzio dei cattivi o la caritàdella storia».

Imbevuta dalla filosofia sentimentale e naturalistache, dal borghese al gentiluomo, aveva fatto breccia intutte le menti, Maria Antonietta, donna del suo tempo,di cui fu l'espressione viva e pittoresca, credette che, es-sendo regina, si potesse essere donna. Errore che la Cor-te in cui viveva non le perdonò; che non le perdonò laRivoluzione e che oggidì ancora noi stentiamo molto acompatire.

Ecco in quali condizioni Maria Antonietta partoriva.Il guardasigilli, i ministri e segretarii di Stato aspetta-

vano nel Grande Gabinetto, insieme alla Casa del re, laCasa della regina e coloro che partecipavano alle cosi-dette grandi entrate. Il resto della Corte gremiva la salada giuoco e la galleria. A un tratto, tuona una voce: «Laregina sta per partorire!». La Corte si precipita alla rin-fusa con la folla. L'uso vuole che tutti entrino in quel

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momento, che nessuno venga respinto: lo spettacolo èpubblico. Si invade la camera così tumultuosamente chei paraventi attorno al letto della regina quasi vengonorovesciati. La piazza pubblica è lì nella stanza da letto.Dei Savoiardi salgono sui mobili per vedere meglio.Una turba compatta riempie il locale, la regina soffoca.«Aria!» grida l'ostetrico. Il re corre alle finestre benchiuse e le apre con la foga d'un forsennato. Gli uscieri,i camerieri sono costretti a respingere gli intrusi che siavanzano a gomitate. L'acqua calda richiesta dall'ostetri-co, non essendo arrivata, il primo chirurgo punge a sec-co il piede della regina. Il sangue sprizza. Due Savoiar-di, in piedi sopra un canterano, stanno litigando ingiu-riandosi. Che baccano! Finalmente la regina apre gli oc-chi, è salva.

Era questo il cerimoniale della Corte di Francia quan-do la regina dava un erede alla corona. La donna che do-veva compiere in tal modo gli atti supremi della propriaesistenza, avrebbe dovuto capire che il suo cuore nonaveva il diritto d'amare e che la sua bocca non aveva ildiritto di ridere.

Maria Antonietta non lo capì e venne ghigliottinata.

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momento, che nessuno venga respinto: lo spettacolo èpubblico. Si invade la camera così tumultuosamente chei paraventi attorno al letto della regina quasi vengonorovesciati. La piazza pubblica è lì nella stanza da letto.Dei Savoiardi salgono sui mobili per vedere meglio.Una turba compatta riempie il locale, la regina soffoca.«Aria!» grida l'ostetrico. Il re corre alle finestre benchiuse e le apre con la foga d'un forsennato. Gli uscieri,i camerieri sono costretti a respingere gli intrusi che siavanzano a gomitate. L'acqua calda richiesta dall'ostetri-co, non essendo arrivata, il primo chirurgo punge a sec-co il piede della regina. Il sangue sprizza. Due Savoiar-di, in piedi sopra un canterano, stanno litigando ingiu-riandosi. Che baccano! Finalmente la regina apre gli oc-chi, è salva.

Era questo il cerimoniale della Corte di Francia quan-do la regina dava un erede alla corona. La donna che do-veva compiere in tal modo gli atti supremi della propriaesistenza, avrebbe dovuto capire che il suo cuore nonaveva il diritto d'amare e che la sua bocca non aveva ildiritto di ridere.

Maria Antonietta non lo capì e venne ghigliottinata.

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VI.GIOVANNA DI VALOIS.

Si era di marzo e faceva freddo ancora.Strisciava in fretta, rasente i muri, o si rannicchiava

nel vano delle porte, al passare delle carrozze, la poverapiccola, che rabbrividiva ne' suoi cenci, scalza, con i li-neamenti stiracchiati, le labbra livide dal gelo e dallafame. Stendeva una mano fine, delicata, e mormoravacon voce tremolante, scossa, a tratti, quasi da fremiti dicollera: «Pietà per una povera orfanella del sangue deiValois!» I viandanti, in maggioranza, non le badavano;altri buttavano, distratti o alteri, qualche moneta; quelliche si fermavano alle parole «...un'orfanella del sanguedei Valois» rispondevano con ingiurie: «Oh! che bric-concella!» e la respingevano duramente. Allora essa se-deva per un momento sul ciglio della strada, stanca, coigomiti sulle ginocchia, il mento nel cavo delle mani. Ilvento sollevava i suoi capelli castani con cui le accarez-zava il volto. Avea le labbra frementi e negli occhi unosplendore spaventoso. Guardava le carrozze, che sfila-

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VI.GIOVANNA DI VALOIS.

Si era di marzo e faceva freddo ancora.Strisciava in fretta, rasente i muri, o si rannicchiava

nel vano delle porte, al passare delle carrozze, la poverapiccola, che rabbrividiva ne' suoi cenci, scalza, con i li-neamenti stiracchiati, le labbra livide dal gelo e dallafame. Stendeva una mano fine, delicata, e mormoravacon voce tremolante, scossa, a tratti, quasi da fremiti dicollera: «Pietà per una povera orfanella del sangue deiValois!» I viandanti, in maggioranza, non le badavano;altri buttavano, distratti o alteri, qualche moneta; quelliche si fermavano alle parole «...un'orfanella del sanguedei Valois» rispondevano con ingiurie: «Oh! che bric-concella!» e la respingevano duramente. Allora essa se-deva per un momento sul ciglio della strada, stanca, coigomiti sulle ginocchia, il mento nel cavo delle mani. Ilvento sollevava i suoi capelli castani con cui le accarez-zava il volto. Avea le labbra frementi e negli occhi unosplendore spaventoso. Guardava le carrozze, che sfila-

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vano rapide come la folgore sulla strada del re, da Parigia Versailles, i cavalli dal pelo lucente, i cocchieri gallo-nati d'oro, la livrea brillante dei lacchè, i cappelli a piu-me dei gentiluomini, le dame nelle loro crinoline guar-nite di raso e i corpetti finissimi dove i pizzi formavanocome una schiuma leggera che i diamanti costellavanodei loro bagliori. E gli occhi della piccola mendicanteavevano un lampo duro, brillavano di odio e di invidia.

La sera, rincasava in un'orrida stamberga, arrampi-candosi, sfinita, su per una scaletta di legno, aperta allapioggia, che l'edera, la vigna selvatica e il caprifoglioavevano invaso. Spingeva la porta tremando. Nella stan-za, c'era la miseria sordida. Un uomo l'accoglieva condelle imprecazioni; una donna, ch'era sua madre, nonl'abbracciava. Tutti i giorni la bambina doveva portareuna data somma; e quando non l'aveva raggranellata,sua madre le strappava di dosso i cenci per batterla asangue con dei ciuffi d'ortiche.

La piccola era nel suo ottavo anno. Talvolta conduce-va seco la sorellina minore, mettendosela sulla schiena,dopo essersi annodato il grembiule come una sciarpa pertenerla salda; e le sue ginocchia, quando aveva cammi-nato alquanto, piegavano sotto il peso.

In una fresca mattinata, dalla vaporosità luminosa,che dava una specie di giocondità all'atmosfera, la bam-bina s'era fermata senza fiato a metà del pendìo verso ilvillaggio di Passy. In lontananza, sulla strada, una car-rozza s'avanzava lentamente. Essa l'aspettò e quando fuvicina, s'accostò con la mano tesa:

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vano rapide come la folgore sulla strada del re, da Parigia Versailles, i cavalli dal pelo lucente, i cocchieri gallo-nati d'oro, la livrea brillante dei lacchè, i cappelli a piu-me dei gentiluomini, le dame nelle loro crinoline guar-nite di raso e i corpetti finissimi dove i pizzi formavanocome una schiuma leggera che i diamanti costellavanodei loro bagliori. E gli occhi della piccola mendicanteavevano un lampo duro, brillavano di odio e di invidia.

La sera, rincasava in un'orrida stamberga, arrampi-candosi, sfinita, su per una scaletta di legno, aperta allapioggia, che l'edera, la vigna selvatica e il caprifoglioavevano invaso. Spingeva la porta tremando. Nella stan-za, c'era la miseria sordida. Un uomo l'accoglieva condelle imprecazioni; una donna, ch'era sua madre, nonl'abbracciava. Tutti i giorni la bambina doveva portareuna data somma; e quando non l'aveva raggranellata,sua madre le strappava di dosso i cenci per batterla asangue con dei ciuffi d'ortiche.

La piccola era nel suo ottavo anno. Talvolta conduce-va seco la sorellina minore, mettendosela sulla schiena,dopo essersi annodato il grembiule come una sciarpa pertenerla salda; e le sue ginocchia, quando aveva cammi-nato alquanto, piegavano sotto il peso.

In una fresca mattinata, dalla vaporosità luminosa,che dava una specie di giocondità all'atmosfera, la bam-bina s'era fermata senza fiato a metà del pendìo verso ilvillaggio di Passy. In lontananza, sulla strada, una car-rozza s'avanzava lentamente. Essa l'aspettò e quando fuvicina, s'accostò con la mano tesa:

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— Fate l'elemosina, per l'amor di Dio, a due povereorfanelle del sangue dei Valois.

— Che cosa dici, piccola? – chiese una signora ricca-mente vestita, seduta in fondo alla carrozza, accanto aun grosso uomo sovraccarico di ricami che già comin-ciava a brontolare.

Era assurdo fermare la carrozza per ascoltare le men-zogne d'una pezzente. Ma la signora voleva ascoltare,perchè già la bambina aveva cominciato a raccontare lapropria storia.

— Benissimo – rispose la marchesa – e io vi promet-to, mia buona ragazzina, che se quanto dite è vero, vifarò da mamma. Ma state in guardia – aggiunse, – vipentireste d'avermi raccontato delle frottole.

Era la marchesa di Boulainvilliers, che si recava nellasua terra di Passy, col marito, il podestà di Parigi. Lamarchesa, come aveva detto, attinse informazioni nel vi-cinato della stamberga ove alloggiavano le piccole men-dicanti; e, specialmente, dall'abate Enaque, curato diBoulogne, dalla cui parrocchia esse dipendevano. Il pre-te, uomo dabbene, dalla carità feconda, aveva compas-sione di quei disgraziati. Per avere notizie precise circala madre e le bimbe, scrisse al loro paese di origine,Bar-sur-Aube, e s'affrettò a comunicarle alla marchesa.

La bambina si chiamava Giovanna; era la figlia mag-giore di Giacomo di Saint Rémy, barone di Luze e diValois, ch'era nato nel suo castello di Fontette, a sei le-ghe da Bar-sur-Aube, il 22 dicembre 1717, e tosto dece-duto all'ospedale di Parigi, il 16 febbraio 1762. Quando

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— Fate l'elemosina, per l'amor di Dio, a due povereorfanelle del sangue dei Valois.

— Che cosa dici, piccola? – chiese una signora ricca-mente vestita, seduta in fondo alla carrozza, accanto aun grosso uomo sovraccarico di ricami che già comin-ciava a brontolare.

Era assurdo fermare la carrozza per ascoltare le men-zogne d'una pezzente. Ma la signora voleva ascoltare,perchè già la bambina aveva cominciato a raccontare lapropria storia.

— Benissimo – rispose la marchesa – e io vi promet-to, mia buona ragazzina, che se quanto dite è vero, vifarò da mamma. Ma state in guardia – aggiunse, – vipentireste d'avermi raccontato delle frottole.

Era la marchesa di Boulainvilliers, che si recava nellasua terra di Passy, col marito, il podestà di Parigi. Lamarchesa, come aveva detto, attinse informazioni nel vi-cinato della stamberga ove alloggiavano le piccole men-dicanti; e, specialmente, dall'abate Enaque, curato diBoulogne, dalla cui parrocchia esse dipendevano. Il pre-te, uomo dabbene, dalla carità feconda, aveva compas-sione di quei disgraziati. Per avere notizie precise circala madre e le bimbe, scrisse al loro paese di origine,Bar-sur-Aube, e s'affrettò a comunicarle alla marchesa.

La bambina si chiamava Giovanna; era la figlia mag-giore di Giacomo di Saint Rémy, barone di Luze e diValois, ch'era nato nel suo castello di Fontette, a sei le-ghe da Bar-sur-Aube, il 22 dicembre 1717, e tosto dece-duto all'ospedale di Parigi, il 16 febbraio 1762. Quando

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diceva di essere del sangue dei Valois, la bambina dice-va il vero. Discendeva realmente, in linea diretta, ma-schile, da Enrico II, del ramo dei Valois, ramo maggioredi quello dei Borboni, allora sul trono. La genealogiapotè venir certificata esatta dal giudice d'armi della no-biltà francese, d'Hozier di Sérigny, e dal sapiente Ché-rin, genealogista del re. Enrico II aveva avuto, da Nico-letta di Savigny, Enrico di Saint-Rémy, che riconobbe elegittimò, riconoscimento e legittimazione essendo allo-ra due atti identici e che si fondevano in uno solo. Enri-co di Saint-Rémv aveva avuto da Cristiana di Luz, Re-nato di Saint-Rémy, che aveva avuto, da GiacomettaBréveau, Pietro di Saint-Remy di Valois, che aveva avu-to, da Maria di Mullot, Nicola Renato di Saint-Rémy diValois, che aveva avuto, da Maria Elisabetta di Vienna,Giacomo di Saint-Rémy, barone di Luze e di Valois, pa-dre della bimba cenciosa che la marchesa di Boulainvil-liers aveva accolta sul predellino della propria vettura.Le armi erano d'argento a fascia azzurra con tre giglid'oro. E conosceva le proprie armi, la piccola; era anzila sola cosa che doveva sapere, nella sua squallida indi-genza. La fascia azzurra, i gigli d'oro; la sua testolina neera come imbottita. E quando ne parlava, con precisionesingolare, come pure dell'antenato, il bastardo regale diNicoletta di Savigny, tutto il suo corpo, che la miseriaaveva piegato, si raddrizzava in un moto di ribellione ed'orgoglio.

Da parecchie generazioni, i Saint-Rémy di Valoisconducevano, nei loro domini di Fontette, quella vita

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diceva di essere del sangue dei Valois, la bambina dice-va il vero. Discendeva realmente, in linea diretta, ma-schile, da Enrico II, del ramo dei Valois, ramo maggioredi quello dei Borboni, allora sul trono. La genealogiapotè venir certificata esatta dal giudice d'armi della no-biltà francese, d'Hozier di Sérigny, e dal sapiente Ché-rin, genealogista del re. Enrico II aveva avuto, da Nico-letta di Savigny, Enrico di Saint-Rémy, che riconobbe elegittimò, riconoscimento e legittimazione essendo allo-ra due atti identici e che si fondevano in uno solo. Enri-co di Saint-Rémv aveva avuto da Cristiana di Luz, Re-nato di Saint-Rémy, che aveva avuto, da GiacomettaBréveau, Pietro di Saint-Remy di Valois, che aveva avu-to, da Maria di Mullot, Nicola Renato di Saint-Rémy diValois, che aveva avuto, da Maria Elisabetta di Vienna,Giacomo di Saint-Rémy, barone di Luze e di Valois, pa-dre della bimba cenciosa che la marchesa di Boulainvil-liers aveva accolta sul predellino della propria vettura.Le armi erano d'argento a fascia azzurra con tre giglid'oro. E conosceva le proprie armi, la piccola; era anzila sola cosa che doveva sapere, nella sua squallida indi-genza. La fascia azzurra, i gigli d'oro; la sua testolina neera come imbottita. E quando ne parlava, con precisionesingolare, come pure dell'antenato, il bastardo regale diNicoletta di Savigny, tutto il suo corpo, che la miseriaaveva piegato, si raddrizzava in un moto di ribellione ed'orgoglio.

Da parecchie generazioni, i Saint-Rémy di Valoisconducevano, nei loro domini di Fontette, quella vita

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che il conte Beugnot chiama eroica: agricoltori e caccia-tori, o piuttosto cacciatori di frodo: la vera esistenza,che conveniva a dei figli di re, dal momento che nonerano sul trono, se pure talvolta, non facevano anche ifalsi monetarii. Il castello, immenso, ergeva la sua co-struzione piatta e quadrata, senza stile, datante dalla finedel sec. XVI, a mezzo pendìo, torreggiante una pianurasinuosa in cui i campi di trifoglio e di avena s'alternava-no coi vigneti. Era circondato da noci secolari dal fo-gliame lucente e i tronchi nodosi. Abbasso, un secondocastello d'aspetto feudale, delle grosse torri rotonde cheaffondavano nei fossati dove stagnava un'acqua limac-ciosa, serviva da granaio per il fieno, di deposito per ilraccolto delle frutta e di alloggio al portinaio. Era diroc-cato, colla tettoia sfondata; i piani superiori erano apertialla pioggia. «Mio padre – scrive Beugnot – aveva vistoil capo di quella triste famiglia – si trattava di Giacomodi Saint-Rémy, padre della piccola Giovanna –; lo dipin-geva come un uomo dalle forme atletiche, che vivevadella caccia, dei prodotti delle foreste devastate, di fruttaagreste e anche dei furti di frutta coltivata. I Saint-Rémyconducevano da due o tre generazioni quella vita eroicasopportata dagli abitanti e dalle autorità, da quelli per ti-more e da queste per la risonanza d'un nome tanto famo-so». La compagnia del barone era formata di contadinicon i quali s'ubbriacava e poi faceva a botte quando ave-va bevuto. Vendeva pezzo per pezzo ciò che rimanevadel patrimonio famigliare per sopperire ai propri stravi-zi. Alla fine, sedusse una certa Maria Jossel, figlia del

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che il conte Beugnot chiama eroica: agricoltori e caccia-tori, o piuttosto cacciatori di frodo: la vera esistenza,che conveniva a dei figli di re, dal momento che nonerano sul trono, se pure talvolta, non facevano anche ifalsi monetarii. Il castello, immenso, ergeva la sua co-struzione piatta e quadrata, senza stile, datante dalla finedel sec. XVI, a mezzo pendìo, torreggiante una pianurasinuosa in cui i campi di trifoglio e di avena s'alternava-no coi vigneti. Era circondato da noci secolari dal fo-gliame lucente e i tronchi nodosi. Abbasso, un secondocastello d'aspetto feudale, delle grosse torri rotonde cheaffondavano nei fossati dove stagnava un'acqua limac-ciosa, serviva da granaio per il fieno, di deposito per ilraccolto delle frutta e di alloggio al portinaio. Era diroc-cato, colla tettoia sfondata; i piani superiori erano apertialla pioggia. «Mio padre – scrive Beugnot – aveva vistoil capo di quella triste famiglia – si trattava di Giacomodi Saint-Rémy, padre della piccola Giovanna –; lo dipin-geva come un uomo dalle forme atletiche, che vivevadella caccia, dei prodotti delle foreste devastate, di fruttaagreste e anche dei furti di frutta coltivata. I Saint-Rémyconducevano da due o tre generazioni quella vita eroicasopportata dagli abitanti e dalle autorità, da quelli per ti-more e da queste per la risonanza d'un nome tanto famo-so». La compagnia del barone era formata di contadinicon i quali s'ubbriacava e poi faceva a botte quando ave-va bevuto. Vendeva pezzo per pezzo ciò che rimanevadel patrimonio famigliare per sopperire ai propri stravi-zi. Alla fine, sedusse una certa Maria Jossel, figlia del

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portinaio del suo castello; e quando questa gli ebbe datoun figlio, la sposò.

Quella donna finì di rovinarlo. Era in preda ai vizi piùdegradanti, e Giacomo di Saint-Rémy, con la sua forzad'Ercole, aveva un carattere debole, una natura indolen-te. Nelle mani della moglie, non era che uno straccio.

«Mio padre – scrive il conte Beugnot – si ricorda che,or sono quindici o venti anni, andava ogni anno nel can-tone d'Essoyes per la ripartizione delle taglie. Quandopassava dalla parrocchia di Fontette, il parroco non tra-lasciava d'imporne una anche lui alla sua borsa per i po-veri bimbi di Saint-Rémy. Erano tre, abbandonati in unacasupola pericolante, che verso strada aveva un piccolopertugio da cui gli abitanti, a turno, facevano passare lazuppa o altri alimenti grossolani caritatevolmente offer-ti. – L'ho visto io, diceva mio padre, e il curato non osa-va d'aprire l'uscio per timore di affliggermi con lo spet-tacolo di quei bambini, vestiti e nutriti come una speciedi selvaggi; mi diceva che la mia elemosina contribuivaa ricoprirli».

Giovanna, la maggiore, usciva dal villaggio con lemandrie. Andava a piedi nudi, magrolina, con i capelliarruffati da festuche di paglia e di fieno, spingendo legiovenche lente col suo rametto d'agrifoglio. La vesterappezzata, d'un azzurro smunto, era in armonia col ver-de grigio delle vene. Ma Giovanna era pigra ad alzarsi;e capitava sovente che, al mattino, la madre la inseguis-se a colpi di forca, fin sotto il suo giaciglio, per farlauscire.

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portinaio del suo castello; e quando questa gli ebbe datoun figlio, la sposò.

Quella donna finì di rovinarlo. Era in preda ai vizi piùdegradanti, e Giacomo di Saint-Rémy, con la sua forzad'Ercole, aveva un carattere debole, una natura indolen-te. Nelle mani della moglie, non era che uno straccio.

«Mio padre – scrive il conte Beugnot – si ricorda che,or sono quindici o venti anni, andava ogni anno nel can-tone d'Essoyes per la ripartizione delle taglie. Quandopassava dalla parrocchia di Fontette, il parroco non tra-lasciava d'imporne una anche lui alla sua borsa per i po-veri bimbi di Saint-Rémy. Erano tre, abbandonati in unacasupola pericolante, che verso strada aveva un piccolopertugio da cui gli abitanti, a turno, facevano passare lazuppa o altri alimenti grossolani caritatevolmente offer-ti. – L'ho visto io, diceva mio padre, e il curato non osa-va d'aprire l'uscio per timore di affliggermi con lo spet-tacolo di quei bambini, vestiti e nutriti come una speciedi selvaggi; mi diceva che la mia elemosina contribuivaa ricoprirli».

Giovanna, la maggiore, usciva dal villaggio con lemandrie. Andava a piedi nudi, magrolina, con i capelliarruffati da festuche di paglia e di fieno, spingendo legiovenche lente col suo rametto d'agrifoglio. La vesterappezzata, d'un azzurro smunto, era in armonia col ver-de grigio delle vene. Ma Giovanna era pigra ad alzarsi;e capitava sovente che, al mattino, la madre la inseguis-se a colpi di forca, fin sotto il suo giaciglio, per farlauscire.

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Quando il barone di Saint-Rémy e sua moglie ebberoesaurite le risorse provenienti dall'ultimo quadratino diterra ceduto ad antichi fattori, venduto il castello pezzoper pezzo a parecchie famiglie del paese, stancata la pa-zienza dei creditori che si preparavano ad esercitarecontro di loro il diritto di cattura, decisero d'andare atentare la fortuna a Parigi. Si sarebbero incamminati pa-dre, madre e tre dei quattro figli: Giacomo e Giovanna, idue maggiori e la quarta, Margherita Anna, appena natae che si poteva facilmente portare. Più imbarazzante eraMaria Anna, che aveva un anno e mezzo. Risolvetterodi partire di notte e di appendere la povera piccola, av-volta nei suoi pannolini, formanti fascia, alla trave dellacasa d'un brav'uomo di contadino, certo Durand, anticofattore del barone di Saint-Rémy, che si era mantenutocon lui in buone relazioni. Diciamo immediatamenteche quell'ottimo uomo ebbe pietà della bimba abbando-nata e, prendendola a suo carico, l'allevò con ogni cura econ tutto il cuore.

Si era nella primavera del 1760. «Non capitò nulla dinotevole per via – dice un contemporaneo molto beneinformato. – Camminarono a piccole tappe. Dopo parec-chi giorni giunsero a Parigi. Non trovando da occuparsinella città, andarono a finire a Boulogne di cui conosce-vano il curato. Costui di quando in quando andava a tro-varli e provvedeva caritatevolmente a una parte dei lorobisogni». Il resto delle spese era sostenuto dalla piccolamendicante. La baronessa metteva anche a profitto lasua bellezza di paesana robusta e avvenente. Finì col

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Quando il barone di Saint-Rémy e sua moglie ebberoesaurite le risorse provenienti dall'ultimo quadratino diterra ceduto ad antichi fattori, venduto il castello pezzoper pezzo a parecchie famiglie del paese, stancata la pa-zienza dei creditori che si preparavano ad esercitarecontro di loro il diritto di cattura, decisero d'andare atentare la fortuna a Parigi. Si sarebbero incamminati pa-dre, madre e tre dei quattro figli: Giacomo e Giovanna, idue maggiori e la quarta, Margherita Anna, appena natae che si poteva facilmente portare. Più imbarazzante eraMaria Anna, che aveva un anno e mezzo. Risolvetterodi partire di notte e di appendere la povera piccola, av-volta nei suoi pannolini, formanti fascia, alla trave dellacasa d'un brav'uomo di contadino, certo Durand, anticofattore del barone di Saint-Rémy, che si era mantenutocon lui in buone relazioni. Diciamo immediatamenteche quell'ottimo uomo ebbe pietà della bimba abbando-nata e, prendendola a suo carico, l'allevò con ogni cura econ tutto il cuore.

Si era nella primavera del 1760. «Non capitò nulla dinotevole per via – dice un contemporaneo molto beneinformato. – Camminarono a piccole tappe. Dopo parec-chi giorni giunsero a Parigi. Non trovando da occuparsinella città, andarono a finire a Boulogne di cui conosce-vano il curato. Costui di quando in quando andava a tro-varli e provvedeva caritatevolmente a una parte dei lorobisogni». Il resto delle spese era sostenuto dalla piccolamendicante. La baronessa metteva anche a profitto lasua bellezza di paesana robusta e avvenente. Finì col

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mettere fuor dell'uscio il marito – quasi sempre malato,ormai – per sostituirlo con un soldato delle guardie, cer-to Giambattista Raymond, nativo della Sardegna. Giaco-mo di Saint-Rémy morì all'ospedale, come fu detto, dimiseria e di dolore. La vita della piccola Giovanna di-ventò atroce. Era la vittima di quella coppia depravata emalvagia, bimba martire sui cui la dissolutezza e il ri-morso facevano ricadere le loro violenze. «Insensibile almio pianto – scrive Giovanna – la mia spietata madrechiudeva la porta e dopo avermi costretta a spogliarmide' miei miserabili cenci, che bastavano appena a rico-prirmi, mi veniva addosso furibonda. togliendomi lapelle a furia di vergate. Ma non bastava. Raymond milegava al letto e se, durante quell'operazione crudeleosavo lanciare delle grida, essa ricominciava a battermicon furia maggiore. Sovente la sua verga si spezzava frale mani, tanto s'appesantiva su di me il suo furore e bru-tale».

Fu allora, nel 1763, che Giovanna si trovò sul cammi-no della marchesa di Boulainvilliers. Costei la raccolsee la mise, con la sorellina Margherita Anna che le avevavista legata sul dorso, presso una signora Leclerc che te-neva un educandato femminile, a Passy. MargheritaAnna morì di vaiuolo poco tempo dopo.

Intanto la baronessa di Saint-Rémy, che aveva abban-donato il marito, non tardò ad essere abbandonata a suavolta dall'amante. Tornò a Barsur-Aube col figlio Giaco-mo ch'era rimasto con lei. Dei rustici adoratori contri-buirono alla sua sussistenza finchè conservò qualche at-

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mettere fuor dell'uscio il marito – quasi sempre malato,ormai – per sostituirlo con un soldato delle guardie, cer-to Giambattista Raymond, nativo della Sardegna. Giaco-mo di Saint-Rémy morì all'ospedale, come fu detto, dimiseria e di dolore. La vita della piccola Giovanna di-ventò atroce. Era la vittima di quella coppia depravata emalvagia, bimba martire sui cui la dissolutezza e il ri-morso facevano ricadere le loro violenze. «Insensibile almio pianto – scrive Giovanna – la mia spietata madrechiudeva la porta e dopo avermi costretta a spogliarmide' miei miserabili cenci, che bastavano appena a rico-prirmi, mi veniva addosso furibonda. togliendomi lapelle a furia di vergate. Ma non bastava. Raymond milegava al letto e se, durante quell'operazione crudeleosavo lanciare delle grida, essa ricominciava a battermicon furia maggiore. Sovente la sua verga si spezzava frale mani, tanto s'appesantiva su di me il suo furore e bru-tale».

Fu allora, nel 1763, che Giovanna si trovò sul cammi-no della marchesa di Boulainvilliers. Costei la raccolsee la mise, con la sorellina Margherita Anna che le avevavista legata sul dorso, presso una signora Leclerc che te-neva un educandato femminile, a Passy. MargheritaAnna morì di vaiuolo poco tempo dopo.

Intanto la baronessa di Saint-Rémy, che aveva abban-donato il marito, non tardò ad essere abbandonata a suavolta dall'amante. Tornò a Barsur-Aube col figlio Giaco-mo ch'era rimasto con lei. Dei rustici adoratori contri-buirono alla sua sussistenza finchè conservò qualche at-

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trattiva. Ma a poco a poco queste svanirono con l'età e lasciagurata donna morì nell'indigenza più assoluta. Nonappena uscito dall'infanzia, suo figlio Giacomo era par-tito con poco danaro in tasca. Aveva camminato fino aTolone, dove s'era arruolato come mozzo sulla primanave che aveva acconsentito a riceverlo. Aveva un tem-peramento energico e valoroso. Fece nella marina ono-revole carriera.

Giovanna rimase presso la Leclerc fino dopo la suaprima comunione. A quattordici anni, la marchesa diBonlainvilliers la collocò da una sarta, a Parigi. Da co-stei che si chiamava M.lle La Marche, passò ad un'altrasarta del sobborgo di Saint-Germain, M.me Boussol,che la prese come domestica. Il suo carattere irrequieto,agitato, non le permetteva di star fissa in un posto. Eracome una febbre che la divorava. Sopportava con impa-zienza l'obbligo di servire. Di quando in quando, la si-gnora di Boulainvilliers la prendeva con sè per distrarlae rimetterla in salute. Si trovò così talora a servizio,tal'altra come apprendista, irritandosi sempre più. «Di-venni successivamente – racconta – lavandaia, portatri-ce d'acqua, cuoca, stiratrice, cucitrice di bianco; di tutto,insomma, ma non riuscii a diventare felice nè stimata».Una discendente dei re di Francia era forse fatta per ser-vire? Non tralasciava di insinuarlo, con garbo e fra moi-ne, alla sua protettrice; tanto che la signora di Boulain-ville fece pratiche per la verificazione ufficiale della di-scendenza di Enrico II. Sentendola infelice, prese con sèla giovinetta e la tenne seco per due anni.

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trattiva. Ma a poco a poco queste svanirono con l'età e lasciagurata donna morì nell'indigenza più assoluta. Nonappena uscito dall'infanzia, suo figlio Giacomo era par-tito con poco danaro in tasca. Aveva camminato fino aTolone, dove s'era arruolato come mozzo sulla primanave che aveva acconsentito a riceverlo. Aveva un tem-peramento energico e valoroso. Fece nella marina ono-revole carriera.

Giovanna rimase presso la Leclerc fino dopo la suaprima comunione. A quattordici anni, la marchesa diBonlainvilliers la collocò da una sarta, a Parigi. Da co-stei che si chiamava M.lle La Marche, passò ad un'altrasarta del sobborgo di Saint-Germain, M.me Boussol,che la prese come domestica. Il suo carattere irrequieto,agitato, non le permetteva di star fissa in un posto. Eracome una febbre che la divorava. Sopportava con impa-zienza l'obbligo di servire. Di quando in quando, la si-gnora di Boulainvilliers la prendeva con sè per distrarlae rimetterla in salute. Si trovò così talora a servizio,tal'altra come apprendista, irritandosi sempre più. «Di-venni successivamente – racconta – lavandaia, portatri-ce d'acqua, cuoca, stiratrice, cucitrice di bianco; di tutto,insomma, ma non riuscii a diventare felice nè stimata».Una discendente dei re di Francia era forse fatta per ser-vire? Non tralasciava di insinuarlo, con garbo e fra moi-ne, alla sua protettrice; tanto che la signora di Boulain-ville fece pratiche per la verificazione ufficiale della di-scendenza di Enrico II. Sentendola infelice, prese con sèla giovinetta e la tenne seco per due anni.

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Giovanna s'era fatta una bella ragazza, nel fiore de'suoi diciotto anni, quando la marchesa fece venire daFontette Maria Anna, ch'era stata un tempo appesa in fa-sce all'uscio del fattore Durand, per collocare ambeduenel collegio della badia d'Yerres, presso la sua terra diMontgeron, dove si finiva l'educazione delle signorine.Sopperiva altresì ai bisogni più urgenti di Giacomo diSaint-Rémy, arruolatosi in qualità di mozzo, e gli procu-rava la protezione del duca di Penthièvre. Il 6 maggio1776 poteva finalmente far autenticare officialmente dad'Hozier la famosa genealogia, unico bene di quei ra-gazzi, e, in grazia a quell'origine regale, otteneva perciascuno di loro, con brevetto del 9 dicembre 1776, unapensione di ottocento lire sulla cassetta del re. Nel mar-zo del 1778, tolse le due sorelle dalla badìa di Yerres,per metterle in quella di Longchamp ove non erano am-messe che ragazze nobili.

Giovanna ha ormai ventun anni. Con la sua scaltrezzaha saputo maneggiare la simpatia della sua protettrice,trasformando la propria esistenza. Fu più felice, per que-sto, in seguito? Era in preda ad un orgoglio smisurato.Era – diceva – il sangue dei Valois, di cui ogni suo pen-siero, ogni suo scritto è come impregnato. Qualunquesia il grado di fortuna a cui, in dati momenti, possagiungere, le parrà sempre di essere la povera abbando-nata che ripete sul ciglio delle strade, tutta a brandelli econ gli occhi accesi d'odio e d'invidia: «Abbiate pietàd'una piccola mendicante del sangue dei Valois!».

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Giovanna s'era fatta una bella ragazza, nel fiore de'suoi diciotto anni, quando la marchesa fece venire daFontette Maria Anna, ch'era stata un tempo appesa in fa-sce all'uscio del fattore Durand, per collocare ambeduenel collegio della badia d'Yerres, presso la sua terra diMontgeron, dove si finiva l'educazione delle signorine.Sopperiva altresì ai bisogni più urgenti di Giacomo diSaint-Rémy, arruolatosi in qualità di mozzo, e gli procu-rava la protezione del duca di Penthièvre. Il 6 maggio1776 poteva finalmente far autenticare officialmente dad'Hozier la famosa genealogia, unico bene di quei ra-gazzi, e, in grazia a quell'origine regale, otteneva perciascuno di loro, con brevetto del 9 dicembre 1776, unapensione di ottocento lire sulla cassetta del re. Nel mar-zo del 1778, tolse le due sorelle dalla badìa di Yerres,per metterle in quella di Longchamp ove non erano am-messe che ragazze nobili.

Giovanna ha ormai ventun anni. Con la sua scaltrezzaha saputo maneggiare la simpatia della sua protettrice,trasformando la propria esistenza. Fu più felice, per que-sto, in seguito? Era in preda ad un orgoglio smisurato.Era – diceva – il sangue dei Valois, di cui ogni suo pen-siero, ogni suo scritto è come impregnato. Qualunquesia il grado di fortuna a cui, in dati momenti, possagiungere, le parrà sempre di essere la povera abbando-nata che ripete sul ciglio delle strade, tutta a brandelli econ gli occhi accesi d'odio e d'invidia: «Abbiate pietàd'una piccola mendicante del sangue dei Valois!».

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«Dominata da un orgoglio indomabile – scrive ellastessa – avuto dalla natura e che la bontà della signoradi Boulainvilliers, facendomi intravvedere un avvenirepiù brillante, aveva acuito e irritato, io, non potevo pen-sare al mio stato senza fremere. Ahimè! andavo dicen-domi, perchè ho nelle vene il sangue dei Valois? Onome fatale, sei tu che m'hai aperto l'animo a quella fie-rezza che mai avrebbe dovuto trovarvi posto; è per teche io verso delle lagrime; è a te che io devo le mie di-sgrazie!».

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«Dominata da un orgoglio indomabile – scrive ellastessa – avuto dalla natura e che la bontà della signoradi Boulainvilliers, facendomi intravvedere un avvenirepiù brillante, aveva acuito e irritato, io, non potevo pen-sare al mio stato senza fremere. Ahimè! andavo dicen-domi, perchè ho nelle vene il sangue dei Valois? Onome fatale, sei tu che m'hai aperto l'animo a quella fie-rezza che mai avrebbe dovuto trovarvi posto; è per teche io verso delle lagrime; è a te che io devo le mie di-sgrazie!».

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VII.IL CONTE DE LA MOTTE.

Per aristocratica che fosse la vita che conducevanonella badìa di Longchamp, le nostre giovani signorine,le quali crescevano d'anni e di bellezza – se non di sa-viezza – esse finirono col trovarla monotona e in breveanche molto noiosa. La marchesa di Boulainvilliers lefaceva «uscire» di quando in quando. Nel suo possedi-mento di Passy, le belle educande si trovavano a contat-to della vita mondana, vi si lasciavano accarezzare daidiscorsi profumati dei giovinotti eleganti e vivaci; e, tor-nate in convento, trovavano inelegante e sbiadita la ve-ste grigia e nera delle monache. Le nozze magnifiche diM.lle di Passy, figlia della marchesa di Boulainvilliers,che sposava il giovane visconte di Clermont-Tonnerre, acui erano state invitate le signorine di Saint-Rémy diValois, svolsero sotto i loro occhi uno spettacolo incan-tevole. Così che, quando Giovanna tornò in convento ela badessa, incaricata di indagare circa le sue intenzioni,

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VII.IL CONTE DE LA MOTTE.

Per aristocratica che fosse la vita che conducevanonella badìa di Longchamp, le nostre giovani signorine,le quali crescevano d'anni e di bellezza – se non di sa-viezza – esse finirono col trovarla monotona e in breveanche molto noiosa. La marchesa di Boulainvilliers lefaceva «uscire» di quando in quando. Nel suo possedi-mento di Passy, le belle educande si trovavano a contat-to della vita mondana, vi si lasciavano accarezzare daidiscorsi profumati dei giovinotti eleganti e vivaci; e, tor-nate in convento, trovavano inelegante e sbiadita la ve-ste grigia e nera delle monache. Le nozze magnifiche diM.lle di Passy, figlia della marchesa di Boulainvilliers,che sposava il giovane visconte di Clermont-Tonnerre, acui erano state invitate le signorine di Saint-Rémy diValois, svolsero sotto i loro occhi uno spettacolo incan-tevole. Così che, quando Giovanna tornò in convento ela badessa, incaricata di indagare circa le sue intenzioni,

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le chiese se non si sentisse la vocazione religiosa, la si-gnora badessa fu ben ricevuta!

«Un bel giorno d'autunno del 1779 – scrive il conteBeugnot – viene annunziato in casa della signora di Sur-mont – moglie del podestà, giudice civile e criminaledella castellanìa e presidente dei magazzini di sale diBar-sur-Aube – che due principesse fuggitive sono capi-tate nell'osteria della Testa Rossa, vale a dire la più sor-dida della città, dove non ce n'è una che sia passabile. Etutti noi a ridere delle principesse alloggiate in cotalmodo. Si viene a sapere che queste signorine sono fug-gite dal convento di Longchamp, dirigendosi verso Bar-sur-Aube come verso un punto centrale in cui voglionoconcentrare tutti i loro sforzi per tornare in possesso deibeni considerevoli formanti l'antico patrimonio dellaloro Casa. Questi beni sono le terre di Fontette,d'Essoyes e di Verpillières. L'una porta il nome di M.lledi Valois, l'altra di M.lle di Saint-Rémy; e sono, rispetti-vamente, la nostra piccola Giovanna e Maria Anna, lapiù giovane sorella.

«Avevano varcato la siepe di chiusura, con un leggeropacco sottobraccio e dodici scudi in tasca. Il barcone leaveva condotte fino a Nogent, donde la diligenza le ave-va portate a Bar-sur-Aube. Delle loro trentasei lire tor-nesi, ne avevano spese ventiquattro».

Una gioventù gaia e spensierata sciamava a Bar-sur-Aube attorno all'enorme e maestosa Presidentessa diSurmont, nella sua bella dimora di via dell'Aube, circon-data da giardini fioriti. Erano scampagnate in chars-à-

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le chiese se non si sentisse la vocazione religiosa, la si-gnora badessa fu ben ricevuta!

«Un bel giorno d'autunno del 1779 – scrive il conteBeugnot – viene annunziato in casa della signora di Sur-mont – moglie del podestà, giudice civile e criminaledella castellanìa e presidente dei magazzini di sale diBar-sur-Aube – che due principesse fuggitive sono capi-tate nell'osteria della Testa Rossa, vale a dire la più sor-dida della città, dove non ce n'è una che sia passabile. Etutti noi a ridere delle principesse alloggiate in cotalmodo. Si viene a sapere che queste signorine sono fug-gite dal convento di Longchamp, dirigendosi verso Bar-sur-Aube come verso un punto centrale in cui voglionoconcentrare tutti i loro sforzi per tornare in possesso deibeni considerevoli formanti l'antico patrimonio dellaloro Casa. Questi beni sono le terre di Fontette,d'Essoyes e di Verpillières. L'una porta il nome di M.lledi Valois, l'altra di M.lle di Saint-Rémy; e sono, rispetti-vamente, la nostra piccola Giovanna e Maria Anna, lapiù giovane sorella.

«Avevano varcato la siepe di chiusura, con un leggeropacco sottobraccio e dodici scudi in tasca. Il barcone leaveva condotte fino a Nogent, donde la diligenza le ave-va portate a Bar-sur-Aube. Delle loro trentasei lire tor-nesi, ne avevano spese ventiquattro».

Una gioventù gaia e spensierata sciamava a Bar-sur-Aube attorno all'enorme e maestosa Presidentessa diSurmont, nella sua bella dimora di via dell'Aube, circon-data da giardini fioriti. Erano scampagnate in chars-à-

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bancs, con provviste in ceste ben ricolme, da vuotarsisul musco e le tovaglie delle felci, in fondo ai boschi;erano rappresentazioni in cui giovinotti e fanciulle dia-logavano sopra un palco adorno di tappeti eretto in unadelle alte sale rivestite di legno bianco, dove gli spetta-tori applaudivano un dialogo tanto più animato e sponta-neo quanto più a lungo Frontino e Lisetta avevano pro-vato la parte andandosene a braccetto in piena solitudine– bisognava pure che fosse una sorpresa! – sotto il fo-gliame fitto e discreto dei profondi viali del parco.

«La signora di Surmont per un po' aveva resistito –scrive Alberto Beugnot, avvocato in erba –; ma noi era-vamo riusciti a persuaderla che per la sua posizione incittà le incombeva l'obbligo di proteggere le signorinenobili fuggiasche, perseguitate forse, e di cui la nobiltàsi disinteressava in modo vergognoso. Avevamo fattovibrare la corda sensibile».

La buona signora prese dunque le due fanciulle sottoil proprio tetto, malgrado il malumore del marito chenon aveva smesso di brontolare, protestando controquell'invasione che disturbava le sue abitudini. Siccomele signorine si trovavano assolutamente sprovviste ditutto, la signora di Suremont prestò loro, non appena ar-rivate, due vesti bianche, ma senza molta speranza chepotessero servire, perchè erano sulla propria misura,molto voluminosa. Quale non fu dunque la sua meravi-glia quando vide, l'indomani, che i corpetti s'adattavanobenissimo! Le due sorelle erano state alzate tutta la not-te a tagliarle e ricucirle, di modo che ora andavano

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bancs, con provviste in ceste ben ricolme, da vuotarsisul musco e le tovaglie delle felci, in fondo ai boschi;erano rappresentazioni in cui giovinotti e fanciulle dia-logavano sopra un palco adorno di tappeti eretto in unadelle alte sale rivestite di legno bianco, dove gli spetta-tori applaudivano un dialogo tanto più animato e sponta-neo quanto più a lungo Frontino e Lisetta avevano pro-vato la parte andandosene a braccetto in piena solitudine– bisognava pure che fosse una sorpresa! – sotto il fo-gliame fitto e discreto dei profondi viali del parco.

«La signora di Surmont per un po' aveva resistito –scrive Alberto Beugnot, avvocato in erba –; ma noi era-vamo riusciti a persuaderla che per la sua posizione incittà le incombeva l'obbligo di proteggere le signorinenobili fuggiasche, perseguitate forse, e di cui la nobiltàsi disinteressava in modo vergognoso. Avevamo fattovibrare la corda sensibile».

La buona signora prese dunque le due fanciulle sottoil proprio tetto, malgrado il malumore del marito chenon aveva smesso di brontolare, protestando controquell'invasione che disturbava le sue abitudini. Siccomele signorine si trovavano assolutamente sprovviste ditutto, la signora di Suremont prestò loro, non appena ar-rivate, due vesti bianche, ma senza molta speranza chepotessero servire, perchè erano sulla propria misura,molto voluminosa. Quale non fu dunque la sua meravi-glia quando vide, l'indomani, che i corpetti s'adattavanobenissimo! Le due sorelle erano state alzate tutta la not-te a tagliarle e ricucirle, di modo che ora andavano

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d'incanto. «Agivano in tutto con la massima libertà, tan-to che la signora di Surmont cominciava a trovare che ladisinvoltura delle due principesse si spingeva troppo ol-tre».

La maggiore, Giovanna di Valois, era dotata di unospirito attivo, impetuoso, che metteva tutto sottosopra,nella vecchia dimora dove, dall'oggi al domani, si eratrovata come in casa sua. Non aveva tardato a far perde-re al presidente dei magazzini di sale il suo malumore,incantandolo con la vivacità graziosa, le birichinatescherzose, le mille lusinghe e moine fra cui quel buondiavolo si trovava continuamente preso.

«Le signorine di Saint-Rémy – dice Beugnot – chetutt'al più avrebbero dovuto fermarsi una settimana incasa della signora di Surmont, vi rimasero un anno. Iltempo passò come passa nelle cittadine di provincia; fralitigi e riappacificamenti, fra chiacchiere, fra giustifica-zioni, fra tremendi intrighi che mai non varcavano lemura del quartiere. Tuttavia il genio della signorina diSaint-Rémy, la maggiore, trovava il modo di svolgersianche in un circolo così ristretto. Preludiava, aspettandodi fare la sonata. S'era impadronita della mente del si-gnor di Surmont, e copriva con l'affetto cieco che avevaper lei quell'uomo dabbene, le cattiverie ch'essa distri-buiva a tutti quanti, compresa la signora di Surmont.Quest'ultima m'ha ripetuto sovente che l'anno più di-sgraziato della sua esistenza è stato quello trascorso incompagnia d'un demonio simile».

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d'incanto. «Agivano in tutto con la massima libertà, tan-to che la signora di Surmont cominciava a trovare che ladisinvoltura delle due principesse si spingeva troppo ol-tre».

La maggiore, Giovanna di Valois, era dotata di unospirito attivo, impetuoso, che metteva tutto sottosopra,nella vecchia dimora dove, dall'oggi al domani, si eratrovata come in casa sua. Non aveva tardato a far perde-re al presidente dei magazzini di sale il suo malumore,incantandolo con la vivacità graziosa, le birichinatescherzose, le mille lusinghe e moine fra cui quel buondiavolo si trovava continuamente preso.

«Le signorine di Saint-Rémy – dice Beugnot – chetutt'al più avrebbero dovuto fermarsi una settimana incasa della signora di Surmont, vi rimasero un anno. Iltempo passò come passa nelle cittadine di provincia; fralitigi e riappacificamenti, fra chiacchiere, fra giustifica-zioni, fra tremendi intrighi che mai non varcavano lemura del quartiere. Tuttavia il genio della signorina diSaint-Rémy, la maggiore, trovava il modo di svolgersianche in un circolo così ristretto. Preludiava, aspettandodi fare la sonata. S'era impadronita della mente del si-gnor di Surmont, e copriva con l'affetto cieco che avevaper lei quell'uomo dabbene, le cattiverie ch'essa distri-buiva a tutti quanti, compresa la signora di Surmont.Quest'ultima m'ha ripetuto sovente che l'anno più di-sgraziato della sua esistenza è stato quello trascorso incompagnia d'un demonio simile».

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Fra le persone che le due sorelle vedevano a Bar-sur-Aube, figurava una certa signora de La Motte, vedovad'un ufficiale di gendarmeria della compagnia dei Bor-gognoni di guarnigione a Luneville. Aveva un figlio ar-ruolato nella compagnia stessa ove aveva servito il ma-rito. Marc'Antonio Nicolao de la Motte veniva spessonella casa di Surmont. Era un giovinotto dal viso un po'lungo, sottile, pallido di colorito e con le ciglia nere, eche aveva un bell'aspetto, nella sua divisa scarlatta digendarme, ornata di galloni d'argento, con la coccardabianca sul cappello ricamato d'argento, il gran mantellodi drappo scarlatto foderato di rascia rossa con passama-ni color camoscio. Ma era goffo; e i camerati, deforman-do il suo nome di «La Motte» lo chiamavano «Momot-te» senza ch'egli se ne risentisse.

La Motte aveva attitudini per recitare. Faceva delleparti assieme alla signorina Giovanna e le dava – essadice – delle lezioni di declamazione.

«Quei momenti – osserva essa – non erano perdutiper l'amore».

Declamarono tanto e così bene che dovettero sposarsiin tutta fretta. L'unione di Nicola de la Motte, scudiero,gendarme del re della compagnia dei Borgognoni, e diGiovanna di Saint-Rémy di Valois di Luze, venne bene-detta il 6 giugno 1780 nella parrocchia di S. Maria Mad-dalena di Bar-sur-Aube. Il fidanzamento era stato cele-brato la vigilia con l'autorizzazione di messer GiuseppeEnrico Arminot, scudiero, signore di Fin-et-bon-chemin,eletto tutore ad hoc per assemblea di parenti in data 20

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Fra le persone che le due sorelle vedevano a Bar-sur-Aube, figurava una certa signora de La Motte, vedovad'un ufficiale di gendarmeria della compagnia dei Bor-gognoni di guarnigione a Luneville. Aveva un figlio ar-ruolato nella compagnia stessa ove aveva servito il ma-rito. Marc'Antonio Nicolao de la Motte veniva spessonella casa di Surmont. Era un giovinotto dal viso un po'lungo, sottile, pallido di colorito e con le ciglia nere, eche aveva un bell'aspetto, nella sua divisa scarlatta digendarme, ornata di galloni d'argento, con la coccardabianca sul cappello ricamato d'argento, il gran mantellodi drappo scarlatto foderato di rascia rossa con passama-ni color camoscio. Ma era goffo; e i camerati, deforman-do il suo nome di «La Motte» lo chiamavano «Momot-te» senza ch'egli se ne risentisse.

La Motte aveva attitudini per recitare. Faceva delleparti assieme alla signorina Giovanna e le dava – essadice – delle lezioni di declamazione.

«Quei momenti – osserva essa – non erano perdutiper l'amore».

Declamarono tanto e così bene che dovettero sposarsiin tutta fretta. L'unione di Nicola de la Motte, scudiero,gendarme del re della compagnia dei Borgognoni, e diGiovanna di Saint-Rémy di Valois di Luze, venne bene-detta il 6 giugno 1780 nella parrocchia di S. Maria Mad-dalena di Bar-sur-Aube. Il fidanzamento era stato cele-brato la vigilia con l'autorizzazione di messer GiuseppeEnrico Arminot, scudiero, signore di Fin-et-bon-chemin,eletto tutore ad hoc per assemblea di parenti in data 20

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maggio 1780, a cagione della lunga assenza di damaJossel, madre della signorina». «Alla celebrazione delsuddetto matrimonio hanno assistito: Nicola Clausse diSurmont, consigliere del re, presidente, podestà, giudicecivile e criminale della podesteria e castellanìa di Bar-sur-Aube, tenente generale di polizia e presidente delmagazzino di sale, zio materno del marito; messer Giu-seppe Enrico Arminot, scudiere, signore di Fin-et-bon-chemin, parente e tutore della sposa, dimorante nel sud-detto Bon-chemin e Giovanni Durand, esattore degliaiutanti, dimorante a Fontette». Quel Giovanni Durandera senza dubbio l'antico fattore di Saint-Rémy che ave-va raccolto e allevato la piccola Maria Anna. Un mesedopo, giorno per giorno, alla stessa parrocchia, venivanobattezzati Giovan Battista e Nicola Marco, figli gemellidi Nicola de la Motte, gendarme dei re, e di Giovanna diValois. Padrini erano i domestici della signora di Sur-mont. I due neonati morirono pochi giorni dopo. Nicolade la Motte aveva allora ventisei anni e Giovanna di Va-lois ventiquattro. I due sposi usurparono il titolo di con-te abbastanza destramente perchè i contemporanei, edopo loro tutti gli storici che si sono occupati di questastoria, fossero ingannati. Negli atti di stato civile che liconcernono e che abbiamo avuto sotto gli occhi, LaMotte non ha che la qualifica di scudiero. Un suo ziopaterno era mercante. La confusione fu facilitata dal fat-to che esistevano nella regione di Bar-sur-Aube due fa-miglie de la Motte: l'una, a cui apparteneva il maritodella nostra eroina, era della piccola nobiltà; l'altra, di

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maggio 1780, a cagione della lunga assenza di damaJossel, madre della signorina». «Alla celebrazione delsuddetto matrimonio hanno assistito: Nicola Clausse diSurmont, consigliere del re, presidente, podestà, giudicecivile e criminale della podesteria e castellanìa di Bar-sur-Aube, tenente generale di polizia e presidente delmagazzino di sale, zio materno del marito; messer Giu-seppe Enrico Arminot, scudiere, signore di Fin-et-bon-chemin, parente e tutore della sposa, dimorante nel sud-detto Bon-chemin e Giovanni Durand, esattore degliaiutanti, dimorante a Fontette». Quel Giovanni Durandera senza dubbio l'antico fattore di Saint-Rémy che ave-va raccolto e allevato la piccola Maria Anna. Un mesedopo, giorno per giorno, alla stessa parrocchia, venivanobattezzati Giovan Battista e Nicola Marco, figli gemellidi Nicola de la Motte, gendarme dei re, e di Giovanna diValois. Padrini erano i domestici della signora di Sur-mont. I due neonati morirono pochi giorni dopo. Nicolade la Motte aveva allora ventisei anni e Giovanna di Va-lois ventiquattro. I due sposi usurparono il titolo di con-te abbastanza destramente perchè i contemporanei, edopo loro tutti gli storici che si sono occupati di questastoria, fossero ingannati. Negli atti di stato civile che liconcernono e che abbiamo avuto sotto gli occhi, LaMotte non ha che la qualifica di scudiero. Un suo ziopaterno era mercante. La confusione fu facilitata dal fat-to che esistevano nella regione di Bar-sur-Aube due fa-miglie de la Motte: l'una, a cui apparteneva il maritodella nostra eroina, era della piccola nobiltà; l'altra, di

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nobiltà antica e più considerevole abitava a Braux-le-Comte.

«Il signor de la Motte – dice Beugnot – era brutto maben fatto; abile in tutti gli esercizi corporali e, malgradola bruttezza, l'espressione del volto era amabile e dolce.Non era privo del tutto di spirito; ma quel poco che ave-va era rivolto ad avventure subalterne. Era gentiluomo eil terzo di tal nome che serviva nella gendarmeria. Suopadre, cavaliere di San Luigi e maresciallo d'alloggio inquel corpo, era stato ucciso nella battaglia di Minden.Assolutamente privo di beni di fortuna, aveva tuttaviaavuto il talento d'ingolfarsi nei debiti».

«Un gendarme abbastanza robusto per ben portare lasua balla di fieno dal magazzino di foraggio al quartiere– diceva di lui suo cognato de la Tour – ma non chiede-tegli di più».

«Non è bello di faccia – scrive Manuel nel suo libello– ma quanto al resto prometteva. Di quel resto, la signo-ra di Valois fece gran caso».

Quando la signora di Surmont seppe fino a qual puntoGiovanna di Valois e suo nipote l'avessero ingannata,adirata dall'insulto fatto alla sua casa, pregò la signorinad'andarsene e congedò il galante. Ambedue si rifugiaro-no dalla signora de la Tour, sorella del signor de la Mot-te; ma costei, vivendo in molte ristrettezze, non potèospitarli a lungo. Giovanna alienò per mille franchi dueannate della pensione di ottocento lire che le avevanoaccordata; La Motte vendette per seicento lire un cales-

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nobiltà antica e più considerevole abitava a Braux-le-Comte.

«Il signor de la Motte – dice Beugnot – era brutto maben fatto; abile in tutti gli esercizi corporali e, malgradola bruttezza, l'espressione del volto era amabile e dolce.Non era privo del tutto di spirito; ma quel poco che ave-va era rivolto ad avventure subalterne. Era gentiluomo eil terzo di tal nome che serviva nella gendarmeria. Suopadre, cavaliere di San Luigi e maresciallo d'alloggio inquel corpo, era stato ucciso nella battaglia di Minden.Assolutamente privo di beni di fortuna, aveva tuttaviaavuto il talento d'ingolfarsi nei debiti».

«Un gendarme abbastanza robusto per ben portare lasua balla di fieno dal magazzino di foraggio al quartiere– diceva di lui suo cognato de la Tour – ma non chiede-tegli di più».

«Non è bello di faccia – scrive Manuel nel suo libello– ma quanto al resto prometteva. Di quel resto, la signo-ra di Valois fece gran caso».

Quando la signora di Surmont seppe fino a qual puntoGiovanna di Valois e suo nipote l'avessero ingannata,adirata dall'insulto fatto alla sua casa, pregò la signorinad'andarsene e congedò il galante. Ambedue si rifugiaro-no dalla signora de la Tour, sorella del signor de la Mot-te; ma costei, vivendo in molte ristrettezze, non potèospitarli a lungo. Giovanna alienò per mille franchi dueannate della pensione di ottocento lire che le avevanoaccordata; La Motte vendette per seicento lire un cales-

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sino e un cavallo acquistati a credito a Lunéville: furonole risorse per metter su casa.

I gendarmi avevano la sede nel castello di Lunevilleche ammobiliavano e mantenevano a loro spese. LaMotte si mostrò fiero di presentare ai camerati la giova-ne moglie, molto bella e molto civettuola e Giovannavenne festeggiata dall'intero corpo militare. Ebbe moti-vo, il marito, d'adombrarsene? Comunque fosse, eglimise la moglie nel convento di San Nicola in Lorena eriprese la sua vita di scapolo, ingolfandosi nei debiti«facendo delle truffe con degli ebrei» e divertendosi delsuo meglio. Di lì a poco, però, ritirò Giovanna dal con-vento per ripigliarsela in casa.

Giovanna non tardò a far condividere al marito i so-gni ambiziosi da cui era ossessionata. Col nome cheportava, con la sua intelligenza, la sua attività, certo, sisarebbe riusciti a riconquistare una situazione degnad'una figlia dei Valois. La Motte era d'una tempra comu-ne e limitata e sua moglie non tardò a prendere un impe-ro assoluto su di lui. I suoi creditori lo incalzavano. Pen-sando di cercarsi altrove la fortuna, egli sollecitò un cer-tificato di servizio; ma ebbe un diniego. Era l'usanza delcorpo. La gendarmeria formava un'arma d'elezione incui i gentiluomini che servivano senza grado erano nu-merosi. Gli altri appartenevano alla classe borghese e, ingrande maggioranza, a famiglie di magistrati. Perdevaogni diritto a un avanzamento o alla croce chi si ritiravasenza certificato di servizio; e questo non si otteneva senon pagando i propri debiti.

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sino e un cavallo acquistati a credito a Lunéville: furonole risorse per metter su casa.

I gendarmi avevano la sede nel castello di Lunevilleche ammobiliavano e mantenevano a loro spese. LaMotte si mostrò fiero di presentare ai camerati la giova-ne moglie, molto bella e molto civettuola e Giovannavenne festeggiata dall'intero corpo militare. Ebbe moti-vo, il marito, d'adombrarsene? Comunque fosse, eglimise la moglie nel convento di San Nicola in Lorena eriprese la sua vita di scapolo, ingolfandosi nei debiti«facendo delle truffe con degli ebrei» e divertendosi delsuo meglio. Di lì a poco, però, ritirò Giovanna dal con-vento per ripigliarsela in casa.

Giovanna non tardò a far condividere al marito i so-gni ambiziosi da cui era ossessionata. Col nome cheportava, con la sua intelligenza, la sua attività, certo, sisarebbe riusciti a riconquistare una situazione degnad'una figlia dei Valois. La Motte era d'una tempra comu-ne e limitata e sua moglie non tardò a prendere un impe-ro assoluto su di lui. I suoi creditori lo incalzavano. Pen-sando di cercarsi altrove la fortuna, egli sollecitò un cer-tificato di servizio; ma ebbe un diniego. Era l'usanza delcorpo. La gendarmeria formava un'arma d'elezione incui i gentiluomini che servivano senza grado erano nu-merosi. Gli altri appartenevano alla classe borghese e, ingrande maggioranza, a famiglie di magistrati. Perdevaogni diritto a un avanzamento o alla croce chi si ritiravasenza certificato di servizio; e questo non si otteneva senon pagando i propri debiti.

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VIII.AL CASTELLO DI SAVERNE.

Verso quell'epoca – settembre 1781 – la signora de laMotte venne a sapere che la sua benefattrice, la marche-sa di Boulainvilliers, era di passaggio a Strasburgo. De-cise suo marito a recarvisi. A Strasburgo i giovani sposisentono che la marchesa è ospite del principe cardinaledi Rohan nel suo castello di Saverne; vanno a Saverne.La signora di Boulainvilliers ch'era dapprima andata incollera udendo la folle scappata delle due piccole protet-te scavalcanti il recinto della badìa di Longchamp, nonha tenuto loro il broncio per un pezzo. Accoglie gli spo-si con la sua bontà solita. Essi le raccontano le loro di-sgrazie ed ella, commossa, li presenta al cardinale.

Il principe Luigi di Rohan è ancora tal quale l'abbia-mo conosciuto a Vienna; se non che gli anni, con la loroesperienza, e le dignità sempre maggiori di cui è rivesti-to, gli hanno dato un'aria più grave – non molto però. –Adesso è cardinale, titolare del vescovado di Strasburgo,il più ricco di Francia, principe-Stato d'Impero, langra-

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VIII.AL CASTELLO DI SAVERNE.

Verso quell'epoca – settembre 1781 – la signora de laMotte venne a sapere che la sua benefattrice, la marche-sa di Boulainvilliers, era di passaggio a Strasburgo. De-cise suo marito a recarvisi. A Strasburgo i giovani sposisentono che la marchesa è ospite del principe cardinaledi Rohan nel suo castello di Saverne; vanno a Saverne.La signora di Boulainvilliers ch'era dapprima andata incollera udendo la folle scappata delle due piccole protet-te scavalcanti il recinto della badìa di Longchamp, nonha tenuto loro il broncio per un pezzo. Accoglie gli spo-si con la sua bontà solita. Essi le raccontano le loro di-sgrazie ed ella, commossa, li presenta al cardinale.

Il principe Luigi di Rohan è ancora tal quale l'abbia-mo conosciuto a Vienna; se non che gli anni, con la loroesperienza, e le dignità sempre maggiori di cui è rivesti-to, gli hanno dato un'aria più grave – non molto però. –Adesso è cardinale, titolare del vescovado di Strasburgo,il più ricco di Francia, principe-Stato d'Impero, langra-

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vio d'Alsazia, abate della grande Badia di Saint Vaast edi quella della Chaise-Dieu, rettore alla Sorbona, grandeelemosiniere di Francia, che è la prima carica a Corte,superiore generale del reale ospedale dei Quinze-Vingts,e commendatore dell'ordine dello Spirito Santo. Abbia-mo il suo ritratto dell'epoca: bel volto ma sempre infan-tile, rotondo, grazioso, bambolesco, dal colorito vivace,con capelli d'un grigio bianco e calvo sul davanti; moltoalto di statura e molto diritto di portamento e ben fatto.Porta bene i suoi cinquant'anni. Malgrado un leggeroadipe dovuto agli anni, l'andatura è sempre nobile e di-sinvolta e rivela nel contempo l'uomo di Chiesa el'uomo di Corte. È sempre affabile, amabile, d'una gra-zia garbata, aperta e cordiale, e si merita tuttora il so-prannome che gli avevano dato: la bella Eminenza.

Rohan ha fatto ricostruire, con fasto e in bello stile,dall'architetto Salins di Montfort, il palazzo di Saverne,residenza dei vescovi di Strasburgo, che un incendio, incui arrischiò egli stesso di perdere la vita, distrusse l'8settembre 1779: una perdita di parecchi milioni. È sem-plicemente meraviglioso. Egli vi insedia delle collezionidi fisica, di storia naturale; una numerosa biblioteca dal-le belle rilegature che recano sui frontispizi, ricalcato inoro, lo stemma cardinalizio con la dicitura: Ex biblio-theca Sabernensi. A Parigi, egli occupa il meravigliosopalazzo di Rohan, in via Vieille-du-Temple, che ha pre-so il nome di «Casa di Strasburgo». Grandi giardini lomettono in comunicazione col palazzo Soubise. Vi siammira ancora il salone delle Scimmie, d'un gusto biz-

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vio d'Alsazia, abate della grande Badia di Saint Vaast edi quella della Chaise-Dieu, rettore alla Sorbona, grandeelemosiniere di Francia, che è la prima carica a Corte,superiore generale del reale ospedale dei Quinze-Vingts,e commendatore dell'ordine dello Spirito Santo. Abbia-mo il suo ritratto dell'epoca: bel volto ma sempre infan-tile, rotondo, grazioso, bambolesco, dal colorito vivace,con capelli d'un grigio bianco e calvo sul davanti; moltoalto di statura e molto diritto di portamento e ben fatto.Porta bene i suoi cinquant'anni. Malgrado un leggeroadipe dovuto agli anni, l'andatura è sempre nobile e di-sinvolta e rivela nel contempo l'uomo di Chiesa el'uomo di Corte. È sempre affabile, amabile, d'una gra-zia garbata, aperta e cordiale, e si merita tuttora il so-prannome che gli avevano dato: la bella Eminenza.

Rohan ha fatto ricostruire, con fasto e in bello stile,dall'architetto Salins di Montfort, il palazzo di Saverne,residenza dei vescovi di Strasburgo, che un incendio, incui arrischiò egli stesso di perdere la vita, distrusse l'8settembre 1779: una perdita di parecchi milioni. È sem-plicemente meraviglioso. Egli vi insedia delle collezionidi fisica, di storia naturale; una numerosa biblioteca dal-le belle rilegature che recano sui frontispizi, ricalcato inoro, lo stemma cardinalizio con la dicitura: Ex biblio-theca Sabernensi. A Parigi, egli occupa il meravigliosopalazzo di Rohan, in via Vieille-du-Temple, che ha pre-so il nome di «Casa di Strasburgo». Grandi giardini lomettono in comunicazione col palazzo Soubise. Vi siammira ancora il salone delle Scimmie, d'un gusto biz-

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zarro, guazzabuglio contadinesco chinese di CristoforoHuet, ma la cui ornamentazione è armoniosa e delicata;i pannelli mitologici di G. B. Marie Pierre, i pittoreschipaesaggi di Boucher e, prima di tutto, sul frontale dellevaste scuderie dove il principe Luigi nutriva le sue cin-quantadue giumente inglesi, il mirabile bassorilievo diLe Lorrain, i cavalli d'Apollo,

Un bassorilievo di pietra e che pare di bronzodice un meraviglioso erudito, che fu poeta alle sue ore,Anatolio di Montaiglon.

Rohan faceva raccolta dei libri d'oro antichi, dei mes-sali dalle miniature luminose: gli ripugnava d'avere frale mani, durante gli uffici divini, dei brutti libri stampa-ti.

Ha preso a cuore, inoltre, il fallimento del nipote, ilprincipe di Guémené, il clamoroso fallimento di 30 mi-lioni che accumulò rovine e miserie. I più colpiti sono lagente minuta, bottegai, portieri, domestici, che affidava-no al principe i loro risparmi. Rohan non è immischiatoaffatto nè compromesso in verun modo; ma, nella misu-ra delle sue forze, cerca d'attenuare il disastro.

Ogni anno, senza che nulla ve lo costringa, contribui-sce con una somma notevole alla liquidazione dei debitidel parente.

Rohan ha fatto un pellegrinaggio a Salzbach, al cam-po in cui Turenne trovò la morte. «M'è venuta l'idea –dice – di erigere un monumento a quel grand'uomo. Hodunque comperato il campo ove una cannonata lo colpì,

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zarro, guazzabuglio contadinesco chinese di CristoforoHuet, ma la cui ornamentazione è armoniosa e delicata;i pannelli mitologici di G. B. Marie Pierre, i pittoreschipaesaggi di Boucher e, prima di tutto, sul frontale dellevaste scuderie dove il principe Luigi nutriva le sue cin-quantadue giumente inglesi, il mirabile bassorilievo diLe Lorrain, i cavalli d'Apollo,

Un bassorilievo di pietra e che pare di bronzodice un meraviglioso erudito, che fu poeta alle sue ore,Anatolio di Montaiglon.

Rohan faceva raccolta dei libri d'oro antichi, dei mes-sali dalle miniature luminose: gli ripugnava d'avere frale mani, durante gli uffici divini, dei brutti libri stampa-ti.

Ha preso a cuore, inoltre, il fallimento del nipote, ilprincipe di Guémené, il clamoroso fallimento di 30 mi-lioni che accumulò rovine e miserie. I più colpiti sono lagente minuta, bottegai, portieri, domestici, che affidava-no al principe i loro risparmi. Rohan non è immischiatoaffatto nè compromesso in verun modo; ma, nella misu-ra delle sue forze, cerca d'attenuare il disastro.

Ogni anno, senza che nulla ve lo costringa, contribui-sce con una somma notevole alla liquidazione dei debitidel parente.

Rohan ha fatto un pellegrinaggio a Salzbach, al cam-po in cui Turenne trovò la morte. «M'è venuta l'idea –dice – di erigere un monumento a quel grand'uomo. Hodunque comperato il campo ove una cannonata lo colpì,

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e con lui colpì la fortuna di Francia, per farvi costruireuna piramide. Accanto a questa, farò fabbricare una ca-setta per il custode, un vecchio soldato invalido del reg-gimento di Turenna, preferibilmente un Alsaziano». Ilmonumento venne eretto, la casa fabbricata, un vecchiosoldato vi prese dimora.

In tal modo, il denaro se n'andava. E tutti i contempo-ranei, Maria Antonietta per la prima, – e quanto acerba-mente: «Un bisognoso» lo qualificano – e tutti gli storicifino ad oggi, nessuno eccettuato, gli hanno fatto caricod'avere una sostanza gravata di debiti. Un vescovo cheha dei debiti, che orrore! certo bisognava che avessedelle mantenute. Si sa che quel che l'uomo perdona piùdifficilmente al proprio simile è di non avere denaro.

La signora de la Motte aveva una figurina snella efine, d'una grazia svelta e voluttuosa. Capelli castani –di quel castano così lieve che ha la tinta delle nocciuolecon riflessi più chiari; – occhi azzurri, vivacissimi, pienid'espressione, sotto le sopracciglia nere bene arcuate. Labocca, grande, poteva essere la parte difettosa, dal puntodi vista del disegno, in quel volto grazioso; invece neformava l'incanto, per i denti piccoli e bianchissimi e so-pratutto per il sorriso affascinante. «Il suo sorriso anda-va al cuore» dice Beugnot che lo sa per esperienza. Ilseno sarebbe stato perfetto, se ce ne fosse stato un po' dipiù; ma, come osserva Beugnot, «la natura s'era fermataa mezza strada e quella metà faceva rimpiangere l'altra».La smagliante purezza della carnagione, una pelle bian-ca e fresca, una fisionomia arguta e un'andatura così lie-

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e con lui colpì la fortuna di Francia, per farvi costruireuna piramide. Accanto a questa, farò fabbricare una ca-setta per il custode, un vecchio soldato invalido del reg-gimento di Turenna, preferibilmente un Alsaziano». Ilmonumento venne eretto, la casa fabbricata, un vecchiosoldato vi prese dimora.

In tal modo, il denaro se n'andava. E tutti i contempo-ranei, Maria Antonietta per la prima, – e quanto acerba-mente: «Un bisognoso» lo qualificano – e tutti gli storicifino ad oggi, nessuno eccettuato, gli hanno fatto caricod'avere una sostanza gravata di debiti. Un vescovo cheha dei debiti, che orrore! certo bisognava che avessedelle mantenute. Si sa che quel che l'uomo perdona piùdifficilmente al proprio simile è di non avere denaro.

La signora de la Motte aveva una figurina snella efine, d'una grazia svelta e voluttuosa. Capelli castani –di quel castano così lieve che ha la tinta delle nocciuolecon riflessi più chiari; – occhi azzurri, vivacissimi, pienid'espressione, sotto le sopracciglia nere bene arcuate. Labocca, grande, poteva essere la parte difettosa, dal puntodi vista del disegno, in quel volto grazioso; invece neformava l'incanto, per i denti piccoli e bianchissimi e so-pratutto per il sorriso affascinante. «Il suo sorriso anda-va al cuore» dice Beugnot che lo sa per esperienza. Ilseno sarebbe stato perfetto, se ce ne fosse stato un po' dipiù; ma, come osserva Beugnot, «la natura s'era fermataa mezza strada e quella metà faceva rimpiangere l'altra».La smagliante purezza della carnagione, una pelle bian-ca e fresca, una fisionomia arguta e un'andatura così lie-

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ve, così leggera che, vedendola camminare da un puntoall'altro, si sarebbe detto non pesasse niente, aggiunge-vano attrattive maggiori. E la voce, dolce, insinuante,d'un timbro simpatico, pareva una carezza. Malgradol'istruzione negletta, aveva ingegno naturale e mentepronta e s'esprimeva correttamente e con grande facilità.«La natura – dice Bette d'Etienville – le aveva prodigatoil pericoloso dono della persuasione». Davanti alle per-sone di sfera eccelsa, sapeva assumere un aspetto aristo-cratico, un contegno nobile, deferente e disinvolto inpari tempo, meravigliosamente appropriato alla circo-stanza. Quanto alle leggi morali e civili, era questo uncampo di cui la signora La Motte, con tutta semplicità etutto candore senza nessuna cattiveria, ignorava affattol'esistenza. Andava dritta per la sua strada, con le armiterribili conferitele dal sesso, dalla bellezza e dallo spiri-to, così, a seconda del capriccio, e senza vedere gli osta-coli.

«Tutto questo – conclude Beugnot – formava un com-plesso spaventoso per un osservatore, attraente inveceper la comune dei mortali che non guarda tanto per ilsottile».

Tale era la signora La Motte. Il Cardinale de Rohan loconosciamo.

È noto come avvenne il primo incontro di Giovannadi Valois con la signora di Boulainvilliers, sulla strada diPassy. È ancora sulla strada maestra che va da Strasbur-go a Saverne, ch'essa venne presentata al cardinale diRohan.

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ve, così leggera che, vedendola camminare da un puntoall'altro, si sarebbe detto non pesasse niente, aggiunge-vano attrattive maggiori. E la voce, dolce, insinuante,d'un timbro simpatico, pareva una carezza. Malgradol'istruzione negletta, aveva ingegno naturale e mentepronta e s'esprimeva correttamente e con grande facilità.«La natura – dice Bette d'Etienville – le aveva prodigatoil pericoloso dono della persuasione». Davanti alle per-sone di sfera eccelsa, sapeva assumere un aspetto aristo-cratico, un contegno nobile, deferente e disinvolto inpari tempo, meravigliosamente appropriato alla circo-stanza. Quanto alle leggi morali e civili, era questo uncampo di cui la signora La Motte, con tutta semplicità etutto candore senza nessuna cattiveria, ignorava affattol'esistenza. Andava dritta per la sua strada, con le armiterribili conferitele dal sesso, dalla bellezza e dallo spiri-to, così, a seconda del capriccio, e senza vedere gli osta-coli.

«Tutto questo – conclude Beugnot – formava un com-plesso spaventoso per un osservatore, attraente inveceper la comune dei mortali che non guarda tanto per ilsottile».

Tale era la signora La Motte. Il Cardinale de Rohan loconosciamo.

È noto come avvenne il primo incontro di Giovannadi Valois con la signora di Boulainvilliers, sulla strada diPassy. È ancora sulla strada maestra che va da Strasbur-go a Saverne, ch'essa venne presentata al cardinale diRohan.

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«M'imbattei nella signora di Boulainvilliers – dice co-stui – che passeggiava sulla strada maestra; fece ferma-re, io m'accostai alla sua vettura ed essa mi presentò unapersona che disse chiamarsi la signorina di Valois. –Questo nome, essa aggiunse, appartiene davvero alla si-gnora, che è assolutamente sprovvista di mezzi».

Il signore e la signora de la Motte furono ricevuti nelcastello di Saverne. Rohan si mostrò curioso di conosce-re le avventure d'una così avvenente donnina. Era del re-sto impossibile immaginare una storia più interessante eche fosse raccontata meglio.

Mentre Giovanna, seduta sopra uno sgabello, legger-mente china verso gli uditori, parlava con la sua vocechiara e penetrante, animata dal sorriso incantevole, suomarito in poltrona, con aria dignitosa e grave, assentivacol capo, e la marchesa di Boulainvilliers affettuosa-mente sottolineava i punti migliori. Rohan promise lapropria protezione. La Motte ottenne un brevetto di ca-pitano al seguito dei dragoni di Monsieur, fratello del re.Il nostro eroe vi è menzionato col titolo di conte, errorea cui ha contribuito anch'egli; ma ormai può farne pom-pa agli occhi degli increduli. La signora di Boulainvil-liers dal canto suo pagava i debiti a Luneville. Il tantodesiderato stato di servizio è finalmente ottenuto; e lagiovine coppia prende la diligenza alla volta di Parigi.

L'aurora della fortuna sorge davanti a Giovanna diValois.

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«M'imbattei nella signora di Boulainvilliers – dice co-stui – che passeggiava sulla strada maestra; fece ferma-re, io m'accostai alla sua vettura ed essa mi presentò unapersona che disse chiamarsi la signorina di Valois. –Questo nome, essa aggiunse, appartiene davvero alla si-gnora, che è assolutamente sprovvista di mezzi».

Il signore e la signora de la Motte furono ricevuti nelcastello di Saverne. Rohan si mostrò curioso di conosce-re le avventure d'una così avvenente donnina. Era del re-sto impossibile immaginare una storia più interessante eche fosse raccontata meglio.

Mentre Giovanna, seduta sopra uno sgabello, legger-mente china verso gli uditori, parlava con la sua vocechiara e penetrante, animata dal sorriso incantevole, suomarito in poltrona, con aria dignitosa e grave, assentivacol capo, e la marchesa di Boulainvilliers affettuosa-mente sottolineava i punti migliori. Rohan promise lapropria protezione. La Motte ottenne un brevetto di ca-pitano al seguito dei dragoni di Monsieur, fratello del re.Il nostro eroe vi è menzionato col titolo di conte, errorea cui ha contribuito anch'egli; ma ormai può farne pom-pa agli occhi degli increduli. La signora di Boulainvil-liers dal canto suo pagava i debiti a Luneville. Il tantodesiderato stato di servizio è finalmente ottenuto; e lagiovine coppia prende la diligenza alla volta di Parigi.

L'aurora della fortuna sorge davanti a Giovanna diValois.

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IX.CAGLIOSTRO.

Contemporaneamente alla conoscenza della signorade la Motte, il cardinale faceva quella d'un personaggioche in quell'epoca riempiva il mondo coll'eco de' suoiprodigi. Cagliostro era giunto a Strasburgo preceduto dauna fama che, fin dai primi giorni, non aveva fatto cheaumentare. Guariva tutte le malattie possibili, senza de-gnarsi d'accettare la benchè minima cosa dai clienti da-narosi e distribuendo anzi del denaro a quelli che fraessi erano poveri. Il principe di Rohan si trovava nellapropria residenza di Saverne, ove ospitava la signora dela Motte; e venne a Strasburgo per entrare in relazionecon un uomo tanto straordinario.

Venne chiesta un'udienza per il cardinale vescovo; macon esito negativo. «Se il signor cardinale è ammalato –fece rispondere Cagliostro – venga e lo guarirò; se stabene, non abbisogna di me nè io di lui». Rohan trovòsublime la risposta; e se n'accrebbe la sua voglia di co-noscere l'individuo che l'aveva data. In tutta la città, poi,

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IX.CAGLIOSTRO.

Contemporaneamente alla conoscenza della signorade la Motte, il cardinale faceva quella d'un personaggioche in quell'epoca riempiva il mondo coll'eco de' suoiprodigi. Cagliostro era giunto a Strasburgo preceduto dauna fama che, fin dai primi giorni, non aveva fatto cheaumentare. Guariva tutte le malattie possibili, senza de-gnarsi d'accettare la benchè minima cosa dai clienti da-narosi e distribuendo anzi del denaro a quelli che fraessi erano poveri. Il principe di Rohan si trovava nellapropria residenza di Saverne, ove ospitava la signora dela Motte; e venne a Strasburgo per entrare in relazionecon un uomo tanto straordinario.

Venne chiesta un'udienza per il cardinale vescovo; macon esito negativo. «Se il signor cardinale è ammalato –fece rispondere Cagliostro – venga e lo guarirò; se stabene, non abbisogna di me nè io di lui». Rohan trovòsublime la risposta; e se n'accrebbe la sua voglia di co-noscere l'individuo che l'aveva data. In tutta la città, poi,

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se ne faceva un gran parlare. Un giorno che stava pas-seggiando sulla piazza, nel suo vestito di taffetà turchinogallonato sulle cuciture, con i capelli a treccie incipriateriunite a codino, seguito da uno stuolo di monelli cheosservavano meravigliati, le sue scarpe alla d'Artois conle fibbie di pietre preziose, le calze variegate a risvoltid'oro, i rubini e i diamanti che sfolgoravano sulle dita esul petto, la catena d'orologio fatta di piccoli diamantinia tre file che terminava con sei grossi diamanti e quattroaltre file di diamanti, da due delle quali pendevano unaghianda di diamanti e dalla quarta un sigillo d'agata, ilche formava un luccichìo abbagliante sul suo panciottoa fiori; e il cappello alla moschettiera dai pennacchibianchi, Cagliostro si fermò con un grido di sorpresa da-vanti al grande crocifisso di legno scolpito. Non sapevarendersi conto del come un artista, che certo non avevaveduto Cristo, avesse potuto raggiungere una somiglian-za tanto perfetta.

— Avete dunque conosciuto Cristo? – gli chieserostupefatti.

— Eravamo in buonissimi termini – rispondeva Ca-gliostro. – Quante volte abbiamo passeggiato sulle umi-de sabbie del lago di Tiberiade! La sua voce aveva unadolcezza infinita. Ma non ha voluto darmi retta. Si èmesso a percorrere le rive del mare, raccogliendo unabanda di lazzaroni, di pescatori, di straccioni. E a predi-care. Mal glie ne incolse. – E volgendosi al domestico: –Ti ricordi di quella sera, a Gerusalemme, in cui crocefis-sero Gesù?

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se ne faceva un gran parlare. Un giorno che stava pas-seggiando sulla piazza, nel suo vestito di taffetà turchinogallonato sulle cuciture, con i capelli a treccie incipriateriunite a codino, seguito da uno stuolo di monelli cheosservavano meravigliati, le sue scarpe alla d'Artois conle fibbie di pietre preziose, le calze variegate a risvoltid'oro, i rubini e i diamanti che sfolgoravano sulle dita esul petto, la catena d'orologio fatta di piccoli diamantinia tre file che terminava con sei grossi diamanti e quattroaltre file di diamanti, da due delle quali pendevano unaghianda di diamanti e dalla quarta un sigillo d'agata, ilche formava un luccichìo abbagliante sul suo panciottoa fiori; e il cappello alla moschettiera dai pennacchibianchi, Cagliostro si fermò con un grido di sorpresa da-vanti al grande crocifisso di legno scolpito. Non sapevarendersi conto del come un artista, che certo non avevaveduto Cristo, avesse potuto raggiungere una somiglian-za tanto perfetta.

— Avete dunque conosciuto Cristo? – gli chieserostupefatti.

— Eravamo in buonissimi termini – rispondeva Ca-gliostro. – Quante volte abbiamo passeggiato sulle umi-de sabbie del lago di Tiberiade! La sua voce aveva unadolcezza infinita. Ma non ha voluto darmi retta. Si èmesso a percorrere le rive del mare, raccogliendo unabanda di lazzaroni, di pescatori, di straccioni. E a predi-care. Mal glie ne incolse. – E volgendosi al domestico: –Ti ricordi di quella sera, a Gerusalemme, in cui crocefis-sero Gesù?

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Ma il domestico, con una profonda riverenza:— No, signore. Il signore sa bene che io non sono al

suo servizio che da millecinquecento anni.Cagliostro spacciava un liquore che aveva la virtù di

fermare gli anni di coloro che ne bevevano all'età cheavevano in quel momento. Un altro elisir, in fialette piùpiccole, ringiovaniva di venticinque anni. I giornali rac-contavano con la massima gravità:

«Una vecchia civetta sente dire che Cagliostro possie-de la vera Acqua di Gioventù. Lo prega e supplica tanto,ch'egli finalmente acconsente ad inviargliene una fialet-ta. Il suo domestico, quindici volte centenario, le portala bottiglina sulla cui etichetta sta scritto: «Acqua perringiovanire di 25 anni». La signora, essendo assente, lasua cameriera chiamata Sofia, trentenne, vuol assaggiar-ne il contenuto e lo trova così delizioso, che vuota tuttala fiala. E subito le sue membra si rimpiccioliscono, ilcorpo e la testa sono di proporzioni sempre più ridotte; einsomma, Sofia non è più che una bimbetta cinquenneche si trova sperduta nelle vesti d'una persona adulta. Lasignora ritorna, chiama Sofia che, avvolta e imbarazzatada tutto quel vestiario, accorre alla voce della padrona.Costei sbalordita dalla metamorfosi, domanda la fiala,che è vuota. Furibonda, afferra la povera piccina e lapicchia crudelmente col frustino. Corre poi subito daCagliostro che ne fa le più matte risate ma assolutamen-te le nega una seconda pozione».

«Quest'uomo – scrive lo stesso anno Labartheall'archeologo Séguier – che la gente sospetta sia sposa-

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Ma il domestico, con una profonda riverenza:— No, signore. Il signore sa bene che io non sono al

suo servizio che da millecinquecento anni.Cagliostro spacciava un liquore che aveva la virtù di

fermare gli anni di coloro che ne bevevano all'età cheavevano in quel momento. Un altro elisir, in fialette piùpiccole, ringiovaniva di venticinque anni. I giornali rac-contavano con la massima gravità:

«Una vecchia civetta sente dire che Cagliostro possie-de la vera Acqua di Gioventù. Lo prega e supplica tanto,ch'egli finalmente acconsente ad inviargliene una fialet-ta. Il suo domestico, quindici volte centenario, le portala bottiglina sulla cui etichetta sta scritto: «Acqua perringiovanire di 25 anni». La signora, essendo assente, lasua cameriera chiamata Sofia, trentenne, vuol assaggiar-ne il contenuto e lo trova così delizioso, che vuota tuttala fiala. E subito le sue membra si rimpiccioliscono, ilcorpo e la testa sono di proporzioni sempre più ridotte; einsomma, Sofia non è più che una bimbetta cinquenneche si trova sperduta nelle vesti d'una persona adulta. Lasignora ritorna, chiama Sofia che, avvolta e imbarazzatada tutto quel vestiario, accorre alla voce della padrona.Costei sbalordita dalla metamorfosi, domanda la fiala,che è vuota. Furibonda, afferra la povera piccina e lapicchia crudelmente col frustino. Corre poi subito daCagliostro che ne fa le più matte risate ma assolutamen-te le nega una seconda pozione».

«Quest'uomo – scrive lo stesso anno Labartheall'archeologo Séguier – che la gente sospetta sia sposa-

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IL CARDINALE DI ROHAN

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IL CARDINALE DI ROHAN

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to ad una silfide, è di razza ebrea e d'origine araba. Dicostumi è irreprensibile. Non ha altri piaceri all'infuoridello studio e del pranzo, e qualche volta del teatro. Noncena mai e in qualunque stagione si corica alle nove. Infin di tavola beve il moka e poi una cucchiaiata d'un li-quore che assolutamente non lascia assaggiare a nessu-no. Si ignora quale sia la sua religione; ma parla di Je-hova con grande eloquenza e profondo rispetto. È costuiche l'anno prossimo voglio consultare. Sono certo che ilmio stomaco diventerà quello di un giovane venticin-quenne e la mia asma e il mio reuma gottoso spariranno.Sono certo che non avrete più dolori e che le vostregambe vi permetteranno d'inerpicarvi su per le monta-gne. La signora Augeard, giovane e bellissima parigina,che conosco bene, ricchissima per le cariche del marito,appaltatore generale, assalita da una malattia incurabileè andata a trovarlo. Ha ricevuto in dono un elisir che hafatto sparire tutti i suoi mali. E so da suo fratello ch'essaora gode d'una ottima salute».

«Guarigioni subitanee – dice l'abate Gorgel che nonaveva nessuna simpatia per lui – di malattie giudicateinsanabili, operate in Isvizzera e a Strasburgo, propala-vano il nome di Cagliostro di bocca in bocca e lo face-vano passare per un medico veramente miracoloso. Lesue premure per i poveri e il suo sprezzo verso i grandiconferivano al suo carattere un'aura di superiorità e de-stavano un interesse entusiastico. Coloro ch'egli volleonorare della propria famigliarità non uscivano da casa

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to ad una silfide, è di razza ebrea e d'origine araba. Dicostumi è irreprensibile. Non ha altri piaceri all'infuoridello studio e del pranzo, e qualche volta del teatro. Noncena mai e in qualunque stagione si corica alle nove. Infin di tavola beve il moka e poi una cucchiaiata d'un li-quore che assolutamente non lascia assaggiare a nessu-no. Si ignora quale sia la sua religione; ma parla di Je-hova con grande eloquenza e profondo rispetto. È costuiche l'anno prossimo voglio consultare. Sono certo che ilmio stomaco diventerà quello di un giovane venticin-quenne e la mia asma e il mio reuma gottoso spariranno.Sono certo che non avrete più dolori e che le vostregambe vi permetteranno d'inerpicarvi su per le monta-gne. La signora Augeard, giovane e bellissima parigina,che conosco bene, ricchissima per le cariche del marito,appaltatore generale, assalita da una malattia incurabileè andata a trovarlo. Ha ricevuto in dono un elisir che hafatto sparire tutti i suoi mali. E so da suo fratello ch'essaora gode d'una ottima salute».

«Guarigioni subitanee – dice l'abate Gorgel che nonaveva nessuna simpatia per lui – di malattie giudicateinsanabili, operate in Isvizzera e a Strasburgo, propala-vano il nome di Cagliostro di bocca in bocca e lo face-vano passare per un medico veramente miracoloso. Lesue premure per i poveri e il suo sprezzo verso i grandiconferivano al suo carattere un'aura di superiorità e de-stavano un interesse entusiastico. Coloro ch'egli volleonorare della propria famigliarità non uscivano da casa

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sua senza pubblicare ai quattro venti le sue qualitàstraordinarie».

Quindi, a Strasburgo, certe giornate, cinque o seicen-to persone assediavano la casa della domestica del cano-nico di San Pietro il Vecchio, ov'era alloggiato, e si da-vano spintoni per entrare.

Cagliostro, nel 1731, dimostrava una quarantinad'anni. Era piccolo, tarchiato, tozzo di statura. Avevacollo grosso e corto, carnagione bruna, fronte calva. Oc-chi grossi a fior di testa, vivacissimi e brillanti, il cuisguardo «forava come un succhiello», naso aperto e ri-volto all'insù, bocca larga e forti mascelle, riso sarcasti-co e rumoroso, voce sonora e metallica davano alla suafisionomia un'impronta di ardire, di sfrontatezza e dibuon umore. Pareva impastato apposta per far la parte dimesser Tulipano nella commedia italiana, dice Beugnot.Casanova gli trova in sostanza, «col suo ardire, la suasfrontatezza, i suoi sarcasmi e la sua ribalderia» una fac-cia molto simpatica. In maggioranza, chi lo vedeva –anche coloro che gli erano ostili – lo trovava molto im-ponente. La signora d'Oberkirch scrive: «Stentavo a sot-trarmi a quel fascino che oggi difficilmente mi spiego,ma che era innegabile».

Di solito parlava italiano. Il francese di cui si servivaera un miscuglio impossibile a ridire. Ma, nella sua boc-ca, con tutta quella vivacità, quella energia d'espressio-ne, quel fuoco che ci metteva, faceva una certa impres-sione. Uno de' suoi nemici ha così definito quel modo diparlare: «Se una filastrocca può essere sublime, nessuno

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sua senza pubblicare ai quattro venti le sue qualitàstraordinarie».

Quindi, a Strasburgo, certe giornate, cinque o seicen-to persone assediavano la casa della domestica del cano-nico di San Pietro il Vecchio, ov'era alloggiato, e si da-vano spintoni per entrare.

Cagliostro, nel 1731, dimostrava una quarantinad'anni. Era piccolo, tarchiato, tozzo di statura. Avevacollo grosso e corto, carnagione bruna, fronte calva. Oc-chi grossi a fior di testa, vivacissimi e brillanti, il cuisguardo «forava come un succhiello», naso aperto e ri-volto all'insù, bocca larga e forti mascelle, riso sarcasti-co e rumoroso, voce sonora e metallica davano alla suafisionomia un'impronta di ardire, di sfrontatezza e dibuon umore. Pareva impastato apposta per far la parte dimesser Tulipano nella commedia italiana, dice Beugnot.Casanova gli trova in sostanza, «col suo ardire, la suasfrontatezza, i suoi sarcasmi e la sua ribalderia» una fac-cia molto simpatica. In maggioranza, chi lo vedeva –anche coloro che gli erano ostili – lo trovava molto im-ponente. La signora d'Oberkirch scrive: «Stentavo a sot-trarmi a quel fascino che oggi difficilmente mi spiego,ma che era innegabile».

Di solito parlava italiano. Il francese di cui si servivaera un miscuglio impossibile a ridire. Ma, nella sua boc-ca, con tutta quella vivacità, quella energia d'espressio-ne, quel fuoco che ci metteva, faceva una certa impres-sione. Uno de' suoi nemici ha così definito quel modo diparlare: «Se una filastrocca può essere sublime, nessuno

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è più sublime di Cagliostro. Dice paroloni in mezzo afrasi inintelligibili e quanto meno lo si capisce, più lo siammira. Lo prendono per un oracolo perchè è oscuro alpari di esso. La sua arte consiste nel non dire nulla allaragione; la fantasia degli uditori fa da interprete. La ra-gione è chiara e non influisce che sulla gente saggia.L'impostura si rende inintelligibile ed esercita il proprioimpero sulla moltitudine».

Per guarire, aveva tre grandi rimedî: dei bagni a based'estratto di Saturno, una tisana la cui ricetta confidavasoltanto al farmacista scelto da lui e certe gocce di suacomposizione i cui effetti miracolosi e sovrani facevanoecheggiare per ogni dove la sua rinomanza. A tutti quelliche insistevano per sapere chi fosse, egli rispondeva convoce grave, inarcando le sopracciglia e tendendo l'indiceverso il cielo: «Io sono colui che è» e siccome era diffi-cile sostenere che egli fosse colui che non era, non sipoteva far altro che inchinarsi in atto di profonda defe-renza.

Possedeva la scienza degli antichi sacerdoti egiziani.La sua conversazione s'aggirava, di solito, su tre punti:1) la farmacologia universale di cui conosceva i secreti;2) la framassoneria egiziana che voleva restaurare e dicui aveva impiantato a Lione la loggia centrale – perchèla framassoneria scozzese, predominante allora in Fran-cia, non era a' suoi occhi che una pessima degenerazio-ne; 3) la pietra filosofale di cui stava per dare la formulamediante la solidificazione del mercurio e che doveva

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è più sublime di Cagliostro. Dice paroloni in mezzo afrasi inintelligibili e quanto meno lo si capisce, più lo siammira. Lo prendono per un oracolo perchè è oscuro alpari di esso. La sua arte consiste nel non dire nulla allaragione; la fantasia degli uditori fa da interprete. La ra-gione è chiara e non influisce che sulla gente saggia.L'impostura si rende inintelligibile ed esercita il proprioimpero sulla moltitudine».

Per guarire, aveva tre grandi rimedî: dei bagni a based'estratto di Saturno, una tisana la cui ricetta confidavasoltanto al farmacista scelto da lui e certe gocce di suacomposizione i cui effetti miracolosi e sovrani facevanoecheggiare per ogni dove la sua rinomanza. A tutti quelliche insistevano per sapere chi fosse, egli rispondeva convoce grave, inarcando le sopracciglia e tendendo l'indiceverso il cielo: «Io sono colui che è» e siccome era diffi-cile sostenere che egli fosse colui che non era, non sipoteva far altro che inchinarsi in atto di profonda defe-renza.

Possedeva la scienza degli antichi sacerdoti egiziani.La sua conversazione s'aggirava, di solito, su tre punti:1) la farmacologia universale di cui conosceva i secreti;2) la framassoneria egiziana che voleva restaurare e dicui aveva impiantato a Lione la loggia centrale – perchèla framassoneria scozzese, predominante allora in Fran-cia, non era a' suoi occhi che una pessima degenerazio-ne; 3) la pietra filosofale di cui stava per dare la formulamediante la solidificazione del mercurio e che doveva

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assicurare la trasmutazione di tutti i metalli imperfetti inoro fino.

Recava così all'umanità, con la sua panacea universa-le, la salute del corpo; con la framassoneria egiziana, lasalute dell'anima; e con la pietra filosofale, ricchezze in-finite. Erano questi i suoi grandi secreti; ma ne aveva al-tri ancora, non meno interessanti, benchè d'importanzaminore: predire i numeri vincenti delle lotterie, dare alcotone il riflesso e la finezza della seta, fare col canapepiù comune un filo bellissimo quanto quello di Malines,rammollire il marmo e poi tornare a rendergli la durezzaprimitiva, – il che doveva essere, come ci si può imma-ginare, molto comodo per gli scultori, che d'ora innanzi:avrebbero potuto modellare le loro statue direttamentenel marmo invece che nella creta o nella cera. Aveva ilsecreto di far gonfiare i rubini, gli smeraldi, i diamanti,sotterrandoli, e di mantenere loro, anche dopo, la nuovagrossezza; il secreto d'imitare tutte le scritture in mododa non saper distinguere la copia dall'originale; e final-mente quello d'ingrassare un maiale con dell'arsenico inmodo da trasformare il grasso in un veleno fulminante.Cagliostro propose perfino un giorno a un giornalista diLondra, che lo assaliva nel Corriere dell'Europa, unduello al maiale arsenicato, sentendosi, naturalmente,immune da ogni pericolo. Ma il giornalista mancò di co-raggio e l'incontro non ebbe luogo.

Cagliostro parlava di Dio con rispetto e non tralascia-va di farne il più grande elogio. Secondo lui, la dottrinadel Creatore impartita agli uomini, non aveva oltrepas-

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assicurare la trasmutazione di tutti i metalli imperfetti inoro fino.

Recava così all'umanità, con la sua panacea universa-le, la salute del corpo; con la framassoneria egiziana, lasalute dell'anima; e con la pietra filosofale, ricchezze in-finite. Erano questi i suoi grandi secreti; ma ne aveva al-tri ancora, non meno interessanti, benchè d'importanzaminore: predire i numeri vincenti delle lotterie, dare alcotone il riflesso e la finezza della seta, fare col canapepiù comune un filo bellissimo quanto quello di Malines,rammollire il marmo e poi tornare a rendergli la durezzaprimitiva, – il che doveva essere, come ci si può imma-ginare, molto comodo per gli scultori, che d'ora innanzi:avrebbero potuto modellare le loro statue direttamentenel marmo invece che nella creta o nella cera. Aveva ilsecreto di far gonfiare i rubini, gli smeraldi, i diamanti,sotterrandoli, e di mantenere loro, anche dopo, la nuovagrossezza; il secreto d'imitare tutte le scritture in mododa non saper distinguere la copia dall'originale; e final-mente quello d'ingrassare un maiale con dell'arsenico inmodo da trasformare il grasso in un veleno fulminante.Cagliostro propose perfino un giorno a un giornalista diLondra, che lo assaliva nel Corriere dell'Europa, unduello al maiale arsenicato, sentendosi, naturalmente,immune da ogni pericolo. Ma il giornalista mancò di co-raggio e l'incontro non ebbe luogo.

Cagliostro parlava di Dio con rispetto e non tralascia-va di farne il più grande elogio. Secondo lui, la dottrinadel Creatore impartita agli uomini, non aveva oltrepas-

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sato, nella propria integrità, l'era dei patriarchi, Adamo,Set, Enoch, Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe. Questipatriarchi erano ancora depositari della verità, che nellabocca dei profeti si era poi alterata, e più in quella degliapostoli e dei Padri della Chiesa. L'ufficio suo – di lui,Cagliostro – era di ridare alle idee divine tutta la primiti-va purezza. I delegati delle loggie francesi, che lo udiro-no dichiararono nel loro rapporto «d'aver intravvedutofin lui un annunzio di verità che nessuno dei gran mae-stri ha così completamente sviluppato, e tuttavia perfet-tamente analogo alla massoneria azzurra di cui si direb-be un'interpretazione sensibile e sublime».

Cagliostro aveva una moglie che, per suoi vezzi, pro-duceva un'emozione non meno grande di quella prodottadal marito. Era giovanissima, già donna e bambina an-cora. La si sarebbe detta italiana dall'accento, dalle fat-tezze fini e precise, una italiana dagli occhioni azzurri;profondi e dolci, ombreggiati da lunghe ciglia; degli oc-chi di cui Maeterlink avrebbe detto ch'erano un lago fre-sco e tranquillo ove tuffare l'anima. Il naso era piccolo,finemente aquilino. Le labbra arcuate all'antica, d'uncarminio vivace nella bianchezza della carnagione, era-no sempre immobili, e pareva non dovessero svegliarsiche alle carezze dell'amore.

«Impersonava la nobiltà – dice Casanova – la mode-stia, l'ingegnosità, la dolcezza e quel pudore timido chedona tanto incanto a una donna giovane». E quando pas-sava a cavallo su Djerid, la sua bella puledra nera, te-nendo il corpo inarcato, il petto eretto, attirava tutti gli

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sato, nella propria integrità, l'era dei patriarchi, Adamo,Set, Enoch, Noè, Abramo, Isacco e Giacobbe. Questipatriarchi erano ancora depositari della verità, che nellabocca dei profeti si era poi alterata, e più in quella degliapostoli e dei Padri della Chiesa. L'ufficio suo – di lui,Cagliostro – era di ridare alle idee divine tutta la primiti-va purezza. I delegati delle loggie francesi, che lo udiro-no dichiararono nel loro rapporto «d'aver intravvedutofin lui un annunzio di verità che nessuno dei gran mae-stri ha così completamente sviluppato, e tuttavia perfet-tamente analogo alla massoneria azzurra di cui si direb-be un'interpretazione sensibile e sublime».

Cagliostro aveva una moglie che, per suoi vezzi, pro-duceva un'emozione non meno grande di quella prodottadal marito. Era giovanissima, già donna e bambina an-cora. La si sarebbe detta italiana dall'accento, dalle fat-tezze fini e precise, una italiana dagli occhioni azzurri;profondi e dolci, ombreggiati da lunghe ciglia; degli oc-chi di cui Maeterlink avrebbe detto ch'erano un lago fre-sco e tranquillo ove tuffare l'anima. Il naso era piccolo,finemente aquilino. Le labbra arcuate all'antica, d'uncarminio vivace nella bianchezza della carnagione, era-no sempre immobili, e pareva non dovessero svegliarsiche alle carezze dell'amore.

«Impersonava la nobiltà – dice Casanova – la mode-stia, l'ingegnosità, la dolcezza e quel pudore timido chedona tanto incanto a una donna giovane». E quando pas-sava a cavallo su Djerid, la sua bella puledra nera, te-nendo il corpo inarcato, il petto eretto, attirava tutti gli

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sguardi maschili. Innamorava, così a distanza, anche co-loro che mai non l'avevano potuta accostare. Un istorio-grafo dice:

«I suoi più fervidi partigiani, i più entusiasti e i piùesultanti, erano appunto quelli che non avevano maineppure scorto il suo viso. Vi furono duelli, suscitati eaccettati a proposito del colore degli occhi mai visti danessuno dei duellanti, o d'una fossetta sulla guancia, adestra piuttosto che a sinistra».

Quando, più tardi, venne immischiata nell'affare dellaCollana e chiusa alla Bastiglia, un avvocato del foro pa-rigino, Polverit, ne presentò la difesa al Parlamento:

«Non si sa donde venga più che non si sappia dondeproviene suo marito. È un angelo in sembianze umaneinviato sulla terra per condividere e raddolcire i giornidell'uomo dalle meraviglia. Bella d'una bellezza che mainon appartenne a una donna, non è un modello di tene-rezza, di dolcezza, di rassegnazione; no, perchè nonsuppone nemmeno i difetti contrarii: la sua natura offrea noi, poveri umani, l'ideale d'una perfezione che pos-siamo adorare ma non sapremmo capire. E intantoquest'angelo, a cui non è dato di peccare, vien tenutosotto chiave. È un controsenso crudele che non sarà maifatto cessare abbastanza presto. Che c'è di comune fraun essere di tal natura e un processo criminale?».

Quest'argomentazione parve giusta e concludente alParlamento di Parigi che fece mettere immediatamentein libertà la signora Cagliostro.

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sguardi maschili. Innamorava, così a distanza, anche co-loro che mai non l'avevano potuta accostare. Un istorio-grafo dice:

«I suoi più fervidi partigiani, i più entusiasti e i piùesultanti, erano appunto quelli che non avevano maineppure scorto il suo viso. Vi furono duelli, suscitati eaccettati a proposito del colore degli occhi mai visti danessuno dei duellanti, o d'una fossetta sulla guancia, adestra piuttosto che a sinistra».

Quando, più tardi, venne immischiata nell'affare dellaCollana e chiusa alla Bastiglia, un avvocato del foro pa-rigino, Polverit, ne presentò la difesa al Parlamento:

«Non si sa donde venga più che non si sappia dondeproviene suo marito. È un angelo in sembianze umaneinviato sulla terra per condividere e raddolcire i giornidell'uomo dalle meraviglia. Bella d'una bellezza che mainon appartenne a una donna, non è un modello di tene-rezza, di dolcezza, di rassegnazione; no, perchè nonsuppone nemmeno i difetti contrarii: la sua natura offrea noi, poveri umani, l'ideale d'una perfezione che pos-siamo adorare ma non sapremmo capire. E intantoquest'angelo, a cui non è dato di peccare, vien tenutosotto chiave. È un controsenso crudele che non sarà maifatto cessare abbastanza presto. Che c'è di comune fraun essere di tal natura e un processo criminale?».

Quest'argomentazione parve giusta e concludente alParlamento di Parigi che fece mettere immediatamentein libertà la signora Cagliostro.

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Il principe cardinale di Rohan, che non aveva smessod'interessarsi vivamente alla botanica e alla chimica,non si lasciò scoraggiare dalla prima ripulsa. Tornò allacarica, si fece umile e piccolo, sì che alla fine venne am-messo nel santuario d'Esculapio.

Uscito che fu, confidò le proprie impressioni al suosegretario intimo, l'abate Georgel, che ce le riferisce:

«Vidi sulla fisionomia di quell'uomo tanto poco co-municativo – disse Rohan – una dignità così imponenteche mi sentii penetrato da un senso di religioso stupore eil rispetto guidò le mie prime parole. Quel colloquio,piuttosto corto, non fece che eccitare in me il desideriodi una conoscenza più profonda».

E la gioia del cardinale non ebbe limiti quando ungiorno Cagliostro gli disse: «La vostra anima è degnadella mia e voi meritate d'essere il confidente di tutti imiei secreti».

Da quel giorno la relazione si fece più stretta e fu no-toriamente pubblica. Cagliostro s'insediò nel castello diSaverne, i cui larghi camini annerirono al fumo dei suoiforni alchimici. Sulla terrazza del castello, al chiaroredelle stelle, i colloqui dell'alchimista col principe Luigisi prolungavano fino a notte alta. Rohan ascoltava, conla fronte china, appoggiato ai bracciuoli della poltrona,mentre il bianco chiarore degli astri accarezzava, con isuoi scintillìi di opale le lunghe pieghe dell'amoerro car-dinalizio.

La baronessa d'Oberkirch vide, nel 1780, Cagliostroin casa del vescovo di Strasburgo. L'usciere ne annun-

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Il principe cardinale di Rohan, che non aveva smessod'interessarsi vivamente alla botanica e alla chimica,non si lasciò scoraggiare dalla prima ripulsa. Tornò allacarica, si fece umile e piccolo, sì che alla fine venne am-messo nel santuario d'Esculapio.

Uscito che fu, confidò le proprie impressioni al suosegretario intimo, l'abate Georgel, che ce le riferisce:

«Vidi sulla fisionomia di quell'uomo tanto poco co-municativo – disse Rohan – una dignità così imponenteche mi sentii penetrato da un senso di religioso stupore eil rispetto guidò le mie prime parole. Quel colloquio,piuttosto corto, non fece che eccitare in me il desideriodi una conoscenza più profonda».

E la gioia del cardinale non ebbe limiti quando ungiorno Cagliostro gli disse: «La vostra anima è degnadella mia e voi meritate d'essere il confidente di tutti imiei secreti».

Da quel giorno la relazione si fece più stretta e fu no-toriamente pubblica. Cagliostro s'insediò nel castello diSaverne, i cui larghi camini annerirono al fumo dei suoiforni alchimici. Sulla terrazza del castello, al chiaroredelle stelle, i colloqui dell'alchimista col principe Luigisi prolungavano fino a notte alta. Rohan ascoltava, conla fronte china, appoggiato ai bracciuoli della poltrona,mentre il bianco chiarore degli astri accarezzava, con isuoi scintillìi di opale le lunghe pieghe dell'amoerro car-dinalizio.

La baronessa d'Oberkirch vide, nel 1780, Cagliostroin casa del vescovo di Strasburgo. L'usciere ne annun-

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ziava l'entrata spalancando l'uscio a due battenti: «SuaEccellenza il signor conte di Cagliostro!». Siccome labaronessa esprimeva al principe di Rohan il suo stuporeper tanti riguardi, egli le rispose:

— Davvero, signora, siete troppo difficile da convin-cere.

E la baronessa prosegue raccontando:«E così dicendo mi mostrava un grosso solitario infi-

lato sul mignolo, su cui stavano incise le armi della casadi Rohan.

«È una bella pietra, monsignore, e l'avevo già ammi-rata.

« — Ebbene, l'ha fatta lui, capite? L'ha creata, dalniente. L'ho visto io, ero presente, tenevo gli occhi fissisul crogiuolo e ho assistito all'operazione. Che cosa nepensate, signora baronessa? Non si potrà dunque direche mi inganna, che mi sfrutta! Il gioielliere e l'incisorehanno valutato il brillante venticinquemila e lire. Con-verrete almeno ch'è uno strano imbroglione colui che fadei regali simili.

«Io rimasi sbalordita. Il signor di Rohan se ne accorsee continuò:

« — Ma non è qui tutto. Fabbrica l'oro. Ne ha fatto,davanti a me, per cinque o seimila lire, e lassù, nellesoffitte del mio palazzo. Mi farà diventare il principepiù ricco d'Europa. Non sono sogni, signora mia, sonoprove reali. E tutte le sue profezie avverate, e tutte leguarigioni operate, e tutto il bene che fa! Vi dico ch'è

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ziava l'entrata spalancando l'uscio a due battenti: «SuaEccellenza il signor conte di Cagliostro!». Siccome labaronessa esprimeva al principe di Rohan il suo stuporeper tanti riguardi, egli le rispose:

— Davvero, signora, siete troppo difficile da convin-cere.

E la baronessa prosegue raccontando:«E così dicendo mi mostrava un grosso solitario infi-

lato sul mignolo, su cui stavano incise le armi della casadi Rohan.

«È una bella pietra, monsignore, e l'avevo già ammi-rata.

« — Ebbene, l'ha fatta lui, capite? L'ha creata, dalniente. L'ho visto io, ero presente, tenevo gli occhi fissisul crogiuolo e ho assistito all'operazione. Che cosa nepensate, signora baronessa? Non si potrà dunque direche mi inganna, che mi sfrutta! Il gioielliere e l'incisorehanno valutato il brillante venticinquemila e lire. Con-verrete almeno ch'è uno strano imbroglione colui che fadei regali simili.

«Io rimasi sbalordita. Il signor di Rohan se ne accorsee continuò:

« — Ma non è qui tutto. Fabbrica l'oro. Ne ha fatto,davanti a me, per cinque o seimila lire, e lassù, nellesoffitte del mio palazzo. Mi farà diventare il principepiù ricco d'Europa. Non sono sogni, signora mia, sonoprove reali. E tutte le sue profezie avverate, e tutte leguarigioni operate, e tutto il bene che fa! Vi dico ch'è

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l'uomo più straordinario, più sublime ch'esista e di cui ilsapere non eguaglia che la bontà».

Rohan pose il busto dell'alchimista nel proprio palaz-zo, dopo aver fatto incidere in lettere d'oro, sullo zocco-lo: «Il divino Cagliostro». Quando il principe tornò aParigi, dice Georgel, lasciò in Alsazia uno dei suoi gen-tiluomini, il confidente de' suoi pensieri, il barone diPianta, per procurare a Cagliostro tutto quello che desi-derava.

* * *

Quando il nostro alchimista ebbe stupefatto a suffi-cienza le popolazioni alsaziane, credette di dover allar-gare la scena del suo teatro e, a sua volta, venire a Pari-gi. Si congedò dai numerosi amici fattisi a Strasburgo, ilmaresciallo di Contades, il marchese de la Salle e si in-camminò con gran pompa e con un seguito notevole dicorrieri, lacchè, staffieri, guardie munite di alabarde earaldi drappeggiati di broccati e soffianti entro le trom-be. Vedendolo partire, molte vecchie donnette piangeva-no dicendo ch'era il buon Dio che se n'andava.

L'epoca sembra fatta apposta per Cagliostro. «Ci oc-correvano delle distrazioni a qualunque costo – osservaBeugnot – e una vertigine generale pareva impadronirsidelle menti. Si accorreva a quella vasca di Mesmer at-torno a cui delle persone sanissime si ritenevano amma-late e altre moribonde s'ostinavano a credersi guarite».

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l'uomo più straordinario, più sublime ch'esista e di cui ilsapere non eguaglia che la bontà».

Rohan pose il busto dell'alchimista nel proprio palaz-zo, dopo aver fatto incidere in lettere d'oro, sullo zocco-lo: «Il divino Cagliostro». Quando il principe tornò aParigi, dice Georgel, lasciò in Alsazia uno dei suoi gen-tiluomini, il confidente de' suoi pensieri, il barone diPianta, per procurare a Cagliostro tutto quello che desi-derava.

* * *

Quando il nostro alchimista ebbe stupefatto a suffi-cienza le popolazioni alsaziane, credette di dover allar-gare la scena del suo teatro e, a sua volta, venire a Pari-gi. Si congedò dai numerosi amici fattisi a Strasburgo, ilmaresciallo di Contades, il marchese de la Salle e si in-camminò con gran pompa e con un seguito notevole dicorrieri, lacchè, staffieri, guardie munite di alabarde earaldi drappeggiati di broccati e soffianti entro le trom-be. Vedendolo partire, molte vecchie donnette piangeva-no dicendo ch'era il buon Dio che se n'andava.

L'epoca sembra fatta apposta per Cagliostro. «Ci oc-correvano delle distrazioni a qualunque costo – osservaBeugnot – e una vertigine generale pareva impadronirsidelle menti. Si accorreva a quella vasca di Mesmer at-torno a cui delle persone sanissime si ritenevano amma-late e altre moribonde s'ostinavano a credersi guarite».

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Marat faceva il processo al sole, contendendoglid'essere il padre della luce; erano grida d'ammirazione.Un contadino del Delfinato, certo Bliton, scorgeva lesorgenti a cento piedi sotto terra e le faceva scaturire avolontà: aveva discepoli, e scrittori celebranti il suo ge-nio. La Corte e la città erano sazie di tutto: occorrevanocose nuove, cose piccanti. La scena francese era trascu-rata per i palcoscenici d'infimo ordine ove sudicie e insi-pide volgarità ottenevano applausi. «La noia conducevaalla stravaganza». I cervelli erano agitati in sensi contra-rii, i legami sociali spezzati. L'opinione era preparataalle avventure.

«I nostri padri – scrive l'autore del libello notevolissi-mo intitolato Ultima commedia della famosa Collana –si appassionarono per i saltimbanchi di San Medardo.Dopo aver danzato sulle ceneri d'un idiota imbecille cheil loro fanatismo canonizzò, li si vide accorrere in follain ridotti oscuri ove degli energumeni facevano vederloro delle giovinette, gracili di complessione, riceverecon aria di sollievo dei colpi di spada o di bastone; degliuomini crocefissi, veramente inchiodati con le mani econ i piedi in onor del Redentore». La Bastiglia e ledocce fredde avendo fatto rinsavire i convulsionarii,questi vennero sostituiti dalle sonnambule e dai magne-tizzatori. L'isterismo era coltivato con formule scientifi-che. Le scoperte vere di Mesmer avevano a poco a pocodato luogo a quelle scene che si vedono ancora oggidì,convulsioni e invocazioni. La stregoneria non era piùcruenta, come sulla fine del secolo precedente, ma anco-

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Marat faceva il processo al sole, contendendoglid'essere il padre della luce; erano grida d'ammirazione.Un contadino del Delfinato, certo Bliton, scorgeva lesorgenti a cento piedi sotto terra e le faceva scaturire avolontà: aveva discepoli, e scrittori celebranti il suo ge-nio. La Corte e la città erano sazie di tutto: occorrevanocose nuove, cose piccanti. La scena francese era trascu-rata per i palcoscenici d'infimo ordine ove sudicie e insi-pide volgarità ottenevano applausi. «La noia conducevaalla stravaganza». I cervelli erano agitati in sensi contra-rii, i legami sociali spezzati. L'opinione era preparataalle avventure.

«I nostri padri – scrive l'autore del libello notevolissi-mo intitolato Ultima commedia della famosa Collana –si appassionarono per i saltimbanchi di San Medardo.Dopo aver danzato sulle ceneri d'un idiota imbecille cheil loro fanatismo canonizzò, li si vide accorrere in follain ridotti oscuri ove degli energumeni facevano vederloro delle giovinette, gracili di complessione, riceverecon aria di sollievo dei colpi di spada o di bastone; degliuomini crocefissi, veramente inchiodati con le mani econ i piedi in onor del Redentore». La Bastiglia e ledocce fredde avendo fatto rinsavire i convulsionarii,questi vennero sostituiti dalle sonnambule e dai magne-tizzatori. L'isterismo era coltivato con formule scientifi-che. Le scoperte vere di Mesmer avevano a poco a pocodato luogo a quelle scene che si vedono ancora oggidì,convulsioni e invocazioni. La stregoneria non era piùcruenta, come sulla fine del secolo precedente, ma anco-

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ra più pericolosa per i nervi. Gli Illuminati, i Martinisti,i Teosofi, i Filaleti spacciavano storie stupefacenti. «Sa-rebbe difficile – dicono i redattori del Bachaumont –rendere conto del fondo della dottrina di quegli entusia-sti, che è un gran guazzabuglio a giudicare dai librich'essi pubblicano». Un gran numero di quegli «entusia-sti» sta per avere una parte considerevole in avvenimen-ti importantissimi.

Dopo la grande crisi del Processo dei Veleni, gli al-chimisti erano stati perseguitati con rigore; ma, con latolleranza del nuovo regno, i rescritti reali cadendo indisuso, essi avevano ripreso la loro industria. Un con-temporaneo ha tracciato di loro un ritratto pittoresco. «Ènel sobborgo Saint Marceau che si ritirano gli alchimistiignoti. Taluno fabbrica l'oro; altri solidifica il mercurio(si sa ch'era il problema della pietra filosofale); e questigonfiano e accrescono la grossezza dei diamanti; quellicompongono degli elisir. Gli uni fabbricano polveri, glialtri distillano acque, tutti possiedono tesori e tutti muo-iono di fame. Hanno un linguaggio inintelligibile el'aspetto della miseria; vivono in ambienti sporchi eoscuri e quando la curiosità vi attira un momento inquelle topaie, scorgete in un angolo una sozza creaturache ha l'aria d'una strega e che custodisce il laboratorio.– Quanto invece ai seguaci noti, possiedono magnificilaboratorii con istrumenti costosi e vasi con etichettespecificate. Due o tre commessi si danno l'aria di lavora-re; e quando capita il gran signore, il dirigente fa brillarea' suoi occhi la speranza che si avverino i più bei segre-

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ra più pericolosa per i nervi. Gli Illuminati, i Martinisti,i Teosofi, i Filaleti spacciavano storie stupefacenti. «Sa-rebbe difficile – dicono i redattori del Bachaumont –rendere conto del fondo della dottrina di quegli entusia-sti, che è un gran guazzabuglio a giudicare dai librich'essi pubblicano». Un gran numero di quegli «entusia-sti» sta per avere una parte considerevole in avvenimen-ti importantissimi.

Dopo la grande crisi del Processo dei Veleni, gli al-chimisti erano stati perseguitati con rigore; ma, con latolleranza del nuovo regno, i rescritti reali cadendo indisuso, essi avevano ripreso la loro industria. Un con-temporaneo ha tracciato di loro un ritratto pittoresco. «Ènel sobborgo Saint Marceau che si ritirano gli alchimistiignoti. Taluno fabbrica l'oro; altri solidifica il mercurio(si sa ch'era il problema della pietra filosofale); e questigonfiano e accrescono la grossezza dei diamanti; quellicompongono degli elisir. Gli uni fabbricano polveri, glialtri distillano acque, tutti possiedono tesori e tutti muo-iono di fame. Hanno un linguaggio inintelligibile el'aspetto della miseria; vivono in ambienti sporchi eoscuri e quando la curiosità vi attira un momento inquelle topaie, scorgete in un angolo una sozza creaturache ha l'aria d'una strega e che custodisce il laboratorio.– Quanto invece ai seguaci noti, possiedono magnificilaboratorii con istrumenti costosi e vasi con etichettespecificate. Due o tre commessi si danno l'aria di lavora-re; e quando capita il gran signore, il dirigente fa brillarea' suoi occhi la speranza che si avverino i più bei segre-

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ti; gli mostra i più favorevoli inizii, promettendogli chealla terza luna... si vedrà. «Vedere» è la gran parola de-gli alchimisti».

Cagliostro prese in affitto, a Parigi, il palazzo dellamarchesa d'Orvillers. «Esiste tuttora – scrive M. G. Le-nôtre, – e si può immaginare senza grandi sforzi l'effettoche doveva fare la casa, di notte, con i suoi padiglionid'angolo, allora celati da vecchi alberi, le sue corti pro-fonde, le sue larghe terrazze, quando la luce – la luceviva dei crogiuoli dell'alchimista – filtrava dalle altepersiane. La porta carraia si apre in via S. Claudioall'angolo del boulevard Beaumarchais. La corte sembraoggi, quando vi si entra, cupa e severa, così solenne coisuoi cordoni di larghe pietre annerite dal tempo. In fon-do, sotto un portico lastricato, sale la gradinata che coltempo ha ceduto alquanto e su e cui, nel mezzo, i passihanno fatto uno scavo, ma ancora fa bella mostra d'unaringhiera di ferro battuto, vestigia dell'epoca». Dall'oggial domani Cagliostro l'animò d'un rumore giocondo,d'un movimento clamoroso. Era, da mane a sera, un an-dirivieni di gente d'ogni risma e condizione; il cortilepieno di carrozze con valletti in livrea, di cavalli chescalpitavano, di cocchieri che urlavano, di donnine ele-ganti che salivano e scendevano la scala di pietra, insu-diciandosi i guanti sulla ringhiera di ferro battuto, colnaso all'insù, lo sguardo vivo, turbate, sgomente, timo-rose.

A Parigi, Cagliostro si mantenne dignitoso e riserva-to, non meno che a Strasburgo. Rifiutò con alterigia gli

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ti; gli mostra i più favorevoli inizii, promettendogli chealla terza luna... si vedrà. «Vedere» è la gran parola de-gli alchimisti».

Cagliostro prese in affitto, a Parigi, il palazzo dellamarchesa d'Orvillers. «Esiste tuttora – scrive M. G. Le-nôtre, – e si può immaginare senza grandi sforzi l'effettoche doveva fare la casa, di notte, con i suoi padiglionid'angolo, allora celati da vecchi alberi, le sue corti pro-fonde, le sue larghe terrazze, quando la luce – la luceviva dei crogiuoli dell'alchimista – filtrava dalle altepersiane. La porta carraia si apre in via S. Claudioall'angolo del boulevard Beaumarchais. La corte sembraoggi, quando vi si entra, cupa e severa, così solenne coisuoi cordoni di larghe pietre annerite dal tempo. In fon-do, sotto un portico lastricato, sale la gradinata che coltempo ha ceduto alquanto e su e cui, nel mezzo, i passihanno fatto uno scavo, ma ancora fa bella mostra d'unaringhiera di ferro battuto, vestigia dell'epoca». Dall'oggial domani Cagliostro l'animò d'un rumore giocondo,d'un movimento clamoroso. Era, da mane a sera, un an-dirivieni di gente d'ogni risma e condizione; il cortilepieno di carrozze con valletti in livrea, di cavalli chescalpitavano, di cocchieri che urlavano, di donnine ele-ganti che salivano e scendevano la scala di pietra, insu-diciandosi i guanti sulla ringhiera di ferro battuto, colnaso all'insù, lo sguardo vivo, turbate, sgomente, timo-rose.

A Parigi, Cagliostro si mantenne dignitoso e riserva-to, non meno che a Strasburgo. Rifiutò con alterigia gli

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inviti a pranzo che gli vennero da parte del conted'Artois, fratello del re, e del duca di Chartres, principedel sangue. Si proclamava capo dei Rosa-Croce, che sicredevano una razza eletta, superiore alla comune deimortali. Però egli dava ai propri seguaci le più rare sod-disfazioni.

«Costoro – leggiamo nella corrispondenza pariginadella Gazzetta di Leida – cenavano con Voltaire, EnricoIV, Montesquieu; si vedevano a fianco, in una casa delMarais, donne che si trovavano in realtà a Vienna o nel-la Scozia, ecc. Un uomo dotato di molto buon sensoandò un mese fa da una delle sue amiche. Quando si mi-sero a tavola, egli osservò stupito quattro coperti di piùe quattro sedie vuote. Chiese chi fossero le personeaspettate. Gli venne risposto che quei posti erano occu-pati, ch'egli aveva la fortuna di pranzare con intelligenzesuperiori, e con esseri fuori dalla debole umanità. La suaamica fu prodiga di cortesie e di spirito con i suoi convi-tati invisibili, affinchè le intelligenze superiori fosserocontente del pranzo. Alzati da tavola, passarono in giar-dino: nuovo incantamento. Ogni albero ha un'amadria-de, ogni e pianta è coltivata da un genio. Perfino la va-sca, è il rifugio d'una ninfa. L'uomo prudente non vollelitigare con la padrona di casa e se ne andò per non di-struggere un'illusione che formava l'incanto della suavita». Cagliostro non tardò ad avere in tutti gli angoli diParigi dei seguaci di tal genere. A coloro che non vede-vano realizzarsi le meraviglie predette, rispondeva dura-

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inviti a pranzo che gli vennero da parte del conted'Artois, fratello del re, e del duca di Chartres, principedel sangue. Si proclamava capo dei Rosa-Croce, che sicredevano una razza eletta, superiore alla comune deimortali. Però egli dava ai propri seguaci le più rare sod-disfazioni.

«Costoro – leggiamo nella corrispondenza pariginadella Gazzetta di Leida – cenavano con Voltaire, EnricoIV, Montesquieu; si vedevano a fianco, in una casa delMarais, donne che si trovavano in realtà a Vienna o nel-la Scozia, ecc. Un uomo dotato di molto buon sensoandò un mese fa da una delle sue amiche. Quando si mi-sero a tavola, egli osservò stupito quattro coperti di piùe quattro sedie vuote. Chiese chi fossero le personeaspettate. Gli venne risposto che quei posti erano occu-pati, ch'egli aveva la fortuna di pranzare con intelligenzesuperiori, e con esseri fuori dalla debole umanità. La suaamica fu prodiga di cortesie e di spirito con i suoi convi-tati invisibili, affinchè le intelligenze superiori fosserocontente del pranzo. Alzati da tavola, passarono in giar-dino: nuovo incantamento. Ogni albero ha un'amadria-de, ogni e pianta è coltivata da un genio. Perfino la va-sca, è il rifugio d'una ninfa. L'uomo prudente non vollelitigare con la padrona di casa e se ne andò per non di-struggere un'illusione che formava l'incanto della suavita». Cagliostro non tardò ad avere in tutti gli angoli diParigi dei seguaci di tal genere. A coloro che non vede-vano realizzarsi le meraviglie predette, rispondeva dura-

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mente, accusandone i loro peccati, il loro mormorare, laloro incredulità.

Iniziò la riforma della massoneria sul rito egiziano,secondo i particolari da lui scovati a Londra, nel mano-scritto d'un certo Giorgio Coston. Aveva delle casse ri-piene di statuette rappresentanti Iside, e cammelli e ilbue Api, con certi geroglifici; e le distribuiva ai discepo-li. I framassoni s'incuriosirono e cercarono di trattarecon lui. Ma anche con loro egli prese le cose dall'alto,esigendo che, prima d'ogni conversazione, essi abbru-ciassero i loro archivii, non essendo altri – diceva – cheun mucchio di scipitaggini. Capì il partito che si potevaricavare dall'indifferenza dei framassoni verso le donne,le quali non venivano da loro ammesse se non nei giornifestivi. Nelle sue loggie di stile egiziano, le donne ave-vano invece parte attiva. L'esito fu prodigioso, sopratut-to nelle più alte classi sociali. La loggia d'Iside, di cui lasignora Cagliostro era gran maestra, contava, nel 1784,fra le sue aderenti: le contesse di Brienne, Dessalles, diPolignac, di Brissac, di Choiseul, d'Espinchal, le signoredi Boursenne, di Trevières, de la Blache, de Montchenu,d'Ailly, d'Auvet, d'Evreux, d'Erlach, de la Fare, de Mon-teil, de Brehant, de Bercy, de Baussan, de Lomenie, deGenlis, la marchesa d'Avrincourt, e altre ancora. Il fana-tismo venne spinto a tal punto che il ritratto di Caglio-stro si trovava dappertutto; le donne lo portavano suiventagli e sugli anelli, gli uomini sulle tabacchiere. Nel1781, egli torna in Alsazia per alcuni giorni. «Mai –scrive la signora d'Oberkirch – ci si potrà fare un'idea

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mente, accusandone i loro peccati, il loro mormorare, laloro incredulità.

Iniziò la riforma della massoneria sul rito egiziano,secondo i particolari da lui scovati a Londra, nel mano-scritto d'un certo Giorgio Coston. Aveva delle casse ri-piene di statuette rappresentanti Iside, e cammelli e ilbue Api, con certi geroglifici; e le distribuiva ai discepo-li. I framassoni s'incuriosirono e cercarono di trattarecon lui. Ma anche con loro egli prese le cose dall'alto,esigendo che, prima d'ogni conversazione, essi abbru-ciassero i loro archivii, non essendo altri – diceva – cheun mucchio di scipitaggini. Capì il partito che si potevaricavare dall'indifferenza dei framassoni verso le donne,le quali non venivano da loro ammesse se non nei giornifestivi. Nelle sue loggie di stile egiziano, le donne ave-vano invece parte attiva. L'esito fu prodigioso, sopratut-to nelle più alte classi sociali. La loggia d'Iside, di cui lasignora Cagliostro era gran maestra, contava, nel 1784,fra le sue aderenti: le contesse di Brienne, Dessalles, diPolignac, di Brissac, di Choiseul, d'Espinchal, le signoredi Boursenne, di Trevières, de la Blache, de Montchenu,d'Ailly, d'Auvet, d'Evreux, d'Erlach, de la Fare, de Mon-teil, de Brehant, de Bercy, de Baussan, de Lomenie, deGenlis, la marchesa d'Avrincourt, e altre ancora. Il fana-tismo venne spinto a tal punto che il ritratto di Caglio-stro si trovava dappertutto; le donne lo portavano suiventagli e sugli anelli, gli uomini sulle tabacchiere. Nel1781, egli torna in Alsazia per alcuni giorni. «Mai –scrive la signora d'Oberkirch – ci si potrà fare un'idea

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del furore, della passione con cui tutti gli si buttavanoaddosso». Una dozzina di nobili signore e due attricil'avevano seguito da Parigi per non interrompere la lorocura. Una guarigione quasi miracolosa d'un ufficiale deidragoni aveva finito col divinizzarlo.

L'illustre Houdon gli fece il busto. Il ritratto era stam-pato con quattro versi, che letteralmente traduciamo:

Dell'amico degli uomini riconoscete le fattezze:– tutte le sue giornate portano il segno di nuovi benefizî,– egli prolunga la vita e soccorre l'indigenza,– e gli è di ricompensa il solo piacere di essere utile.

Il cardinale di Rohan non poteva più far a meno dilui. L'aveva sempre in casa sua e parecchie volte allasettimana trascorreva con lui le intere serate. Sotto gliauspici del cardinale, il conte di Cagliostro e la signorade la Motte fecero conoscenza. Dobbiamo a questa cir-costanza una pagina graziosa di Beugnot, che ottennedalla sua amica, la signora de la Motte, di poter pranzarein casa di lei col grand'uomo.

«Cagliostro – dice Beugnot – indossava quel giornoun abito alla francese color grigio-ferro, con lustrinid'oro, un giustacuore scarlatto con ricami a larghi puntidi Spagna, calzoni rossi, lo spadino fra le falde dell'abitoe un cappello ricamato, con piuma bianca. Era l'abbi-gliamento di rigore per i ciarlatani, i cavadenti, e gli altrimedicastri che fanno i loro fervorini spacciando le dro-ghe all'aria aperta. Ma Cagliostro gli dava risalto con deipolsini di pizzo, parecchi anelli di valore e certe fibbie

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del furore, della passione con cui tutti gli si buttavanoaddosso». Una dozzina di nobili signore e due attricil'avevano seguito da Parigi per non interrompere la lorocura. Una guarigione quasi miracolosa d'un ufficiale deidragoni aveva finito col divinizzarlo.

L'illustre Houdon gli fece il busto. Il ritratto era stam-pato con quattro versi, che letteralmente traduciamo:

Dell'amico degli uomini riconoscete le fattezze:– tutte le sue giornate portano il segno di nuovi benefizî,– egli prolunga la vita e soccorre l'indigenza,– e gli è di ricompensa il solo piacere di essere utile.

Il cardinale di Rohan non poteva più far a meno dilui. L'aveva sempre in casa sua e parecchie volte allasettimana trascorreva con lui le intere serate. Sotto gliauspici del cardinale, il conte di Cagliostro e la signorade la Motte fecero conoscenza. Dobbiamo a questa cir-costanza una pagina graziosa di Beugnot, che ottennedalla sua amica, la signora de la Motte, di poter pranzarein casa di lei col grand'uomo.

«Cagliostro – dice Beugnot – indossava quel giornoun abito alla francese color grigio-ferro, con lustrinid'oro, un giustacuore scarlatto con ricami a larghi puntidi Spagna, calzoni rossi, lo spadino fra le falde dell'abitoe un cappello ricamato, con piuma bianca. Era l'abbi-gliamento di rigore per i ciarlatani, i cavadenti, e gli altrimedicastri che fanno i loro fervorini spacciando le dro-ghe all'aria aperta. Ma Cagliostro gli dava risalto con deipolsini di pizzo, parecchi anelli di valore e certe fibbie

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alle scarpe che, sebbene un po' vecchie di disegno, luc-cicavano abbastanza da poter essere credute d'oro fino.Non sedevano a cena che persone della famiglia, giac-chè non veniva considerato forestiero un certo cavalieredi Montbruel, veterano sulle scene, ma ancora efficacenel suo dire che si trovava per caso dovunque si trovasseCagliostro. Asseriva d'aver visto le meraviglie da luioperate e offriva se stesso a prova, dicendosi miracolo-samente guarito da non so quante malattie il cui solonome fa spavento. Io guardavo Cagliostro soltanto disfuggita e non sapevo che pensarne. Quel volto, quelmodo di mettersi, tutto l'assieme, mi dava senza volerlouna certa soggezione. Aspettavo che discorresse. Parla-va un certo miscuglio italo-francese, con gran citazioniche parevano arabe, ma ch'egli non si dava la pena ditradurre. Parlava lui solo ed ebbe campo di sfoderareventi soggetti poichè non accordava ad ognuno più deltempo necessario ad essere svolto davanti a un uditorionormale. Chiedeva ad ogni momento se lo capivano. Etutti s'inchinavano all'unisono in senso affermativo.Quando attaccava discorso, pareva trasportato e gonfia-va la voce e il gesto. Poi, ad un tratto, calava di tono perfare alla padrona di casa dei complimenti molto teneri edelle gentilezze piuttosto comiche. Continuò così pertutta la sera. Non mi è rimasto in mente altro se non cheparlò del cielo, degli astri, del grande arcano, di Menfi,del gerofante, della chimica trascendentale, dei giganti,degli animali enormi, d'una città nell'interno dell'Africadieci volte più grande di Parigi, in cui aveva corrispon-

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alle scarpe che, sebbene un po' vecchie di disegno, luc-cicavano abbastanza da poter essere credute d'oro fino.Non sedevano a cena che persone della famiglia, giac-chè non veniva considerato forestiero un certo cavalieredi Montbruel, veterano sulle scene, ma ancora efficacenel suo dire che si trovava per caso dovunque si trovasseCagliostro. Asseriva d'aver visto le meraviglie da luioperate e offriva se stesso a prova, dicendosi miracolo-samente guarito da non so quante malattie il cui solonome fa spavento. Io guardavo Cagliostro soltanto disfuggita e non sapevo che pensarne. Quel volto, quelmodo di mettersi, tutto l'assieme, mi dava senza volerlouna certa soggezione. Aspettavo che discorresse. Parla-va un certo miscuglio italo-francese, con gran citazioniche parevano arabe, ma ch'egli non si dava la pena ditradurre. Parlava lui solo ed ebbe campo di sfoderareventi soggetti poichè non accordava ad ognuno più deltempo necessario ad essere svolto davanti a un uditorionormale. Chiedeva ad ogni momento se lo capivano. Etutti s'inchinavano all'unisono in senso affermativo.Quando attaccava discorso, pareva trasportato e gonfia-va la voce e il gesto. Poi, ad un tratto, calava di tono perfare alla padrona di casa dei complimenti molto teneri edelle gentilezze piuttosto comiche. Continuò così pertutta la sera. Non mi è rimasto in mente altro se non cheparlò del cielo, degli astri, del grande arcano, di Menfi,del gerofante, della chimica trascendentale, dei giganti,degli animali enormi, d'una città nell'interno dell'Africadieci volte più grande di Parigi, in cui aveva corrispon-

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denti, e dell'ignoranza in cui eravamo di tutte quelle bel-le cose ch'egli sapeva sulla punta delle dita. E ricordoche il discorso era stato inframmezzato da insulsagginibuffe rivolte alla signora de la Motte, ch'egli chiamavala sua cervetta, la sua gazzella, la sua cigna, la sua co-lomba, togliendo così a prestito dal regno animale quel-lo che aveva di più gentile. Uscendo da tavola si degnòdi rivolgermi qualche domanda, una dopo l'altra. Rispo-si a tutte confessando la mia ignoranza e seppi poi dallasignora de la Motte ch'egli aveva concepito l'idea mi-gliore tanto di me quanto del mio sapere».

* * *

Sotto l'usbergo del rosso cappello cardinalizio, Ca-gliostro e la signora de la Motte erano fatti per intender-si a meno di diventare rivali acerbissimi. Fu la secondadelle due alternative che si verificò: «La signora de laMotte – scrive l'abate Georgel – reputava inadeguati ibenefici ricevuti dal cardinale di Rohan; supponeva chesarebbero divenuti più abbondanti qualora Cagliostro –che possedeva la fiducia del principe e ne dirigeva percosì dire tutte le azioni – non l'avesse sconsigliato dallargheggiare a favore di lei. Non era che un semplice so-spetto da parte della contessa; ma bastò per farle conce-pire una fortissima antipatia per Cagliostro. Fecel'impossibile per perderlo nella stima del cardinale; mavedendo di non potervi riuscire, rinchiuse e nutrì nel

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denti, e dell'ignoranza in cui eravamo di tutte quelle bel-le cose ch'egli sapeva sulla punta delle dita. E ricordoche il discorso era stato inframmezzato da insulsagginibuffe rivolte alla signora de la Motte, ch'egli chiamavala sua cervetta, la sua gazzella, la sua cigna, la sua co-lomba, togliendo così a prestito dal regno animale quel-lo che aveva di più gentile. Uscendo da tavola si degnòdi rivolgermi qualche domanda, una dopo l'altra. Rispo-si a tutte confessando la mia ignoranza e seppi poi dallasignora de la Motte ch'egli aveva concepito l'idea mi-gliore tanto di me quanto del mio sapere».

* * *

Sotto l'usbergo del rosso cappello cardinalizio, Ca-gliostro e la signora de la Motte erano fatti per intender-si a meno di diventare rivali acerbissimi. Fu la secondadelle due alternative che si verificò: «La signora de laMotte – scrive l'abate Georgel – reputava inadeguati ibenefici ricevuti dal cardinale di Rohan; supponeva chesarebbero divenuti più abbondanti qualora Cagliostro –che possedeva la fiducia del principe e ne dirigeva percosì dire tutte le azioni – non l'avesse sconsigliato dallargheggiare a favore di lei. Non era che un semplice so-spetto da parte della contessa; ma bastò per farle conce-pire una fortissima antipatia per Cagliostro. Fecel'impossibile per perderlo nella stima del cardinale; mavedendo di non potervi riuscire, rinchiuse e nutrì nel

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proprio cuore propositi di odio e di vendetta, curando te-nacemente l'occasione di farli scoppiare».

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proprio cuore propositi di odio e di vendetta, curando te-nacemente l'occasione di farli scoppiare».

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X.MISERIA DI GIOVANNA DI VALOIS.

Il conte e la contessa de la Motte non avevano potutorassegnarsi alla vita di guarnigione ch'erano destinati acondurre in quel buco di provincia che si chiamava Lu-neville. L'accoglienza del cardinale di Rohan a Saverneaveva stimolato l'ambizione da cui era rôsa Giovanna diValois. Giunsero al punto d'infischiarsi anche della cari-ca di capitano dei dragoni di «Monsieur», serbandone iltitolo soltanto. Tolsero a prestito mille franchi da Beu-gnot di Bar-sur-Aube e partirono alla vòlta di Parigi.

Siamo sulla fine del 1781.I nostri sposini s'insediano in via della Verrerie, alla

Città di Reims, albergo di mediocre apparenza e ancorpiù mediocre clientela. Godeva la stessa fama – diceBeugnot – della Testa Rossa di Bar-sur-Aube. Giovannae suo marito vi occupano due stanzette, semivuote. Ecomincia da quel giorno la più straordinaria vita di mo-vimento e d'intrighi, che sia possibile immaginare. Oltrel'alloggio a Parigi, la contessa ne prende uno a Versail-

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X.MISERIA DI GIOVANNA DI VALOIS.

Il conte e la contessa de la Motte non avevano potutorassegnarsi alla vita di guarnigione ch'erano destinati acondurre in quel buco di provincia che si chiamava Lu-neville. L'accoglienza del cardinale di Rohan a Saverneaveva stimolato l'ambizione da cui era rôsa Giovanna diValois. Giunsero al punto d'infischiarsi anche della cari-ca di capitano dei dragoni di «Monsieur», serbandone iltitolo soltanto. Tolsero a prestito mille franchi da Beu-gnot di Bar-sur-Aube e partirono alla vòlta di Parigi.

Siamo sulla fine del 1781.I nostri sposini s'insediano in via della Verrerie, alla

Città di Reims, albergo di mediocre apparenza e ancorpiù mediocre clientela. Godeva la stessa fama – diceBeugnot – della Testa Rossa di Bar-sur-Aube. Giovannae suo marito vi occupano due stanzette, semivuote. Ecomincia da quel giorno la più straordinaria vita di mo-vimento e d'intrighi, che sia possibile immaginare. Oltrel'alloggio a Parigi, la contessa ne prende uno a Versail-

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les, allo scopo di potere più facilmente fare i suoi passipresso i ministri e le persone influenti a Corte. In piazzaDelfina, prende in affitto due stanze in un quartiere mo-biliato tenuto dai coniugi Gobert. La piazza ottagonale –con le sue case a due piani, in maggioranza adorne allasommità da balaustre orlanti il tetto a imitazione del ca-stello – è sempre ingombra da carriole cariche d'uova ed'erbaggi straripanti oltre le pesanti stanghe. È il centrodel quartiere ove scende la gente minuta che ha a chefare negli uffici dei ministri e con le persone addette alre. Poco lungi dalla dimora dei Gobert, sempre in piazzaDelfina, c'è l'osteria della Bella Immagine. Non vale dipiù della Testa Rossa e della Città di Reims. In fondo alcortile, tre rimesse; a destra e a sinistra le scuderie ovescalpitano i cavalli. Si alloggia a piedi e a cavallo. Quiformicola una folla di «sollecitatori di petizioni», digazzettieri, d'ufficiali di fortuna e di guardie del corpo,frammischiati a mercanti girovaghi e sensali di cavalli.Giovanna prenderà i suoi pasti, in parte, alla Bella Im-magine.

Il conte de la Motte ama il lusso e i divertimenti, ilvino e la buona tavola. Si veste con un cattivo gusto fa-stoso, si copre di gioielli. Si illude di piacere alle donne;e la sua, che si reputa molto al disopra del marito, non sidegna di badare a lui. La contessa sfoggia a sua voltaun'eleganza vistosa, chiassosa, costosissima. E il redditodella pensione accordatale è già bell'e speso prima anco-ra di venir incassato. Ha momentaneamente preso consè il fratello Giacomo e la sorella Maria Anna; poichè

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les, allo scopo di potere più facilmente fare i suoi passipresso i ministri e le persone influenti a Corte. In piazzaDelfina, prende in affitto due stanze in un quartiere mo-biliato tenuto dai coniugi Gobert. La piazza ottagonale –con le sue case a due piani, in maggioranza adorne allasommità da balaustre orlanti il tetto a imitazione del ca-stello – è sempre ingombra da carriole cariche d'uova ed'erbaggi straripanti oltre le pesanti stanghe. È il centrodel quartiere ove scende la gente minuta che ha a chefare negli uffici dei ministri e con le persone addette alre. Poco lungi dalla dimora dei Gobert, sempre in piazzaDelfina, c'è l'osteria della Bella Immagine. Non vale dipiù della Testa Rossa e della Città di Reims. In fondo alcortile, tre rimesse; a destra e a sinistra le scuderie ovescalpitano i cavalli. Si alloggia a piedi e a cavallo. Quiformicola una folla di «sollecitatori di petizioni», digazzettieri, d'ufficiali di fortuna e di guardie del corpo,frammischiati a mercanti girovaghi e sensali di cavalli.Giovanna prenderà i suoi pasti, in parte, alla Bella Im-magine.

Il conte de la Motte ama il lusso e i divertimenti, ilvino e la buona tavola. Si veste con un cattivo gusto fa-stoso, si copre di gioielli. Si illude di piacere alle donne;e la sua, che si reputa molto al disopra del marito, non sidegna di badare a lui. La contessa sfoggia a sua voltaun'eleganza vistosa, chiassosa, costosissima. E il redditodella pensione accordatale è già bell'e speso prima anco-ra di venir incassato. Ha momentaneamente preso consè il fratello Giacomo e la sorella Maria Anna; poichè

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vuole, in un colpo solo, dare la spinta a tutti i Valois ver-so gli onori e la fortuna. Più tardi, l'avvocato Targetdirà: «La sua vita, in quel periodo, è oscura. C'è tutto lostrano miscuglio d'un'esistenza precaria, incerta, fatta difasto e di miseria: un lacchè, un fantino, delle cameriere,una carrozza a nolo; ma un mobilio preso in affitto e unlitigare con l'ostessa, un continuo accapigliarsi, 1500lire di debito per il vitto, e l'accatonaggio».

La marchesa di Boulainvilliers era morta allora. Gio-vanna aveva perduto in lei un appoggio prezioso; macontava sul cardinale, sul grande elemosiniere a cui lamarchesa l'aveva affidata. Andò a raccontargli la suamiseria, con quella voce dolce, insinuante, che incanta-va, guardandolo con quegli occhioni azzurri, così candi-di! Rohan, dal maggio del 1782 in poi, le fece consegna-re, di quando in quando, togliendoli dai fondi della suacarica di grande elemosiniere, dei sussidi di tre, quattro,cinque luigi: in una sola volta venticinque luigi, dai suoipropri fondi, in un momento di ristrettezze estreme. Piùtardi, essa negò d'aver ricevuto simili elemosine. Figliadei Valois – diceva – non era donna da ricevere quattroo cinque luigi. Ora, vediamo che, in una lettera del 1°marzo 1783, essa invia al controllore generale Lefèvred'Ormesson delle polizze d'oggetti da lei depositati alMonte di Pietà, e chiede umilmente un sussidio; c'è unasua ricevuta, in data 7 ottobre, di quarantotto franchi, in-dirizzata appunto al signor d'Ormesson.

«Il suo credito all'albergo di Reims – dice Beugnot –era molto in ribasso; e i due prestiti, di dieci luigi per

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vuole, in un colpo solo, dare la spinta a tutti i Valois ver-so gli onori e la fortuna. Più tardi, l'avvocato Targetdirà: «La sua vita, in quel periodo, è oscura. C'è tutto lostrano miscuglio d'un'esistenza precaria, incerta, fatta difasto e di miseria: un lacchè, un fantino, delle cameriere,una carrozza a nolo; ma un mobilio preso in affitto e unlitigare con l'ostessa, un continuo accapigliarsi, 1500lire di debito per il vitto, e l'accatonaggio».

La marchesa di Boulainvilliers era morta allora. Gio-vanna aveva perduto in lei un appoggio prezioso; macontava sul cardinale, sul grande elemosiniere a cui lamarchesa l'aveva affidata. Andò a raccontargli la suamiseria, con quella voce dolce, insinuante, che incanta-va, guardandolo con quegli occhioni azzurri, così candi-di! Rohan, dal maggio del 1782 in poi, le fece consegna-re, di quando in quando, togliendoli dai fondi della suacarica di grande elemosiniere, dei sussidi di tre, quattro,cinque luigi: in una sola volta venticinque luigi, dai suoipropri fondi, in un momento di ristrettezze estreme. Piùtardi, essa negò d'aver ricevuto simili elemosine. Figliadei Valois – diceva – non era donna da ricevere quattroo cinque luigi. Ora, vediamo che, in una lettera del 1°marzo 1783, essa invia al controllore generale Lefèvred'Ormesson delle polizze d'oggetti da lei depositati alMonte di Pietà, e chiede umilmente un sussidio; c'è unasua ricevuta, in data 7 ottobre, di quarantotto franchi, in-dirizzata appunto al signor d'Ormesson.

«Il suo credito all'albergo di Reims – dice Beugnot –era molto in ribasso; e i due prestiti, di dieci luigi per

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volta, da me fatti ad epoche diverse; non l'avevano rial-zato gran che. Non potevo invitarla a pranzo da me, per-chè non avevo una casa impiantata; ma una o due voltela settimana m'accordava il favore d'accettarlo al Qua-drante azzurro, dove il suo appetito mi faceva semprestrabiliare. Ma ricorreva al mio braccio per la passeggia-ta quotidiana che finiva invariabilmente al caffè. Erastrano quanto le piacesse la buona birra; e le parevabuona dappertutto. Mangiava intanto, distrattamente,due e o tre dozzine di cialde; e queste distrazioni eranocosì frequenti che io finivo coll'accorgermene che dove-va aver fatto un desinare ben leggero, se pure aveva de-sinato».

Ma il disagio finanziario e neppure la miseria impedi-rono alla signora de la Motte di sfoggiare maggior lar-ghezza nella sua maniera di vivere. Il 5 settembre 1782prende in affitto, al n. 13 della via Neuve-Saint-Gilles(Nuova.Saint-Gilles), al Marais, dirimpetto alla portici-na dei Minimi, una casa con portineria, forno del pane,rimessa, grande e piccola scuderia: tre piani, le cui fine-stre alte e strette erano adorne di balaustre di ferro a fio-ri e disegni Luigi XV. Bette d'Etienville l'ha visitata.«Sono stato in una casa della via Neuve-Saint-Gilles –dice – la cui porta padronale è molto schiacciata,sull'ingresso. A sinistra, c'è la portineria; a destra, la sca-la, piuttosto ordinaria. In alto, un ripiano quadrato cheserve da vestibolo, un'anticamera di mediocri dimensio-ni da cui si entra in un salotto dai rivestimenti di legno,con due finestre l'una dirimpetto all'altra. Una specie di

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volta, da me fatti ad epoche diverse; non l'avevano rial-zato gran che. Non potevo invitarla a pranzo da me, per-chè non avevo una casa impiantata; ma una o due voltela settimana m'accordava il favore d'accettarlo al Qua-drante azzurro, dove il suo appetito mi faceva semprestrabiliare. Ma ricorreva al mio braccio per la passeggia-ta quotidiana che finiva invariabilmente al caffè. Erastrano quanto le piacesse la buona birra; e le parevabuona dappertutto. Mangiava intanto, distrattamente,due e o tre dozzine di cialde; e queste distrazioni eranocosì frequenti che io finivo coll'accorgermene che dove-va aver fatto un desinare ben leggero, se pure aveva de-sinato».

Ma il disagio finanziario e neppure la miseria impedi-rono alla signora de la Motte di sfoggiare maggior lar-ghezza nella sua maniera di vivere. Il 5 settembre 1782prende in affitto, al n. 13 della via Neuve-Saint-Gilles(Nuova.Saint-Gilles), al Marais, dirimpetto alla portici-na dei Minimi, una casa con portineria, forno del pane,rimessa, grande e piccola scuderia: tre piani, le cui fine-stre alte e strette erano adorne di balaustre di ferro a fio-ri e disegni Luigi XV. Bette d'Etienville l'ha visitata.«Sono stato in una casa della via Neuve-Saint-Gilles –dice – la cui porta padronale è molto schiacciata,sull'ingresso. A sinistra, c'è la portineria; a destra, la sca-la, piuttosto ordinaria. In alto, un ripiano quadrato cheserve da vestibolo, un'anticamera di mediocri dimensio-ni da cui si entra in un salotto dai rivestimenti di legno,con due finestre l'una dirimpetto all'altra. Una specie di

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mensola o tavola rotonda col piano di marmo, mobili distoffa mista, una bellissima arpa; in fondo, un gabinettodi toletta».

La casa è stata conservata. Anche oggidì si sale lascala di pietra dalla ringhiera lucente ad alti fiordalisiche, con passo rapido e nervoso, Giovanna di Valoisfece tanto sovente.

L'appartamento, preso in affitto nel settembre del1782, non potè venir subito occupato, non avendo glisposi il modo di ammobiliarlo. Il 6 ottobre, Giovannascrisse alla baronessa de Crussol d'Uzèl, nuora dellamarchesa di Boulainvilliers: «La maggior parte de' mieiindumenti si trova al Monte di Pietà. Il poco che mi re-sta e i miei mobiletti sono sequestrati; se giovedì nontrovo seicento lire sarò ridotta a dormire sulla paglia». ILa Motte avevano dovuto sloggiare dalla Città di Reimsper l'accumularsi dei conti insoluti. Vennero a stareall'Albergo d'Artois, dove Giovanna fu mantenuta dallamamma della sua cameriera, una certa Briffault, mentreil conte de la Motte, minacciato d'arresto dai creditori,fuggiva da Parigi fino a Brie-Comte-Robert e vi si na-scondeva presso un certo Poncet, oste alla Speranza. Il10 febbraio 1783, parecchi commercianti, creditori deiLa Motte, interdicono loro, a mezzo d'usciere, la venditao l'uscita di quel poco mobilio ch'era ancora rimasto. EGiovanna ritorna dal cardinale di Rohan. Costui accon-sente a farsi garante per lei d'una somma di 5.000 lire,prestata da un usuraio di Nancy, Isacco Beer. Un altroebreo, rigattiere, presta cauzione per dei mobili. Intanto

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mensola o tavola rotonda col piano di marmo, mobili distoffa mista, una bellissima arpa; in fondo, un gabinettodi toletta».

La casa è stata conservata. Anche oggidì si sale lascala di pietra dalla ringhiera lucente ad alti fiordalisiche, con passo rapido e nervoso, Giovanna di Valoisfece tanto sovente.

L'appartamento, preso in affitto nel settembre del1782, non potè venir subito occupato, non avendo glisposi il modo di ammobiliarlo. Il 6 ottobre, Giovannascrisse alla baronessa de Crussol d'Uzèl, nuora dellamarchesa di Boulainvilliers: «La maggior parte de' mieiindumenti si trova al Monte di Pietà. Il poco che mi re-sta e i miei mobiletti sono sequestrati; se giovedì nontrovo seicento lire sarò ridotta a dormire sulla paglia». ILa Motte avevano dovuto sloggiare dalla Città di Reimsper l'accumularsi dei conti insoluti. Vennero a stareall'Albergo d'Artois, dove Giovanna fu mantenuta dallamamma della sua cameriera, una certa Briffault, mentreil conte de la Motte, minacciato d'arresto dai creditori,fuggiva da Parigi fino a Brie-Comte-Robert e vi si na-scondeva presso un certo Poncet, oste alla Speranza. Il10 febbraio 1783, parecchi commercianti, creditori deiLa Motte, interdicono loro, a mezzo d'usciere, la venditao l'uscita di quel poco mobilio ch'era ancora rimasto. EGiovanna ritorna dal cardinale di Rohan. Costui accon-sente a farsi garante per lei d'una somma di 5.000 lire,prestata da un usuraio di Nancy, Isacco Beer. Un altroebreo, rigattiere, presta cauzione per dei mobili. Intanto

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la signora de la Motte aveva fatto tornare il marito e,verso Pasqua del 1784, può finalmente prendere posses-so della casa di via Neuve-Saint-Gilles.

La signora de la Motte si sosteneva grazie alla devo-zione de' suoi servitori; meravigliosa devozione di esserisemplici e amanti, la cui essenza è l'attaccamento al pa-drone; servitori come se ne videro tanti sotto l'AnticoRegime, rimasti al servizio dei loro signori senza stipen-dio, aiutandoli anzi coi proprii denari nei momenti diestremo disagio, sacrificandosi per loro fino alla morte.Rosalia, cameriera di Giovanna di Valois, e il suo came-riere Deschamps furono in quel periodo della sua vita isuoi più solidi appoggi.

«L'apparente agiatezza di via Neuve-Saint-Gilles –prosegue l'avvocato Target – non fa, in realtà, che accre-scere la miseria effettiva. Marito e moglie non riesciva-no a vivere di prestiti. Talvolta privi di mobilio in tutto oin parte, a seconda delle strettezze che lo impedivano odei casi fortunati che ne permettevano il ritorno. Deipiatti di stagno e i giorni di ricevimento, sei piattid'argento presi a prestito; una pensione di 800 lire, au-mentata a 1500, poi ceduta con perdita per l'assoluto sta-to di miseria; dei domestici mal pagati, degli affari trat-tati con merci che poi si mandavano al Monte di Pietà; eintanto, sempre viaggi, sempre sollecitazioni a Versail-les, a Fontainbleau, qualche presente subito ingoiato dalbisogno non appena ricevuto, e debiti e intrighi».

Alla fine d'ogni settimana, Giovanna, aiutata da Rosa-lia, risciacquava le sue due vesti di mussola e le due sot-

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la signora de la Motte aveva fatto tornare il marito e,verso Pasqua del 1784, può finalmente prendere posses-so della casa di via Neuve-Saint-Gilles.

La signora de la Motte si sosteneva grazie alla devo-zione de' suoi servitori; meravigliosa devozione di esserisemplici e amanti, la cui essenza è l'attaccamento al pa-drone; servitori come se ne videro tanti sotto l'AnticoRegime, rimasti al servizio dei loro signori senza stipen-dio, aiutandoli anzi coi proprii denari nei momenti diestremo disagio, sacrificandosi per loro fino alla morte.Rosalia, cameriera di Giovanna di Valois, e il suo came-riere Deschamps furono in quel periodo della sua vita isuoi più solidi appoggi.

«L'apparente agiatezza di via Neuve-Saint-Gilles –prosegue l'avvocato Target – non fa, in realtà, che accre-scere la miseria effettiva. Marito e moglie non riesciva-no a vivere di prestiti. Talvolta privi di mobilio in tutto oin parte, a seconda delle strettezze che lo impedivano odei casi fortunati che ne permettevano il ritorno. Deipiatti di stagno e i giorni di ricevimento, sei piattid'argento presi a prestito; una pensione di 800 lire, au-mentata a 1500, poi ceduta con perdita per l'assoluto sta-to di miseria; dei domestici mal pagati, degli affari trat-tati con merci che poi si mandavano al Monte di Pietà; eintanto, sempre viaggi, sempre sollecitazioni a Versail-les, a Fontainbleau, qualche presente subito ingoiato dalbisogno non appena ricevuto, e debiti e intrighi».

Alla fine d'ogni settimana, Giovanna, aiutata da Rosa-lia, risciacquava le sue due vesti di mussola e le due sot-

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tane di tela, le sole che non avesse date in pegno, e poile stirava sulla tavola della sala da pranzo. Quanto alconte, non osava più uscire, per mancanza d'abiti. Ilcuoco, anticipava del proprio, per pagare il macellaio edil fornaio. Ma la borsa del servitore finì coll'esaurirsi.Convenne digiunare.

«Andiamo a letto – diceva Rosalia. – Quando si dor-me non si ha fame».

Di quando in quando Giovanna si creava delle risorse«facendo degli affari», ossia speculazioni su merci:prendeva molto a credito: a un punto tale che la poliziase ne insospettì.

In agosto, ci fu un allarme vivace. Gli usceri batteva-no all'uscio. Il fedele Deschamps mise in salvo il letto ele poltrone del salotto, aiutato da un giovane parrucchie-re. Li portarono sulla schiena fin da un certo Berlan-deux, in via delle Tournelles.

— Presto, mio caro Deschamps, – esclamava la si-gnora de La Motte – staccate gli specchi del salotto e letende delle finestre.

— Per portarli dove?— Su, svelto, al Monte di Pietà!E il domestico corre e torna con cinque luigi.Il barone di Vieuxvillers presta 200 lire, uno dei frati

Minimi venticinque luigi. Si comprano dei bei vestiti;un «panier» di pizzo per la contessa, un frac di vellutoper il conte, per mettersi in condizione di andare a Cortea presentarvi le proprie petizioni. Siamo nell'ottobre del1783. Gli sposi La Motte partono alla volta di Fontain-

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tane di tela, le sole che non avesse date in pegno, e poile stirava sulla tavola della sala da pranzo. Quanto alconte, non osava più uscire, per mancanza d'abiti. Ilcuoco, anticipava del proprio, per pagare il macellaio edil fornaio. Ma la borsa del servitore finì coll'esaurirsi.Convenne digiunare.

«Andiamo a letto – diceva Rosalia. – Quando si dor-me non si ha fame».

Di quando in quando Giovanna si creava delle risorse«facendo degli affari», ossia speculazioni su merci:prendeva molto a credito: a un punto tale che la poliziase ne insospettì.

In agosto, ci fu un allarme vivace. Gli usceri batteva-no all'uscio. Il fedele Deschamps mise in salvo il letto ele poltrone del salotto, aiutato da un giovane parrucchie-re. Li portarono sulla schiena fin da un certo Berlan-deux, in via delle Tournelles.

— Presto, mio caro Deschamps, – esclamava la si-gnora de La Motte – staccate gli specchi del salotto e letende delle finestre.

— Per portarli dove?— Su, svelto, al Monte di Pietà!E il domestico corre e torna con cinque luigi.Il barone di Vieuxvillers presta 200 lire, uno dei frati

Minimi venticinque luigi. Si comprano dei bei vestiti;un «panier» di pizzo per la contessa, un frac di vellutoper il conte, per mettersi in condizione di andare a Cortea presentarvi le proprie petizioni. Siamo nell'ottobre del1783. Gli sposi La Motte partono alla volta di Fontain-

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bleau. Giovanna, col marito, s'insedia nell'antica casadella cancelleria in via d'Avon. Ha una stanza quadrata,abbastanza grande, addobbata bene. Un caminetto dimarmo bianco; alle finestre delle tende di mussola a fio-ri. «Molti signori per bene venivano alternativamente atrovare la signora contessa, mentre il signor conte anda-va a scaldarsi negli appartamenti del castello». – «Mili-tari e magistrati facevano a gara nel farle visita e lasciar-le delle prove della loro generosità».

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bleau. Giovanna, col marito, s'insedia nell'antica casadella cancelleria in via d'Avon. Ha una stanza quadrata,abbastanza grande, addobbata bene. Un caminetto dimarmo bianco; alle finestre delle tende di mussola a fio-ri. «Molti signori per bene venivano alternativamente atrovare la signora contessa, mentre il signor conte anda-va a scaldarsi negli appartamenti del castello». – «Mili-tari e magistrati facevano a gara nel farle visita e lasciar-le delle prove della loro generosità».

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XI.ATTORNO ALLA CORTE.

Il denaro ricevuto veniva sprecato e urgevano semprenuove risorse. Si escogitano mille e un sistema. Per an-dare a Corte, la coppia comitale ha preso a nolo una car-rozza da rimessa. Ma non ha denaro. Passano ambedue,nella loro vettura, in via Sant'Onorato, dal mercante distoffe Lenormand. Giovanna compera a credito una pez-za di raso di venticinque once, la prende con sè e prose-gue. Giunta ai Campi Elisi, manda il cocchiere a pren-dere una carrozza da noleggio, in piazza Luigi XV. LaMotte vi sale, porta al Monte di Pietà la pezza, ne ri-scuote 12 luigi e ritrova, la sera, sua moglie a Versaillesove ambedue si congratulano a vicenda per il buon esitodella spedizione.

La signora de la Motte aveva uno scopo preciso. Vo-leva riavere i beni che, un tempo, avevano appartenutoalla sua famiglia, le terre di Fontette, d'Essoyes e di Ver-pillières, di cui i suoi padri, diceva, erano stati ingiusta-mente defraudati. La restituzione le pareva tanto più fa-

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XI.ATTORNO ALLA CORTE.

Il denaro ricevuto veniva sprecato e urgevano semprenuove risorse. Si escogitano mille e un sistema. Per an-dare a Corte, la coppia comitale ha preso a nolo una car-rozza da rimessa. Ma non ha denaro. Passano ambedue,nella loro vettura, in via Sant'Onorato, dal mercante distoffe Lenormand. Giovanna compera a credito una pez-za di raso di venticinque once, la prende con sè e prose-gue. Giunta ai Campi Elisi, manda il cocchiere a pren-dere una carrozza da noleggio, in piazza Luigi XV. LaMotte vi sale, porta al Monte di Pietà la pezza, ne ri-scuote 12 luigi e ritrova, la sera, sua moglie a Versaillesove ambedue si congratulano a vicenda per il buon esitodella spedizione.

La signora de la Motte aveva uno scopo preciso. Vo-leva riavere i beni che, un tempo, avevano appartenutoalla sua famiglia, le terre di Fontette, d'Essoyes e di Ver-pillières, di cui i suoi padri, diceva, erano stati ingiusta-mente defraudati. La restituzione le pareva tanto più fa-

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cile ad ottenere in quanto che una parte di quei dominiiera da qualche tempo caduta fra le mani del re. Non riu-scì però, malgrado ogni sforzo, a valicare la cerchia deipiù piccoli borghesi di Versailles. Disperando oramai dipoter riuscire coi mezzi soliti, ne immaginò di più auda-ci. Un giorno di dicembre del 1783, nell'affollato salonedi servizio di Madama Elisabetta, sorella di Luigi XVI,finse di svenire di debolezza e d'inedia. La principessavenne avvertita «che una donna di nobile condizionemoriva di fame nella sua anticamera. Assai commossa,si fece portare la petizione che, molto a proposito, Gio-vanna teneva in mano e fece trasportare la giovane don-na, in barella, al suo domicilio ch'era allora l'albergo diJouy.

Rimasta sola, Giovanna chiama il fedele Deschamps:«Se Madama manda qualcuno a chiedere notizie del

mio stato, dite che ho fatto un aborto e m'han cavatosangue cinque volte».

I medici di Madama vennero a visitarla, in due ripre-se. La principessa le mandò duecento lire, un'altra voltadieci luigi. L'abate Malet fece nei salotti di Corte unaquestua che produsse trecento lire. Con quel danaro,Giovanna veniva durante la notte, da Versailles a Parigi;e la mattina dopo tornava a Versailles, per mettersi a let-to. Trascorse così tre mesi a Versailles, donde lasciò,all'albergo di Jouy, un debito di cinquecento scudi.

Fu in quell'epoca che, dietro le istanze di Madama, lapensione di Giovanna di Valois venne portata da 800 a1500 lire. Ma cos'erano per i La Motte 1500 lire? Gio-

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cile ad ottenere in quanto che una parte di quei dominiiera da qualche tempo caduta fra le mani del re. Non riu-scì però, malgrado ogni sforzo, a valicare la cerchia deipiù piccoli borghesi di Versailles. Disperando oramai dipoter riuscire coi mezzi soliti, ne immaginò di più auda-ci. Un giorno di dicembre del 1783, nell'affollato salonedi servizio di Madama Elisabetta, sorella di Luigi XVI,finse di svenire di debolezza e d'inedia. La principessavenne avvertita «che una donna di nobile condizionemoriva di fame nella sua anticamera. Assai commossa,si fece portare la petizione che, molto a proposito, Gio-vanna teneva in mano e fece trasportare la giovane don-na, in barella, al suo domicilio ch'era allora l'albergo diJouy.

Rimasta sola, Giovanna chiama il fedele Deschamps:«Se Madama manda qualcuno a chiedere notizie del

mio stato, dite che ho fatto un aborto e m'han cavatosangue cinque volte».

I medici di Madama vennero a visitarla, in due ripre-se. La principessa le mandò duecento lire, un'altra voltadieci luigi. L'abate Malet fece nei salotti di Corte unaquestua che produsse trecento lire. Con quel danaro,Giovanna veniva durante la notte, da Versailles a Parigi;e la mattina dopo tornava a Versailles, per mettersi a let-to. Trascorse così tre mesi a Versailles, donde lasciò,all'albergo di Jouy, un debito di cinquecento scudi.

Fu in quell'epoca che, dietro le istanze di Madama, lapensione di Giovanna di Valois venne portata da 800 a1500 lire. Ma cos'erano per i La Motte 1500 lire? Gio-

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vanna tentò di penetrare fino dalla principessa che pare-va s'interessasse per lei; ma appunto allora Madama Eli-sabetta subodorò l'artifizio e l'allontanò come un'intri-gante. Un secondo svenimento non le riuscì in casa dellacontessa d'Artois.

Terzo tentativo il 2 febbraio 1784, ancora più audace.Giovanna va a mettersi nella galleria degli Specchi, sulpassaggio della regina che si reca a messa; irrompe at-traverso la folla e cade svenuta. Ma successe un tal pa-rapiglia che la regina non potè nemmeno scorgerla. Ilcolpo era fallito.

Alla fine, Giovanna rinnovò le sue sincopi, complica-te con convulsioni nervose, sotto le finestre dell'apparta-mento occupato da Maria Antonietta. Ma nemmeno sta-volta la regina vide. Nelle sue Memorie, in cui ai propriidesiderii dà l'apparenza della realtà, la Signora de laMotte svela il fondo del suo pensiero:

«Il re trovò Sua Maestà in uno stato d'agitazioneestrema e s'affrettò a chiedergliene la causa. Essa rispo-se d'essere stata testimone d'uno spettacolo molto triste;aveva visto una giovine donna cadere in preda a convul-sioni orribili. – Ho chiesto il suo nome – aggiunse la re-gina – e m'hanno risposto ch'era la damigella di Valois,moglie del conte de la Motte. È assai spiacevole l'inci-dente capitatole. È una coppia giovine che compiango ditutto cuore. – L'interesse che avevo suscitato nella regi-na non poteva a meno di destare le invidie di coloro checi tenevano a unicamente accaparrarsi i suoi favori».

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vanna tentò di penetrare fino dalla principessa che pare-va s'interessasse per lei; ma appunto allora Madama Eli-sabetta subodorò l'artifizio e l'allontanò come un'intri-gante. Un secondo svenimento non le riuscì in casa dellacontessa d'Artois.

Terzo tentativo il 2 febbraio 1784, ancora più audace.Giovanna va a mettersi nella galleria degli Specchi, sulpassaggio della regina che si reca a messa; irrompe at-traverso la folla e cade svenuta. Ma successe un tal pa-rapiglia che la regina non potè nemmeno scorgerla. Ilcolpo era fallito.

Alla fine, Giovanna rinnovò le sue sincopi, complica-te con convulsioni nervose, sotto le finestre dell'apparta-mento occupato da Maria Antonietta. Ma nemmeno sta-volta la regina vide. Nelle sue Memorie, in cui ai propriidesiderii dà l'apparenza della realtà, la Signora de laMotte svela il fondo del suo pensiero:

«Il re trovò Sua Maestà in uno stato d'agitazioneestrema e s'affrettò a chiedergliene la causa. Essa rispo-se d'essere stata testimone d'uno spettacolo molto triste;aveva visto una giovine donna cadere in preda a convul-sioni orribili. – Ho chiesto il suo nome – aggiunse la re-gina – e m'hanno risposto ch'era la damigella di Valois,moglie del conte de la Motte. È assai spiacevole l'inci-dente capitatole. È una coppia giovine che compiango ditutto cuore. – L'interesse che avevo suscitato nella regi-na non poteva a meno di destare le invidie di coloro checi tenevano a unicamente accaparrarsi i suoi favori».

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La sola persona a Corte di cui Giovanna riuscì a farela conoscenza, fra tanti passi e tante sollecitazioni, fu uncerto Desclaux, musicista del re e garzone d'onore dellacamera della regina, col quale desinò parecchie voltedurante l'anno 1782, in casa della moglie d'un chirurgoostetrico di Versailles; ma, dopo, cessò di venir ricevutain quella casa e perdette di vista Desclaux.

Tuttavia, a Versailles, a Parigi, nella società che fre-quentava la sua casa di via Neuve-Saint-Gilles, Giovan-na spargeva la voce della influenza che stava acquistan-do a Corte, dove, diceva lei, non la chiamavano più chela «contessa di Valois»; mangiava con Madama e la«contessa d'Artois, era favorita dalla bontà della regina,anzi, aveva libera entrata ne' suoi appartamenti. E iviaggi a Versailles divennero sempre più frequenti.

Quei ricevimenti a Corte si limitavano, ahimè, a te-nersi rinchiusa nell'alloggio mobiliato del Gobert, doveGiovanna viveva mangiando di quel che dava la loro ta-vola, un piatto di cavoli, di lenti o di fagioli, come unicopasto e pagando dodici soldi. Ma anche a Gobert narra-va d'essere ricevuta a Corte; e, certi giorni, i giorni incui diceva di pranzarvi, andava a sedere alla mensa co-mune dell'albergo di Jouy. Rincasava tardi e non finivapiù di elogiare le cortesie di Madama, l'affabilità dellacontessa d'Artois, e la bontà della regina che si degnavadi onorarla della sua simpatia.

Al signor de la Fresnaye, che nutriva dell'amicizia perGiovanna, giunse la voce di tale diceria che andava

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La sola persona a Corte di cui Giovanna riuscì a farela conoscenza, fra tanti passi e tante sollecitazioni, fu uncerto Desclaux, musicista del re e garzone d'onore dellacamera della regina, col quale desinò parecchie voltedurante l'anno 1782, in casa della moglie d'un chirurgoostetrico di Versailles; ma, dopo, cessò di venir ricevutain quella casa e perdette di vista Desclaux.

Tuttavia, a Versailles, a Parigi, nella società che fre-quentava la sua casa di via Neuve-Saint-Gilles, Giovan-na spargeva la voce della influenza che stava acquistan-do a Corte, dove, diceva lei, non la chiamavano più chela «contessa di Valois»; mangiava con Madama e la«contessa d'Artois, era favorita dalla bontà della regina,anzi, aveva libera entrata ne' suoi appartamenti. E iviaggi a Versailles divennero sempre più frequenti.

Quei ricevimenti a Corte si limitavano, ahimè, a te-nersi rinchiusa nell'alloggio mobiliato del Gobert, doveGiovanna viveva mangiando di quel che dava la loro ta-vola, un piatto di cavoli, di lenti o di fagioli, come unicopasto e pagando dodici soldi. Ma anche a Gobert narra-va d'essere ricevuta a Corte; e, certi giorni, i giorni incui diceva di pranzarvi, andava a sedere alla mensa co-mune dell'albergo di Jouy. Rincasava tardi e non finivapiù di elogiare le cortesie di Madama, l'affabilità dellacontessa d'Artois, e la bontà della regina che si degnavadi onorarla della sua simpatia.

Al signor de la Fresnaye, che nutriva dell'amicizia perGiovanna, giunse la voce di tale diceria che andava

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sempre più accentuandosi. L'avvertì piuttosto ruvida-mente:

«Comare mia, durante il mio soggiorno a Versailles,ho saputo quello che si dice di voi. Vi vantate, a quantopare, di avvicinare la regina, di parlarle. Léonard, par-rucchiere della regina, che era presente, ha detto che ba-sterebbe una sua parola alla sovrana per farvi metteresubito sotto chiave per tutto il resto de' vostri giorni; ech'era sicuro che voi non vedevate la regina. Se questonon è e voi ne date vanto, siete una donna perduta».

Giovanna, sulle prime, sconcertata, balbettò:«Non mi vanto di parlare con la regina».Ma subito, riprendendosi:«Vedo Sua Maestà e non ne parlo mai!».Giovanna aveva un disegno. Preparava e studiava la

parte di quella che alla luogotenenza di polizia chiama-vano «una che fa degli affari negli uffici dei ministri aCorte». Negli incartamenti degli archivi della Bastigliasi trovano a centinaia i nomi di quei venditori di fumoche abusavano di un credito reale o fittizio per farsidare, da destra e da sinistra, delle somme di denaro, me-diante promessa di far riuscire un certo piano, di fardare un posto o una decorazione. Industria naturalmenteflorida in quell'epoca in cui dalla volontà di un ministro,di una favorita della sovrana, potevano dipendere deci-sioni della massima importanza. Giovanna capì che ilgiorno in cui tutti fossero stati persuasi della sua in-fluenza presso Madama e presso la regina, sarebbe statala fine d'ogni suo guaio. Il suo nome – Giovanna di Va-

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sempre più accentuandosi. L'avvertì piuttosto ruvida-mente:

«Comare mia, durante il mio soggiorno a Versailles,ho saputo quello che si dice di voi. Vi vantate, a quantopare, di avvicinare la regina, di parlarle. Léonard, par-rucchiere della regina, che era presente, ha detto che ba-sterebbe una sua parola alla sovrana per farvi metteresubito sotto chiave per tutto il resto de' vostri giorni; ech'era sicuro che voi non vedevate la regina. Se questonon è e voi ne date vanto, siete una donna perduta».

Giovanna, sulle prime, sconcertata, balbettò:«Non mi vanto di parlare con la regina».Ma subito, riprendendosi:«Vedo Sua Maestà e non ne parlo mai!».Giovanna aveva un disegno. Preparava e studiava la

parte di quella che alla luogotenenza di polizia chiama-vano «una che fa degli affari negli uffici dei ministri aCorte». Negli incartamenti degli archivi della Bastigliasi trovano a centinaia i nomi di quei venditori di fumoche abusavano di un credito reale o fittizio per farsidare, da destra e da sinistra, delle somme di denaro, me-diante promessa di far riuscire un certo piano, di fardare un posto o una decorazione. Industria naturalmenteflorida in quell'epoca in cui dalla volontà di un ministro,di una favorita della sovrana, potevano dipendere deci-sioni della massima importanza. Giovanna capì che ilgiorno in cui tutti fossero stati persuasi della sua in-fluenza presso Madama e presso la regina, sarebbe statala fine d'ogni suo guaio. Il suo nome – Giovanna di Va-

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lois – che faceva suonare molto alto e precedere finquello del marito, firmando «contessa di Valois-La-Mot-te» le era di grande aiuto. Aveva già ottenuto dei risulta-ti non spregevoli. Aveva scroccato 1000 scudi al signorde Ganges, promettendogli di far valere il proprio credi-to verso la regina per far avere un posto di 80.000 lire alsignor de Blainville, fratello dell'abate di Lattaignant,consigliere al Parlamento; s'era fatto inviare dai signoriPerrin, negozianti di Lione, che «desideravano presenta-re un piano utile al governo», – leggete: «alla loro indu-stria» – una cassa piena di stoffe magnifiche, regalo va-lutato dai conoscitori che la videro, diecimila lire alme-no.

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lois – che faceva suonare molto alto e precedere finquello del marito, firmando «contessa di Valois-La-Mot-te» le era di grande aiuto. Aveva già ottenuto dei risulta-ti non spregevoli. Aveva scroccato 1000 scudi al signorde Ganges, promettendogli di far valere il proprio credi-to verso la regina per far avere un posto di 80.000 lire alsignor de Blainville, fratello dell'abate di Lattaignant,consigliere al Parlamento; s'era fatto inviare dai signoriPerrin, negozianti di Lione, che «desideravano presenta-re un piano utile al governo», – leggete: «alla loro indu-stria» – una cassa piena di stoffe magnifiche, regalo va-lutato dai conoscitori che la videro, diecimila lire alme-no.

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XII.IL PERSONALE DI CASA DELLA

CONTESSA.

La fama che sempre più si consolidava, diquell'influenza attiva a Corte, e presso la regina, e le at-trattive, la grazia gioconda e seducente di Giovanna diValois, e le grosse bottiglie di Borgogna che il conteportava su dalla cantina, radunavano in via Neuve-Saint-Gilles una cerchia di familiari. Era un'assembleacuriosa: alcuni finanzieri d'età matura, manovranti attor-no alla giovane donna di cui subodoravano l'indigenzasotto il lusso apparente; degli abatini graziosi e profu-mati; qualche avvocato, Laporte, genero del sostitutodel procuratore generale referendario; il giovane AlbertoBeugnot che veniva – egli dice – soltanto in abito nero ecoi capelli lunghi in segno di rispetto; contesse e mar-chese sul cui blasone la discrezione consigliava di nonvoler troppo indagare; militari, il conte d'Olomieu, uffi-ciale delle guardie, – occhio vivace, aspetto marziale,

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XII.IL PERSONALE DI CASA DELLA

CONTESSA.

La fama che sempre più si consolidava, diquell'influenza attiva a Corte, e presso la regina, e le at-trattive, la grazia gioconda e seducente di Giovanna diValois, e le grosse bottiglie di Borgogna che il conteportava su dalla cantina, radunavano in via Neuve-Saint-Gilles una cerchia di familiari. Era un'assembleacuriosa: alcuni finanzieri d'età matura, manovranti attor-no alla giovane donna di cui subodoravano l'indigenzasotto il lusso apparente; degli abatini graziosi e profu-mati; qualche avvocato, Laporte, genero del sostitutodel procuratore generale referendario; il giovane AlbertoBeugnot che veniva – egli dice – soltanto in abito nero ecoi capelli lunghi in segno di rispetto; contesse e mar-chese sul cui blasone la discrezione consigliava di nonvoler troppo indagare; militari, il conte d'Olomieu, uffi-ciale delle guardie, – occhio vivace, aspetto marziale,

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voce sonora – che s'arricciava i baffi, dirigeva i balli eveniva quotidianamente a fare con Giovanna la partita aa tric-trac». Il più intimo era un certo Rétaux di Villette,antico gendarme, camerata del conte de la Motte, chel'aveva presentato alla moglie. I mariti sono specialistiper certe cose! Rétaux era figlio del direttore generaledei dazii di Lione; bel ragazzo, sulla trentina, ben fatto,con capelli biondi, in cui, malgrado la gioventù, brilla-vano già alcuni capelli d'argento, occhi azzurri, una car-nagione fresca e colorita. Era seducente, faceva dei ver-si, imitava a morirne dalle risa Madamigella Contat del-la «Comédie Francaise» e, mentre La Motte pizzicaval'arpa, egli cantava con garbo delle melodie di Rameau odi Francoeur.

Con la sua calligrafia di donna, Rétaux serviva da se-gretario alla signora de la Motte; e abbiamo fondate ra-gioni di credere che le sue funzioni andassero più in là.L'ispettore Quidor, incaricato della polizia delle prosti-tute procedette in seguito all'arresto di Rétaux a Gine-vra. Espertissimo in tal materia, egli classificava le rela-zioni del giovane segretario con la signora che lo impie-gava, con una espressione vigorosa e pittoresca, che nonpossiamo trascrivere.

La signora de la Motte aveva inoltre un segretario ag-giunto, un frate minimo della Place-Royale, procuratoredi quella casa, il Padre Loth. Una pusterla del conventodava sulla via Nuova-Saint-Gilles, di fronte al numero13 in cui Giovanna dimorava. Il frate minimo dicevatutte le mattine la messa per lei, perchè ella udiva la

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voce sonora – che s'arricciava i baffi, dirigeva i balli eveniva quotidianamente a fare con Giovanna la partita aa tric-trac». Il più intimo era un certo Rétaux di Villette,antico gendarme, camerata del conte de la Motte, chel'aveva presentato alla moglie. I mariti sono specialistiper certe cose! Rétaux era figlio del direttore generaledei dazii di Lione; bel ragazzo, sulla trentina, ben fatto,con capelli biondi, in cui, malgrado la gioventù, brilla-vano già alcuni capelli d'argento, occhi azzurri, una car-nagione fresca e colorita. Era seducente, faceva dei ver-si, imitava a morirne dalle risa Madamigella Contat del-la «Comédie Francaise» e, mentre La Motte pizzicaval'arpa, egli cantava con garbo delle melodie di Rameau odi Francoeur.

Con la sua calligrafia di donna, Rétaux serviva da se-gretario alla signora de la Motte; e abbiamo fondate ra-gioni di credere che le sue funzioni andassero più in là.L'ispettore Quidor, incaricato della polizia delle prosti-tute procedette in seguito all'arresto di Rétaux a Gine-vra. Espertissimo in tal materia, egli classificava le rela-zioni del giovane segretario con la signora che lo impie-gava, con una espressione vigorosa e pittoresca, che nonpossiamo trascrivere.

La signora de la Motte aveva inoltre un segretario ag-giunto, un frate minimo della Place-Royale, procuratoredi quella casa, il Padre Loth. Una pusterla del conventodava sulla via Nuova-Saint-Gilles, di fronte al numero13 in cui Giovanna dimorava. Il frate minimo dicevatutte le mattine la messa per lei, perchè ella udiva la

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messa tutte le mattine. La faceva entrare dalla porticinanella cappella in cui l'aspettava un inginocchiatoio divelluto. Fungeva inoltre da maggiordomo, accaparrava efaceva accettare i domestici, sorvegliava il tinello e lacucina, dava delle ramanzine a Rosalia, la cameriera,ch'era la servetta classica: diciott'anni, figura sottile, oc-chi neri e un nasino all'insù. Regolava i fornitori e tene-va le chiavi di casa quando la coppia comitale andava incampagna. Era, del resto, un bravissimo uomo.

S'era anche visto, nel salotto della contessa, un perso-naggio giunto da Troyes in Champagne, che si chiamavaanche lui di Valois. Giovanna gli diceva: «Mio caro cu-gino» e lo faceva pranzare con dei cavalieri di San Lui-gi. Era venuto per farsi riconoscere anche lui seguendol'esempio della cugina, perchè ne aveva grandemente bi-sogno, essendo padre di sei ragazzi. Ma commise losbaglio di dire a tavola che faceva di mestiere il ciabatti-no; sbaglio che gli valse di essere messo alla porta daGiovanna che gli proibì di mai più riapparire alla suapresenza.

E, infine, la signora de la Motte s'era presa seco unacerta signorina Colsen, parente di suo marito, giovinettapoverissima, a cui aveva attribuito le funzioni di lettricee di dama di compagnia.

Camerieri, cuoco, cocchiere, fantino, coppia di porti-nai, servetta, lettrice e dama di compagnia, confessore,segretario, maggiordomo, un ufficiale per il «tric-trac»,un amico del marito per le mansioni di fiducia, un mo-

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messa tutte le mattine. La faceva entrare dalla porticinanella cappella in cui l'aspettava un inginocchiatoio divelluto. Fungeva inoltre da maggiordomo, accaparrava efaceva accettare i domestici, sorvegliava il tinello e lacucina, dava delle ramanzine a Rosalia, la cameriera,ch'era la servetta classica: diciott'anni, figura sottile, oc-chi neri e un nasino all'insù. Regolava i fornitori e tene-va le chiavi di casa quando la coppia comitale andava incampagna. Era, del resto, un bravissimo uomo.

S'era anche visto, nel salotto della contessa, un perso-naggio giunto da Troyes in Champagne, che si chiamavaanche lui di Valois. Giovanna gli diceva: «Mio caro cu-gino» e lo faceva pranzare con dei cavalieri di San Lui-gi. Era venuto per farsi riconoscere anche lui seguendol'esempio della cugina, perchè ne aveva grandemente bi-sogno, essendo padre di sei ragazzi. Ma commise losbaglio di dire a tavola che faceva di mestiere il ciabatti-no; sbaglio che gli valse di essere messo alla porta daGiovanna che gli proibì di mai più riapparire alla suapresenza.

E, infine, la signora de la Motte s'era presa seco unacerta signorina Colsen, parente di suo marito, giovinettapoverissima, a cui aveva attribuito le funzioni di lettricee di dama di compagnia.

Camerieri, cuoco, cocchiere, fantino, coppia di porti-nai, servetta, lettrice e dama di compagnia, confessore,segretario, maggiordomo, un ufficiale per il «tric-trac»,un amico del marito per le mansioni di fiducia, un mo-

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naco per gli incarichi delicati: il personale di casa dellacontessa era così al completo.

Non appena Giovanna si fu insediata in via Neuve-Saint-Gilles, vi si vide comparire una persona che, peruna bizzarra coincidenza, si chiamava pure signora de laMotte; il suo nome di ragazza era Maria Giuseppa Fran-cesca Waldburg di Frohberg, ma essa aveva sposatol'amministratore del collegio della Flèche, Pietro duPont de la Motte. Era stata detenuta alla Bastiglia dal 22febbraio al 29 giugno 1782; poi trasferita a la Villette,presso un certo Macé, che teneva una di quelle curiosepensioni di prigionieri per rescritto regio, come ce n'era-no molte a Parigi, prima della Rivoluzione. Era evasa dilì, pochi giorni dopo. La storia di quest'altra signora dela Motte è per noi interessante. Anch'essa si vantava digodere la fiducia della sovrana, mostrava delle lettereche diceva averle scritte la signora di Polignac, parlavad'essere in gran favore presso la principessa di Lambal-le, faceva uso di un sigillo della regina scoperto sulla ta-vola del duca di Polignac, raccontava in qual modoavesse disarmato, mercè il suo credito presso la sovrana,il risentimento della principessa di Guéméné contro unacerta signora di Roquefeuille; e, mettendo tutta quellabella influenza a disposizione del maggior offerente,carpiva alla gente delle somme importanti. La vedremofra poco collaborare con Giovanna di Valois; ma costeicamminerà sulle sue tracce con un'energia e un'audaciache Francesca Waldburg di Frohberg non avrebbe so-spettate.

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naco per gli incarichi delicati: il personale di casa dellacontessa era così al completo.

Non appena Giovanna si fu insediata in via Neuve-Saint-Gilles, vi si vide comparire una persona che, peruna bizzarra coincidenza, si chiamava pure signora de laMotte; il suo nome di ragazza era Maria Giuseppa Fran-cesca Waldburg di Frohberg, ma essa aveva sposatol'amministratore del collegio della Flèche, Pietro duPont de la Motte. Era stata detenuta alla Bastiglia dal 22febbraio al 29 giugno 1782; poi trasferita a la Villette,presso un certo Macé, che teneva una di quelle curiosepensioni di prigionieri per rescritto regio, come ce n'era-no molte a Parigi, prima della Rivoluzione. Era evasa dilì, pochi giorni dopo. La storia di quest'altra signora dela Motte è per noi interessante. Anch'essa si vantava digodere la fiducia della sovrana, mostrava delle lettereche diceva averle scritte la signora di Polignac, parlavad'essere in gran favore presso la principessa di Lambal-le, faceva uso di un sigillo della regina scoperto sulla ta-vola del duca di Polignac, raccontava in qual modoavesse disarmato, mercè il suo credito presso la sovrana,il risentimento della principessa di Guéméné contro unacerta signora di Roquefeuille; e, mettendo tutta quellabella influenza a disposizione del maggior offerente,carpiva alla gente delle somme importanti. La vedremofra poco collaborare con Giovanna di Valois; ma costeicamminerà sulle sue tracce con un'energia e un'audaciache Francesca Waldburg di Frohberg non avrebbe so-spettate.

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Intanto Giovanna, che conduceva una vita sempre piùbrillante, sentiva sempre più il peso gravoso della mise-ria. Un salvacondotto del ministro Amelot la mise al co-perto dalle azioni giudiziarie che volevano esercitarecontro di lei dei creditori ai quali da due anni dovevauna forte somma di denaro. Ma, com'essa scrive al con-trollore generale pochi giorni dopo, «questo non mimette al coperto dal vendere i miei mobili». «Farò delbaccano, aggiunge, e non posso fare diversamente. Bi-sogna che io viva, coi miei». Il 6 aprile, una condannaper debiti è pronunziata dal podestà di Parigi. L'affittodel San Giovanni del 1784, non può venir saldato se nongrazie a trecento lire che il Padre Loth è riuscito ad ave-re a prestito.

Giovanna scriveva il 16 maggio 1783 a Lefèvred'Ormesson: «Voi mi trovate certo, signore, molto stra-vagante; ma non posso astenermi dal lamentare che nonvoglia essermi accordata la più piccola delle grazie. Nonmi meraviglio più che avvenga tanto male al mondo eposso ancora dire ch'è la religione che m'ha trattenutadal farne».

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Intanto Giovanna, che conduceva una vita sempre piùbrillante, sentiva sempre più il peso gravoso della mise-ria. Un salvacondotto del ministro Amelot la mise al co-perto dalle azioni giudiziarie che volevano esercitarecontro di lei dei creditori ai quali da due anni dovevauna forte somma di denaro. Ma, com'essa scrive al con-trollore generale pochi giorni dopo, «questo non mimette al coperto dal vendere i miei mobili». «Farò delbaccano, aggiunge, e non posso fare diversamente. Bi-sogna che io viva, coi miei». Il 6 aprile, una condannaper debiti è pronunziata dal podestà di Parigi. L'affittodel San Giovanni del 1784, non può venir saldato se nongrazie a trecento lire che il Padre Loth è riuscito ad ave-re a prestito.

Giovanna scriveva il 16 maggio 1783 a Lefèvred'Ormesson: «Voi mi trovate certo, signore, molto stra-vagante; ma non posso astenermi dal lamentare che nonvoglia essermi accordata la più piccola delle grazie. Nonmi meraviglio più che avvenga tanto male al mondo eposso ancora dire ch'è la religione che m'ha trattenutadal farne».

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XIII.IL DOLORE DEL CARDINALE DI

ROHAN.

Giungendo dalla sua Ambasciata di Vienna, il princi-pe Luigi di Rohan era portatore di due lettere scritte daMaria Teresa, l'una per Luigi XVI, l'altra per Maria An-tonietta. L'accoglienza del re fu delle più riservate. Loascoltò per alcuni minuti e disse bruscamente: «Vi faròsapere fra breve le mie volontà». Quanto alla regina,Rohan non potè nemmeno ottenere da lei un'udienza.Essa mandò a chiedergli la lettera affidata a luidall'imperatrice. Il giovine prelato ne provò una penaprofonda, ancor più grande dell'irritazione. E prese la ri-soluzione di far di tutto al mondo per raddolcire a pocoa poco il rigore della sovrana.

La bambina che aveva salutata e benedetta a Strasbur-go era diventata una donna deliziosa, la cui grazia otte-neva risalto dalla maestà del trono. Rohan cercava diguadagnarsi l'amicizia di coloro che avevano l'occasione

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XIII.IL DOLORE DEL CARDINALE DI

ROHAN.

Giungendo dalla sua Ambasciata di Vienna, il princi-pe Luigi di Rohan era portatore di due lettere scritte daMaria Teresa, l'una per Luigi XVI, l'altra per Maria An-tonietta. L'accoglienza del re fu delle più riservate. Loascoltò per alcuni minuti e disse bruscamente: «Vi faròsapere fra breve le mie volontà». Quanto alla regina,Rohan non potè nemmeno ottenere da lei un'udienza.Essa mandò a chiedergli la lettera affidata a luidall'imperatrice. Il giovine prelato ne provò una penaprofonda, ancor più grande dell'irritazione. E prese la ri-soluzione di far di tutto al mondo per raddolcire a pocoa poco il rigore della sovrana.

La bambina che aveva salutata e benedetta a Strasbur-go era diventata una donna deliziosa, la cui grazia otte-neva risalto dalla maestà del trono. Rohan cercava diguadagnarsi l'amicizia di coloro che avevano l'occasione

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d'accostare la regina e avrebbero potuto influire a scac-ciare dalla mente di lei le impressioni sfavorevoli che ilcorriere di Vienna non cessava di inculcarvi.

«Le inquietudini di cui Vostra Maestà mi fa parte nel-la sua graziosissima lettera circa gli intrighi del principedi Rohan – scrive Mercy-Argenteau a Maria Teresa, indata 16 luglio 1776 – non erano senza fondamento.Questo coadiutore, essendosi completamente rappacifi-cato con la principessa di Guéméné, ottenne da lei ches'assumesse l'incarico di consegnare una lettera alla re-gina, in cui egli la supplicava d'accordargli un'udienza.Per fortuna la lettera, sotto la vernice del rispetto, avevauna punta d'altezzosità e di rimprovero che spiacque.L'abate di Vermont ed io facemmo del nostro meglio perdecidere Sua Maestà a dichiarare che non aveva udienzeda dare al coadiutore; ma la regina prese un partitomeno radicale e, in seguito alle reiterate istanze dellaprincipessa di Guénémé, la regina senz'accordare nè ri-fiutare, pretestò ora un'occupazione, ora una passeggia-ta, di modo che il coadiutore fu costretto a partire allavolta di Strasburgo senza avere ottenuto l'udienza».

Quando, nel 1777, la carica di grande elemosiniere, lamassima dignità che venisse conferita alla Corte diFrancia, divenne vacante, Rohan, a cui era stata promes-sa, arrischiò di non venir nominato, per causa della vi-vissima opposizione di Maria Antonietta, stimolata daMercy-Argenteau. E il re stesso non diede il proprioconsenso se non a condizione che Rohan firmasse unimpegno di dimettersi a capo d'un anno; ma, come fa os-

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d'accostare la regina e avrebbero potuto influire a scac-ciare dalla mente di lei le impressioni sfavorevoli che ilcorriere di Vienna non cessava di inculcarvi.

«Le inquietudini di cui Vostra Maestà mi fa parte nel-la sua graziosissima lettera circa gli intrighi del principedi Rohan – scrive Mercy-Argenteau a Maria Teresa, indata 16 luglio 1776 – non erano senza fondamento.Questo coadiutore, essendosi completamente rappacifi-cato con la principessa di Guéméné, ottenne da lei ches'assumesse l'incarico di consegnare una lettera alla re-gina, in cui egli la supplicava d'accordargli un'udienza.Per fortuna la lettera, sotto la vernice del rispetto, avevauna punta d'altezzosità e di rimprovero che spiacque.L'abate di Vermont ed io facemmo del nostro meglio perdecidere Sua Maestà a dichiarare che non aveva udienzeda dare al coadiutore; ma la regina prese un partitomeno radicale e, in seguito alle reiterate istanze dellaprincipessa di Guénémé, la regina senz'accordare nè ri-fiutare, pretestò ora un'occupazione, ora una passeggia-ta, di modo che il coadiutore fu costretto a partire allavolta di Strasburgo senza avere ottenuto l'udienza».

Quando, nel 1777, la carica di grande elemosiniere, lamassima dignità che venisse conferita alla Corte diFrancia, divenne vacante, Rohan, a cui era stata promes-sa, arrischiò di non venir nominato, per causa della vi-vissima opposizione di Maria Antonietta, stimolata daMercy-Argenteau. E il re stesso non diede il proprioconsenso se non a condizione che Rohan firmasse unimpegno di dimettersi a capo d'un anno; ma, come fa os-

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servare Mercy, i Rohan-Marsan-Soubise godevano diun'influenza troppo preponderante per non saper protrar-re la scadenza d'un simile impegno.

Maria Antonietta annunzia la notizia a sua madre:«Penso anch'io come voi, mia cara mamma, circa ilprincipe Luigi che credo di cattivissimi principî e peri-colosissimo per i suoi intrighi; e se fosse dipeso da me,non avrebbe ottenuto nessun posto qui. Del resto quellodi grande elemosiniere non comporta nessuna relazionecon me, e non avrà da rivolgergli spesso la parola nean-che il re, che vedrà soltanto quando si alza e in chiesa».

«Invano – dice l'abate Georgel, segretario particolaredel principe di Rohan – il grande elemosiniere scrissealla regina perfino tre volte: le sue lettere, lo seppe inmodo da non poterne dubitare, non furono mai lette.Anzi, nemmeno aperte. Invano si valse della mediazionedi gente a cui la regina dava particolari segni di bontà ed'amicizia, invano ricorse a Giuseppe II, fratello dellaregina, all'epoca del suo viaggio in Francia, per essereautorizzato a presentare la propria apologia; le rispostesignificarono una volontà assolutamente decisa a nonmai entrare in nessuna via di riavvicinamento o di ricon-ciliazione».

Tuttavia, la regina avrebbe forse finito col lasciar so-pire i proprii rancori se non ci fosse stato Mercy-Argen-teau, agente di Maria Teresa, in agguato, e sempre pron-to a ridestarli. «Così come lo conosco io, credo il coa-diutore de Rohan – gli scriveva l'imperatrice d'Austria –capacissimo di insinuarsi nel cervello di mia figlia,

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servare Mercy, i Rohan-Marsan-Soubise godevano diun'influenza troppo preponderante per non saper protrar-re la scadenza d'un simile impegno.

Maria Antonietta annunzia la notizia a sua madre:«Penso anch'io come voi, mia cara mamma, circa ilprincipe Luigi che credo di cattivissimi principî e peri-colosissimo per i suoi intrighi; e se fosse dipeso da me,non avrebbe ottenuto nessun posto qui. Del resto quellodi grande elemosiniere non comporta nessuna relazionecon me, e non avrà da rivolgergli spesso la parola nean-che il re, che vedrà soltanto quando si alza e in chiesa».

«Invano – dice l'abate Georgel, segretario particolaredel principe di Rohan – il grande elemosiniere scrissealla regina perfino tre volte: le sue lettere, lo seppe inmodo da non poterne dubitare, non furono mai lette.Anzi, nemmeno aperte. Invano si valse della mediazionedi gente a cui la regina dava particolari segni di bontà ed'amicizia, invano ricorse a Giuseppe II, fratello dellaregina, all'epoca del suo viaggio in Francia, per essereautorizzato a presentare la propria apologia; le rispostesignificarono una volontà assolutamente decisa a nonmai entrare in nessuna via di riavvicinamento o di ricon-ciliazione».

Tuttavia, la regina avrebbe forse finito col lasciar so-pire i proprii rancori se non ci fosse stato Mercy-Argen-teau, agente di Maria Teresa, in agguato, e sempre pron-to a ridestarli. «Così come lo conosco io, credo il coa-diutore de Rohan – gli scriveva l'imperatrice d'Austria –capacissimo di insinuarsi nel cervello di mia figlia,

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com'ebbe la fortuna di crearsi qui, a Vienna, numerosipartigiani».

Triste e rivoltante spettacolo, quella madre, Maria Te-resa, che in sua figlia altro più non vede se non uno stru-mento della propria politica. «Tutto in lei, d'ora innanzi– scrive de Nolhac – la sua bellezza, la sua popolarità, lasua maternità, dovrà servire, giunta l'ora, agli interessidella politica austriaca». Osa far dire a sua figlia, delfinadi Francia, che l'Austria è la sua patria. E questa patria,in che modo vuole ch'essa la serva? Coll'essere graziosacon la Du Barry, la cortigiana che disonora la Corte, eoffende in Maria Antonietta il pudore della donna e ladignità della moglie. Maria Antonietta risponde chequesto è più forte di lei, che non può; ma l'imperatriceinsiste, vuole, parla duramente; s'immagina forse sua fi-glia di doverle dare delle lezioni di dignità e di esperien-za? Mercy viene alla riscossa, Maria Antonietta, costret-ta a cedere, parla sorridendo alla favorita e costei, nellapropria riconoscenza un po' brutale, vuol subito che il rele compri, a titolo di ricompensa, un finimento di dia-manti.

Maria Antonietta diventa regina. Avrebbe il dovere dientrare in relazione col principe di Rohan, suo grandeelemosiniere; ma l'imperatrice veglia con i suoi devotiausiliarii, il conte di Mercy e l'abate di Vermond e tantofa che riesce a impedirglielo.

Rohan n'era disperato. Maria Antonietta, graziosa, vi-vace, lo affascinava. E Rohan era ambizioso. I suoi ini-zii, i rapidi progressi della sua carriera, la situazione

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com'ebbe la fortuna di crearsi qui, a Vienna, numerosipartigiani».

Triste e rivoltante spettacolo, quella madre, Maria Te-resa, che in sua figlia altro più non vede se non uno stru-mento della propria politica. «Tutto in lei, d'ora innanzi– scrive de Nolhac – la sua bellezza, la sua popolarità, lasua maternità, dovrà servire, giunta l'ora, agli interessidella politica austriaca». Osa far dire a sua figlia, delfinadi Francia, che l'Austria è la sua patria. E questa patria,in che modo vuole ch'essa la serva? Coll'essere graziosacon la Du Barry, la cortigiana che disonora la Corte, eoffende in Maria Antonietta il pudore della donna e ladignità della moglie. Maria Antonietta risponde chequesto è più forte di lei, che non può; ma l'imperatriceinsiste, vuole, parla duramente; s'immagina forse sua fi-glia di doverle dare delle lezioni di dignità e di esperien-za? Mercy viene alla riscossa, Maria Antonietta, costret-ta a cedere, parla sorridendo alla favorita e costei, nellapropria riconoscenza un po' brutale, vuol subito che il rele compri, a titolo di ricompensa, un finimento di dia-manti.

Maria Antonietta diventa regina. Avrebbe il dovere dientrare in relazione col principe di Rohan, suo grandeelemosiniere; ma l'imperatrice veglia con i suoi devotiausiliarii, il conte di Mercy e l'abate di Vermond e tantofa che riesce a impedirglielo.

Rohan n'era disperato. Maria Antonietta, graziosa, vi-vace, lo affascinava. E Rohan era ambizioso. I suoi ini-zii, i rapidi progressi della sua carriera, la situazione

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preponderante della sua famiglia, le dignità di cui era ri-vestito, gli aprivano l'animo alle speranze più luminose.Gli adulatori, che facevano bottino sulle sue sostanze esulle sue cariche, lo inebriavano col ricordo di Riche-lieu, di Mazarino, di Fleury, i cardinali che avevano re-gnato sulla Francia. «Aveva più che il diritto, aveva ildovere – gli dicevano – di giungere al timone dello Sta-to». La disgrazia fu che il principe di Rohan finì col cre-derlo. «Dettava al segretario, barone di Planta, i pianiche avrebbe messo in azione qualora fosse entrato alMinistero. Erano programmi di riforme politiche la cuiesecuzione avrebbe fatto la fortuna dei Francesi. Mac'era un ostacolo, tra il potere e lui. E quale ostacolo! Laregina.

È così che, sempre più profondamente, in quel cervel-lo in cui l'immaginazione occupava tanto spazio, in quelcuore assolutamente femminile che non lasciava aditoalla ragione, prese radice un'idea fissa, un'ossessionetremenda andò sviluppandosi: riconquistare le buonegrazie della sovrana.

«Mi figuravo – dice il conte di Beugnot – quel disgra-ziato cardinale fra Cagliostro e la signora de la Motte».Costoro, fin dal primo giorno, ne avevano indovinato ilcarattere buono e credulo, d'un'ingenuità fiduciosa, uncarattere infantile, e indovinata anche l'ambizione che lorodeva e che, nonostante ricchezze e onori, faceva il tor-mento della sua vita.

Cagliostro si proponeva di giungere allo scopo me-diante le sue cerimonie cabalistiche.

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preponderante della sua famiglia, le dignità di cui era ri-vestito, gli aprivano l'animo alle speranze più luminose.Gli adulatori, che facevano bottino sulle sue sostanze esulle sue cariche, lo inebriavano col ricordo di Riche-lieu, di Mazarino, di Fleury, i cardinali che avevano re-gnato sulla Francia. «Aveva più che il diritto, aveva ildovere – gli dicevano – di giungere al timone dello Sta-to». La disgrazia fu che il principe di Rohan finì col cre-derlo. «Dettava al segretario, barone di Planta, i pianiche avrebbe messo in azione qualora fosse entrato alMinistero. Erano programmi di riforme politiche la cuiesecuzione avrebbe fatto la fortuna dei Francesi. Mac'era un ostacolo, tra il potere e lui. E quale ostacolo! Laregina.

È così che, sempre più profondamente, in quel cervel-lo in cui l'immaginazione occupava tanto spazio, in quelcuore assolutamente femminile che non lasciava aditoalla ragione, prese radice un'idea fissa, un'ossessionetremenda andò sviluppandosi: riconquistare le buonegrazie della sovrana.

«Mi figuravo – dice il conte di Beugnot – quel disgra-ziato cardinale fra Cagliostro e la signora de la Motte».Costoro, fin dal primo giorno, ne avevano indovinato ilcarattere buono e credulo, d'un'ingenuità fiduciosa, uncarattere infantile, e indovinata anche l'ambizione che lorodeva e che, nonostante ricchezze e onori, faceva il tor-mento della sua vita.

Cagliostro si proponeva di giungere allo scopo me-diante le sue cerimonie cabalistiche.

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CAGLIOSTRO

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CAGLIOSTRO

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Il conte de la Motte aveva una sorella, sposata a Bar-sur-Aube con un Laucotte de la Tour, uomo di spiritoma caustico e brutale. Abbiamo visto i due giovani tro-var asilo in casa La Tour quando la signora di Surmontli ebbe scacciati dalla sua. Le signora La Tour, stufa earcistufa della malignità beffarda del marito, l'aveva la-sciato nel 1783 per venirsene a Parigi, con la figlia Ma-ria Giovanna, da una zia, la signora di Clausse, parentedel signor di Surmont, la quale l'aveva accolta in casapropria, in via del Sentiero. Maria Giovanna era una si-gnorinetta quindicenne, dotata d'una bellezza e d'unabianchezza di carnagione notevoli. Ora Cagliostro, perle sue operazioni, abbisognava d'una veggente, soggettonon tanto facile a trovarsi per le condizioni che implica-va: purezza angelica, nervi delicati, occhi azzurri; occor-reva, inoltre, che l'angelo fosse nato sotto la costellazio-ne del Capricorno. E la signorina de la Tour, per caso,adempieva a tutte queste condizioni. «La madre – diceBeugnot – fu sul punto di morir di gioia. E credette che itesori di Menfi e della grande città dell'Africa internastessero per ricadere sulla sua famiglia a cui sarebberostati enormemente utili».

L'illustre mago credette bene di procedere a delleesperienze preliminari. Ricevette la giovinetta nel suolaboratorio, impiantato nel palazzo di Rohan, in viaVieille-du-Temple.

«Signorina – le disse – è vero che siete innocente?».Essa rispose con disinvoltura: «Sì, signore». Cagliostroribattè: «Sta bene. Adesso saprò subito se è vero. Rac-

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Il conte de la Motte aveva una sorella, sposata a Bar-sur-Aube con un Laucotte de la Tour, uomo di spiritoma caustico e brutale. Abbiamo visto i due giovani tro-var asilo in casa La Tour quando la signora di Surmontli ebbe scacciati dalla sua. Le signora La Tour, stufa earcistufa della malignità beffarda del marito, l'aveva la-sciato nel 1783 per venirsene a Parigi, con la figlia Ma-ria Giovanna, da una zia, la signora di Clausse, parentedel signor di Surmont, la quale l'aveva accolta in casapropria, in via del Sentiero. Maria Giovanna era una si-gnorinetta quindicenne, dotata d'una bellezza e d'unabianchezza di carnagione notevoli. Ora Cagliostro, perle sue operazioni, abbisognava d'una veggente, soggettonon tanto facile a trovarsi per le condizioni che implica-va: purezza angelica, nervi delicati, occhi azzurri; occor-reva, inoltre, che l'angelo fosse nato sotto la costellazio-ne del Capricorno. E la signorina de la Tour, per caso,adempieva a tutte queste condizioni. «La madre – diceBeugnot – fu sul punto di morir di gioia. E credette che itesori di Menfi e della grande città dell'Africa internastessero per ricadere sulla sua famiglia a cui sarebberostati enormemente utili».

L'illustre mago credette bene di procedere a delleesperienze preliminari. Ricevette la giovinetta nel suolaboratorio, impiantato nel palazzo di Rohan, in viaVieille-du-Temple.

«Signorina – le disse – è vero che siete innocente?».Essa rispose con disinvoltura: «Sì, signore». Cagliostroribattè: «Sta bene. Adesso saprò subito se è vero. Rac-

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comandatevi a Dio, e, con la vostra innocenza, mettetevidietro questo paravento, chiudete gli occhi e desideratementalmente ciò che avreste piacere di vedere. Se sieteinnocente lo vedrete; se no, non vedrete nulla». La si-gnorina de la Tour si pose dietro il paravento mentre Ca-gliostro e il cardinale – che stava accanto al caminetto –rimanevano fuori.

Cagliostro si mise a fare per un po' dei segni magneti-ci; poi, si volse alla giovinetta: «Battete un colpo a terrae ditemi se vedete qualche cosa». «Non vedo nulla», ri-spose Maria Giovanna. «Allora, signorina, non siete af-fatto innocente». La signorina, punta sul vivo, disse su-bito che vedeva quello che desiderava e uscì dal para-vento soddisfatta d'aver convinto gli uditori della pro-pria innocenza.

Possediamo un preziosissimo interrogatorio di MariaGiovanna de la Tour, narrante più tardi ai commissariidel Parlamento le cerimonie di Cagliostro. È un docu-mento preciso, autentico, e che lumeggia in modo assaicurioso il carattere del principe di Rohan.

La giovinetta narra che, essendosi recata con sua ma-dre al palazzo del cardinale, «il palazzo di Strasburgo»,vi trovò costui con Cagliostro. Le venne messo ungrembiulino bianco, su cui c'era una piastra d'argento; edopo averle fatto recitare delle preghiere le fu dettod'accostarsi a una tavola su cui stavano due candele ac-cese e un gran vaso pieno d'acqua chiara. Cagliostro,dall'altro lato del paravento, faceva gesti con una spada,invocava il gran Cofto, gli angeli Raffaele e Michele.

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comandatevi a Dio, e, con la vostra innocenza, mettetevidietro questo paravento, chiudete gli occhi e desideratementalmente ciò che avreste piacere di vedere. Se sieteinnocente lo vedrete; se no, non vedrete nulla». La si-gnorina de la Tour si pose dietro il paravento mentre Ca-gliostro e il cardinale – che stava accanto al caminetto –rimanevano fuori.

Cagliostro si mise a fare per un po' dei segni magneti-ci; poi, si volse alla giovinetta: «Battete un colpo a terrae ditemi se vedete qualche cosa». «Non vedo nulla», ri-spose Maria Giovanna. «Allora, signorina, non siete af-fatto innocente». La signorina, punta sul vivo, disse su-bito che vedeva quello che desiderava e uscì dal para-vento soddisfatta d'aver convinto gli uditori della pro-pria innocenza.

Possediamo un preziosissimo interrogatorio di MariaGiovanna de la Tour, narrante più tardi ai commissariidel Parlamento le cerimonie di Cagliostro. È un docu-mento preciso, autentico, e che lumeggia in modo assaicurioso il carattere del principe di Rohan.

La giovinetta narra che, essendosi recata con sua ma-dre al palazzo del cardinale, «il palazzo di Strasburgo»,vi trovò costui con Cagliostro. Le venne messo ungrembiulino bianco, su cui c'era una piastra d'argento; edopo averle fatto recitare delle preghiere le fu dettod'accostarsi a una tavola su cui stavano due candele ac-cese e un gran vaso pieno d'acqua chiara. Cagliostro,dall'altro lato del paravento, faceva gesti con una spada,invocava il gran Cofto, gli angeli Raffaele e Michele.

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Chiedeva alla signorina de la Tour se non vedeva nel re-cipiente la regina. Maria Giovanna, che non vedeva nul-la, rispose di vederla benissimo; e questo, dichiarò aigiudici «tanto per cavarsela».

Cagliostro le chiese poi se non vedesse degli angeli edelle figurine che volessero baciarla e siccome la rispo-sta fu negativa: «Andate in collera – incalzò lui, – batte-te il piede, chiamate il gran Cofto, dite agli angeli di ve-nire ad abbracciarvi!» Al che essa replicò che li vedevae che abbracciava gli omettini; e questo – aggiunse poi –sempre per «cavarsela». «Il cardinale, nel frattempo,stava pregando, prosternato; e andandosene via dissealla fanciulla di non aprir bocca su nulla, perchè gliavrebbe fatto torto».

La signorina de la Tour si recò al palazzo del cardina-le un'altra volta. S'era portata seco un lungo camicionebianco e una sciarpa turchina, come le era stato racco-mandato da Cagliostro. Con indosso quella camicia equella sciarpa, venne introdotta in una stanza rischiaratada candele. C'era ancora sulla tavola un vaso pienod'acqua limpida e, all'ingiro, delle stelle, delle figurine ecerti segni che non aveva mai visto. Erano geroglifici efigurine rappresentanti Iside e il bue Api. Cagliostro, ri-cominciando a fare dei gran gesti con la spada, le do-mandò se non vedesse nella caraffa una donna bianca ese costei non assomigliasse alla regina. Maria Giovannarispose di sì, benchè non vedesse assolutamente nulla.

«Egli le chiese in seguito se non vedeva un vecchiovestito di bianco, che passeggiava in un giardino e veni-

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Chiedeva alla signorina de la Tour se non vedeva nel re-cipiente la regina. Maria Giovanna, che non vedeva nul-la, rispose di vederla benissimo; e questo, dichiarò aigiudici «tanto per cavarsela».

Cagliostro le chiese poi se non vedesse degli angeli edelle figurine che volessero baciarla e siccome la rispo-sta fu negativa: «Andate in collera – incalzò lui, – batte-te il piede, chiamate il gran Cofto, dite agli angeli di ve-nire ad abbracciarvi!» Al che essa replicò che li vedevae che abbracciava gli omettini; e questo – aggiunse poi –sempre per «cavarsela». «Il cardinale, nel frattempo,stava pregando, prosternato; e andandosene via dissealla fanciulla di non aprir bocca su nulla, perchè gliavrebbe fatto torto».

La signorina de la Tour si recò al palazzo del cardina-le un'altra volta. S'era portata seco un lungo camicionebianco e una sciarpa turchina, come le era stato racco-mandato da Cagliostro. Con indosso quella camicia equella sciarpa, venne introdotta in una stanza rischiaratada candele. C'era ancora sulla tavola un vaso pienod'acqua limpida e, all'ingiro, delle stelle, delle figurine ecerti segni che non aveva mai visto. Erano geroglifici efigurine rappresentanti Iside e il bue Api. Cagliostro, ri-cominciando a fare dei gran gesti con la spada, le do-mandò se non vedesse nella caraffa una donna bianca ese costei non assomigliasse alla regina. Maria Giovannarispose di sì, benchè non vedesse assolutamente nulla.

«Egli le chiese in seguito se non vedeva un vecchiovestito di bianco, che passeggiava in un giardino e veni-

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va per abbracciarla; essa rispose che lo vedeva – e que-sto tanto per finirla». Dovette poi ripetere le invocazionial gran Cofto e all'angelo Gabriele; poi Cagliostrol'avvertì che avrebbe visto il cardinale in ginocchio, conin mano una tabacchiera entro cui c'era un piccolo scu-do; e, siccome ricominciava, sempre più agitato, glistessi gesti con la spada, la fanciulla gli disse che vede-va effettivamente il cardinale inginocchiato, con inmano una tabacchiera in cui stava un piccolo scudo. Al-lora il cardinale, eccitatissimo, disse ch'era incredibile,straordinario» e aveva – osserva la ragazza – «un'aria digioia e di soddisfazione». Il principe di Rohan, più tardi,davanti al Parlamento dirà: «Sono stato completamenteaccecato dal desiderio immenso che avevo di riconqui-stare le buone grazie della regina».

Ecco com'era fatto il cardinale di Rohan. E questa in-verosimile credulità è l'ostacolo principale contro cuicozza la storia della collana. Eppure testi precisi, con-cordanti, autentici, provano che il cardinale era incredi-bilmente credulo. Due giorni prima che venisse arresta-to, Cagliostro l'aveva convinto d'aver pranzato con Enri-co IV. «Tale aneddoto – dice la Gazzetta di Leida – dicui possiamo garantire l'autenticità, giustifica tutte leimprudenze del cardinale». «La sua incredibile credulità– nota il duca di Lévis – è realmente il nodo di tutta lafaccenda e dispensa dal ricorrere alle spiegazioni nonmeno incredibili che non si mancò di suggerire». Si ob-bietterà che, dapprima, abbiamo presentato Rohan comeun uomo di spirito. Nel suo Guardia del Corpo, Manuel

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va per abbracciarla; essa rispose che lo vedeva – e que-sto tanto per finirla». Dovette poi ripetere le invocazionial gran Cofto e all'angelo Gabriele; poi Cagliostrol'avvertì che avrebbe visto il cardinale in ginocchio, conin mano una tabacchiera entro cui c'era un piccolo scu-do; e, siccome ricominciava, sempre più agitato, glistessi gesti con la spada, la fanciulla gli disse che vede-va effettivamente il cardinale inginocchiato, con inmano una tabacchiera in cui stava un piccolo scudo. Al-lora il cardinale, eccitatissimo, disse ch'era incredibile,straordinario» e aveva – osserva la ragazza – «un'aria digioia e di soddisfazione». Il principe di Rohan, più tardi,davanti al Parlamento dirà: «Sono stato completamenteaccecato dal desiderio immenso che avevo di riconqui-stare le buone grazie della regina».

Ecco com'era fatto il cardinale di Rohan. E questa in-verosimile credulità è l'ostacolo principale contro cuicozza la storia della collana. Eppure testi precisi, con-cordanti, autentici, provano che il cardinale era incredi-bilmente credulo. Due giorni prima che venisse arresta-to, Cagliostro l'aveva convinto d'aver pranzato con Enri-co IV. «Tale aneddoto – dice la Gazzetta di Leida – dicui possiamo garantire l'autenticità, giustifica tutte leimprudenze del cardinale». «La sua incredibile credulità– nota il duca di Lévis – è realmente il nodo di tutta lafaccenda e dispensa dal ricorrere alle spiegazioni nonmeno incredibili che non si mancò di suggerire». Si ob-bietterà che, dapprima, abbiamo presentato Rohan comeun uomo di spirito. Nel suo Guardia del Corpo, Manuel

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ha preveduto l'obbiezione e cita il Barbiere di Siviglia:«Quando la vaporosa Susanna dice a Figaro che la gentedi spirito è sciocca, Susanna ha proprio ragione».

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ha preveduto l'obbiezione e cita il Barbiere di Siviglia:«Quando la vaporosa Susanna dice a Figaro che la gentedi spirito è sciocca, Susanna ha proprio ragione».

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XIV.IL FAVORE DELLA REGINA.

La contessa de la Motte aveva dal canto suo montatele sue batterie. Nell'aprile del 1784, cominciò col parlareal cardinale, in modo discreto dapprima, delle proprierelazioni colla regina. Poi diede dei particolari che Ro-han, tenuto a distanza dalla Corte, non poteva controlla-re. Accumulava gli aneddoti, con la sua fantasia vivacee precisa, che, nel corso stesso della narrazione, la servi-va con tant'abbondanza e rapidità. Il cardinale, fiducio-sissimo, non dubitava affatto; tanto meno poi udendodalla bocca di lei delle notizie sempre più piacevoli.Essa così affermava di essere accolta nell'intimità dellaregina, che per lei non aveva più segreti e confidava ipropri pensieri proprio a lei, amica sua, cugina sua, fi-glia dei Valois; pensieri di cui conosceva adesso il fondomeglio forse che non lo stesso re. E poteva attestare chela regina a poco a poco si ricredeva dalle impressioniprimitive, perfide menzogne insinuatele dal conte diMercy, calunnie portate dal corriere di Vienna. La con-

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XIV.IL FAVORE DELLA REGINA.

La contessa de la Motte aveva dal canto suo montatele sue batterie. Nell'aprile del 1784, cominciò col parlareal cardinale, in modo discreto dapprima, delle proprierelazioni colla regina. Poi diede dei particolari che Ro-han, tenuto a distanza dalla Corte, non poteva controlla-re. Accumulava gli aneddoti, con la sua fantasia vivacee precisa, che, nel corso stesso della narrazione, la servi-va con tant'abbondanza e rapidità. Il cardinale, fiducio-sissimo, non dubitava affatto; tanto meno poi udendodalla bocca di lei delle notizie sempre più piacevoli.Essa così affermava di essere accolta nell'intimità dellaregina, che per lei non aveva più segreti e confidava ipropri pensieri proprio a lei, amica sua, cugina sua, fi-glia dei Valois; pensieri di cui conosceva adesso il fondomeglio forse che non lo stesso re. E poteva attestare chela regina a poco a poco si ricredeva dalle impressioniprimitive, perfide menzogne insinuatele dal conte diMercy, calunnie portate dal corriere di Vienna. La con-

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dotta del cardinale di Rohan, tanto generosa di fronte alproprio nepote, il principe di Guéméné e altre prove del-la sua beneficienza, indicano, diceva la regina, ch'egliha il cuore buono. In maggio, Giovanna dichiarò al prin-cipe Luigi che, tutta penetrata di riconoscenza per tantibenefizi ricevuti, essa era decisa a consacrare d'ora in-nanzi tutta l'influenza di cui godeva a Corte al bene dilui; e nel mese di maggio gli annunziò, col volto rag-giante di gioia, che lo scopo stava di sicuro per venireraggiunto.

Anzi, si spinse più in là; e rinnovando il metodoch'era nel 1777 riuscito tanto bene alla sinora Cahouetdi Villiers con l'appaltatore generale Béranger, riuscì aconvincere Rohan che la regina, nel passare, gli avrebbefatto un cenno del capo da cui chiaramente doveva tra-pelare il suo interessamento. Rohan stette sull'attenti equel segno, «quella sfumatura», come disse poi, credetteveramente di scorgere a parecchie riprese. Stabilito que-sto, la signora de la Motte fece un passo innanzi. Si arri-schiò a mettere sotto gli occhi del principi Luigi di Ro-han delle lettere su carta bianca filigranata, con un orloazzurro chiaro e negli angoli i gigli di Francia, che dice-va scritte dalla sovrana alla cugina contessa di Valois, ein cui, di tratto in tratto, passava il nome del grande ele-mosiniere.

Padre Loth deporrà più tardi davanti ai Commissaridel Parlamento: «Mi ricordo che una volta, presentando-mi in casa della signora de la Motte per parlarle, non po-tei entrare da lei perch'era occupata, dicevano, con mes-

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dotta del cardinale di Rohan, tanto generosa di fronte alproprio nepote, il principe di Guéméné e altre prove del-la sua beneficienza, indicano, diceva la regina, ch'egliha il cuore buono. In maggio, Giovanna dichiarò al prin-cipe Luigi che, tutta penetrata di riconoscenza per tantibenefizi ricevuti, essa era decisa a consacrare d'ora in-nanzi tutta l'influenza di cui godeva a Corte al bene dilui; e nel mese di maggio gli annunziò, col volto rag-giante di gioia, che lo scopo stava di sicuro per venireraggiunto.

Anzi, si spinse più in là; e rinnovando il metodoch'era nel 1777 riuscito tanto bene alla sinora Cahouetdi Villiers con l'appaltatore generale Béranger, riuscì aconvincere Rohan che la regina, nel passare, gli avrebbefatto un cenno del capo da cui chiaramente doveva tra-pelare il suo interessamento. Rohan stette sull'attenti equel segno, «quella sfumatura», come disse poi, credetteveramente di scorgere a parecchie riprese. Stabilito que-sto, la signora de la Motte fece un passo innanzi. Si arri-schiò a mettere sotto gli occhi del principi Luigi di Ro-han delle lettere su carta bianca filigranata, con un orloazzurro chiaro e negli angoli i gigli di Francia, che dice-va scritte dalla sovrana alla cugina contessa di Valois, ein cui, di tratto in tratto, passava il nome del grande ele-mosiniere.

Padre Loth deporrà più tardi davanti ai Commissaridel Parlamento: «Mi ricordo che una volta, presentando-mi in casa della signora de la Motte per parlarle, non po-tei entrare da lei perch'era occupata, dicevano, con mes-

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ser Villette. Poco dopo venne aperto l'uscio e io vidi, ac-canto al letto della signora de la Motte, un tavolino danotte su cui stava l'occorrente per scrivere e della cartafiligranata, orlata di vignette azzurre». Il fedele De-schamps andava a comperare la carta con vignette dalprofumiere di via S. Anastasio, e talvolta, da un cartola-io in via dei Franchi-Borghesi.

La signora de la Motte poco tempo dopo disse al car-dinale: «Le mie istanze ottennero il loro effetto. Sonoautorizzata dalla regina a chiedervi la vostra giustifica-zione scritta». Giovanna aveva un sorriso incantevole ela voce suadente; Rohan ascoltava, incantato, persuaso.E scrisse la propria giustificazione. Vi impiegò una curainfinita. La prima copia venne fatta e stracciata ventivolte. Finalmente ne consegnò il testo. La signora de laMotte portò qualche giorno dopo una risposta su carta dipiccolo formato, con orli dorati. La regina scriveva:«Sono lietissima di non trovarvi più in colpa. Non possoancora accordarvi l'udienza da voi desiderata. Quando lopermetteranno le circostanze, vi farò avvisare. Usatemolta discrezione». E la contessa de la Motte incitò ilcardinale a rispondere per esprimere la sua gioia, la suagratitudine.

Villette confesserà davanti al Parlamento d'aver co-minciato a scrivere al cardinale delle lettere, sedicentidella regina, nel maggio 1784. Scriveva sotto dettaturadella signora de la Motte. Erano – dirà poi – delle lettere«gradite». Dapprima disse «d'inclinazione», ma poi sicorresse.

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ser Villette. Poco dopo venne aperto l'uscio e io vidi, ac-canto al letto della signora de la Motte, un tavolino danotte su cui stava l'occorrente per scrivere e della cartafiligranata, orlata di vignette azzurre». Il fedele De-schamps andava a comperare la carta con vignette dalprofumiere di via S. Anastasio, e talvolta, da un cartola-io in via dei Franchi-Borghesi.

La signora de la Motte poco tempo dopo disse al car-dinale: «Le mie istanze ottennero il loro effetto. Sonoautorizzata dalla regina a chiedervi la vostra giustifica-zione scritta». Giovanna aveva un sorriso incantevole ela voce suadente; Rohan ascoltava, incantato, persuaso.E scrisse la propria giustificazione. Vi impiegò una curainfinita. La prima copia venne fatta e stracciata ventivolte. Finalmente ne consegnò il testo. La signora de laMotte portò qualche giorno dopo una risposta su carta dipiccolo formato, con orli dorati. La regina scriveva:«Sono lietissima di non trovarvi più in colpa. Non possoancora accordarvi l'udienza da voi desiderata. Quando lopermetteranno le circostanze, vi farò avvisare. Usatemolta discrezione». E la contessa de la Motte incitò ilcardinale a rispondere per esprimere la sua gioia, la suagratitudine.

Villette confesserà davanti al Parlamento d'aver co-minciato a scrivere al cardinale delle lettere, sedicentidella regina, nel maggio 1784. Scriveva sotto dettaturadella signora de la Motte. Erano – dirà poi – delle lettere«gradite». Dapprima disse «d'inclinazione», ma poi sicorresse.

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«Non capivo – dichiarerà Villette – ciò che mi facevascrivere la signora de la Motte; ma mi accorgevo che,con i suoi scritti, voleva ingannare il cardinale, e dallerisposte del cardinale, vedevo ch'egli ambiva servirsi delcredito della signora de la Motte presso la regina, per di-ventare primo ministro».

Quelle lettere furono abbastanza numerose, ma tutte,tanto quelle che dovevano parere emanate dalla regina,quanto le risposte del principe Luigi, venivano abbrucia-te man mano da Giovanna di Valois.

«Fu così – osserva l'abate Georgel – che lettere e ri-sposte si susseguirono. Quella corrispondenza di cui, di-sgraziatamente, non si sono più trovate le vestigia, eragraduata e a sfumature, nelle pretese lettere della regina,in modo da far credere al cardinale d'essere giunto aispirare a quella principessa la più intima fiducia e ilmassimo interesse».

Georgel parla, in data d'allora, dei conciliaboli fra Ro-han, il barone di Pianta, suo uomo di fiducia, Cagliostroe il segretario particolare del cardinale, Ramond di Car-bonnières.

Il barone Federico di Pianta apparteneva a una buonafamiglia dei Grigioni. Era protestante e aveva servitocome capitano, distinguendosi, negli eserciti del re diFrancia e in quelli del re di Prussia. Il principe Luigis'era imbattuto in lui a Vienna, dove Pianta gli avevareso dei grandi servigi in qualità di «osservatore dellecose della Corte e della politica». Carbonnières era ungiovane distintissimo, ma dalla mente esaltata, ch'ebbe

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«Non capivo – dichiarerà Villette – ciò che mi facevascrivere la signora de la Motte; ma mi accorgevo che,con i suoi scritti, voleva ingannare il cardinale, e dallerisposte del cardinale, vedevo ch'egli ambiva servirsi delcredito della signora de la Motte presso la regina, per di-ventare primo ministro».

Quelle lettere furono abbastanza numerose, ma tutte,tanto quelle che dovevano parere emanate dalla regina,quanto le risposte del principe Luigi, venivano abbrucia-te man mano da Giovanna di Valois.

«Fu così – osserva l'abate Georgel – che lettere e ri-sposte si susseguirono. Quella corrispondenza di cui, di-sgraziatamente, non si sono più trovate le vestigia, eragraduata e a sfumature, nelle pretese lettere della regina,in modo da far credere al cardinale d'essere giunto aispirare a quella principessa la più intima fiducia e ilmassimo interesse».

Georgel parla, in data d'allora, dei conciliaboli fra Ro-han, il barone di Pianta, suo uomo di fiducia, Cagliostroe il segretario particolare del cardinale, Ramond di Car-bonnières.

Il barone Federico di Pianta apparteneva a una buonafamiglia dei Grigioni. Era protestante e aveva servitocome capitano, distinguendosi, negli eserciti del re diFrancia e in quelli del re di Prussia. Il principe Luigis'era imbattuto in lui a Vienna, dove Pianta gli avevareso dei grandi servigi in qualità di «osservatore dellecose della Corte e della politica». Carbonnières era ungiovane distintissimo, ma dalla mente esaltata, ch'ebbe

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più tardi, come deputato di Parigi, una parte notevolenei comitati dell'Assemblea legislativa. A quel piccoloConsiglio venne aggiunta la signora de la Motte. Si leg-gevano in gran segreto, alla luce delle candele, i bigliettidalla striscia turchina. «La signora de la Motte – osservaGeorgel – prendeva in giro tutti». Cagliostro invocaval'angelo della luce e lo spirito delle tenebre. Egli profe-tizzò che quella fortunata corrispondenza avrebbe innal-zato il principe al più alto grado di favore, che la sua in-fluenza nello Stato stava per diventare preponderante ech'egli ne avrebbe fatto uso per la divulgazione dei buo-ni principii, la gloria dell'Essere supremo e la felicità deiFrancesi. Tanto che Rohan non dubitò più del desiderioche la regina aveva di riceverlo per dirgli a quattr'occhi isuoi sentimenti d'affezione e di stima, ma che, a cagionedi Breteuil e della sua fazione tanto potente ancora sullospirito del re, quel mutamento d'opinione doveva tenersinascosto per qualche tempo ancora. La prima intervistaavrebbe avuto luogo segretamente, di sera, in fondo adun viale solitario del parco di Versailles, a poca distanzadal castello.

Fu per Rohan un'aurora radiosa di luce e di gioia. Adistanza, la regina era divenuta per lui una creatura so-prannaturale, radiosa, nella gloria regale, di grazia e dibontà. Ed era la bontà che la riavvicinava a lui. Essa sa-peva adesso la cagione de' suoi debiti, di quei debiti tan-to rinfacciati, e certo rimproverava a se stessa la propriadurezza, quello sprezzo freddo e altero col quale lo ave-va così a lungo tormentato. Stava per dirgli ella stessa

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più tardi, come deputato di Parigi, una parte notevolenei comitati dell'Assemblea legislativa. A quel piccoloConsiglio venne aggiunta la signora de la Motte. Si leg-gevano in gran segreto, alla luce delle candele, i bigliettidalla striscia turchina. «La signora de la Motte – osservaGeorgel – prendeva in giro tutti». Cagliostro invocaval'angelo della luce e lo spirito delle tenebre. Egli profe-tizzò che quella fortunata corrispondenza avrebbe innal-zato il principe al più alto grado di favore, che la sua in-fluenza nello Stato stava per diventare preponderante ech'egli ne avrebbe fatto uso per la divulgazione dei buo-ni principii, la gloria dell'Essere supremo e la felicità deiFrancesi. Tanto che Rohan non dubitò più del desiderioche la regina aveva di riceverlo per dirgli a quattr'occhi isuoi sentimenti d'affezione e di stima, ma che, a cagionedi Breteuil e della sua fazione tanto potente ancora sullospirito del re, quel mutamento d'opinione doveva tenersinascosto per qualche tempo ancora. La prima intervistaavrebbe avuto luogo segretamente, di sera, in fondo adun viale solitario del parco di Versailles, a poca distanzadal castello.

Fu per Rohan un'aurora radiosa di luce e di gioia. Adistanza, la regina era divenuta per lui una creatura so-prannaturale, radiosa, nella gloria regale, di grazia e dibontà. Ed era la bontà che la riavvicinava a lui. Essa sa-peva adesso la cagione de' suoi debiti, di quei debiti tan-to rinfacciati, e certo rimproverava a se stessa la propriadurezza, quello sprezzo freddo e altero col quale lo ave-va così a lungo tormentato. Stava per dirgli ella stessa

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quanto fosse tornato nelle sue grazie e come ora ella sa-peva chi egli fosse. Sarebbe venuta ad annunziargli il fa-vore da lui riconquistato, sola, nel silenzio della notte, inaspettativa del giorno in cui poterlo proclamare davantialla Francia intera.

Rohan stava appoggiato coi gomiti al davanzale dellafinestra aperta sui giardini del palazzo Soubise. La serasi oscurava. Le sue idee diventavano confuse. Egli stes-so non sapeva più veder chiaro nei propri sentimenti. Inlui non c'era più che un'emozione di riconoscenza, per lasovrana graziosa e clemente, e anche per la giovanedonna, Giovanna di Valois, da lui aiutata nella miseriacon un po' di denaro, come una miserabile, e che adesso,con le sue deboli mani, per effetto della Provvidenzatroppo benigna al poco ch'egli aveva fatto, portava lui,principe della Chiesa, quasi fin presso il trono regale.

«Ho sempre notato – dirà l'anno dopo un libellista,durante lo smercio clandestino d'un libello venduto sot-tomano – nel genio del signor Cardinale, una specie dielevatezza, di rettitudine e di penetrazione, che mel'hanno fatto notare come un uomo raro, le cui qualitànon si mostrano in giusta luce perchè egli non sa piegar-si abbastanza in modo da farle valere e attirarsi la stimache meritano. È una pietra preziosa che, faccettata se-condo leggi poco comuni, dà un genere di splendore acui non si è abbastanza avvezzi per valutarne il pregio».

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quanto fosse tornato nelle sue grazie e come ora ella sa-peva chi egli fosse. Sarebbe venuta ad annunziargli il fa-vore da lui riconquistato, sola, nel silenzio della notte, inaspettativa del giorno in cui poterlo proclamare davantialla Francia intera.

Rohan stava appoggiato coi gomiti al davanzale dellafinestra aperta sui giardini del palazzo Soubise. La serasi oscurava. Le sue idee diventavano confuse. Egli stes-so non sapeva più veder chiaro nei propri sentimenti. Inlui non c'era più che un'emozione di riconoscenza, per lasovrana graziosa e clemente, e anche per la giovanedonna, Giovanna di Valois, da lui aiutata nella miseriacon un po' di denaro, come una miserabile, e che adesso,con le sue deboli mani, per effetto della Provvidenzatroppo benigna al poco ch'egli aveva fatto, portava lui,principe della Chiesa, quasi fin presso il trono regale.

«Ho sempre notato – dirà l'anno dopo un libellista,durante lo smercio clandestino d'un libello venduto sot-tomano – nel genio del signor Cardinale, una specie dielevatezza, di rettitudine e di penetrazione, che mel'hanno fatto notare come un uomo raro, le cui qualitànon si mostrano in giusta luce perchè egli non sa piegar-si abbastanza in modo da farle valere e attirarsi la stimache meritano. È una pietra preziosa che, faccettata se-condo leggi poco comuni, dà un genere di splendore acui non si è abbastanza avvezzi per valutarne il pregio».

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XV.LA BARONESSA D'OLIVA.

Nel luglio del 1784, il conte de la Motte notava neigiardini del Palazzo Reale – il luogo di convegno, inquell'epoca, della gioventù allegra, dove La Motte, perragioni sue, si trovava sovente – una bella donnina cheveniva regolarmente a sedere sempre allo stesso posto,distraendosi a giocare graziosamente con un bambino.Aveva dei lunghi capelli d'un biondo cenere, morbidi eondulati, un seno magnifico e due occhioni azzurridall'espressione chiara e dolce, uno sguardo infantile.Esercitava il grazioso mestiere di modista e si chiamavaMaria Nicoletta Leguay. Era nata in via S. Martino, il 1°settembre 1761, da Claudio Leguay, ufficiale invalido,borghese parigino e da sua moglie Margherita David.«La mia prima «disgrazia – dirà in seguito – è stata diperdere troppo presto una madre tenera e vigilante, lapresenza e le cure della quale avrebbero allontanato dame i pericoli inseparabili da una giovinezza in balìa dise stessa». Orfana d'ambo i genitori, Nicoletta era stata

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XV.LA BARONESSA D'OLIVA.

Nel luglio del 1784, il conte de la Motte notava neigiardini del Palazzo Reale – il luogo di convegno, inquell'epoca, della gioventù allegra, dove La Motte, perragioni sue, si trovava sovente – una bella donnina cheveniva regolarmente a sedere sempre allo stesso posto,distraendosi a giocare graziosamente con un bambino.Aveva dei lunghi capelli d'un biondo cenere, morbidi eondulati, un seno magnifico e due occhioni azzurridall'espressione chiara e dolce, uno sguardo infantile.Esercitava il grazioso mestiere di modista e si chiamavaMaria Nicoletta Leguay. Era nata in via S. Martino, il 1°settembre 1761, da Claudio Leguay, ufficiale invalido,borghese parigino e da sua moglie Margherita David.«La mia prima «disgrazia – dirà in seguito – è stata diperdere troppo presto una madre tenera e vigilante, lapresenza e le cure della quale avrebbero allontanato dame i pericoli inseparabili da una giovinezza in balìa dise stessa». Orfana d'ambo i genitori, Nicoletta era stata

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collocata in via della Grange-Batelière, in casa d'un cer-to Antonio Legros, che teneva a dozzina dei ragazzi; mavi ebbe dei maltrattamenti e la sua educazione venne in-teramente negletta. La fanciulla fu costretta a fuggirsenee si trovò sul lastrico. Legros s'astenne dal farle cono-scere la sua famiglia; e anche dal consegnarle una som-ma abbastanza rilevante che, prima di morire, Leguaygli aveva affidato per la figlia. Morto Legros; gli eredidi costui, nel febbraio 1783, fecero avere a Nicolettaquattromila lire. In realtà, gliene dovevano di più; ma,debole nella difesa, essa accettò quella transazione. Nonla chiamavano più Nicoletta Leguay. Nel mondo dellagioventù dorata, non era conosciuta che sotto il nome diguerra di signora di Signy; perchè, da buona figliuola –troppo buona figliuola, certo – non sapeva rifiutare nul-la, quello che si dice nulla, a coloro – ed erano molti –che ammiravano i suoi vezzi. Dimorava nel Piccolo al-bergo di Lambex, in via del Giorno, assiduamente fre-quentata da un giovane gentiluomo, Gian Battista Tous-saint di Beausire, scudiere, figlio di un luogotenente delmagazzino di sale di Parigi, che, orfano pure dei genito-ri, stava allegramente spendendo il patrimonio ereditatoch'era abbastanza cospicuo.

La giovane modista andava sovente a passare un paiod'ore del pomeriggio nei giardini del Palais-Royal, conun bimbo quattrenne, un leggiadro omettino dai ricciolibruni, affidatole dai parenti e a cui voleva bene.

Nicoletta era, insomma, una buona e gentile creatura,una di quelle piccole Parigine che alla vita non chiedono

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collocata in via della Grange-Batelière, in casa d'un cer-to Antonio Legros, che teneva a dozzina dei ragazzi; mavi ebbe dei maltrattamenti e la sua educazione venne in-teramente negletta. La fanciulla fu costretta a fuggirsenee si trovò sul lastrico. Legros s'astenne dal farle cono-scere la sua famiglia; e anche dal consegnarle una som-ma abbastanza rilevante che, prima di morire, Leguaygli aveva affidato per la figlia. Morto Legros; gli eredidi costui, nel febbraio 1783, fecero avere a Nicolettaquattromila lire. In realtà, gliene dovevano di più; ma,debole nella difesa, essa accettò quella transazione. Nonla chiamavano più Nicoletta Leguay. Nel mondo dellagioventù dorata, non era conosciuta che sotto il nome diguerra di signora di Signy; perchè, da buona figliuola –troppo buona figliuola, certo – non sapeva rifiutare nul-la, quello che si dice nulla, a coloro – ed erano molti –che ammiravano i suoi vezzi. Dimorava nel Piccolo al-bergo di Lambex, in via del Giorno, assiduamente fre-quentata da un giovane gentiluomo, Gian Battista Tous-saint di Beausire, scudiere, figlio di un luogotenente delmagazzino di sale di Parigi, che, orfano pure dei genito-ri, stava allegramente spendendo il patrimonio ereditatoch'era abbastanza cospicuo.

La giovane modista andava sovente a passare un paiod'ore del pomeriggio nei giardini del Palais-Royal, conun bimbo quattrenne, un leggiadro omettino dai ricciolibruni, affidatole dai parenti e a cui voleva bene.

Nicoletta era, insomma, una buona e gentile creatura,una di quelle piccole Parigine che alla vita non chiedono

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molto e colgono in giovinezza i frutti dell'amore, beatedi essere belle e di sentirsi il cuore traboccante di tene-rezza; spensierate e fiduciose, ingenue e scaltre, mad'una scaltrezza innocua affatto. Maria Antonietta latratterà con disprezzo: «una femminaccia da strada» diràlei. Conserviamole invece la nostra simpatia. In fondo,la meritava.

Il conte de la Motte è subito colpito dalle grazie delladonnina e ancor più dalla sua somiglianza, davvero pro-digiosa, con Sua Maestà. Attacca discorso. «Si presenta– dice Nicoletta – con tutte le apparenze del rispetto edell'onestà e mi prega di permettergli di venire a trovar-mi e farmi la corte. Non m'arrischiai di rifiutargli similepermesso». Si capisce...

Nei suoi libelli, Motus, pessima lingua, riproduce ilracconto di Nicoletta, inframmezzandolo d'osservazionipersonali:

«Un giorno del mese di luglio – dice Nicoletta – dopomezzogiorno, stavo seduta al Palais-Royal. Mi tenevacompagnia il bimbo di cui ho parlato. Vedevo passarmidavanti, a parecchie riprese un giovinotto alto, che pas-seggiava solitario. Non lo conoscevo. Egli mi fissa. Miaccorgo anzi che, man mano si avvicina, rallenta l'anda-tura, come per osservarmi a miglior agio. Una sedia eravacante, a due passi dalla mia. (Una strizzatinad'occhi..., interrompe Motus).

«– Viene a sedere – prosegue Nicoletta.«– È così che succede – osserva Motus.

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molto e colgono in giovinezza i frutti dell'amore, beatedi essere belle e di sentirsi il cuore traboccante di tene-rezza; spensierate e fiduciose, ingenue e scaltre, mad'una scaltrezza innocua affatto. Maria Antonietta latratterà con disprezzo: «una femminaccia da strada» diràlei. Conserviamole invece la nostra simpatia. In fondo,la meritava.

Il conte de la Motte è subito colpito dalle grazie delladonnina e ancor più dalla sua somiglianza, davvero pro-digiosa, con Sua Maestà. Attacca discorso. «Si presenta– dice Nicoletta – con tutte le apparenze del rispetto edell'onestà e mi prega di permettergli di venire a trovar-mi e farmi la corte. Non m'arrischiai di rifiutargli similepermesso». Si capisce...

Nei suoi libelli, Motus, pessima lingua, riproduce ilracconto di Nicoletta, inframmezzandolo d'osservazionipersonali:

«Un giorno del mese di luglio – dice Nicoletta – dopomezzogiorno, stavo seduta al Palais-Royal. Mi tenevacompagnia il bimbo di cui ho parlato. Vedevo passarmidavanti, a parecchie riprese un giovinotto alto, che pas-seggiava solitario. Non lo conoscevo. Egli mi fissa. Miaccorgo anzi che, man mano si avvicina, rallenta l'anda-tura, come per osservarmi a miglior agio. Una sedia eravacante, a due passi dalla mia. (Una strizzatinad'occhi..., interrompe Motus).

«– Viene a sedere – prosegue Nicoletta.«– È così che succede – osserva Motus.

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«– Sorvolo su queste circostanze preliminari i cui par-ticolari sono affatto inutili – dice Nicoletta.

«– Inutilissimi – conferma Motus. – Anche l'indivi-duo più ottuso sa come avvengono queste cose.

«– Basti il dire – continua Nicoletta – che c'incon-trammo parecchie volte di seguito al Palais-Royal.

«– Benone! – esclama Motus. – La va liscia come unolio.

«– Una sera dopo averlo salutato stavo tornando acasa quando m'accorsi che egli m'aveva seguita.

«– Si usa così – conclude filosoficamente Motus».Il conte de la Motte si conformò alle usanze in modo

rigoroso. E sua moglie, che non tardò a conoscere unacosì gentil persona, introdusse Nicoletta Leguay nel pro-prio salotto di via Neuve-Saint-Gilles, dopo averle affib-biato il nome di baronessa d'Oliva, anagramma delnome Valois. La invitò a pranzo, usandole ogni sorta dipremure, e di moine. E s'accaparrò subito la nuova ami-ca, per i disegni che aveva in mente. Non le chiedevadel resto che una sciocchezza e «farete tanto piacere allaregina, bellezza mia, che ha l'intenzione di darvi in con-traccambio quindicimila lire e anche un regalo assai piùrilevante.

«– Che cosa volete dunque che io faccia?«– Una piccolissima cosa. Consegnerete una sera, in

un viale dei giardini di Versailles, una rosa e un bigliettoa un gran signore che vi bacerà la mano.

«– Ma che cosa importa alla regina?

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«– Sorvolo su queste circostanze preliminari i cui par-ticolari sono affatto inutili – dice Nicoletta.

«– Inutilissimi – conferma Motus. – Anche l'indivi-duo più ottuso sa come avvengono queste cose.

«– Basti il dire – continua Nicoletta – che c'incon-trammo parecchie volte di seguito al Palais-Royal.

«– Benone! – esclama Motus. – La va liscia come unolio.

«– Una sera dopo averlo salutato stavo tornando acasa quando m'accorsi che egli m'aveva seguita.

«– Si usa così – conclude filosoficamente Motus».Il conte de la Motte si conformò alle usanze in modo

rigoroso. E sua moglie, che non tardò a conoscere unacosì gentil persona, introdusse Nicoletta Leguay nel pro-prio salotto di via Neuve-Saint-Gilles, dopo averle affib-biato il nome di baronessa d'Oliva, anagramma delnome Valois. La invitò a pranzo, usandole ogni sorta dipremure, e di moine. E s'accaparrò subito la nuova ami-ca, per i disegni che aveva in mente. Non le chiedevadel resto che una sciocchezza e «farete tanto piacere allaregina, bellezza mia, che ha l'intenzione di darvi in con-traccambio quindicimila lire e anche un regalo assai piùrilevante.

«– Che cosa volete dunque che io faccia?«– Una piccolissima cosa. Consegnerete una sera, in

un viale dei giardini di Versailles, una rosa e un bigliettoa un gran signore che vi bacerà la mano.

«– Ma che cosa importa alla regina?

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«– Cuoricino mio, sarebbe troppo lungo spiegarvelo.Il conte verrà a cercarvi domani sera e vi condurrà aVersailles».

«Non fu affatto difficile – dirà la signora de la Motteai commissarii del Parlamento – convincere quel giornola ragazza d'Oliva a rappresentare quella parte, perchè èassolutamente sciocca».

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«– Cuoricino mio, sarebbe troppo lungo spiegarvelo.Il conte verrà a cercarvi domani sera e vi condurrà aVersailles».

«Non fu affatto difficile – dirà la signora de la Motteai commissarii del Parlamento – convincere quel giornola ragazza d'Oliva a rappresentare quella parte, perchè èassolutamente sciocca».

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XVI.IL BOSCHETTO DI VENERE.

L'indomani era l'11 agosto 1784. Fra le sette e le ottodi sera, il conte de la Motte e Rétaux de Villette vanno,in carrozza di rimessa, a prendere la nuova baronessad'Oliva al Piccolo albergo di Lambex e partono con leialla volta di Versailles. Giungono alle dieci di sera. Lavettura si ferma in piazza d'Armi dove i viaggiatori met-tono piede a terra. Dal canto suo, la signora de la Motte,in altra vettura di rimessa, era andata a prendere il baro-ne di Planta ed era giunta con lui e con Rosalia, la ser-vetta dal naso all'insù. Nicoletta vien condottanell'alloggio provvisoriamente occupato dalla contessapresso i Gobert, in piazza Delfina.

La signorina d'Oliva è pettinata da Rosalia secondogli ordini e i gusti della signora de la Motte: una pettina-tura chiamata «a mezza-berretta». È la signora de laMotte stessa che la veste; le fa indossare una veste bian-ca e leggera a puntini, con sottoveste rosa; una «vestealla bambina» detta allora «gaulle», oppure «camicia».

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XVI.IL BOSCHETTO DI VENERE.

L'indomani era l'11 agosto 1784. Fra le sette e le ottodi sera, il conte de la Motte e Rétaux de Villette vanno,in carrozza di rimessa, a prendere la nuova baronessad'Oliva al Piccolo albergo di Lambex e partono con leialla volta di Versailles. Giungono alle dieci di sera. Lavettura si ferma in piazza d'Armi dove i viaggiatori met-tono piede a terra. Dal canto suo, la signora de la Motte,in altra vettura di rimessa, era andata a prendere il baro-ne di Planta ed era giunta con lui e con Rosalia, la ser-vetta dal naso all'insù. Nicoletta vien condottanell'alloggio provvisoriamente occupato dalla contessapresso i Gobert, in piazza Delfina.

La signorina d'Oliva è pettinata da Rosalia secondogli ordini e i gusti della signora de la Motte: una pettina-tura chiamata «a mezza-berretta». È la signora de laMotte stessa che la veste; le fa indossare una veste bian-ca e leggera a puntini, con sottoveste rosa; una «vestealla bambina» detta allora «gaulle», oppure «camicia».

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La contessa ne attinge l'idea dal ritratto di Maria Anto-nietta dipinto da M.me Vigée Lebrun, che aveva fattotanta impressione esposto al Salon del 1783; in cui la re-gina era dipinta con quella «gaulle» lunga e bianca,semplicissima, di cui la mussolina e la tela battista face-vano le spese.

Prima d'uscire, la signora de la Motte butta sulle spal-le della giovane compagna una mantellina bianca, di la-netta fine e le mette in testa una «calèche» in garzad'Italia bianca. Indossa a sua volta un domino di setanera arabescata. E vanno tutti dal più famoso trattoredella città, per cenarvi e farsi coraggio.

* * *

Nel grande parco, fosco, deserto, c'è il silenzio dellanotte. Si ode soltanto in lontananza, nell'ombra, il rumo-re dell'acqua che gorgoglia nelle vasche. Il cielo è cupo,senza luna nè stelle. La baronessa e i suoi due compa-gni, dopo avere passeggiato alquanto sulla terrazza chesi stende davanti al castello, il cui gran rettangolo nonforma più che una massa nera entro la notte buia, sonodiscesi verso il boschetto di Venere. Vi entrano. Il bo-schetto, rannicchiato contro il muro enorme che sostienelo scalone dei Cento-Gradini, in quel bassofondo, è an-cora più tetro. I pini e gli abeti, i cedri, i tigli, gli olmiintrecciano i loro fogliami. È una volta i cui spiragli nonlasciano scorgere che un cielo nero. I viali fanno dellecortine fitte di larici, di carpini e di bosso. A malapena

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La contessa ne attinge l'idea dal ritratto di Maria Anto-nietta dipinto da M.me Vigée Lebrun, che aveva fattotanta impressione esposto al Salon del 1783; in cui la re-gina era dipinta con quella «gaulle» lunga e bianca,semplicissima, di cui la mussolina e la tela battista face-vano le spese.

Prima d'uscire, la signora de la Motte butta sulle spal-le della giovane compagna una mantellina bianca, di la-netta fine e le mette in testa una «calèche» in garzad'Italia bianca. Indossa a sua volta un domino di setanera arabescata. E vanno tutti dal più famoso trattoredella città, per cenarvi e farsi coraggio.

* * *

Nel grande parco, fosco, deserto, c'è il silenzio dellanotte. Si ode soltanto in lontananza, nell'ombra, il rumo-re dell'acqua che gorgoglia nelle vasche. Il cielo è cupo,senza luna nè stelle. La baronessa e i suoi due compa-gni, dopo avere passeggiato alquanto sulla terrazza chesi stende davanti al castello, il cui gran rettangolo nonforma più che una massa nera entro la notte buia, sonodiscesi verso il boschetto di Venere. Vi entrano. Il bo-schetto, rannicchiato contro il muro enorme che sostienelo scalone dei Cento-Gradini, in quel bassofondo, è an-cora più tetro. I pini e gli abeti, i cedri, i tigli, gli olmiintrecciano i loro fogliami. È una volta i cui spiragli nonlasciano scorgere che un cielo nero. I viali fanno dellecortine fitte di larici, di carpini e di bosso. A malapena

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si discerne il quadrato d'una piccola radura, i viali e larotonda centrale. Qui, il silenzio è assoluto. Soltanto gliuccelli notturni, volando, sfiorano le foglie con l'ali; fru-scìo inaspettato che dà i brividi. Nicoletta ha veramentepaura e si stringe al conte de la Motte. A un tratto, comeun'ombra, appare un uomo a cui il conte dice: «Ah, ec-covi!» e l'uomo scompare. È Rétaux de Villette.

Giunti in un viale, la signorina d'Oliva, timorosa, im-mobile, non osa voltarsi. Le orecchie son tese ad ascol-tare. I ciottoli dei viali scricchiolano sotto un rumore dipassi che s'avvicina. Tre uomini. Uno di essi si avanza:è alto, sottile, attillato nella «rédingote» sotto il lungomantello; si è calcato in testa un cappellone che gli na-sconde il viso. La signorina d'Oliva si sente spingere peril braccio. Il conte e la contessa de la Motte si sono al-lontanati. Essa è sola. Trema come le foglie degli alberi;la rosa che tiene fra le dita le sfugge. Ha in tasca una let-tera ma non pensa a servirsene. L'uomo dal lungo man-tello s'inchina fino a terra, le bacia l'orlo del vestito. Ni-coletta mormora non sa che cosa; non se n'è resa maiconto. Il cardinale, non meno commosso di lei, crede diudire: «Potete sperare che il passato verrà dimenticato».S'inchina nuovamente con parole di riconoscenza e di ri-spetto di cui la signorina d'Oliva, sempre più tremante,non ode sillaba. Bruscamente, sopraggiunge a corsa unindividuo: «Presto, presto, andiamocene, Madama e lacontessa d'Artois stanno per venire!». È ancora Rétauxde Villette. La signora d'Oliva è condotta via dal contede la Motte e il cardinale si ritira seguito dalla contessa.

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si discerne il quadrato d'una piccola radura, i viali e larotonda centrale. Qui, il silenzio è assoluto. Soltanto gliuccelli notturni, volando, sfiorano le foglie con l'ali; fru-scìo inaspettato che dà i brividi. Nicoletta ha veramentepaura e si stringe al conte de la Motte. A un tratto, comeun'ombra, appare un uomo a cui il conte dice: «Ah, ec-covi!» e l'uomo scompare. È Rétaux de Villette.

Giunti in un viale, la signorina d'Oliva, timorosa, im-mobile, non osa voltarsi. Le orecchie son tese ad ascol-tare. I ciottoli dei viali scricchiolano sotto un rumore dipassi che s'avvicina. Tre uomini. Uno di essi si avanza:è alto, sottile, attillato nella «rédingote» sotto il lungomantello; si è calcato in testa un cappellone che gli na-sconde il viso. La signorina d'Oliva si sente spingere peril braccio. Il conte e la contessa de la Motte si sono al-lontanati. Essa è sola. Trema come le foglie degli alberi;la rosa che tiene fra le dita le sfugge. Ha in tasca una let-tera ma non pensa a servirsene. L'uomo dal lungo man-tello s'inchina fino a terra, le bacia l'orlo del vestito. Ni-coletta mormora non sa che cosa; non se n'è resa maiconto. Il cardinale, non meno commosso di lei, crede diudire: «Potete sperare che il passato verrà dimenticato».S'inchina nuovamente con parole di riconoscenza e di ri-spetto di cui la signorina d'Oliva, sempre più tremante,non ode sillaba. Bruscamente, sopraggiunge a corsa unindividuo: «Presto, presto, andiamocene, Madama e lacontessa d'Artois stanno per venire!». È ancora Rétauxde Villette. La signora d'Oliva è condotta via dal contede la Motte e il cardinale si ritira seguito dalla contessa.

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Questa fu la famosa scena detta del Boschetto.Il giovine Alberto Beugnot si trovava l'indomani in

via Neuve-Saint-Gilles, dove in aspettativa della padro-na di casa s'intratteneva gradevolmente con la lettrice edama di compagnia, la signorina Colson. «Non mancavacostei nè di spirito nè di malizia – scrive. – Io credo, midiss'ella quel giorno, che le Loro Altezze stieno combi-nando dei grandi piani. La vita passa in concilii segreti acui non viene ammesso che il segretario (Rétaux). Il se-condo segretario, Sua Riverenza (il padre Loth) è ridottoad ascoltare agli usci, e fa tre viaggi al giorno in viaVieille-du-Temple, senza indovinare una sillaba neancheper isbaglio di tutti i messaggi che gli vengono affidati.Il fraticello se ne dispera, perchè è curioso come unavecchia pinzocchera».

«Fra mezzanotte e l'una – prosegue Beugnot – udia-mo finalmente il rumore d'una vettura donde scendono iconiugi La Motte, Villette e una donna fra i venticinquee i trent'anni, bionda, molto bella e molto ben fatta. Ledue dame erano eleganti ma semplici; i due uomini infrac; avevano l'aria d'essere di ritorno da una scampa-gnata. Si cominciò con degli scherzi d'occasione circa ilmio a tu per tu con la signorina Colson. Dicevanostramberie. Ridevano, canterellavano, non stavano piùsulle gambe. La sconosciuta partecipava all'allegrezzagenerale ma con una certa misura e timidità».

Beugnot, sentendo che la sua presenza imbarazzavagli allegri compagni impedendo loro di discorrere libe-ramente di ciò che li metteva tanto di buon umore, si

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Questa fu la famosa scena detta del Boschetto.Il giovine Alberto Beugnot si trovava l'indomani in

via Neuve-Saint-Gilles, dove in aspettativa della padro-na di casa s'intratteneva gradevolmente con la lettrice edama di compagnia, la signorina Colson. «Non mancavacostei nè di spirito nè di malizia – scrive. – Io credo, midiss'ella quel giorno, che le Loro Altezze stieno combi-nando dei grandi piani. La vita passa in concilii segreti acui non viene ammesso che il segretario (Rétaux). Il se-condo segretario, Sua Riverenza (il padre Loth) è ridottoad ascoltare agli usci, e fa tre viaggi al giorno in viaVieille-du-Temple, senza indovinare una sillaba neancheper isbaglio di tutti i messaggi che gli vengono affidati.Il fraticello se ne dispera, perchè è curioso come unavecchia pinzocchera».

«Fra mezzanotte e l'una – prosegue Beugnot – udia-mo finalmente il rumore d'una vettura donde scendono iconiugi La Motte, Villette e una donna fra i venticinquee i trent'anni, bionda, molto bella e molto ben fatta. Ledue dame erano eleganti ma semplici; i due uomini infrac; avevano l'aria d'essere di ritorno da una scampa-gnata. Si cominciò con degli scherzi d'occasione circa ilmio a tu per tu con la signorina Colson. Dicevanostramberie. Ridevano, canterellavano, non stavano piùsulle gambe. La sconosciuta partecipava all'allegrezzagenerale ma con una certa misura e timidità».

Beugnot, sentendo che la sua presenza imbarazzavagli allegri compagni impedendo loro di discorrere libe-ramente di ciò che li metteva tanto di buon umore, si

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congedò. Senza far atto di trattenerlo, lo pregarono diriaccompagnare con la vettura la giovane sconosciuta.

«– Ma vi pare, con tutto il piacere!».«Il volto di quella donna – dice Beugnot – mi aveva

dato, a prima vista, quella incertezza inquieta, che unoprova davanti a una fisionomia che veda per la primavolta eppure ha l'impressione d'avere già visto altrove.In vettura le rivolsi parecchie domande ma non potei ca-varne nulla. Deposi quella bella silenziosa in via de Clé-ry. L'inquietudine datami dalla sua fisionomia era la per-fetta rassomiglianza con la regina!».

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congedò. Senza far atto di trattenerlo, lo pregarono diriaccompagnare con la vettura la giovane sconosciuta.

«– Ma vi pare, con tutto il piacere!».«Il volto di quella donna – dice Beugnot – mi aveva

dato, a prima vista, quella incertezza inquieta, che unoprova davanti a una fisionomia che veda per la primavolta eppure ha l'impressione d'avere già visto altrove.In vettura le rivolsi parecchie domande ma non potei ca-varne nulla. Deposi quella bella silenziosa in via de Clé-ry. L'inquietudine datami dalla sua fisionomia era la per-fetta rassomiglianza con la regina!».

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XVII.PRIMI EFFETTI DELLE GRAZIE

REGALI.

Ci dirà Rohan medesimo, per mezzo del suo avvoca-to, Target, in quali condizioni di spirito si trovasse dopola scena del boschetto: «Dopo quel momento fatale, ilCardinale non è più soltanto fiducioso e credulo, è cie-co, e della propria cecità si corazza come d'un dovereinviolabile. La sua sottomissione agli ordini che la si-gnora de la Motte gli impartirà è collegata al sentimentodi profondo rispetto e di riconoscenza che disporrannodella sua vita intera; egli aspetterà con rassegnazione ilmomento in cui la bontà che rassicura gli si vorrà mani-festare; ma nell'aspettativa egli obbedirà e tutto questo èlo stato dell'animo suo».

La signora de la Motte non tarda a sfruttare tale statod'animo. Dopo l'incontro nel boschetto non sono tra-scorsi che pochi giorni ed essa fa già sapere al Cardinaleche la regina desidera un pronto soccorso di cinquanta-

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XVII.PRIMI EFFETTI DELLE GRAZIE

REGALI.

Ci dirà Rohan medesimo, per mezzo del suo avvoca-to, Target, in quali condizioni di spirito si trovasse dopola scena del boschetto: «Dopo quel momento fatale, ilCardinale non è più soltanto fiducioso e credulo, è cie-co, e della propria cecità si corazza come d'un dovereinviolabile. La sua sottomissione agli ordini che la si-gnora de la Motte gli impartirà è collegata al sentimentodi profondo rispetto e di riconoscenza che disporrannodella sua vita intera; egli aspetterà con rassegnazione ilmomento in cui la bontà che rassicura gli si vorrà mani-festare; ma nell'aspettativa egli obbedirà e tutto questo èlo stato dell'animo suo».

La signora de la Motte non tarda a sfruttare tale statod'animo. Dopo l'incontro nel boschetto non sono tra-scorsi che pochi giorni ed essa fa già sapere al Cardinaleche la regina desidera un pronto soccorso di cinquanta-

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mila lire per una famiglia di gentiluomini sfortunati.Giovanna è ansiosa; darà il principe quel danaro?

Rohan è felice che la regina si degni di ricorrere a'suoi servigi. Siccome non ha sottomano la somma, laprende a prestito dall'ebreo Cerf-Beer. «Le vostre pre-stazioni – gli dice – vi assicurano una protezione dellapiù alta importanza, per voi e per la vostra nazione».

Il 21 agosto, alle cinque di sera, Padre Loth si trovanel gabinetto di toeletta della contessa – sì, proprio, nelgabinetto di toletta. Giovanna si preparava per il pranzoe il buon monaco le teneva compagnia. Però le trovavaun aspetto turbato.

«– Un cruccio?«– Aspetto 50.000 lire da una persona che dovrebbe

portarmele adesso, e questo ritardo mi fa supporre che lacosa non avverrà, il che mi affliggerebbe moltissimo».

L'indomani Loth seppe che le 50.000 lire erano stateeffettivamente versate. La gioia di Giovanna traboccava:

«Non appena ieri voi foste uscito, il barone di Planta,giunse con la buona notizia!».

E siccome il Minimo reiterava le sue felicitazioni:«È la regina che ha ordinato al Cardinale di darmi

questa somma ed egli ha l'ordine di Sua Maestà di snoc-ciolarmi l'uno dopo l'altro 50.000 scudi».

È la cifra fissata dalla stessa Giovanna. Tuttavia, sti-mò fosse utile d'allontanare momentaneamente il princi-pe. Un bigliettino orlato d'azzurro venne molto a propo-sito a consigliargli di ritirarsi per qualche tempo in Alsa-zia. Prima di partire, Rohan raccomandò a Planta, che

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mila lire per una famiglia di gentiluomini sfortunati.Giovanna è ansiosa; darà il principe quel danaro?

Rohan è felice che la regina si degni di ricorrere a'suoi servigi. Siccome non ha sottomano la somma, laprende a prestito dall'ebreo Cerf-Beer. «Le vostre pre-stazioni – gli dice – vi assicurano una protezione dellapiù alta importanza, per voi e per la vostra nazione».

Il 21 agosto, alle cinque di sera, Padre Loth si trovanel gabinetto di toeletta della contessa – sì, proprio, nelgabinetto di toletta. Giovanna si preparava per il pranzoe il buon monaco le teneva compagnia. Però le trovavaun aspetto turbato.

«– Un cruccio?«– Aspetto 50.000 lire da una persona che dovrebbe

portarmele adesso, e questo ritardo mi fa supporre che lacosa non avverrà, il che mi affliggerebbe moltissimo».

L'indomani Loth seppe che le 50.000 lire erano stateeffettivamente versate. La gioia di Giovanna traboccava:

«Non appena ieri voi foste uscito, il barone di Planta,giunse con la buona notizia!».

E siccome il Minimo reiterava le sue felicitazioni:«È la regina che ha ordinato al Cardinale di darmi

questa somma ed egli ha l'ordine di Sua Maestà di snoc-ciolarmi l'uno dopo l'altro 50.000 scudi».

È la cifra fissata dalla stessa Giovanna. Tuttavia, sti-mò fosse utile d'allontanare momentaneamente il princi-pe. Un bigliettino orlato d'azzurro venne molto a propo-sito a consigliargli di ritirarsi per qualche tempo in Alsa-zia. Prima di partire, Rohan raccomandò a Planta, che

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rimaneva a Parigi per i bisogni della corrispondenza or-lata di turchino, di consegnare alla signora de la Motte,per la regina, tutto il denaro che gli avesse richiesto, ag-giungendo che, se la somma fosse stata d'una cifra ele-vata e il bisogno urgente, vendesse degli oggetti d'arte edei mobili di valore. Una nuova domanda avvenne infat-ti ma, siccome non era urgente, il cardinale aspettò a no-vembre per inviare da Saverne alla contessa una secon-da somma, di centomila franchi stavolta, che venneegualmente consegnata dal barone di Planta.

Abbiamo visto in quali orrende strettezze si trovasseGiovanna di Valois nel giugno del 1784; aveva inquell'epoca alienato non soltanto la sua pensione di1500 franchi, ma quella del fratello marinaio, di cui ave-va fra le mani il brevetto; il Padre Loth negoziava perlei un prestito di 300 lire affinchè potesse pagare l'allog-gio. Ora, in quel mese d'agosto del 1784, in cui è fatto ilprimo versamento di cinquantamila franchi, Giovannane impiega trentanovemila presso diversi privati. In set-tembre, incarica il suo uomo d'affari, il frate Minimo, diconvertire in denaro venti biglietti neri di cento lire cia-scuno della cassa di sconto. In novembre, dopo il secon-do versamento, si compera una casa a Bar-sur-Aube;una vasta casa borghese, con due ali, con fabbricato cen-trale e cortile, che sorge nel mezzo della città. Dalle fi-nestre si vede la campagna, il corso sinuoso della Bressee dell'Aube fra macchie d'alberi in cui i salici frammi-schiano i loro ciuffi verde-pallido alle masse cupe degliolmi sotto i lunghi pioppi; il fiume divide le acque con-

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rimaneva a Parigi per i bisogni della corrispondenza or-lata di turchino, di consegnare alla signora de la Motte,per la regina, tutto il denaro che gli avesse richiesto, ag-giungendo che, se la somma fosse stata d'una cifra ele-vata e il bisogno urgente, vendesse degli oggetti d'arte edei mobili di valore. Una nuova domanda avvenne infat-ti ma, siccome non era urgente, il cardinale aspettò a no-vembre per inviare da Saverne alla contessa una secon-da somma, di centomila franchi stavolta, che venneegualmente consegnata dal barone di Planta.

Abbiamo visto in quali orrende strettezze si trovasseGiovanna di Valois nel giugno del 1784; aveva inquell'epoca alienato non soltanto la sua pensione di1500 franchi, ma quella del fratello marinaio, di cui ave-va fra le mani il brevetto; il Padre Loth negoziava perlei un prestito di 300 lire affinchè potesse pagare l'allog-gio. Ora, in quel mese d'agosto del 1784, in cui è fatto ilprimo versamento di cinquantamila franchi, Giovannane impiega trentanovemila presso diversi privati. In set-tembre, incarica il suo uomo d'affari, il frate Minimo, diconvertire in denaro venti biglietti neri di cento lire cia-scuno della cassa di sconto. In novembre, dopo il secon-do versamento, si compera una casa a Bar-sur-Aube;una vasta casa borghese, con due ali, con fabbricato cen-trale e cortile, che sorge nel mezzo della città. Dalle fi-nestre si vede la campagna, il corso sinuoso della Bressee dell'Aube fra macchie d'alberi in cui i salici frammi-schiano i loro ciuffi verde-pallido alle masse cupe degliolmi sotto i lunghi pioppi; il fiume divide le acque con-

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tro i pali muscosi dei vecchi ponti, scintilla fra la vege-tazione grassa dei prati, ai piedi dei colli di Santa Ger-mana dove matura il vino spumeggiante. E a Charonne,presso Parigi, Giovanna si addobba una leggiadra villeg-giatura, in un possedimento civettuolo, per le scampa-gnate. «L'andamento di casa – dice Rosalia – venne al-lora ingrandito, tanto in mobili e gioielli quanto in ar-genteria. Nel mese di novembre, la signora de la Motteha fatto fare parecchi finimenti di diamanti che messerRégnier le ha portato, in varie riprese». Il denaro cheversa a contanti nell'acquisto di certi oggetti le permettedi acquistarne altri per somme assai più rilevanti. Al pa-gamento di questi ultimi, provvederà l'avvenire. La siincontra nelle gallerie di Versailles in grande gala: diceche la sua fortuna è migliorata in grazia ai benefici dellafamiglia reale.

A poco a poco il tono dell'ambiente diventa, in viaNeuve-Saint-Gilles, quello della buona società. Il contede la Motte vi fa valere il proprio talento sull'arpa, e Ré-taux la bellezza della propria voce, davanti a conoscitorieleganti. «Incontrai allora dalla contessa – dice Beugnot– il marchese di Saisseval, gran giocatore, ricco e intro-dotto a Corte; l'abate di Cabres, consigliere al Parlamen-to; Bouillé d'Orfeuille, intendente di Champagne; il con-te d'Estaing; un ricevitore generale chiamato d'Orcy eLecoulteux de la Noraye». Quest'ultimo aspirava a sop-piantare Padre Loth, maggiordomo della contessa!Avrebbero lasciato al Minimo la cura di dirle la Messa.

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tro i pali muscosi dei vecchi ponti, scintilla fra la vege-tazione grassa dei prati, ai piedi dei colli di Santa Ger-mana dove matura il vino spumeggiante. E a Charonne,presso Parigi, Giovanna si addobba una leggiadra villeg-giatura, in un possedimento civettuolo, per le scampa-gnate. «L'andamento di casa – dice Rosalia – venne al-lora ingrandito, tanto in mobili e gioielli quanto in ar-genteria. Nel mese di novembre, la signora de la Motteha fatto fare parecchi finimenti di diamanti che messerRégnier le ha portato, in varie riprese». Il denaro cheversa a contanti nell'acquisto di certi oggetti le permettedi acquistarne altri per somme assai più rilevanti. Al pa-gamento di questi ultimi, provvederà l'avvenire. La siincontra nelle gallerie di Versailles in grande gala: diceche la sua fortuna è migliorata in grazia ai benefici dellafamiglia reale.

A poco a poco il tono dell'ambiente diventa, in viaNeuve-Saint-Gilles, quello della buona società. Il contede la Motte vi fa valere il proprio talento sull'arpa, e Ré-taux la bellezza della propria voce, davanti a conoscitorieleganti. «Incontrai allora dalla contessa – dice Beugnot– il marchese di Saisseval, gran giocatore, ricco e intro-dotto a Corte; l'abate di Cabres, consigliere al Parlamen-to; Bouillé d'Orfeuille, intendente di Champagne; il con-te d'Estaing; un ricevitore generale chiamato d'Orcy eLecoulteux de la Noraye». Quest'ultimo aspirava a sop-piantare Padre Loth, maggiordomo della contessa!Avrebbero lasciato al Minimo la cura di dirle la Messa.

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Possiamo ricostruire con esattezza l'aspetto del salot-to della signora de la Motte. Una stanza alta, tutta rive-stita di legno bianco, rischiarata da due finestre, che sa-livano fino al soffitto; l'una verso strada, l'altra versocorte. L'enorme trave che sostiene il secondo piano è vi-sibile. Il cornicione è adorno di rilievi a quadratini checaratterizzano lo stile dell'epoca. Le celebrità militaridel gran secolo, Turenna e Tourville, sono rappresentateda busti in bronzo sopra zoccoli di marmo con ornamen-ti d'ottone dorato. Davanti allo specchio del camino –uno specchio in due pezzi, entro una sottile cornice dilegno dorato adorno di perle e merlature – una pendolache segna i secondi, le ore e il dì del mese, di marmobianco, con sopra una statuetta della Sensibilità, fra duevasi di Sèvres su zoccoli d'alabastro bianco. I muri sonotappezzati d'alte striscie con figure; tra le finestre, tap-pezzerie più piccole con fogliami. Il mobilio comprendeun divano e sei poltrone di stoffa rappresentanti le favo-le di La Fontaine; e sedie dallo schienale ovale, ricoper-te di raso rigato, a mazzi di fiori; il vero stile Luigi XVI.Negli angoli, delle «cantoniere» di legno laccato dipintoin verde acqua, con fiori; per terra, un gran tappetod'Aubusson, e, per l'illuminazione serale, due colonne distucco «su cui «stanno delle figure di bronzo tenenti cia-scuna un doppiere a tre braccia, d'ottone dorato». La si-gnora de la Motte, vivace, svelta, graziosa, fra i suoi in-vitati, va dall'uno all'altro vestita d'una «inglese» color«gola di piccione» e d'una gonna di seta rosa.

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Possiamo ricostruire con esattezza l'aspetto del salot-to della signora de la Motte. Una stanza alta, tutta rive-stita di legno bianco, rischiarata da due finestre, che sa-livano fino al soffitto; l'una verso strada, l'altra versocorte. L'enorme trave che sostiene il secondo piano è vi-sibile. Il cornicione è adorno di rilievi a quadratini checaratterizzano lo stile dell'epoca. Le celebrità militaridel gran secolo, Turenna e Tourville, sono rappresentateda busti in bronzo sopra zoccoli di marmo con ornamen-ti d'ottone dorato. Davanti allo specchio del camino –uno specchio in due pezzi, entro una sottile cornice dilegno dorato adorno di perle e merlature – una pendolache segna i secondi, le ore e il dì del mese, di marmobianco, con sopra una statuetta della Sensibilità, fra duevasi di Sèvres su zoccoli d'alabastro bianco. I muri sonotappezzati d'alte striscie con figure; tra le finestre, tap-pezzerie più piccole con fogliami. Il mobilio comprendeun divano e sei poltrone di stoffa rappresentanti le favo-le di La Fontaine; e sedie dallo schienale ovale, ricoper-te di raso rigato, a mazzi di fiori; il vero stile Luigi XVI.Negli angoli, delle «cantoniere» di legno laccato dipintoin verde acqua, con fiori; per terra, un gran tappetod'Aubusson, e, per l'illuminazione serale, due colonne distucco «su cui «stanno delle figure di bronzo tenenti cia-scuna un doppiere a tre braccia, d'ottone dorato». La si-gnora de la Motte, vivace, svelta, graziosa, fra i suoi in-vitati, va dall'uno all'altro vestita d'una «inglese» color«gola di piccione» e d'una gonna di seta rosa.

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La nostra baronessina d'Oliva, per qualche tempocontinua a frequentare via Neuve-Saint-Gilles, ma inbreve se ne vede esclusa. La signora de la Motte non latrova più abbastanza distinta. Le rimprovera di non es-sersi comportata decentemente in casa del barone di Lil-leroy, ufficiale delle guardie, quando si trovarono insie-me a colazione, e d'aver detto delle indecenze trovando-si dalla signora de la Fresnaye che le aveva invitate apranzo. Inoltre, delle quindicimila lire promesse a Nico-letta, la signora de la Motte non ne ha versate che quat-tromila e non desidera darne di più.

Giovanna s'interessa per sposare sua sorella, MariaAnna «molto bionda, molto scipita, molto bestia» diceBeugnot, fierissima anch'essa d'essere una discendentedei Valois. L'abbiamo vista mettersi allegramente infuga, con la sorella maggiore, dalla badìa di Longe-hamp; ma, dopo, si è ritirata nel convento di Jarcy, pres-so Brie-Comte-Robert, dove la badessa, signora di Brac-que, l'ha presa in affezione. La signora de la Motte hascovato un buon partito, il conte di Salivet di Fouché-court e ne scrive alla signora di Bracque. Ma occorre-rebbe che Maria Anna venisse a stare con lei per qual-che tempo. «A quanto sembra la mia fortuna apparente –scrive – ha fatto nascere in mia sorella dei sospetti perme offensivi. Le sarebbe facile di conoscere la sorgenteonorevole da cui mi deriva».

Intanto Giovanna non tralasciava però dal presentarsial cardinale come ridotta all'estremo dalla miseria, otte-

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La nostra baronessina d'Oliva, per qualche tempocontinua a frequentare via Neuve-Saint-Gilles, ma inbreve se ne vede esclusa. La signora de la Motte non latrova più abbastanza distinta. Le rimprovera di non es-sersi comportata decentemente in casa del barone di Lil-leroy, ufficiale delle guardie, quando si trovarono insie-me a colazione, e d'aver detto delle indecenze trovando-si dalla signora de la Fresnaye che le aveva invitate apranzo. Inoltre, delle quindicimila lire promesse a Nico-letta, la signora de la Motte non ne ha versate che quat-tromila e non desidera darne di più.

Giovanna s'interessa per sposare sua sorella, MariaAnna «molto bionda, molto scipita, molto bestia» diceBeugnot, fierissima anch'essa d'essere una discendentedei Valois. L'abbiamo vista mettersi allegramente infuga, con la sorella maggiore, dalla badìa di Longe-hamp; ma, dopo, si è ritirata nel convento di Jarcy, pres-so Brie-Comte-Robert, dove la badessa, signora di Brac-que, l'ha presa in affezione. La signora de la Motte hascovato un buon partito, il conte di Salivet di Fouché-court e ne scrive alla signora di Bracque. Ma occorre-rebbe che Maria Anna venisse a stare con lei per qual-che tempo. «A quanto sembra la mia fortuna apparente –scrive – ha fatto nascere in mia sorella dei sospetti perme offensivi. Le sarebbe facile di conoscere la sorgenteonorevole da cui mi deriva».

Intanto Giovanna non tralasciava però dal presentarsial cardinale come ridotta all'estremo dalla miseria, otte-

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nendo da lui, di quando in quando, qualche luigi, comeun tempo.

In conclusione, quanta strada fatta dalla piccola men-dicante che la signora di Boulainvilliers ascoltava sulpredellino della propria vettura, strada fatta grazie allapropria energia, alla propria volontà, al proprio spiritod'intrigo! Se avesse saputo adoperare, da allora in poi, lafortuna che aveva saputo conquistare! È vero che unbene acquistato in tal modo non può dare profitto. Ciòche viene al suono dei pifferi, se ne va al suono dei tam-buri. Il denaro viene così buttato dalla finestra. E c'èun'ambizione smisurata: la mediocrità, benchè aurea,non saprebbe convenire al sangue dei Valois. E s'imponela necessità di risorse nuove.

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nendo da lui, di quando in quando, qualche luigi, comeun tempo.

In conclusione, quanta strada fatta dalla piccola men-dicante che la signora di Boulainvilliers ascoltava sulpredellino della propria vettura, strada fatta grazie allapropria energia, alla propria volontà, al proprio spiritod'intrigo! Se avesse saputo adoperare, da allora in poi, lafortuna che aveva saputo conquistare! È vero che unbene acquistato in tal modo non può dare profitto. Ciòche viene al suono dei pifferi, se ne va al suono dei tam-buri. Il denaro viene così buttato dalla finestra. E c'èun'ambizione smisurata: la mediocrità, benchè aurea,non saprebbe convenire al sangue dei Valois. E s'imponela necessità di risorse nuove.

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XVIII.ENIGMA DELICATO.

Ai lettori sarà già venuta in mente la domanda:qual'era il carattere della relazione fra il cardinale e lasignore de la Motte?

Tutti gli storici si sono accordati su questo punto enoi ci metteremo in disaccordo con tutti loro. Per benstabilire che il cardinale desiderava e otteneva dalla si-gnora de la Motte i suoi favori più preziosi, si invocanodue testimonianze. La prima è della stessa contessa, da-vanti ai giudici istruttori del Parlamento; la seconda stanella relazione di Beugnot a cui essa mostrò in seguitoun pacchetto di lettere che dichiarò scrittele dal cardina-le.

Noi infirmiamo la signora de la Motte. Un interesseimperioso deve averla fatta così parlare davanti al Parla-mento. Sarà il suo unico mezzo di difesa. L'istruzioneavendole richiesto donde fosse venuta la prodigiosa for-tuna sorta a un tratto sotto i suoi passi, essa risponderà:«Ero l'amante del Cardinale». Del resto fu questa la ma-

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XVIII.ENIGMA DELICATO.

Ai lettori sarà già venuta in mente la domanda:qual'era il carattere della relazione fra il cardinale e lasignore de la Motte?

Tutti gli storici si sono accordati su questo punto enoi ci metteremo in disaccordo con tutti loro. Per benstabilire che il cardinale desiderava e otteneva dalla si-gnora de la Motte i suoi favori più preziosi, si invocanodue testimonianze. La prima è della stessa contessa, da-vanti ai giudici istruttori del Parlamento; la seconda stanella relazione di Beugnot a cui essa mostrò in seguitoun pacchetto di lettere che dichiarò scrittele dal cardina-le.

Noi infirmiamo la signora de la Motte. Un interesseimperioso deve averla fatta così parlare davanti al Parla-mento. Sarà il suo unico mezzo di difesa. L'istruzioneavendole richiesto donde fosse venuta la prodigiosa for-tuna sorta a un tratto sotto i suoi passi, essa risponderà:«Ero l'amante del Cardinale». Del resto fu questa la ma-

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nia di Giovanna di Valois. Non ci si può immaginare ilnumero degli uomini ch'essa accusò d'essere stati suoiamanti, o di avere voluto esserlo, per amore o per forza.Se qualcuno le dava imbarazzo, o le spiaceva, o la con-trariava, subito c'era la replica: «Siete stato, o avete ten-tato d'essere il mio amante!».

Il cardinale negherà con tanta dignità, tanta misura,tanta energia, ch'è impossibile esitare fra le due testimo-nianze. C'è dell'altro. Pur avendo un interesse stragrandea stabilire il fatto, Giovanna non potrà produrre la mini-ma prova. Le deposizioni della servitù staranno controdi lei. Rosalia, messa di fronte a Rohan, riconoscerà cheil Cardinale non è venuto in tutto, in casa La Motte, senon quattro o cinque volte a Parigi, due o tre volte aVersailles; visite fatte quasi sempre davanti a testimoni;nessuna nè di sera nè di notte.

Rosalia aggiungerà «Mentre il signor Cardinale stavadalla signora, la porta non era affatto chiusa». Gli ap-puntamenti, si dirà, avvenivano altrove; ma è precisa-mente nella propria casa che la signora de la Motte di-chiara d'aver colmato de' suoi favori il cardinale; e mol-to di frequente.

Un'altra indicazione, non meno decisiva, è fornita daquei sussidii di tre, quattro, cinque luigi che Rohan ebbel'abitudine di dare alla signora de la Motte, dal maggio1782 fino all'epoca dell'arresto. Giovanna, che intuiscela forza di tale argomento, tenta di negare; ma le testi-monianze dei familiari, di Padre Loth, della signorinaColson, sono anche qui concludenti. Padre Loth aggiun-

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nia di Giovanna di Valois. Non ci si può immaginare ilnumero degli uomini ch'essa accusò d'essere stati suoiamanti, o di avere voluto esserlo, per amore o per forza.Se qualcuno le dava imbarazzo, o le spiaceva, o la con-trariava, subito c'era la replica: «Siete stato, o avete ten-tato d'essere il mio amante!».

Il cardinale negherà con tanta dignità, tanta misura,tanta energia, ch'è impossibile esitare fra le due testimo-nianze. C'è dell'altro. Pur avendo un interesse stragrandea stabilire il fatto, Giovanna non potrà produrre la mini-ma prova. Le deposizioni della servitù staranno controdi lei. Rosalia, messa di fronte a Rohan, riconoscerà cheil Cardinale non è venuto in tutto, in casa La Motte, senon quattro o cinque volte a Parigi, due o tre volte aVersailles; visite fatte quasi sempre davanti a testimoni;nessuna nè di sera nè di notte.

Rosalia aggiungerà «Mentre il signor Cardinale stavadalla signora, la porta non era affatto chiusa». Gli ap-puntamenti, si dirà, avvenivano altrove; ma è precisa-mente nella propria casa che la signora de la Motte di-chiara d'aver colmato de' suoi favori il cardinale; e mol-to di frequente.

Un'altra indicazione, non meno decisiva, è fornita daquei sussidii di tre, quattro, cinque luigi che Rohan ebbel'abitudine di dare alla signora de la Motte, dal maggio1782 fino all'epoca dell'arresto. Giovanna, che intuiscela forza di tale argomento, tenta di negare; ma le testi-monianze dei familiari, di Padre Loth, della signorinaColson, sono anche qui concludenti. Padre Loth aggiun-

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ge che la signora de la Motte aveva escogitato di rac-contare a Rohan d'avere ricevuto dalla regina un dono dimille scudi con lo scopo d'ottenere da lui degli aiutimaggiori. Se Giovanna fosse stata l'amante di quel prin-cipe, si può soltanto supporre che con le sue ricchezze,il suo carattere generoso e prodigo all'eccesso, allorache la considerava come una signora della più alta so-cietà, amica particolare della regina, l'avesse ridotta adelle elemosine?

Quanto alla pretesa corrispondenza che Beugnot ve-drà fra le mani di Giovanna di Valois, a Barsur-Aube,egli ne parlerà in questi termini: «È bene, per la memo-ria del Cardinale, che tali lettere sieno state soppresse. Èuna perdita per la storia delle passioni umane. Ma chesecolo era dunque quello in cui un principe della chiesanon esitava a scrivere, firmare, indirizzare a una donnada lui tanto poco conosciuta, e così malamente, dellelettere che, oggidì, un uomo, per poco che si rispetti,dopo averle cominciate a leggere, chiude senz'arrivarealla fine?». Questa testimonianza si distrugge da sola. Ilprincipe di Rohan non era uomo da scrivere in tal modo.È inutile insistere. Giovanna, con la sua disordinata fan-tasia in perpetua ebollizione, passò la vita a foggiarsi ro-manzi, sopratutto corrispondenze, seminandole di sudi-cerie. Si riconosce il suo tono da quanto sappiamo permezzo di Beugnot. Perchè abbrucerà le lettere in unacircostanza in cui avrebbero costituito tutta la sua dife-sa? perchè le lettere erano false. E perchè, prima, le faleggere a Beugnot, lo stesso che, pochi giorni dopo,

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ge che la signora de la Motte aveva escogitato di rac-contare a Rohan d'avere ricevuto dalla regina un dono dimille scudi con lo scopo d'ottenere da lui degli aiutimaggiori. Se Giovanna fosse stata l'amante di quel prin-cipe, si può soltanto supporre che con le sue ricchezze,il suo carattere generoso e prodigo all'eccesso, allorache la considerava come una signora della più alta so-cietà, amica particolare della regina, l'avesse ridotta adelle elemosine?

Quanto alla pretesa corrispondenza che Beugnot ve-drà fra le mani di Giovanna di Valois, a Barsur-Aube,egli ne parlerà in questi termini: «È bene, per la memo-ria del Cardinale, che tali lettere sieno state soppresse. Èuna perdita per la storia delle passioni umane. Ma chesecolo era dunque quello in cui un principe della chiesanon esitava a scrivere, firmare, indirizzare a una donnada lui tanto poco conosciuta, e così malamente, dellelettere che, oggidì, un uomo, per poco che si rispetti,dopo averle cominciate a leggere, chiude senz'arrivarealla fine?». Questa testimonianza si distrugge da sola. Ilprincipe di Rohan non era uomo da scrivere in tal modo.È inutile insistere. Giovanna, con la sua disordinata fan-tasia in perpetua ebollizione, passò la vita a foggiarsi ro-manzi, sopratutto corrispondenze, seminandole di sudi-cerie. Si riconosce il suo tono da quanto sappiamo permezzo di Beugnot. Perchè abbrucerà le lettere in unacircostanza in cui avrebbero costituito tutta la sua dife-sa? perchè le lettere erano false. E perchè, prima, le faleggere a Beugnot, lo stesso che, pochi giorni dopo,

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s'affretta a chiedere come avvocato? affinchè egli de-ponga su questo fatto, quando però il controllo non saràpiù possibile.

Si osserverà inoltre che, se quelle lettere fossero statescritte da Rohan, costui non avrebbe potuto esporsi a ri-ceverne la sferzante smentita davanti al Parlamento ra-dunato, nel momento in cui negherà qualsiasi relazioneintima con la contessa. Perchè, allora, egli non potevasapere che le lettere erano state bruciate. Tanto che,quando Rohan risponde alla sua accusatrice con vigore ealterezza insieme, la signora de la Motte, che tuttavianon indietreggia davanti a nessun mezzo di difesa, nonosa ricordare quella corrispondenza; anzi, non osa nem-meno invocare la testimonianza di Beugnot.

«Ho esitato finora – dirà Rohan, messo a confrontocon Giovanna di Valois, il 24 aprile 1786 – a rispondere,per una ripugnanza affatto naturale, a tutto ciò che hadetto, a doppio senso, la signora de la Motte circa le suerelazioni con me. Se non ha rispetto per se stessa e vuo-le far credere anche ciò che non è, io respingo comedevo le insinuazioni che vuole accreditare. Non possod'altronde, per il decoro che devo a me stesso, insisteredi più su tale argomento. Ecco una nuova atrocità che,in mezzo a ogni sorta di inverosimiglianze, non desta inme che il medesimo orrore già espresso quando la si-gnora de la Motte, parecchie volte, tentò di lanciare so-spetti odiosi. L'inverosimiglianza rende impossibile ciòch'essa vorrebbe presentare come vero. Non posso chestornare lo sguardo e il pensiero da una simile accusa.

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s'affretta a chiedere come avvocato? affinchè egli de-ponga su questo fatto, quando però il controllo non saràpiù possibile.

Si osserverà inoltre che, se quelle lettere fossero statescritte da Rohan, costui non avrebbe potuto esporsi a ri-ceverne la sferzante smentita davanti al Parlamento ra-dunato, nel momento in cui negherà qualsiasi relazioneintima con la contessa. Perchè, allora, egli non potevasapere che le lettere erano state bruciate. Tanto che,quando Rohan risponde alla sua accusatrice con vigore ealterezza insieme, la signora de la Motte, che tuttavianon indietreggia davanti a nessun mezzo di difesa, nonosa ricordare quella corrispondenza; anzi, non osa nem-meno invocare la testimonianza di Beugnot.

«Ho esitato finora – dirà Rohan, messo a confrontocon Giovanna di Valois, il 24 aprile 1786 – a rispondere,per una ripugnanza affatto naturale, a tutto ciò che hadetto, a doppio senso, la signora de la Motte circa le suerelazioni con me. Se non ha rispetto per se stessa e vuo-le far credere anche ciò che non è, io respingo comedevo le insinuazioni che vuole accreditare. Non possod'altronde, per il decoro che devo a me stesso, insisteredi più su tale argomento. Ecco una nuova atrocità che,in mezzo a ogni sorta di inverosimiglianze, non desta inme che il medesimo orrore già espresso quando la si-gnora de la Motte, parecchie volte, tentò di lanciare so-spetti odiosi. L'inverosimiglianza rende impossibile ciòch'essa vorrebbe presentare come vero. Non posso chestornare lo sguardo e il pensiero da una simile accusa.

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Osservo poi che la signora de la Motte ha fatto aspettaremolto a lungo la calunnia che preparava a scusa dellasua menzogna, quando s'è vista costretta a non poterlapiù sostenere».

Per quello che si può essere sicuri della cosa, – per-chè, come dice l'altro, con le donne non si può mai sape-re – noi siamo disposti a portarci garanti delle parole delcardinale. Ma la forza della calunnia è tale che, fin dagliinizii, quando scoppiò il processo, si divulgheranno li-belli clandestini, pagati a peso d'oro, in cui gli amoridella contessa e di Sua Eminenza verranno narrati in ter-mini indicibili, con i particolari più scabrosi; delle rac-colte d'informazioni relativamente serie, come la Corri-spondenza segreta, affermeranno certi aneddoti che unapenna che si rispetti non potrebbe ripetere; le nazioniprotestanti applaudiranno alla corruzione del clero fran-cese; il popolo verrà a cantare al prigioniero fin sotto lemura della Bastiglia:

Abbiate un po' di decenzae lasciate stare le sgualdrine!

La storia seguirà il giudizio popolare e anche noi ab-bandoniamo il campo, convinti della nostra impotenza amutare l'opinione pubblica.

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Osservo poi che la signora de la Motte ha fatto aspettaremolto a lungo la calunnia che preparava a scusa dellasua menzogna, quando s'è vista costretta a non poterlapiù sostenere».

Per quello che si può essere sicuri della cosa, – per-chè, come dice l'altro, con le donne non si può mai sape-re – noi siamo disposti a portarci garanti delle parole delcardinale. Ma la forza della calunnia è tale che, fin dagliinizii, quando scoppiò il processo, si divulgheranno li-belli clandestini, pagati a peso d'oro, in cui gli amoridella contessa e di Sua Eminenza verranno narrati in ter-mini indicibili, con i particolari più scabrosi; delle rac-colte d'informazioni relativamente serie, come la Corri-spondenza segreta, affermeranno certi aneddoti che unapenna che si rispetti non potrebbe ripetere; le nazioniprotestanti applaudiranno alla corruzione del clero fran-cese; il popolo verrà a cantare al prigioniero fin sotto lemura della Bastiglia:

Abbiate un po' di decenzae lasciate stare le sgualdrine!

La storia seguirà il giudizio popolare e anche noi ab-bandoniamo il campo, convinti della nostra impotenza amutare l'opinione pubblica.

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XIX.LA COLLANA.

Il gioielliere della corona e della casa della regina erain quell'epoca un ebreo sassone, Carlo Augusto Böhmer,uomo attivissimo, arditissimo, intelligentissimo. I suoinegozi davano sulla via Vendôme. S'era preso come so-cio un altro ebreo di Lipsia, Paolo Bassenge; e insieme alui, da anni, aveva comperato rovistando per tuttal'Europa i più bei diamanti che potè trovare, per farneuna cascata che fosse più meravigliosa di tutti i gioielliconosciuti. I Böhmer, così chiamati dal nome del socioprincipale, avevano composto così una «gran collanaalla schiava» sperando di venderla a Luigi XV per la DuBarry; ma il re venne a morte. Allora inviarono il dise-gno del vezzo alla Corte di Spagna che si spaventò dellacifra richiestane.

Dopo l'avvento di Luigi XVI, conoscendo la passionedella nuova regina per i gioielli, e contando sulla riputa-zione che aveva Maria Antonietta di civetteria e di folliaspendereccia, i gioiellieri, fin dal 1774, presentarono la

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XIX.LA COLLANA.

Il gioielliere della corona e della casa della regina erain quell'epoca un ebreo sassone, Carlo Augusto Böhmer,uomo attivissimo, arditissimo, intelligentissimo. I suoinegozi davano sulla via Vendôme. S'era preso come so-cio un altro ebreo di Lipsia, Paolo Bassenge; e insieme alui, da anni, aveva comperato rovistando per tuttal'Europa i più bei diamanti che potè trovare, per farneuna cascata che fosse più meravigliosa di tutti i gioielliconosciuti. I Böhmer, così chiamati dal nome del socioprincipale, avevano composto così una «gran collanaalla schiava» sperando di venderla a Luigi XV per la DuBarry; ma il re venne a morte. Allora inviarono il dise-gno del vezzo alla Corte di Spagna che si spaventò dellacifra richiestane.

Dopo l'avvento di Luigi XVI, conoscendo la passionedella nuova regina per i gioielli, e contando sulla riputa-zione che aveva Maria Antonietta di civetteria e di folliaspendereccia, i gioiellieri, fin dal 1774, presentarono la

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collana al re. Luigi XVI ne parlò a Maria Antonietta, mala regina, spaventata a sua volta del prezzo troppo alto,un milione e seicentomila lire, – era la stima fatta daigioiellieri Maillard e d'Oigny – diede una risposta cele-bre:

«Ci occorre una nave piuttosto che un gioiello».L'anno seguente, Böhmer tornò alla carica: avrebbe

fatte le più vantaggiose condizioni; i pagamenti sarebbe-ro stati scaglionati a scadenze varie, e parte in renditevitalizie. Supplicava il re di fare l'acquisto. Le sue istan-ze si facevano sempre più stringenti per il fatto che, performare quel gioiello, aveva tolto a prestito dal tesorieredella marina, Baudard di Saint-James, 800.000 lire. Gliinteressi, che si trovava costretto a pagare, diventavanoper lui un onere sempre più gravoso e che doveva, coltempo, trascinarlo alla completa rovina.

Il re ne riparlò alla regina davanti alla signora Cam-pan.

«Mi ricordo – scrive costei – che la regina gli disseche, se davvero il mercato non era oneroso, il re potevafare quella compera e conservare la collana per le epo-che delle nozze de' suoi figliuoli; ma che lei non se nesarebbe mai adornata, non volendo per nulla al mondoche si potesse rimproverarle d'aver desiderato un ogget-to talmente costoso». Siccome i figli erano ancora gio-vanissimi, Luigi XVI non volle immobilizzare per tantianni una somma così rilevante e rifiutò definitivamentela proposta. Le lamentele di Böhmer raddoppiarono. Lefaceva con chiunque gli capitasse. Due anni dopo, vale a

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collana al re. Luigi XVI ne parlò a Maria Antonietta, mala regina, spaventata a sua volta del prezzo troppo alto,un milione e seicentomila lire, – era la stima fatta daigioiellieri Maillard e d'Oigny – diede una risposta cele-bre:

«Ci occorre una nave piuttosto che un gioiello».L'anno seguente, Böhmer tornò alla carica: avrebbe

fatte le più vantaggiose condizioni; i pagamenti sarebbe-ro stati scaglionati a scadenze varie, e parte in renditevitalizie. Supplicava il re di fare l'acquisto. Le sue istan-ze si facevano sempre più stringenti per il fatto che, performare quel gioiello, aveva tolto a prestito dal tesorieredella marina, Baudard di Saint-James, 800.000 lire. Gliinteressi, che si trovava costretto a pagare, diventavanoper lui un onere sempre più gravoso e che doveva, coltempo, trascinarlo alla completa rovina.

Il re ne riparlò alla regina davanti alla signora Cam-pan.

«Mi ricordo – scrive costei – che la regina gli disseche, se davvero il mercato non era oneroso, il re potevafare quella compera e conservare la collana per le epo-che delle nozze de' suoi figliuoli; ma che lei non se nesarebbe mai adornata, non volendo per nulla al mondoche si potesse rimproverarle d'aver desiderato un ogget-to talmente costoso». Siccome i figli erano ancora gio-vanissimi, Luigi XVI non volle immobilizzare per tantianni una somma così rilevante e rifiutò definitivamentela proposta. Le lamentele di Böhmer raddoppiarono. Lefaceva con chiunque gli capitasse. Due anni dopo, vale a

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dire nel 1777, rivolgendosi direttamente a Maria Anto-nietta, si buttò alle sue ginocchia. Sua Maestà venivasupplicata d'acquistare la collana; altrimenti a lui non ri-maneva che di buttarsi a fiume. E versava lagrime ab-bondanti, soffocato dai singhiozzi. «Alzatevi, Böhmer –gli disse severamente la regina – non mi piacciono que-ste storie: la brava gente non deve mettersi in ginocchio.Ho rifiutato la collana. Il re ha voluto darmela; ho torna-to a rifiutarla. Non parlatemene dunque più. Cercate didividerla, di venderla, e non andate ad annegarvi».

Böhmer conosceva il procuratore generale alle richie-ste, Luigi Francesco Achet, di cui abbiamo visto il gene-ro, Laporte, frequentare la casa della contessa di Valois.Messer Laporte partecipava anzi agli «affari» intrapresida Giovanna; e siccome la contessa aveva mostrato an-che a lui delle sedicenti lettere della regina, avevaun'alta idea del suo credito. Il 20 novembre 1784, men-tre stavano discorrendo nel salotto di via Neuve-Saint-Gilles e parlando appunto di gioielli, Laporte disse aGiovanna, senza aver l'aria d'annettervi alcuna impor-tanza, che, poich'ella godeva di così gran favore pressoSua Maestà, avrebbe dovuto facilitare ai poveri gioiel-lieri Böhmer e Bassenge la vendita della loro collana.Era un carico gravoso per quei negozianti il conservarecosì a lungo un oggetto di tanto valore.

«– L'avete vista, la collana? – interrogò lei.«– Una vera meraviglia – disse Laporte – I gioiellieri

della corona vi hanno lavorato per degli anni, e non fos-

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dire nel 1777, rivolgendosi direttamente a Maria Anto-nietta, si buttò alle sue ginocchia. Sua Maestà venivasupplicata d'acquistare la collana; altrimenti a lui non ri-maneva che di buttarsi a fiume. E versava lagrime ab-bondanti, soffocato dai singhiozzi. «Alzatevi, Böhmer –gli disse severamente la regina – non mi piacciono que-ste storie: la brava gente non deve mettersi in ginocchio.Ho rifiutato la collana. Il re ha voluto darmela; ho torna-to a rifiutarla. Non parlatemene dunque più. Cercate didividerla, di venderla, e non andate ad annegarvi».

Böhmer conosceva il procuratore generale alle richie-ste, Luigi Francesco Achet, di cui abbiamo visto il gene-ro, Laporte, frequentare la casa della contessa di Valois.Messer Laporte partecipava anzi agli «affari» intrapresida Giovanna; e siccome la contessa aveva mostrato an-che a lui delle sedicenti lettere della regina, avevaun'alta idea del suo credito. Il 20 novembre 1784, men-tre stavano discorrendo nel salotto di via Neuve-Saint-Gilles e parlando appunto di gioielli, Laporte disse aGiovanna, senza aver l'aria d'annettervi alcuna impor-tanza, che, poich'ella godeva di così gran favore pressoSua Maestà, avrebbe dovuto facilitare ai poveri gioiel-lieri Böhmer e Bassenge la vendita della loro collana.Era un carico gravoso per quei negozianti il conservarecosì a lungo un oggetto di tanto valore.

«– L'avete vista, la collana? – interrogò lei.«– Una vera meraviglia – disse Laporte – I gioiellieri

della corona vi hanno lavorato per degli anni, e non fos-

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se che dal punto di vista del valore delle pietre, vale untesoro».

E offerse alla contessa di condurle in casa Böhmer colloro gioiello. La signora de la Motte accettò. Ai primi didicembre, il suocero, Achet, diceva dal canto suo ai gio-iellieri che il genero suo conosceva una contessa cheaveva entratura dalla regina, e i gioiellieri rispondevanoche avrebbero dato 1000 luigi a chi avesse fatto vendereloro la collana. Laporte era crivellato di debiti.

Il cardinale di Rohan si trovava in quell'epocanell'Alsazia. Achet e Bassenge giunsero così in viaNeuve-Saint-Gilles, il 20 dicembre, col prezioso scri-gno. L'apersero davanti a Giovanna. Che stupore! Unosfolgorìo di scintille luminose sprigionantesi dalle puntefaccettate delle pietre limpidissime, mille e mille fiam-melle multicolori, vivide come lampi, che scaturivanodal minimo movimento.

Il cardinale tornò da Saverne il 3 gennaio 1785. Il 21gennaio, la contessa ebbe un secondo colloquio con igioiellieri, in presenza di messer Achet. Disse loro chela collana sarebbe forse stata venduta di lì a pochi gior-ni. L'acquisto sarebbe stato fatto da un altissimo perso-naggio. Aggiunge, insistendo su questo punto – notate laprudenza! – ch'essa consiglia loro vivissimamente diprendere direttamente con lui tutte le precauzioni utilicirca gli accomodamenti che verrebbero loro proposti.Quanto a lei, non vuole in nessun modo immischiarsi intale affare. Il suo nome non deve nemmeno venir pro-nunziato. I gioiellieri le offrono un gioiello in ricono-

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se che dal punto di vista del valore delle pietre, vale untesoro».

E offerse alla contessa di condurle in casa Böhmer colloro gioiello. La signora de la Motte accettò. Ai primi didicembre, il suocero, Achet, diceva dal canto suo ai gio-iellieri che il genero suo conosceva una contessa cheaveva entratura dalla regina, e i gioiellieri rispondevanoche avrebbero dato 1000 luigi a chi avesse fatto vendereloro la collana. Laporte era crivellato di debiti.

Il cardinale di Rohan si trovava in quell'epocanell'Alsazia. Achet e Bassenge giunsero così in viaNeuve-Saint-Gilles, il 20 dicembre, col prezioso scri-gno. L'apersero davanti a Giovanna. Che stupore! Unosfolgorìo di scintille luminose sprigionantesi dalle puntefaccettate delle pietre limpidissime, mille e mille fiam-melle multicolori, vivide come lampi, che scaturivanodal minimo movimento.

Il cardinale tornò da Saverne il 3 gennaio 1785. Il 21gennaio, la contessa ebbe un secondo colloquio con igioiellieri, in presenza di messer Achet. Disse loro chela collana sarebbe forse stata venduta di lì a pochi gior-ni. L'acquisto sarebbe stato fatto da un altissimo perso-naggio. Aggiunge, insistendo su questo punto – notate laprudenza! – ch'essa consiglia loro vivissimamente diprendere direttamente con lui tutte le precauzioni utilicirca gli accomodamenti che verrebbero loro proposti.Quanto a lei, non vuole in nessun modo immischiarsi intale affare. Il suo nome non deve nemmeno venir pro-nunziato. I gioiellieri le offrono un gioiello in ricono-

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scenza del servizio reso loro. Essa rifiuta il dono. Nonagisce così che per essere loro utile. Si oppone anziall'essere considerata come intermediaria.

Il 24 gennaio, alle 7 del mattino, Giovanna torna daigioiellieri col marito, per annunziare la visita del princi-pe cardinale di Rohan.

«È soltanto con lui – insiste ancora una volta – chevoi prenderete tutti gli accordi e tutte le precauzioni ne-cessarie. Guardatevi bene dal dirgli che io sono immi-schiata nell'affare. Se ho potuto esservi utile, mi dichia-ro abbastanza ricompensata». E se ne va.

Poco dopo, giunge il cardinale. La signora de la Mot-te gli ha fatto credere che la regina desidera comperarequel gioiello, di nascosto dal re e a credito, trovandosiper il momento sprovvista di danaro. La regina pagheràa scadenze, aveva detto Giovanna di Valois, di tre in tre,mesi: per tal mercato, abbisogna d'un intermediario,d'un intermediario che, per la propria personalità e perl'alta considerazione da cui è circondato, sia di garanziaai gioiellieri timorosi di fare credito per una cifra simile;ed è al cardinale che la regina ha pensato.

«Per farmi decidere – scrive il principe Luigi – la si-gnora de la Motte mi portò una supposta lettera della re-gina, in cui Sua Maestà pareva desiderosa d'acquistarela collana e diceva che, non avendo per il momento ifondi necessari e non volendo entrare in persona neiparticolari dei negoziati, le sarebbe stato gradito che iotrattassi l'affare, prendessi le opportune misure circal'acquisto e determinassi le epoche di pagamento conve-

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scenza del servizio reso loro. Essa rifiuta il dono. Nonagisce così che per essere loro utile. Si oppone anziall'essere considerata come intermediaria.

Il 24 gennaio, alle 7 del mattino, Giovanna torna daigioiellieri col marito, per annunziare la visita del princi-pe cardinale di Rohan.

«È soltanto con lui – insiste ancora una volta – chevoi prenderete tutti gli accordi e tutte le precauzioni ne-cessarie. Guardatevi bene dal dirgli che io sono immi-schiata nell'affare. Se ho potuto esservi utile, mi dichia-ro abbastanza ricompensata». E se ne va.

Poco dopo, giunge il cardinale. La signora de la Mot-te gli ha fatto credere che la regina desidera comperarequel gioiello, di nascosto dal re e a credito, trovandosiper il momento sprovvista di danaro. La regina pagheràa scadenze, aveva detto Giovanna di Valois, di tre in tre,mesi: per tal mercato, abbisogna d'un intermediario,d'un intermediario che, per la propria personalità e perl'alta considerazione da cui è circondato, sia di garanziaai gioiellieri timorosi di fare credito per una cifra simile;ed è al cardinale che la regina ha pensato.

«Per farmi decidere – scrive il principe Luigi – la si-gnora de la Motte mi portò una supposta lettera della re-gina, in cui Sua Maestà pareva desiderosa d'acquistarela collana e diceva che, non avendo per il momento ifondi necessari e non volendo entrare in persona neiparticolari dei negoziati, le sarebbe stato gradito che iotrattassi l'affare, prendessi le opportune misure circal'acquisto e determinassi le epoche di pagamento conve-

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nienti». Come mai il Cardinale potè credere alla realtàd'una commissione simile? Un libellista del tempo dicecon parole giustissime: «Ci si persuade tanto facilmentedi ciò che si desidera! Era un errore che non avrebbe se-dotto un uomo comune, avvezzo a mirarsi in acque tran-quille, a non calcolare se non cose del senso comune, ele cui idee lente e misurate si combinano con ogni passoche fa; ma era un errore che si doveva pensare possibi-lissimo nel caso del cardinale, il cui spirito vivace ed ir-requieto, gli faceva adottare per inclinazione, anzi perpassione, qualunque proposta che fosse suscettibiled'alimentare un sentimento, una veduta nuova, nei labi-rinti continui della sua fantasia».

Ecco Rohan dai Böhmer il 24 gennaio 1785. Il fini-mento gli sembra non abbia un bel disegno: è pesante,massiccio. Quel capriccio lo stupisce da parte d'unadonna dal buon gusto così sviluppato qual'è Maria Anto-nietta. Ma, poich'è tale la volontà della regina, il nego-zio è concluso. Il 29 gennaio, i gioielli vengono ricevutinel palazzo «di Strasburgo» e Rohan fissa le condizionimercè le quali verrà fatta la consegna della collana: unmilione e seicentomila lire, pagabili in due anni, perquarti, di sei in sei mesi: il primo versamento di quattro-centomila lire dovendo essere fatto dalla regina il 1°agosto 1785, la consegna avrebbe avuto luogo al 1° feb-braio. Il cardinale in persona scrive queste condizioni ele comunica alla signora de la Motte, affinchè venganosottoposte alla Sovrana e da lei ratificate. Il 30 gennaio,Giovanna ritorna. Sua Maestà approva le convenzioni,

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nienti». Come mai il Cardinale potè credere alla realtàd'una commissione simile? Un libellista del tempo dicecon parole giustissime: «Ci si persuade tanto facilmentedi ciò che si desidera! Era un errore che non avrebbe se-dotto un uomo comune, avvezzo a mirarsi in acque tran-quille, a non calcolare se non cose del senso comune, ele cui idee lente e misurate si combinano con ogni passoche fa; ma era un errore che si doveva pensare possibi-lissimo nel caso del cardinale, il cui spirito vivace ed ir-requieto, gli faceva adottare per inclinazione, anzi perpassione, qualunque proposta che fosse suscettibiled'alimentare un sentimento, una veduta nuova, nei labi-rinti continui della sua fantasia».

Ecco Rohan dai Böhmer il 24 gennaio 1785. Il fini-mento gli sembra non abbia un bel disegno: è pesante,massiccio. Quel capriccio lo stupisce da parte d'unadonna dal buon gusto così sviluppato qual'è Maria Anto-nietta. Ma, poich'è tale la volontà della regina, il nego-zio è concluso. Il 29 gennaio, i gioielli vengono ricevutinel palazzo «di Strasburgo» e Rohan fissa le condizionimercè le quali verrà fatta la consegna della collana: unmilione e seicentomila lire, pagabili in due anni, perquarti, di sei in sei mesi: il primo versamento di quattro-centomila lire dovendo essere fatto dalla regina il 1°agosto 1785, la consegna avrebbe avuto luogo al 1° feb-braio. Il cardinale in persona scrive queste condizioni ele comunica alla signora de la Motte, affinchè venganosottoposte alla Sovrana e da lei ratificate. Il 30 gennaio,Giovanna ritorna. Sua Maestà approva le convenzioni,

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dice, ma vorrebbe non dare la propria firma. Rohan insi-ste, l'affare è importante e gli occorre una parola di scrit-to. Finalmente, il 31 gennaio, la contessa gli porta a pa-lazzo una ratifica del trattato. È lo stesso foglio scrittodal cardinale e firmato dai Böhmer. In margine ad ogniclausola, c'è la parola «approvato» e in fondo, come fir-ma, «Maria Antonietta di Francia». Giovanna di Valoisaggiunge: «La regina, che agisce all'insaputa del re,sempre contrario per inclinazione a ad ogni spesa, haraccomandato in modo specialissimo di non lasciarviuscir di mano il biglietto. Non fatelo vedere a nessuno».

La vigiglia, Cagliostro, era tornato da Lione. Il princi-pe s'affrettò a consultarlo circa l'affare di cui era incari-cato.

«Quel Pitone – scrive l'abate Georgel – salì sul tripo-de. Le invocazioni egiziane vennero fatte di notte, allaluce di una grande quantità di candele, nel salone stessodel cardinale. L'oracolo, ispirato dal suo démone fami-liare, pronunziò che il negoziato era degno del principe,che avrebbe avuto esito completo, mettendo il sigilloalle bontà della regina, e avrebbe fatto spuntare il fortu-nato giorno in cui sarebbero state a scoperte, per il benedella Francia e dell'umanità, le rare doti del Cardinale».

Rassicurato completamente, Rohan, la mattina del 1°febbraio, scrive ai gioiellieri per sollecitarli alla conse-gna del gioiello. Costoro accorrono. Conseguano lo scri-gno e sentono allora che la collana è per la regina, noncredendo il cardinale di infrangere i voleri della sovranacol mostrar loro, per maggiore tranquillità, la carta fir-

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dice, ma vorrebbe non dare la propria firma. Rohan insi-ste, l'affare è importante e gli occorre una parola di scrit-to. Finalmente, il 31 gennaio, la contessa gli porta a pa-lazzo una ratifica del trattato. È lo stesso foglio scrittodal cardinale e firmato dai Böhmer. In margine ad ogniclausola, c'è la parola «approvato» e in fondo, come fir-ma, «Maria Antonietta di Francia». Giovanna di Valoisaggiunge: «La regina, che agisce all'insaputa del re,sempre contrario per inclinazione a ad ogni spesa, haraccomandato in modo specialissimo di non lasciarviuscir di mano il biglietto. Non fatelo vedere a nessuno».

La vigiglia, Cagliostro, era tornato da Lione. Il princi-pe s'affrettò a consultarlo circa l'affare di cui era incari-cato.

«Quel Pitone – scrive l'abate Georgel – salì sul tripo-de. Le invocazioni egiziane vennero fatte di notte, allaluce di una grande quantità di candele, nel salone stessodel cardinale. L'oracolo, ispirato dal suo démone fami-liare, pronunziò che il negoziato era degno del principe,che avrebbe avuto esito completo, mettendo il sigilloalle bontà della regina, e avrebbe fatto spuntare il fortu-nato giorno in cui sarebbero state a scoperte, per il benedella Francia e dell'umanità, le rare doti del Cardinale».

Rassicurato completamente, Rohan, la mattina del 1°febbraio, scrive ai gioiellieri per sollecitarli alla conse-gna del gioiello. Costoro accorrono. Conseguano lo scri-gno e sentono allora che la collana è per la regina, noncredendo il cardinale di infrangere i voleri della sovranacol mostrar loro, per maggiore tranquillità, la carta fir-

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mata: Maria Antonietta di Francia. Perchè Rohan eramolto buono. In quel momento era felice e voleva, nellasua bontà, che altri condividesse la sua gioia.

Lo stesso giorno, la signora de la Motte ritorna, impa-zientita.

«– La collana?«– Eccola.«– Sua Maestà l'aspetta oggi stesso.«– La porterò oggi stesso. Ma gli interessi delle som-

me fino al giorno del versamento?«– La regina li pagherà – risponde Giovanna».Ed esce, dopo aver fissato un appuntamento al cardi-

nale per la sera, a Versailles. Prima di salire in vettura, ilprincipe Luigi scrive ancora ai Böhmer per annunziarloro che riceveranno gli interessi decorrenti da un versa-mento all'altro; poi, munito dello scrigno, parte. È ac-compagnato dal suo cameriere, Schreiber, carico delprezioso fardello. La nebbia serale cade sui larghi vialidella città quando si giunge a casa della contessa, inpiazza Delfina. Sulla soglia, Rohan congeda il servitoree, prendendo la scatoletta, sale al primo piano. La signo-ra de la Motte è in casa. Ha predisposto tutto come inuna commedia. Rohan viene introdotto in una stanzadove c'è un'alcova di carta e comunicante con un picco-lo gabinetto per mezzo d'un uscio a vetri. Una «luce fo-sca» rischiara la stanza. La signora de la Motte intrave-de fra le mani del principe l'oggetto delle sue ingordigie.Si padroneggia.

«– La regina – dice – aspetta la collana».

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mata: Maria Antonietta di Francia. Perchè Rohan eramolto buono. In quel momento era felice e voleva, nellasua bontà, che altri condividesse la sua gioia.

Lo stesso giorno, la signora de la Motte ritorna, impa-zientita.

«– La collana?«– Eccola.«– Sua Maestà l'aspetta oggi stesso.«– La porterò oggi stesso. Ma gli interessi delle som-

me fino al giorno del versamento?«– La regina li pagherà – risponde Giovanna».Ed esce, dopo aver fissato un appuntamento al cardi-

nale per la sera, a Versailles. Prima di salire in vettura, ilprincipe Luigi scrive ancora ai Böhmer per annunziarloro che riceveranno gli interessi decorrenti da un versa-mento all'altro; poi, munito dello scrigno, parte. È ac-compagnato dal suo cameriere, Schreiber, carico delprezioso fardello. La nebbia serale cade sui larghi vialidella città quando si giunge a casa della contessa, inpiazza Delfina. Sulla soglia, Rohan congeda il servitoree, prendendo la scatoletta, sale al primo piano. La signo-ra de la Motte è in casa. Ha predisposto tutto come inuna commedia. Rohan viene introdotto in una stanzadove c'è un'alcova di carta e comunicante con un picco-lo gabinetto per mezzo d'un uscio a vetri. Una «luce fo-sca» rischiara la stanza. La signora de la Motte intrave-de fra le mani del principe l'oggetto delle sue ingordigie.Si padroneggia.

«– La regina – dice – aspetta la collana».

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Trascorrono alcuni minuti. Si odono i passi di unuomo che si fa annunziare: «Da parte della regina!».

Per discrezione, Rohan si ritira nell'alcova; ma ha ve-duto la figura del personaggio, un giovine alto, tutto ve-stito di nero, volto sottile e allungato, carnagione palli-da, occhi profondi e sopracciglia nere. Dall'andatura, ri-conosce lo stesso individuo che, nel mese d'agosto, ave-va annunziato nel boschetto la passeggiata di Madama edella contessa d'Artois. È infatti Rétaux di Villette, chesi è truccato. L'uomo consegna un biglietto. La contessalo fa uscire allora fin sul pianerottolo e, avvicinandosi alcardinale, gli legge il biglietto. La regina ordina di con-segnare la collana al portatore. Il cardinale porge lo scri-gno. La signora de la Motte lo dà al messaggero che hafatto rientrare; Rétaux lo prende e se ne va, dopo che lacontessa in persona gli ha aperto l'uscio. Giovanna diceal cardinale che quell'individuo è addetto alla musica delre e alla camera della regina. A sua volta, il prelatoprende congedo.

La sera, di ritorno in via Saint-Gilles, Giovanna diValois riceve il gioiello dalle mani del suo amante.

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Trascorrono alcuni minuti. Si odono i passi di unuomo che si fa annunziare: «Da parte della regina!».

Per discrezione, Rohan si ritira nell'alcova; ma ha ve-duto la figura del personaggio, un giovine alto, tutto ve-stito di nero, volto sottile e allungato, carnagione palli-da, occhi profondi e sopracciglia nere. Dall'andatura, ri-conosce lo stesso individuo che, nel mese d'agosto, ave-va annunziato nel boschetto la passeggiata di Madama edella contessa d'Artois. È infatti Rétaux di Villette, chesi è truccato. L'uomo consegna un biglietto. La contessalo fa uscire allora fin sul pianerottolo e, avvicinandosi alcardinale, gli legge il biglietto. La regina ordina di con-segnare la collana al portatore. Il cardinale porge lo scri-gno. La signora de la Motte lo dà al messaggero che hafatto rientrare; Rétaux lo prende e se ne va, dopo che lacontessa in persona gli ha aperto l'uscio. Giovanna diceal cardinale che quell'individuo è addetto alla musica delre e alla camera della regina. A sua volta, il prelatoprende congedo.

La sera, di ritorno in via Saint-Gilles, Giovanna diValois riceve il gioiello dalle mani del suo amante.

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XX.UN SUPPLEMENTO

DELLE «MILLE E UNA NOTTE».

Peccato che nessun documento ci riveli quello che av-venne in casa della contessa de la Motte, in via Neuve-Saint-Gilles, ai primi di febbraio del 1785! Il meravi-glioso gioiello è grossolanamente spezzato con un col-tello, sulla tavola, a finestre chiuse, con le tendine ab-bassate, fra due candele la cui luce viene attenuata. Ilconte, la contessa e Rétaux de Villette stanno curvi suquelle ricchezze e le nascondono in fondo ai cassettiall'avvicinarsi dei domestici.

Il mercoledì delle Ceneri, 9 febbraio, Giovanna inca-rica Rétaux de Villette di vendere dei frammenti dellacollana: Il 15 febbraio costui è già arrestato, con le ta-sche piene di diamanti.

Gli storici non hanno ancora notato il seguente fattoche basta tuttavia a denunziare i ladri, senza timore disbagliarsi. Il 12 febbraio, un ebreo, gioielliere al Petit-

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XX.UN SUPPLEMENTO

DELLE «MILLE E UNA NOTTE».

Peccato che nessun documento ci riveli quello che av-venne in casa della contessa de la Motte, in via Neuve-Saint-Gilles, ai primi di febbraio del 1785! Il meravi-glioso gioiello è grossolanamente spezzato con un col-tello, sulla tavola, a finestre chiuse, con le tendine ab-bassate, fra due candele la cui luce viene attenuata. Ilconte, la contessa e Rétaux de Villette stanno curvi suquelle ricchezze e le nascondono in fondo ai cassettiall'avvicinarsi dei domestici.

Il mercoledì delle Ceneri, 9 febbraio, Giovanna inca-rica Rétaux de Villette di vendere dei frammenti dellacollana: Il 15 febbraio costui è già arrestato, con le ta-sche piene di diamanti.

Gli storici non hanno ancora notato il seguente fattoche basta tuttavia a denunziare i ladri, senza timore disbagliarsi. Il 12 febbraio, un ebreo, gioielliere al Petit-

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Carreau, chiamato Adan, era venuto a trovare l'ispettoredi polizia del quartiere di Montmartre, Gian Fr. di Bru-gnières, per dirgli che un certo Rétaux de Villette porta-va attorno dei brillanti da smerciare, offrendoli ai mer-cati e agli ebrei a un prezzo tanto basso che nessuno vo-leva comperarli, sospettando un furto. Quest'uomo, di-ceva Adan, «aveva l'aria molto sospetta per il suo fare»e stava per partire alla volta dell'Olanda, coll'antiquarioAbramo Frane, per vendere colà dei diamanti. Adan ag-giungeva che Rétaux gli aveva promesso, se comperavada lui quelle prime pietre, di procurargliene molte altreuguali, fra cui ce ne sarebbero state di bellissime.

Brugnières fa una perquisizione presso l'amico dellasignora de la Motte, nell'appartamento da lui occupatoal quinto piano d'una casa in via Saint-Louis au Marais.Lo costringe a fare una dichiarazione al commissariatodel quartiere. Confuso, esitante, Rétaux finisce col con-fessare che ha ricevuto i diamanti da una signora di no-bile condizione, parente del re, che si chiama la contessadi Valois La Motte. Se ha stentato a pronunziarne ilnome, si è perchè la signora l'ha pregato di non dir nul-la. Non vuole che quel nome venga messo per iscritto.Abbiamo già visto che Giovanna era stata sorvegliatadalla polizia. Si sapeva che essa «faceva degli affari» esiccome non era giunta nessuna querela per furto di gio-ielli, si credette che si trattasse anche stavolta d'uno diquesti affari di cui Giovanna era solita incaricarsi, gua-dagnandoci, si capisce. Giovanna di Valois se la cavòdunque con la paura, ma l'avventura le apre gli occhi

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Carreau, chiamato Adan, era venuto a trovare l'ispettoredi polizia del quartiere di Montmartre, Gian Fr. di Bru-gnières, per dirgli che un certo Rétaux de Villette porta-va attorno dei brillanti da smerciare, offrendoli ai mer-cati e agli ebrei a un prezzo tanto basso che nessuno vo-leva comperarli, sospettando un furto. Quest'uomo, di-ceva Adan, «aveva l'aria molto sospetta per il suo fare»e stava per partire alla volta dell'Olanda, coll'antiquarioAbramo Frane, per vendere colà dei diamanti. Adan ag-giungeva che Rétaux gli aveva promesso, se comperavada lui quelle prime pietre, di procurargliene molte altreuguali, fra cui ce ne sarebbero state di bellissime.

Brugnières fa una perquisizione presso l'amico dellasignora de la Motte, nell'appartamento da lui occupatoal quinto piano d'una casa in via Saint-Louis au Marais.Lo costringe a fare una dichiarazione al commissariatodel quartiere. Confuso, esitante, Rétaux finisce col con-fessare che ha ricevuto i diamanti da una signora di no-bile condizione, parente del re, che si chiama la contessadi Valois La Motte. Se ha stentato a pronunziarne ilnome, si è perchè la signora l'ha pregato di non dir nul-la. Non vuole che quel nome venga messo per iscritto.Abbiamo già visto che Giovanna era stata sorvegliatadalla polizia. Si sapeva che essa «faceva degli affari» esiccome non era giunta nessuna querela per furto di gio-ielli, si credette che si trattasse anche stavolta d'uno diquesti affari di cui Giovanna era solita incaricarsi, gua-dagnandoci, si capisce. Giovanna di Valois se la cavòdunque con la paura, ma l'avventura le apre gli occhi

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circa il pericolo di negoziare a Parigi diamanti in ecces-siva quantità. Decide che suo marito vada in Inghilterraa smerciare la parte maggiore della collana, e, d'altraparte, insiste perchè Rétaux vada a vendere dei brillantiin Olanda. Ma quest'ultimo non si cura affatto dellacommissione.

La Motte partì alla volta di Londra il 10 o il 12 aprilein compagnia d'un capitano irlandese al servizio dellaFrancia, il cavaliere Giovanni O' Neil. Un cappuccinoirlandese, il Padre Bartolomeo Mac Dermott, che avevasoggiornato nel convento del suo ordine a Bar-sur-Aube,dove il conte l'aveva conosciuto, e ch'era elemosinieredell'ambasciata di Francia in Inghilterra, gli rese deigrandi servigi. La Motte diceva che i suoi diamanti pro-venivano dalla fibbia d'una cintura, vecchio gioiello dicasa sua ormai fuori di moda e di cui desiderava disfar-si. Entra in relazione coi primi gioiellieri di Londra, Ro-berto e William Gray, associati in New Bond Street, eNataniele Jefferys, gioielliere a Picadilly, che in seguitopoi invieranno le loro dichiarazioni al processo. Il contesi presentava con le mani piene di brillanti del più altovalore. Alcuni, dissero i gioiellieri, erano intaccati,come se fossero stati strappati da un'acconciatura, damano frettolosa e maldestra, con un coltello. Erano idiamanti della collana. I gioiellieri li riconobbero piùtardi dai disegni che vennero loro trasmessi per cura diBöhmer e Bassenge. La Motte li offriva talmente al di-sotto del valore che, a loro volta, i gioiellieri inglesi so-spettarono il furto. Fecero assumere informazioni

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circa il pericolo di negoziare a Parigi diamanti in ecces-siva quantità. Decide che suo marito vada in Inghilterraa smerciare la parte maggiore della collana, e, d'altraparte, insiste perchè Rétaux vada a vendere dei brillantiin Olanda. Ma quest'ultimo non si cura affatto dellacommissione.

La Motte partì alla volta di Londra il 10 o il 12 aprilein compagnia d'un capitano irlandese al servizio dellaFrancia, il cavaliere Giovanni O' Neil. Un cappuccinoirlandese, il Padre Bartolomeo Mac Dermott, che avevasoggiornato nel convento del suo ordine a Bar-sur-Aube,dove il conte l'aveva conosciuto, e ch'era elemosinieredell'ambasciata di Francia in Inghilterra, gli rese deigrandi servigi. La Motte diceva che i suoi diamanti pro-venivano dalla fibbia d'una cintura, vecchio gioiello dicasa sua ormai fuori di moda e di cui desiderava disfar-si. Entra in relazione coi primi gioiellieri di Londra, Ro-berto e William Gray, associati in New Bond Street, eNataniele Jefferys, gioielliere a Picadilly, che in seguitopoi invieranno le loro dichiarazioni al processo. Il contesi presentava con le mani piene di brillanti del più altovalore. Alcuni, dissero i gioiellieri, erano intaccati,come se fossero stati strappati da un'acconciatura, damano frettolosa e maldestra, con un coltello. Erano idiamanti della collana. I gioiellieri li riconobbero piùtardi dai disegni che vennero loro trasmessi per cura diBöhmer e Bassenge. La Motte li offriva talmente al di-sotto del valore che, a loro volta, i gioiellieri inglesi so-spettarono il furto. Fecero assumere informazioni

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all'ambasciata di Francia, ma siccome di furti di dia-manti tuttora non si parlava, acconsentirono a negoziare.Comperarono dal La Motte dei brillanti per più di due-centoquarantamila franchi, pagati in parte in contanti eparte con una lettera di cambio su Perregaux, banchierea Parigi; altri, per un valore di sessantamila franchi ven-nero dal conte lasciati in mano loro per essere montati ingioielli di vario genere; e altri finalmente, rappresentantiuna somma di ottomila lire sterline, furono frettolosa-mente scambiati contro oggetti eterocliti di cui abbiamola lista: un assortimento di orologi con catena, boccoledi rubini, tabacchiere con miniature, collane di perle,orecchini e un anello di brillanti, «un parafuoco, un im-buto col suo vetro, due bellissime spade d'acciaio, quat-tro rasoi, duemila aghi, un cavaturaccioli, una spilla percamicia, un paio di mollette per asparagi, un portafoglidi seta, una borsa, un coltellone per trinciare e relativaforchetta, un sifone, due astucci per stuzzicadenti, ecc.»,e tutta «una paccotiglia» di perle e un lotto d'altri gioiel-li. Una collana a una fila e un paio di orecchini conse-gnati dal gioielliere Gray vengono, da soli, stimati tre-mila sterline e la paccotiglia di perle ha un valore egua-le.

Se si pensa al deprezzamento subito dai brillanti per ilfatto d'essere tolti dall'acconciatura, sofferendo dei gua-sti prodotti da colui che li aveva estratti dal castone, eper il ribasso accordato dal La Motte nella sua fretta didisfarsene, si vede che la maggior parte della Collana fuda lui venduta, scambiata o lasciata fra le mani dei gio-

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all'ambasciata di Francia, ma siccome di furti di dia-manti tuttora non si parlava, acconsentirono a negoziare.Comperarono dal La Motte dei brillanti per più di due-centoquarantamila franchi, pagati in parte in contanti eparte con una lettera di cambio su Perregaux, banchierea Parigi; altri, per un valore di sessantamila franchi ven-nero dal conte lasciati in mano loro per essere montati ingioielli di vario genere; e altri finalmente, rappresentantiuna somma di ottomila lire sterline, furono frettolosa-mente scambiati contro oggetti eterocliti di cui abbiamola lista: un assortimento di orologi con catena, boccoledi rubini, tabacchiere con miniature, collane di perle,orecchini e un anello di brillanti, «un parafuoco, un im-buto col suo vetro, due bellissime spade d'acciaio, quat-tro rasoi, duemila aghi, un cavaturaccioli, una spilla percamicia, un paio di mollette per asparagi, un portafoglidi seta, una borsa, un coltellone per trinciare e relativaforchetta, un sifone, due astucci per stuzzicadenti, ecc.»,e tutta «una paccotiglia» di perle e un lotto d'altri gioiel-li. Una collana a una fila e un paio di orecchini conse-gnati dal gioielliere Gray vengono, da soli, stimati tre-mila sterline e la paccotiglia di perle ha un valore egua-le.

Se si pensa al deprezzamento subito dai brillanti per ilfatto d'essere tolti dall'acconciatura, sofferendo dei gua-sti prodotti da colui che li aveva estratti dal castone, eper il ribasso accordato dal La Motte nella sua fretta didisfarsene, si vede che la maggior parte della Collana fuda lui venduta, scambiata o lasciata fra le mani dei gio-

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iellieri Gray e Jefferys. Dal canto suo, la signora de laMotte, vende dei diamanti a Parigi, approfitta della pre-senza in casa sua d'un certo signor Filliau, di Bar-surAu-be, per fargli vendere a uno dei suoi cugini gioielliereper 30.000 lire di diamanti. Aveva un debito di 12.650lire con Régnier, il suo gioielliere, che salda appunto inquest'epoca, non in moneta, ma in diamanti. Gliene ven-de inoltre per 27.540 lire e gliene affida per 50.000 lireperchè li adoperi a comprare finimenti varii. Nel mesedi giugno, gliene porta ancora per 16.000 lire dicendoglistavolta ch'è incaricata di venderli per conto di un'amicasua. Pure in diamanti; si libera d'un debito contratto con«messer Mardoché, in via degli Orsi». Compera, pagan-do sempre in diamanti, cavalli, carrozze, livree, due oro-logi a pendolo, di cui l'orologiaio Furet riceve 2.700 lirein due brillanti, («deux pois à oille») che vengon procu-rati da un ebreo. E, con tutti quei brillanti sparsi a larghemani, Régnier vede ancora in casa di lei uno scrigno dibrillanti che valuta 100 mila lire a dir poco, e il conte dela Motte ne conserva, dal canto suo, presso di sè, per30.000 lire. È dunque l'intera collana che vediamo cosìsmembrata e sparpagliata da Giovanna di Valois e dasuo marito fra le mani dei negozianti di Parigi e di Lon-dra e di cui troviamo gli avanzi nei loro stessi scrigni.

Non c'è da meravigliarsi che la contessa giudicassenecessaria in quel momento una nuova assenza del car-dinale. Si vide dunque giungere a quest'ultimo un'altraletterina orlata d'una striscia azzurra. «Quei biglietti –dice Georgel – erano fra le mani della signora de la

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iellieri Gray e Jefferys. Dal canto suo, la signora de laMotte, vende dei diamanti a Parigi, approfitta della pre-senza in casa sua d'un certo signor Filliau, di Bar-surAu-be, per fargli vendere a uno dei suoi cugini gioielliereper 30.000 lire di diamanti. Aveva un debito di 12.650lire con Régnier, il suo gioielliere, che salda appunto inquest'epoca, non in moneta, ma in diamanti. Gliene ven-de inoltre per 27.540 lire e gliene affida per 50.000 lireperchè li adoperi a comprare finimenti varii. Nel mesedi giugno, gliene porta ancora per 16.000 lire dicendoglistavolta ch'è incaricata di venderli per conto di un'amicasua. Pure in diamanti; si libera d'un debito contratto con«messer Mardoché, in via degli Orsi». Compera, pagan-do sempre in diamanti, cavalli, carrozze, livree, due oro-logi a pendolo, di cui l'orologiaio Furet riceve 2.700 lirein due brillanti, («deux pois à oille») che vengon procu-rati da un ebreo. E, con tutti quei brillanti sparsi a larghemani, Régnier vede ancora in casa di lei uno scrigno dibrillanti che valuta 100 mila lire a dir poco, e il conte dela Motte ne conserva, dal canto suo, presso di sè, per30.000 lire. È dunque l'intera collana che vediamo cosìsmembrata e sparpagliata da Giovanna di Valois e dasuo marito fra le mani dei negozianti di Parigi e di Lon-dra e di cui troviamo gli avanzi nei loro stessi scrigni.

Non c'è da meravigliarsi che la contessa giudicassenecessaria in quel momento una nuova assenza del car-dinale. Si vide dunque giungere a quest'ultimo un'altraletterina orlata d'una striscia azzurra. «Quei biglietti –dice Georgel – erano fra le mani della signora de la

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Motte la bacchetta incantata di Circe». La regina dicevain esso: «La vostra assenza diventa necessaria per le mi-sure che devo prendere allo scopo di collocarvi nel po-sto che vi è dovuto». Giovanna intanto preparava l'opi-nione ad accogliere il suo brusco mutamento di fortunaannunziando a tutti che suo marito tornava dall'Inghil-terra dopo aver vinto alle corse delle somme rilevanti.

Il marito torna da Londra la notte dal 2 al 3 giugno e,come se spuntassero dal suolo, ecco cavalli, livree, car-rozze, mobili, bronzi, marmi, cristalli, un lusso abba-gliante. I visitatori si divertivano in via Neuve-Saint-Gilles con un uccello automatico che cantava battendole ali: la contessa l'aveva avuto in cambio d'un diamantedi 1500 lire. Una immensa quantità di mobili vien spedi-ta a Barsur-Rube: quarantadue carri in fila li trasportano.È Padre Loth che ha sorvegliato l'imballaggio e diretto iltrasporto. Tessier, tappezziere, di via San Luigi, ha for-nito stoffe, tappezzerie, tappeti per cinquantamila fran-chi; Gervais, Fournier ed Héricourt, del sobborgoSant'Antonio, hanno dato i mobili; Chévalier le statue dibronzo, Adam i marmi, Sikes i cristalli. Si ammirava unletto di velluto crémisi, guarnito di frangie e gallonid'oro, cosparso di lustrini e di perle. Gli sposi La Motteebbero a Bar-sur-Aube sei vetture e dodici cavalli. Gio-vanna prediligeva «il suo calesse leggero, a foggia dipallone, alto più di dieci piedi».

Aveva fatto il suo ingresso nella cittadina, precedutada parecchie staffette, seduta a destra del marito nellasua berlina inglese verniciata in grigio perla con stem-

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Motte la bacchetta incantata di Circe». La regina dicevain esso: «La vostra assenza diventa necessaria per le mi-sure che devo prendere allo scopo di collocarvi nel po-sto che vi è dovuto». Giovanna intanto preparava l'opi-nione ad accogliere il suo brusco mutamento di fortunaannunziando a tutti che suo marito tornava dall'Inghil-terra dopo aver vinto alle corse delle somme rilevanti.

Il marito torna da Londra la notte dal 2 al 3 giugno e,come se spuntassero dal suolo, ecco cavalli, livree, car-rozze, mobili, bronzi, marmi, cristalli, un lusso abba-gliante. I visitatori si divertivano in via Neuve-Saint-Gilles con un uccello automatico che cantava battendole ali: la contessa l'aveva avuto in cambio d'un diamantedi 1500 lire. Una immensa quantità di mobili vien spedi-ta a Barsur-Rube: quarantadue carri in fila li trasportano.È Padre Loth che ha sorvegliato l'imballaggio e diretto iltrasporto. Tessier, tappezziere, di via San Luigi, ha for-nito stoffe, tappezzerie, tappeti per cinquantamila fran-chi; Gervais, Fournier ed Héricourt, del sobborgoSant'Antonio, hanno dato i mobili; Chévalier le statue dibronzo, Adam i marmi, Sikes i cristalli. Si ammirava unletto di velluto crémisi, guarnito di frangie e gallonid'oro, cosparso di lustrini e di perle. Gli sposi La Motteebbero a Bar-sur-Aube sei vetture e dodici cavalli. Gio-vanna prediligeva «il suo calesse leggero, a foggia dipallone, alto più di dieci piedi».

Aveva fatto il suo ingresso nella cittadina, precedutada parecchie staffette, seduta a destra del marito nellasua berlina inglese verniciata in grigio perla con stem-

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ma, foderata di panno bianco, con cuscini e grembiali diseta bianca: lo stemma portava le armi dei Valois con ladivisa: Rege ab avo sanguinem, nomen et lilia,(dell'antenato re ho il sangue, il nome e i gigli). L'equi-paggio era composto da quattro giumente inglesi dallacoda corta. Di dietro, i valletti; e sul predellino, per apri-re lo sportello, «un negro ricoperto d'argento da capo apiedi». Faceva strabiliare ancora di più la gioielleria e ilcorredo della signora, la cascata di diamanti, l'acconcia-tura di topazi, le vesti in stoffe ricamate di Lione. Eccola descrizione di una di esse, tolta dall'inventario d'unusciere che non si diffonde in esagerazioni poetiche:«Raso bianco, ricamato in oro, argento e seta di varii co-lori, con ghirlande e spighe; e le suddette ghirlande cir-condate di velluto nero e di piume e orlate di velo diseta con applicazioni di mazzolini staccati di varii colo-ri».

Quanto al conte, egli portava tutte le dita adorne dirubini e smeraldi, e passeggiava con tre o quattro catened'orologio sul petto. Ecco la sua guardaroba: un vestitodi raso, giacca e calzoni, punteggiati bianco e nero; unaltro di quattro stagioni, in velluto; un altro di primaverae autunno in velluto, con bottoni di diamanti; abito ecalzoni di velluto crémisi in ricamo di Lione, con lustri-ni d'oro, bottoni d'oro cesellato, giacca di raso pure rica-mata in oro; un frac di seta in tinta a varii colori; un abi-to di panno color rospo, bottoni dorati alla turca; un fracdi seta incannettata e bottoni d'argento, ad astri, con dia-manti attorno; un frac di seta color ciliegia; un frac di

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ma, foderata di panno bianco, con cuscini e grembiali diseta bianca: lo stemma portava le armi dei Valois con ladivisa: Rege ab avo sanguinem, nomen et lilia,(dell'antenato re ho il sangue, il nome e i gigli). L'equi-paggio era composto da quattro giumente inglesi dallacoda corta. Di dietro, i valletti; e sul predellino, per apri-re lo sportello, «un negro ricoperto d'argento da capo apiedi». Faceva strabiliare ancora di più la gioielleria e ilcorredo della signora, la cascata di diamanti, l'acconcia-tura di topazi, le vesti in stoffe ricamate di Lione. Eccola descrizione di una di esse, tolta dall'inventario d'unusciere che non si diffonde in esagerazioni poetiche:«Raso bianco, ricamato in oro, argento e seta di varii co-lori, con ghirlande e spighe; e le suddette ghirlande cir-condate di velluto nero e di piume e orlate di velo diseta con applicazioni di mazzolini staccati di varii colo-ri».

Quanto al conte, egli portava tutte le dita adorne dirubini e smeraldi, e passeggiava con tre o quattro catened'orologio sul petto. Ecco la sua guardaroba: un vestitodi raso, giacca e calzoni, punteggiati bianco e nero; unaltro di quattro stagioni, in velluto; un altro di primaverae autunno in velluto, con bottoni di diamanti; abito ecalzoni di velluto crémisi in ricamo di Lione, con lustri-ni d'oro, bottoni d'oro cesellato, giacca di raso pure rica-mata in oro; un frac di seta in tinta a varii colori; un abi-to di panno color rospo, bottoni dorati alla turca; un fracdi seta incannettata e bottoni d'argento, ad astri, con dia-manti attorno; un frac di seta color ciliegia; un frac di

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panno color pistacchio; un abito nero in panno di seta,alamari di seta e bottoni uguali, giacca e calzoni idem;un vestito di mussola di seta rigata e tinta con bottonieguali; un abito di seta camellotto ad alamari, bottoniuguali; un vestito di panno verde spigato d'oro e argen-to, risvolti a colletto di velluto crémisi, bottoni di cornodi cervo; abito color verdemare, bottoni d'ottone giallo;frac di panno tinto in bruno, foderato di seta, bottonid'ottone dorato; vestito color carne ricamato, di seta, congiacca e calzoni; frac di seta rigata incannettata turchi-no; vestito di panno di cotone con guarnizioni. Tuttoquesto, senza contare i vestiti che il conte de la Motte siportò in Inghilterra e non si trovano in questo elenco,senza contare i fazzoletti di tela battista con pizzi di Ma-lines, i polsini e le gale in punto d'Inghilterra, le camiciedi tela fine, tutti gli accessorii della toletta e tutti i vestitiusuali, vestiti per casa, vesti da camera, ecc.

La coppia comitale dava feste su feste, e un ricevi-mento dopo l'altro: c'era sempre tavola imbandita. Sipranzava in casa loro anche quando essi non c'erano. Illusso di casa, in vasellame e in servitù, era tale che lagente del paese non ne aveva mai visto di consimili; matutti avevano conosciuto la miseria di Nicolao de laMotte e quella di Giovanna di Valois. E, come osservaBeugnot, che si trovava in quel momento a Bar-sur-Aube, non ci si incontrava più, per via, senza chiedersiche cosa fosse quel supplemento alle «Mille e una not-te».

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panno color pistacchio; un abito nero in panno di seta,alamari di seta e bottoni uguali, giacca e calzoni idem;un vestito di mussola di seta rigata e tinta con bottonieguali; un abito di seta camellotto ad alamari, bottoniuguali; un vestito di panno verde spigato d'oro e argen-to, risvolti a colletto di velluto crémisi, bottoni di cornodi cervo; abito color verdemare, bottoni d'ottone giallo;frac di panno tinto in bruno, foderato di seta, bottonid'ottone dorato; vestito color carne ricamato, di seta, congiacca e calzoni; frac di seta rigata incannettata turchi-no; vestito di panno di cotone con guarnizioni. Tuttoquesto, senza contare i vestiti che il conte de la Motte siportò in Inghilterra e non si trovano in questo elenco,senza contare i fazzoletti di tela battista con pizzi di Ma-lines, i polsini e le gale in punto d'Inghilterra, le camiciedi tela fine, tutti gli accessorii della toletta e tutti i vestitiusuali, vestiti per casa, vesti da camera, ecc.

La coppia comitale dava feste su feste, e un ricevi-mento dopo l'altro: c'era sempre tavola imbandita. Sipranzava in casa loro anche quando essi non c'erano. Illusso di casa, in vasellame e in servitù, era tale che lagente del paese non ne aveva mai visto di consimili; matutti avevano conosciuto la miseria di Nicolao de laMotte e quella di Giovanna di Valois. E, come osservaBeugnot, che si trovava in quel momento a Bar-sur-Aube, non ci si incontrava più, per via, senza chiedersiche cosa fosse quel supplemento alle «Mille e una not-te».

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Questi fatti contribuiscono a far capire Giovanna diValois. Per grandi che fossero le risorse finanziarie ches'era procurate, lo sperpero era senza misura. Non pen-sava, alla vita quotidiana, all'indomani? Una collana delvalore d'un milione le sarebbe forse capitata fra le maniogni mese? Qui si ritrova la mendicante che passa dallamiseria a uno sfoggio sproporzionato. Di proporzione,d'ordine e di misura non ne poteva avere; nessuna edu-cazione, nessuna abitudine di vita familiare gliene ave-vano dato.

A sua volta, dunque, eccola sdraiata fra i cuscini diraso turchino, in una carrozza tirata da sei cavalli, la pic-cola mendicante che un tempo, intirizzita dal freddo, se-guiva con gli occhioni sgomenti le grandi signore chepassavano trasportate, come entro nidi di sete e di pizzi,dalle loro vetture rilucenti e rumorose sul selciato dellestrade del re.

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Questi fatti contribuiscono a far capire Giovanna diValois. Per grandi che fossero le risorse finanziarie ches'era procurate, lo sperpero era senza misura. Non pen-sava, alla vita quotidiana, all'indomani? Una collana delvalore d'un milione le sarebbe forse capitata fra le maniogni mese? Qui si ritrova la mendicante che passa dallamiseria a uno sfoggio sproporzionato. Di proporzione,d'ordine e di misura non ne poteva avere; nessuna edu-cazione, nessuna abitudine di vita familiare gliene ave-vano dato.

A sua volta, dunque, eccola sdraiata fra i cuscini diraso turchino, in una carrozza tirata da sei cavalli, la pic-cola mendicante che un tempo, intirizzita dal freddo, se-guiva con gli occhioni sgomenti le grandi signore chepassavano trasportate, come entro nidi di sete e di pizzi,dalle loro vetture rilucenti e rumorose sul selciato dellestrade del re.

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XXI.BETTE D'ETIENVILLE

BORGHESE DI SAINT-OMER.

La signora de la Motte era in possesso della collanadal 1° febbraio 1785.

Qualche giorno dopo, l'8 o il 9 dello stesso mese, uncerto Bette d'Etienville, che venuto da Saint-Omer persollecitare il privilegio degli almanacchi cantanti, fre-quentava nei circoli allora nascenti, giornalisti e novel-lieri, fu avvicinato al caffè di Valois, verso i giardini delPalais-Royal, da un privato che gli disse chiamarsi Au-geard ed essere l'intendente d'una signora dell'aristocra-zia. «I suoi capelli biondi – dice d'Etienville – comincia-vano a brizzolarsi. Aveva poco adipe; occhio aperto eazzurro e statura un po' più alta della comune». Era Ré-taux de Villette. La conoscenza venne presto fatta. Dopoaver ottenuto la promessa d'una fiducia illimitata, d'unadocilità senza limiti e d'una discrezione a tutta prova,l'intendente Augeard dichiarò al compagno che stava

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XXI.BETTE D'ETIENVILLE

BORGHESE DI SAINT-OMER.

La signora de la Motte era in possesso della collanadal 1° febbraio 1785.

Qualche giorno dopo, l'8 o il 9 dello stesso mese, uncerto Bette d'Etienville, che venuto da Saint-Omer persollecitare il privilegio degli almanacchi cantanti, fre-quentava nei circoli allora nascenti, giornalisti e novel-lieri, fu avvicinato al caffè di Valois, verso i giardini delPalais-Royal, da un privato che gli disse chiamarsi Au-geard ed essere l'intendente d'una signora dell'aristocra-zia. «I suoi capelli biondi – dice d'Etienville – comincia-vano a brizzolarsi. Aveva poco adipe; occhio aperto eazzurro e statura un po' più alta della comune». Era Ré-taux de Villette. La conoscenza venne presto fatta. Dopoaver ottenuto la promessa d'una fiducia illimitata, d'unadocilità senza limiti e d'una discrezione a tutta prova,l'intendente Augeard dichiarò al compagno che stava

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per fare la sua fortuna. E il compagno ne aveva propriobisogno.

Gian Carlo Vincenzo Bette, che si firmava: «de Betted'Etienville, borghese che vive nobilmente del proprionella città di Saint-Omer» era un giovine ventisettenne,figlio d'uno scalpellino, che mai aveva avuto un soldo disuo. Dopo aver studiato chirurgia a Lilla – è noto quantofossero rudimentali simili studi in quell'epoca, – avevaottenuto un brevetto di sotto-aiutante negli ospedalidell'armata. Si raccontava la storia delle sue nozze conuna vecchia zitella. Era già fissato il giorno, quandoBette, andando a teatro, vide recitare Nannina. La partedella baronessa d'Olban lo colpì. «Se per caso stessi persposare una baronessa d'Olban!». Quest'idea lo spaven-tava. Si nasconde presso un amico e l'indomani partealla volta di Lilla; ma la sua futura sposa, informata diquei passi, s'era già messa nella diligenza, così che, sulfar del giorno, Bette si trovò a fianco la promessa sposa.La faccenda s'aggiustò: l'uno non era spaventato chedall'idea del matrimonio, l'altra si decise a farne a meno.Giungono dalla madre di Bette, dicendosi sposati, e vi-vono insieme. Ora, la damigella era davvero un po' ba-ronessa d'Olban. È litigiosa, la madre si lamenta e Bette,credendo di sbarazzarsene, svela il trucco. Ma sua ma-dre era donna scrupolosa e li fece sposare sul serio.

Il vagheggino restò diciotto mesi con la moglie «vi-vendo nobilmente del proprio». Un giorno, essa ricusòdi lasciar vendere il poco che gliene rimaneva. E Bettela rinchiuse immediatamente nel convento di Santa Ca-

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per fare la sua fortuna. E il compagno ne aveva propriobisogno.

Gian Carlo Vincenzo Bette, che si firmava: «de Betted'Etienville, borghese che vive nobilmente del proprionella città di Saint-Omer» era un giovine ventisettenne,figlio d'uno scalpellino, che mai aveva avuto un soldo disuo. Dopo aver studiato chirurgia a Lilla – è noto quantofossero rudimentali simili studi in quell'epoca, – avevaottenuto un brevetto di sotto-aiutante negli ospedalidell'armata. Si raccontava la storia delle sue nozze conuna vecchia zitella. Era già fissato il giorno, quandoBette, andando a teatro, vide recitare Nannina. La partedella baronessa d'Olban lo colpì. «Se per caso stessi persposare una baronessa d'Olban!». Quest'idea lo spaven-tava. Si nasconde presso un amico e l'indomani partealla volta di Lilla; ma la sua futura sposa, informata diquei passi, s'era già messa nella diligenza, così che, sulfar del giorno, Bette si trovò a fianco la promessa sposa.La faccenda s'aggiustò: l'uno non era spaventato chedall'idea del matrimonio, l'altra si decise a farne a meno.Giungono dalla madre di Bette, dicendosi sposati, e vi-vono insieme. Ora, la damigella era davvero un po' ba-ronessa d'Olban. È litigiosa, la madre si lamenta e Bette,credendo di sbarazzarsene, svela il trucco. Ma sua ma-dre era donna scrupolosa e li fece sposare sul serio.

Il vagheggino restò diciotto mesi con la moglie «vi-vendo nobilmente del proprio». Un giorno, essa ricusòdi lasciar vendere il poco che gliene rimaneva. E Bettela rinchiuse immediatamente nel convento di Santa Ca-

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terina a Saint-Omer, per andare a cercare miglior fortu-na a Parigi. Alloggiava in via del Petit-Lion, presso il si-gnor Lefèvre, distillatore d'aceto, nell'epoca in cuis'imbattè nel sedicente Augeard, che dicendosi inten-dente d'una signora di nobile condizione, non era altriche Rétaux de Villette. La carità pubblica aveva proprioallora fatto uscire Rette dalla «Force», ove per debitistringenti lo avevano imprigionato.

Augeard dichiara dunque a d'Etienville che farà la suafortuna. «Questo piano – risponde d'Etienville – entraproprio nelle mie idee». Non si tratta, dice Augeard, chedi trovare un gentiluomo titolato che voglia sposare unasignora ancora giovane e bella, dal volto molto piacevo-le e dal carattere dolcissimo, con venticinquemila lire direndita, e della cui sorte s'interessa in modo particolareun gran signore del regno. «Voi avvertirete questo genti-luomo – prosegue Augeard – ch'egli non potrà vedere lasua futura se non il giorno del matrimonio, e l'indurretead avere fiducia. Gli direte pure che se, per contratto nu-ziale, verrà stipulata la separazione dei beni, egli verràindennizzato con una pensione di 6000 lire e riceverà unricco dono il giorno del matrimonio; che gli pagherannotutti i debiti e gli faranno ottenere, se è militare, il postoche chiederà, anche se fosse già occupato». Non venivaposta che una sola condizione: che il gentiluomo in pa-rola fosse di nobiltà autentica e producesse i titoli peressere esaminati prima di procedere oltre.

«Accettai – dice Bette – con entusiasmo simili propo-ste». Il giorno stesso si mette in campagna, rivolgendosi

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terina a Saint-Omer, per andare a cercare miglior fortu-na a Parigi. Alloggiava in via del Petit-Lion, presso il si-gnor Lefèvre, distillatore d'aceto, nell'epoca in cuis'imbattè nel sedicente Augeard, che dicendosi inten-dente d'una signora di nobile condizione, non era altriche Rétaux de Villette. La carità pubblica aveva proprioallora fatto uscire Rette dalla «Force», ove per debitistringenti lo avevano imprigionato.

Augeard dichiara dunque a d'Etienville che farà la suafortuna. «Questo piano – risponde d'Etienville – entraproprio nelle mie idee». Non si tratta, dice Augeard, chedi trovare un gentiluomo titolato che voglia sposare unasignora ancora giovane e bella, dal volto molto piacevo-le e dal carattere dolcissimo, con venticinquemila lire direndita, e della cui sorte s'interessa in modo particolareun gran signore del regno. «Voi avvertirete questo genti-luomo – prosegue Augeard – ch'egli non potrà vedere lasua futura se non il giorno del matrimonio, e l'indurretead avere fiducia. Gli direte pure che se, per contratto nu-ziale, verrà stipulata la separazione dei beni, egli verràindennizzato con una pensione di 6000 lire e riceverà unricco dono il giorno del matrimonio; che gli pagherannotutti i debiti e gli faranno ottenere, se è militare, il postoche chiederà, anche se fosse già occupato». Non venivaposta che una sola condizione: che il gentiluomo in pa-rola fosse di nobiltà autentica e producesse i titoli peressere esaminati prima di procedere oltre.

«Accettai – dice Bette – con entusiasmo simili propo-ste». Il giorno stesso si mette in campagna, rivolgendosi

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IL CONTE DE LA MOTTE

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IL CONTE DE LA MOTTE

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in primo luogo al conte Saverio di Vinezac, capitano difanteria addetto al maresciallo di Mailly, ma che nonfornisce i titoli richiesti. Non è più fortunato con il si-gnor Laurio-Vissec, avvocato al Parlamento. Costui, adir vero, già sessantenne, sarebbe parso un po' maturoper il matrimonio. La curiosa storia non aveva tardato adivulgarsi. Luigi Cardinal di Beaurepaire, antico genti-luomo servente della regina, aveva fatto conoscere lecondizioni del matrimonio all'abate di Saint-André, ele-mosiniere del principe di Condé, che ne informò, conlettera del 22 maggio, Roger-Guillaume, barone Fages-Chaulnes, guardia del corpo di «Monsieur». Il barone deFages, cadetto di Guascogna, fanfarone e pieno di debi-ti, sembrava l'individuo fatto apposta. Fu del resto il suostesso parere, poichè s'affrettò a correre dall'abate Mu-lot, canonico priore di Saint-Victor, che s'era interessatoa Bette quando costui era in prigione. L'abate Mulotmise il barone in rapporto col borghese di Saint-Omer. Idue uomini s'intesero a meraviglia e Bette, nei giardinidel Palais-Royal, potè annunziare ad Augeard che ilgentiluomo s'era trovato.

Dunque il gentiluomo è trovato. «Povero ma sensibiledi cuore», così si definisce lo stesso barone di Fages.Non l'interesse l'ha fatto decidere, bensì il ritratto dellapretendente: «doni di natura, capacità varie, doti di cuo-re e di mente, nascita illustre a tutta prova, legami di pa-rentela importanti, una sostanza disponibile di 25.000lire di titoli di rendita che doveva per lo meno quintupli-

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in primo luogo al conte Saverio di Vinezac, capitano difanteria addetto al maresciallo di Mailly, ma che nonfornisce i titoli richiesti. Non è più fortunato con il si-gnor Laurio-Vissec, avvocato al Parlamento. Costui, adir vero, già sessantenne, sarebbe parso un po' maturoper il matrimonio. La curiosa storia non aveva tardato adivulgarsi. Luigi Cardinal di Beaurepaire, antico genti-luomo servente della regina, aveva fatto conoscere lecondizioni del matrimonio all'abate di Saint-André, ele-mosiniere del principe di Condé, che ne informò, conlettera del 22 maggio, Roger-Guillaume, barone Fages-Chaulnes, guardia del corpo di «Monsieur». Il barone deFages, cadetto di Guascogna, fanfarone e pieno di debi-ti, sembrava l'individuo fatto apposta. Fu del resto il suostesso parere, poichè s'affrettò a correre dall'abate Mu-lot, canonico priore di Saint-Victor, che s'era interessatoa Bette quando costui era in prigione. L'abate Mulotmise il barone in rapporto col borghese di Saint-Omer. Idue uomini s'intesero a meraviglia e Bette, nei giardinidel Palais-Royal, potè annunziare ad Augeard che ilgentiluomo s'era trovato.

Dunque il gentiluomo è trovato. «Povero ma sensibiledi cuore», così si definisce lo stesso barone di Fages.Non l'interesse l'ha fatto decidere, bensì il ritratto dellapretendente: «doni di natura, capacità varie, doti di cuo-re e di mente, nascita illustre a tutta prova, legami di pa-rentela importanti, una sostanza disponibile di 25.000lire di titoli di rendita che doveva per lo meno quintupli-

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care». Si vede dunque benissimo che, fra tante ragionidi sposare, il danaro non era la ragione preponderante.

Una colpa, a dir vero, offusca quest'elogio. «La futurasposa è vittima d'un fallo che certe persone non soglionoperdonare». È il barone di Fages che parla tuttora. Labella è madre d'un figlio quindicenne avuto un tempo daun gran signore. Ci sarà il figlio oltre la madre. Ma ilnostro gentiluomo è di cuor generoso. «Non crede cheuno sbaglio, cancellato da lagrime di pentimento, sia undelitto imperdonabile. Se il ritratto è somigliante – ecome dubitarne se le somme vengono esattamente depo-sitate presso il notaio? – non esiterà ad unire la propriasorte a quella d'una donna ch'egli crede non meno ri-spettabile che infelice». Nobile disprezzo dei vecchipregiudizi!

Il 3 aprile, Augeard informa il borghese di Saint-Omer che si è contentissimi de' suoi buoni uffici, ch'eglipuò considerare come fatta la propria fortuna e chel'indomani verrà presentato alla signora in parola. Infat-ti, il 4 aprile, alle dieci di sera, in vettura da piazza conle tendine abbassate, Augeard conduce il nostro uomo inuna casa intorno a cui gli è severamente proibito, congravi minaccie, chiedere informazioni. «Se cercate disapere in quale luogo vi abbia condotto, siete un uomomorto». Si entra da un portone basso, i cui battenti ven-gono immediatamente rinchiusi. Al primo piano, c'è unasala in cui d'Etienville viene presentato a una donnasimpatica, che stava sola e gli fa graziosissima acco-glienza. Aveva trentaquattr'anni circa, una certa rotondi-

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care». Si vede dunque benissimo che, fra tante ragionidi sposare, il danaro non era la ragione preponderante.

Una colpa, a dir vero, offusca quest'elogio. «La futurasposa è vittima d'un fallo che certe persone non soglionoperdonare». È il barone di Fages che parla tuttora. Labella è madre d'un figlio quindicenne avuto un tempo daun gran signore. Ci sarà il figlio oltre la madre. Ma ilnostro gentiluomo è di cuor generoso. «Non crede cheuno sbaglio, cancellato da lagrime di pentimento, sia undelitto imperdonabile. Se il ritratto è somigliante – ecome dubitarne se le somme vengono esattamente depo-sitate presso il notaio? – non esiterà ad unire la propriasorte a quella d'una donna ch'egli crede non meno ri-spettabile che infelice». Nobile disprezzo dei vecchipregiudizi!

Il 3 aprile, Augeard informa il borghese di Saint-Omer che si è contentissimi de' suoi buoni uffici, ch'eglipuò considerare come fatta la propria fortuna e chel'indomani verrà presentato alla signora in parola. Infat-ti, il 4 aprile, alle dieci di sera, in vettura da piazza conle tendine abbassate, Augeard conduce il nostro uomo inuna casa intorno a cui gli è severamente proibito, congravi minaccie, chiedere informazioni. «Se cercate disapere in quale luogo vi abbia condotto, siete un uomomorto». Si entra da un portone basso, i cui battenti ven-gono immediatamente rinchiusi. Al primo piano, c'è unasala in cui d'Etienville viene presentato a una donnasimpatica, che stava sola e gli fa graziosissima acco-glienza. Aveva trentaquattr'anni circa, una certa rotondi-

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tà. un bel viso ed occhi neri. Chiese con molto interessedei particolari sul barone di Fages, discorrendone confi-denzialmente, come fra vecchi amici: tutto quello chegliene disse d'Etienville ottenne il suo consenso. La suaconversazione era piena di spirito. A notte inoltrata, ilborghese di Saint-Omer tornò a Palais-Royal, sempre invettura da nolo, dalle cortine chiuse. Erano rimastid'accordo di rivedersi l'indomani.

Ricerche ulteriori fecero poi ritrovare a d'Etienville ildomicilio misterioso dove veniva condotto in tal mododi notte: era il numero 13 della via Neuve-Saint-Gilles,dimora appunto della signora de la Motte. Quanto allagraziosa donna con cui si incontrava, è facile identifi-carla: era quell'altra signora de la Motte, che si chiama-va da ragazza Maria Giuseppa Francesca di Nalburg-Frohberg; la stessa ch'era stata rinchiusa nella Bastigliaper truffe in cui aveva compromesso il nome della regi-na, della contessa di Polignac e della principessa diLamballe, poi trasferita dalla Bastiglia presso il sum-mentovato Macé che teneva pensione per i detenuti im-prigionati per rescritto reale; e di qui quasi subito evasa.S'era messa in salvo in Germania donde era tornata inFrancia.

Etienville doveva aver fatto una buona impressione,perchè, fin dal 5 aprile, al secondo convegno notturno,le confidenze si fecero intime. Il gran signore in questio-ne, il famoso protettore, non era altri – così ella gli disse– che il principe Luigi, grande elemosiniere di Francia ecardinale-vescovo di Strasburgo. Quanto a lei – la bella

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tà. un bel viso ed occhi neri. Chiese con molto interessedei particolari sul barone di Fages, discorrendone confi-denzialmente, come fra vecchi amici: tutto quello chegliene disse d'Etienville ottenne il suo consenso. La suaconversazione era piena di spirito. A notte inoltrata, ilborghese di Saint-Omer tornò a Palais-Royal, sempre invettura da nolo, dalle cortine chiuse. Erano rimastid'accordo di rivedersi l'indomani.

Ricerche ulteriori fecero poi ritrovare a d'Etienville ildomicilio misterioso dove veniva condotto in tal mododi notte: era il numero 13 della via Neuve-Saint-Gilles,dimora appunto della signora de la Motte. Quanto allagraziosa donna con cui si incontrava, è facile identifi-carla: era quell'altra signora de la Motte, che si chiama-va da ragazza Maria Giuseppa Francesca di Nalburg-Frohberg; la stessa ch'era stata rinchiusa nella Bastigliaper truffe in cui aveva compromesso il nome della regi-na, della contessa di Polignac e della principessa diLamballe, poi trasferita dalla Bastiglia presso il sum-mentovato Macé che teneva pensione per i detenuti im-prigionati per rescritto reale; e di qui quasi subito evasa.S'era messa in salvo in Germania donde era tornata inFrancia.

Etienville doveva aver fatto una buona impressione,perchè, fin dal 5 aprile, al secondo convegno notturno,le confidenze si fecero intime. Il gran signore in questio-ne, il famoso protettore, non era altri – così ella gli disse– che il principe Luigi, grande elemosiniere di Francia ecardinale-vescovo di Strasburgo. Quanto a lei – la bella

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sconosciuta – era nota col nome di Mella di Courville;nome però (spontaneamente aggiunse ella stessa) sottocui se ne velava un altro, il vero. In seguito poi confidòa d'Etienville di chiamarsi in realtà baronessa di Salz-berg, canonichessa, un tempo, del convento di Colmarin Alsazia, dove, giovinetta, Rohan l'aveva sedotta, poicondotta seco a Vienna, a Parigi, a Strasburgo. Si tratta-va ora d'assicurare le sorti della creatura nata daquell'unione.

Accanto alla signora di Courville, Etienville trovòstavolta un terzo personaggio che disse chiamarsi Mar-cilly ma che veniva famigliarmente detto «il magistra-to» oppure «il consigliere»: un ometto sulla quarantina,pallido e magro, con parrucca a due codini e in abitonero. I connotati tradivano il conte de la Motte. Questomagistrato, che pareva essere nell'intimità della signora,raccomandò la massima prudenza e il silenzio più asso-luto. Durante quel secondo convegno, quando de Mar-cilly se ne fu andato, la signora di Courville fece vedereal nostro chirurgo aiutante maggiore una parte dei bril-lanti non montati, racchiusi entro una cassettina comu-nissima: diceva che erano stati stimati 432.000 lire.«Non ho mai visto nulla di più magnifico – scrived'Etienville – tanto per lo splendore quanto per la gros-sezza; vedendomi stupefatto, essa aggiunse che queidiamanti provenivano da una cascata di cui le aveva fat-to dono il cardinale; ma che, non essendo più alla modatal genere di montatura, era decisa a venderli prima disposarsi. Mi fece anzi capire, in quell'occasione, che io

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sconosciuta – era nota col nome di Mella di Courville;nome però (spontaneamente aggiunse ella stessa) sottocui se ne velava un altro, il vero. In seguito poi confidòa d'Etienville di chiamarsi in realtà baronessa di Salz-berg, canonichessa, un tempo, del convento di Colmarin Alsazia, dove, giovinetta, Rohan l'aveva sedotta, poicondotta seco a Vienna, a Parigi, a Strasburgo. Si tratta-va ora d'assicurare le sorti della creatura nata daquell'unione.

Accanto alla signora di Courville, Etienville trovòstavolta un terzo personaggio che disse chiamarsi Mar-cilly ma che veniva famigliarmente detto «il magistra-to» oppure «il consigliere»: un ometto sulla quarantina,pallido e magro, con parrucca a due codini e in abitonero. I connotati tradivano il conte de la Motte. Questomagistrato, che pareva essere nell'intimità della signora,raccomandò la massima prudenza e il silenzio più asso-luto. Durante quel secondo convegno, quando de Mar-cilly se ne fu andato, la signora di Courville fece vedereal nostro chirurgo aiutante maggiore una parte dei bril-lanti non montati, racchiusi entro una cassettina comu-nissima: diceva che erano stati stimati 432.000 lire.«Non ho mai visto nulla di più magnifico – scrived'Etienville – tanto per lo splendore quanto per la gros-sezza; vedendomi stupefatto, essa aggiunse che queidiamanti provenivano da una cascata di cui le aveva fat-to dono il cardinale; ma che, non essendo più alla modatal genere di montatura, era decisa a venderli prima disposarsi. Mi fece anzi capire, in quell'occasione, che io

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le avevo ispirato una fiducia così grande da indurla adaffidarmeli se volessi recarmi a venderli in Olanda; male risposi che non potevo assumermene l'incarico nonessendo affatto conoscitore. Essa non insistè». Se la si-gnora de la Motte non avesse, in seguito, confessato laparte da lei presa nell'intrigo della signora di Courville,basterebbero queste righe di Bette d'Etienville a darneuna prova.

La misteriosa storia del fidanzamento del barone diFages con la signora di Courville è interessante perchèlumeggia vivamente il genere d'intrigo di Giovanna diValois. Rétaux scova al Palais-Royal Bette d'Etienville,così come La Motte vi aveva trovato la baronessa d'Oli-va. Sono le stesse scene notturne, preordinate comecommedie di cui la signora de la Motte fa muovere ipersonaggi secondo la parte ch'ella ha distribuito loro.Si tratta, nell'uno e nell'altro caso, di conti, di consiglie-ri, di nobili dame inventate dalla sua fantasia, invenzio-ne che la diverte, a quanto pare. Quale interesse ci fosseper la signora de la Motte nello svolgimento di tuttoquell'intrigo, venne poi spiegato dal barone di Fages inquesto modo:

«Una così grande quantità di diamanti racchiusi entrouna sola mano non poteva tanto facilmente venire di-spersa e sarebbe stato facilissimo ritrovarne le tracce;occorreva chi facesse da intermediario, o avesse l'aria difarlo, degli esseri immaginarii la cui identificazione es-sendo impossibile avrebbe del pari reso impossibile lascoperta della verità. E fu quello che appunto escogita-

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le avevo ispirato una fiducia così grande da indurla adaffidarmeli se volessi recarmi a venderli in Olanda; male risposi che non potevo assumermene l'incarico nonessendo affatto conoscitore. Essa non insistè». Se la si-gnora de la Motte non avesse, in seguito, confessato laparte da lei presa nell'intrigo della signora di Courville,basterebbero queste righe di Bette d'Etienville a darneuna prova.

La misteriosa storia del fidanzamento del barone diFages con la signora di Courville è interessante perchèlumeggia vivamente il genere d'intrigo di Giovanna diValois. Rétaux scova al Palais-Royal Bette d'Etienville,così come La Motte vi aveva trovato la baronessa d'Oli-va. Sono le stesse scene notturne, preordinate comecommedie di cui la signora de la Motte fa muovere ipersonaggi secondo la parte ch'ella ha distribuito loro.Si tratta, nell'uno e nell'altro caso, di conti, di consiglie-ri, di nobili dame inventate dalla sua fantasia, invenzio-ne che la diverte, a quanto pare. Quale interesse ci fosseper la signora de la Motte nello svolgimento di tuttoquell'intrigo, venne poi spiegato dal barone di Fages inquesto modo:

«Una così grande quantità di diamanti racchiusi entrouna sola mano non poteva tanto facilmente venire di-spersa e sarebbe stato facilissimo ritrovarne le tracce;occorreva chi facesse da intermediario, o avesse l'aria difarlo, degli esseri immaginarii la cui identificazione es-sendo impossibile avrebbe del pari reso impossibile lascoperta della verità. E fu quello che appunto escogita-

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rono. Una donna da sposare, una donna che per situazio-ne sociale e condizioni particolari fosse atta a giustifica-re i sacrifici d'un uomo giusto e generoso, in proporzio-ne della sua ricchezza e dignità; ecco l'ipotetica creaturache bisognava procreare. D'Etienville, tanto meno so-spettato quanto più è isolato e oscuro, era l'individuo de-stinato a far valere quella persona inesistente».

La signora de la Motte inoltre, per il giorno in cui ilfurto della collana fosse stato scoperto e la colpa attri-buita al cardinale, preparava così il fatto necessario aspiegare l'urgente bisogno di denaro da parte di costuiche l'avrebbe indotto ad appropriarsi della collana. Diràquindi in uno de' suoi interrogatorii: «Ho visto quella si-gnora di Courville, carica di diamanti, in casa del cardi-nale di Rohan, durante la settimana santa»: e altrove: «Ilsignor cardinale voleva farla sposare e darle 500.000lire; nel mese d'aprile mi sollecitava di scrivere a miomarito per farlo tornare presto da Londra coi fondi ne-cessarî». E sperava infine di trovare in Etienville un uti-le collaboratore per la vendita dei brillanti.

Alla fine di quella prima settimana d'aprile, Etienvilleandò ad annunziare al suo nuovo amico, il barone di Fa-ges, che le nozze avrebbero avuto luogo quel giornostesso nella cappella del palazzo Soubise, in via deiFranchi-Borghesi, alle undici di sera, coi semplici testi-moni da ambe le parti. Fages indossa adunque i suoiabiti migliori e aspetta incrollabile che vengano a cer-carlo. Mentre stava così aspettando nel suo appartamen-to in via Neuve-Saint-Gilles, in compagnia della fidan-

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rono. Una donna da sposare, una donna che per situazio-ne sociale e condizioni particolari fosse atta a giustifica-re i sacrifici d'un uomo giusto e generoso, in proporzio-ne della sua ricchezza e dignità; ecco l'ipotetica creaturache bisognava procreare. D'Etienville, tanto meno so-spettato quanto più è isolato e oscuro, era l'individuo de-stinato a far valere quella persona inesistente».

La signora de la Motte inoltre, per il giorno in cui ilfurto della collana fosse stato scoperto e la colpa attri-buita al cardinale, preparava così il fatto necessario aspiegare l'urgente bisogno di denaro da parte di costuiche l'avrebbe indotto ad appropriarsi della collana. Diràquindi in uno de' suoi interrogatorii: «Ho visto quella si-gnora di Courville, carica di diamanti, in casa del cardi-nale di Rohan, durante la settimana santa»: e altrove: «Ilsignor cardinale voleva farla sposare e darle 500.000lire; nel mese d'aprile mi sollecitava di scrivere a miomarito per farlo tornare presto da Londra coi fondi ne-cessarî». E sperava infine di trovare in Etienville un uti-le collaboratore per la vendita dei brillanti.

Alla fine di quella prima settimana d'aprile, Etienvilleandò ad annunziare al suo nuovo amico, il barone di Fa-ges, che le nozze avrebbero avuto luogo quel giornostesso nella cappella del palazzo Soubise, in via deiFranchi-Borghesi, alle undici di sera, coi semplici testi-moni da ambe le parti. Fages indossa adunque i suoiabiti migliori e aspetta incrollabile che vengano a cer-carlo. Mentre stava così aspettando nel suo appartamen-to in via Neuve-Saint-Gilles, in compagnia della fidan-

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zata, del signor di Marcilly e d'un altro personaggio conindosso una levita di «petit-gris» e un cappello rotondocon un cordone e delle ghiande d'oro e a cui tutti parla-vano con grande deferenza. Era – d'Etienville non nedubitò neppure per un attimo – il principe Luigi, cardi-nale di Rohan.

Quel cardinale si mostrò affabile e gentile, ringraziò ilborghese di Saint-Omer di ciò che faceva per lui assicu-randolo che non l'avrebbe dimenticato. «Ma – diceva –per ragioni importanti, le nozze non potranno aver luogoprima del 15 luglio». D'Etienville esclamò: «E il baronedi Fages?». Il cardinale ribattè: «Gli scriveremo una let-tera».

Allora d'Etienville obbietta che quel ritardo può de-stare dei timori. Un indennizzo di 30.000 lire nel caso incui il matrimonio non si facesse più viene subito sotto-scritto e debitamente firmato, in data 26 aprile, giorno incui verrà consegnato l'impegno assunto.

L'indomani, d'Etienville trova l'amico Fages furibon-do; ma, udendo la storia dell'indennizzo si calma; effet-tivamente, il 26 aprile, Bette gli mostra una busta chiusacon cinque suggelli di cera rosea, contenente – egli dice– la preziosa carta.

È tanto preziosa quella carta che i nostri due amiciprendono la precauzione di depositarla fra le manidell'abate Francesco Mulot, canonico regolare e prioredi San Vittore. Costui riceve il piego suggellato e nonsospetta affatto ch'esso non contenga un indennizzo di30.000 lire, dal momento che un gentiluomo e un bor-

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zata, del signor di Marcilly e d'un altro personaggio conindosso una levita di «petit-gris» e un cappello rotondocon un cordone e delle ghiande d'oro e a cui tutti parla-vano con grande deferenza. Era – d'Etienville non nedubitò neppure per un attimo – il principe Luigi, cardi-nale di Rohan.

Quel cardinale si mostrò affabile e gentile, ringraziò ilborghese di Saint-Omer di ciò che faceva per lui assicu-randolo che non l'avrebbe dimenticato. «Ma – diceva –per ragioni importanti, le nozze non potranno aver luogoprima del 15 luglio». D'Etienville esclamò: «E il baronedi Fages?». Il cardinale ribattè: «Gli scriveremo una let-tera».

Allora d'Etienville obbietta che quel ritardo può de-stare dei timori. Un indennizzo di 30.000 lire nel caso incui il matrimonio non si facesse più viene subito sotto-scritto e debitamente firmato, in data 26 aprile, giorno incui verrà consegnato l'impegno assunto.

L'indomani, d'Etienville trova l'amico Fages furibon-do; ma, udendo la storia dell'indennizzo si calma; effet-tivamente, il 26 aprile, Bette gli mostra una busta chiusacon cinque suggelli di cera rosea, contenente – egli dice– la preziosa carta.

È tanto preziosa quella carta che i nostri due amiciprendono la precauzione di depositarla fra le manidell'abate Francesco Mulot, canonico regolare e prioredi San Vittore. Costui riceve il piego suggellato e nonsospetta affatto ch'esso non contenga un indennizzo di30.000 lire, dal momento che un gentiluomo e un bor-

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ghese di Saint-Omer, senz'avere veduto – nè l'uno nèl'altro – che cosa contenga la busta, glielo attestano –l'uno e l'altro – serissimamente. Egli promette d'avernegran cura: si vedrà quale partito i nostri buontemponi ri-caveranno da tale circostanza.

Giungiamo al momento più inverosimile di questo in-verosimile eppur veridico racconto, che desterà in tuttaParigi, noto che sia, la più esilarante incredulità. Allafine di maggio, la signora di Courville annunziò al no-stro chirurgo aiutante maggiore che stava per partire allavolta d'una terra di sua proprietà di cui non gli disse ilnome proponendogli, non appena insediata colà di man-darlo a cercare per una breve permanenza di alcuni gior-ni che per lui sarebbe stata un riposo ed uno svago.D'Etienville accettò. Venivano sempre imposte le stessecondizioni misteriose: viaggio di notte in vettura chiusae proibizione assoluta di informarsi del luogo. D'Etien-ville acconsentì. E le cose avvennero come era stato det-to. Augeard, ch'era venuto a prenderlo, non lasciò nem-meno per un secondo solo il nostro uomo, durante ilviaggio d'andata, la permanenza e il viaggio di ritorno.Per tre o quattr'ore viaggiarono di notte. Il castello erabellissimo. Il parco. immenso, toccava le sponde d'unfiume che d'Etienville, volendo precisare, dichiarò poiessere la Senna a meno che non fosse... la Marna. Quel-lo che maggiormente lo colpì fu il gabinetto della signo-ra, tutto a specchi e dorature. C'erano là, con la bella si-gnora de Courville, Marcilly il magistrato, Augeardl'intendente, ed un signore che chiamavano il barone,

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ghese di Saint-Omer, senz'avere veduto – nè l'uno nèl'altro – che cosa contenga la busta, glielo attestano –l'uno e l'altro – serissimamente. Egli promette d'avernegran cura: si vedrà quale partito i nostri buontemponi ri-caveranno da tale circostanza.

Giungiamo al momento più inverosimile di questo in-verosimile eppur veridico racconto, che desterà in tuttaParigi, noto che sia, la più esilarante incredulità. Allafine di maggio, la signora di Courville annunziò al no-stro chirurgo aiutante maggiore che stava per partire allavolta d'una terra di sua proprietà di cui non gli disse ilnome proponendogli, non appena insediata colà di man-darlo a cercare per una breve permanenza di alcuni gior-ni che per lui sarebbe stata un riposo ed uno svago.D'Etienville accettò. Venivano sempre imposte le stessecondizioni misteriose: viaggio di notte in vettura chiusae proibizione assoluta di informarsi del luogo. D'Etien-ville acconsentì. E le cose avvennero come era stato det-to. Augeard, ch'era venuto a prenderlo, non lasciò nem-meno per un secondo solo il nostro uomo, durante ilviaggio d'andata, la permanenza e il viaggio di ritorno.Per tre o quattr'ore viaggiarono di notte. Il castello erabellissimo. Il parco. immenso, toccava le sponde d'unfiume che d'Etienville, volendo precisare, dichiarò poiessere la Senna a meno che non fosse... la Marna. Quel-lo che maggiormente lo colpì fu il gabinetto della signo-ra, tutto a specchi e dorature. C'erano là, con la bella si-gnora de Courville, Marcilly il magistrato, Augeardl'intendente, ed un signore che chiamavano il barone,

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una signora vedova d'un consigliere, un giovinetto quin-dicenne col suo precettore. Questo giovinetto, detto datutti «il cavalierino» era precisamente il figlio della si-gnora di Courville e del cardinale. D'Etienville trascorsein quella compagnia alcune belle giornate e il 3, o il 4giugno, se ne tornò, assolutamente incantato. Ebbero unbel dirgli – dopo – che tutto questo era assurdo e incre-dibile: egli tenne duro.

Ne' suoi interrogatori, confronti, processi verbali, neimemoriali e consulti de' suoi avvocati, Bette non si ri-crede circa il suo castello fatato dove, accanto alla avve-nente M.lla di Courville, aveva trascorso giornate incan-tevoli. Chi bisogna credere? Trattandosi della signora dela Motte, può anche darsi che sia così; però, Bette fu unromanziere dalla fantasia feconda, che pubblicò un certonumero di romanzi d'amore, ognuno dei quali in parec-chi volumi. Giudichi il lettore.

Non appena tornato a Parigi, il 4 giugno, d'Etienvillescrisse al barone di Fages per narrargli la sua gita. Ag-giungeva che la signora avrebbe avuto 100.000 scudi dititoli di rendita; a tale scopo, contava di fare col maritoun viaggio in Germania.

D'Etienville e il barone amico suo erano in tal guisasempre tenuti in sospeso. Una volta erano i gioielli vistitra le mani della signora e da lei destinati al futuro mari-to (afferma il borghese di Saint-Omer); un'altra voltal'assicurazione che la cerimonia fissata a metà luglionon avrebbe subito ulteriori ritardi. Il 1° luglio, il baronedi Fages sollecita e ottiene dal proprio capitano, il si-

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una signora vedova d'un consigliere, un giovinetto quin-dicenne col suo precettore. Questo giovinetto, detto datutti «il cavalierino» era precisamente il figlio della si-gnora di Courville e del cardinale. D'Etienville trascorsein quella compagnia alcune belle giornate e il 3, o il 4giugno, se ne tornò, assolutamente incantato. Ebbero unbel dirgli – dopo – che tutto questo era assurdo e incre-dibile: egli tenne duro.

Ne' suoi interrogatori, confronti, processi verbali, neimemoriali e consulti de' suoi avvocati, Bette non si ri-crede circa il suo castello fatato dove, accanto alla avve-nente M.lla di Courville, aveva trascorso giornate incan-tevoli. Chi bisogna credere? Trattandosi della signora dela Motte, può anche darsi che sia così; però, Bette fu unromanziere dalla fantasia feconda, che pubblicò un certonumero di romanzi d'amore, ognuno dei quali in parec-chi volumi. Giudichi il lettore.

Non appena tornato a Parigi, il 4 giugno, d'Etienvillescrisse al barone di Fages per narrargli la sua gita. Ag-giungeva che la signora avrebbe avuto 100.000 scudi dititoli di rendita; a tale scopo, contava di fare col maritoun viaggio in Germania.

D'Etienville e il barone amico suo erano in tal guisasempre tenuti in sospeso. Una volta erano i gioielli vistitra le mani della signora e da lei destinati al futuro mari-to (afferma il borghese di Saint-Omer); un'altra voltal'assicurazione che la cerimonia fissata a metà luglionon avrebbe subito ulteriori ritardi. Il 1° luglio, il baronedi Fages sollecita e ottiene dal proprio capitano, il si-

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gnor di Chabriau, l'autorizzazione per il matrimonio. Ilcardinale di Rohan, a detta di Marcilly, non era rimastoa Parigi che per assistere alla cerimonia nuziale, rifiu-tando di recarsi a Saverne dove avrebbe tuttavia dovutoandare per ricevere il principe di Condé che intendevapassare una rivista militare a Strasburgo.

Ma il 15 luglio le nozze non avvengono.Il 18 luglio, nuovo convegno, in via Neuve-Saint-Gil-

les, fra d'Etienville, la signora di Courville e il cardinale.Costui indossa stavolta una levita color viola cupo. Ilborghese di Saint-Omer comincia a dar segni d'impa-zienza; il cardinale dice che la colpa è della signora diCourville:

«Le ho promesso 500.000 lire ed essa non vuole spo-sarsi se prima la somma non è versata.

«Non nascondevo alla signora di Courville – diceBette – che se possedeva dei diamanti tanto grossi comequelli che m'aveva mostrato dicendomi che facevanoparte d'un finimento di cui più non si curava, voleva direch'era abbastanza ricca da potersi sposare senza doveraspettare la somma rilevante per il versamento dellaquale io credevo d'essermi accordato ch'ella sollecitasseil signor cardinale. Ma essa rispose che la vendita n'eraoltremodo difficile per ragioni che non poteva conosce-re».

Il matrimonio venne dunque nuovamente fissato al 12agosto. Per calmare l'amico de Fages, Bette gli confidache il cardinale destinava a lui un regalo magnifico, unabellissima vettura con due cavalli grigio-cenere. All'aba-

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gnor di Chabriau, l'autorizzazione per il matrimonio. Ilcardinale di Rohan, a detta di Marcilly, non era rimastoa Parigi che per assistere alla cerimonia nuziale, rifiu-tando di recarsi a Saverne dove avrebbe tuttavia dovutoandare per ricevere il principe di Condé che intendevapassare una rivista militare a Strasburgo.

Ma il 15 luglio le nozze non avvengono.Il 18 luglio, nuovo convegno, in via Neuve-Saint-Gil-

les, fra d'Etienville, la signora di Courville e il cardinale.Costui indossa stavolta una levita color viola cupo. Ilborghese di Saint-Omer comincia a dar segni d'impa-zienza; il cardinale dice che la colpa è della signora diCourville:

«Le ho promesso 500.000 lire ed essa non vuole spo-sarsi se prima la somma non è versata.

«Non nascondevo alla signora di Courville – diceBette – che se possedeva dei diamanti tanto grossi comequelli che m'aveva mostrato dicendomi che facevanoparte d'un finimento di cui più non si curava, voleva direch'era abbastanza ricca da potersi sposare senza doveraspettare la somma rilevante per il versamento dellaquale io credevo d'essermi accordato ch'ella sollecitasseil signor cardinale. Ma essa rispose che la vendita n'eraoltremodo difficile per ragioni che non poteva conosce-re».

Il matrimonio venne dunque nuovamente fissato al 12agosto. Per calmare l'amico de Fages, Bette gli confidache il cardinale destinava a lui un regalo magnifico, unabellissima vettura con due cavalli grigio-cenere. All'aba-

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te di Sant'Andrea sarebbe toccata una bella badia, quelladi Saint-Vaast probabilmente, di cui il prelato era com-mendatario. Quanto al dono preparato dalla signora diCourville allo sposo consisteva in uno stupendo «néces-saire» d'argento dorato, con l'aggiunta d'un orologio concatena ambedue tempestati di diamanti, di due anelliadorni di pietre preziose e d'una tabacchiera col ritrattodella signora stessa, una meraviglia d'arte e di fattura.D'Etienville ha visto tutto co' suoi occhi. Ha visto inol-tre dell'argenteria principesca, stimata sessantamila lire,di cui il cardinale ha fatto un presente alla baronessa e ilportafogli contenente le 100.000 lire, in biglietti neridella cassa di sconto che la contessa di Courville darà almarito il giorno delle nozze. Fages ascolta, gli sembratutto bello, bellissimo, ma trova anche che tarda troppoa venire.

Quello che rende interessanti gli intrighi della signorade la Motte, non è soltanto l'audacia delle concezioni,ma il complicato e sbalorditivo groviglio delle invenzio-ni da lei messe in opera, il numero dei personaggi che faagire, foggiando per ciascuno una parte speciale di cuivede a colpo d'occhio lo svolgimento completo, e facen-doli manovrare in modo da farli concordare ad uno sco-po unico, al momento giusto, con una precisione stupe-facente e una conoscenza psicologica dei caratteri danessun drammaturgo superata.

Ma, mentre in Nicoletta Leguay, che fece così grazio-samente la parte della baronessa d'Oliva, Giovanna ave-va trovato una piccina fiduciosa, timida, tranquilla, nella

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te di Sant'Andrea sarebbe toccata una bella badia, quelladi Saint-Vaast probabilmente, di cui il prelato era com-mendatario. Quanto al dono preparato dalla signora diCourville allo sposo consisteva in uno stupendo «néces-saire» d'argento dorato, con l'aggiunta d'un orologio concatena ambedue tempestati di diamanti, di due anelliadorni di pietre preziose e d'una tabacchiera col ritrattodella signora stessa, una meraviglia d'arte e di fattura.D'Etienville ha visto tutto co' suoi occhi. Ha visto inol-tre dell'argenteria principesca, stimata sessantamila lire,di cui il cardinale ha fatto un presente alla baronessa e ilportafogli contenente le 100.000 lire, in biglietti neridella cassa di sconto che la contessa di Courville darà almarito il giorno delle nozze. Fages ascolta, gli sembratutto bello, bellissimo, ma trova anche che tarda troppoa venire.

Quello che rende interessanti gli intrighi della signorade la Motte, non è soltanto l'audacia delle concezioni,ma il complicato e sbalorditivo groviglio delle invenzio-ni da lei messe in opera, il numero dei personaggi che faagire, foggiando per ciascuno una parte speciale di cuivede a colpo d'occhio lo svolgimento completo, e facen-doli manovrare in modo da farli concordare ad uno sco-po unico, al momento giusto, con una precisione stupe-facente e una conoscenza psicologica dei caratteri danessun drammaturgo superata.

Ma, mentre in Nicoletta Leguay, che fece così grazio-samente la parte della baronessa d'Oliva, Giovanna ave-va trovato una piccina fiduciosa, timida, tranquilla, nella

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persona di Bette d'Etienville ha invece messo in motoun giovinotto che non tarda a far comunella con quattroo cinque compari della sua risma i quali, con una spon-taneità che la signora de la Motte non si aspettava certo,vogliono sbrigare le cose a modo loro, audacemente, infretta, alla diavola, e fare della bella signora di Courvil-le, vera o falsa che fosse – ed era proprio questo l'ultimodei loro pensieri! – una realtà tangibile ch'empisse lorole tasche.

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persona di Bette d'Etienville ha invece messo in motoun giovinotto che non tarda a far comunella con quattroo cinque compari della sua risma i quali, con una spon-taneità che la signora de la Motte non si aspettava certo,vogliono sbrigare le cose a modo loro, audacemente, infretta, alla diavola, e fare della bella signora di Courvil-le, vera o falsa che fosse – ed era proprio questo l'ultimodei loro pensieri! – una realtà tangibile ch'empisse lorole tasche.

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XXIIIL FIDANZAMENTO

DEL BARONE DI FAGES.

Il barone di Fages non era uomo da trascinare le coseper le lunghe. Non appena Bette gli ebbe parlato, il 5aprile, di matrimonio, egli andò, insieme all'abate diSant'Andrea e a Colavier d'Albissy, antico presidentedella Luisiana francese, a ordinare dei gioielli a Loque,l'orefice di Pont-Notre-Dame (Ponte di Nostra Signora).Il barone non ha un quattrino ma sta per andare a nozze– e che sorta di nozze! – 10.000 lire in denaro, una cari-ca di 30.000 lire, e 100 mila lire di titoli di rendita.L'abate e l'antico governatore della Luisiana conferma-no. Ma in quella prima visita non viene portato via nes-sun gioiello.

Dal momento che doveva fare un matrimonio simile,il barone non poteva continuare a vivere ristrettamentenel suo alloggetto di scapolo in via del Bac. Ed eccoloin via del Mail, all'albergo delle Indie, ove occupa un

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XXIIIL FIDANZAMENTO

DEL BARONE DI FAGES.

Il barone di Fages non era uomo da trascinare le coseper le lunghe. Non appena Bette gli ebbe parlato, il 5aprile, di matrimonio, egli andò, insieme all'abate diSant'Andrea e a Colavier d'Albissy, antico presidentedella Luisiana francese, a ordinare dei gioielli a Loque,l'orefice di Pont-Notre-Dame (Ponte di Nostra Signora).Il barone non ha un quattrino ma sta per andare a nozze– e che sorta di nozze! – 10.000 lire in denaro, una cari-ca di 30.000 lire, e 100 mila lire di titoli di rendita.L'abate e l'antico governatore della Luisiana conferma-no. Ma in quella prima visita non viene portato via nes-sun gioiello.

Dal momento che doveva fare un matrimonio simile,il barone non poteva continuare a vivere ristrettamentenel suo alloggetto di scapolo in via del Bac. Ed eccoloin via del Mail, all'albergo delle Indie, ove occupa un

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appartamento sontuoso al primo piano. Degli amici dif-fondono la voce degli splendori della sua imminente si-tuazione. Il barone assume parecchi domestici. Ha unservo in livrea e un cameriere. Va in cocchio a far acqui-sti in città scortato da Bette d'Etienville – al quale ha re-galato abiti e camicie – che attesta solennemente dellaveridicità delle sue affermazioni. Il 12 aprile, accompa-gnato dall'abate di Sant'Andrea e dall'antico governatoredella Luisiana, Fages ritorna dal gioielliere per ritirare igioielli comandati: ce n'è per 10.000 lire. Il giorno stes-so, affinchè non si smarriscano, il barone s'affretta aportarli – per ricevere in cambio il denaro – al Monte diPietà. Il 13, i tre amici tornano da Logue, e fanno unanuova compera che sale a 12.000 lire. «Gli altri gioiellierano stati dati ai parenti della sposa, questi erano per iparenti dello sposo e la famiglia era numerosa». Ebberoun'identica destinazione: il Monte di Pietà. Quelle forni-ture vennero fatte su semplici ricevute dello sposo. Unprimo biglietto di 2700 lire era pagabile a brevissimascadenza e venne pagato. Agli ultimi di maggio essen-dosi recato a Vineuil, presso Chantilly, il barone scriveal gioielliere per sollecitare l'invio di una ordinazione lacui consegna si fa sospirare. E aggiunge: «E voi, signo-re, come state? E la coscia della signora Loque è guaritabene? Lo auguro, poichè è impossibile non interessarsia' casi suoi, quando si ha avuto il bene di conoscerla.Essa ispira sentimenti degni di lei e superiori alla sem-plice stima. Ecco l'effetto che fece su di me e io mi con-gratulo sempre più con voi per la vostra scelta tanto for-

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appartamento sontuoso al primo piano. Degli amici dif-fondono la voce degli splendori della sua imminente si-tuazione. Il barone assume parecchi domestici. Ha unservo in livrea e un cameriere. Va in cocchio a far acqui-sti in città scortato da Bette d'Etienville – al quale ha re-galato abiti e camicie – che attesta solennemente dellaveridicità delle sue affermazioni. Il 12 aprile, accompa-gnato dall'abate di Sant'Andrea e dall'antico governatoredella Luisiana, Fages ritorna dal gioielliere per ritirare igioielli comandati: ce n'è per 10.000 lire. Il giorno stes-so, affinchè non si smarriscano, il barone s'affretta aportarli – per ricevere in cambio il denaro – al Monte diPietà. Il 13, i tre amici tornano da Logue, e fanno unanuova compera che sale a 12.000 lire. «Gli altri gioiellierano stati dati ai parenti della sposa, questi erano per iparenti dello sposo e la famiglia era numerosa». Ebberoun'identica destinazione: il Monte di Pietà. Quelle forni-ture vennero fatte su semplici ricevute dello sposo. Unprimo biglietto di 2700 lire era pagabile a brevissimascadenza e venne pagato. Agli ultimi di maggio essen-dosi recato a Vineuil, presso Chantilly, il barone scriveal gioielliere per sollecitare l'invio di una ordinazione lacui consegna si fa sospirare. E aggiunge: «E voi, signo-re, come state? E la coscia della signora Loque è guaritabene? Lo auguro, poichè è impossibile non interessarsia' casi suoi, quando si ha avuto il bene di conoscerla.Essa ispira sentimenti degni di lei e superiori alla sem-plice stima. Ecco l'effetto che fece su di me e io mi con-gratulo sempre più con voi per la vostra scelta tanto for-

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tunata. E adesso permettete che vi chieda notizie dellatabacchiera destinata a mio fratello abate».

La prima scadenza era stata pagata. La seconda nonlo fu. Era più grossa della prima. Il barone ne attribuì lacolpa a un ritardo imprevisto delle nozze. E, per rassicu-rare il negoziante, lo manda da don Mulot, il priore diSan Vittore che, in tutta serietà, gli mostra il plico sug-gellato che deve contenere l'indennizzo di 30.000 fran-chi. Inoltre, il borghese di Saint-Omer – che non hanemmeno di che pagare il proprio affitto – propone ditrasformare i biglietti firmati dal barone di Fages in unatto notarile per cui offre generosamente la propria cau-zione. Loque si rassicura.

Mentre tali cose avvenivano sul Pont-Notre-Dame, siripetevano pure nel quartiere di Saint-Germain. Fagesera colà debitore d'un certo Bernard, negoziante, cheaspettava cinquanta scudi da tredici o quattordici anni.Ne approfitta per dargli un'ordinazione spettacolosa instoffe, tele e gioielli. Siccome Bernard tentennava, vieneanch'egli mandato dall'abate Mulot.

«Lo trovò in sacristia; stava per dire la messa. Il mo-mento e il luogo sono solenni. L'abate Mulot asserìd'avere fra le mani un indennizzo di 30.000 lire, e che ilbarone stava per contrarre un matrimonio della più altaimportanza; stesse pur sicuro, quindi, circa le sue ordi-nazioni». E Bernard fornì delle merci per 13.000 fran-chi, che raggiunsero quelle di messer Loque al Monte diPietà.

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tunata. E adesso permettete che vi chieda notizie dellatabacchiera destinata a mio fratello abate».

La prima scadenza era stata pagata. La seconda nonlo fu. Era più grossa della prima. Il barone ne attribuì lacolpa a un ritardo imprevisto delle nozze. E, per rassicu-rare il negoziante, lo manda da don Mulot, il priore diSan Vittore che, in tutta serietà, gli mostra il plico sug-gellato che deve contenere l'indennizzo di 30.000 fran-chi. Inoltre, il borghese di Saint-Omer – che non hanemmeno di che pagare il proprio affitto – propone ditrasformare i biglietti firmati dal barone di Fages in unatto notarile per cui offre generosamente la propria cau-zione. Loque si rassicura.

Mentre tali cose avvenivano sul Pont-Notre-Dame, siripetevano pure nel quartiere di Saint-Germain. Fagesera colà debitore d'un certo Bernard, negoziante, cheaspettava cinquanta scudi da tredici o quattordici anni.Ne approfitta per dargli un'ordinazione spettacolosa instoffe, tele e gioielli. Siccome Bernard tentennava, vieneanch'egli mandato dall'abate Mulot.

«Lo trovò in sacristia; stava per dire la messa. Il mo-mento e il luogo sono solenni. L'abate Mulot asserìd'avere fra le mani un indennizzo di 30.000 lire, e che ilbarone stava per contrarre un matrimonio della più altaimportanza; stesse pur sicuro, quindi, circa le sue ordi-nazioni». E Bernard fornì delle merci per 13.000 fran-chi, che raggiunsero quelle di messer Loque al Monte diPietà.

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A messer Thiébault, il suo sarto di via San Nicasio, ilbarone di Fages parla – insieme all'amico Bette – dellenozze che gli arrecheranno 300.000 lire in titoli di rendi-ta e dichiarano che l'indennizzo fra le mani di don Mulotsupera i 30.000 scudi. Da Vineuil gli scrive: «Buongior-no, signori coniugi Thiébault; desidero sinceramenteche questa mia vi trovi in buone condizioni di salute,alla vostra salute interessandomi moltissimo per tutti isentimenti favorevoli che avete saputo ispirarmi e chemai si smentiranno... Contate su questo interessamento esulla riconoscenza illimitata che vi devo per tutte le vo-stre bontà che a suo tempo saprò riconoscere: nell'aspet-tativa mi dico vostro servitore non meno che vostro de-bitore».

«I sentimenti del barone di Fages verso il suo sarto ele bontà del sarto verso il barone – diranno più tardi gliavvocati di quei poveri fornitori – ricordano la scena diMolière; anche Don Giovanni dice al signor Domenico:– Signor Domenico! il migliore de' vostri amici! Io sociò che vi devo. Avete una salute magnifica. Voglio chevi facciano una scorta. Sono vostro servitore e, per dipiù, vostro debitore». È con il medesimo accompagna-mento musicale che il barone di Fages e il di lui amicoBette d'Etienville si fecero dare in consegna entro ilmaggio, ossia in brevissimo tempo, quindici abiti, il cuiimporto superò i duemila scudi.

Nello stesso mese, sedotto dalla stessa antifona, Vau-cher, orologiaio nel quartiere vecchio della città, dava albarone dodici orologi tempestati di gemme e tredici ca-

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A messer Thiébault, il suo sarto di via San Nicasio, ilbarone di Fages parla – insieme all'amico Bette – dellenozze che gli arrecheranno 300.000 lire in titoli di rendi-ta e dichiarano che l'indennizzo fra le mani di don Mulotsupera i 30.000 scudi. Da Vineuil gli scrive: «Buongior-no, signori coniugi Thiébault; desidero sinceramenteche questa mia vi trovi in buone condizioni di salute,alla vostra salute interessandomi moltissimo per tutti isentimenti favorevoli che avete saputo ispirarmi e chemai si smentiranno... Contate su questo interessamento esulla riconoscenza illimitata che vi devo per tutte le vo-stre bontà che a suo tempo saprò riconoscere: nell'aspet-tativa mi dico vostro servitore non meno che vostro de-bitore».

«I sentimenti del barone di Fages verso il suo sarto ele bontà del sarto verso il barone – diranno più tardi gliavvocati di quei poveri fornitori – ricordano la scena diMolière; anche Don Giovanni dice al signor Domenico:– Signor Domenico! il migliore de' vostri amici! Io sociò che vi devo. Avete una salute magnifica. Voglio chevi facciano una scorta. Sono vostro servitore e, per dipiù, vostro debitore». È con il medesimo accompagna-mento musicale che il barone di Fages e il di lui amicoBette d'Etienville si fecero dare in consegna entro ilmaggio, ossia in brevissimo tempo, quindici abiti, il cuiimporto superò i duemila scudi.

Nello stesso mese, sedotto dalla stessa antifona, Vau-cher, orologiaio nel quartiere vecchio della città, dava albarone dodici orologi tempestati di gemme e tredici ca-

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tene d'oro. D'Etienville servì ancora da intermediario nelnuovo affare. E il borghese di Saint-Omer veniva per so-prammercato a sedere al desco dell'orologiaio «amiche-volmente»; molto amichevolmente anzi, osserverannogli avvocati, poichè si conduceva seco gli amici.D'Etienville condusse l'orologiaio all'albergo delle Indiedove alloggiava il barone, amico suo. Lo trovarono nelsuo vasto appartamento del primo piano, sontuosamenteammobiliato, in procinto di distribuire gli ordini a variidomestici che si facevano premura di servirlo.

«La commedia era perfettamente inscenata. Dopoavere presentato a messer Vaucher una lista degli oggettiche volevano comperare, il barone di Fages parve nonoccuparsi più nè di lui nè delle compere se non in modoaffatto superficiale. A tutte le domande dell'orologiaionon rispondeva che: D'Etienville ve lo spiegherà,D'Etienville ve l'avrà ben detto».

Affettava quell'indifferenza disinvolta che rivela la si-curezza dei mezzi di cui uno dispone; e, nel contempo,la spensieratezza delle alte classi che non si degnad'occuparsi dei particolari di minor conto. Vaucher man-dò un blocco di oggetti magnifici. Un orologio a ripeti-zione con diamanti a fondo azzurro, stelle di brillanti, ela catena d'oro smaltata di azzurro a una fila di perle;valeva circa quattromila franchi. Un orologio a ripeti-zione, con cassa inglese, e relativa catena d'oro; un oro-logio adorno di due file di perle fine a fondo azzurro,stelle d'oro, con catena d'oro; un orologio liscio con lesfere adorne di diamanti, e catena d'oro; un orologio a

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tene d'oro. D'Etienville servì ancora da intermediario nelnuovo affare. E il borghese di Saint-Omer veniva per so-prammercato a sedere al desco dell'orologiaio «amiche-volmente»; molto amichevolmente anzi, osserverannogli avvocati, poichè si conduceva seco gli amici.D'Etienville condusse l'orologiaio all'albergo delle Indiedove alloggiava il barone, amico suo. Lo trovarono nelsuo vasto appartamento del primo piano, sontuosamenteammobiliato, in procinto di distribuire gli ordini a variidomestici che si facevano premura di servirlo.

«La commedia era perfettamente inscenata. Dopoavere presentato a messer Vaucher una lista degli oggettiche volevano comperare, il barone di Fages parve nonoccuparsi più nè di lui nè delle compere se non in modoaffatto superficiale. A tutte le domande dell'orologiaionon rispondeva che: D'Etienville ve lo spiegherà,D'Etienville ve l'avrà ben detto».

Affettava quell'indifferenza disinvolta che rivela la si-curezza dei mezzi di cui uno dispone; e, nel contempo,la spensieratezza delle alte classi che non si degnad'occuparsi dei particolari di minor conto. Vaucher man-dò un blocco di oggetti magnifici. Un orologio a ripeti-zione con diamanti a fondo azzurro, stelle di brillanti, ela catena d'oro smaltata di azzurro a una fila di perle;valeva circa quattromila franchi. Un orologio a ripeti-zione, con cassa inglese, e relativa catena d'oro; un oro-logio adorno di due file di perle fine a fondo azzurro,stelle d'oro, con catena d'oro; un orologio liscio con lesfere adorne di diamanti, e catena d'oro; un orologio a

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segreto a doppia fila di perle; un orologio dalle cifre ara-be, con catena d'oro; un orologio smaltato d'azzurro,orlo a fondo bianco, ruota di ricambio, con relativa cate-na smaltata d'azzurro e perle fine; un orologio «gola dipiccione» a due file di perle; una scatoletta d'oro, peruomo, ovale, da ritratto; un'altra, rotonda; tre scatoleeguali, per donna; un astuccio d'oro smaltato, a fondoturchino; un altro smaltato di lapislazzuli, un altro d'oromassiccio; e per ultimo una zuppiera con coperchio epiatto, d'argento.

I due amici fecero in tal modo in poche settimane unbottino di 60.000 franchi.

Ed ecco che, il 7 agosto, non appena tornato da Chan-tilly ov'era stato ricevuto dal barone di Fages, d'Etienvil-le vide giungere Augeard che gli chiese di venire urgen-temente dalla signora di Courville. La trovò molto agita-ta. Lo supplicò di renderle il famoso indennizzo,di30.000 lire depositato fra le mani dell'abate Mulot.

«Questa disgraziata carta ci perde tutti quanti».Bette d'Etienville rimane interdetto.«Dubitate di me, dubitate del cardinale?»Lui, d'Etienville, dubitare della signora di Courville,

dubitare del Cardinale! Corre immediatamente a ritirarela busta da don Mulot. La riconsegna alla signora diCourville; ma non appena costei l'ha fra le mani, strac-cia la carta in mille pezzi e li butta sul fuoco. D'Etienvil-le dice che rinunzia a descrivere il proprio sbalordimen-to. Non tentiamolo neppure noi.

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segreto a doppia fila di perle; un orologio dalle cifre ara-be, con catena d'oro; un orologio smaltato d'azzurro,orlo a fondo bianco, ruota di ricambio, con relativa cate-na smaltata d'azzurro e perle fine; un orologio «gola dipiccione» a due file di perle; una scatoletta d'oro, peruomo, ovale, da ritratto; un'altra, rotonda; tre scatoleeguali, per donna; un astuccio d'oro smaltato, a fondoturchino; un altro smaltato di lapislazzuli, un altro d'oromassiccio; e per ultimo una zuppiera con coperchio epiatto, d'argento.

I due amici fecero in tal modo in poche settimane unbottino di 60.000 franchi.

Ed ecco che, il 7 agosto, non appena tornato da Chan-tilly ov'era stato ricevuto dal barone di Fages, d'Etienvil-le vide giungere Augeard che gli chiese di venire urgen-temente dalla signora di Courville. La trovò molto agita-ta. Lo supplicò di renderle il famoso indennizzo,di30.000 lire depositato fra le mani dell'abate Mulot.

«Questa disgraziata carta ci perde tutti quanti».Bette d'Etienville rimane interdetto.«Dubitate di me, dubitate del cardinale?»Lui, d'Etienville, dubitare della signora di Courville,

dubitare del Cardinale! Corre immediatamente a ritirarela busta da don Mulot. La riconsegna alla signora diCourville; ma non appena costei l'ha fra le mani, strac-cia la carta in mille pezzi e li butta sul fuoco. D'Etienvil-le dice che rinunzia a descrivere il proprio sbalordimen-to. Non tentiamolo neppure noi.

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Quella busta, che doveva contenere una carta non maiveduta da nessuno, era stata la sola garanzia dei fornito-ri. E non c'era più.

Ma che cos'era accaduto per ridurre la signora diCourville in quello stato?

Eccoci ricondotti alla sua ispiratrice omonima, la con-tessa de la Motte.

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Quella busta, che doveva contenere una carta non maiveduta da nessuno, era stata la sola garanzia dei fornito-ri. E non c'era più.

Ma che cos'era accaduto per ridurre la signora diCourville in quello stato?

Eccoci ricondotti alla sua ispiratrice omonima, la con-tessa de la Motte.

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XXIII.LO SCOPPIO DELLA FOLGORE.

Il cardinale aveva consegnato la collana nelle manidella signora de la Motte, il l° febbraio 1785. L'indoma-ni incaricò il suo cameriere d'accompagnare Gherardi,ufficiale nel reggimento di Alsazia, per osservare alpranzo del re come fosse vestita la regina. È noto che ilre e la regina avevano l'obbligo di pranzare in pubblico.Lo stesso giorno, Bassenge era stato a Versailles nellasperanza di scorgere la regina col suo gioiello. Costeinon lo portava; ma nè cardinale nè gioielliere se ne in-quietarono. Il posdomani, 3 febbraio, imbattendosi aVersailles nel gioielliere Böhmer con la moglie e il so-cio Bassenge, il principe Luigi si affrettò a dire:

«Avete fatto i vostri umilissimi ringraziamenti alla re-gina per la collana che ha comperato?

«— No, non ancora».Siccome i gioiellieri hanno più di una volta importu-

nato la regina con quel gioiello e l'ultima volta ella sen'è impazientita, essi aspettano che nasca l'occasione di

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XXIII.LO SCOPPIO DELLA FOLGORE.

Il cardinale aveva consegnato la collana nelle manidella signora de la Motte, il l° febbraio 1785. L'indoma-ni incaricò il suo cameriere d'accompagnare Gherardi,ufficiale nel reggimento di Alsazia, per osservare alpranzo del re come fosse vestita la regina. È noto che ilre e la regina avevano l'obbligo di pranzare in pubblico.Lo stesso giorno, Bassenge era stato a Versailles nellasperanza di scorgere la regina col suo gioiello. Costeinon lo portava; ma nè cardinale nè gioielliere se ne in-quietarono. Il posdomani, 3 febbraio, imbattendosi aVersailles nel gioielliere Böhmer con la moglie e il so-cio Bassenge, il principe Luigi si affrettò a dire:

«Avete fatto i vostri umilissimi ringraziamenti alla re-gina per la collana che ha comperato?

«— No, non ancora».Siccome i gioiellieri hanno più di una volta importu-

nato la regina con quel gioiello e l'ultima volta ella sen'è impazientita, essi aspettano che nasca l'occasione di

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porgerle i loro ringraziamenti. L'occasione non si pre-senta. I mesi passano. Ma sono tranquillissimi egual-mente e così pure il principe Luigi. Gli avvocati del car-dinale ebbero ragione d'insistere in Parlamento su quellarichiesta e quella conversazione del 2 e del 3 febbraioche mettono la buona fede di Rohan fuor di causa. Il 3febbraio, invece, i Böhmer avevano offerto un pranzoalla contessa de la Motte. L'indomani, 4, erano tornatida lei per ringraziarla nuovamente. Traboccavano di ri-conoscenza. Il 6, furono i Böhmer a pranzare in viaNeuve-Saint-Gilles.

Col cardinale intanto Giovanna continuava a piangeremiseria, chiedendo e ricevendo gli stessi sussidii di tre oquattro luigi che le venivano portati sia da Brandner, ilcameriere, sia da Fribourg, lo svizzero della casa diStrasburgo, sia da un commissionario chiamato Filiber-to. Le due o tre volte che Rohan si recò in casa di lei,venne ricevuto «in una stanza su in alto» poveramenteammobiliata.

Giovanna fece di più. Con le mani piene dell'oro rica-vato dalla vendita dei diamanti, costrinse il cardinale asaldare per lei il biglietto firmato nel 1783 all'ebreo lo-renese Isacco Beer, per l'importo di 5000 lire; il cardina-le aveva prestato garanzia e adesso si trovò preso intrappola. Dovette pagare. Uno scherzo molto buffo.

Il 12 maggio una letterina listata d'azzurro rimanda ilprincipe Luigi a Saverne.

Siccome l'avvocato Laporte, ch'era stato frammi-schiato nelle trattative per la compera del gioiello, si

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porgerle i loro ringraziamenti. L'occasione non si pre-senta. I mesi passano. Ma sono tranquillissimi egual-mente e così pure il principe Luigi. Gli avvocati del car-dinale ebbero ragione d'insistere in Parlamento su quellarichiesta e quella conversazione del 2 e del 3 febbraioche mettono la buona fede di Rohan fuor di causa. Il 3febbraio, invece, i Böhmer avevano offerto un pranzoalla contessa de la Motte. L'indomani, 4, erano tornatida lei per ringraziarla nuovamente. Traboccavano di ri-conoscenza. Il 6, furono i Böhmer a pranzare in viaNeuve-Saint-Gilles.

Col cardinale intanto Giovanna continuava a piangeremiseria, chiedendo e ricevendo gli stessi sussidii di tre oquattro luigi che le venivano portati sia da Brandner, ilcameriere, sia da Fribourg, lo svizzero della casa diStrasburgo, sia da un commissionario chiamato Filiber-to. Le due o tre volte che Rohan si recò in casa di lei,venne ricevuto «in una stanza su in alto» poveramenteammobiliata.

Giovanna fece di più. Con le mani piene dell'oro rica-vato dalla vendita dei diamanti, costrinse il cardinale asaldare per lei il biglietto firmato nel 1783 all'ebreo lo-renese Isacco Beer, per l'importo di 5000 lire; il cardina-le aveva prestato garanzia e adesso si trovò preso intrappola. Dovette pagare. Uno scherzo molto buffo.

Il 12 maggio una letterina listata d'azzurro rimanda ilprincipe Luigi a Saverne.

Siccome l'avvocato Laporte, ch'era stato frammi-schiato nelle trattative per la compera del gioiello, si

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meravigliava che la regina non lo portasse, Giovannadisse: «Sua Maestà non lo metterà che per venire a Pari-gi» e in un'altra occasione: «quando sarà pagato».

Anch'essa partì a sua volta, facendo a Bar-sur-Aubel'ingresso sensazionale che abbiamo già detto e condu-cendovi poi una vita sfarzosa. Si occupò nell'ammobilia-re e decorare la sua casa della parrocchia di Saint-Macloux. Dalla corte al granaio, tutto venne trasforma-to, abbellito, rimesso a nuovo. Abbiamo dei particolaricuriosissimi sulla libreria. Era un mobile in legno dirosa, a grate, con gli scaffali protetti da tendine di setaverde: in cima, i busti di Voltaire e di Rousseau. A primavista, lo sguardo era attirato dalla grande «Storia genea-logica e cronologica della casa reale di Francia» del Pa-dre Anselmo, nove volumi in folio; il primo acquistoevidentemente che dovesse fare una figlia dei Valois.Poi ventisette volumi degli «Uomini illustri di Francia»e dodici degli «Uomini illustri di Plutarco»; una storiadi Francia in tre volumi, i viaggi di Cook, il Giro delMondo, sei volumi sull'emisfero australe, un atlante. Infatto di letteratura: Rousseau in trenta volumi, M.me Ri-coboni, Crébillon, Racine e Boileau. E libri di pietà:Commenti e riflessioni circa l'amore divino; un volumesul Miserere, una Settimana santa, un lavoro sulla Di-gnità dell'anima. Poi due libri pratici: un dizionariofrancese-inglese e inglese-francese che sarà utile in unprossimo viaggio oltre la Manica, e l'almanacco realedell'anno 1781, l'anno dei primi grandi intrighi e dellevaste speranze di Giovanna di Valois.

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meravigliava che la regina non lo portasse, Giovannadisse: «Sua Maestà non lo metterà che per venire a Pari-gi» e in un'altra occasione: «quando sarà pagato».

Anch'essa partì a sua volta, facendo a Bar-sur-Aubel'ingresso sensazionale che abbiamo già detto e condu-cendovi poi una vita sfarzosa. Si occupò nell'ammobilia-re e decorare la sua casa della parrocchia di Saint-Macloux. Dalla corte al granaio, tutto venne trasforma-to, abbellito, rimesso a nuovo. Abbiamo dei particolaricuriosissimi sulla libreria. Era un mobile in legno dirosa, a grate, con gli scaffali protetti da tendine di setaverde: in cima, i busti di Voltaire e di Rousseau. A primavista, lo sguardo era attirato dalla grande «Storia genea-logica e cronologica della casa reale di Francia» del Pa-dre Anselmo, nove volumi in folio; il primo acquistoevidentemente che dovesse fare una figlia dei Valois.Poi ventisette volumi degli «Uomini illustri di Francia»e dodici degli «Uomini illustri di Plutarco»; una storiadi Francia in tre volumi, i viaggi di Cook, il Giro delMondo, sei volumi sull'emisfero australe, un atlante. Infatto di letteratura: Rousseau in trenta volumi, M.me Ri-coboni, Crébillon, Racine e Boileau. E libri di pietà:Commenti e riflessioni circa l'amore divino; un volumesul Miserere, una Settimana santa, un lavoro sulla Di-gnità dell'anima. Poi due libri pratici: un dizionariofrancese-inglese e inglese-francese che sarà utile in unprossimo viaggio oltre la Manica, e l'almanacco realedell'anno 1781, l'anno dei primi grandi intrighi e dellevaste speranze di Giovanna di Valois.

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Verso la fine di maggio, la signora de la Motte andòda Bar-sur-Aube a Saverne travestita da uomo. Trovia-mo nella sua guardaroba quel vestiario: levita di pannoturchino scuro, panciotto e calzoni di giallo chiaro.Andò ad annunziare al principe d'aver ottenuto per luiun'udienza della regina al suo ritorno. Pensava – e giu-stamente – che duecentoventi leghe di strada, fatte ap-posta per recargli in persona la buona notizia, avrebberodato a questa una consistenza maggiore; e che, se labuona fede del cardinale fosse stata vacillante, questosarebbe bastato a consolidarla meglio di ogni altra cosa.

Il cardinale tornò da Saverne a Parigi il 7 giugno. En-triamo nel mese di luglio: la scadenza fatale del l° ago-sto è imminente, scadenza in cui i gioiellieri devono ri-cevere quattrocentomila lire, prima rata delle 1.600.000pattuite. Giovanna ai primi del mese si trova col cardi-nale che fa le sue meraviglie di non aver ancora visto in-dosso alla regina il famoso vezzo. Cominciava già unavaga diffidenza a insinuarsi nella sua mente? Ma Gio-vanna, sempre ingegnosa, ha la risposta pronta. La regi-na – dice – trova la collana d'un prezzo esorbitante; senon le accordano una riduzione di 200.000 lire, la ridaràai gioiellieri. E i primi sospetti del cardinale sono bell'esvaniti. La regina non considera il gioiello come suaproprietà definitiva. Il 10 luglio, egli parla con i gioiel-lieri circa la riduzione; costoro ci senton poco daquell'orecchio, si capisce. Obiettano i loro impegni, gliinteressi accumulati; ma, dopo le prime smorfie, finisco-no coll'acconsentire. E il cardinale, prima di lasciarli, li

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Verso la fine di maggio, la signora de la Motte andòda Bar-sur-Aube a Saverne travestita da uomo. Trovia-mo nella sua guardaroba quel vestiario: levita di pannoturchino scuro, panciotto e calzoni di giallo chiaro.Andò ad annunziare al principe d'aver ottenuto per luiun'udienza della regina al suo ritorno. Pensava – e giu-stamente – che duecentoventi leghe di strada, fatte ap-posta per recargli in persona la buona notizia, avrebberodato a questa una consistenza maggiore; e che, se labuona fede del cardinale fosse stata vacillante, questosarebbe bastato a consolidarla meglio di ogni altra cosa.

Il cardinale tornò da Saverne a Parigi il 7 giugno. En-triamo nel mese di luglio: la scadenza fatale del l° ago-sto è imminente, scadenza in cui i gioiellieri devono ri-cevere quattrocentomila lire, prima rata delle 1.600.000pattuite. Giovanna ai primi del mese si trova col cardi-nale che fa le sue meraviglie di non aver ancora visto in-dosso alla regina il famoso vezzo. Cominciava già unavaga diffidenza a insinuarsi nella sua mente? Ma Gio-vanna, sempre ingegnosa, ha la risposta pronta. La regi-na – dice – trova la collana d'un prezzo esorbitante; senon le accordano una riduzione di 200.000 lire, la ridaràai gioiellieri. E i primi sospetti del cardinale sono bell'esvaniti. La regina non considera il gioiello come suaproprietà definitiva. Il 10 luglio, egli parla con i gioiel-lieri circa la riduzione; costoro ci senton poco daquell'orecchio, si capisce. Obiettano i loro impegni, gliinteressi accumulati; ma, dopo le prime smorfie, finisco-no coll'acconsentire. E il cardinale, prima di lasciarli, li

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sollecita una volta ancora a volersi recare a Versaillesper ringraziare la sovrana. Bassenge scrive allora sotto isuoi occhi una letterina che Rohan ricorregge nella se-guente forma:

«Signora,«Noi ci sentiamo al colmo della felicità osando pen-

sare che gli ultimi accomodamenti propostici e ai qualici assoggettiamo con zelo e rispetto, sono una prova no-vella della nostra sottomissione e devozione agli ordinidi Vostra Maestà, e con vera soddisfazione pensiamoche il finimento più bello che esista servirà alla piùgrande e alla migliore delle regine».

* * *

Il 12 luglio, Böhmer, dovendo comparire davanti aMaria Antonietta per consegnarle uno spallino e dellefibbie di diamanti di cui il re le faceva dono in occasio-ne del battesimo del duca d'Angoulême, figlio del conted'Artois, presentò personalmente il biglietto. Fatalitàvolle ch'entrasse in quel punto il Controllore generale,di modo che il gioielliere si allontanò prima d'aver rice-vuto una risposta. Uscito che fu il Controllore, la reginalesse il biglietto e non capì nulla. Diede ordine che cer-cassero Böhmer per chiedergli la spiegazione dell'enig-ma. Ma era già partito. Böhmer l'aveva ossessionata colsuo gioiello: ricordava la scena penosa in cui le si erainginocchiato davanti, minacciando di andare a buttarsinel fiume. «La regina – dice la signora Campan – mi

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sollecita una volta ancora a volersi recare a Versaillesper ringraziare la sovrana. Bassenge scrive allora sotto isuoi occhi una letterina che Rohan ricorregge nella se-guente forma:

«Signora,«Noi ci sentiamo al colmo della felicità osando pen-

sare che gli ultimi accomodamenti propostici e ai qualici assoggettiamo con zelo e rispetto, sono una prova no-vella della nostra sottomissione e devozione agli ordinidi Vostra Maestà, e con vera soddisfazione pensiamoche il finimento più bello che esista servirà alla piùgrande e alla migliore delle regine».

* * *

Il 12 luglio, Böhmer, dovendo comparire davanti aMaria Antonietta per consegnarle uno spallino e dellefibbie di diamanti di cui il re le faceva dono in occasio-ne del battesimo del duca d'Angoulême, figlio del conted'Artois, presentò personalmente il biglietto. Fatalitàvolle ch'entrasse in quel punto il Controllore generale,di modo che il gioielliere si allontanò prima d'aver rice-vuto una risposta. Uscito che fu il Controllore, la reginalesse il biglietto e non capì nulla. Diede ordine che cer-cassero Böhmer per chiedergli la spiegazione dell'enig-ma. Ma era già partito. Böhmer l'aveva ossessionata colsuo gioiello: ricordava la scena penosa in cui le si erainginocchiato davanti, minacciando di andare a buttarsinel fiume. «La regina – dice la signora Campan – mi

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lesse quel biglietto dicendomi che, poichè avevo quellamattina risolto gli indovinelli del Mercurio, avrei senzadubbio potuto sciogliere il rebus di quel pazzo d'unBöhmer. Poi, senza badarvi oltre, abbruciò il foglietto aun candeliere rimasto acceso nella biblioteca per suggel-lare le lettere».

La regina aggiunse: «Quell'uomo esiste per il mio tor-mento; ha sempre qualche pazzia per il capo. Ricordate-vi bene di dirgli, la prima volta che lo vedrete, che i dia-manti non mi piacciono più e che non ne compererò piùvita mia natural durante».

Quel momento è, per banale che sembri, il momentopiù critico del dramma, per coloro che sanno il seguitodella storia. Se allora si fosse messa subito in chiaro lafaccenda – e non lo fu per un concatenamento di circo-stanze futilissime – Maria Antonietta sarebbe stata fuordi causa per sempre da tutto quell'intrigo. Il suo conte-gno – d'altronde semplicissimo e naturalissimo – inquell'unica circostanza in cui si trovò a contatto con lacabala della collana, offrì l'occasione a' suoi detrattoridell'unico rimprovero che le si potesse rivolgere, conquali tremende conseguenze per lei i fatti s'incaricaronodi spiegarlo.

Il suo silenzio risultò per i gioiellieri una conferma,non meno che per il cardinale, persuasissimo che la col-lana fosse nelle di lei mani.

La signora de la Motte vedeva intanto avvicinarsi lascadenza del 1° agosto. In casa del cardinale si era tro-vata con Baudard di Sainte-James, tesoriere generale

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lesse quel biglietto dicendomi che, poichè avevo quellamattina risolto gli indovinelli del Mercurio, avrei senzadubbio potuto sciogliere il rebus di quel pazzo d'unBöhmer. Poi, senza badarvi oltre, abbruciò il foglietto aun candeliere rimasto acceso nella biblioteca per suggel-lare le lettere».

La regina aggiunse: «Quell'uomo esiste per il mio tor-mento; ha sempre qualche pazzia per il capo. Ricordate-vi bene di dirgli, la prima volta che lo vedrete, che i dia-manti non mi piacciono più e che non ne compererò piùvita mia natural durante».

Quel momento è, per banale che sembri, il momentopiù critico del dramma, per coloro che sanno il seguitodella storia. Se allora si fosse messa subito in chiaro lafaccenda – e non lo fu per un concatenamento di circo-stanze futilissime – Maria Antonietta sarebbe stata fuordi causa per sempre da tutto quell'intrigo. Il suo conte-gno – d'altronde semplicissimo e naturalissimo – inquell'unica circostanza in cui si trovò a contatto con lacabala della collana, offrì l'occasione a' suoi detrattoridell'unico rimprovero che le si potesse rivolgere, conquali tremende conseguenze per lei i fatti s'incaricaronodi spiegarlo.

Il suo silenzio risultò per i gioiellieri una conferma,non meno che per il cardinale, persuasissimo che la col-lana fosse nelle di lei mani.

La signora de la Motte vedeva intanto avvicinarsi lascadenza del 1° agosto. In casa del cardinale si era tro-vata con Baudard di Sainte-James, tesoriere generale

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della marina; e sapeva che costui era affezionato al car-dinale, molto infatuato, per di più di Cagliostro, e inoltrein relazione coi Böhmer.

«Sainte-James – disse la signora Vigée-Lebrun – erafinanziere nel vero senso della parola. Era un individuodi media statura, grosso e grasso, dal volto molto colori-to, di quella freschezza che si può avere a cinquant'annipassati quando si sta bene di salute e si è felici».

Nel suo palazzo di Piazza Vendôme, dalle immensesale le cui pareti erano interamente ricoperte di specchi,dava dei pranzi di cinquanta coperti in cui la nobilità ela letteratura erano rappresentate brillantemente. Il suomagnifico possedimento di Neully ebbe dal popolo ilsoprannome di «Follia Sainte-James» per il lusso spro-positato. Vi organizzava delle serate in cui si recitavanocommedie, si sparavano fuochi artificiali, e tanta gentevi affluiva da credersi in un pubblico passeggio. Sainte-James era ambiziosissimo, avido di protezioni potenti aCorte; sognava non il nastrino ma il cordoncino rosso.Era stato lui a prestare ai Böhmer le 800.000 lire con cuiavevano comperati i diamanti della famosa collana, de-stinata in un primo tempo alla Du Barry sul favore dellaquale Sainte-James aveva contato.

La signora de la Motte disse al cardinale: «Vedo la re-gina nell'imbarazzo per il versamento del l° agosto. Nonve lo scrive per non farvi inquietare. Ho pensato al mez-zo di farle la vostra corte tranquillandola in pari tempo.Rivolgetevi a Sante-James. Per lui, centomila scudi checosa sono?».

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della marina; e sapeva che costui era affezionato al car-dinale, molto infatuato, per di più di Cagliostro, e inoltrein relazione coi Böhmer.

«Sainte-James – disse la signora Vigée-Lebrun – erafinanziere nel vero senso della parola. Era un individuodi media statura, grosso e grasso, dal volto molto colori-to, di quella freschezza che si può avere a cinquant'annipassati quando si sta bene di salute e si è felici».

Nel suo palazzo di Piazza Vendôme, dalle immensesale le cui pareti erano interamente ricoperte di specchi,dava dei pranzi di cinquanta coperti in cui la nobilità ela letteratura erano rappresentate brillantemente. Il suomagnifico possedimento di Neully ebbe dal popolo ilsoprannome di «Follia Sainte-James» per il lusso spro-positato. Vi organizzava delle serate in cui si recitavanocommedie, si sparavano fuochi artificiali, e tanta gentevi affluiva da credersi in un pubblico passeggio. Sainte-James era ambiziosissimo, avido di protezioni potenti aCorte; sognava non il nastrino ma il cordoncino rosso.Era stato lui a prestare ai Böhmer le 800.000 lire con cuiavevano comperati i diamanti della famosa collana, de-stinata in un primo tempo alla Du Barry sul favore dellaquale Sainte-James aveva contato.

La signora de la Motte disse al cardinale: «Vedo la re-gina nell'imbarazzo per il versamento del l° agosto. Nonve lo scrive per non farvi inquietare. Ho pensato al mez-zo di farle la vostra corte tranquillandola in pari tempo.Rivolgetevi a Sante-James. Per lui, centomila scudi checosa sono?».

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Rohan ne parlò al finanziere. Capitava proprio a pro-posito.

«Prestare 400.000 lire per pagare la collana? Ma lacollana è fatta di 800.000 lire prestate da me!».

Malgrado ciò, Sainte-James acconsentirebbe anche aquesto nuovo anticipo; ma, reso diffidente dall'avventu-ra dell'appaltatore generale Béranger, vorrebbe avere frale mani una lettera in cui la regina stessa chiedesse il de-naro. Non se ne fa dunque nulla.

Intanto si arriva alla fine di luglio. La signora de laMotte diventa agitata, nervosa. Come prorogare la datadi pagamento?

«Che cosa significano – le dirà l'avvocato Target –quel turbamento della vostra ragione, quello stato d'agi-tazione del 27 luglio, giorno in cui uscita di casa a preci-pizio, non tornando nè a pranzo nè a cena e nemmeno adormire, – vi rifugiate presso degli amici e vi muovetesoltanto di notte?».

Quel giorno, 27 luglio, essa contrae dal notaio Min-guet, depositando diamanti «di valore immenso» un pre-stito di 35.000 lire. Il 28, fa portare al cardinale una let-tera firmata «Maria Antonietta» in cui è detto che le400.000 lire promesse per l'indomani non potranno ve-nire pagate se non il l° ottobre; ma che a quell'epocaverrà fatto un pagamento di settecentomila lire in unavolta sola, metà della somma totale. Stavolta, l'inquietu-dine comincia a far breccia nel cervello del cardinale.

Ma l'indomani una cameriera viene a cercarlo da par-te della contessa. Costei, con parole insinuanti, si sforza

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Rohan ne parlò al finanziere. Capitava proprio a pro-posito.

«Prestare 400.000 lire per pagare la collana? Ma lacollana è fatta di 800.000 lire prestate da me!».

Malgrado ciò, Sainte-James acconsentirebbe anche aquesto nuovo anticipo; ma, reso diffidente dall'avventu-ra dell'appaltatore generale Béranger, vorrebbe avere frale mani una lettera in cui la regina stessa chiedesse il de-naro. Non se ne fa dunque nulla.

Intanto si arriva alla fine di luglio. La signora de laMotte diventa agitata, nervosa. Come prorogare la datadi pagamento?

«Che cosa significano – le dirà l'avvocato Target –quel turbamento della vostra ragione, quello stato d'agi-tazione del 27 luglio, giorno in cui uscita di casa a preci-pizio, non tornando nè a pranzo nè a cena e nemmeno adormire, – vi rifugiate presso degli amici e vi muovetesoltanto di notte?».

Quel giorno, 27 luglio, essa contrae dal notaio Min-guet, depositando diamanti «di valore immenso» un pre-stito di 35.000 lire. Il 28, fa portare al cardinale una let-tera firmata «Maria Antonietta» in cui è detto che le400.000 lire promesse per l'indomani non potranno ve-nire pagate se non il l° ottobre; ma che a quell'epocaverrà fatto un pagamento di settecentomila lire in unavolta sola, metà della somma totale. Stavolta, l'inquietu-dine comincia a far breccia nel cervello del cardinale.

Ma l'indomani una cameriera viene a cercarlo da par-te della contessa. Costei, con parole insinuanti, si sforza

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di calmarlo. E la fiducia torna in lui quando la signorade la Motte gli porge una somma di 30.000 lire che rap-presentano gli interessi da versare ai gioiellieri sullasomma di settecentomila lire protratta fino all'ottobre. Ilcardinale che crede la signora de la Motte sempre nellamiseria, non dubita affatto che quella somma non le siastata consegnata dalla regina. Il 30 luglio s'abbocca coigioiellieri i quali accolgono malissimo la proposta delladilazione. Protestano vivacemente e non accettano le30.000 lire se non a titolo d'acconto sulle quattrocento-mila che spettano loro immediatamente.

È urgente che sieno pagate – assicurano –; il loro cre-ditore, Sainte-James, diventa insistente e gli interessiche devono pagargli sono onerosi. Il cardinale teme unoscandalo. L'atteggiamento dei Böhmer infatti rendeva lasituazione estremamente critica. La storia della signorade la Motte rivela in lei una incredibile incoscienza, cheforma del resto la sua audacia e la sua forza. Non vede ilpericolo se non quando è immediato e soltanto alloracerca di rimediarvi. In tutta fretta fa tornare il marito daBar-sur-Aube ove il conte, assolutamente spensierato.faceva una vita regale; poi, combina un colpo tanto ardi-to, denotante una così lucida idea dei caratteri e della si-tuazione, che una volta di più non si può trattenere ungrido di sorpresa davanti a un simile genio dell'intrigo.

Il 3 agosto, manda Padre Loth a cercare Bassenge edirgli chiaramente: «Siete ingannato, la carta di garanziaposseduta dal cardinale porta una firma falsa; ma il prin-cipe è abbastanza ricco da poter pagare».

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di calmarlo. E la fiducia torna in lui quando la signorade la Motte gli porge una somma di 30.000 lire che rap-presentano gli interessi da versare ai gioiellieri sullasomma di settecentomila lire protratta fino all'ottobre. Ilcardinale che crede la signora de la Motte sempre nellamiseria, non dubita affatto che quella somma non le siastata consegnata dalla regina. Il 30 luglio s'abbocca coigioiellieri i quali accolgono malissimo la proposta delladilazione. Protestano vivacemente e non accettano le30.000 lire se non a titolo d'acconto sulle quattrocento-mila che spettano loro immediatamente.

È urgente che sieno pagate – assicurano –; il loro cre-ditore, Sainte-James, diventa insistente e gli interessiche devono pagargli sono onerosi. Il cardinale teme unoscandalo. L'atteggiamento dei Böhmer infatti rendeva lasituazione estremamente critica. La storia della signorade la Motte rivela in lei una incredibile incoscienza, cheforma del resto la sua audacia e la sua forza. Non vede ilpericolo se non quando è immediato e soltanto alloracerca di rimediarvi. In tutta fretta fa tornare il marito daBar-sur-Aube ove il conte, assolutamente spensierato.faceva una vita regale; poi, combina un colpo tanto ardi-to, denotante una così lucida idea dei caratteri e della si-tuazione, che una volta di più non si può trattenere ungrido di sorpresa davanti a un simile genio dell'intrigo.

Il 3 agosto, manda Padre Loth a cercare Bassenge edirgli chiaramente: «Siete ingannato, la carta di garanziaposseduta dal cardinale porta una firma falsa; ma il prin-cipe è abbastanza ricco da poter pagare».

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Fra tutte quelle manovre lunghe, complicate, condottecon tanta logica e con mano tanto sicura, è questo il col-po maestro. Messo in quel punto, brutalmente, di frontealla realtà, spaventato dalla prospettiva dello scandalod'un processo inevitabile, per l'orribile vergogna che sa-rebbe ridondata su di lui dalla scena del boschetto, aproposito di cui il procuratore del re l'avrebbe accusatod'essersi lasciato trascinare fino alla lesa maestà, il car-dinale, che aveva risorse grandissime, non poteva esita-re; pagando i gioiellieri, avrebbe soffocato tutta la sto-ria. E non avrebbe esitato, e la signora de la Motte colmarito avrebbero goduto in pace il frutto delle loro ru-berìe! Questa non è un'ipotesi: esistono le dichiarazionidel principe di Rohan:

«Entrava nei piani della signora de la Motte il dichia-rare spontaneamente che la firma era falsa. Si lusingavad'avermi ridotto, mercè le sue abili manovre, al punto dipagare la collana senza osare neppure di lagnarmi. Eavrei certamente preso il partito d'aggiustarmela coi gio-iellieri, sacrificando la mia sostanza e invocando l'aiutodi parenti miei».

Per disgrazia del cardinale e di Giovanna di Valois, igioiellieri, per timidità, non osano affrontare Rohan. In-formato dal collega delle parole della signora de la Mot-te, Böhmer, in preda alle maggiori ansie, accorre a Ver-sailles lo stesso giorno, sforzandosi d'ottenere un'udien-za dalla regina. Non può vedere che la lettrice, la signo-ra Campan, che gli dice:

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Fra tutte quelle manovre lunghe, complicate, condottecon tanta logica e con mano tanto sicura, è questo il col-po maestro. Messo in quel punto, brutalmente, di frontealla realtà, spaventato dalla prospettiva dello scandalod'un processo inevitabile, per l'orribile vergogna che sa-rebbe ridondata su di lui dalla scena del boschetto, aproposito di cui il procuratore del re l'avrebbe accusatod'essersi lasciato trascinare fino alla lesa maestà, il car-dinale, che aveva risorse grandissime, non poteva esita-re; pagando i gioiellieri, avrebbe soffocato tutta la sto-ria. E non avrebbe esitato, e la signora de la Motte colmarito avrebbero goduto in pace il frutto delle loro ru-berìe! Questa non è un'ipotesi: esistono le dichiarazionidel principe di Rohan:

«Entrava nei piani della signora de la Motte il dichia-rare spontaneamente che la firma era falsa. Si lusingavad'avermi ridotto, mercè le sue abili manovre, al punto dipagare la collana senza osare neppure di lagnarmi. Eavrei certamente preso il partito d'aggiustarmela coi gio-iellieri, sacrificando la mia sostanza e invocando l'aiutodi parenti miei».

Per disgrazia del cardinale e di Giovanna di Valois, igioiellieri, per timidità, non osano affrontare Rohan. In-formato dal collega delle parole della signora de la Mot-te, Böhmer, in preda alle maggiori ansie, accorre a Ver-sailles lo stesso giorno, sforzandosi d'ottenere un'udien-za dalla regina. Non può vedere che la lettrice, la signo-ra Campan, che gli dice:

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«Siete vittima d'una furfanterìa; la regina non ha mairicevuto la collana».

Adesso, almeno, i gioiellieri avranno il coraggiod'andare direttamente dal cardinale a fare la dichiarazio-ne consigliata loro dalla signora de la Motte? Nossigno-ri; sino alla fine la loro condotta deluderà tutti i suoi cal-coli.

Lo stesso giorno, 3 agosto, la signora de la Mottemandava a chiamare Rétaux de Villette per spronarlo afuggire, consegnandogli 4000 lire per il suo viaggio. Ré-taux fa caricare le valige sopra un calessino preso a noloda Hinnet, sellaio, in via San Martino. Il cavallo appar-tiene a La Motte. Va a cena in via Saint-Gilles, allegra-mente, fino a mezzanotte; e siccome i mobili di casasono già imballati, ad eccezione del letto dei coniugi LaMotte, Rétaux va a mettersi nel suo calesse, che sta giùnel cortile, e parte alle due del mattino, incamminandosiverso l'Italia, passando dalla Svizzera.

E ancora lo stesso giorno, 3 agosto, Giovanna inviadal cardinale Rosalia, insistendo perché venga a trovar-la. Il cardinale ha dato la consegna di non ricevere nes-suno ma la cameriera tanto insiste che il guardaportonela lascia salire. Il cardinale si reca in via Neuve-Saint-Gilles.

«Ho dei nemici – essa lamenta – che m'accusanod'indiscrezione e di millanteria; da un momento all'altroposso venire arrestata; m'hanno fatto sperare, se lascioParigi, che forse cesseranno di vedermi dove sono na-scosta. Sto col tremito addosso. Nell'aspettativa che i

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«Siete vittima d'una furfanterìa; la regina non ha mairicevuto la collana».

Adesso, almeno, i gioiellieri avranno il coraggiod'andare direttamente dal cardinale a fare la dichiarazio-ne consigliata loro dalla signora de la Motte? Nossigno-ri; sino alla fine la loro condotta deluderà tutti i suoi cal-coli.

Lo stesso giorno, 3 agosto, la signora de la Mottemandava a chiamare Rétaux de Villette per spronarlo afuggire, consegnandogli 4000 lire per il suo viaggio. Ré-taux fa caricare le valige sopra un calessino preso a noloda Hinnet, sellaio, in via San Martino. Il cavallo appar-tiene a La Motte. Va a cena in via Saint-Gilles, allegra-mente, fino a mezzanotte; e siccome i mobili di casasono già imballati, ad eccezione del letto dei coniugi LaMotte, Rétaux va a mettersi nel suo calesse, che sta giùnel cortile, e parte alle due del mattino, incamminandosiverso l'Italia, passando dalla Svizzera.

E ancora lo stesso giorno, 3 agosto, Giovanna inviadal cardinale Rosalia, insistendo perché venga a trovar-la. Il cardinale ha dato la consegna di non ricevere nes-suno ma la cameriera tanto insiste che il guardaportonela lascia salire. Il cardinale si reca in via Neuve-Saint-Gilles.

«Ho dei nemici – essa lamenta – che m'accusanod'indiscrezione e di millanteria; da un momento all'altroposso venire arrestata; m'hanno fatto sperare, se lascioParigi, che forse cesseranno di vedermi dove sono na-scosta. Sto col tremito addosso. Nell'aspettativa che i

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miei affari si mettano a posto qui e tutti i miei mobilisieno portati via, accordatemi, di grazia, un asilo nel vo-stro palazzo».

Rohan, fiducioso fino all'ultimo, le dice che è prontoa riceverla col marito.

Quella stessa giornata, ella aveva dato un pranzo invi-tando insieme ad altre persone e ad un suo nipote, ilconte di Barras; era presente anche la sorella MariaAnna, che s'era lasciata decidere a venire a Parigi. Nonbisognava lasciar scorgere il tremito interiore. Ma fra leundici e mezzanotte, fatti spegnere i lumi dal portiereeccola aprire l'uscio pianamente, senza far rumore, e sci-volar via come un'ombra, seguita da Rosalia.

«La tremarella – dirà poi Target – si rivela in ogni vo-stro passo. Le tenebre non vi bastano per celarvi ad ognisguardo; voi temete perfino la candela del portiere; nonuscirete se non quando tutti saranno usciti dalla portine-ria e tutti i lumi spenti; il cappuccio delle vostre mantel-line ricoprirà il volto ad ambedue; e così, nell'ombra, ingran mistero, attraverserete la solitudine di quella partedel corso che vi conduce fino alla casa del cardinale oveandate a rifugiarvi».

Nella via Vieille-du-Temple trovò il marito:«Il signor di Carbonnières ci condusse in una stanza

ch'era stata occupata dal reverendo abate Georgel».«Con quest'ultima manovra, la signora de la Motte

credeva di legare definitivamente la propria sorte a quel-la di Rohan, stabilendo la propria buona fede:

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miei affari si mettano a posto qui e tutti i miei mobilisieno portati via, accordatemi, di grazia, un asilo nel vo-stro palazzo».

Rohan, fiducioso fino all'ultimo, le dice che è prontoa riceverla col marito.

Quella stessa giornata, ella aveva dato un pranzo invi-tando insieme ad altre persone e ad un suo nipote, ilconte di Barras; era presente anche la sorella MariaAnna, che s'era lasciata decidere a venire a Parigi. Nonbisognava lasciar scorgere il tremito interiore. Ma fra leundici e mezzanotte, fatti spegnere i lumi dal portiereeccola aprire l'uscio pianamente, senza far rumore, e sci-volar via come un'ombra, seguita da Rosalia.

«La tremarella – dirà poi Target – si rivela in ogni vo-stro passo. Le tenebre non vi bastano per celarvi ad ognisguardo; voi temete perfino la candela del portiere; nonuscirete se non quando tutti saranno usciti dalla portine-ria e tutti i lumi spenti; il cappuccio delle vostre mantel-line ricoprirà il volto ad ambedue; e così, nell'ombra, ingran mistero, attraverserete la solitudine di quella partedel corso che vi conduce fino alla casa del cardinale oveandate a rifugiarvi».

Nella via Vieille-du-Temple trovò il marito:«Il signor di Carbonnières ci condusse in una stanza

ch'era stata occupata dal reverendo abate Georgel».«Con quest'ultima manovra, la signora de la Motte

credeva di legare definitivamente la propria sorte a quel-la di Rohan, stabilendo la propria buona fede:

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«Se non avesse agito in buona fede, sarebbe forse ve-nuta a mettersi nelle mani del principe?».

Il 4 agosto, l'indomani della duplice dichiarazione fat-ta dalla signora de la Motte e dalla signora Campan,Böhmer vien chiamato al palazzo di Strasburgo. È Bas-senge che vi si reca. Desidera spiegarsi col cardinale,ma, intimidito, non osa ancora confessare apertamenteciò che gli sta in cuore, ripete ciò che la vigilia gli è sta-to dichiarato, parlare d'un falso. Chiede soltanto:

«Sua Eminenza è proprio certa dell'intermediario cheè stato messo di mezzo fra lei e la regina?».

Rohan nota la sovraeccitazione del gioielliere e ne ri-mane spaventato. Occorre calmarlo. Sarebbe capace digiungere fino al re e rivelargli il segreto. Gli propone diconsegnargli il titolo contenente le condizioni della ven-dita, con la firma «Maria Antonietta di Francia». Saràper la sua garanzia. Ma immediatamente Bassenge capi-sce che nel caso d'un inganno quell'unica garanzia nonrimane tale se non fra le mani del cardinale fungente dacauzione. Il cardinale ha un bell'insistere; egli rifiuta ilpossesso di quella carta.

Bassenge torna a parlare delle proprie inquietudini,dei creditori che perdono la pazienza, di Sainte-Jamesche gli ha anticipato 800.000 lire sulla collana...

L'angoscia stringe il principe Luigi alla gola; ad ognicosto Bassenge deve venire rassicurato.

«Se vi dicessi che ho trattato direttamente con la regi-na, sareste contento?

«— Questo mi darebbe la massima tranquillità.

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«Se non avesse agito in buona fede, sarebbe forse ve-nuta a mettersi nelle mani del principe?».

Il 4 agosto, l'indomani della duplice dichiarazione fat-ta dalla signora de la Motte e dalla signora Campan,Böhmer vien chiamato al palazzo di Strasburgo. È Bas-senge che vi si reca. Desidera spiegarsi col cardinale,ma, intimidito, non osa ancora confessare apertamenteciò che gli sta in cuore, ripete ciò che la vigilia gli è sta-to dichiarato, parlare d'un falso. Chiede soltanto:

«Sua Eminenza è proprio certa dell'intermediario cheè stato messo di mezzo fra lei e la regina?».

Rohan nota la sovraeccitazione del gioielliere e ne ri-mane spaventato. Occorre calmarlo. Sarebbe capace digiungere fino al re e rivelargli il segreto. Gli propone diconsegnargli il titolo contenente le condizioni della ven-dita, con la firma «Maria Antonietta di Francia». Saràper la sua garanzia. Ma immediatamente Bassenge capi-sce che nel caso d'un inganno quell'unica garanzia nonrimane tale se non fra le mani del cardinale fungente dacauzione. Il cardinale ha un bell'insistere; egli rifiuta ilpossesso di quella carta.

Bassenge torna a parlare delle proprie inquietudini,dei creditori che perdono la pazienza, di Sainte-Jamesche gli ha anticipato 800.000 lire sulla collana...

L'angoscia stringe il principe Luigi alla gola; ad ognicosto Bassenge deve venire rassicurato.

«Se vi dicessi che ho trattato direttamente con la regi-na, sareste contento?

«— Questo mi darebbe la massima tranquillità.

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«— Ebbene, io sono tanto sicuro come se avessi trat-tato direttamente».

Infatti Rohan non ha forse visto Maria Antonietta aVersailles, quella sera, nel boschetto? la regina non gliha fatto testè consegnare 30.000 lire? egli non ha ricevu-to da lei numerose lettere?

Bassenge risponde che rimane inquieto.«Farò in modo che la regina venga a sapere quanto si-

mili ritardi sieno nocivi ai vostri interessi».Bassenge diffida dell'intermediario. Sainte-James di-

venta sempre più insistente.«M'assumo dunque l'impegno – dice Rohan – d'otte-

nere dal tesoriere della marina che pazienti a vostro ri-guardo».

Parole che calmano il negoziante il quale si congeda.In seguito a quell'angoscioso colloquio, il principe

Luigi dettò a Liégeois, uno de' suoi camerieri, un bi-glietto in cui si rispecchiano i suoi tormenti, e che vennetrovato fra le sue carte. Eccolo con le opportune indica-zioni per capirne i termini.

«Mandato a chiamare B (assenge) che sospetta sia perparlargli del medesimo oggetto (la collana). M'ha chie-sto come doveva rispondere. Gli ho detto di guardarsibene dal fare nessuna confidenza, che dovesse dired'aver spedito l'oggetto in questione all'estero e che gliraccomando assolutamente la secretezza e di non farenessuna confidenza. M'ha affermato e ripetuto varie vol-te non essere più la sua vita che un tormento da quandos'era preso la libertà di scrivere a... (la regina) e che gli

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«— Ebbene, io sono tanto sicuro come se avessi trat-tato direttamente».

Infatti Rohan non ha forse visto Maria Antonietta aVersailles, quella sera, nel boschetto? la regina non gliha fatto testè consegnare 30.000 lire? egli non ha ricevu-to da lei numerose lettere?

Bassenge risponde che rimane inquieto.«Farò in modo che la regina venga a sapere quanto si-

mili ritardi sieno nocivi ai vostri interessi».Bassenge diffida dell'intermediario. Sainte-James di-

venta sempre più insistente.«M'assumo dunque l'impegno – dice Rohan – d'otte-

nere dal tesoriere della marina che pazienti a vostro ri-guardo».

Parole che calmano il negoziante il quale si congeda.In seguito a quell'angoscioso colloquio, il principe

Luigi dettò a Liégeois, uno de' suoi camerieri, un bi-glietto in cui si rispecchiano i suoi tormenti, e che vennetrovato fra le sue carte. Eccolo con le opportune indica-zioni per capirne i termini.

«Mandato a chiamare B (assenge) che sospetta sia perparlargli del medesimo oggetto (la collana). M'ha chie-sto come doveva rispondere. Gli ho detto di guardarsibene dal fare nessuna confidenza, che dovesse dired'aver spedito l'oggetto in questione all'estero e che gliraccomando assolutamente la secretezza e di non farenessuna confidenza. M'ha affermato e ripetuto varie vol-te non essere più la sua vita che un tormento da quandos'era preso la libertà di scrivere a... (la regina) e che gli

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era stato detto da C. (la signora Campan) che il padrone(la regina) non sapeva ciò che volesse dire quella gente(Böhmer). Che la testa gli girava. Questo complesso dicose potrebbe anche far girare la mia, se non fosse certoche il mezzo proposto (il passo fatto verso Sainte-James) aggiusta tutto per il presente e per il futuro.D'altronde, la persona da me proposta (Sainte-James) èal corrente d'ogni cosa perchè debitore (i Böhmer) nonha potuto fare altrimenti. Così che questo non muta nul-la nell'ordine delle cose, farà anzi nascere la calma làdove attualmente non c'è che turbamento e disperazio-ne».

Il cardinale vide infatti Baudard di Sainte-James. Loincontrò una sera, in società. Passeggiarono ambeduesulla terrazza, confusi fra gli invitati. Il cardinale suppli-cò il finanziere di non fare pressioni ai gioiellieri per ilpagamento; per rassicurarlo, gli confidò d'aver letto unadichiarazione della regina, scritta di suo pugno, comequalmente essa aveva 700.000 lire per i Böhmer. Rohanalludeva alla sedicente lettera di Maria Antonietta che lasignora de la Motte gli aveva mostrata portandogli le30.000 lire d'interessi sulla somma da ulteriormente ver-sarsi.

Entrata col marito nell'appartamento di palazzo Ro-han nella notte dal 3 al 4 agosto, la signora de la Mottene uscì il 5; il 6 partiva per Bar-sur-Aube.

S'incamminava verso il paese natale, con animo tran-quillo. Lo scoppio del temporale sarebbe ricaduto suRohan, il quale non avrebbe esitato a scongiurarlo pa-

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era stato detto da C. (la signora Campan) che il padrone(la regina) non sapeva ciò che volesse dire quella gente(Böhmer). Che la testa gli girava. Questo complesso dicose potrebbe anche far girare la mia, se non fosse certoche il mezzo proposto (il passo fatto verso Sainte-James) aggiusta tutto per il presente e per il futuro.D'altronde, la persona da me proposta (Sainte-James) èal corrente d'ogni cosa perchè debitore (i Böhmer) nonha potuto fare altrimenti. Così che questo non muta nul-la nell'ordine delle cose, farà anzi nascere la calma làdove attualmente non c'è che turbamento e disperazio-ne».

Il cardinale vide infatti Baudard di Sainte-James. Loincontrò una sera, in società. Passeggiarono ambeduesulla terrazza, confusi fra gli invitati. Il cardinale suppli-cò il finanziere di non fare pressioni ai gioiellieri per ilpagamento; per rassicurarlo, gli confidò d'aver letto unadichiarazione della regina, scritta di suo pugno, comequalmente essa aveva 700.000 lire per i Böhmer. Rohanalludeva alla sedicente lettera di Maria Antonietta che lasignora de la Motte gli aveva mostrata portandogli le30.000 lire d'interessi sulla somma da ulteriormente ver-sarsi.

Entrata col marito nell'appartamento di palazzo Ro-han nella notte dal 3 al 4 agosto, la signora de la Mottene uscì il 5; il 6 partiva per Bar-sur-Aube.

S'incamminava verso il paese natale, con animo tran-quillo. Lo scoppio del temporale sarebbe ricaduto suRohan, il quale non avrebbe esitato a scongiurarlo pa-

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gando i gioiellieri. Del resto, le trattative non erano di-rettamente avvenute fra i negozianti e il cardinale? Nonc'era ragione d'inquietarsi.

Quando poi i commissarii del Parlamento obbiettaro-no a Rohan che, se madama La Motte avesse realmentefatto imitare la firma della regina e vendere i diamanti aproprio profitto non sarebbe sloggiata così alla luce delsole per recarsi a Bar-sur-Aube ma ritirata piuttosto inpaese straniero, Rohan rispose molto giustamente:

«La condotta della suddetta signora non è poi così il-logica come a prima vista sembrerebbe. Credeva d'aver-mi talmente circuito con le sue arti ch'io non avrei osatodire nulla, e, difatti, le manovre sono così molteplicich'io avrei preferito pagare, non dire nulla e lasciare chela signora godesse del frutto dei proprii imbrogli».

«Quale condotta più naturale, più abile, più prudente,poteva dunque tenere Giovanna di Valois? – osserval'avvocato Labori. – Fuggire, significa accusarsi, dare aRohan, forse, il mezzo di disimpegnarsi. Rimanere, vuoldire condannare Rohan a mettere in tacere la faccenda aqualunque costo, pagare i Böhmer, assumere tutto a pro-prio carico. Che cosa può ella temere, infatti? Non è for-se Rohan un poco complice suo, per la sua audacia a vo-ler innalzarsi fino alla regina, per quella credulità inge-nua dell'incontro simulato, per quella corrispondenza in-ventata a piacere? Finch'è nell'inganno, Rohan non puòvoler perdere la regina; disilluso, non può affrontareun'accusa di lesa maestà, affrontare il patibolo».

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gando i gioiellieri. Del resto, le trattative non erano di-rettamente avvenute fra i negozianti e il cardinale? Nonc'era ragione d'inquietarsi.

Quando poi i commissarii del Parlamento obbiettaro-no a Rohan che, se madama La Motte avesse realmentefatto imitare la firma della regina e vendere i diamanti aproprio profitto non sarebbe sloggiata così alla luce delsole per recarsi a Bar-sur-Aube ma ritirata piuttosto inpaese straniero, Rohan rispose molto giustamente:

«La condotta della suddetta signora non è poi così il-logica come a prima vista sembrerebbe. Credeva d'aver-mi talmente circuito con le sue arti ch'io non avrei osatodire nulla, e, difatti, le manovre sono così molteplicich'io avrei preferito pagare, non dire nulla e lasciare chela signora godesse del frutto dei proprii imbrogli».

«Quale condotta più naturale, più abile, più prudente,poteva dunque tenere Giovanna di Valois? – osserval'avvocato Labori. – Fuggire, significa accusarsi, dare aRohan, forse, il mezzo di disimpegnarsi. Rimanere, vuoldire condannare Rohan a mettere in tacere la faccenda aqualunque costo, pagare i Böhmer, assumere tutto a pro-prio carico. Che cosa può ella temere, infatti? Non è for-se Rohan un poco complice suo, per la sua audacia a vo-ler innalzarsi fino alla regina, per quella credulità inge-nua dell'incontro simulato, per quella corrispondenza in-ventata a piacere? Finch'è nell'inganno, Rohan non puòvoler perdere la regina; disilluso, non può affrontareun'accusa di lesa maestà, affrontare il patibolo».

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Rohan infatti era sempre esitante. La sua mente oscil-lava fra le perplessità più crudeli. La domanda rivoltaglidal gioielliere diventava un incubo. S'era sforzato di ras-sicurare Böhmer; ma a sua volta non era niente affattosicuro. Ed ecco che l'imbroglio gli appare per la primavolta chiaramente quando, paragonando a caso l'impe-gno sottoscritto «Maria Antonietta di Francia» con altribiglietti della regina datigli da parenti suoi, non trova frale due calligrafie la minima somiglianza.

Cagliostro, il consigliere solito, viene chiamatod'urgenza. L'alchimista, stavolta, lascia in disparte i lumidel gran Cofto, dell'arcangelo Michele e del bue Api.Perspicace com'è, districa tutto l'intrigo.

«Mai – disse Cagliostro a Rohan – la regina ha firma-to Maria Antonietta di Francia. Siete vittima d'una fur-fanteria e non avete che un partito da prendere: andatesenza indugio a buttarvi ai piedi del re per raccontarglitutto quello ch'è accaduto».

Cagliostro indovinava l'avvenire? Quanto al presente,il suo era un parlar d'oro. Abbiamo indicato il momento,critico nella vita di Maria Antonietta, quello in cui l'arri-vo del Controllore generale le impedì d'interrogare Böh-mer a proposito del biglietto che le porgeva; ora vedia-mo il momento critico del cardinale. Se avesse seguito ilconsiglio dell'alchimista, lo spaventoso scandalo sareb-be stato evitato. Rimaneva in una dolorosa perplessità.Ed era ancora la sua bontà che gli impediva di agire.Esitava a far mettere in ceppi quella giovine donna, unaValois. Era stata spinta agli estremi dalla miseria.

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Rohan infatti era sempre esitante. La sua mente oscil-lava fra le perplessità più crudeli. La domanda rivoltaglidal gioielliere diventava un incubo. S'era sforzato di ras-sicurare Böhmer; ma a sua volta non era niente affattosicuro. Ed ecco che l'imbroglio gli appare per la primavolta chiaramente quando, paragonando a caso l'impe-gno sottoscritto «Maria Antonietta di Francia» con altribiglietti della regina datigli da parenti suoi, non trova frale due calligrafie la minima somiglianza.

Cagliostro, il consigliere solito, viene chiamatod'urgenza. L'alchimista, stavolta, lascia in disparte i lumidel gran Cofto, dell'arcangelo Michele e del bue Api.Perspicace com'è, districa tutto l'intrigo.

«Mai – disse Cagliostro a Rohan – la regina ha firma-to Maria Antonietta di Francia. Siete vittima d'una fur-fanteria e non avete che un partito da prendere: andatesenza indugio a buttarvi ai piedi del re per raccontarglitutto quello ch'è accaduto».

Cagliostro indovinava l'avvenire? Quanto al presente,il suo era un parlar d'oro. Abbiamo indicato il momento,critico nella vita di Maria Antonietta, quello in cui l'arri-vo del Controllore generale le impedì d'interrogare Böh-mer a proposito del biglietto che le porgeva; ora vedia-mo il momento critico del cardinale. Se avesse seguito ilconsiglio dell'alchimista, lo spaventoso scandalo sareb-be stato evitato. Rimaneva in una dolorosa perplessità.Ed era ancora la sua bontà che gli impediva di agire.Esitava a far mettere in ceppi quella giovine donna, unaValois. Era stata spinta agli estremi dalla miseria.

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«Ero incerto sul partito da prendere, incerto se occor-resse svelate tutto denunziando la signora de la Motte,oppure se non fosse più saggio pagare la Collana e met-tere in tacere la faccenda».

* * *

A Bar-sur-Aube Giovanna dava feste da sbalordire.Era un lusso inaudito. Con il consorte si reca ai ricevi-menti organizzati dai signori della contrada. A Château-villain, il duca di Penthièvre l'accoglie con la massimadeferenza.

«Il principe – dice Beugnot – la riconduce finoall'uscio della seconda sala che dà sullo scalone, onoreda lui non accordato alle duchesse e riservato soltantoalle principesse del sangue», tanto è grande il suo rispet-to per la pronipote dei re. Il conte Beugnot si trova con iconiugi La Motte quasi giornalmente.

Il 17 agosto, Beugnot, aveva accompagnato la signorade la Motte all'abbazia di Chairvaux per le solennità inonore di San Bernardo. L'abate Maury, prodigavaanch'egli alla contessa i più delicati riguardi. Credeva –dice Beugnot – alla sua relazione col cardinale e la trat-tava come una principessa della Chiesa. Giovanna eravestita in modo vistoso e tutta indiamantata. Passeggia-rono tutta la sera nei bei giardini dell'abbazia. Il cieloera luminoso. Il sole era scomparso dietro le alture bo-scose che rinserrano Clairvaux. Gli alberi si staccavano,sulla collina, in pizzi neri sopra un fondo porpora ed

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«Ero incerto sul partito da prendere, incerto se occor-resse svelate tutto denunziando la signora de la Motte,oppure se non fosse più saggio pagare la Collana e met-tere in tacere la faccenda».

* * *

A Bar-sur-Aube Giovanna dava feste da sbalordire.Era un lusso inaudito. Con il consorte si reca ai ricevi-menti organizzati dai signori della contrada. A Château-villain, il duca di Penthièvre l'accoglie con la massimadeferenza.

«Il principe – dice Beugnot – la riconduce finoall'uscio della seconda sala che dà sullo scalone, onoreda lui non accordato alle duchesse e riservato soltantoalle principesse del sangue», tanto è grande il suo rispet-to per la pronipote dei re. Il conte Beugnot si trova con iconiugi La Motte quasi giornalmente.

Il 17 agosto, Beugnot, aveva accompagnato la signorade la Motte all'abbazia di Chairvaux per le solennità inonore di San Bernardo. L'abate Maury, prodigavaanch'egli alla contessa i più delicati riguardi. Credeva –dice Beugnot – alla sua relazione col cardinale e la trat-tava come una principessa della Chiesa. Giovanna eravestita in modo vistoso e tutta indiamantata. Passeggia-rono tutta la sera nei bei giardini dell'abbazia. Il cieloera luminoso. Il sole era scomparso dietro le alture bo-scose che rinserrano Clairvaux. Gli alberi si staccavano,sulla collina, in pizzi neri sopra un fondo porpora ed

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oro, con delle colate d'ottone verde, fiammeggiante; mala vallata era nell'ombra. Soltanto le cime dei pioppi edei pini emergevano, d'un giallo arancio, come inzuppatinello zafferano. A poco a poco la luce s'è affievolita, ilcielo è diventato violetto. Nella vallata si addensa unanebbia bianca d'attimo in attimo sempre più opaca in cuisi frammischiano dei toni grigi sempre più oscuri. Gros-se nubi invadono il tramonto. Il crepuscolo si disperdenella notte.

Suonano le nove. È il momento di cenare. L'abateMaury è in ritardo. Alle nove e mezza finalmente ci sidecide a mettersi a tavola senza di lui. Il grande refetto-rio, a due piani di finestre, è festoso. I muri d'un biancocrudo riflettono la luce delle candele; e i cammei bistra-ti, nelle curve delle arcate, fra i pilastri alti, – soggettireligiosi a cui lo stile del tempo conferisce un'aria di mi-tologie alla Van Loo – brillano d'un allegro splendore.

Rumore d'una carrozza, fuori. Compare l'abate, an-sante, turbato.

«— Novità?«— Se ci sono novità? Ma in che mondo vivete? il

principe cardinale di Rohan, grande elemosiniere diFrancia, è stato arrestato martedì scorso, giornodell'Assunzione, in abiti pontificali, nel momento in cuiusciva dal gabinetto del re. Si parla d'una collana di dia-manti acquistata in nome della regina...».

Giovanna stava seduta fra le sottane nere di due mo-naci e sul petto le scintillavano i diamanti.

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oro, con delle colate d'ottone verde, fiammeggiante; mala vallata era nell'ombra. Soltanto le cime dei pioppi edei pini emergevano, d'un giallo arancio, come inzuppatinello zafferano. A poco a poco la luce s'è affievolita, ilcielo è diventato violetto. Nella vallata si addensa unanebbia bianca d'attimo in attimo sempre più opaca in cuisi frammischiano dei toni grigi sempre più oscuri. Gros-se nubi invadono il tramonto. Il crepuscolo si disperdenella notte.

Suonano le nove. È il momento di cenare. L'abateMaury è in ritardo. Alle nove e mezza finalmente ci sidecide a mettersi a tavola senza di lui. Il grande refetto-rio, a due piani di finestre, è festoso. I muri d'un biancocrudo riflettono la luce delle candele; e i cammei bistra-ti, nelle curve delle arcate, fra i pilastri alti, – soggettireligiosi a cui lo stile del tempo conferisce un'aria di mi-tologie alla Van Loo – brillano d'un allegro splendore.

Rumore d'una carrozza, fuori. Compare l'abate, an-sante, turbato.

«— Novità?«— Se ci sono novità? Ma in che mondo vivete? il

principe cardinale di Rohan, grande elemosiniere diFrancia, è stato arrestato martedì scorso, giornodell'Assunzione, in abiti pontificali, nel momento in cuiusciva dal gabinetto del re. Si parla d'una collana di dia-manti acquistata in nome della regina...».

Giovanna stava seduta fra le sottane nere di due mo-naci e sul petto le scintillavano i diamanti.

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«Non appena la notizia ebbe colpito le mie orecchie –dice Beugnot – io volsi gli occhi verso la signora de laMotte che aveva lasciato cadere il tovagliolo e il cuiviso, pallido e immobile, rimaneva perpendicola al suopiatto. Passato il primo momento, vedo che fa uno sfor-zo e corre fuori della sala da pranzo. Uno dei dignitariidella casa la segue, e, pochi minuti dopo, lascio la tavo-la e vado a raggiungerla. Aveva già fatto attaccare i ca-valli; e noi partiamo».

Giovanna di Valois pronunzia parole incoerenti. Bru-scamente il suo pensiero si ferma sul nome di Caglio-stro:

«— Vi dico che lì sotto non v'è che la mano di Ca-gliostro.

«— Ma voi avete ricevuto quel ciarlatano e non visiete per caso compromessa con lui?

«— Affatto, e sono tranquillissima, anzi ho avutoproprio torto a lasciare la cena».

Beugnot non condivide quella fiducia. Suggerisce lafuga in Inghilterra.

«Signore, mi seccate alla fine! Vi ho lasciato andarefino in fondo perchè pensavo a tutt'altro. Occorre ripe-tervi dieci volte di fila che io non c'entro per nulla inquesta faccenda? Sono veramente indispettita d'essermialzata da tavola».

Il tempo s'era guastato. Pesanti nuvole correvano super il cielo. Veniva il temporale. Nella notte buia lapioggia cadeva a catinelle. La vettura era sferzata dairami inzuppati d'acqua degli alberi, faggi e frassini, che

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«Non appena la notizia ebbe colpito le mie orecchie –dice Beugnot – io volsi gli occhi verso la signora de laMotte che aveva lasciato cadere il tovagliolo e il cuiviso, pallido e immobile, rimaneva perpendicola al suopiatto. Passato il primo momento, vedo che fa uno sfor-zo e corre fuori della sala da pranzo. Uno dei dignitariidella casa la segue, e, pochi minuti dopo, lascio la tavo-la e vado a raggiungerla. Aveva già fatto attaccare i ca-valli; e noi partiamo».

Giovanna di Valois pronunzia parole incoerenti. Bru-scamente il suo pensiero si ferma sul nome di Caglio-stro:

«— Vi dico che lì sotto non v'è che la mano di Ca-gliostro.

«— Ma voi avete ricevuto quel ciarlatano e non visiete per caso compromessa con lui?

«— Affatto, e sono tranquillissima, anzi ho avutoproprio torto a lasciare la cena».

Beugnot non condivide quella fiducia. Suggerisce lafuga in Inghilterra.

«Signore, mi seccate alla fine! Vi ho lasciato andarefino in fondo perchè pensavo a tutt'altro. Occorre ripe-tervi dieci volte di fila che io non c'entro per nulla inquesta faccenda? Sono veramente indispettita d'essermialzata da tavola».

Il tempo s'era guastato. Pesanti nuvole correvano super il cielo. Veniva il temporale. Nella notte buia lapioggia cadeva a catinelle. La vettura era sferzata dairami inzuppati d'acqua degli alberi, faggi e frassini, che

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formano i boschi di Clairvaux: uno sciacquìo monotonoche snervava. Le ruote affondavano nella melma dellestrade. Il tuono rumoreggiava. Certi momenti, i cavallisi imbizzarrivano, rifiutandosi d'andare innanzi. Final-mente, si uscì dal bosco. Da ambo i lati della via i campisi stendono tristi e deserti. Le lanterne sono spente. Nonsi vede più nulla, davanti a sè. La contessa ha paura chei cavalli non attraversino diretti i ponti sull'Aube e labuttino nel fiume. Si passa dalle Crottières. E finalmentesi giunge in via San Michele, alla casa della contessa.Beugnot le consiglia di bruciare tutte le carte concernen-ti le sue relazioni col cardinale.

«Noi apriamo – egli narra – un grande cofano in le-gno di sandalo pieno di carte d'ogni colore. Avevo pre-mura di finirla».

Perchè non buttare sul fuoco tutto insieme, in blocco?Ma Giovanna ci tiene a far leggere al giovane avvocatocerti documenti. Era la pretesa corrispondenza amorosadi Rohan con Giovanna di Valois. Era necessario cheBeugnot ne fosse a conoscenza, per poterne testificare,nel caso; ma necessario anche che le lettere fossero poidistrutte, subito dopo, affinchè l'autenticità non potessevenir controllata.

L'alba imbiancava il cielo quando Beugnot si conge-dò. Tutte le carte erano distrutte.

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formano i boschi di Clairvaux: uno sciacquìo monotonoche snervava. Le ruote affondavano nella melma dellestrade. Il tuono rumoreggiava. Certi momenti, i cavallisi imbizzarrivano, rifiutandosi d'andare innanzi. Final-mente, si uscì dal bosco. Da ambo i lati della via i campisi stendono tristi e deserti. Le lanterne sono spente. Nonsi vede più nulla, davanti a sè. La contessa ha paura chei cavalli non attraversino diretti i ponti sull'Aube e labuttino nel fiume. Si passa dalle Crottières. E finalmentesi giunge in via San Michele, alla casa della contessa.Beugnot le consiglia di bruciare tutte le carte concernen-ti le sue relazioni col cardinale.

«Noi apriamo – egli narra – un grande cofano in le-gno di sandalo pieno di carte d'ogni colore. Avevo pre-mura di finirla».

Perchè non buttare sul fuoco tutto insieme, in blocco?Ma Giovanna ci tiene a far leggere al giovane avvocatocerti documenti. Era la pretesa corrispondenza amorosadi Rohan con Giovanna di Valois. Era necessario cheBeugnot ne fosse a conoscenza, per poterne testificare,nel caso; ma necessario anche che le lettere fossero poidistrutte, subito dopo, affinchè l'autenticità non potessevenir controllata.

L'alba imbiancava il cielo quando Beugnot si conge-dò. Tutte le carte erano distrutte.

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XXIV.«FANGO SUL PASTORALE

E SULLO SCETTRO».

Mentre il cardinale così tergiversava, la regina, 1'8agosto, messa al corrente dalla signora Campan dellaconversazione da lei avuta col suo gioielliere il giorno 5,manda a cercare costui a Versailles. Lo manda a chiama-re con gran premura. Il biglietto, redatto da Loir, il suocameriere, dà un indizio della sua impazienza. Böhmervi si reca il 9 agosto. Interrogato, risponde in qual modoha venduto la collana. Maria Antonietta, stupita, spaven-tata, ordina al gioielliere di redigere un memoriale chele viene consegnato il 12. Le trattative per la collana,l'iniziativa della signora de la Motte, i passi fatti dal car-dinale e la consegna del gioiello fra le di lui mani, tuttovi è esposto in modo particolareggiato.

Maria Antonietta ne parla subito al re, turbata, irrita-ta. Sente l'oltraggio di quell'abuso del suo nome. L'anti-

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XXIV.«FANGO SUL PASTORALE

E SULLO SCETTRO».

Mentre il cardinale così tergiversava, la regina, 1'8agosto, messa al corrente dalla signora Campan dellaconversazione da lei avuta col suo gioielliere il giorno 5,manda a cercare costui a Versailles. Lo manda a chiama-re con gran premura. Il biglietto, redatto da Loir, il suocameriere, dà un indizio della sua impazienza. Böhmervi si reca il 9 agosto. Interrogato, risponde in qual modoha venduto la collana. Maria Antonietta, stupita, spaven-tata, ordina al gioielliere di redigere un memoriale chele viene consegnato il 12. Le trattative per la collana,l'iniziativa della signora de la Motte, i passi fatti dal car-dinale e la consegna del gioiello fra le di lui mani, tuttovi è esposto in modo particolareggiato.

Maria Antonietta ne parla subito al re, turbata, irrita-ta. Sente l'oltraggio di quell'abuso del suo nome. L'anti-

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patia materna, trasmessa e accuratamente mantenuta inlei, riappare in tutto il suo vigore.

«La cosa – scrive al fratello Giuseppe II – è statacombinata fra il re e me; i ministri non ne hanno saputonulla». Fu questo il guaio. Nel ministero c'era allora unapersona di primissimo ordine, dotata d'una conoscenzaprofonda degli uomini e d'una esperienza preziosa, ilconte di Vergennes. Avrebbe impedito lo sbaglio irrepa-rabile che sta per essere commesso.

Il 15 agosto, giorno dell'Assunzione, era sempre unagrande solennità a Corte dopo il voto di Luigi XIII cheaveva posto la corona e il regno sotto la protezione dellaVergine. Era pure la festa della regina. Tutta la Corte, ela nobiltà gravitante attorno ad essa, si trovava a Versail-les; e il popolo giungeva in folla da Parigi. Nella matti-nata, il re, la regina, Breteuil, il guardiasigilli Mirome-snil, si sono riuniti alle dieci nel gabinetto del re. Ver-gennes non c'è; la questione che si sta per dibattere nonriguarda il suo dipartimento. Breteuil legge ad alta voceil memoriale dei gioiellieri. Vengono espresse le varieopinioni. Miromesnil raccomanda la prudenza, la mode-razione:

«Bisogna – dice – informarsi bene. Rohan appartienea una tal famiglia e occupa una posizione tale che meritadi venire interrogato prima che lo si arresti».

Breteuil invece espone con violenza un parere contra-rio. Abbiamo detto che c'era un odio personale fra Ro-han e lui.

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patia materna, trasmessa e accuratamente mantenuta inlei, riappare in tutto il suo vigore.

«La cosa – scrive al fratello Giuseppe II – è statacombinata fra il re e me; i ministri non ne hanno saputonulla». Fu questo il guaio. Nel ministero c'era allora unapersona di primissimo ordine, dotata d'una conoscenzaprofonda degli uomini e d'una esperienza preziosa, ilconte di Vergennes. Avrebbe impedito lo sbaglio irrepa-rabile che sta per essere commesso.

Il 15 agosto, giorno dell'Assunzione, era sempre unagrande solennità a Corte dopo il voto di Luigi XIII cheaveva posto la corona e il regno sotto la protezione dellaVergine. Era pure la festa della regina. Tutta la Corte, ela nobiltà gravitante attorno ad essa, si trovava a Versail-les; e il popolo giungeva in folla da Parigi. Nella matti-nata, il re, la regina, Breteuil, il guardiasigilli Mirome-snil, si sono riuniti alle dieci nel gabinetto del re. Ver-gennes non c'è; la questione che si sta per dibattere nonriguarda il suo dipartimento. Breteuil legge ad alta voceil memoriale dei gioiellieri. Vengono espresse le varieopinioni. Miromesnil raccomanda la prudenza, la mode-razione:

«Bisogna – dice – informarsi bene. Rohan appartienea una tal famiglia e occupa una posizione tale che meritadi venire interrogato prima che lo si arresti».

Breteuil invece espone con violenza un parere contra-rio. Abbiamo detto che c'era un odio personale fra Ro-han e lui.

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Breteuil era un buonissimo uomo e fu un ottimo mini-stro a cui la storia finirà col rendere giustizia. Con le suegrandi qualità di cuore e di mente, aveva per disgraziaun temperamento brusco e infiammabile. Credette sulserio che il cardinale, crivellato di debiti, avesse imma-ginato un simile trucco per liberarsi de' suoi creditori.Opinò quindi per l'arresto immediato. Maria Antonietta,non meno focosa di lui, non capiva perchè si esitasse:«Il cardinale ha preso il mio nome come un vile e ma-laccorto falso monetario qualunque». Luigi XVI era in-cline all'opinione di Mirosmenil. Disse a Breteuild'andar a cercare Rohan. Costui s'era recato a Versaillesper celebrarvi gli uffici divini per la festa dell'Assunzio-ne, nella cappella reale. Stava nel Gabinetto del re, in-sieme alle cosidette «grandi entrate». Erano le personepiù illustri della nobiltà, i dignitari a Corte. Alle undici,egli entra nel Gabinetto interno, in sottana d'amoerroscarlatto e rocchetto d'Inghilterra.

«Cugino mio – dice il re – che cos'è quell'acquistod'una collana di diamanti che dicono fatto da voi a nomedella regina?».

Rohan è diventato livido.«Sire, lo vedo, sono stato ingannato, ma non ho in-

gannato.«— Quand'è così, cugino mio, non dovete inquietar-

vene. Ma spiegatevi...».La regina gli stava davanti, a testa alta e fiera. Lo tra-

figgeva col suo sguardo che sapeva rendere tanto duro ealtero; lo schiacciava con la sua collera, il suo disprez-

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Breteuil era un buonissimo uomo e fu un ottimo mini-stro a cui la storia finirà col rendere giustizia. Con le suegrandi qualità di cuore e di mente, aveva per disgraziaun temperamento brusco e infiammabile. Credette sulserio che il cardinale, crivellato di debiti, avesse imma-ginato un simile trucco per liberarsi de' suoi creditori.Opinò quindi per l'arresto immediato. Maria Antonietta,non meno focosa di lui, non capiva perchè si esitasse:«Il cardinale ha preso il mio nome come un vile e ma-laccorto falso monetario qualunque». Luigi XVI era in-cline all'opinione di Mirosmenil. Disse a Breteuild'andar a cercare Rohan. Costui s'era recato a Versaillesper celebrarvi gli uffici divini per la festa dell'Assunzio-ne, nella cappella reale. Stava nel Gabinetto del re, in-sieme alle cosidette «grandi entrate». Erano le personepiù illustri della nobiltà, i dignitari a Corte. Alle undici,egli entra nel Gabinetto interno, in sottana d'amoerroscarlatto e rocchetto d'Inghilterra.

«Cugino mio – dice il re – che cos'è quell'acquistod'una collana di diamanti che dicono fatto da voi a nomedella regina?».

Rohan è diventato livido.«Sire, lo vedo, sono stato ingannato, ma non ho in-

gannato.«— Quand'è così, cugino mio, non dovete inquietar-

vene. Ma spiegatevi...».La regina gli stava davanti, a testa alta e fiera. Lo tra-

figgeva col suo sguardo che sapeva rendere tanto duro ealtero; lo schiacciava con la sua collera, il suo disprez-

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zo. Quale caduta brusca, atroce, in cui ad un tratto veni-va spezzata la bella e lunga speranza a poco a poco rin-forzata in Rohan, dopo la scena di quella sera in fondoal parco! Rohan si sente soffocare, il sangue gli affluiscealle tempia, gli si piegano i ginocchi. Il re nota la suaemozione e gli dice con voce più dolce:

«Scrivete quello di cui dovete rendermi conto».E il re entra nella sua biblioteca con la regina, Bre-

teuil e Miromesnil. Rohan è solo, seduto davanti a ungran foglio bianco, con gli occhi smarriti, il cervellovuoto. Guarda fissamente il foglio bianco. La mano glitrema. Scrive quindici righe che cominciano con questeparole:

«Una donna che ho creduto...» e finiscono con questealtre: «la signora Lamotte di Valois».

Si legge nel rapporto ufficiale al luogotenente di poli-zia de Crosne:

«Il re ha lasciato solo il cardinale, nel Gabinetto, af-finchè potesse scrivere tranquillamente. Qualche tempodopo, il cardinale ha portato al re la sua dichiarazioneche una donna chiamata di Valois l'aveva persuaso esse-re necessario fare l'acquisto d'una collana per conto del-la regina e che questa donna l'aveva ingannato».

«— Dov'è questa donna? – chiese il re.«— Sire, non lo so.«— Avete voi la collana?«— Si trova fra le mani di quella donna.«Il re gli ha detto di tornarsene nel gabinetto ad aspet-

tare. Pochi minuti dopo, il re e la regina sono rientrati

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zo. Quale caduta brusca, atroce, in cui ad un tratto veni-va spezzata la bella e lunga speranza a poco a poco rin-forzata in Rohan, dopo la scena di quella sera in fondoal parco! Rohan si sente soffocare, il sangue gli affluiscealle tempia, gli si piegano i ginocchi. Il re nota la suaemozione e gli dice con voce più dolce:

«Scrivete quello di cui dovete rendermi conto».E il re entra nella sua biblioteca con la regina, Bre-

teuil e Miromesnil. Rohan è solo, seduto davanti a ungran foglio bianco, con gli occhi smarriti, il cervellovuoto. Guarda fissamente il foglio bianco. La mano glitrema. Scrive quindici righe che cominciano con questeparole:

«Una donna che ho creduto...» e finiscono con questealtre: «la signora Lamotte di Valois».

Si legge nel rapporto ufficiale al luogotenente di poli-zia de Crosne:

«Il re ha lasciato solo il cardinale, nel Gabinetto, af-finchè potesse scrivere tranquillamente. Qualche tempodopo, il cardinale ha portato al re la sua dichiarazioneche una donna chiamata di Valois l'aveva persuaso esse-re necessario fare l'acquisto d'una collana per conto del-la regina e che questa donna l'aveva ingannato».

«— Dov'è questa donna? – chiese il re.«— Sire, non lo so.«— Avete voi la collana?«— Si trova fra le mani di quella donna.«Il re gli ha detto di tornarsene nel gabinetto ad aspet-

tare. Pochi minuti dopo, il re e la regina sono rientrati

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nel gabinetto dove il cardinale stava aspettando. Allorail re ha ordinato al barone di Breteuil di dare lettura delmemoriale redatto dai due negozianti.

«Dove sono quei sedicenti biglietti scritti e firmatidalla regina, di cui si parla nel Memoriale? – chiede ilre.

«— Li ho, sire, ma sono falsi.«— Credo che siano falsi!«— Li porterò a Vostra Maestà.«— E quella lettera da voi scritta ai goiellieri e inseri-

ta nel loro memoriale?«— Sire, non mi ricordavo d'averla scritta; ma deve

pure essere così poichè ne danno la copia. Pagherò lacollana».

Dopo un momento di silenzio, il re riprende:«Signore, non posso sottrarmi, in una circostanza si-

mile, al dovere di fare mettere i suggelli in casa vostra eassicurarmi della vostra persona. Il nome della regina èprezioso per me. È compromesso e non devo trascurarenulla».

Rohan supplicava di evitargli lo scandalo, sopratuttonel momento in cui sta per entrare nella cappella per of-ficiare davanti alla Corte riunita e alla folla del popolovenuta da Parigi. Invoca la bontà del re per la signora diMarsan, ch'ebbe cura della sua infanzia, per il principedi Soubise, per il nome dei Rohan.

Il re, forse, stava per cedere; ma la regina che a mala-pena si era contenuta, interviene:

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nel gabinetto dove il cardinale stava aspettando. Allorail re ha ordinato al barone di Breteuil di dare lettura delmemoriale redatto dai due negozianti.

«Dove sono quei sedicenti biglietti scritti e firmatidalla regina, di cui si parla nel Memoriale? – chiede ilre.

«— Li ho, sire, ma sono falsi.«— Credo che siano falsi!«— Li porterò a Vostra Maestà.«— E quella lettera da voi scritta ai goiellieri e inseri-

ta nel loro memoriale?«— Sire, non mi ricordavo d'averla scritta; ma deve

pure essere così poichè ne danno la copia. Pagherò lacollana».

Dopo un momento di silenzio, il re riprende:«Signore, non posso sottrarmi, in una circostanza si-

mile, al dovere di fare mettere i suggelli in casa vostra eassicurarmi della vostra persona. Il nome della regina èprezioso per me. È compromesso e non devo trascurarenulla».

Rohan supplicava di evitargli lo scandalo, sopratuttonel momento in cui sta per entrare nella cappella per of-ficiare davanti alla Corte riunita e alla folla del popolovenuta da Parigi. Invoca la bontà del re per la signora diMarsan, ch'ebbe cura della sua infanzia, per il principedi Soubise, per il nome dei Rohan.

Il re, forse, stava per cedere; ma la regina che a mala-pena si era contenuta, interviene:

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MADAMIGELLA D'OLIVA

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MADAMIGELLA D'OLIVA

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«Ma com'è mai possibile, signor cardinale, che, nonavendovi io mai parlato da otto anni in qua, voi abbiatepotuto credere che volessi servirmi della vostra media-zione per concludere la compera della Collana?»

Maria Antonietta parla ad alta voce, nervosamente.Piange. Ha nell'animo troppi rancori, unitamente a quel-li di Maria Teresa, in quel momento. La sua emozione sicomunica al re. Breteuil ha il sopravvento su Mirome-snil.

«Signore, farò del mio meglio per consolare i vostricongiunti. Desidero che possiate giustificarvi. Faccioquello che devo come re e come marito».

Intanto la folla brillante che aveva invaso gli apparta-menti del re, l'Occhio-di-Bue, la Camera, il Gabinettodel Consiglio, il Gabinetto del Pendolo cominciava a di-ventare nervosa. L'ora della messa era trascorsa da unpezzo. L'atmosfera si oscurava. C'era in aria il presenti-mento d'una bufera. Che cos'avveniva mai dietro il pe-sante uscio a specchio, nel Gabinetto interno? Circola-vano già voci confuse, rumori vaghi, discorsi, chiacchie-re.

Un'ondata. L'uscio a specchio si è aperto. Appare Ro-han, eretto nella persona, pallidissimo. Breteuil gli tiendietro, col volto infocato; non sa più contenere la pro-pria gioia. Con voce tonante, grida al duca di Villeroi,capitano delle guardie del corpo:

«Arrestate il signor cardinale!»Che parapiglia! I cortigiani fanno a gomitate, per ve-

dere; quelli in seconda fila si alzano sulla punta dei pie-

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«Ma com'è mai possibile, signor cardinale, che, nonavendovi io mai parlato da otto anni in qua, voi abbiatepotuto credere che volessi servirmi della vostra media-zione per concludere la compera della Collana?»

Maria Antonietta parla ad alta voce, nervosamente.Piange. Ha nell'animo troppi rancori, unitamente a quel-li di Maria Teresa, in quel momento. La sua emozione sicomunica al re. Breteuil ha il sopravvento su Mirome-snil.

«Signore, farò del mio meglio per consolare i vostricongiunti. Desidero che possiate giustificarvi. Faccioquello che devo come re e come marito».

Intanto la folla brillante che aveva invaso gli apparta-menti del re, l'Occhio-di-Bue, la Camera, il Gabinettodel Consiglio, il Gabinetto del Pendolo cominciava a di-ventare nervosa. L'ora della messa era trascorsa da unpezzo. L'atmosfera si oscurava. C'era in aria il presenti-mento d'una bufera. Che cos'avveniva mai dietro il pe-sante uscio a specchio, nel Gabinetto interno? Circola-vano già voci confuse, rumori vaghi, discorsi, chiacchie-re.

Un'ondata. L'uscio a specchio si è aperto. Appare Ro-han, eretto nella persona, pallidissimo. Breteuil gli tiendietro, col volto infocato; non sa più contenere la pro-pria gioia. Con voce tonante, grida al duca di Villeroi,capitano delle guardie del corpo:

«Arrestate il signor cardinale!»Che parapiglia! I cortigiani fanno a gomitate, per ve-

dere; quelli in seconda fila si alzano sulla punta dei pie-

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di; alcuni salgono sulle panche. E, sono tutti lì «le entra-te della Camera» e «le entrate del Gabinetto». Sotto gliocchi che lo squadrano e con Breteuil, gongolante, allecalcagna, il principe Luigi attraversa, con la fronte ma-dida di sudore e lo sguardo fisso, la sfilata delle vastesale, il Gabinetto del Pendolo, il Gabinetto del Consi-glio, la Camera, l'Occhio di Bue: lungo calvario! È fi-nalmente arrestato nel momento in cui, uscendo dagli«appartamenti» passa dall'Occhio di Bue nella GrandeGalleria. C'è una luce che abbaglia. Il sole cade a piom-bo dalle larghe finestre, e vien riflesso dagli specchi.Qui c'è la turba, il popolo agglomerato. Nei suoi paluda-menti pontificali, nell'atto d'accingersi al sacrificio divi-no, il principe cardinale, grande elemosiniere di Francia,viene arrestato come un malfattore.

Nel primo momento era successa una tal confusioneche Villeroi non aveva potuto eseguire immediatamentel'ordine ricevuto. Aveva affidato il cardinale al signor diJouffroy, luogotenente delle guardie del corpo. E,nell'emozione generale, il solo che rimanga calmo è Ro-han, che ha ripreso il dominio di se stesso. Chiede convoce tranquilla a de Jouffry una matita e scrive, allasvelta, poche parole su di un biglietto che tiene appog-giato in fondo alla sua calottina rossa e quadrata: èl'ordine al suo fedele abate Georgel d'abbruciare imme-diatamente tutte le carte che si trovano nel «portafogliorosso»: le lettere tanto care fino a quel giorno – quelloche gli era riuscito di conservare dei bigliettini listatid'azzurro. Quando giunse al palazzo di Strasburgo, sotto

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di; alcuni salgono sulle panche. E, sono tutti lì «le entra-te della Camera» e «le entrate del Gabinetto». Sotto gliocchi che lo squadrano e con Breteuil, gongolante, allecalcagna, il principe Luigi attraversa, con la fronte ma-dida di sudore e lo sguardo fisso, la sfilata delle vastesale, il Gabinetto del Pendolo, il Gabinetto del Consi-glio, la Camera, l'Occhio di Bue: lungo calvario! È fi-nalmente arrestato nel momento in cui, uscendo dagli«appartamenti» passa dall'Occhio di Bue nella GrandeGalleria. C'è una luce che abbaglia. Il sole cade a piom-bo dalle larghe finestre, e vien riflesso dagli specchi.Qui c'è la turba, il popolo agglomerato. Nei suoi paluda-menti pontificali, nell'atto d'accingersi al sacrificio divi-no, il principe cardinale, grande elemosiniere di Francia,viene arrestato come un malfattore.

Nel primo momento era successa una tal confusioneche Villeroi non aveva potuto eseguire immediatamentel'ordine ricevuto. Aveva affidato il cardinale al signor diJouffroy, luogotenente delle guardie del corpo. E,nell'emozione generale, il solo che rimanga calmo è Ro-han, che ha ripreso il dominio di se stesso. Chiede convoce tranquilla a de Jouffry una matita e scrive, allasvelta, poche parole su di un biglietto che tiene appog-giato in fondo alla sua calottina rossa e quadrata: èl'ordine al suo fedele abate Georgel d'abbruciare imme-diatamente tutte le carte che si trovano nel «portafogliorosso»: le lettere tanto care fino a quel giorno – quelloche gli era riuscito di conservare dei bigliettini listatid'azzurro. Quando giunse al palazzo di Strasburgo, sotto

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scorta, l'ordine era già eseguito. L'indomani Rohan ven-ne condotto alla Bastiglia, rassicurato su quel punto.

La signora Campan ci rende noto lo stato d'animodella regina:

«La vidi dopo l'uscita del barone di Breteuil. La suaagitazione mi fece paura.

«— Bisogna – disse – che i vizii orrendi venganosmascherati. Quando la porpora romana e il titolo diprincipe non nascondono che un pitocco e uno scrocco-ne, bisogna che la Francia intera e tutta l'Europa lo sap-piano!».

Maria Antonietta non teneva conto dei partiti che sisarebbero alleati con Rohan. In primo luogo i suoi piùprossimi congiunti, i Rohan, i Soubise, i Marsan, iBrionne, il principe di Condé che ha sposato una Rohane la sua potente casa, e attorno a loro la pleiade dei cor-tigiani malcontenti; tutto il clero, di cui Rohan è il capo,dal più umile seminarista fino al principe arcivescovo diCambrai che è, lui pure, un Rohan; il Parlamento rivaledel trono; la Sorbona di cui Rohan è provveditore edove gli vogliono bene; i nemici di Breteuil – e sonomolti, perchè Breteuil è un uomo di valore; i nemici del-la regina – e sono molti perchè la regina è graziosa ebuona; Calonne e le sue creature, Lenoir e i suoi parti-giani; e finalmente i gazzettieri, i libellisti, i novellieri, iliberi pensatori d'osteria, gli arringatori di piazza, glioratori del Palais-Royal che scorgono già, in quel con-flitto fra la regina e il primo dignitario della Chiesa di

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scorta, l'ordine era già eseguito. L'indomani Rohan ven-ne condotto alla Bastiglia, rassicurato su quel punto.

La signora Campan ci rende noto lo stato d'animodella regina:

«La vidi dopo l'uscita del barone di Breteuil. La suaagitazione mi fece paura.

«— Bisogna – disse – che i vizii orrendi venganosmascherati. Quando la porpora romana e il titolo diprincipe non nascondono che un pitocco e uno scrocco-ne, bisogna che la Francia intera e tutta l'Europa lo sap-piano!».

Maria Antonietta non teneva conto dei partiti che sisarebbero alleati con Rohan. In primo luogo i suoi piùprossimi congiunti, i Rohan, i Soubise, i Marsan, iBrionne, il principe di Condé che ha sposato una Rohane la sua potente casa, e attorno a loro la pleiade dei cor-tigiani malcontenti; tutto il clero, di cui Rohan è il capo,dal più umile seminarista fino al principe arcivescovo diCambrai che è, lui pure, un Rohan; il Parlamento rivaledel trono; la Sorbona di cui Rohan è provveditore edove gli vogliono bene; i nemici di Breteuil – e sonomolti, perchè Breteuil è un uomo di valore; i nemici del-la regina – e sono molti perchè la regina è graziosa ebuona; Calonne e le sue creature, Lenoir e i suoi parti-giani; e finalmente i gazzettieri, i libellisti, i novellieri, iliberi pensatori d'osteria, gli arringatori di piazza, glioratori del Palais-Royal che scorgono già, in quel con-flitto fra la regina e il primo dignitario della Chiesa di

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Francia, una lotta in cui il trono e l'altare, avventati l'unoaddosso all'altro, si fracassano a vicenda.

Rivarol scrive:«De Breteuil ha preso il cardinale dalle mani della si-

gnora de la Motte e l'ha schiacciato sulla fronte della re-gina a cui ne è rimasto il segno».

Quell'immagine, che paragona Rohan nella sua vesterossa a quei fiori di campo che i ragazzi si schiaccianosulle tempia, è certamente arrischiata; ma esprime preci-samente ciò che vuole significare.

In Parlamento, uno dei consiglieri più in auge, Fré-teau di Saint-Gus, quando seppe dello scandalo esclamòfregandosi le mani:

«Bellissimo affare! Un cardinale scroccone e la regi-na implicata in una vicenda di falso! Quanto fango sulpastorale e sullo scettro! che trionfo per le idee di liber-tà! Che importanza per il Parlamento!»

Il 14 giugno 1794, a Parigi, il suddetto consigliereFréteau di Saint Just venne decapitato. Le femminesguaiate, i patrioti beoni dal volto paonazzo, s'affollava-no attorno alla ghigliottina. Fréteau pensava forse inquel momento a ripigliare la sua arringa: «Bellissimo af-fare! fango sul pastorale e sullo scettro! trionfo della li-bertà...».

Uno scatto secco. La testa rotola, insanguinata, congli occhi spalancati.

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Francia, una lotta in cui il trono e l'altare, avventati l'unoaddosso all'altro, si fracassano a vicenda.

Rivarol scrive:«De Breteuil ha preso il cardinale dalle mani della si-

gnora de la Motte e l'ha schiacciato sulla fronte della re-gina a cui ne è rimasto il segno».

Quell'immagine, che paragona Rohan nella sua vesterossa a quei fiori di campo che i ragazzi si schiaccianosulle tempia, è certamente arrischiata; ma esprime preci-samente ciò che vuole significare.

In Parlamento, uno dei consiglieri più in auge, Fré-teau di Saint-Gus, quando seppe dello scandalo esclamòfregandosi le mani:

«Bellissimo affare! Un cardinale scroccone e la regi-na implicata in una vicenda di falso! Quanto fango sulpastorale e sullo scettro! che trionfo per le idee di liber-tà! Che importanza per il Parlamento!»

Il 14 giugno 1794, a Parigi, il suddetto consigliereFréteau di Saint Just venne decapitato. Le femminesguaiate, i patrioti beoni dal volto paonazzo, s'affollava-no attorno alla ghigliottina. Fréteau pensava forse inquel momento a ripigliare la sua arringa: «Bellissimo af-fare! fango sul pastorale e sullo scettro! trionfo della li-bertà...».

Uno scatto secco. La testa rotola, insanguinata, congli occhi spalancati.

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XXV.LA BASTIGLIA.

Il giorno stesso in cui il cardinale veniva arrestato, unrescritto reale, controfirmato da Breteuil, ordinaval'incarceramento della signora de la Motte alla Bastiglia.Il 18 agosto, alle quattro del mattino, sotto la direzionedell'ispettore Surbois, alcuni arcieri, ai quali prestavaman forte la gendarmeria del paese, si presentavano aldomicilio della contessa, in via San Michele, a Bar-sur-Aube. Gli arcieri impiegarono maggior premura checautela nel compimento della loro missione. Non aveva-no, è vero, l'ordine di arrestare il conte de la Motte; malo lasciarono tranquillamente staccare gli orecchini cheportava sua moglie e gli anelli adorni di brillanti cheaveva sulle dita, facendo così scomparire il corpo stessodel delitto ch'ella si portava indosso.

Subito dopo la partenza degli arcieri e della consorte,La Motte va a rendere conto dell'accaduto ad AlbertoBeugnot «con tono – dice costui – borioso e tranquillo»;ma il giorno stesso rompe i suggelli apposti in casa sua

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XXV.LA BASTIGLIA.

Il giorno stesso in cui il cardinale veniva arrestato, unrescritto reale, controfirmato da Breteuil, ordinaval'incarceramento della signora de la Motte alla Bastiglia.Il 18 agosto, alle quattro del mattino, sotto la direzionedell'ispettore Surbois, alcuni arcieri, ai quali prestavaman forte la gendarmeria del paese, si presentavano aldomicilio della contessa, in via San Michele, a Bar-sur-Aube. Gli arcieri impiegarono maggior premura checautela nel compimento della loro missione. Non aveva-no, è vero, l'ordine di arrestare il conte de la Motte; malo lasciarono tranquillamente staccare gli orecchini cheportava sua moglie e gli anelli adorni di brillanti cheaveva sulle dita, facendo così scomparire il corpo stessodel delitto ch'ella si portava indosso.

Subito dopo la partenza degli arcieri e della consorte,La Motte va a rendere conto dell'accaduto ad AlbertoBeugnot «con tono – dice costui – borioso e tranquillo»;ma il giorno stesso rompe i suggelli apposti in casa sua

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e prende gli oggetti che più gli fanno comodo: denaro,diamanti, pizzi, lo scrigno di brillanti d'un valore di100.000 lire che aveva servito di pegno al notaio Min-guet e che La Motte aveva fatto ritirare da Villette. Na-sconde l'argenteria e una parte dei gioielli in casa di suazia Clausse di Surmont. Poi sale in diligenza con la so-rella, la signora de la Tour. A Meaux si separano. La so-rella va a Parigi; e il conte, per la via del Belgio, si recain Inghilterra. Quando gli arcieri ricomparvero trovaro-no la casa vuota. Il 23 agosto, La Motte ebbe l'audacia, aLondra, di presentarsi al gioielliere Gray, per negoziarela vendita dei diamanti rimastigli e di quelli che avevaloro lasciato tra le mani all'epoca del suo primo viaggioin Inghilterra.

Il cardinale dormì nella propria casa, in via Vieille-du-Temple, la notte dal 15 al 16 agosto. Nel pomeriggiodel 16 – un martedì – fu visto alla finestra del suo salot-to dominante i vasti giardini per mezzo dei quali la casadi Strasburgo comunicava col palazzo Soubise, giuocarecon la propria scimmia. La stessa sera, il marchese diLannay, governatore della Bastiglia, andò a prenderloper costituirlo prigioniero. Fu alle undici e mezza di not-te che Rohan, nella vettura che aveva portato Launay eil conte d'Agoult, comandante delle guardie del corpo,valicò il ponte levatoio della fortezza reale. Non vennealloggiato nelle torri, vale a dire nei locali destinati aiprigionieri comuni. C'erano due appartamenti preparatiper ricevere i prigionieri di riguardo, nel corpo di fabbri-ca occupato dagli ufficiali dello Stato maggiore. A di-

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e prende gli oggetti che più gli fanno comodo: denaro,diamanti, pizzi, lo scrigno di brillanti d'un valore di100.000 lire che aveva servito di pegno al notaio Min-guet e che La Motte aveva fatto ritirare da Villette. Na-sconde l'argenteria e una parte dei gioielli in casa di suazia Clausse di Surmont. Poi sale in diligenza con la so-rella, la signora de la Tour. A Meaux si separano. La so-rella va a Parigi; e il conte, per la via del Belgio, si recain Inghilterra. Quando gli arcieri ricomparvero trovaro-no la casa vuota. Il 23 agosto, La Motte ebbe l'audacia, aLondra, di presentarsi al gioielliere Gray, per negoziarela vendita dei diamanti rimastigli e di quelli che avevaloro lasciato tra le mani all'epoca del suo primo viaggioin Inghilterra.

Il cardinale dormì nella propria casa, in via Vieille-du-Temple, la notte dal 15 al 16 agosto. Nel pomeriggiodel 16 – un martedì – fu visto alla finestra del suo salot-to dominante i vasti giardini per mezzo dei quali la casadi Strasburgo comunicava col palazzo Soubise, giuocarecon la propria scimmia. La stessa sera, il marchese diLannay, governatore della Bastiglia, andò a prenderloper costituirlo prigioniero. Fu alle undici e mezza di not-te che Rohan, nella vettura che aveva portato Launay eil conte d'Agoult, comandante delle guardie del corpo,valicò il ponte levatoio della fortezza reale. Non vennealloggiato nelle torri, vale a dire nei locali destinati aiprigionieri comuni. C'erano due appartamenti preparatiper ricevere i prigionieri di riguardo, nel corpo di fabbri-ca occupato dagli ufficiali dello Stato maggiore. A di-

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sposizione di Rohan venne messo quello più vasto. A trede' suoi domestici, Branduer, Schreiber e Liégeois, fupermesso di servirlo. Per il suo mantenimento venne di-sposta una somma di centoventi franchi giornalieri – ilche sembra inverosimile, se si considera il valore del de-naro in quell'epoca –. Aveva una tavola imbandita regal-mente. Poteva vedere chiunque desiderasse: famiglia,segretarii, consiglieri... Gli capitò di dare in prigione unbanchetto di venti coperti con ostriche e Champagne.Hardy nota che, a cagione di quella grande affluenza divisitatori, il massiccio ponte levatoio della Bastiglia sta-va abbassato tutto il giorno e i due battenti della portaprincipale erano spalancati «ciò che nessuno siricorda«va d'avere mai visto». Dalla carcere, Rohancontinuò ad amministrare gli affari della sua diocesi,quelli inerenti alla sua carica di grande elemosiniere equelli dei Quinze-Vingts. Teneva circolo press'a pococome nel palazzo di Strasburgo. Passeggiava per interipomeriggi sulla piattaforma delle torri. Era vestito allorain «redingote» scura, col cappello rotondo dall'ali abbas-sate. I fannulloni si aggrappavano per vederlo. Ci furonodelle manifestazioni e si dovette proibire al detenuto lapasseggiata delle torri. Per prendere una boccata d'aria,il cardinale aveva anche i giardini del governatore, atriangolo, nell'antico bastione della fortezza.

Era questo il regime al quale venivano sottoposti nel-la Bastiglia i prigionieri del re, vale a dire coloro ch'era-no imprigionati per ordine segreto reale (lettre de ca-chet). Ma quando, dopo il 15 dicembre, il cardinale fu

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sposizione di Rohan venne messo quello più vasto. A trede' suoi domestici, Branduer, Schreiber e Liégeois, fupermesso di servirlo. Per il suo mantenimento venne di-sposta una somma di centoventi franchi giornalieri – ilche sembra inverosimile, se si considera il valore del de-naro in quell'epoca –. Aveva una tavola imbandita regal-mente. Poteva vedere chiunque desiderasse: famiglia,segretarii, consiglieri... Gli capitò di dare in prigione unbanchetto di venti coperti con ostriche e Champagne.Hardy nota che, a cagione di quella grande affluenza divisitatori, il massiccio ponte levatoio della Bastiglia sta-va abbassato tutto il giorno e i due battenti della portaprincipale erano spalancati «ciò che nessuno siricorda«va d'avere mai visto». Dalla carcere, Rohancontinuò ad amministrare gli affari della sua diocesi,quelli inerenti alla sua carica di grande elemosiniere equelli dei Quinze-Vingts. Teneva circolo press'a pococome nel palazzo di Strasburgo. Passeggiava per interipomeriggi sulla piattaforma delle torri. Era vestito allorain «redingote» scura, col cappello rotondo dall'ali abbas-sate. I fannulloni si aggrappavano per vederlo. Ci furonodelle manifestazioni e si dovette proibire al detenuto lapasseggiata delle torri. Per prendere una boccata d'aria,il cardinale aveva anche i giardini del governatore, atriangolo, nell'antico bastione della fortezza.

Era questo il regime al quale venivano sottoposti nel-la Bastiglia i prigionieri del re, vale a dire coloro ch'era-no imprigionati per ordine segreto reale (lettre de ca-chet). Ma quando, dopo il 15 dicembre, il cardinale fu

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regolarmente dichiarato in arresto per decreto del Parla-mento riunito e, cessando d'essere prigioniero del re di-ventò quello della magistratura, venne assoggettato altrattamento dei carcerati comuni. E, nella solitudine, di-venne d'umore cupo e si guastò la salute.

Luigi XVI aveva fin dal primo momento designato,per interrogare Rohan alla Bastiglia, Breteuil e Thirouxde Crosne. Era una scelta regolare. I prigionieri dellaBastiglia dipendevano infatti dal ministro di Parigi e dalluogotenente di polizia. Ma Rohan ricusò l'uno e l'altro:il primo, obbiettando l'inimicizia personale, il secondocome appartenente ad una sfera non abbastanza elevataper poterlo interrogare. Vennero sostituiti da Vergenne,ministro degli Esteri e dal maresciallo di Castries, mini-stro della marina. Il cardinale consegnò loro, il 20 ago-sto, un riassunto chiaro, moderato e rigorosamente esat-to della storia della Collana, così com'era a sua cono-scenza.

Circolavano intanto a Parigi le più fantastiche dicerie.L'opinione pubblica, fin dal primo giorno, se ne interes-sò enormemente. Per mesi e mesi si troverà – comeun'eco – nelle gazzette olandesi l'identico ritornello:«Non si parla, a Parigi, che della storia della Collana».

Per seguire il contraccolpo di tali avvenimentinell'opinione popolare, abbiamo un documento di inesti-mabile valore, il diario del libraio Hardy. Le botteghedei librai allora in voga possono paragonarsi alle sale diredazione dei nostri grandi giornali. Là comparivano esparivano in un momento dei libelli, diatribe, opuscoli,

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regolarmente dichiarato in arresto per decreto del Parla-mento riunito e, cessando d'essere prigioniero del re di-ventò quello della magistratura, venne assoggettato altrattamento dei carcerati comuni. E, nella solitudine, di-venne d'umore cupo e si guastò la salute.

Luigi XVI aveva fin dal primo momento designato,per interrogare Rohan alla Bastiglia, Breteuil e Thirouxde Crosne. Era una scelta regolare. I prigionieri dellaBastiglia dipendevano infatti dal ministro di Parigi e dalluogotenente di polizia. Ma Rohan ricusò l'uno e l'altro:il primo, obbiettando l'inimicizia personale, il secondocome appartenente ad una sfera non abbastanza elevataper poterlo interrogare. Vennero sostituiti da Vergenne,ministro degli Esteri e dal maresciallo di Castries, mini-stro della marina. Il cardinale consegnò loro, il 20 ago-sto, un riassunto chiaro, moderato e rigorosamente esat-to della storia della Collana, così com'era a sua cono-scenza.

Circolavano intanto a Parigi le più fantastiche dicerie.L'opinione pubblica, fin dal primo giorno, se ne interes-sò enormemente. Per mesi e mesi si troverà – comeun'eco – nelle gazzette olandesi l'identico ritornello:«Non si parla, a Parigi, che della storia della Collana».

Per seguire il contraccolpo di tali avvenimentinell'opinione popolare, abbiamo un documento di inesti-mabile valore, il diario del libraio Hardy. Le botteghedei librai allora in voga possono paragonarsi alle sale diredazione dei nostri grandi giornali. Là comparivano esparivano in un momento dei libelli, diatribe, opuscoli,

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fogli volanti, stampati di notte, usciti il mattino e soven-te già bell'esauriti a mezzodì. Là si pigiavano i chiac-chieroni, i novellieri, i curiosi e i perdigiorno. Formico-lante fucina di ciarle in cui venivano ripetute le voci del-la strada, dei caffè, dei passeggi, della Corte, del Tribu-nale e dei salotti. Il libraio Hardy, brav'uomo e spiritomoderato, senza partito preso, ha scritto giorno per gior-no la relazione di tutto ciò che gli veniva dato di sapere.

L'opinione pubblica, sulle prime, parve sfavorevole alcardinale. Si parlava delle sue gozzoviglie, dell'haremda lui mantenuto a Parigi. Non è apparsa alla ribalta delprocesso nessuna donna – la signora de la Motte, la con-tessa Cagliostro, la piccola Oliva – senza che i pariginisi bisbigliassero l'un l'altro: «Un'altra delle amanti delcardinale!». E poi il ritornello: «È un pitocco!». Si stam-parono delle caricature. Una rappresentava l'Eminenzaprigioniera che teneva in ambe le mani un salvadanaio,con queste parole: «Fa la questua per pagarsi i debiti».(Bisogna ricordare che Rohan era grande elemosiniere).Un'altra gli metteva la corda al collo e diceva: «Una vol-ta era azzurro», alludendo al cordone del Santo Spirito.E le canzoni volavano per le strade.

Ma a Versailles la Corte era ostile alla regina. Clero enobiltà ad alte grida protestavano contro il clamorosoarresto del 15 agosto e si credevano in dovere di esseresolidali con uno de' loro principali esponenti.

«In città – dice la Corrispondenza segreta – accusa-vano la signora de la Motte e il cardinale, ma a Corte siaccusava la regina».

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fogli volanti, stampati di notte, usciti il mattino e soven-te già bell'esauriti a mezzodì. Là si pigiavano i chiac-chieroni, i novellieri, i curiosi e i perdigiorno. Formico-lante fucina di ciarle in cui venivano ripetute le voci del-la strada, dei caffè, dei passeggi, della Corte, del Tribu-nale e dei salotti. Il libraio Hardy, brav'uomo e spiritomoderato, senza partito preso, ha scritto giorno per gior-no la relazione di tutto ciò che gli veniva dato di sapere.

L'opinione pubblica, sulle prime, parve sfavorevole alcardinale. Si parlava delle sue gozzoviglie, dell'haremda lui mantenuto a Parigi. Non è apparsa alla ribalta delprocesso nessuna donna – la signora de la Motte, la con-tessa Cagliostro, la piccola Oliva – senza che i pariginisi bisbigliassero l'un l'altro: «Un'altra delle amanti delcardinale!». E poi il ritornello: «È un pitocco!». Si stam-parono delle caricature. Una rappresentava l'Eminenzaprigioniera che teneva in ambe le mani un salvadanaio,con queste parole: «Fa la questua per pagarsi i debiti».(Bisogna ricordare che Rohan era grande elemosiniere).Un'altra gli metteva la corda al collo e diceva: «Una vol-ta era azzurro», alludendo al cordone del Santo Spirito.E le canzoni volavano per le strade.

Ma a Versailles la Corte era ostile alla regina. Clero enobiltà ad alte grida protestavano contro il clamorosoarresto del 15 agosto e si credevano in dovere di esseresolidali con uno de' loro principali esponenti.

«In città – dice la Corrispondenza segreta – accusa-vano la signora de la Motte e il cardinale, ma a Corte siaccusava la regina».

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Alla fine il Parlamento, trascinato dalla foga del gio-vane Duval d'Epremésnil, si pronunziava apertamente afavore di colui che venne chiamato «un'illustre vittima»dell'arbitrio reale e degli intrighi ministeriali. L'arrestodel 15 agosto veniva proclamato un abuso di forza eun'illegalità.

«Si protesta contro un atto di così assoluto dispotismocom'era stato quello di portar via S. E. il principe Luigidi Rohan-Guéméné; atto da alcune persone attribuitoall'avversione personale d'un ministro smanioso di farele proprie vendette».

* * *

La signora de la Motte giunse alla Bastiglia il 20 ago-sto, alle quattro del mattino. Con la prontezza del suoingegno, aveva fin dal primo momento fabbricato un si-stema completo di difesa, unendo i suoi rancori, comefece tutta la vita, a ciò che credeva il proprio interesse.Si è parlato della sua rivalità con Cagliostro. Non avevatardato ad accorgersi che l'alchimista le nuoceva nellamente del cardinale. D'altronde, quel personaggio stra-niero che biascicava male il francese, dal contegnostrambo e doppiamente sospetto nella duplice qualitàd'alchimista e di framassone, uso a spendere rendite im-mense di cui tutti ignoravano l'origine e sospetto dispionaggio, le pareva proprio l'individuo a cui addossareogni responsabilità. Fin dal primo interrogatorio ne ag-

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Alla fine il Parlamento, trascinato dalla foga del gio-vane Duval d'Epremésnil, si pronunziava apertamente afavore di colui che venne chiamato «un'illustre vittima»dell'arbitrio reale e degli intrighi ministeriali. L'arrestodel 15 agosto veniva proclamato un abuso di forza eun'illegalità.

«Si protesta contro un atto di così assoluto dispotismocom'era stato quello di portar via S. E. il principe Luigidi Rohan-Guéméné; atto da alcune persone attribuitoall'avversione personale d'un ministro smanioso di farele proprie vendette».

* * *

La signora de la Motte giunse alla Bastiglia il 20 ago-sto, alle quattro del mattino. Con la prontezza del suoingegno, aveva fin dal primo momento fabbricato un si-stema completo di difesa, unendo i suoi rancori, comefece tutta la vita, a ciò che credeva il proprio interesse.Si è parlato della sua rivalità con Cagliostro. Non avevatardato ad accorgersi che l'alchimista le nuoceva nellamente del cardinale. D'altronde, quel personaggio stra-niero che biascicava male il francese, dal contegnostrambo e doppiamente sospetto nella duplice qualitàd'alchimista e di framassone, uso a spendere rendite im-mense di cui tutti ignoravano l'origine e sospetto dispionaggio, le pareva proprio l'individuo a cui addossareogni responsabilità. Fin dal primo interrogatorio ne ag-

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gravò la posizione. Il 23 agosto, Cagliostro e sua moglievenivano rinchiusi alla Bastiglia.

«Il conte di Cagliostro – scrisse Hardy – giunto dapoco nella capitale dove faceva sfoggio di sedicenti se-greti e d'un ciarlatanesimo di nuovo genere, passandoinoltre per spia, è stato arrestato con la consorte che di-cono sia l'amante del cardinale».

La signora de la Motte si mostrava dunque tranquilla.Suo marito e Rétaux essendo in fuga, era difficile pro-durre contro di lei una prova concludente. Il cardinaleaveva trattato direttamente coi gioiellieri. La carta fir-mata «Maria Antonietta di Francia» era tutta di pugnodel cardinale, tranne la firma falsificata da Rétaux. Lacollana era stata consegnata nelle mani di lui. La signorade la Motte non si spaventò se non il giorno in cui seppeche si stava cercando Rétaux de Vallette fuori di Fran-cia. Vergennes ne reclamava l'estradizione. A tale noti-zia ella pensò ch'era urgente far mettere in salvo lad'Oliva. Se Rétaux fosse stato preso, avrebbe potuto in-dicare il nome di quella comparsa, e la concordanza del-le loro deposizioni sarebbe stata schiacciante per lei.Dal fondo della Bastiglia, trovò il mezzo di far giungereun avvertimento alla giovine donna, in via Neuve-Saint-Augustin, dov'era andata costei ad abitare dal 1° luglio.

«Una calunnia atroce – le diceva – mi trattiene in car-cere, e la stessa mano da cui sono e colpita può metterein pericolo i vostri giorni, a cagione della scena del Bo-schetto, se non uscite immediatamente dalla Francia».

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gravò la posizione. Il 23 agosto, Cagliostro e sua moglievenivano rinchiusi alla Bastiglia.

«Il conte di Cagliostro – scrisse Hardy – giunto dapoco nella capitale dove faceva sfoggio di sedicenti se-greti e d'un ciarlatanesimo di nuovo genere, passandoinoltre per spia, è stato arrestato con la consorte che di-cono sia l'amante del cardinale».

La signora de la Motte si mostrava dunque tranquilla.Suo marito e Rétaux essendo in fuga, era difficile pro-durre contro di lei una prova concludente. Il cardinaleaveva trattato direttamente coi gioiellieri. La carta fir-mata «Maria Antonietta di Francia» era tutta di pugnodel cardinale, tranne la firma falsificata da Rétaux. Lacollana era stata consegnata nelle mani di lui. La signorade la Motte non si spaventò se non il giorno in cui seppeche si stava cercando Rétaux de Vallette fuori di Fran-cia. Vergennes ne reclamava l'estradizione. A tale noti-zia ella pensò ch'era urgente far mettere in salvo lad'Oliva. Se Rétaux fosse stato preso, avrebbe potuto in-dicare il nome di quella comparsa, e la concordanza del-le loro deposizioni sarebbe stata schiacciante per lei.Dal fondo della Bastiglia, trovò il mezzo di far giungereun avvertimento alla giovine donna, in via Neuve-Saint-Augustin, dov'era andata costei ad abitare dal 1° luglio.

«Una calunnia atroce – le diceva – mi trattiene in car-cere, e la stessa mano da cui sono e colpita può metterein pericolo i vostri giorni, a cagione della scena del Bo-schetto, se non uscite immediatamente dalla Francia».

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Nicoletta, sedicente contessa d'Oliva, spaventata, par-tì di notte, col suo amante, Toussaint di Beausire e rag-giunse Bruxelles; ma vennero colà arrestati ambeduenella notte dal 16 al 17 ottobre e a loro volta rinchiusinella Bastiglia. Quando l'ispettore Quidor si fu impadro-nito di Rétaux de Villette a Ginevra, dove viveva nasco-sto sotto il nome di Marcantonio Durand, e venne anchecostui messo sotto chiave, il 26 marzo 1786, nella pri-gione di via Sant'Antonio, non mancò più, per le prati-che istruttorie, fra i personaggi importanti, che il contede la Motte.

L'estradizione non s'otteneva in Inghilterra come nelBelgio o nella Svizzera. Vergennes si ebbe un rifiuto. Ilgoverno francese fece tutto il possibile per rapire LaMotte con un colpo di mano. Storia brigantesca conce-pita da un certo Lemercier, agente secreto della Cortefrancese in Inghilterra. Il piano venne macchinato dallapolizia di Parigi d'accordo col conte d'Adhémar, amba-sciatore di Francia a Londra. Avevano scoperto il rifugiodel conte de la Motte a Newcastle sul Tyne, in Inghilter-ra, sulla frontiera scozzese. Navi carbonifere venneronoleggiate e tenute in rada. L'equipaggio, composto dicinque uomini, era stato comperato. Vennero offertemille sterline al privato che dava alloggio al conte; eraun «maestro di lingue» chiamato Costa, marito d'unafrancese. Avrebbe dovuto versare al conte un narcotico.La Motte, addormentato che fosse, sarebbe stato chiusoin un sacco e trasportato a bordo. Ma il piano, scopertodal conte, andò a vuoto.

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Nicoletta, sedicente contessa d'Oliva, spaventata, par-tì di notte, col suo amante, Toussaint di Beausire e rag-giunse Bruxelles; ma vennero colà arrestati ambeduenella notte dal 16 al 17 ottobre e a loro volta rinchiusinella Bastiglia. Quando l'ispettore Quidor si fu impadro-nito di Rétaux de Villette a Ginevra, dove viveva nasco-sto sotto il nome di Marcantonio Durand, e venne anchecostui messo sotto chiave, il 26 marzo 1786, nella pri-gione di via Sant'Antonio, non mancò più, per le prati-che istruttorie, fra i personaggi importanti, che il contede la Motte.

L'estradizione non s'otteneva in Inghilterra come nelBelgio o nella Svizzera. Vergennes si ebbe un rifiuto. Ilgoverno francese fece tutto il possibile per rapire LaMotte con un colpo di mano. Storia brigantesca conce-pita da un certo Lemercier, agente secreto della Cortefrancese in Inghilterra. Il piano venne macchinato dallapolizia di Parigi d'accordo col conte d'Adhémar, amba-sciatore di Francia a Londra. Avevano scoperto il rifugiodel conte de la Motte a Newcastle sul Tyne, in Inghilter-ra, sulla frontiera scozzese. Navi carbonifere venneronoleggiate e tenute in rada. L'equipaggio, composto dicinque uomini, era stato comperato. Vennero offertemille sterline al privato che dava alloggio al conte; eraun «maestro di lingue» chiamato Costa, marito d'unafrancese. Avrebbe dovuto versare al conte un narcotico.La Motte, addormentato che fosse, sarebbe stato chiusoin un sacco e trasportato a bordo. Ma il piano, scopertodal conte, andò a vuoto.

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E vediamo entrare in scena Bette d'Etienville e com-pagni: altre storie di briganti, briganti all'Offenbach.

La signora de la Motte aveva cominciato lo sgomberode' suoi mobili da via Neuve-Saint-Gilles il 13 agosto:lo stesso giorno, d'Etienville aveva preso la diligenzaper recarsi a Saint-Omer. Il 16, giunge ad Arras dovetrova la sedicente baronessa di Courville-Salzberg ches'era affrettata a fuggire dal canto suo. La baronessa gliannunzia che il cardinale è stato messo sotto chiave allaBastiglia. Destò meraviglia, più tardi, il fatto che la si-gnora di Courville avesse potuto sapere, fin dal 16 ago-sto, ad Arras, che Rohan era stato rinchiuso alla Basti-glia, l'incarcerazione non essendo avvenuto che il giornostesso: è più che probabile che d'Etienville e la signorasi fossero messi in salvo non appena seppero della fugadi Giovanna di Valois; ma, che, davanti ai giudici,d'Etienville immaginasse quel particolare senza riflette-re all'inverosimiglianza palese, per non indicare il moti-vo vero della sua partenza.

Comunque sia, ad Arras il 16 agosto, la pretesa signo-ra di Courville disse al compagno che occorreva lasciarela Francia e mettersi al riparo in Inghilterra: che il cardi-nale era in prigione per aver negoziato la compera d'unacollana di diamanti immischiandovi con assai poca scal-trezza il nome della regina, che ne risultava compromes-sa: compera fatta per dare a lei, baronessa di Courville,le 500.000 lire promesse per il suo matrimonio.

«I diamanti che vi ho fatto vedere – gli disse – prove-nivano dalla collana».

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E vediamo entrare in scena Bette d'Etienville e com-pagni: altre storie di briganti, briganti all'Offenbach.

La signora de la Motte aveva cominciato lo sgomberode' suoi mobili da via Neuve-Saint-Gilles il 13 agosto:lo stesso giorno, d'Etienville aveva preso la diligenzaper recarsi a Saint-Omer. Il 16, giunge ad Arras dovetrova la sedicente baronessa di Courville-Salzberg ches'era affrettata a fuggire dal canto suo. La baronessa gliannunzia che il cardinale è stato messo sotto chiave allaBastiglia. Destò meraviglia, più tardi, il fatto che la si-gnora di Courville avesse potuto sapere, fin dal 16 ago-sto, ad Arras, che Rohan era stato rinchiuso alla Basti-glia, l'incarcerazione non essendo avvenuto che il giornostesso: è più che probabile che d'Etienville e la signorasi fossero messi in salvo non appena seppero della fugadi Giovanna di Valois; ma, che, davanti ai giudici,d'Etienville immaginasse quel particolare senza riflette-re all'inverosimiglianza palese, per non indicare il moti-vo vero della sua partenza.

Comunque sia, ad Arras il 16 agosto, la pretesa signo-ra di Courville disse al compagno che occorreva lasciarela Francia e mettersi al riparo in Inghilterra: che il cardi-nale era in prigione per aver negoziato la compera d'unacollana di diamanti immischiandovi con assai poca scal-trezza il nome della regina, che ne risultava compromes-sa: compera fatta per dare a lei, baronessa di Courville,le 500.000 lire promesse per il suo matrimonio.

«I diamanti che vi ho fatto vedere – gli disse – prove-nivano dalla collana».

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La baronessa non scorge via di salvezza se non nellafuga. Insiste perchè d'Etienville l'accompagni; ma costuirifiuta; se parte, crederanno colpevole anche lui. La suaanima è pura. Non reclama altro che le 30.000 liredell'indennizzo.

«La richiesta è giusta – risponde la signora – e vi daròle 30.000 lire a Saint-Omer, se mi accompagnate fin là».

«Ed ecco che, giunti al luogo dove avviene lo scam-bio dei cavalli della diligenza – dichiara d'Etienville –vidi la signora di Courville tornarsene verso Parigi, incompagnia d'un uomo che indossava una levita turchina.Credetti allora che l'avessero arrestata e proseguii la miastrada fino a Saint-Omer dove mi venne confermatol'arresto del cardinale».

Nel frattempo, il barone di Fages era informato dellafuga dell'amico, che se l'era svignata alla notizia di quel-la della signora de la Motte. Fages si mette in societàcon un certo conte di Précourt che così si presenta allagente:

«Ho l'onore di essere colonnello e cavaliere di SanLuigi; ho preso parte a due combattimenti sul mare, atre battaglie, cinque assedii, più di venti scontri, e hofatto tutta la campagna nella ultima guerra civile in Po-lonia dov'ero comandante».

«Risulta – conclude il Bachaumont – ch'è un avventu-riero, pessimo soggetto, che non si è punto meravigliatidi trovare qui».

Anche Précourt era stato immischiato nell'imbrogliodel barone di Fages, del quale si faceva garante, all'unis-

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La baronessa non scorge via di salvezza se non nellafuga. Insiste perchè d'Etienville l'accompagni; ma costuirifiuta; se parte, crederanno colpevole anche lui. La suaanima è pura. Non reclama altro che le 30.000 liredell'indennizzo.

«La richiesta è giusta – risponde la signora – e vi daròle 30.000 lire a Saint-Omer, se mi accompagnate fin là».

«Ed ecco che, giunti al luogo dove avviene lo scam-bio dei cavalli della diligenza – dichiara d'Etienville –vidi la signora di Courville tornarsene verso Parigi, incompagnia d'un uomo che indossava una levita turchina.Credetti allora che l'avessero arrestata e proseguii la miastrada fino a Saint-Omer dove mi venne confermatol'arresto del cardinale».

Nel frattempo, il barone di Fages era informato dellafuga dell'amico, che se l'era svignata alla notizia di quel-la della signora de la Motte. Fages si mette in societàcon un certo conte di Précourt che così si presenta allagente:

«Ho l'onore di essere colonnello e cavaliere di SanLuigi; ho preso parte a due combattimenti sul mare, atre battaglie, cinque assedii, più di venti scontri, e hofatto tutta la campagna nella ultima guerra civile in Po-lonia dov'ero comandante».

«Risulta – conclude il Bachaumont – ch'è un avventu-riero, pessimo soggetto, che non si è punto meravigliatidi trovare qui».

Anche Précourt era stato immischiato nell'imbrogliodel barone di Fages, del quale si faceva garante, all'unis-

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sono con d'Etienville. Egli ottiene dal conte di Vergen-nes un salvacondotto e un ordine d'arrestare d'Etienville.E, a loro volta, Précourt e di Fages vanno con la diligen-za a SaintOmer a pescarvi il fuggitivo. Lo trovano aDunkerque il 16 settembre. Il seguito è stato riassuntodall'avvocato dei gioiellieri Loque e Vaucher, mettendoin corsivo le precise parole di cui d'Etienville si è servitonella propria difesa.

«Si è visto – essi dicono – quel borghese di Saint-Omer lasciato solo ad Arras dalla baronessa di Courvil-le, portarsi fino a Saint-Omer, sua patria natale, dovesoggiornò per un po' di tempo per risparmiare alla piùtenera delle madri il dolore di venire a conoscereun'avventura così crudele e di là raggiungere Dunker-que senza nessun piano prestabilito ma soltanto percercarvi la quiete d'una esistenza ignorata – imbatten-dosi a Dunkerque nel messere di Précourt e nel baronedi Fages che lo arrestano in virtù d'un mandato del reche ricusano mostrargli.

«Lo si è visto, sempre sicuro della propria innocenza,eppure sgomentato alla sola vista d'una sentinella pressola sua porta, condotto da Dunkerque a Lille in diligenzae quivi fermato da uno de' suoi creditori che vuole farlomettere in prigione; reclamato da messer Précourt comeun prigioniero di stato, deposto fino alla partenza delsuddetto messere nel carcere militare della città doveviene chiamato Monsignore da due donne detenute perfrode del diritto di tabacco valutata a sei franchi per cia-scuna e dove non esita a fare due felici liberando quelle

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sono con d'Etienville. Egli ottiene dal conte di Vergen-nes un salvacondotto e un ordine d'arrestare d'Etienville.E, a loro volta, Précourt e di Fages vanno con la diligen-za a SaintOmer a pescarvi il fuggitivo. Lo trovano aDunkerque il 16 settembre. Il seguito è stato riassuntodall'avvocato dei gioiellieri Loque e Vaucher, mettendoin corsivo le precise parole di cui d'Etienville si è servitonella propria difesa.

«Si è visto – essi dicono – quel borghese di Saint-Omer lasciato solo ad Arras dalla baronessa di Courvil-le, portarsi fino a Saint-Omer, sua patria natale, dovesoggiornò per un po' di tempo per risparmiare alla piùtenera delle madri il dolore di venire a conoscereun'avventura così crudele e di là raggiungere Dunker-que senza nessun piano prestabilito ma soltanto percercarvi la quiete d'una esistenza ignorata – imbatten-dosi a Dunkerque nel messere di Précourt e nel baronedi Fages che lo arrestano in virtù d'un mandato del reche ricusano mostrargli.

«Lo si è visto, sempre sicuro della propria innocenza,eppure sgomentato alla sola vista d'una sentinella pressola sua porta, condotto da Dunkerque a Lille in diligenzae quivi fermato da uno de' suoi creditori che vuole farlomettere in prigione; reclamato da messer Précourt comeun prigioniero di stato, deposto fino alla partenza delsuddetto messere nel carcere militare della città doveviene chiamato Monsignore da due donne detenute perfrode del diritto di tabacco valutata a sei franchi per cia-scuna e dove non esita a fare due felici liberando quelle

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due donne – dove dimentica i proprii mali per condivi-dere la loro gioia – e dove ringrazia il cielo d'averglidata un'anima sensibile.

«Lo si è visto passare dalla torre di San Pietro al cor-po di guardia della porta dei malati, indignato di queltrattamento ma rassegnato come e l'agnello che vieneimmolato.

«Lo si è visto, con una sfacciataggine più ridicola an-cora fornire il danaro necessario alle persone che veni-vano ad arrestarlo e pagare le spese d'un viaggio chenon gli offriva altra prospettiva se non un avvenire di-sgraziato, e adesso si sa che pagava con il danaro d'unasignora di Autun alla quale aveva venduto dei falsi sal-vacondotti.

«E finalmente eccolo a Versailles, sempre condotto ecustodito da messer Précourt come un delinquente. Maqui la scena cambia. Il fuggiasco d'Etienville, inseguitocome un ladro, arrestato per ordine del re, e il barone diFages, e che si pretendeva defraudato, e il messere diPrécourt, portatore del preteso ordine, il colpevole e idue satelliti, così divisi finora, non avranno più che unmedesimo interesse e le medesime paure: è un triumvi-rato di cui d'Etienville diventa il consigliere dirigendonei passi».

A Versailles, infatti, Précourt aveva spiegato al suoprigioniero, che Vergennes, a cui adesso erano già notele deposizioni degli incarcerati, non voleva complicareil caso del cardinale già straordinariamente complicato,non desiderava spingere oltre la faccenda della signora

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due donne – dove dimentica i proprii mali per condivi-dere la loro gioia – e dove ringrazia il cielo d'averglidata un'anima sensibile.

«Lo si è visto passare dalla torre di San Pietro al cor-po di guardia della porta dei malati, indignato di queltrattamento ma rassegnato come e l'agnello che vieneimmolato.

«Lo si è visto, con una sfacciataggine più ridicola an-cora fornire il danaro necessario alle persone che veni-vano ad arrestarlo e pagare le spese d'un viaggio chenon gli offriva altra prospettiva se non un avvenire di-sgraziato, e adesso si sa che pagava con il danaro d'unasignora di Autun alla quale aveva venduto dei falsi sal-vacondotti.

«E finalmente eccolo a Versailles, sempre condotto ecustodito da messer Précourt come un delinquente. Maqui la scena cambia. Il fuggiasco d'Etienville, inseguitocome un ladro, arrestato per ordine del re, e il barone diFages, e che si pretendeva defraudato, e il messere diPrécourt, portatore del preteso ordine, il colpevole e idue satelliti, così divisi finora, non avranno più che unmedesimo interesse e le medesime paure: è un triumvi-rato di cui d'Etienville diventa il consigliere dirigendonei passi».

A Versailles, infatti, Précourt aveva spiegato al suoprigioniero, che Vergennes, a cui adesso erano già notele deposizioni degli incarcerati, non voleva complicareil caso del cardinale già straordinariamente complicato,non desiderava spingere oltre la faccenda della signora

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di Courville e consigliava a d'Etienville di rifugiarsi nelrecinto del Temple per mettersi al riparo da' suoi credi-tori. Il che venne fatto. D'Etienville e de Fages, tornandoad essere buoni amici e compari, vivono due mesi fian-co a fianco nel recinto protettore. Fanno dei passi pressoil luogotenente di polizia, presso la famiglia del cardina-le di Rohan, promettendo a costui una discrezione asso-luta, ossia delle deposizioni favorevoli, mediante piccolisussidii. Vengono a sapere che la sedicente baronessa diCourville si è rifugiata a Londra. Nonostante quella coa-bitazione e quella intimità, de Fages continua a sporgerequerela contro d'Etienville, artifizio necessario ad allon-tanare da ambedue l'accusa di scrocco; perchè nessunodeve supporre ch'essi sieno mai stati d'accordo per in-gannare i gioiellieri ed altri fornitori. Alla fine d'Etien-ville, ricercato per un affare più grave, i falsi salvacon-dotti rilasciati alla signora di Autun, è scacciato dall'asi-lo del Temple e si rifugia a San Giovanni Laterano. Il 22dicembre 1785 è incarcerato nel Grand Châtelet.

Agli imputati si aggiunsero tutti i testimoni che par-vero di qualche utilità: la contessa Cagliostro, la signorade la Tour con la figlia Maria Giovanna – la giovinettaancora «innocente» che aveva visto la regina entro unboccale ricolmo d'acqua – la servetta Rosalia, il baronedi Planta, Laporte che aveva parlato della Collana dellasignora de la Motte, l'orefice Grenier; Du Clusel, primocommesso della Marina e Claudio Cerval, detto l'Italia-no, che avevano negoziato dei buoni di finanza che i LaMotte dissero loro aver ricevuti dal cardinale; e per ulti-

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di Courville e consigliava a d'Etienville di rifugiarsi nelrecinto del Temple per mettersi al riparo da' suoi credi-tori. Il che venne fatto. D'Etienville e de Fages, tornandoad essere buoni amici e compari, vivono due mesi fian-co a fianco nel recinto protettore. Fanno dei passi pressoil luogotenente di polizia, presso la famiglia del cardina-le di Rohan, promettendo a costui una discrezione asso-luta, ossia delle deposizioni favorevoli, mediante piccolisussidii. Vengono a sapere che la sedicente baronessa diCourville si è rifugiata a Londra. Nonostante quella coa-bitazione e quella intimità, de Fages continua a sporgerequerela contro d'Etienville, artifizio necessario ad allon-tanare da ambedue l'accusa di scrocco; perchè nessunodeve supporre ch'essi sieno mai stati d'accordo per in-gannare i gioiellieri ed altri fornitori. Alla fine d'Etien-ville, ricercato per un affare più grave, i falsi salvacon-dotti rilasciati alla signora di Autun, è scacciato dall'asi-lo del Temple e si rifugia a San Giovanni Laterano. Il 22dicembre 1785 è incarcerato nel Grand Châtelet.

Agli imputati si aggiunsero tutti i testimoni che par-vero di qualche utilità: la contessa Cagliostro, la signorade la Tour con la figlia Maria Giovanna – la giovinettaancora «innocente» che aveva visto la regina entro unboccale ricolmo d'acqua – la servetta Rosalia, il baronedi Planta, Laporte che aveva parlato della Collana dellasignora de la Motte, l'orefice Grenier; Du Clusel, primocommesso della Marina e Claudio Cerval, detto l'Italia-no, che avevano negoziato dei buoni di finanza che i LaMotte dissero loro aver ricevuti dal cardinale; e per ulti-

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mo Toussaint di Beausire, con la sua amante, NicolettaLeguay. Tutti vennero alloggiati alla Bastiglia.

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mo Toussaint di Beausire, con la sua amante, NicolettaLeguay. Tutti vennero alloggiati alla Bastiglia.

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XXVI.I PRELIMINARI DEL GIUDIZIO

Ecco dunque, ad eccezione del conte de la Motte, tuttiquanti sotto i chiavistelli del re. Luigi XVI offrì al cardi-nale di riferirsi sia alla decisione del suo sovrano, sia algiudizio del Parlamento.

Rohan scelse il Parlamento con la lettera che segue:«Sire,

«Speravo di venir messo a confronto, acquistando intal modo prove tali da convincere Vostra Maestà dellafrode certa di cui sono rimasto lo zimbello e in tal casonon avrei ambito altro giudice all'infuori della vostragiustizia e della vostra bontà. Essendomi il confronto ri-fiutato e privo quindi di tale speranza, accetto con la piùrispettosa riconoscenza il permesso accordatomi da Vo-stra Maestà di valermi delle forme giuridiche a provadella mia innocenza e supplico quindi Vostra Maestà avoler impartire gli ordini opportuni affinchè il mio affa-re venga rinviato e deferito al Parlamento di Parigi, aCamere riunite.

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XXVI.I PRELIMINARI DEL GIUDIZIO

Ecco dunque, ad eccezione del conte de la Motte, tuttiquanti sotto i chiavistelli del re. Luigi XVI offrì al cardi-nale di riferirsi sia alla decisione del suo sovrano, sia algiudizio del Parlamento.

Rohan scelse il Parlamento con la lettera che segue:«Sire,

«Speravo di venir messo a confronto, acquistando intal modo prove tali da convincere Vostra Maestà dellafrode certa di cui sono rimasto lo zimbello e in tal casonon avrei ambito altro giudice all'infuori della vostragiustizia e della vostra bontà. Essendomi il confronto ri-fiutato e privo quindi di tale speranza, accetto con la piùrispettosa riconoscenza il permesso accordatomi da Vo-stra Maestà di valermi delle forme giuridiche a provadella mia innocenza e supplico quindi Vostra Maestà avoler impartire gli ordini opportuni affinchè il mio affa-re venga rinviato e deferito al Parlamento di Parigi, aCamere riunite.

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«Se osassi tuttavia sperare che gli schiarimenti cheeventualmente fossero stati presi e che io ignoro, aves-sero condotto Vostra Maestà alla conclusione che io nonsono colpevole se non d'essere stato ingannato, osereiallora supplicarvi, Sire, di pronunziare secondo la giu-stizia e la bontà vostre. I miei congiunti, penetrati daglistessi sentimenti miei, hanno firmato.

«Sono col più profondo rispetto, ecc.Firmato

Il Cardinale di Rohan,De Rohan, principe di Montbazon,Principe di Rohan, arciv. di Cambrai,L. M. principe di Soubise».

Gli storiografi non sembra abbiano conosciuto l'origi-nale di questa lettera e l'apprezzano tutti in modo inesat-to, secondo i commenti che ne furono dati. In realtà, Ro-han si assoggetta al giudizio del re nel caso in cui costuilo stimasse innocente. Ma Luigi XVI, influenzato daMaria Antonietta, persisteva nel giudicarlo colpevole.Rohan fu dunque deferito al Parlamento. Le lettere pa-tenti ne vennero date a Saint-Cloud il 5 settembre e regi-strate il 6 settembre, davanti alla Gran Camera e allaTournelle riunite.

Luigi XVI commetteva così un secondo sbaglio nonmeno grave del primo. Il re era turbato dalle idee chepoi hanno fatto la Rivoluzione. Aveva tra le mani unostrumento che, per la circostanza, meravigliosamente

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«Se osassi tuttavia sperare che gli schiarimenti cheeventualmente fossero stati presi e che io ignoro, aves-sero condotto Vostra Maestà alla conclusione che io nonsono colpevole se non d'essere stato ingannato, osereiallora supplicarvi, Sire, di pronunziare secondo la giu-stizia e la bontà vostre. I miei congiunti, penetrati daglistessi sentimenti miei, hanno firmato.

«Sono col più profondo rispetto, ecc.Firmato

Il Cardinale di Rohan,De Rohan, principe di Montbazon,Principe di Rohan, arciv. di Cambrai,L. M. principe di Soubise».

Gli storiografi non sembra abbiano conosciuto l'origi-nale di questa lettera e l'apprezzano tutti in modo inesat-to, secondo i commenti che ne furono dati. In realtà, Ro-han si assoggetta al giudizio del re nel caso in cui costuilo stimasse innocente. Ma Luigi XVI, influenzato daMaria Antonietta, persisteva nel giudicarlo colpevole.Rohan fu dunque deferito al Parlamento. Le lettere pa-tenti ne vennero date a Saint-Cloud il 5 settembre e regi-strate il 6 settembre, davanti alla Gran Camera e allaTournelle riunite.

Luigi XVI commetteva così un secondo sbaglio nonmeno grave del primo. Il re era turbato dalle idee chepoi hanno fatto la Rivoluzione. Aveva tra le mani unostrumento che, per la circostanza, meravigliosamente

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s'adattava all'oggetto per cui era creato: le lettere «de ca-chet» il rescritto regio per cui – secondo la legge e se-condo l'uso – egli era il primo e, se voleva, il solo giudi-ce de' suoi sudditi. Il Parlamento non giudicava se nonin virtù d'una delega del potere giudiziario di cui il so-vrano era l'unica fonte nel regno. E Luigi XVI va a con-fidare a simile assemblea – ch'esercita la giustizia sol-tanto perchè gliene ha delegato lui il potere – una causain cui l'onore di sua moglie e quello della corona sonoimmediatamente interessati! La scena del Boschetto, incui la dignità e la virtù della regina venivano oltraggiate,bastava da sola ad autorizzarlo ad esercitare in personala sua funzione di giudice.

E il Parlamento, con lo spirito da cui la maggioranzaera animata, non desiderava che una cosa: umiliare lacorona; poi, aspettare «l'arbitrio ministeriale». È lo stes-so conte de la Motte che scriverà:

«È certo che una parte della magistratura, preludiandofino da quel momento alla resistenza che opporrà trabreve all'autorità regale, non cercava tanto di preparareun trionfo al cardinale quanto un'umiliazione per la Cor-te».

Perfino l'abate Georgel è costretto a convenirne. Egliaddita fra i magistrati coloro che servivano il cardinale«non con quell'interesse calmo e scrupoloso che un giu-dice equo accorda all'accusato, ma con tutto l'ardore del-lo spirito di «parte».

Le usanze di quel tempo contribuivano a dare al pro-cesso un'eco immensa. I memoriali e le arringhe degli

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s'adattava all'oggetto per cui era creato: le lettere «de ca-chet» il rescritto regio per cui – secondo la legge e se-condo l'uso – egli era il primo e, se voleva, il solo giudi-ce de' suoi sudditi. Il Parlamento non giudicava se nonin virtù d'una delega del potere giudiziario di cui il so-vrano era l'unica fonte nel regno. E Luigi XVI va a con-fidare a simile assemblea – ch'esercita la giustizia sol-tanto perchè gliene ha delegato lui il potere – una causain cui l'onore di sua moglie e quello della corona sonoimmediatamente interessati! La scena del Boschetto, incui la dignità e la virtù della regina venivano oltraggiate,bastava da sola ad autorizzarlo ad esercitare in personala sua funzione di giudice.

E il Parlamento, con lo spirito da cui la maggioranzaera animata, non desiderava che una cosa: umiliare lacorona; poi, aspettare «l'arbitrio ministeriale». È lo stes-so conte de la Motte che scriverà:

«È certo che una parte della magistratura, preludiandofino da quel momento alla resistenza che opporrà trabreve all'autorità regale, non cercava tanto di preparareun trionfo al cardinale quanto un'umiliazione per la Cor-te».

Perfino l'abate Georgel è costretto a convenirne. Egliaddita fra i magistrati coloro che servivano il cardinale«non con quell'interesse calmo e scrupoloso che un giu-dice equo accorda all'accusato, ma con tutto l'ardore del-lo spirito di «parte».

Le usanze di quel tempo contribuivano a dare al pro-cesso un'eco immensa. I memoriali e le arringhe degli

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avvocati venivano stampate e distribuite a bizzeffe, ven-dute a migliaia di copie. Per mesi e mesi, la riputazione,la virtù, perfino la probità della regina verranno discussenon soltanto in Francia ma nell'intera Europa. Il Re nonsottoponeva al Parlamento che la sola truffa della Colla-na e il falso della firma di Maria Antonietta. Il cardinalerisultando innocente, è logico che quell'innocenza di-venga un colpo mortale per la riputazione della regina.

È così che questo processo – per la vastità degli inte-ressi che vi si agitano – divenne, secondo l'osservazionedi Mirabeau, l'affare più serio di tutto il regno. E gli av-vocati, redigendo i loro memoriali potranno dire:

«L'Europa intera ha gli occhi fissi su questo famosoprocesso; le minime circostanze diventano il pascolodella curiosità universale».

Il Primo Presidente d'Aligre designò come commissa-rii riferitori Massimiliano Pietro Titon di Villotran eGian Pietro Du Puis de Marcé, entrambi consiglieri del-la Gran Camera. De Villotran, brillante oratore, aveva ildono di sbrigare rapidamente gli affari ch'egli col suogarbo illimpidiva. Godeva fama di riuscire sempre a farsì che i colleghi fossero della sua opinione. Il secondoaveva la caratteristica d'essere «l'amico di tutti». Se netrova la biografia fra le note manoscritte di Target:

«È un brav'uomo, in fondo, umano, niente affatto in-trigante; ma molto lento e incline a lasciarsi trascinaredagli impulsi; non ha spirito, non sa parlare, ma è mite,onesto e buono. Piace ai colleghi e in genere a tutti perle sue qualità. Non è troppo ambizioso nè smanioso

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avvocati venivano stampate e distribuite a bizzeffe, ven-dute a migliaia di copie. Per mesi e mesi, la riputazione,la virtù, perfino la probità della regina verranno discussenon soltanto in Francia ma nell'intera Europa. Il Re nonsottoponeva al Parlamento che la sola truffa della Colla-na e il falso della firma di Maria Antonietta. Il cardinalerisultando innocente, è logico che quell'innocenza di-venga un colpo mortale per la riputazione della regina.

È così che questo processo – per la vastità degli inte-ressi che vi si agitano – divenne, secondo l'osservazionedi Mirabeau, l'affare più serio di tutto il regno. E gli av-vocati, redigendo i loro memoriali potranno dire:

«L'Europa intera ha gli occhi fissi su questo famosoprocesso; le minime circostanze diventano il pascolodella curiosità universale».

Il Primo Presidente d'Aligre designò come commissa-rii riferitori Massimiliano Pietro Titon di Villotran eGian Pietro Du Puis de Marcé, entrambi consiglieri del-la Gran Camera. De Villotran, brillante oratore, aveva ildono di sbrigare rapidamente gli affari ch'egli col suogarbo illimpidiva. Godeva fama di riuscire sempre a farsì che i colleghi fossero della sua opinione. Il secondoaveva la caratteristica d'essere «l'amico di tutti». Se netrova la biografia fra le note manoscritte di Target:

«È un brav'uomo, in fondo, umano, niente affatto in-trigante; ma molto lento e incline a lasciarsi trascinaredagli impulsi; non ha spirito, non sa parlare, ma è mite,onesto e buono. Piace ai colleghi e in genere a tutti perle sue qualità. Non è troppo ambizioso nè smanioso

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d'una considerazione speciale perchè ha il giudizio dicapire di non averne i mezzi».

Du Puis de Marcé venne incaricato dei confronti e Ti-ton della relazione generale circa l'affare.

Il processo fu interamente condotto nel modo più re-golare. Un decreto del re trasformò per quell'occasionela Bastiglia, prigione di Stato, in prigione giudiziaria dicui il Parlamento ebbe la direzione per tutto quanto con-cerneva i detenuti implicati nella faccenda della Colla-na. Tutte le carte procedurali sono intiere e portano lafirma degli accusati e dei testimoni. I processi verbalisono completi, senza lacune. Nessun particolare vennetenuto segreto. Tutti gli accusati vennero messi a con-fronto. Erano in comunicazione diretta coi loro avvocatie fornivano loro tutte le indicazioni che reputavano utilialla propria difesa. Ogni minimo incidente era riferitodalla Gazzetta di Leida. I Parigini venivano messi alcorrente, giorno per giorno, di ciò che accadeva alla Ba-stiglia. Si può anzi dire che, nel periodo istruttorio, furo-no divulgate cose non soltanto innumerevoli ma perfinotalvolta scandalose. Nessun giudice d'istruzione, al gior-no d'oggi, lascerebbe agli accusati una libertà simile.

L'opinione non tardò a volgersi a favore del cardinale.Hardy dice:

«Finiva coll'essere considerata una sventatezza delministero, come quella d'avere così illegalmente incar-cerato a San Lazzaro nel marzo scorso messer Caron diBeaumarchais, con la differenza che adesso si tratta d'unpersonaggio di ben altra importanza».

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d'una considerazione speciale perchè ha il giudizio dicapire di non averne i mezzi».

Du Puis de Marcé venne incaricato dei confronti e Ti-ton della relazione generale circa l'affare.

Il processo fu interamente condotto nel modo più re-golare. Un decreto del re trasformò per quell'occasionela Bastiglia, prigione di Stato, in prigione giudiziaria dicui il Parlamento ebbe la direzione per tutto quanto con-cerneva i detenuti implicati nella faccenda della Colla-na. Tutte le carte procedurali sono intiere e portano lafirma degli accusati e dei testimoni. I processi verbalisono completi, senza lacune. Nessun particolare vennetenuto segreto. Tutti gli accusati vennero messi a con-fronto. Erano in comunicazione diretta coi loro avvocatie fornivano loro tutte le indicazioni che reputavano utilialla propria difesa. Ogni minimo incidente era riferitodalla Gazzetta di Leida. I Parigini venivano messi alcorrente, giorno per giorno, di ciò che accadeva alla Ba-stiglia. Si può anzi dire che, nel periodo istruttorio, furo-no divulgate cose non soltanto innumerevoli ma perfinotalvolta scandalose. Nessun giudice d'istruzione, al gior-no d'oggi, lascerebbe agli accusati una libertà simile.

L'opinione non tardò a volgersi a favore del cardinale.Hardy dice:

«Finiva coll'essere considerata una sventatezza delministero, come quella d'avere così illegalmente incar-cerato a San Lazzaro nel marzo scorso messer Caron diBeaumarchais, con la differenza che adesso si tratta d'unpersonaggio di ben altra importanza».

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Le donne si dichiaravano favorevoli alla Bella Emi-nenza. Dei nastri mezzo rossi e gialli vennero in voga.Quella moda si chiamò: «Cardinale sulla paglia». Si èvisto in qual modo, al momento del suo arresto, Rohanavesse potuto inviare all'abate Georgel l'ordine di abbru-ciare la pretesa corrispondenza della regina; e leggiamonel Giornale di Hardy:

«Le grandi signore di Corte s'accaloravano nel difen-dere il cardinale, tant'erano commosse e riconoscenti perla delicatezza di cui aveva dato prova subito dopo l'arre-sto, incaricando messer abate Georgel, il suo fiduciario,di distruggere o mettere al sicuro in via generale tutte lecarte che avrebbero potuto rivelare le sue piacevoli cor-rispondenze con molte di loro».

Durante l'istruttoria, la signora de la Motte feceun'auto-difesa meravigliosa d'energia e di presenza dispirito. Per un periodo di parecchi mesi, in cui giornal-mente dovette subire la tortura dell'interrogatorio, non siperse d'animo neppure per un attimo. Seppe tener frontea tutti i testimoni. Nel momento stesso in cui vedeva pe-ricolare il proprio sistema di difesa, ne fabbricava un al-tro davanti ai giudici, con prontezza fulminea e preci-sando le circostanze. Se le chiedevano prove di quelleasserzioni, immediatamente citava due, tre, parecchi fat-ti, coniati da lei per la circostanza, lì per lì; e questi fattinuovi corredava con altri, non meno immaginarii, com-provanti i primi, non appena le pareva di scorgerel'ombra di un dubbio nella mente del magistrato. Al car-dinale, che l'accusava chiedendole donde mai le prove-

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Le donne si dichiaravano favorevoli alla Bella Emi-nenza. Dei nastri mezzo rossi e gialli vennero in voga.Quella moda si chiamò: «Cardinale sulla paglia». Si èvisto in qual modo, al momento del suo arresto, Rohanavesse potuto inviare all'abate Georgel l'ordine di abbru-ciare la pretesa corrispondenza della regina; e leggiamonel Giornale di Hardy:

«Le grandi signore di Corte s'accaloravano nel difen-dere il cardinale, tant'erano commosse e riconoscenti perla delicatezza di cui aveva dato prova subito dopo l'arre-sto, incaricando messer abate Georgel, il suo fiduciario,di distruggere o mettere al sicuro in via generale tutte lecarte che avrebbero potuto rivelare le sue piacevoli cor-rispondenze con molte di loro».

Durante l'istruttoria, la signora de la Motte feceun'auto-difesa meravigliosa d'energia e di presenza dispirito. Per un periodo di parecchi mesi, in cui giornal-mente dovette subire la tortura dell'interrogatorio, non siperse d'animo neppure per un attimo. Seppe tener frontea tutti i testimoni. Nel momento stesso in cui vedeva pe-ricolare il proprio sistema di difesa, ne fabbricava un al-tro davanti ai giudici, con prontezza fulminea e preci-sando le circostanze. Se le chiedevano prove di quelleasserzioni, immediatamente citava due, tre, parecchi fat-ti, coniati da lei per la circostanza, lì per lì; e questi fattinuovi corredava con altri, non meno immaginarii, com-provanti i primi, non appena le pareva di scorgerel'ombra di un dubbio nella mente del magistrato. Al car-dinale, che l'accusava chiedendole donde mai le prove-

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nisse tutto quel denaro, rispondeva ch'egli lo sapeva me-glio di chiunque dal momento ch'era la sua amante emantenuta da lui; al barone di Pianta, le cui deposizionivigorose e precise la colpivano come martellate, dichia-rava essere impudente da parte sua d'osare di parlare intal modo contro di lei dopo avere voluto violarla; al Pa-dre Loth, un tempo suo uomo di fiducia, che, in parteper gratitudine a Rohan a cui doveva d'essere riuscito apredicare davanti al re, in parte per rancore contro Vil-lette da cui era stato soppiantato nelle grazie della con-tessa, raccontava tutto, ella lanciava l'accusa d'essere unmonaco crapulone, che procurava le femmine a suo ma-rito e a lei rubava dai cassetti; alla signorina d'Oliva,rimproverava i costumi leggeri e i discorsi sconvenienti;a Cagliostro lanciava sulla faccia un candeliere di bron-zo, ricordandogli fra scoppi di risate come egli l'avessechiamata «la sua cigna» e «la sua colomba» fra millesvenevolezze. Cagliostro rispondeva alzando verso letravi del soffitto uno sguardo da ispirato, con grandi ge-sti, e travolgendo la disgraziata contessa in un diluvio diparole in cui ricorreva il nome di Dio con una folla dilocuzioni arabe e italiane e di parolone sonore da nessu-na lingua classificate.

Il confronto con la d'Oliva e Villette, il 12 aprile, pro-vocò una scena terribile. Pressata dalle loro dichiarazio-ni concordi, Giovanna dovette finalmente confessare lascena del Boschetto, fino ad allora ostinatamente nega-ta. Ma la confessione non uscì se non dopo mille gridadi rabbia e contorcimenti che finirono con un deliquio.

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nisse tutto quel denaro, rispondeva ch'egli lo sapeva me-glio di chiunque dal momento ch'era la sua amante emantenuta da lui; al barone di Pianta, le cui deposizionivigorose e precise la colpivano come martellate, dichia-rava essere impudente da parte sua d'osare di parlare intal modo contro di lei dopo avere voluto violarla; al Pa-dre Loth, un tempo suo uomo di fiducia, che, in parteper gratitudine a Rohan a cui doveva d'essere riuscito apredicare davanti al re, in parte per rancore contro Vil-lette da cui era stato soppiantato nelle grazie della con-tessa, raccontava tutto, ella lanciava l'accusa d'essere unmonaco crapulone, che procurava le femmine a suo ma-rito e a lei rubava dai cassetti; alla signorina d'Oliva,rimproverava i costumi leggeri e i discorsi sconvenienti;a Cagliostro lanciava sulla faccia un candeliere di bron-zo, ricordandogli fra scoppi di risate come egli l'avessechiamata «la sua cigna» e «la sua colomba» fra millesvenevolezze. Cagliostro rispondeva alzando verso letravi del soffitto uno sguardo da ispirato, con grandi ge-sti, e travolgendo la disgraziata contessa in un diluvio diparole in cui ricorreva il nome di Dio con una folla dilocuzioni arabe e italiane e di parolone sonore da nessu-na lingua classificate.

Il confronto con la d'Oliva e Villette, il 12 aprile, pro-vocò una scena terribile. Pressata dalle loro dichiarazio-ni concordi, Giovanna dovette finalmente confessare lascena del Boschetto, fino ad allora ostinatamente nega-ta. Ma la confessione non uscì se non dopo mille gridadi rabbia e contorcimenti che finirono con un deliquio.

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Corsero a cercare dell'aceto. Saint-Jean, portachiavi allaBastiglia, la prese finalmente per le braccia per portarlanella sua stanza. Ma non appena egli l'ebbe afferrata,Giovanna, rinvenuta, gli morse a sangue il collo. Saint-Jean lanciò un grido e la lasciò cadere.

Cagliostro si distinse sopratutto nel confronto con Ré-taux de Villette.

«Fu allora – scrisse egli stesso – che io gli feci perun'ora e mezza la predica per fargli conoscere i doveri diun uomo d'onore, il potere della Provvidenza e l'amoredel prossimo. Gli feci in seguito sperare la clemenza diDio e del governo. Il mio discorso insomma fu tantolungo e tanto forte che io rimasi senza fiato per conti-nuare. Il riferitore del Parlamento ne fu così commossoda dire a Villette che doveva essere un vero mostro pernon esserne tòcco, e perchè io gli avevo parlato da fra-tello, da uomo pieno di religione e di morale, e tuttoquello che avevo detto era d'ispirazione celestiale. Ré-taux infatti non tardò a dichiarare che la donna La Motteera un'intrigante e una bugiarda inconcepibile, e ch'eglistesso, ora che tutto era scoperto, non poteva renderseneconto e lo disse – come soffocando e con un contegnocosì come punto – che ogni suo gesto sarebbe stata unaprova di più se ciò fosse stato possibile».

Ma a quei moti d'esaltazione succedevano in Caglio-stro, quando si ritrovava solo nella sua stanza, dei mo-menti di prostrazione e scoraggiamento tali che finivanocoll'inquietare il governatore della Bastiglia. Costui nescrisse in proposito al luogotenente di polizia che ordinò

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Corsero a cercare dell'aceto. Saint-Jean, portachiavi allaBastiglia, la prese finalmente per le braccia per portarlanella sua stanza. Ma non appena egli l'ebbe afferrata,Giovanna, rinvenuta, gli morse a sangue il collo. Saint-Jean lanciò un grido e la lasciò cadere.

Cagliostro si distinse sopratutto nel confronto con Ré-taux de Villette.

«Fu allora – scrisse egli stesso – che io gli feci perun'ora e mezza la predica per fargli conoscere i doveri diun uomo d'onore, il potere della Provvidenza e l'amoredel prossimo. Gli feci in seguito sperare la clemenza diDio e del governo. Il mio discorso insomma fu tantolungo e tanto forte che io rimasi senza fiato per conti-nuare. Il riferitore del Parlamento ne fu così commossoda dire a Villette che doveva essere un vero mostro pernon esserne tòcco, e perchè io gli avevo parlato da fra-tello, da uomo pieno di religione e di morale, e tuttoquello che avevo detto era d'ispirazione celestiale. Ré-taux infatti non tardò a dichiarare che la donna La Motteera un'intrigante e una bugiarda inconcepibile, e ch'eglistesso, ora che tutto era scoperto, non poteva renderseneconto e lo disse – come soffocando e con un contegnocosì come punto – che ogni suo gesto sarebbe stata unaprova di più se ciò fosse stato possibile».

Ma a quei moti d'esaltazione succedevano in Caglio-stro, quando si ritrovava solo nella sua stanza, dei mo-menti di prostrazione e scoraggiamento tali che finivanocoll'inquietare il governatore della Bastiglia. Costui nescrisse in proposito al luogotenente di polizia che ordinò

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di mettergli accanto un «ufficiale di bassa forza» per te-nergli compagnia e «prevenire gli effetti della dispera-zione».

Il cardinale serbava un atteggiamento molto tranquil-lo. Compariva nelle sue vesti di cerimonia, in rocchettoe mantellina; e noi possiamo benissimo raffigurarcelo,con l'alta statura, gli occhi azzurri, dolci e tristi, i capellibrizzolati sotto la calottina rossa. La veste rossa è d'unastoffa serica e d'una tinta più pallida di quello che nonesigerebbe il costume. Sui mille arabeschi intessuti daimerletti di Bruges, spicca delicatamente il cordone az-zurro pallido dello Spirito Santo. Il suo contegno ispirarispetto e tristezza.

La baronessina d'Oliva suscita, con la sua grazia com-movente, emozione e simpatia.

«Non s'è mai visto – dice Charpentier nella sua Basti-glia svelata – un tale impasto d'onestà e dissolutezzanella sola persona. Nè mai si vide maggior franchezza,maggior candore quanto apparve in lei, durante l'interro-gatorio. È una giustizia che dovettero renderle giudici,avvocati e quanti ebbero a trattare con lei».

Occorre rilevare le contraddizioni incessanti della si-gnora de la Motte nei diversi interrogatorii? Dopo averenegata la scena del Boschetto, ne ammette la realtà;dopo avere accusato Cagliostro, è costretta a proclamar-ne l'assoluta innocenza. Nel primo memoriale fatto redi-gere dal suo avvocato, il ladro è Cagliostro; nel secon-do, il cardinale. Costui, a detta di lei, aveva fatta unaprima consegna parziale dei diamanti nel mese di mar-

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di mettergli accanto un «ufficiale di bassa forza» per te-nergli compagnia e «prevenire gli effetti della dispera-zione».

Il cardinale serbava un atteggiamento molto tranquil-lo. Compariva nelle sue vesti di cerimonia, in rocchettoe mantellina; e noi possiamo benissimo raffigurarcelo,con l'alta statura, gli occhi azzurri, dolci e tristi, i capellibrizzolati sotto la calottina rossa. La veste rossa è d'unastoffa serica e d'una tinta più pallida di quello che nonesigerebbe il costume. Sui mille arabeschi intessuti daimerletti di Bruges, spicca delicatamente il cordone az-zurro pallido dello Spirito Santo. Il suo contegno ispirarispetto e tristezza.

La baronessina d'Oliva suscita, con la sua grazia com-movente, emozione e simpatia.

«Non s'è mai visto – dice Charpentier nella sua Basti-glia svelata – un tale impasto d'onestà e dissolutezzanella sola persona. Nè mai si vide maggior franchezza,maggior candore quanto apparve in lei, durante l'interro-gatorio. È una giustizia che dovettero renderle giudici,avvocati e quanti ebbero a trattare con lei».

Occorre rilevare le contraddizioni incessanti della si-gnora de la Motte nei diversi interrogatorii? Dopo averenegata la scena del Boschetto, ne ammette la realtà;dopo avere accusato Cagliostro, è costretta a proclamar-ne l'assoluta innocenza. Nel primo memoriale fatto redi-gere dal suo avvocato, il ladro è Cagliostro; nel secon-do, il cardinale. Costui, a detta di lei, aveva fatta unaprima consegna parziale dei diamanti nel mese di mar-

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zo. Il cardinale obbietta che Villette è stato còltonell'atto di smerciare i diamanti, fin dal febbraio. In unastessa versione i fatti si contraddicono: si sarebbe appro-priato dei frammenti della collana, avrebbe incaricato lacontessa di venderne a Parigi, avrebbe incaricato LaMotte d'andarne a vendere a Londra; d'Etienville neavrebbe visti dei frammenti fra le mani della signora diCourville ma ecco che, messa alle strette dai confronti,la signora de la Motte torna a ricomporre il magnificovezzo per allacciarlo al collo della signora di Courville,la quale lo porta ostensibilmente nel palazzo del princi-pe.

Tanto che gli avvocati del Cardinale, rivolgendosi aDoillot, avvocato di Giovanna, saranno autorizzati a dir-gli:

«Con quale occhio si può considerare una cliente cheha l'aria di voler far sì che oggi nella procedura si di-mentichi i suoi memoriali e domani nei suoi memorialisi scordi la procedura; e a difesa di cui, alla vigilia delgiudizio, a malapena rimane uno solo fra i tanti fatti dicui la sua difesa si componeva all'epoca dei decreti?».

Il suo contegno nell'imbroglio creato attorno a Betted'Etienville è curiosissimo. Giovanna l'aveva immagina-to molto abilmente, come si è visto, per fornire un moti-vo al furto della collana attribuito al cardinale. Sulle pri-me, mantenne l'accusa; e quando subì il confronto cond'Etienville, indicò da principio se stessa come la donnavista in compagnia della signora de Courville. Ma quan-do s'accorse che quell'intervento non giovava e sentì che

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zo. Il cardinale obbietta che Villette è stato còltonell'atto di smerciare i diamanti, fin dal febbraio. In unastessa versione i fatti si contraddicono: si sarebbe appro-priato dei frammenti della collana, avrebbe incaricato lacontessa di venderne a Parigi, avrebbe incaricato LaMotte d'andarne a vendere a Londra; d'Etienville neavrebbe visti dei frammenti fra le mani della signora diCourville ma ecco che, messa alle strette dai confronti,la signora de la Motte torna a ricomporre il magnificovezzo per allacciarlo al collo della signora di Courville,la quale lo porta ostensibilmente nel palazzo del princi-pe.

Tanto che gli avvocati del Cardinale, rivolgendosi aDoillot, avvocato di Giovanna, saranno autorizzati a dir-gli:

«Con quale occhio si può considerare una cliente cheha l'aria di voler far sì che oggi nella procedura si di-mentichi i suoi memoriali e domani nei suoi memorialisi scordi la procedura; e a difesa di cui, alla vigilia delgiudizio, a malapena rimane uno solo fra i tanti fatti dicui la sua difesa si componeva all'epoca dei decreti?».

Il suo contegno nell'imbroglio creato attorno a Betted'Etienville è curiosissimo. Giovanna l'aveva immagina-to molto abilmente, come si è visto, per fornire un moti-vo al furto della collana attribuito al cardinale. Sulle pri-me, mantenne l'accusa; e quando subì il confronto cond'Etienville, indicò da principio se stessa come la donnavista in compagnia della signora de Courville. Ma quan-do s'accorse che quell'intervento non giovava e sentì che

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d'Etienville, bisognoso e pronto a fare qualsiasi parte,non avrebbe cercato di meglio che di rendersi benemeri-to al cardinale, dichiarò di non sapere che cosa signifi-casse tutta quella faccenda e di non averla, sulle prime,confermata se non per vendicarsi del cardinale chel'accusava di essersi impossessata della collana.

Rétaux aveva fatto delle confessioni. Aveva ricono-sciuto d'avere messo la firma falsa «Maria Antonietta diFrancia» in calce al contratto stipulato coi gioiellieri,d'avere scritto, sotto dettatura della signora de la Motte,una pseudo-corrispondenza attribuita alla regina, le fa-mose letterine dalle vignette azzurre.

«È schiacciata dalle testimonianze – dice Target –: isignori Böhmer e Bassenge, Grenier, Achet, l'avvocatode la Porte, Padre Loth, Villette, madamigella d'Oliva,Cagliostro, i domestici della signora de la Motte, tutti itestimoni di Francia, tutti i testimoni d'Inghilterra, dovesuo marito ha trasportato le stesse favole, innalzano lavoce contro di lei, essa grida che quei testimoni voglio-no imporsi, ecco la sua unica risposta: dunque, è con-vinta».

Il suo ultimo rifugio, è quello di tutti i delinquenti allestrette: il mistero. Le spiegazioni da lei inventate essen-dosi sfasciate l'una dopo l'altra, e non trovando, di frontealle testimonianze schiaccianti, nessun nuovo sistema,escogita quest'ultima trovata:

«È un secreto che confiderò soltanto quattr'occhi alministro della Casa del Re».

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d'Etienville, bisognoso e pronto a fare qualsiasi parte,non avrebbe cercato di meglio che di rendersi benemeri-to al cardinale, dichiarò di non sapere che cosa signifi-casse tutta quella faccenda e di non averla, sulle prime,confermata se non per vendicarsi del cardinale chel'accusava di essersi impossessata della collana.

Rétaux aveva fatto delle confessioni. Aveva ricono-sciuto d'avere messo la firma falsa «Maria Antonietta diFrancia» in calce al contratto stipulato coi gioiellieri,d'avere scritto, sotto dettatura della signora de la Motte,una pseudo-corrispondenza attribuita alla regina, le fa-mose letterine dalle vignette azzurre.

«È schiacciata dalle testimonianze – dice Target –: isignori Böhmer e Bassenge, Grenier, Achet, l'avvocatode la Porte, Padre Loth, Villette, madamigella d'Oliva,Cagliostro, i domestici della signora de la Motte, tutti itestimoni di Francia, tutti i testimoni d'Inghilterra, dovesuo marito ha trasportato le stesse favole, innalzano lavoce contro di lei, essa grida che quei testimoni voglio-no imporsi, ecco la sua unica risposta: dunque, è con-vinta».

Il suo ultimo rifugio, è quello di tutti i delinquenti allestrette: il mistero. Le spiegazioni da lei inventate essen-dosi sfasciate l'una dopo l'altra, e non trovando, di frontealle testimonianze schiaccianti, nessun nuovo sistema,escogita quest'ultima trovata:

«È un secreto che confiderò soltanto quattr'occhi alministro della Casa del Re».

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Finalmente, fuor di sè per la esasperazione e la rabbiaimpotente, simulò la follìa. Si mise a rompere ogni cosanella sua stanza, a respingere il cibo, a rifiutarsi di scen-dere per gli interrogatorii. I portachiavi della Bastiglia,entrando nella sua stanza, la trovarono distesa sotto illetto completamente nuda.

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Finalmente, fuor di sè per la esasperazione e la rabbiaimpotente, simulò la follìa. Si mise a rompere ogni cosanella sua stanza, a respingere il cibo, a rifiutarsi di scen-dere per gli interrogatorii. I portachiavi della Bastiglia,entrando nella sua stanza, la trovarono distesa sotto illetto completamente nuda.

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XXVII.CORRISPONDENZA CLANDESTINA.

Mentre fu in segreta, alla Bastiglia, il principe di Ro-han riuscì a comunicare coi suoi avvocati. Dicendosiammalato, riceveva la visite del dottor Portal, professorealla scuola di medicina, il quale trovò in breve il prete-sto di associarsi il chirurgo Travers, amico personale delprelato. Costoro, di soppiatto, fungevano da postini. Al-tre volte, il prigioniero scriveva loro dei bigliettini chepassavano sotto gli occhi degli ufficiali della Bastiglia; imedici li trasmettevano a Target e costui, esponendoli alcalore della fiamma faceva comparire la scrittura simpa-tica.

«Ho letto benissimo – scrive il cardinale a Travers –quello che m'avete indirizzato sulla carta gualcita; manon bisognerebbe gualcirla tanto. Non oso inviarvi il se-guito dei confronti e finchè io non abbia la vostra paroladi non mostrarli se non all'avvocato Target, perchè, ve loripeto, se ne avessero sentore o sospetto, non c'è mezzodi sorta a cui non ricorrerebbero».

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XXVII.CORRISPONDENZA CLANDESTINA.

Mentre fu in segreta, alla Bastiglia, il principe di Ro-han riuscì a comunicare coi suoi avvocati. Dicendosiammalato, riceveva la visite del dottor Portal, professorealla scuola di medicina, il quale trovò in breve il prete-sto di associarsi il chirurgo Travers, amico personale delprelato. Costoro, di soppiatto, fungevano da postini. Al-tre volte, il prigioniero scriveva loro dei bigliettini chepassavano sotto gli occhi degli ufficiali della Bastiglia; imedici li trasmettevano a Target e costui, esponendoli alcalore della fiamma faceva comparire la scrittura simpa-tica.

«Ho letto benissimo – scrive il cardinale a Travers –quello che m'avete indirizzato sulla carta gualcita; manon bisognerebbe gualcirla tanto. Non oso inviarvi il se-guito dei confronti e finchè io non abbia la vostra paroladi non mostrarli se non all'avvocato Target, perchè, ve loripeto, se ne avessero sentore o sospetto, non c'è mezzodi sorta a cui non ricorrerebbero».

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I biglietti sono malinconici.«Spero di non venir messo a confronto che lunedì, ma

quanto più presto potrete inviarmi tanto meglio sarà.Vale, vale. Voglia il cielo diminuire le mie pene!».

Poi:«Ogni giorno si fanno nove ore di confronti, sono

stanchissimo».«Sono orribilmente avverso da qualche tempo – scri-

ve un'altra volta – alle cose che non devono essere e cer-to quest'abitudine è penosa. Vi confesso, sia detto franoi, che comincio ad essere stanco. Ma ciò non toglieche io raddoppi gli sforzi e sopratutto non voglio che imiei nemici possano sospettarlo. Voglio sempre apparirefresco, ricomparendo nell'arena, e stagnare il sanguedelle mie piaghe. Se non altro, non lascierò loro quellasoddisfazione. Vale, vale».

I confronti gli hanno svelato la condotta atroce di co-lei per cui egli non ebbe altro se non della bontà.

«Mi confrontano dimani con quella scellerata – scrivea Target. – Oggi, ha avuto una scena con Cagliostro.Egli l'ha chiamata «maledetta «imbrogliona» perchè glidiceva delle cose sconvenienti contro sua moglie e gliha gettato addosso un candelabro che l'ha colpito nelventre; ma è stata immediatamente punita del suo attoperchè la candela le è andata nell'occhio! Vedremo do-mani. Garantisco che non mi lancerà nulla e sopratuttonon mi turberà: mi fa orrore».

La signora de la Motte va perdendo la sua sicumera.

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I biglietti sono malinconici.«Spero di non venir messo a confronto che lunedì, ma

quanto più presto potrete inviarmi tanto meglio sarà.Vale, vale. Voglia il cielo diminuire le mie pene!».

Poi:«Ogni giorno si fanno nove ore di confronti, sono

stanchissimo».«Sono orribilmente avverso da qualche tempo – scri-

ve un'altra volta – alle cose che non devono essere e cer-to quest'abitudine è penosa. Vi confesso, sia detto franoi, che comincio ad essere stanco. Ma ciò non toglieche io raddoppi gli sforzi e sopratutto non voglio che imiei nemici possano sospettarlo. Voglio sempre apparirefresco, ricomparendo nell'arena, e stagnare il sanguedelle mie piaghe. Se non altro, non lascierò loro quellasoddisfazione. Vale, vale».

I confronti gli hanno svelato la condotta atroce di co-lei per cui egli non ebbe altro se non della bontà.

«Mi confrontano dimani con quella scellerata – scrivea Target. – Oggi, ha avuto una scena con Cagliostro.Egli l'ha chiamata «maledetta «imbrogliona» perchè glidiceva delle cose sconvenienti contro sua moglie e gliha gettato addosso un candelabro che l'ha colpito nelventre; ma è stata immediatamente punita del suo attoperchè la candela le è andata nell'occhio! Vedremo do-mani. Garantisco che non mi lancerà nulla e sopratuttonon mi turberà: mi fa orrore».

La signora de la Motte va perdendo la sua sicumera.

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«L'ultimo interrogatorio finisce tra le lagrime, il dolo-re e la risposta che si abbandona fra le braccia dellaProvvidenza».

Le dichiarazioni di Rétaux de Villette e di NicolettaLeguay d'Oliva mettono la probità del cardinale al diso-pra d'ogni sospetto.

«Non siamo ancora alla fine delle cose straordinarie –egli scrive –; ma le prevedo senza inquietudine. Ringra-zio Dio d'avere reso la mia posizione tanto differente daciò ch'era prima. Ciò che più mi rasserena è il pensieroche, messo in salvo l'onore, tutto il resto non riguardache me personalmente».

Nelle lettere, la sua bontà emerge in modo commo-vente. Si preoccupa per Cagliostro e la moglie, per il ba-rone di Pianta, rinchiusi alla Bastiglia, per causa sua. Sipreoccupa di loro non meno che di se stesso. Le racco-mandazioni incalzano senza tregua. Nel Memoriale chesta per essere pubblicato, bisogna inserire la dichiarazio-ne con cui la signora de la Motte ha finito col proclama-re l'innocenza di Cagliostro e di sua moglie. Bisognapure non scordarsi mai di dare a Cagliostro il titolo diconte. Dimenticarsene, sarebbe dargli un dispiacere. Ro-han vuole anche che Target, autorevole com'è, parli conl'avvocato difensore dell'alchimista, per stimolarne lozelo e dargli dei consigli.

E, finalmente, per il proprio difensore, Rohan traboc-ca di riconoscenza:

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«L'ultimo interrogatorio finisce tra le lagrime, il dolo-re e la risposta che si abbandona fra le braccia dellaProvvidenza».

Le dichiarazioni di Rétaux de Villette e di NicolettaLeguay d'Oliva mettono la probità del cardinale al diso-pra d'ogni sospetto.

«Non siamo ancora alla fine delle cose straordinarie –egli scrive –; ma le prevedo senza inquietudine. Ringra-zio Dio d'avere reso la mia posizione tanto differente daciò ch'era prima. Ciò che più mi rasserena è il pensieroche, messo in salvo l'onore, tutto il resto non riguardache me personalmente».

Nelle lettere, la sua bontà emerge in modo commo-vente. Si preoccupa per Cagliostro e la moglie, per il ba-rone di Pianta, rinchiusi alla Bastiglia, per causa sua. Sipreoccupa di loro non meno che di se stesso. Le racco-mandazioni incalzano senza tregua. Nel Memoriale chesta per essere pubblicato, bisogna inserire la dichiarazio-ne con cui la signora de la Motte ha finito col proclama-re l'innocenza di Cagliostro e di sua moglie. Bisognapure non scordarsi mai di dare a Cagliostro il titolo diconte. Dimenticarsene, sarebbe dargli un dispiacere. Ro-han vuole anche che Target, autorevole com'è, parli conl'avvocato difensore dell'alchimista, per stimolarne lozelo e dargli dei consigli.

E, finalmente, per il proprio difensore, Rohan traboc-ca di riconoscenza:

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«Addio, vi ripeto ancora tutta l'espressione di quelladolce gratitudine che soltanto la mia sensibilità potrebbedipingervi».

Due volte soltanto, in quelle lettere, sotto il misterodell'inchiostro invisibile, s'insinua il ricordo della regi-na.

«Avete notizie della R(egina)?».La seconda volta, la frase tradisce la profondità del

sentimento e la costante preoccupazione:«Fatemi sapere se è vero che L(a) R(egina) continua

sempre ad essere triste».

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«Addio, vi ripeto ancora tutta l'espressione di quelladolce gratitudine che soltanto la mia sensibilità potrebbedipingervi».

Due volte soltanto, in quelle lettere, sotto il misterodell'inchiostro invisibile, s'insinua il ricordo della regi-na.

«Avete notizie della R(egina)?».La seconda volta, la frase tradisce la profondità del

sentimento e la costante preoccupazione:«Fatemi sapere se è vero che L(a) R(egina) continua

sempre ad essere triste».

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XXVIII.LA DIFESA E I DIFENSORI.

Era d'uso, in quei tempi, dare alle stampe i Memorialie le arringhe degli avvocati. Venivano messi in vendita elargamente diffusi. Il clamore destato dal processo fecesì che quegli scritti andassero a ruba e fossero letti avi-damente in tutta la Francia e al di là delle frontiere. Il ta-lento degli avvocati accrebbe l'interesse della causa alpunto che, dopo oltre un secolo, quegli scritti di circo-stanza si leggono ancora volontieri.

Il «consiglio» del cardinale era composto dai luminaridel foro parigino: Target, de Bonnières, Laget-Bardelin,Tronchet, Collet e Bigot di Préameneu. Target, accade-mico, godeva allora – e conserva oggidì – la riputazioned'avvocato principe; ed era stato il primo, fra i confratel-li togati, ad entrare nell'Accademia dopo l'illustre LeNormand, morto quarant'anni prima. È vero che, durantequei quarant'anni, nessun rappresentante della sbarraaveva voluto porre la propria candidatura, considerando

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XXVIII.LA DIFESA E I DIFENSORI.

Era d'uso, in quei tempi, dare alle stampe i Memorialie le arringhe degli avvocati. Venivano messi in vendita elargamente diffusi. Il clamore destato dal processo fecesì che quegli scritti andassero a ruba e fossero letti avi-damente in tutta la Francia e al di là delle frontiere. Il ta-lento degli avvocati accrebbe l'interesse della causa alpunto che, dopo oltre un secolo, quegli scritti di circo-stanza si leggono ancora volontieri.

Il «consiglio» del cardinale era composto dai luminaridel foro parigino: Target, de Bonnières, Laget-Bardelin,Tronchet, Collet e Bigot di Préameneu. Target, accade-mico, godeva allora – e conserva oggidì – la riputazioned'avvocato principe; ed era stato il primo, fra i confratel-li togati, ad entrare nell'Accademia dopo l'illustre LeNormand, morto quarant'anni prima. È vero che, durantequei quarant'anni, nessun rappresentante della sbarraaveva voluto porre la propria candidatura, considerando

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non fosse degno d'un avvocato quel doveroso giro di vi-site richiesto dalla consuetudine.

La signora de la Motte avrebbe desiderato d'essere di-fesa dal giovane Alberto Beugnot; ma costui, nonostantel'insistenza di Thiroux de Crosne, luogotenente di poli-zia, che tentò di persuaderlo facendogli balenare la pro-spettiva della fama che un principiante poteva acquistar-si in simile occasione, declinò l'onore. Thiroux de Cro-sne le diede allora il legale della propria famiglia,l'avvocato Doillot, più che sessantenne, che aveva daqualche tempo rinunziato all'esercizio attivo della suaprofessione ma veniva ancora consultato nel suo gabi-netto come giureconsulto di valore.

«Il vecchio non avvicinò impunemente la signora dela Motte – afferma Beugnot –: essa gli fece dar di voltail cervello».

Blondel, avvocato della baronessa d'Oliva, giovinepraticante uscito di fresco dalla Scuola, subì a sua voltail fascino della sua bella cliente: anch'essa fece girare latesta a lui. Ma a dir vero, il risultato fu diverso. La si-gnora de la Motte manipolò a suo talento le idee delproprio difensore, facendogli pensare e fare tutto ciò chevolle e scrivere i memoriali più stravaganti:

«Bisogna che l'avvocato sia impazzito – diceva, dilui, il fratello ch'era notaio al Châtelet – oppure che lade la Motte l'abbia stregato, così come aveva fatto colcardinale».

Tanto che l'onorevole e stimato giureconsulto vi per-dette la propria riputazione; mentre, sulle ali d'amore,

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non fosse degno d'un avvocato quel doveroso giro di vi-site richiesto dalla consuetudine.

La signora de la Motte avrebbe desiderato d'essere di-fesa dal giovane Alberto Beugnot; ma costui, nonostantel'insistenza di Thiroux de Crosne, luogotenente di poli-zia, che tentò di persuaderlo facendogli balenare la pro-spettiva della fama che un principiante poteva acquistar-si in simile occasione, declinò l'onore. Thiroux de Cro-sne le diede allora il legale della propria famiglia,l'avvocato Doillot, più che sessantenne, che aveva daqualche tempo rinunziato all'esercizio attivo della suaprofessione ma veniva ancora consultato nel suo gabi-netto come giureconsulto di valore.

«Il vecchio non avvicinò impunemente la signora dela Motte – afferma Beugnot –: essa gli fece dar di voltail cervello».

Blondel, avvocato della baronessa d'Oliva, giovinepraticante uscito di fresco dalla Scuola, subì a sua voltail fascino della sua bella cliente: anch'essa fece girare latesta a lui. Ma a dir vero, il risultato fu diverso. La si-gnora de la Motte manipolò a suo talento le idee delproprio difensore, facendogli pensare e fare tutto ciò chevolle e scrivere i memoriali più stravaganti:

«Bisogna che l'avvocato sia impazzito – diceva, dilui, il fratello ch'era notaio al Châtelet – oppure che lade la Motte l'abbia stregato, così come aveva fatto colcardinale».

Tanto che l'onorevole e stimato giureconsulto vi per-dette la propria riputazione; mentre, sulle ali d'amore,

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quella del giovane praticante venne portata dall'oggi aldomani al di là delle nuvole.

Primo a comparire fu il memoriale di Doillot per lacontessa, nel novembre del 1785. Grazie agli animi so-vraeccitati, ebbe un successo enorme.

L'avvocato Doillot – dice la Gazzetta di Leida – nonpuò soddisfare a tutte le richieste, che gli vengono gior-nalmente fatte. La sua porta è continuamente assediatada una folla avida di particolari. Parecchie migliaia diesemplari a malapena sono bastati a placare l'ingordigiadei primi sollecitatori».

L'autore delle Osservazioni di P. Tranquillo, descrivein modo pittoresco quella ressa:

«Siccome non appartengo a quella categoria che si faschiacciare pur di sentire le novità, andai per la mia stra-da. Non ero a dieci passi dalla a casa – (la casa di Doil-lot) – quando uno scrivano di procuratore, tutto ansantee sudato, mi chiese con tono affannoso: «Signore, neavete? ne avete?» Udito che non ne avevo, il mio scriva-nello se n'andò. Alla svolta di quella maledetta via, lavettura d'un Esculapio, che si spolmonava a gridare: –Cocchiere, cocchiere, ferma, è questa la porta – (la portadi Doillot) – poco mancò non mi schiacciasse. Nonm'ero ancora rimesso dalla paura che il calessino del si-gnor D.... mi sfiorò l'abito. Mandai al diavolo l'avvocatoe il suo memoriale e credevo in buona fede di essermisbarazzato da quella turba importuna; ed ecco che unchirurgo avvicinandosi mi dice: – Perdinci, signore, nonvi chiedo neanche quale sia lo scopo della vostra uscita.

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quella del giovane praticante venne portata dall'oggi aldomani al di là delle nuvole.

Primo a comparire fu il memoriale di Doillot per lacontessa, nel novembre del 1785. Grazie agli animi so-vraeccitati, ebbe un successo enorme.

L'avvocato Doillot – dice la Gazzetta di Leida – nonpuò soddisfare a tutte le richieste, che gli vengono gior-nalmente fatte. La sua porta è continuamente assediatada una folla avida di particolari. Parecchie migliaia diesemplari a malapena sono bastati a placare l'ingordigiadei primi sollecitatori».

L'autore delle Osservazioni di P. Tranquillo, descrivein modo pittoresco quella ressa:

«Siccome non appartengo a quella categoria che si faschiacciare pur di sentire le novità, andai per la mia stra-da. Non ero a dieci passi dalla a casa – (la casa di Doil-lot) – quando uno scrivano di procuratore, tutto ansantee sudato, mi chiese con tono affannoso: «Signore, neavete? ne avete?» Udito che non ne avevo, il mio scriva-nello se n'andò. Alla svolta di quella maledetta via, lavettura d'un Esculapio, che si spolmonava a gridare: –Cocchiere, cocchiere, ferma, è questa la porta – (la portadi Doillot) – poco mancò non mi schiacciasse. Nonm'ero ancora rimesso dalla paura che il calessino del si-gnor D.... mi sfiorò l'abito. Mandai al diavolo l'avvocatoe il suo memoriale e credevo in buona fede di essermisbarazzato da quella turba importuna; ed ecco che unchirurgo avvicinandosi mi dice: – Perdinci, signore, nonvi chiedo neanche quale sia lo scopo della vostra uscita.

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Ne avete finalmente? – Confesso in fede mia, d'aver cre-duto per un attimo che, nonchè distribuire dei memoria-li, si offrisse dell'oro a tutti i Francesi nullatenenti».

In via dei Macons, dove stava Doillot, avvennero deidisordini. Si dovettero mettere a guardia della casa dellesentinelle. Diecimila esemplari vennero così distribuiti amano; i librai ne vendettero cinquemila nello spaziod'una settimana e in pochi giorni Doillot ricevette tremi-la lettere di richiesta.

L'idea d'implicare Cagliostro nell'intrigo, era stata –come disse Georgel – d'una abilità diabolica. Se Gio-vanna di Valois avesse di primo acchito lanciato l'accusacontro il cardinale, nessuno le avrebbe creduto. Ma perle sue maniere, Cagliostro era un individuo sospetto; etutti sapevano quale influenza avesse sulle idee del car-dinale. L'alchimista – essa insinua – ha fatto a pezzi lacollana per ingrossare il tesoro occulto d'una ricchezzainaudita».

«Per mascherare il suo furto – scrive Doillot – ha or-dinato al signor di Rohan, sul quale aveva preso un im-pero assoluto, di farne vendere e farne montare una pic-cola parte a Parigi per il tramite della signora de la Mot-te, e di farne montare e vendere una parte più grossa aLondra, dal marito di lei».

Quanto alla supposizione che la Collana avesse potu-to essere comperata dalla regina, la signora de la Motte,in un bell'impeto d'indignazione, la definisce bestemmiacriminale.

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Ne avete finalmente? – Confesso in fede mia, d'aver cre-duto per un attimo che, nonchè distribuire dei memoria-li, si offrisse dell'oro a tutti i Francesi nullatenenti».

In via dei Macons, dove stava Doillot, avvennero deidisordini. Si dovettero mettere a guardia della casa dellesentinelle. Diecimila esemplari vennero così distribuiti amano; i librai ne vendettero cinquemila nello spaziod'una settimana e in pochi giorni Doillot ricevette tremi-la lettere di richiesta.

L'idea d'implicare Cagliostro nell'intrigo, era stata –come disse Georgel – d'una abilità diabolica. Se Gio-vanna di Valois avesse di primo acchito lanciato l'accusacontro il cardinale, nessuno le avrebbe creduto. Ma perle sue maniere, Cagliostro era un individuo sospetto; etutti sapevano quale influenza avesse sulle idee del car-dinale. L'alchimista – essa insinua – ha fatto a pezzi lacollana per ingrossare il tesoro occulto d'una ricchezzainaudita».

«Per mascherare il suo furto – scrive Doillot – ha or-dinato al signor di Rohan, sul quale aveva preso un im-pero assoluto, di farne vendere e farne montare una pic-cola parte a Parigi per il tramite della signora de la Mot-te, e di farne montare e vendere una parte più grossa aLondra, dal marito di lei».

Quanto alla supposizione che la Collana avesse potu-to essere comperata dalla regina, la signora de la Motte,in un bell'impeto d'indignazione, la definisce bestemmiacriminale.

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La difesa di Cagliostro è una meraviglia di splendore,di fierezza e d'ironia. Da quel giorno, l'attenzione deiletterati, degli scrittori, dei salotti e dei circoli letterariivenne attirata dal dibattito in cui stavano per entrare inlizza, come in un torneo del Parnaso, le penne più fe-conde e più brillanti.

A proposito di Cagliostro, la Corrispondenza lettera-ria, così si esprime

«Oh! come sarebbe bello tutto questo se fosse vero,esclamava una donna di spirito dopo avere ascoltatocommossa la lettura di quel memoriale emozionante. –Non mi tengo affatto sulle difese – risponde un uomo dicuore sensibile – contro l'emozione prodotta da un ro-manzo bene scritto, finchè una sentenza non abbia deci-so quello che devo credere circa la verità dei fatti inesso contenuti. –

«E l'uomo dal cuore sensibile aveva ragione», conclu-se il narratore.

Otto soldati di scorta, davanti all'uscio di Thilorier,nel chiostro di Nostra Signora, bastavano appena a trat-tenere il pubblico che faceva irruzione per avere quelloscritto sensazionale. Cagliostro l'aveva redatto in italia-no, poi Thilonier, avvocatino ventinovenne pieno di spi-rito, gli aveva dato una forma vivace e piccante. Caglio-stro, di cui la libertà e la vita stessa erano in giuoco,principia col raccontare la più inverosimile storia circala propria nascita ed educazione, la scienza prodigiosaacquistata, le guarigioni miracolose seminate attorno asè. La sua odissea mitologica attraverso l'Europa e

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La difesa di Cagliostro è una meraviglia di splendore,di fierezza e d'ironia. Da quel giorno, l'attenzione deiletterati, degli scrittori, dei salotti e dei circoli letterariivenne attirata dal dibattito in cui stavano per entrare inlizza, come in un torneo del Parnaso, le penne più fe-conde e più brillanti.

A proposito di Cagliostro, la Corrispondenza lettera-ria, così si esprime

«Oh! come sarebbe bello tutto questo se fosse vero,esclamava una donna di spirito dopo avere ascoltatocommossa la lettura di quel memoriale emozionante. –Non mi tengo affatto sulle difese – risponde un uomo dicuore sensibile – contro l'emozione prodotta da un ro-manzo bene scritto, finchè una sentenza non abbia deci-so quello che devo credere circa la verità dei fatti inesso contenuti. –

«E l'uomo dal cuore sensibile aveva ragione», conclu-se il narratore.

Otto soldati di scorta, davanti all'uscio di Thilorier,nel chiostro di Nostra Signora, bastavano appena a trat-tenere il pubblico che faceva irruzione per avere quelloscritto sensazionale. Cagliostro l'aveva redatto in italia-no, poi Thilonier, avvocatino ventinovenne pieno di spi-rito, gli aveva dato una forma vivace e piccante. Caglio-stro, di cui la libertà e la vita stessa erano in giuoco,principia col raccontare la più inverosimile storia circala propria nascita ed educazione, la scienza prodigiosaacquistata, le guarigioni miracolose seminate attorno asè. La sua odissea mitologica attraverso l'Europa e

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l'Africa è narrata con termini impossibili ad immagina-re. Dopo di che, nel modo più serio e anche più felice,espone la sua autodifesa. La prima parte poteva far du-bitare della veridicità della seconda.

«Ma quella follìa – come dice Beugnot – di cui Thilo-rier, uomo di molto spirito, era il primo a ridere, fu con-siderata conveniente e all'ordine del giorno».

Cagliostro aveva, è vero, un argomento inconfutabile:il cardinale aveva trattato con i gioiellieri il 29 gennaio1785 e lui, Cagliostro, era giunto a Parigi il 30 alle novedi sera.

Con la signora de la Motte trattava molto dall'alto. Lacontessa, nel suo Memoriale, lo chiamava: «empirico,basso alchimista, fantasticatore della pietra filosofale,falso profeta». Cagliostro risponde:

Empirico! Ho udito spesso tal nome, senza mai sape-re che cosa veramente significasse: forse un uomo che,senza essere dottore, possiede delle nozioni di medicina,va a vedere i malati senza esigere l'importo delle visite,guarisce tanto i poveri quanto i ricchi e non riceve dena-ro da nessuno – in tal caso io sono empirico.

Basso-alchimista! alchimista o no, la qualifica di bas-so non s'adatta se non a quelli che chiedono e strisciano,e tutti sanno se il conte Cagliostro ha mai chiesto favoria nessuno.

Fantasticatore della pietra filosofale! Il pubblico nonè mai stato importunato dalle mie fantasticherie.

Falso profeta! Non sempre lo sono stato. Se il signorcardinale di Rohan mi avesse dato retta, si sarebbe mes-

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l'Africa è narrata con termini impossibili ad immagina-re. Dopo di che, nel modo più serio e anche più felice,espone la sua autodifesa. La prima parte poteva far du-bitare della veridicità della seconda.

«Ma quella follìa – come dice Beugnot – di cui Thilo-rier, uomo di molto spirito, era il primo a ridere, fu con-siderata conveniente e all'ordine del giorno».

Cagliostro aveva, è vero, un argomento inconfutabile:il cardinale aveva trattato con i gioiellieri il 29 gennaio1785 e lui, Cagliostro, era giunto a Parigi il 30 alle novedi sera.

Con la signora de la Motte trattava molto dall'alto. Lacontessa, nel suo Memoriale, lo chiamava: «empirico,basso alchimista, fantasticatore della pietra filosofale,falso profeta». Cagliostro risponde:

Empirico! Ho udito spesso tal nome, senza mai sape-re che cosa veramente significasse: forse un uomo che,senza essere dottore, possiede delle nozioni di medicina,va a vedere i malati senza esigere l'importo delle visite,guarisce tanto i poveri quanto i ricchi e non riceve dena-ro da nessuno – in tal caso io sono empirico.

Basso-alchimista! alchimista o no, la qualifica di bas-so non s'adatta se non a quelli che chiedono e strisciano,e tutti sanno se il conte Cagliostro ha mai chiesto favoria nessuno.

Fantasticatore della pietra filosofale! Il pubblico nonè mai stato importunato dalle mie fantasticherie.

Falso profeta! Non sempre lo sono stato. Se il signorcardinale di Rohan mi avesse dato retta, si sarebbe mes-

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so in guardia colla contessa de la Motte e noi non sa-remmo al punto in cui siamo.

La chiusa del memoriale meriterebbe d'essere citataper intero; eccone le ultime righe:

Francesi, non siete altro che dei curiosi? potete leg-gere quegli scritti insulsi in cui malizia e leggerezza sicompiacquero di versare l'obbrobrio e il ridicolo addos-so all'Amico degli uomini...

Volete, invece, essere buoni e giusti? Non interroga-te; ma ascoltate e amate colui che sempre ha rispettatoi re perchè sono nelle mani di Dio, i governi perchè eglili protegge, la religione perch'è sua legge, la legge per-chè n'è il supplemento, e gli uomini infine perchè sono,come lui, suoi figliuoli.

Non interrogate; ma ascoltate e amate colui che è ve-nuto fra voi facendo il bene, che si lasciò assalire conpazienza e si difese con moderazione.

Si era ancora sbalorditi da quella letteratura. inaspet-tata in tale circostanza, – perchè quell'arringa era vera-mente rivolta ai Nostri Signori del Parlamento, statuentinella Gran Camera e la Tournelle riunite – quando ap-parve il delizioso scritto perorante la causa di Nicolettad'Oliva. Nicoletta era graziosa e l'avvocato lo dicevacon parole squisite.

«Il Memoriale di damigella Leguay d'Oliva – scrivePadre Georgel – interessa tutti gli animi sensibili per leingenue confessioni che faceva quella bella cortigiana.Lo stile aveva la freschezza di colorito dai poeti attribui-ta alla regina di Gnido e di Pafo».

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so in guardia colla contessa de la Motte e noi non sa-remmo al punto in cui siamo.

La chiusa del memoriale meriterebbe d'essere citataper intero; eccone le ultime righe:

Francesi, non siete altro che dei curiosi? potete leg-gere quegli scritti insulsi in cui malizia e leggerezza sicompiacquero di versare l'obbrobrio e il ridicolo addos-so all'Amico degli uomini...

Volete, invece, essere buoni e giusti? Non interroga-te; ma ascoltate e amate colui che sempre ha rispettatoi re perchè sono nelle mani di Dio, i governi perchè eglili protegge, la religione perch'è sua legge, la legge per-chè n'è il supplemento, e gli uomini infine perchè sono,come lui, suoi figliuoli.

Non interrogate; ma ascoltate e amate colui che è ve-nuto fra voi facendo il bene, che si lasciò assalire conpazienza e si difese con moderazione.

Si era ancora sbalorditi da quella letteratura. inaspet-tata in tale circostanza, – perchè quell'arringa era vera-mente rivolta ai Nostri Signori del Parlamento, statuentinella Gran Camera e la Tournelle riunite – quando ap-parve il delizioso scritto perorante la causa di Nicolettad'Oliva. Nicoletta era graziosa e l'avvocato lo dicevacon parole squisite.

«Il Memoriale di damigella Leguay d'Oliva – scrivePadre Georgel – interessa tutti gli animi sensibili per leingenue confessioni che faceva quella bella cortigiana.Lo stile aveva la freschezza di colorito dai poeti attribui-ta alla regina di Gnido e di Pafo».

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Ecco un bel saggio di stile gesuitico a proposito d'unavezzosa donnina. Blondel scriveva molto meglio di così:il suo Memoriale è così semplice, così chiaro, d'un'emo-tività tanto ingenua e commovente, la logica ne è cosìfinemente e graziosamente dedotta ch'è impossibile, an-che oggidì, di leggerlo senza una viva simpatia. TuttaParigi ebbe per Nicoletta gli occhi di Blondel. Ventimilaesemplari del suo piccolo capolavoro vennero venduti inpochi giorni.

Blondel aveva lo stesso interesse del difensore delcardinale, Target, di voler dimostrare che, nella scenadel Boschetto, Nicoletta non aveva potuto, per l'oscuritàprofonda, discernere nulla. E Manuel rimò i versi se-guenti che mette nella bocca della vezzosa comparsa:

Ch'io nulla vidi allora, attesta di sicuro,Target, perch'era buio, Blondel, perch'era scuro.Questa è tutta la storia ch'io narro bell'e cruda,in cui l'anima mia si mostra tutta nuda.Chi della bella Oliva mai seppe con più zelopiù semplice apparire, più sciolta d'ogni velo?

Quando, dal fondo dello Châtelet, dov'era malinconi-camente detenuto, Bette d'Etienville seppe l'esito libra-rio di quegli scritti, che per gli autori si tramutava in esi-to finanziario, perchè ogni esemplare era venduto a ven-ti o trenta soldi, chiese energicamente d'essere della par-tita, perchè, insomma, anch'egli era stato frammischiatoa una storia di diamanti. Si è detto che Vergennes e il

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Ecco un bel saggio di stile gesuitico a proposito d'unavezzosa donnina. Blondel scriveva molto meglio di così:il suo Memoriale è così semplice, così chiaro, d'un'emo-tività tanto ingenua e commovente, la logica ne è cosìfinemente e graziosamente dedotta ch'è impossibile, an-che oggidì, di leggerlo senza una viva simpatia. TuttaParigi ebbe per Nicoletta gli occhi di Blondel. Ventimilaesemplari del suo piccolo capolavoro vennero venduti inpochi giorni.

Blondel aveva lo stesso interesse del difensore delcardinale, Target, di voler dimostrare che, nella scenadel Boschetto, Nicoletta non aveva potuto, per l'oscuritàprofonda, discernere nulla. E Manuel rimò i versi se-guenti che mette nella bocca della vezzosa comparsa:

Ch'io nulla vidi allora, attesta di sicuro,Target, perch'era buio, Blondel, perch'era scuro.Questa è tutta la storia ch'io narro bell'e cruda,in cui l'anima mia si mostra tutta nuda.Chi della bella Oliva mai seppe con più zelopiù semplice apparire, più sciolta d'ogni velo?

Quando, dal fondo dello Châtelet, dov'era malinconi-camente detenuto, Bette d'Etienville seppe l'esito libra-rio di quegli scritti, che per gli autori si tramutava in esi-to finanziario, perchè ogni esemplare era venduto a ven-ti o trenta soldi, chiese energicamente d'essere della par-tita, perchè, insomma, anch'egli era stato frammischiatoa una storia di diamanti. Si è detto che Vergennes e il

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ministero avrebbero preferito di non complicare la fac-cenda già così complicata del cardinale aggiungendovil'inverosimile avventura del borghese di Saint-Omer edel suo amico il barone di Fages. Ma lui, d'Etienville, citeneva a parlare e a scrivere, comunque fosse. E i suoiMemoriali piovvero: dal 24 febbraio all'11 aprile 1786,ne pubblica tre, uno dopo l'altro. Ognuno venne vendutoa migliaia di copie.

«Si ha un bel gridare: «Ma donde capita questo nuovodetenuto? Che cosa vuole? Con quale diritto pubblica unMemoriale? – Questo Memoriale è un romanzo pieno dimovimento, di interesse, scritto con bello stile. Tutti loleggono e s'interessano per il signor Bette d'Etienville,senza curarsi se sia un personaggio reale o un esserefantastico»2.

Quei Memoriali erano firmati da Montigny, avvocatodi cattiva fama, osserva il Bachaumont, che non ne di-stribuiva un solo esemplare gratuitamente e li vendevapersonalmente al proprio domicilio, in via di La Harpe,senz'ombra di pudore. D'Etienville, ch'era ai suoi primisaggi letterarii, firmava Auctor et auctor.

La bella contessa Cagliostro ebbe a difensore Polve-rit, che ne raccontò la vita in un Memoriale più inverosi-mile ancora di quello del marito.

«Quella nuova favola – dice Beugnot – riuscì a suavolta».

2 Beugnot, I, 101.

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ministero avrebbero preferito di non complicare la fac-cenda già così complicata del cardinale aggiungendovil'inverosimile avventura del borghese di Saint-Omer edel suo amico il barone di Fages. Ma lui, d'Etienville, citeneva a parlare e a scrivere, comunque fosse. E i suoiMemoriali piovvero: dal 24 febbraio all'11 aprile 1786,ne pubblica tre, uno dopo l'altro. Ognuno venne vendutoa migliaia di copie.

«Si ha un bel gridare: «Ma donde capita questo nuovodetenuto? Che cosa vuole? Con quale diritto pubblica unMemoriale? – Questo Memoriale è un romanzo pieno dimovimento, di interesse, scritto con bello stile. Tutti loleggono e s'interessano per il signor Bette d'Etienville,senza curarsi se sia un personaggio reale o un esserefantastico»2.

Quei Memoriali erano firmati da Montigny, avvocatodi cattiva fama, osserva il Bachaumont, che non ne di-stribuiva un solo esemplare gratuitamente e li vendevapersonalmente al proprio domicilio, in via di La Harpe,senz'ombra di pudore. D'Etienville, ch'era ai suoi primisaggi letterarii, firmava Auctor et auctor.

La bella contessa Cagliostro ebbe a difensore Polve-rit, che ne raccontò la vita in un Memoriale più inverosi-mile ancora di quello del marito.

«Quella nuova favola – dice Beugnot – riuscì a suavolta».

2 Beugnot, I, 101.

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Rétaux de Villette scelse un avvocatino gobbo, Jail-lant-Deschainagts «astuto proprio come voleva il suo fi-sico» che dipinse Villette dal vero: carattere leggiero edebole, dominato dalle sue amanti e sempre pronto arendere loro i servigi che gli chiedevano senza bene di-scernerne la portata. Fra tutti gli avvocati fu, del resto,quello che ottenne il maggior successo dal punto di vistagiudiziario. Il suo cliente, colpevole di falso e di com-plicità immediata nel furto della Collana, se la caveràcon una pena derisoria.

Poi vennero i Memoriali del barone di Fages, di DonMulot, del conte di Précourt, l'accusa contro d'Etienvillee compagni redatta in nome degli orologiai Loque eVaucher. Quest'ultima, compilata da Duveyrier, mirabileper ironia ed umorismo, fu dai critici collocata accantoagli scritti di Blondel e Cagliostro.

A proposito d'uno dei Memoriali di d'Etienville, il li-braio Hardy scrive:

«Fra altre cose che colpiscono, vi si nota, a pag. 22, ildiscorso rivolto il 16 agosto 1785, dalla signora di Cour-ville, che se la svignava da Parigi e si trovava allora adArras, a d'Etienville:

«— Il signor cardinale di Rohan è stato arrestato ieria Versailles. Mettiamoci in salvo. La compera d'una col-lana d'un milione e seicentomila lire, di cui avete vistoin casa mia dei frammenti, è il perno dell'affare. La sco-perta di tale intrigo è stata la causa de' miei dispiaceri edelle mie inquietudini fin dal principio del mese. Eccoquello che ostacola il mio matrimonio, e mi perde».

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Rétaux de Villette scelse un avvocatino gobbo, Jail-lant-Deschainagts «astuto proprio come voleva il suo fi-sico» che dipinse Villette dal vero: carattere leggiero edebole, dominato dalle sue amanti e sempre pronto arendere loro i servigi che gli chiedevano senza bene di-scernerne la portata. Fra tutti gli avvocati fu, del resto,quello che ottenne il maggior successo dal punto di vistagiudiziario. Il suo cliente, colpevole di falso e di com-plicità immediata nel furto della Collana, se la caveràcon una pena derisoria.

Poi vennero i Memoriali del barone di Fages, di DonMulot, del conte di Précourt, l'accusa contro d'Etienvillee compagni redatta in nome degli orologiai Loque eVaucher. Quest'ultima, compilata da Duveyrier, mirabileper ironia ed umorismo, fu dai critici collocata accantoagli scritti di Blondel e Cagliostro.

A proposito d'uno dei Memoriali di d'Etienville, il li-braio Hardy scrive:

«Fra altre cose che colpiscono, vi si nota, a pag. 22, ildiscorso rivolto il 16 agosto 1785, dalla signora di Cour-ville, che se la svignava da Parigi e si trovava allora adArras, a d'Etienville:

«— Il signor cardinale di Rohan è stato arrestato ieria Versailles. Mettiamoci in salvo. La compera d'una col-lana d'un milione e seicentomila lire, di cui avete vistoin casa mia dei frammenti, è il perno dell'affare. La sco-perta di tale intrigo è stata la causa de' miei dispiaceri edelle mie inquietudini fin dal principio del mese. Eccoquello che ostacola il mio matrimonio, e mi perde».

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Per l'importanza che Hardy attribuisce a questo parti-colare, si vede quanto l'intrigo della signora di Courvil-le, malgrado la sua inverosimiglianza fosse stato beneordito da Giovanna di Valois, e che valido appoggio leavrebbe arrecato se l'arresto, per lei inatteso, di Rétaux edella d'Oliva, non avesse distrutto nelle sue mani ognipossibilità di difesa.

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Per l'importanza che Hardy attribuisce a questo parti-colare, si vede quanto l'intrigo della signora di Courvil-le, malgrado la sua inverosimiglianza fosse stato beneordito da Giovanna di Valois, e che valido appoggio leavrebbe arrecato se l'arresto, per lei inatteso, di Rétaux edella d'Oliva, non avesse distrutto nelle sue mani ognipossibilità di difesa.

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XXIX.«LE ULTIME NOVITÀ!LE ULTIME NOVITÀ»

L'emozione e l'interesse suscitato dagli opuscoli degliavvocati venivano accresciuti dai libelli che la faccendafaceva sbocciare da tutte le parti: il Guardia del Re, diManuel; le Riflessioni di Motus; le Osservazioni di P.Tranquillo, di Carlo Luigi Hû; la Fiaba orientale, laLettera dell'abate G... alla contessa e la risposta dellacontessa all'abate; la Raccolta di documenti autentici; laLettera in occasione della prigionia del cardinale; leMemorie autentiche per Cagliostro, l'Ultimo pezzo del-la Collana. Fra gli autori di questi libelli si trovano par-rucchieri, droghieri, commessi di libreria. Ogni testa vo-leva dir la sua. Una stamperia clandestina, rannicchiatain fondo ad un cortile, in via dei Fossés-Saint-Bernard(Fossati San Bernardo) si occupava unicamente dellastampa dei bollettini relativi al processo della Collana.Era diretta da Luigi Dupré, detto Point, garzone parruc-

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XXIX.«LE ULTIME NOVITÀ!LE ULTIME NOVITÀ»

L'emozione e l'interesse suscitato dagli opuscoli degliavvocati venivano accresciuti dai libelli che la faccendafaceva sbocciare da tutte le parti: il Guardia del Re, diManuel; le Riflessioni di Motus; le Osservazioni di P.Tranquillo, di Carlo Luigi Hû; la Fiaba orientale, laLettera dell'abate G... alla contessa e la risposta dellacontessa all'abate; la Raccolta di documenti autentici; laLettera in occasione della prigionia del cardinale; leMemorie autentiche per Cagliostro, l'Ultimo pezzo del-la Collana. Fra gli autori di questi libelli si trovano par-rucchieri, droghieri, commessi di libreria. Ogni testa vo-leva dir la sua. Una stamperia clandestina, rannicchiatain fondo ad un cortile, in via dei Fossés-Saint-Bernard(Fossati San Bernardo) si occupava unicamente dellastampa dei bollettini relativi al processo della Collana.Era diretta da Luigi Dupré, detto Point, garzone parruc-

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chiere – Figaro era proprio un tipo dell'epoca – e Anto-nio Chambon, commissionario in libri. I due soci venne-ro scoperti e rinchiusi nella Bastiglia il 21 marzo 1786.Ma di fronte al maggior numero di quelle pubblicazionimaligne, gli sforzi della polizia rimanevano infruttuosi ei suoi atti giudiziarii non ottenevano altro effetto se nonquello di pungere la curiosità del pubblico. E i novellierifacevano a gara a chi più inventasse. Tutti i fogli diFrancia e d'Europa bastavano appena a contenere le loroinformazioni. Che cosa diventava sotto la loro penna lascena del Boschetto?

«Accordando i suoi favori al cardinale, la d'Oliva glifaceva credere, mentre le due teste posavano sullo stes-so guanciale, d'essere la regina in persona; nacquerocosì le grandi idee d'ambizione da parte del cardinaleche si lusingava di diventare primo ministro»3.

Quanto al conte de la Motte, correva insistentementela voce che, costretto dal «lord mayor» di Londra ad ab-bandonare la città, si fosse rifugiato a Costantinopoli,dove s'era fatto circoncidere ed aveva preso il turbante.Si aggiunga l'esaltazione delle menti negli anni che pre-cedono la Rivoluzione. Le caricature divennero cosìviolente che la polizia le interdisse a loro volta.

Quelle misure stimolavano l'ardore dei collezionisti,bibliofili, amatori di stampe e fogli rari. Si voleva adogni costo avere tutta la raccolta di memoriali stampati,opuscoli, libelli, satire, versucci e canzonette che l'affare

3 Meinvires de Bachaumont 1785, 16 dic.

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chiere – Figaro era proprio un tipo dell'epoca – e Anto-nio Chambon, commissionario in libri. I due soci venne-ro scoperti e rinchiusi nella Bastiglia il 21 marzo 1786.Ma di fronte al maggior numero di quelle pubblicazionimaligne, gli sforzi della polizia rimanevano infruttuosi ei suoi atti giudiziarii non ottenevano altro effetto se nonquello di pungere la curiosità del pubblico. E i novellierifacevano a gara a chi più inventasse. Tutti i fogli diFrancia e d'Europa bastavano appena a contenere le loroinformazioni. Che cosa diventava sotto la loro penna lascena del Boschetto?

«Accordando i suoi favori al cardinale, la d'Oliva glifaceva credere, mentre le due teste posavano sullo stes-so guanciale, d'essere la regina in persona; nacquerocosì le grandi idee d'ambizione da parte del cardinaleche si lusingava di diventare primo ministro»3.

Quanto al conte de la Motte, correva insistentementela voce che, costretto dal «lord mayor» di Londra ad ab-bandonare la città, si fosse rifugiato a Costantinopoli,dove s'era fatto circoncidere ed aveva preso il turbante.Si aggiunga l'esaltazione delle menti negli anni che pre-cedono la Rivoluzione. Le caricature divennero cosìviolente che la polizia le interdisse a loro volta.

Quelle misure stimolavano l'ardore dei collezionisti,bibliofili, amatori di stampe e fogli rari. Si voleva adogni costo avere tutta la raccolta di memoriali stampati,opuscoli, libelli, satire, versucci e canzonette che l'affare

3 Meinvires de Bachaumont 1785, 16 dic.

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metteva alla luce giorno per giorno. Si fece una serie diventidue ritratti rappresentanti tutti i personaggi in azio-ne. La maggior parte era d'invenzione. I primi che as-sunsero il nome della signora de la Motte non erano al-tro che i ritratti della Presidentessa di Saint-Vincentmentre il conte de la Motte veniva raffigurato nelle sem-bianze del principe di Montbarey. La stessa immagineserviva per d'Etienville e per il barone di Fages. Era lafaccia di un sordomuto trovato nel 1773 sulla strada diPéronne, che si diceva conte di Solar. Dei venditori am-bulanti, gli strilloni di quel tempo, non venivano menobene accolti quando, percorrendo le vie offrivano allafolla, appena usciti di sotto il torchio, ancora umidi, ibollettini nuovi della serie della Collana, attirando colloro grido solito: «Le ultime novità! le ultime novità!».

Finalmente, il 16 maggio 1786, pochi giorni primadel giudizio, apparve il memoriale di Target, per il car-dinale. Se n'erano già dette mirabilia: l'avvocato ne ave-va dato qualche lettura frammentaria ai colleghidell'Accademia che se n'erano dichiarati incantati.Quando un accademico legge qualche cosa ai confratel-li, è buona regola che costoro se ne dichiararono incan-tati. Se n'erano fatte delle copie manoscritte, più o menofedeli. Si vendettero sino a trentasei lire ciascuna – set-tantadue franchi almeno del giorno d'oggi. E quando fustampato e distribuito sotto le colonne del Palazzo Sou-bise, avvenne una vera sedizione. La folla che s'accalca-va nella vasta galleria a mezzaluna, s'accrebbe talmenteche le sentinelle non bastarono; si dovette ricorrere alla

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metteva alla luce giorno per giorno. Si fece una serie diventidue ritratti rappresentanti tutti i personaggi in azio-ne. La maggior parte era d'invenzione. I primi che as-sunsero il nome della signora de la Motte non erano al-tro che i ritratti della Presidentessa di Saint-Vincentmentre il conte de la Motte veniva raffigurato nelle sem-bianze del principe di Montbarey. La stessa immagineserviva per d'Etienville e per il barone di Fages. Era lafaccia di un sordomuto trovato nel 1773 sulla strada diPéronne, che si diceva conte di Solar. Dei venditori am-bulanti, gli strilloni di quel tempo, non venivano menobene accolti quando, percorrendo le vie offrivano allafolla, appena usciti di sotto il torchio, ancora umidi, ibollettini nuovi della serie della Collana, attirando colloro grido solito: «Le ultime novità! le ultime novità!».

Finalmente, il 16 maggio 1786, pochi giorni primadel giudizio, apparve il memoriale di Target, per il car-dinale. Se n'erano già dette mirabilia: l'avvocato ne ave-va dato qualche lettura frammentaria ai colleghidell'Accademia che se n'erano dichiarati incantati.Quando un accademico legge qualche cosa ai confratel-li, è buona regola che costoro se ne dichiararono incan-tati. Se n'erano fatte delle copie manoscritte, più o menofedeli. Si vendettero sino a trentasei lire ciascuna – set-tantadue franchi almeno del giorno d'oggi. E quando fustampato e distribuito sotto le colonne del Palazzo Sou-bise, avvenne una vera sedizione. La folla che s'accalca-va nella vasta galleria a mezzaluna, s'accrebbe talmenteche le sentinelle non bastarono; si dovette ricorrere alla

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guardia a cavallo. Apparvero tre edizioni, nella stessagiornata; la prima dal libraio Hardouin, al Palai-Royal;da Claudio Simon, la seconda; la terza, stampata da Lot-tin, veniva distribuita nel palazzo Soubise. Nonostantequella distribuzione gratuita, il memoriale giunse a esse-re pagato perfino uno scudo. Se n'era detto tanto beneche finì coll'essere una delusione. Senza dubbio, era dif-ficile produrre qualche cosa di meglio di quello ch'erastato fatto per Cagliostro e per la d'Oliva. Ma l'opera diTarget non è priva di valore, tutt'altro. Ai giorni nostri, èstato paragonato quel brano d'eloquenza giudiziaria allepiù belle arringhe di Cicerone. Questo è un fargli torto.Il «factum» di Target contiene certe parti d'una precisio-ne e d'una forza dimostrativa non mai raggiuntedall'insopportabile chiacchierone di Tusculo. Può darsiche, se Target non avesse avuto la convinzione di doverassolutamente scrivere, per una simile causa, un capola-voro da trasmettere alla posterità, egli sarebbe riuscitodavvero a farne uno; per i capolavori occorre essere piùsemplici.

Il popolo cantò:

Target, nel Memoriale,descrisse o bene o maleil fatto scioccherelloahimè! del cardinale;con tutta l'eloquenzache se non ha cervelloalmeno ha l'innocenza.

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guardia a cavallo. Apparvero tre edizioni, nella stessagiornata; la prima dal libraio Hardouin, al Palai-Royal;da Claudio Simon, la seconda; la terza, stampata da Lot-tin, veniva distribuita nel palazzo Soubise. Nonostantequella distribuzione gratuita, il memoriale giunse a esse-re pagato perfino uno scudo. Se n'era detto tanto beneche finì coll'essere una delusione. Senza dubbio, era dif-ficile produrre qualche cosa di meglio di quello ch'erastato fatto per Cagliostro e per la d'Oliva. Ma l'opera diTarget non è priva di valore, tutt'altro. Ai giorni nostri, èstato paragonato quel brano d'eloquenza giudiziaria allepiù belle arringhe di Cicerone. Questo è un fargli torto.Il «factum» di Target contiene certe parti d'una precisio-ne e d'una forza dimostrativa non mai raggiuntedall'insopportabile chiacchierone di Tusculo. Può darsiche, se Target non avesse avuto la convinzione di doverassolutamente scrivere, per una simile causa, un capola-voro da trasmettere alla posterità, egli sarebbe riuscitodavvero a farne uno; per i capolavori occorre essere piùsemplici.

Il popolo cantò:

Target, nel Memoriale,descrisse o bene o maleil fatto scioccherelloahimè! del cardinale;con tutta l'eloquenzache se non ha cervelloalmeno ha l'innocenza.

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XXX.PRIMA DEL GIUDIZIO.

Il 15 dicembre 1785, i semplici decreti d'aggiorna-mento del Parlamento, «per venir uditi» aggiudicaticontro i prigionieri della Bastiglia, erano stati convertitiin decreti di arresto per il cardinale, la contessa de laMotte e Cagliostro. Quest'ultimo era, fino da allora, in-corso nella probabilità di trovare una maggioranza favo-revole alla sua assoluzione. Il 19 gennaio soltanto vennedecretato l'arresto della signorina d'Oliva. Il decretocontro Rétaux fu promulgato quando entrò nella Basti-glia.

«Fin dal momento in cui il cardinale venne arrestato –scrive Maria Antonietta a suo fratello Giuseppe II –, hoben contato che non potrebbe più riapparire a Corte; mala procedura, che durerà parecchi mesi, potrebbe averealtri risultati. Ha cominciato con un decreto d'arrestoche lo sospende da qualsiasi diritto, funzione o facoltàdi compiere nessun atto civile fino all'epoca del suo giu-dizio. Cagliostro, ciarlatano, La Motte, sua moglie e una

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XXX.PRIMA DEL GIUDIZIO.

Il 15 dicembre 1785, i semplici decreti d'aggiorna-mento del Parlamento, «per venir uditi» aggiudicaticontro i prigionieri della Bastiglia, erano stati convertitiin decreti di arresto per il cardinale, la contessa de laMotte e Cagliostro. Quest'ultimo era, fino da allora, in-corso nella probabilità di trovare una maggioranza favo-revole alla sua assoluzione. Il 19 gennaio soltanto vennedecretato l'arresto della signorina d'Oliva. Il decretocontro Rétaux fu promulgato quando entrò nella Basti-glia.

«Fin dal momento in cui il cardinale venne arrestato –scrive Maria Antonietta a suo fratello Giuseppe II –, hoben contato che non potrebbe più riapparire a Corte; mala procedura, che durerà parecchi mesi, potrebbe averealtri risultati. Ha cominciato con un decreto d'arrestoche lo sospende da qualsiasi diritto, funzione o facoltàdi compiere nessun atto civile fino all'epoca del suo giu-dizio. Cagliostro, ciarlatano, La Motte, sua moglie e una

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certa Oliva, femminuccia da strada, sono incolpati conlui; quale associazione per un grande elemosiniere e unRohan cardinale!».

Cominciò da quel giorno una detenzione rigorosa. IlParlamento respinse, il 17 febbraio 1786, la pretesa for-mulata dall'assemblea generale del clero, sotto la presi-denza d'Arturo di Dillon, arcivescovo di Narbonne, difar giudicare il cardinale da un tribunale ecclesiastico. Ilre aveva già risposto in precedenza alla lettera indirizza-tagli dall'assemblea del clero il 18 settembre 1785:

«Il clero del mio regno deve contare sulla mia prote-zione e sulla mia attenzione nel far osservare le leggicostituite dei privilegi accordatigli dai re miei predeces-sori».

E non s'era indugiato oltre in queste formalità. Non sicredette di dover tener in maggior conto le dimostrazio-ni del Sovrano Pontefice che, adiratissimo, aveva mi-nacciato Rohan di togliergli il cappello cardinalizio,qualora si fosse lasciato giudicare dal Parlamento. Ci sicontentò di spedire al Papa un certo abate Lemoine, dot-tore alla Sorbona, che gli spiegò di che si trattasse, e ilpapa si dichiarò soddisfatto.

Un'altra manifestazione ecclesiastica fece maggior ef-fetto di quella dell'assemblea generale del clero, benchèemanasse da un solo individuo. L'abate Georgel, anticogesuita, era il vicario generale del cardinale, tanto aStrasburgo quanto per la grande elemosineria. Approfit-tò della redazione d'una lettera pastorale permettentel'uso delle uova durante la quaresima fino alla domenica

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certa Oliva, femminuccia da strada, sono incolpati conlui; quale associazione per un grande elemosiniere e unRohan cardinale!».

Cominciò da quel giorno una detenzione rigorosa. IlParlamento respinse, il 17 febbraio 1786, la pretesa for-mulata dall'assemblea generale del clero, sotto la presi-denza d'Arturo di Dillon, arcivescovo di Narbonne, difar giudicare il cardinale da un tribunale ecclesiastico. Ilre aveva già risposto in precedenza alla lettera indirizza-tagli dall'assemblea del clero il 18 settembre 1785:

«Il clero del mio regno deve contare sulla mia prote-zione e sulla mia attenzione nel far osservare le leggicostituite dei privilegi accordatigli dai re miei predeces-sori».

E non s'era indugiato oltre in queste formalità. Non sicredette di dover tener in maggior conto le dimostrazio-ni del Sovrano Pontefice che, adiratissimo, aveva mi-nacciato Rohan di togliergli il cappello cardinalizio,qualora si fosse lasciato giudicare dal Parlamento. Ci sicontentò di spedire al Papa un certo abate Lemoine, dot-tore alla Sorbona, che gli spiegò di che si trattasse, e ilpapa si dichiarò soddisfatto.

Un'altra manifestazione ecclesiastica fece maggior ef-fetto di quella dell'assemblea generale del clero, benchèemanasse da un solo individuo. L'abate Georgel, anticogesuita, era il vicario generale del cardinale, tanto aStrasburgo quanto per la grande elemosineria. Approfit-tò della redazione d'una lettera pastorale permettentel'uso delle uova durante la quaresima fino alla domenica

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LETTERA DI CACHETCONTRO IL CARDINALE DI ROHAN

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LETTERA DI CACHETCONTRO IL CARDINALE DI ROHAN

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delle Palme per rendere noto il suo modo di vedere. Viparagona bravamente il cardinale a San Paolo, LuigiXVI a Nerone e se stesso al discepolo Timoteo chel'apostolo esorta a non arrossire della propria prigionia:

Io, Francesco Georgel, dottore in teologia, ecc., in-viato a voi, miei carissimi fratelli, come il discepolo Ti-moteo lo fu al popolo, che Paolo, in ceppi non potevaammaestrare, io vi dico... che vi è permesso di mangia-re del burro e delle uova in quaresima.

Ma udite:Possa la nostra voce, clamorosa, quanto la fatale

tromba che chiamerà i morti all'ultimo giudizio, imitaregli accenti degli inviati di Dio quando dicevano: «Po-poli, ascoltate, è Dio stesso che parla per bocca nostra.L'empietà ha rotto le dighe, ha inondato la terra e, negliimpeti del suo furore, ha detto: «Salirò al cielo, insulte-rò l'Onnipotente! ma dal seno della nube solcata dailampi, al rumore del tuono che farà scoppiare il fulminesul mondo intero, la maestà di Dio apparirà; dal tronodella giustizia partirà la vendetta per trascinare l'empionell'abisso eterno!»

Ciò che sembrerà inaudito si è che questa maniera dipermettere l'uso delle uova durante la quaresima venneaffissa per cura di Georgel, vicario della elemosineria,alle porte delle cappelle in tutti i castelli del re, al Lou-vre, alle Tuileries. perfino sugli usci della cappella delpalazzo a Versailles.

Una lettera di «cachet» firmata Breteuil, in data 10marzo 1786, inviò Georgel a calmare l'ardore della pro-

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delle Palme per rendere noto il suo modo di vedere. Viparagona bravamente il cardinale a San Paolo, LuigiXVI a Nerone e se stesso al discepolo Timoteo chel'apostolo esorta a non arrossire della propria prigionia:

Io, Francesco Georgel, dottore in teologia, ecc., in-viato a voi, miei carissimi fratelli, come il discepolo Ti-moteo lo fu al popolo, che Paolo, in ceppi non potevaammaestrare, io vi dico... che vi è permesso di mangia-re del burro e delle uova in quaresima.

Ma udite:Possa la nostra voce, clamorosa, quanto la fatale

tromba che chiamerà i morti all'ultimo giudizio, imitaregli accenti degli inviati di Dio quando dicevano: «Po-poli, ascoltate, è Dio stesso che parla per bocca nostra.L'empietà ha rotto le dighe, ha inondato la terra e, negliimpeti del suo furore, ha detto: «Salirò al cielo, insulte-rò l'Onnipotente! ma dal seno della nube solcata dailampi, al rumore del tuono che farà scoppiare il fulminesul mondo intero, la maestà di Dio apparirà; dal tronodella giustizia partirà la vendetta per trascinare l'empionell'abisso eterno!»

Ciò che sembrerà inaudito si è che questa maniera dipermettere l'uso delle uova durante la quaresima venneaffissa per cura di Georgel, vicario della elemosineria,alle porte delle cappelle in tutti i castelli del re, al Lou-vre, alle Tuileries. perfino sugli usci della cappella delpalazzo a Versailles.

Una lettera di «cachet» firmata Breteuil, in data 10marzo 1786, inviò Georgel a calmare l'ardore della pro-

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pria immaginazione nel suo paese natale, a Mortagne,graziosa piccola capitale del Perche. La città emergecome un isolotto nell'oceano verdeggiante dei pascoli.Vi giunse nell'epoca in cui tutto rifioriva mentre nellaBastiglia Rohan cominciava a trovare i muri nudi e tri-sti, poichè, dal 15 dicembre in poi, in cui da prigionierodel re era diventato prigioniero del Parlamento, non gliera più permesso di «tener circolo come nel palazzo diStrasburgo» di dare dei pranzi di venti coperti, di redi-gere in collaborazione coll'abate Georgel delle note edi-ficanti per il Corriere dell'Europa, la Gazzetta di Leidao il Giornale di Amsterdam. L'arcivescovo di Parigi, cheandò a trovare Rohan il 5 gennaio, fu colpito dall'altera-zione dei suoi lineamenti.

«Vedete un uomo molto infelice – gli disse il cardina-le – ma spero, con la grazia di Dio, di sopportare pa-zientemente sino alla fine le sofferenze».

Le sue coliche nefritiche l'avevano ripreso con mag-giore violenza. Allora la sua mente s'inacerbì; si figuròche volessero avvelenarlo. E il popolo – perfino le ra-gazze allegre, sedute assieme ai loro compagni, con legambe penzoloni, sul ciglione dei fossati della Bastiglia,gli cantavano:

Tutti quanti sanno che il dottor Portalha guarito con la china il cardinal.

Alleluia!

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pria immaginazione nel suo paese natale, a Mortagne,graziosa piccola capitale del Perche. La città emergecome un isolotto nell'oceano verdeggiante dei pascoli.Vi giunse nell'epoca in cui tutto rifioriva mentre nellaBastiglia Rohan cominciava a trovare i muri nudi e tri-sti, poichè, dal 15 dicembre in poi, in cui da prigionierodel re era diventato prigioniero del Parlamento, non gliera più permesso di «tener circolo come nel palazzo diStrasburgo» di dare dei pranzi di venti coperti, di redi-gere in collaborazione coll'abate Georgel delle note edi-ficanti per il Corriere dell'Europa, la Gazzetta di Leidao il Giornale di Amsterdam. L'arcivescovo di Parigi, cheandò a trovare Rohan il 5 gennaio, fu colpito dall'altera-zione dei suoi lineamenti.

«Vedete un uomo molto infelice – gli disse il cardina-le – ma spero, con la grazia di Dio, di sopportare pa-zientemente sino alla fine le sofferenze».

Le sue coliche nefritiche l'avevano ripreso con mag-giore violenza. Allora la sua mente s'inacerbì; si figuròche volessero avvelenarlo. E il popolo – perfino le ra-gazze allegre, sedute assieme ai loro compagni, con legambe penzoloni, sul ciglione dei fossati della Bastiglia,gli cantavano:

Tutti quanti sanno che il dottor Portalha guarito con la china il cardinal.

Alleluia!

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Dice Oliva ch'è un alloccoe Lamott' re dei birbanti;lui, da sol, si dice scioccoe han ragione tutti quanti.

Alleluia!

E se il Papa tutto rosso lo creò,tutto nero pei Reali diventò;alla fine il Parlamento – perchè no?tutto bianco diventare lo farà.

Alleluia!

La vigilia del giorno in cui il Parlamento si radunerà,la questione, secondo l'opinione pubblica, è fra il cardi-nale e la regina. La nobiltà di Versailles spera di trovarenell'assoluzione di uno de' suoi più brillanti esponentil'umiliazione della sovrana. Nel popolo, brutalmente, –«si dava per certo che la sua Eminenza persistevanell'asserire che la famosa collana di diamanti era statadebitamente consegnata alla regina e chiedeva con insi-stenza di venire confrontata con Sua Maestà»4.

4 Giornale di Hardy, 1786, 9 marzo.

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Dice Oliva ch'è un alloccoe Lamott' re dei birbanti;lui, da sol, si dice scioccoe han ragione tutti quanti.

Alleluia!

E se il Papa tutto rosso lo creò,tutto nero pei Reali diventò;alla fine il Parlamento – perchè no?tutto bianco diventare lo farà.

Alleluia!

La vigilia del giorno in cui il Parlamento si radunerà,la questione, secondo l'opinione pubblica, è fra il cardi-nale e la regina. La nobiltà di Versailles spera di trovarenell'assoluzione di uno de' suoi più brillanti esponentil'umiliazione della sovrana. Nel popolo, brutalmente, –«si dava per certo che la sua Eminenza persistevanell'asserire che la famosa collana di diamanti era statadebitamente consegnata alla regina e chiedeva con insi-stenza di venire confrontata con Sua Maestà»4.

4 Giornale di Hardy, 1786, 9 marzo.

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XXXI.LA SIGNORA CAGLIOSTRO

IN LIBERTÀ.

Cagliostro continuava a sbalordire l'opinione pubblicae farla divertire. Il 24 febbraio, diede alle stampe un me-moriale relativo alla detenzione di sua moglie, prigio-niera come lui nella Bastiglia.

«Finchè il supplicante – dice il memoriale – ha potutocredere che i rigori d'una lunga e crudele cattività nonalterassero la salute della sua consorte, s'è accontentatodi gemere in silenzio. Ma adesso che non è più possibilea coloro che lo circondano di celargli lo stato di questainfelice consorte e il pericolo che minaccia i di lei gior-ni, il supplicante, penetrato dalla più profonda afflizio-ne, si rifugia nel seno dei magistrati».

Tutta Parigi viene così edotta che la vita d'un angelo èmessa in pericolo dalla barbarie dell'arbitrio reale.

«È un'esposizione commovente – dice Hardy – dellostato critico e pericoloso in cui attualmente si trova la si-

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XXXI.LA SIGNORA CAGLIOSTRO

IN LIBERTÀ.

Cagliostro continuava a sbalordire l'opinione pubblicae farla divertire. Il 24 febbraio, diede alle stampe un me-moriale relativo alla detenzione di sua moglie, prigio-niera come lui nella Bastiglia.

«Finchè il supplicante – dice il memoriale – ha potutocredere che i rigori d'una lunga e crudele cattività nonalterassero la salute della sua consorte, s'è accontentatodi gemere in silenzio. Ma adesso che non è più possibilea coloro che lo circondano di celargli lo stato di questainfelice consorte e il pericolo che minaccia i di lei gior-ni, il supplicante, penetrato dalla più profonda afflizio-ne, si rifugia nel seno dei magistrati».

Tutta Parigi viene così edotta che la vita d'un angelo èmessa in pericolo dalla barbarie dell'arbitrio reale.

«È un'esposizione commovente – dice Hardy – dellostato critico e pericoloso in cui attualmente si trova la si-

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gnora Cagliostro, stato che esige il soccorso d'un'artebenefica esercitata dal marito, il quale aveva avuto lafortuna di strappare mille Francesi dalle braccia dellamorte; e della disgrazia di quella signora che, pur nonessendo nè colpita dal decreto parlamentare, nè accusa-ta, è priva della libertà fino dal 22 agosto».

In Parlamento ci fu un vivo allarme. L'augusto tribu-nale decise che una delegazione di magistrati si «sareb-be ritirata» alla presenza del re per supplicarlo di strap-pare quella deliziosa vittima all'orrenda sorte da cui eraminacciata. Il governo ne fu turbato, assunse informa-zioni alla Bastiglia. Il marchese di Launay rispose che laprigioniera stava benone e passeggiava quotidianamentesulle torri.

Ma quel chiasso fatto attorno al suo nome ebbe tutta-via per risultato di affrettare la liberazione della signoraCagliostro, che uscì dalla Bastiglia il 18 marzo e andòsubito a casa sua, in via San Claudio, dove, per più diuna settimana, un registro messo nella portineria, siriempì di firme da mattina a sera.

«Non è raro di vedere alla sera quasi trecento visitesulla lista del suo portiere».

«È atto di suprema distinzione – dicono i novellieri –dare una capatina nel palazzo Cagliostro».

Coloro che avevano l'onore di venir ricevuti dallacontessa, asserivano nell'uscire ch'essa aveva tanto pian-to alla Bastiglia da averne quasi sciupati gli occhi. Perfortuna, ciò che ne rimaneva era ancor più che presenta-bile e i consolatori bussarono numerosi alla sua porta,

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gnora Cagliostro, stato che esige il soccorso d'un'artebenefica esercitata dal marito, il quale aveva avuto lafortuna di strappare mille Francesi dalle braccia dellamorte; e della disgrazia di quella signora che, pur nonessendo nè colpita dal decreto parlamentare, nè accusa-ta, è priva della libertà fino dal 22 agosto».

In Parlamento ci fu un vivo allarme. L'augusto tribu-nale decise che una delegazione di magistrati si «sareb-be ritirata» alla presenza del re per supplicarlo di strap-pare quella deliziosa vittima all'orrenda sorte da cui eraminacciata. Il governo ne fu turbato, assunse informa-zioni alla Bastiglia. Il marchese di Launay rispose che laprigioniera stava benone e passeggiava quotidianamentesulle torri.

Ma quel chiasso fatto attorno al suo nome ebbe tutta-via per risultato di affrettare la liberazione della signoraCagliostro, che uscì dalla Bastiglia il 18 marzo e andòsubito a casa sua, in via San Claudio, dove, per più diuna settimana, un registro messo nella portineria, siriempì di firme da mattina a sera.

«Non è raro di vedere alla sera quasi trecento visitesulla lista del suo portiere».

«È atto di suprema distinzione – dicono i novellieri –dare una capatina nel palazzo Cagliostro».

Coloro che avevano l'onore di venir ricevuti dallacontessa, asserivano nell'uscire ch'essa aveva tanto pian-to alla Bastiglia da averne quasi sciupati gli occhi. Perfortuna, ciò che ne rimaneva era ancor più che presenta-bile e i consolatori bussarono numerosi alla sua porta,

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solleciti di farle dimenticare il dolore che doveva recarlela prigionia del marito. I gazzettieri affermavano cheCagliostro era occupato a redigere una supplica, ancorapiù patetica della prima, per scongiurare la Corte di met-tere la sua sposa in una dimora meno esposta al pubbli-co. La giovine donna, dopo pochi giorni, andò al Palais-Royal per vedervi, fra le mostre dei figurini, il proprioritratto attorno a cui la folla s'accalcava. Era orribile edessa ne rise come una matta, il che la fece riconoscere.Con grida festose, quelle signore di bell'aspetto la salu-tarono rispettosamente e i giovinotti che passavano leoffersero i fiori destinati alle loro amiche. Le case più ti-tolate se la contesero a gara. Ma, testolina sventata, par-lava troppo. Diceva, per esempio, a pranzo, davanti anumerosa compagnia, che alla Bastiglia aveva sempregoduto d'una buonissima salute e non aveva avuto che alodarsi dei riguardi del governatore.

La signora de la Tour, sorella del conte de la Motte,era stata rimessa in libertà fin dal 7 febbraio.

Tali vuoti furono colmati in parte, il 12 maggio, dallanascita – dentro le mura della Bastiglia – d'un marmoc-chio piccolo suddito del re, messo al mondo dalla baro-nessina d'Oliva. Battezzato l'indomani nella parrocchiadi San Paolo, gli venne imposto il nome di Gian BattistaToussaint, suo padre, Giambattista Eugenio Toussaint diBeausire non avendo esitato a riconoscerlo.

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solleciti di farle dimenticare il dolore che doveva recarlela prigionia del marito. I gazzettieri affermavano cheCagliostro era occupato a redigere una supplica, ancorapiù patetica della prima, per scongiurare la Corte di met-tere la sua sposa in una dimora meno esposta al pubbli-co. La giovine donna, dopo pochi giorni, andò al Palais-Royal per vedervi, fra le mostre dei figurini, il proprioritratto attorno a cui la folla s'accalcava. Era orribile edessa ne rise come una matta, il che la fece riconoscere.Con grida festose, quelle signore di bell'aspetto la salu-tarono rispettosamente e i giovinotti che passavano leoffersero i fiori destinati alle loro amiche. Le case più ti-tolate se la contesero a gara. Ma, testolina sventata, par-lava troppo. Diceva, per esempio, a pranzo, davanti anumerosa compagnia, che alla Bastiglia aveva sempregoduto d'una buonissima salute e non aveva avuto che alodarsi dei riguardi del governatore.

La signora de la Tour, sorella del conte de la Motte,era stata rimessa in libertà fin dal 7 febbraio.

Tali vuoti furono colmati in parte, il 12 maggio, dallanascita – dentro le mura della Bastiglia – d'un marmoc-chio piccolo suddito del re, messo al mondo dalla baro-nessina d'Oliva. Battezzato l'indomani nella parrocchiadi San Paolo, gli venne imposto il nome di Gian BattistaToussaint, suo padre, Giambattista Eugenio Toussaint diBeausire non avendo esitato a riconoscerlo.

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XXXII.IL GIUDIZIO.

Il 22 maggio, il Parlamento inaugurò le sedute per lalettura degli incarti processuali. La Grand' Chambre e laTournelle riunite annoverarono sessantaquattro giudici, iconsiglieri onorarii e i referendarii che si trovavano indiritto di statuire essendo presenti. Ma i principi del san-gue e i pari s'erano rifiutati di presenziare.

Il Primo Presidente del Parlamento era il marcheseStefano Francesco d'Aligre, che occupava quel posto dal1768.

«Era noto – diceva quella buona lingua dell'abateGeorgel – per l'opulenza, l'avarizia e una abilità partico-lare nel far valere rapidamente il suo denaro al tasso piùvantaggioso».

«Non aveva nessuna delle qualità che costituiscono igrandi magistrati – dice Beugnot – aveva anzi i difettiopposti; ma era singolarmente destro nel maneggiare lasua compagnia e si era fino allora, dimostrato favorevo-le alla Corte; ma da qualche tempo quest'ultima l'aveva

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XXXII.IL GIUDIZIO.

Il 22 maggio, il Parlamento inaugurò le sedute per lalettura degli incarti processuali. La Grand' Chambre e laTournelle riunite annoverarono sessantaquattro giudici, iconsiglieri onorarii e i referendarii che si trovavano indiritto di statuire essendo presenti. Ma i principi del san-gue e i pari s'erano rifiutati di presenziare.

Il Primo Presidente del Parlamento era il marcheseStefano Francesco d'Aligre, che occupava quel posto dal1768.

«Era noto – diceva quella buona lingua dell'abateGeorgel – per l'opulenza, l'avarizia e una abilità partico-lare nel far valere rapidamente il suo denaro al tasso piùvantaggioso».

«Non aveva nessuna delle qualità che costituiscono igrandi magistrati – dice Beugnot – aveva anzi i difettiopposti; ma era singolarmente destro nel maneggiare lasua compagnia e si era fino allora, dimostrato favorevo-le alla Corte; ma da qualche tempo quest'ultima l'aveva

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indispettito, di modo che, pur non mettendosi in lottacontro di lei, egli lasciò che l'opposizione si formasse».

Il marchese d'Aligre era intimissimo con Mercy-Argenteau, e gli fornì, durante il corso dei dibattimenti, ipiù curiosi appunti circa la disposizione degli animi.Ecco qual'era l'opinione generale, la vigilia del giorno incui gli accusati apparvero davanti al Parlamento:

«Durante l'istruttoria e finchè non ci furono, di accu-sati, altri che il cardinale di Rohan e dama La Motte,suo marito in contumacia, damigella Oliva e Cagliostro,si è potuto o dovuto credere che il signor cardinale sa-rebbe stato condannato a una pena dolorosa e infamante.L'autore del falso era dubbio: il concordato con tanto diapprovazioni e di firme false, è scritto di pugno del car-dinale; era stato lui a esibirlo ai gioiellieri, e nella fedeche quelle firme e quelle approvazioni fossero autenti-che, la Collana gli era stata consegnata; insomma il car-dinale era incriminato d'avere fornito il corpo del delit-to. La deposizione di Bassenge stabiliva il fatto d'avereil cardinale sempre parlato e scritto come per diretto in-carico della sovrana. C'era fra le carte del processo unbiglietto dettato dal cardinale da cui risulta che, quandonon potè nascondersi la falsità delle firme e delle dichia-razioni e che i pagamenti non si sarebbero effettuati,aveva concepito il piano di sostituire il signor di Sainte-James ai gioiellieri e deciderlo a incaricarsi del paga-mento della Collana, con la lusinga d'ottenere la prote-zione della regina. Quello scritto e le conseguenze che

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indispettito, di modo che, pur non mettendosi in lottacontro di lei, egli lasciò che l'opposizione si formasse».

Il marchese d'Aligre era intimissimo con Mercy-Argenteau, e gli fornì, durante il corso dei dibattimenti, ipiù curiosi appunti circa la disposizione degli animi.Ecco qual'era l'opinione generale, la vigilia del giorno incui gli accusati apparvero davanti al Parlamento:

«Durante l'istruttoria e finchè non ci furono, di accu-sati, altri che il cardinale di Rohan e dama La Motte,suo marito in contumacia, damigella Oliva e Cagliostro,si è potuto o dovuto credere che il signor cardinale sa-rebbe stato condannato a una pena dolorosa e infamante.L'autore del falso era dubbio: il concordato con tanto diapprovazioni e di firme false, è scritto di pugno del car-dinale; era stato lui a esibirlo ai gioiellieri, e nella fedeche quelle firme e quelle approvazioni fossero autenti-che, la Collana gli era stata consegnata; insomma il car-dinale era incriminato d'avere fornito il corpo del delit-to. La deposizione di Bassenge stabiliva il fatto d'avereil cardinale sempre parlato e scritto come per diretto in-carico della sovrana. C'era fra le carte del processo unbiglietto dettato dal cardinale da cui risulta che, quandonon potè nascondersi la falsità delle firme e delle dichia-razioni e che i pagamenti non si sarebbero effettuati,aveva concepito il piano di sostituire il signor di Sainte-James ai gioiellieri e deciderlo a incaricarsi del paga-mento della Collana, con la lusinga d'ottenere la prote-zione della regina. Quello scritto e le conseguenze che

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ne scaturiscono concordano perfettamente con la depo-sizione del signor Sainte-James.

«Finchè. il processo rimase così stazionario, la difesadel cardinale non era valevole. Invano egli allegaval'errore e la seduzione. Gli rispondevano: – l'errore è in-verosimile, e poi non è provato; la de La Motte vi smen-tisce; la scena della terrazza (leggere: del Boschetto) èfantastica; è attestata dalla Oliva ma la sua testimonian-za è sospetta non meno della vostra. – Ma, da quando fuarrestato il signor Villette, risulta evidente: 1° che costuiè l'autore del falso; – 2° che la scena di damigella Olivaè vera; – 3° che, per sedurre il cardinale, Villette hascritto, sotto dettatura di dama La Motte, varie lettere dalei inviate al cardinale come sedicenti missive della re-gina».

«Da quel momento, la seduzione allegata dal cardina-le può essere ritenuta vera. Se è stato sedotto, il suo cri-mine non è più un falso, è un'offesa, una mancanza di ri-spetto alle sacre persone del re e della regina, un abusomostruoso del nome della sovrana e d'una firma falsa dalui attestata vera.

«Tutte queste considerazioni fanno riflettere ch'è im-possibile giungere sino al biasimo, e ancor meno all'esi-lio perpetuo, che comporta la morte civile e includereb-be la disponibilità dei benefizi concistoriali di cui è mu-nito il cardinale»

Per ben capire il giudizio che sta per essere reso, bi-sogna ricordarsi che a quell'epoca esisteva una gradazio-ne assolutoria. Lo «scagionamento di accusa» proclama-

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ne scaturiscono concordano perfettamente con la depo-sizione del signor Sainte-James.

«Finchè. il processo rimase così stazionario, la difesadel cardinale non era valevole. Invano egli allegaval'errore e la seduzione. Gli rispondevano: – l'errore è in-verosimile, e poi non è provato; la de La Motte vi smen-tisce; la scena della terrazza (leggere: del Boschetto) èfantastica; è attestata dalla Oliva ma la sua testimonian-za è sospetta non meno della vostra. – Ma, da quando fuarrestato il signor Villette, risulta evidente: 1° che costuiè l'autore del falso; – 2° che la scena di damigella Olivaè vera; – 3° che, per sedurre il cardinale, Villette hascritto, sotto dettatura di dama La Motte, varie lettere dalei inviate al cardinale come sedicenti missive della re-gina».

«Da quel momento, la seduzione allegata dal cardina-le può essere ritenuta vera. Se è stato sedotto, il suo cri-mine non è più un falso, è un'offesa, una mancanza di ri-spetto alle sacre persone del re e della regina, un abusomostruoso del nome della sovrana e d'una firma falsa dalui attestata vera.

«Tutte queste considerazioni fanno riflettere ch'è im-possibile giungere sino al biasimo, e ancor meno all'esi-lio perpetuo, che comporta la morte civile e includereb-be la disponibilità dei benefizi concistoriali di cui è mu-nito il cardinale»

Per ben capire il giudizio che sta per essere reso, bi-sogna ricordarsi che a quell'epoca esisteva una gradazio-ne assolutoria. Lo «scagionamento di accusa» proclama-

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va la completa innocenza dell'imputato, era la piena ria-bilitazione per inesistenza di reato. Il «fuori Corte» in-vece, significava che non c'erano state prove sufficientisu cui basare una condanna. Quest'ultima assoluzioneserbava qualche cosa di spiacevole per chi aveva subitoil processo, facendo constatare che la sua onorabilitànon era più intatta.

* * *

La lettura degli incartamenti essendo finita il 29 mag-gio, il Parlamento si radunò il 30 per l'udizione degliimputati. Nella notte dal 29 al 30, costoro erano stati tra-sferiti dalla Bastiglia alla Conciergerie. Le funzioni diprocuratore generale erano compiute da Joly de Fleury.Egli diè lettura delle sue conclusioni.

Joly de Fleury chiese che la carta firmata «Maria An-tonietta di Francia» venisse dichiarata falsificata inmodo fraudolento; reclamò contro il conte de la Motte,in contumacia, e contro Villette le pena della galera inperpetuo; contro la contessa de la Motte la pena dellafustigazione; il marchio del ferro rovente sulle spalle ela detenzione perpetua alla Salpêtrière; quanto al cardi-nale, l'organo del ministro pubblico concluse che, nellospazio di otto giorni, dovesse recarsi alla Grand' Cham-bre e dichiararvi ad alta voce d'aver temerariamente pre-stato fede all'appuntamento del Boschetto, d'avere con-tribuito a indurre in errore i negozianti facendo loro cre-dere che la regina fosse al corrente del traffico, di pen-

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va la completa innocenza dell'imputato, era la piena ria-bilitazione per inesistenza di reato. Il «fuori Corte» in-vece, significava che non c'erano state prove sufficientisu cui basare una condanna. Quest'ultima assoluzioneserbava qualche cosa di spiacevole per chi aveva subitoil processo, facendo constatare che la sua onorabilitànon era più intatta.

* * *

La lettura degli incartamenti essendo finita il 29 mag-gio, il Parlamento si radunò il 30 per l'udizione degliimputati. Nella notte dal 29 al 30, costoro erano stati tra-sferiti dalla Bastiglia alla Conciergerie. Le funzioni diprocuratore generale erano compiute da Joly de Fleury.Egli diè lettura delle sue conclusioni.

Joly de Fleury chiese che la carta firmata «Maria An-tonietta di Francia» venisse dichiarata falsificata inmodo fraudolento; reclamò contro il conte de la Motte,in contumacia, e contro Villette le pena della galera inperpetuo; contro la contessa de la Motte la pena dellafustigazione; il marchio del ferro rovente sulle spalle ela detenzione perpetua alla Salpêtrière; quanto al cardi-nale, l'organo del ministro pubblico concluse che, nellospazio di otto giorni, dovesse recarsi alla Grand' Cham-bre e dichiararvi ad alta voce d'aver temerariamente pre-stato fede all'appuntamento del Boschetto, d'avere con-tribuito a indurre in errore i negozianti facendo loro cre-dere che la regina fosse al corrente del traffico, di pen-

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tirsene, chiedendone perdono al re e alla regina; ch'eglifosse inoltre condannato a dimettersi dalle sue cariche, afar elemosina ai poveri e tenersi vita natural durantelontano dalle residenze reali.

Joly de Fleury aveva redatte le sue conclusioni con-trariamente al parere dell'avvocato generale Séguier acui, secondo l'uso, aveva dovuto assoggettarle. Non ap-pena egli ebbe finito, s'alzò Séguier. Fu una scena vio-lenta che dimostrò subito a qual punto gli animi fosserosovraeccitati. Séguier emise l'opinione d'assolvere pura-mente e semplicemente il cardinale. E, rivolgendosi aJoly de Fleury:

«Sull'orlo della tomba, voi volete che le vostre cenerisi ricoprano d'infamia e tale infamia si riversi sui magi-strati!

«— La vostra collera, signore, non mi stupisce – ri-sponde il procuratore generale. – Un uomo datosi al li-bertinaggio come vi siete dato voi, doveva necessaria-mente difendere la causa del cardinale.

«— Vedo qualche volta delle femmine – ribattè Sé-guier. – Lascio anzi la mia carrozza alla loro porta. È af-fare privato. Ma non mi hanno mai visto vendere bassa-mente la mia opinione per denaro».

Il procuratore generale, interdetto, rimase a boccaaperta.

Rétaux de Villette aprì la serie degli interrogatorii.Apparve vestito con un abito di seta nera. Con moltafranchezza, confessò la parte avuta negli intrighi dellasignora de la Motte. Era stato lui a tracciare le parole

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tirsene, chiedendone perdono al re e alla regina; ch'eglifosse inoltre condannato a dimettersi dalle sue cariche, afar elemosina ai poveri e tenersi vita natural durantelontano dalle residenze reali.

Joly de Fleury aveva redatte le sue conclusioni con-trariamente al parere dell'avvocato generale Séguier acui, secondo l'uso, aveva dovuto assoggettarle. Non ap-pena egli ebbe finito, s'alzò Séguier. Fu una scena vio-lenta che dimostrò subito a qual punto gli animi fosserosovraeccitati. Séguier emise l'opinione d'assolvere pura-mente e semplicemente il cardinale. E, rivolgendosi aJoly de Fleury:

«Sull'orlo della tomba, voi volete che le vostre cenerisi ricoprano d'infamia e tale infamia si riversi sui magi-strati!

«— La vostra collera, signore, non mi stupisce – ri-sponde il procuratore generale. – Un uomo datosi al li-bertinaggio come vi siete dato voi, doveva necessaria-mente difendere la causa del cardinale.

«— Vedo qualche volta delle femmine – ribattè Sé-guier. – Lascio anzi la mia carrozza alla loro porta. È af-fare privato. Ma non mi hanno mai visto vendere bassa-mente la mia opinione per denaro».

Il procuratore generale, interdetto, rimase a boccaaperta.

Rétaux de Villette aprì la serie degli interrogatorii.Apparve vestito con un abito di seta nera. Con moltafranchezza, confessò la parte avuta negli intrighi dellasignora de la Motte. Era stato lui a tracciare le parole

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«Maria Antonietta di Francia» in calce al famoso con-tratto. Ma mise in campo la propria buona fede. Scri-vendo quelle parole, disse, non credeva di falsificare lafirma della regina la quale, infatti, non usava sottoscri-versi così.

«Quell'uomo, che è vivacissimo, preveniva anzi ledomande prima che fossero finite, con l'aria e il tonodella massima esattezza».

A Rétaux de Villette tenne dietro la contessa de laMotte. Portava un cappello nero, guarnito di «blonde»nera e di nastri annodati; una veste e una sottagonna diraso grigio-turchino, orlate di velluto nero; una cinturadi velluto nero adorna di perle d'acciaio: e, sulla spalle,una mantellina di mussola ricamata, con incrostazioni dipizzi di Malines. Guardò l'assemblea con occhio altero.Le sue labbra avevano un sorriso duro. Quando scorselo sgabello d'infamia sui cui le dissero di sedere, ebbeun moto di ripulsione e il rossore le salì alla fronte; mapoi vi si accomodò con tanta grazia, aggiustandosi lepieghe della gonna, che pareva si trovasse in un salottopiacevolmente seduta in poltrona. Parlò con voce secca,chiara, precisa; le frasi sembravano spezzate col coltel-lo. Cominciò col dichiarare che stava per confondere ungran briccone. Si trattava del cardinale. La sua presenzadi spirito stupì gli uditori. Interrogata da un consigliereecclesiastico che aveva saputo non esserle favorevole,dichiarò:

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«Maria Antonietta di Francia» in calce al famoso con-tratto. Ma mise in campo la propria buona fede. Scri-vendo quelle parole, disse, non credeva di falsificare lafirma della regina la quale, infatti, non usava sottoscri-versi così.

«Quell'uomo, che è vivacissimo, preveniva anzi ledomande prima che fossero finite, con l'aria e il tonodella massima esattezza».

A Rétaux de Villette tenne dietro la contessa de laMotte. Portava un cappello nero, guarnito di «blonde»nera e di nastri annodati; una veste e una sottagonna diraso grigio-turchino, orlate di velluto nero; una cinturadi velluto nero adorna di perle d'acciaio: e, sulla spalle,una mantellina di mussola ricamata, con incrostazioni dipizzi di Malines. Guardò l'assemblea con occhio altero.Le sue labbra avevano un sorriso duro. Quando scorselo sgabello d'infamia sui cui le dissero di sedere, ebbeun moto di ripulsione e il rossore le salì alla fronte; mapoi vi si accomodò con tanta grazia, aggiustandosi lepieghe della gonna, che pareva si trovasse in un salottopiacevolmente seduta in poltrona. Parlò con voce secca,chiara, precisa; le frasi sembravano spezzate col coltel-lo. Cominciò col dichiarare che stava per confondere ungran briccone. Si trattava del cardinale. La sua presenzadi spirito stupì gli uditori. Interrogata da un consigliereecclesiastico che aveva saputo non esserle favorevole,dichiarò:

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«Ecco una domanda molto insidiosa. Vi conosco, si-gnor abate. Mi aspettavo che me la faceste. Vi rispondosubito».

«La signora La Motte, – osserva uno dei presenti – ècomparsa con un tono d'arroganza e di spavalderia, conlo sguardo e il contegno d'una sfacciata che di nulla simeraviglia; ma s'è fatta ascoltare perchè discorresenz'ombra d'imbarazzo. Insisteva più sulle probabilitàche sui fatti e sopratutto sull'impossibilità di produrrecerte lettere, certi scritti e tutte le prove materiali che sisarebbero desiderate. Non credo che questa donna, cheha un aspetto distinto, belle maniere e della nobiltà, ab-bia potuto interessare nessuno, perchè il suo processo èchiarissimo».

Improvvisamente, Giovanna cambiò i suoi modi: auna domanda relativa a una sedicente lettera della reginaal cardinale, rispose che avrebbe mantenuto il silenzioper non offendere la regina.

«Non si possono offendere le Loro Maestà – obbiettòil presidente – e voi dovete dire alla giustizia tutta la ve-rità».

Allora essa disse che la lettera in questione comincia-va con queste parole: «Io ti mando», aggiungendo che ilcardinale gliene aveva fatte vedere più di duecento indi-rizzate a lui dalla regina, in cui gli dava del tu, e, moltevolte degli appuntamenti che erano quasi sempre effetti-vamente avvenuti.

A tali parole scoppiò un clamore nell'assemblea deimagistrati. Benchè, in maggioranza, i giudici apparte-

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«Ecco una domanda molto insidiosa. Vi conosco, si-gnor abate. Mi aspettavo che me la faceste. Vi rispondosubito».

«La signora La Motte, – osserva uno dei presenti – ècomparsa con un tono d'arroganza e di spavalderia, conlo sguardo e il contegno d'una sfacciata che di nulla simeraviglia; ma s'è fatta ascoltare perchè discorresenz'ombra d'imbarazzo. Insisteva più sulle probabilitàche sui fatti e sopratutto sull'impossibilità di produrrecerte lettere, certi scritti e tutte le prove materiali che sisarebbero desiderate. Non credo che questa donna, cheha un aspetto distinto, belle maniere e della nobiltà, ab-bia potuto interessare nessuno, perchè il suo processo èchiarissimo».

Improvvisamente, Giovanna cambiò i suoi modi: auna domanda relativa a una sedicente lettera della reginaal cardinale, rispose che avrebbe mantenuto il silenzioper non offendere la regina.

«Non si possono offendere le Loro Maestà – obbiettòil presidente – e voi dovete dire alla giustizia tutta la ve-rità».

Allora essa disse che la lettera in questione comincia-va con queste parole: «Io ti mando», aggiungendo che ilcardinale gliene aveva fatte vedere più di duecento indi-rizzate a lui dalla regina, in cui gli dava del tu, e, moltevolte degli appuntamenti che erano quasi sempre effetti-vamente avvenuti.

A tali parole scoppiò un clamore nell'assemblea deimagistrati. Benchè, in maggioranza, i giudici apparte-

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nessero «all'opposizione» simili discorsi rivoltavano laloro coscienza di uomini e di cittadini. E a malapena po-terono contenere la loro indignazione quando la contes-sa, nel ritirarsi, fece loro una sequela di riverenze, ac-compagnate da sorrisetti ironici e provocanti.

Non appena Giovanna fu uscita, venne tolto lo sga-bello e introdotto il cardinale. Indossava una lunga vesteviolacea, il lutto dei cardinali. Aveva la calottina rossasui capelli grigi, calze e scarpette rosse e una mantellinadi panno viola foderata di raso rosso; la seta turchina delcordone dello Spirito Santo e la croce episcopale appesaa una catena d'oro. Era pallidissimo, stanchissimo, tur-batissimo; le sue palpebre s'appesantivano sugli occhid'un celeste sbiadito. Le gambe gli si piegavano sotto ele guance gli si rigavano di lagrime. Parecchi consilieri«vedendo il suo fisico sofferente e alterato» proposero:«Il signor cardinale ha l'aria di sentirsi male, bisognafarlo sedere». E il Primo Presidente lo fece sedere aduna delle estremità del banco su cui si mettevano i si-gnori inquirenti quanto venivano a tener seduta. Il suointerrogatorio durò più di due ore.

«Parlò – dice Mercier di Saint-Léger – con molta gra-zia e molta forza».

Imponeva per la fisionomia e il tono di nobiltà; inte-ressava «per l'aria di candore» e il «coraggio modesto».Prima di ritirarsi, salutò la Corte. Aveva un'indefinibileespressione di stanchezza e di tristezza. Tutti i magistra-ti gli resero il saluto.

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nessero «all'opposizione» simili discorsi rivoltavano laloro coscienza di uomini e di cittadini. E a malapena po-terono contenere la loro indignazione quando la contes-sa, nel ritirarsi, fece loro una sequela di riverenze, ac-compagnate da sorrisetti ironici e provocanti.

Non appena Giovanna fu uscita, venne tolto lo sga-bello e introdotto il cardinale. Indossava una lunga vesteviolacea, il lutto dei cardinali. Aveva la calottina rossasui capelli grigi, calze e scarpette rosse e una mantellinadi panno viola foderata di raso rosso; la seta turchina delcordone dello Spirito Santo e la croce episcopale appesaa una catena d'oro. Era pallidissimo, stanchissimo, tur-batissimo; le sue palpebre s'appesantivano sugli occhid'un celeste sbiadito. Le gambe gli si piegavano sotto ele guance gli si rigavano di lagrime. Parecchi consilieri«vedendo il suo fisico sofferente e alterato» proposero:«Il signor cardinale ha l'aria di sentirsi male, bisognafarlo sedere». E il Primo Presidente lo fece sedere aduna delle estremità del banco su cui si mettevano i si-gnori inquirenti quanto venivano a tener seduta. Il suointerrogatorio durò più di due ore.

«Parlò – dice Mercier di Saint-Léger – con molta gra-zia e molta forza».

Imponeva per la fisionomia e il tono di nobiltà; inte-ressava «per l'aria di candore» e il «coraggio modesto».Prima di ritirarsi, salutò la Corte. Aveva un'indefinibileespressione di stanchezza e di tristezza. Tutti i magistra-ti gli resero il saluto.

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«Lo stesso banco grande si alzò, il che è segno d'unriguardo speciale».

I giudici erano ancora sotto l'impressione di quellacomparsa emozionante quando venne chiamata Nicolet-ta d'Oliva. Ma l'usciere tornò solo: l'accusata stava allat-tando il suo neonato. Essa pregava umilmente i NostriSignori del Parlamento di voler pazientare alcuni minu-ti, finchè suo figlio avesse finito il suo pasto. «La leggetacque davanti alla natura» dicono i processi verbali. LaGrand' Chambre e Tournelle s'affrettarono a rispondereche accordavano alla giovane tutto il tempo che avessecreduto necessario. Finalmente essa entrò. Il disordinedella sua semplicissima acconciatura, i lunghi capellicastani sfuggenti da una cuffietta rotonda, e le lagrime,il turbamento, l'aria d'abbandono che aveva, davano ri-salto alla sua grazia e alla sua bellezza. Il signor di Ber-tignières, che possedeva una galleria di quadri, pensòalla Brocca infranta di Greuze, esposta in uno dei piùrecenti «Salons»; e l'abate Sabatier, suo vicino, a cui co-municò la propria osservazione, fu subito dello stessoparere. Così, non appena la bella fanciulla pareva stesseper sentirsi male, la maggior parte dei membridell'austero tribunale si alzava in piedi per sorreggerla.Le fu d'altronde impossibile pronunziare una sola parolain risposta alle domande che le vennero rivolte; i sin-ghiozzi la soffocavano. Ce n'era più che non fosse oc-corso per convincere ampiamente i magistrati della dilei innocenza. Quando si alzò per ritirarsi, dice Mercier

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«Lo stesso banco grande si alzò, il che è segno d'unriguardo speciale».

I giudici erano ancora sotto l'impressione di quellacomparsa emozionante quando venne chiamata Nicolet-ta d'Oliva. Ma l'usciere tornò solo: l'accusata stava allat-tando il suo neonato. Essa pregava umilmente i NostriSignori del Parlamento di voler pazientare alcuni minu-ti, finchè suo figlio avesse finito il suo pasto. «La leggetacque davanti alla natura» dicono i processi verbali. LaGrand' Chambre e Tournelle s'affrettarono a rispondereche accordavano alla giovane tutto il tempo che avessecreduto necessario. Finalmente essa entrò. Il disordinedella sua semplicissima acconciatura, i lunghi capellicastani sfuggenti da una cuffietta rotonda, e le lagrime,il turbamento, l'aria d'abbandono che aveva, davano ri-salto alla sua grazia e alla sua bellezza. Il signor di Ber-tignières, che possedeva una galleria di quadri, pensòalla Brocca infranta di Greuze, esposta in uno dei piùrecenti «Salons»; e l'abate Sabatier, suo vicino, a cui co-municò la propria osservazione, fu subito dello stessoparere. Così, non appena la bella fanciulla pareva stesseper sentirsi male, la maggior parte dei membridell'austero tribunale si alzava in piedi per sorreggerla.Le fu d'altronde impossibile pronunziare una sola parolain risposta alle domande che le vennero rivolte; i sin-ghiozzi la soffocavano. Ce n'era più che non fosse oc-corso per convincere ampiamente i magistrati della dilei innocenza. Quando si alzò per ritirarsi, dice Mercier

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di Saint-Léger «fu seguita dai segni del più vivo interes-samento».

Ecco finalmente Cagliostro. Con lui, la scena cambia.È baldo e trionfante nel suo abito di taffettà verde rica-mato d'oro. Egli scuote gaiamente le treccie dei capelliche gli ricadono in due codini sulle spalle. Alla primadomanda:

«— Chi siete, donde venite?«— Un nobile viaggiatore – egli risponde con voce

sonora».E, fra gli scoppi delle risate, le fronti si rasserenano.Senz'aspettare una nuova domanda, s'avventa in una

focosa improvvisazione magniloquente, raccontando lastoria della propria vita con particolari sbalorditivi, inun gergo in cui tutte le lingue s'incrociano, latino, italia-no, greco, arabo e altre ancora non mai esistite. La suaaria, i suoi gesti, la sua vivacità – vero ciarlatano da fie-ra snocciolante il suo sproloquio ai fannulloni che fannocircolo ascoltandolo incantati – divertono il Parlamentonon meno delle sue trovate. Quando il presidente togliela seduta, è quasi sul punto di rivolgergli delle congratu-lazioni per il suo spirito e il suo buonumore.

Verso le sei, gli imputati escono dalla cancelleria pertornarsene alla Bastiglia. Si è costretti di far passare dalcortile di Lamoignon le vetture che li riconducono. Inomi del cardinale e di Cagliostro sono su tutte le boc-che con acclamazioni entusiastiche e voti per la loro li-bertà. Il cardinale quasi n'è spaventato e saluta con ariaimbarazzata. Cagliostro, invece, naviga nelle sue acque.

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di Saint-Léger «fu seguita dai segni del più vivo interes-samento».

Ecco finalmente Cagliostro. Con lui, la scena cambia.È baldo e trionfante nel suo abito di taffettà verde rica-mato d'oro. Egli scuote gaiamente le treccie dei capelliche gli ricadono in due codini sulle spalle. Alla primadomanda:

«— Chi siete, donde venite?«— Un nobile viaggiatore – egli risponde con voce

sonora».E, fra gli scoppi delle risate, le fronti si rasserenano.Senz'aspettare una nuova domanda, s'avventa in una

focosa improvvisazione magniloquente, raccontando lastoria della propria vita con particolari sbalorditivi, inun gergo in cui tutte le lingue s'incrociano, latino, italia-no, greco, arabo e altre ancora non mai esistite. La suaaria, i suoi gesti, la sua vivacità – vero ciarlatano da fie-ra snocciolante il suo sproloquio ai fannulloni che fannocircolo ascoltandolo incantati – divertono il Parlamentonon meno delle sue trovate. Quando il presidente togliela seduta, è quasi sul punto di rivolgergli delle congratu-lazioni per il suo spirito e il suo buonumore.

Verso le sei, gli imputati escono dalla cancelleria pertornarsene alla Bastiglia. Si è costretti di far passare dalcortile di Lamoignon le vetture che li riconducono. Inomi del cardinale e di Cagliostro sono su tutte le boc-che con acclamazioni entusiastiche e voti per la loro li-bertà. Il cardinale quasi n'è spaventato e saluta con ariaimbarazzata. Cagliostro, invece, naviga nelle sue acque.

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Si muove, alza le braccia, lancia il cappello che millemani si contendono, diverte immensamente il pubblicocon ogni sorta di contorcimenti.

Il mercoledì, 30 maggio, è il giorno della seduta fina-le; il giorno della sentenza. Deve aprirsi alle sei del mat-tino. Fin dalle cinque, tutte le sale del Tribunale, e lestrade vicine, sono gremite di gente. La folla, compatta,si agita. I clamori giungono come ondate sonore. Leguardie a piedi e a cavallo circolano nei dintorni del Tri-bunale, dal Pont Neuf (Ponte Nuovo) fino alla via dellaBarillerie. Spettacolo a noi già noto. Fin dalle cinque delmattino, i membri della famiglia Rohan Soubise e Lore-na, uomini e donne, in numero di diciannove, la signoradi Marsan, la signora di Brionne, il principe Ferdinandoarcivescovo di Cambrai, il principe di Montbazon, sisono messi davanti alla porta della Grand' Chambre, inabito di lutto. La contessa di Rochefort Bretenil non eravenuta; ma «aveva fatto dire d'aver la colica». La signo-ra di Brionne «aveva assunto le sue grandi arie». Erauscita allora da una visita al Primo Presidente al qualeaveva fatto una scenata tremenda, dicendogli esserenoto com'egli fosse venduto alla Corte. Di lì a pococompaiono i magistrati. I Rohan-Soubise e Lorenas'inchinano man mano se li vedono sfilare davanti.

«Non hanno fatto uso di nessuna sollecitazioneall'infuori d'un cupo silenzio da cui trapelava la loro di-sperazione. Quel modo di supplicare, così nobile e cosìmite insieme, di due case tanto illustri, ha fatto maggior

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Si muove, alza le braccia, lancia il cappello che millemani si contendono, diverte immensamente il pubblicocon ogni sorta di contorcimenti.

Il mercoledì, 30 maggio, è il giorno della seduta fina-le; il giorno della sentenza. Deve aprirsi alle sei del mat-tino. Fin dalle cinque, tutte le sale del Tribunale, e lestrade vicine, sono gremite di gente. La folla, compatta,si agita. I clamori giungono come ondate sonore. Leguardie a piedi e a cavallo circolano nei dintorni del Tri-bunale, dal Pont Neuf (Ponte Nuovo) fino alla via dellaBarillerie. Spettacolo a noi già noto. Fin dalle cinque delmattino, i membri della famiglia Rohan Soubise e Lore-na, uomini e donne, in numero di diciannove, la signoradi Marsan, la signora di Brionne, il principe Ferdinandoarcivescovo di Cambrai, il principe di Montbazon, sisono messi davanti alla porta della Grand' Chambre, inabito di lutto. La contessa di Rochefort Bretenil non eravenuta; ma «aveva fatto dire d'aver la colica». La signo-ra di Brionne «aveva assunto le sue grandi arie». Erauscita allora da una visita al Primo Presidente al qualeaveva fatto una scenata tremenda, dicendogli esserenoto com'egli fosse venduto alla Corte. Di lì a pococompaiono i magistrati. I Rohan-Soubise e Lorenas'inchinano man mano se li vedono sfilare davanti.

«Non hanno fatto uso di nessuna sollecitazioneall'infuori d'un cupo silenzio da cui trapelava la loro di-sperazione. Quel modo di supplicare, così nobile e cosìmite insieme, di due case tanto illustri, ha fatto maggior

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impressione sui giudici di quella che l'eloquenza avreb-be potuto produrre».

Alle sei, la seduta è aperta.Ogni consigliere emise ad alta voce il proprio giudi-

zio, allegandone i motivi.Il Parlamento cominciò col dichiarare che la parola

«approvato» ripetuta sei volte, per ognuna delle clausoledel contratto stipulato coi gioiellieri, e la firma «MariaAntonietta di Francia» erano falsificate e falsamente at-tribuite alla regina. Poi, da quel tribunale che già avevasubito l'influenza delle passioni politiche dividenti iconsiglieri in partiti ostili, la contessa di Valois venne –all'unanimità dei sessantaquattro magistrati presenti –dichiarata colpevole. Quando si trattò di pronunziare lapena, due magistrati – Roberto di Saint-Vincent e Dioni-gi dei Séjour (altri invece dicono Delpech e Amelot) –opinarono per la pena di morte. Era una manovra degliamici del cardinale: perchè la pena era inappellabile; male conclusioni costringevano i consiglieri ecclesiastici aritirarsi, il carattere ecclesiastico, appunto, non permet-tendo loro di statuire in un'affare in cui si proponeva lapena di morte. Ora, fra i tredici consiglieri del clero, sol-tanto gli abati Sabatier e Terray erano favorevoli al car-dinale. Il numero dei preopinanti si trovò così ridotto aquarantanove. I giudici si misero d'accordo sulla con-danna ad omnia mortem, vale a dire sulla massima penaall'infuori della morte. Giovanna di Valois di Saint-Rèmy, contessa de la Motte e de la Pénicière, vennecondannata, all'unanimità dei voti, a essere fustigata

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impressione sui giudici di quella che l'eloquenza avreb-be potuto produrre».

Alle sei, la seduta è aperta.Ogni consigliere emise ad alta voce il proprio giudi-

zio, allegandone i motivi.Il Parlamento cominciò col dichiarare che la parola

«approvato» ripetuta sei volte, per ognuna delle clausoledel contratto stipulato coi gioiellieri, e la firma «MariaAntonietta di Francia» erano falsificate e falsamente at-tribuite alla regina. Poi, da quel tribunale che già avevasubito l'influenza delle passioni politiche dividenti iconsiglieri in partiti ostili, la contessa di Valois venne –all'unanimità dei sessantaquattro magistrati presenti –dichiarata colpevole. Quando si trattò di pronunziare lapena, due magistrati – Roberto di Saint-Vincent e Dioni-gi dei Séjour (altri invece dicono Delpech e Amelot) –opinarono per la pena di morte. Era una manovra degliamici del cardinale: perchè la pena era inappellabile; male conclusioni costringevano i consiglieri ecclesiastici aritirarsi, il carattere ecclesiastico, appunto, non permet-tendo loro di statuire in un'affare in cui si proponeva lapena di morte. Ora, fra i tredici consiglieri del clero, sol-tanto gli abati Sabatier e Terray erano favorevoli al car-dinale. Il numero dei preopinanti si trovò così ridotto aquarantanove. I giudici si misero d'accordo sulla con-danna ad omnia mortem, vale a dire sulla massima penaall'infuori della morte. Giovanna di Valois di Saint-Rèmy, contessa de la Motte e de la Pénicière, vennecondannata, all'unanimità dei voti, a essere fustigata

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nuda dal carnefice, a ricevere sulle spalle il marchio ro-vente della lettera V (voleuse, ladra), a venir rinchiusanella Salpétrière per il resto dei suoi giorni e ad averetutti i beni confiscati. Il conte de la Motte fu condannatoalla galera a vita, Rétaux all'esilio fuor del regno. Nico-letta d'Oliva venne prosciolta «fuori Corte» ossia, perinsufficienza di prove: era, come fu detto, l'assoluzionecon una gradazione di biasimo, «visto – dicono i proces-si verbali – che, benchè in fondo innocente, è stato con-siderato giusto infliggerle quella macchia per il criminepuramente materiale da lei commesso sostituendosi nel-la persona della regina in una scena di scrocconi». Ca-gliostro venne prosciolto da qualsiasi accusa.

La battaglia fra i due partiti si sferrò a proposito delcardinale. I consiglieri riferitori, Titon di Villotran eDon Puis de Macé fecero eco alle conclusioni del procu-ratore del re. Boula di Montgodefroy, consultato per ilprimo nella sua qualità di decano dell'assemblea, si pro-nunziò invece per l'assoluzione pura e semplice e il pro-scioglimento da ogni accusa. Aveva portato il suo parerebell'e redatto. Si diceva che suo nipote, tesoriere dellaGrande Scuderia, fosse stato minacciato di vedersi por-tar via quattro cavalli se suo zio si fosse pronunziato adanno del cardinale. Roberto di Saint-Vincent, nemicoacerrimo della Corte, amico personale di Target – e delresto galantuomo – parlò a sua volta in favore dell'asso-luzione piena ed intera; parlò con forza, con eloquenza«molto a lungo e molto bene»; le sue parole fecero sen-sazione.

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nuda dal carnefice, a ricevere sulle spalle il marchio ro-vente della lettera V (voleuse, ladra), a venir rinchiusanella Salpétrière per il resto dei suoi giorni e ad averetutti i beni confiscati. Il conte de la Motte fu condannatoalla galera a vita, Rétaux all'esilio fuor del regno. Nico-letta d'Oliva venne prosciolta «fuori Corte» ossia, perinsufficienza di prove: era, come fu detto, l'assoluzionecon una gradazione di biasimo, «visto – dicono i proces-si verbali – che, benchè in fondo innocente, è stato con-siderato giusto infliggerle quella macchia per il criminepuramente materiale da lei commesso sostituendosi nel-la persona della regina in una scena di scrocconi». Ca-gliostro venne prosciolto da qualsiasi accusa.

La battaglia fra i due partiti si sferrò a proposito delcardinale. I consiglieri riferitori, Titon di Villotran eDon Puis de Macé fecero eco alle conclusioni del procu-ratore del re. Boula di Montgodefroy, consultato per ilprimo nella sua qualità di decano dell'assemblea, si pro-nunziò invece per l'assoluzione pura e semplice e il pro-scioglimento da ogni accusa. Aveva portato il suo parerebell'e redatto. Si diceva che suo nipote, tesoriere dellaGrande Scuderia, fosse stato minacciato di vedersi por-tar via quattro cavalli se suo zio si fosse pronunziato adanno del cardinale. Roberto di Saint-Vincent, nemicoacerrimo della Corte, amico personale di Target – e delresto galantuomo – parlò a sua volta in favore dell'asso-luzione piena ed intera; parlò con forza, con eloquenza«molto a lungo e molto bene»; le sue parole fecero sen-sazione.

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«Sarebbe stato desiderabile – disse – per tutto il corpodella magistratura, che le conclusioni del signor procu-ratore del re non fossero mai state enunciate. Non mitoccherebbe ora di discutere tutti i difetti che le degrada-no.»

Poi alzando la voce:«Da quando in qua delle conclusioni ministeriali sono

ammesse da magistrati?»E siccome tali parole, per la prima volta risuonanti

nel recinto della giustizia di Francia, destavano un certomormorìo, proseguì:

«Sissignori, dico «ministeriali». Non vennero mai re-datte in un tribunale. Non sono conclusioni fatte da unmagistrato, sono troppo opposte alle leggi, al buon ordi-ne, e mai il Parlamento n'ebbe a udire di così poco con-formi a' suoi principii».

E l'oratore combattè vivacemente l'idea d'infliggere labenchè minima pena infamante al principe di Rohan; eraegli stato gabbato e nel modo più crudele, e la magistra-tura non poteva punire quando la buona fede risultavaassoluta.

«L'opinione di Fréteau è stata bella e nobile, d'un'elo-quenza fredda ma sentimentale; quella di d'Outremont,particolareggiata, ragionata, logica, così viva e commo-vente da cavar le lagrime a coloro stessi che erano di pa-rere contrario al suo». – È l'innocenza ch'io difendo, si-gnori, e come uomo e come giudice; e ne sono tanto pe-netrato che mi farei squartare per sostenerla. – L'eccel-lente riputazione di cui gode d'Oltremont fra i colleghi

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«Sarebbe stato desiderabile – disse – per tutto il corpodella magistratura, che le conclusioni del signor procu-ratore del re non fossero mai state enunciate. Non mitoccherebbe ora di discutere tutti i difetti che le degrada-no.»

Poi alzando la voce:«Da quando in qua delle conclusioni ministeriali sono

ammesse da magistrati?»E siccome tali parole, per la prima volta risuonanti

nel recinto della giustizia di Francia, destavano un certomormorìo, proseguì:

«Sissignori, dico «ministeriali». Non vennero mai re-datte in un tribunale. Non sono conclusioni fatte da unmagistrato, sono troppo opposte alle leggi, al buon ordi-ne, e mai il Parlamento n'ebbe a udire di così poco con-formi a' suoi principii».

E l'oratore combattè vivacemente l'idea d'infliggere labenchè minima pena infamante al principe di Rohan; eraegli stato gabbato e nel modo più crudele, e la magistra-tura non poteva punire quando la buona fede risultavaassoluta.

«L'opinione di Fréteau è stata bella e nobile, d'un'elo-quenza fredda ma sentimentale; quella di d'Outremont,particolareggiata, ragionata, logica, così viva e commo-vente da cavar le lagrime a coloro stessi che erano di pa-rere contrario al suo». – È l'innocenza ch'io difendo, si-gnori, e come uomo e come giudice; e ne sono tanto pe-netrato che mi farei squartare per sostenerla. – L'eccel-lente riputazione di cui gode d'Oltremont fra i colleghi

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ha contribuito a far valere la sua causa. Bentignières haparlato con saggezza, ma infinitamente ordinato».

Il Primo Presidente d'Aligre sottoscrisse senz'altro, alparere del procuratore. Se avesse preso la parola permotivare il suo giudizio, come fece la maggioranza deimembri dell'assemblea, avrebbe verosimilmente indottoparecchi Magistrati a condividere il suo modo di vedere;ma la Corte lo aveva di recente indispettito e non credet-te di adoperare al suo servizio la propria influenza.

Finalmente, dopo diciassette ore di discussioni,l'assemblea si pronunziò verso le dieci di sera. Il cardi-nale principe di Rohan era interamente scagionatod'ogni accusa, dalla maggioranza di ventisei voti controventidue che avevano votato il «fuori Corte». C'eranostati quarantanove votanti; ma due voti erano stati con-fusi per ragioni di parentela.

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ha contribuito a far valere la sua causa. Bentignières haparlato con saggezza, ma infinitamente ordinato».

Il Primo Presidente d'Aligre sottoscrisse senz'altro, alparere del procuratore. Se avesse preso la parola permotivare il suo giudizio, come fece la maggioranza deimembri dell'assemblea, avrebbe verosimilmente indottoparecchi Magistrati a condividere il suo modo di vedere;ma la Corte lo aveva di recente indispettito e non credet-te di adoperare al suo servizio la propria influenza.

Finalmente, dopo diciassette ore di discussioni,l'assemblea si pronunziò verso le dieci di sera. Il cardi-nale principe di Rohan era interamente scagionatod'ogni accusa, dalla maggioranza di ventisei voti controventidue che avevano votato il «fuori Corte». C'eranostati quarantanove votanti; ma due voti erano stati con-fusi per ragioni di parentela.

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XXXIII.TRIONFO POPOLARE.

Per gli assolti, fu una serata trionfale. Una folla im-mensa si pigiava nelle vicinanze del Tribunale. Gridaclamorose di: «Viva il Parlamento! Viva il cardinale in-nocente!» echeggiavano per le vie. Le pescivendole delMercato stavano in gruppo nella corte del Mai, conmazzi di rose e gelsomini. Fermavano, nel passare, imagistrati che venivano additati loro e che dovevano,piacesse o no, lasciarsi stringere dalle loro braccia robu-ste ai loro seni abbondanti.

Il marchese di Launay, governatore della Bastiglia,avendo ricevuto l'ordine di ricondurre Rohan nella pri-gione del re, il cardinale vi fu quasi portato da diecimilapersone, in un baccano che stordiva; e, per più di un'ora,i muri della fortezza echeggiarono delle acclamazionipopolari.

Cagliostro dice:«I giudici si separarono, la sentenza è pronunziata e

vola di bocca in bocca. I membri del Parlamento, cir-

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XXXIII.TRIONFO POPOLARE.

Per gli assolti, fu una serata trionfale. Una folla im-mensa si pigiava nelle vicinanze del Tribunale. Gridaclamorose di: «Viva il Parlamento! Viva il cardinale in-nocente!» echeggiavano per le vie. Le pescivendole delMercato stavano in gruppo nella corte del Mai, conmazzi di rose e gelsomini. Fermavano, nel passare, imagistrati che venivano additati loro e che dovevano,piacesse o no, lasciarsi stringere dalle loro braccia robu-ste ai loro seni abbondanti.

Il marchese di Launay, governatore della Bastiglia,avendo ricevuto l'ordine di ricondurre Rohan nella pri-gione del re, il cardinale vi fu quasi portato da diecimilapersone, in un baccano che stordiva; e, per più di un'ora,i muri della fortezza echeggiarono delle acclamazionipopolari.

Cagliostro dice:«I giudici si separarono, la sentenza è pronunziata e

vola di bocca in bocca. I membri del Parlamento, cir-

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condati, stretti, applauditi, vengono coronati di fiori.Un'acclamazione universale saluta il cardinale che, rive-stito della porpora romana, è ricondotto in trionfo finoalle porte della Bastiglia, che si aprono per riceverlo, mache, di lì a poco, si apriranno per restituirlo ai voti d'unpubblico sensibile che condivide la sua gloria, dopoaver condiviso le sue disgrazie».

Si voleva fare un'illuminazione ma la polizia la inter-disse.

«Non so dove il Parlamento sarebbe andato a mettersiin salvo, se avesse giudicato male – dice Mirabeau checondivideva allora le passioni popolari. E aggiunge,pensando alla Corte di Versailles: – La prova è dura madecisiva» e conclude con questi timori profetici: «Possa-no altre passioni non abusarne!»

L'indomani, il cardinale e Cagliostro uscirono dallaBastiglia. La penna di Cagliostro ha lasciato una rela-zione, a proposito della propria liberazione di cui non èpermesso affievolire il sapore:

«Lasciai la Bastiglia verso le undici e mezza di sera.La notte era oscura, il quartiere che abito poco frequen-tato. Quale non fu la mia sorpresa nell'udirmi salutare daotto o diecimila persone! Avevano forzato la mia porta.La corte, le scale, gli appartamenti, tutto era pieno. Ven-go portato fin tra le braccia di mia moglie. Il mio cuorenon può bastare a tutti i sentimenti che se ne contendonoil dominio. Sento piegarmisi i ginocchi. Cado sul pavi-mento privo di sensi. Mia moglie lancia un grido acutis-simo e cade svenuta. I nostri amici tremanti ci si fanno

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condati, stretti, applauditi, vengono coronati di fiori.Un'acclamazione universale saluta il cardinale che, rive-stito della porpora romana, è ricondotto in trionfo finoalle porte della Bastiglia, che si aprono per riceverlo, mache, di lì a poco, si apriranno per restituirlo ai voti d'unpubblico sensibile che condivide la sua gloria, dopoaver condiviso le sue disgrazie».

Si voleva fare un'illuminazione ma la polizia la inter-disse.

«Non so dove il Parlamento sarebbe andato a mettersiin salvo, se avesse giudicato male – dice Mirabeau checondivideva allora le passioni popolari. E aggiunge,pensando alla Corte di Versailles: – La prova è dura madecisiva» e conclude con questi timori profetici: «Possa-no altre passioni non abusarne!»

L'indomani, il cardinale e Cagliostro uscirono dallaBastiglia. La penna di Cagliostro ha lasciato una rela-zione, a proposito della propria liberazione di cui non èpermesso affievolire il sapore:

«Lasciai la Bastiglia verso le undici e mezza di sera.La notte era oscura, il quartiere che abito poco frequen-tato. Quale non fu la mia sorpresa nell'udirmi salutare daotto o diecimila persone! Avevano forzato la mia porta.La corte, le scale, gli appartamenti, tutto era pieno. Ven-go portato fin tra le braccia di mia moglie. Il mio cuorenon può bastare a tutti i sentimenti che se ne contendonoil dominio. Sento piegarmisi i ginocchi. Cado sul pavi-mento privo di sensi. Mia moglie lancia un grido acutis-simo e cade svenuta. I nostri amici tremanti ci si fanno

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attorno, dubbiosi se il più bel giorno della nostra vitanon ne è per caso l'ultimo. L'inquietudine si comunicadall'uno all'altro, il rumore dei tamburi non si fa più udi-re. Un cupo silenzio tien dietro alla gioia rumorosa. Iotorno a rinascere. Un torrente di lagrime mi sfugge dagliocchi e posso infine, senza morire, stringere al seno...Mi fermo. O voi! esseri privilegiati, a cui il cielo fece ildono raro e funesto d'un'anima ardente e d'un cuore sen-sibile, voi che conoscete le delizie d'un primo amore,voi soli potete udirmi; voi soli potete apprezzare checosa sia dopo dieci mesi di supplizio il primo istante difelicità!».

Il 2 giugno, di buon mattino, attorno ai palazzi Rohane Soubise, e in via San Claudio, la folla si pigiava, com-patta. Cagliostro dovette farsi vedere sulla terrazza delcorso; e il cardinale, benché in berretto da notte e vestebianca, dovette apparire alle finestre del palazzo di Stra-sburgo, al disopra dei giardini:

«Viva il Parlamento! Viva il Cardinale!»

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attorno, dubbiosi se il più bel giorno della nostra vitanon ne è per caso l'ultimo. L'inquietudine si comunicadall'uno all'altro, il rumore dei tamburi non si fa più udi-re. Un cupo silenzio tien dietro alla gioia rumorosa. Iotorno a rinascere. Un torrente di lagrime mi sfugge dagliocchi e posso infine, senza morire, stringere al seno...Mi fermo. O voi! esseri privilegiati, a cui il cielo fece ildono raro e funesto d'un'anima ardente e d'un cuore sen-sibile, voi che conoscete le delizie d'un primo amore,voi soli potete udirmi; voi soli potete apprezzare checosa sia dopo dieci mesi di supplizio il primo istante difelicità!».

Il 2 giugno, di buon mattino, attorno ai palazzi Rohane Soubise, e in via San Claudio, la folla si pigiava, com-patta. Cagliostro dovette farsi vedere sulla terrazza delcorso; e il cardinale, benché in berretto da notte e vestebianca, dovette apparire alle finestre del palazzo di Stra-sburgo, al disopra dei giardini:

«Viva il Parlamento! Viva il Cardinale!»

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XXXIV.IL DOLORE DELLA REGINA.

Mentre attorno a Cagliostro ed a Rohan tutta Parigifaceva echeggiare grida d'allegrezza, quella gioia rumo-rosa aveva un doloroso contraccolpo a Versailles. La po-vera regina si rendeva vagamente conto che non era tan-to la vittoria di Rohan quanto la disfatta e l'umiliazionedi lei che il popolo celebrava. Com'era discesa dal livel-lo di quell'affezione che esso le aveva dimostrato il gior-no in cui, delfina, faceva, al braccio del marito, la primavisita ai suoi cari Parigini, le cui testimonianze d'entu-siasmo e di tenerezza le strappavano la lettera così com-movente che abbiamo già avuto l'occasione di citare!

«Non c'è dunque nessuno – esclama l'avvocato Labori– per gridare alla folla implacabile che ci sono dei delittiimpossibili e che la regina di Francia non si vende perun gioiello?».

La signora Campan scrive:«Il re entrò e mi disse: – Troverete la regina molto af-

flitta. Ha serie ragioni per esserlo; ma come! non hanno

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XXXIV.IL DOLORE DELLA REGINA.

Mentre attorno a Cagliostro ed a Rohan tutta Parigifaceva echeggiare grida d'allegrezza, quella gioia rumo-rosa aveva un doloroso contraccolpo a Versailles. La po-vera regina si rendeva vagamente conto che non era tan-to la vittoria di Rohan quanto la disfatta e l'umiliazionedi lei che il popolo celebrava. Com'era discesa dal livel-lo di quell'affezione che esso le aveva dimostrato il gior-no in cui, delfina, faceva, al braccio del marito, la primavisita ai suoi cari Parigini, le cui testimonianze d'entu-siasmo e di tenerezza le strappavano la lettera così com-movente che abbiamo già avuto l'occasione di citare!

«Non c'è dunque nessuno – esclama l'avvocato Labori– per gridare alla folla implacabile che ci sono dei delittiimpossibili e che la regina di Francia non si vende perun gioiello?».

La signora Campan scrive:«Il re entrò e mi disse: – Troverete la regina molto af-

flitta. Ha serie ragioni per esserlo; ma come! non hanno

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voluto scorgere in quest'affare che il principe dellaChiesa e il principe di Rohan, mentre non è che un biso-gnoso di denaro (mi servo della sua stessa espressione)e tutto questo non era se non una risorsa per convertirel'orpello in oro, in cui il cardinale a sua volta è statogabbato. Nulla è più facile da giudicare e non occorreessere Alessandro per tagliare questo nodo gordiano –.

«Il dolore della regina fu straordinario. Stava nel suogabinetto e piangeva: – Venite, mi disse, venite a com-piangere la vostra regina oltraggiata e vittima delle ca-bale e dell'ingiustizia. Ma, a mia volta, vi compiangeròcome Francese. Se non ho trovato dei giudici equi in unaffare che attentava al mio carattere, che potete sperarese avete un processo che vi tocchi nel denaro e nell'ono-re?».

Ed alla sua amica, la duchessa di Polignac, Maria An-tonietta scriveva:

«Venite a piangere con me, venite a consolare la miaanima, mia cara Polignac. Il giudizio pronunziato testè èun orribile insulto. Sono immersa tra le lagrime, il dolo-re e la disperazione. Non si può contare su di nulla,quando la perversità sembra volersi incaricare con ognimezzo di offendere l'anima mia. Che ingratitudine! Matrionferò dei cattivi triplicando il bene che ho semprecercato di fare. È più facile a loro d'affliggermi che a medi vendicarmene. Venite, cuor mio».

La regina, e il re sotto l'influenza della regina, nonavevano potuto credere nè ancora credevano che il car-dinale fosse innocente di quella truffa.

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voluto scorgere in quest'affare che il principe dellaChiesa e il principe di Rohan, mentre non è che un biso-gnoso di denaro (mi servo della sua stessa espressione)e tutto questo non era se non una risorsa per convertirel'orpello in oro, in cui il cardinale a sua volta è statogabbato. Nulla è più facile da giudicare e non occorreessere Alessandro per tagliare questo nodo gordiano –.

«Il dolore della regina fu straordinario. Stava nel suogabinetto e piangeva: – Venite, mi disse, venite a com-piangere la vostra regina oltraggiata e vittima delle ca-bale e dell'ingiustizia. Ma, a mia volta, vi compiangeròcome Francese. Se non ho trovato dei giudici equi in unaffare che attentava al mio carattere, che potete sperarese avete un processo che vi tocchi nel denaro e nell'ono-re?».

Ed alla sua amica, la duchessa di Polignac, Maria An-tonietta scriveva:

«Venite a piangere con me, venite a consolare la miaanima, mia cara Polignac. Il giudizio pronunziato testè èun orribile insulto. Sono immersa tra le lagrime, il dolo-re e la disperazione. Non si può contare su di nulla,quando la perversità sembra volersi incaricare con ognimezzo di offendere l'anima mia. Che ingratitudine! Matrionferò dei cattivi triplicando il bene che ho semprecercato di fare. È più facile a loro d'affliggermi che a medi vendicarmene. Venite, cuor mio».

La regina, e il re sotto l'influenza della regina, nonavevano potuto credere nè ancora credevano che il car-dinale fosse innocente di quella truffa.

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È vero che tutto il processo avrebbe dovuto prospet-tarsi da un punto di vista più importante.

«Il grande fatto – dice con molta giustezza Beugnot –che dominava tutto l'affare, era questo: che il signore ela signora de la Motte avevano avuto l'audacia d'imper-sonare di notte, in uno dei boschetti di Versailles, la re-gina di Francia. La moglie del re aveva dato appunta-mento al cardinale di Rohan, gli aveva parlato, gli avevadato una rosa e aveva permesso che il cardinale si but-tasse a' suoi piedi. Dal canto suo, il cardinale, grand'uffi-ciale della Corona, aveva osato credere che simile ap-puntamento gli fosse stato dato dalla regina di Francia,dalla moglie del re; vi si era recato, ne aveva ricevutouna rosa e s'era buttato ai suoi piedi. Il delitto, stava inquesto; e il rispetto della religione, della maestà regale edei buoni costumi, oltraggiati fino all'estremo, provoca-vano a gara la punizione».

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È vero che tutto il processo avrebbe dovuto prospet-tarsi da un punto di vista più importante.

«Il grande fatto – dice con molta giustezza Beugnot –che dominava tutto l'affare, era questo: che il signore ela signora de la Motte avevano avuto l'audacia d'imper-sonare di notte, in uno dei boschetti di Versailles, la re-gina di Francia. La moglie del re aveva dato appunta-mento al cardinale di Rohan, gli aveva parlato, gli avevadato una rosa e aveva permesso che il cardinale si but-tasse a' suoi piedi. Dal canto suo, il cardinale, grand'uffi-ciale della Corona, aveva osato credere che simile ap-puntamento gli fosse stato dato dalla regina di Francia,dalla moglie del re; vi si era recato, ne aveva ricevutouna rosa e s'era buttato ai suoi piedi. Il delitto, stava inquesto; e il rispetto della religione, della maestà regale edei buoni costumi, oltraggiati fino all'estremo, provoca-vano a gara la punizione».

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XXXVI MAGISTRATI.

Le conclusioni di Joly de Fleury, procuratore genera-le, erano certamente eque e moderate. Ma s'erano vistidei principi del sangue fare istanza contro la regina. Ca-lonne era alla testa del ministero che aveva allora l'azio-ne più preponderante, il controllo generale delle finanze.Non perdonava a Maria Antonietta l'opposizione da leifattagli per sbarrargli la via del potere, nè il giudizio se-vero ch'ella dava su di lui: un abile intrigante. In questoprocesso, egli ricorse a tutta l'attività di cui era dotato,alle relazioni che aveva, ai mezzi temibili di cui dispo-neva. Fu assecondato dall'amico Lenoir, abile e intelli-gente, bibliotecario del re, uscito dalla luogotenenza dipolizia il 30 luglio 1785, e che quella sua revoca attri-buiva alla regina. Fu assecondato dalla famiglia di Mau-repas, il quale non dimenticava che Maria Antonietta,all'epoca del ritorno del ministro al potere, nel momentoin cui Luigi XVI era salito al trono, aveva sostenuto contutto l'ardore la candidatura di Choiseul. Mercy-Argen-

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XXXVI MAGISTRATI.

Le conclusioni di Joly de Fleury, procuratore genera-le, erano certamente eque e moderate. Ma s'erano vistidei principi del sangue fare istanza contro la regina. Ca-lonne era alla testa del ministero che aveva allora l'azio-ne più preponderante, il controllo generale delle finanze.Non perdonava a Maria Antonietta l'opposizione da leifattagli per sbarrargli la via del potere, nè il giudizio se-vero ch'ella dava su di lui: un abile intrigante. In questoprocesso, egli ricorse a tutta l'attività di cui era dotato,alle relazioni che aveva, ai mezzi temibili di cui dispo-neva. Fu assecondato dall'amico Lenoir, abile e intelli-gente, bibliotecario del re, uscito dalla luogotenenza dipolizia il 30 luglio 1785, e che quella sua revoca attri-buiva alla regina. Fu assecondato dalla famiglia di Mau-repas, il quale non dimenticava che Maria Antonietta,all'epoca del ritorno del ministro al potere, nel momentoin cui Luigi XVI era salito al trono, aveva sostenuto contutto l'ardore la candidatura di Choiseul. Mercy-Argen-

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teau, da lunga pezza legato al Primo Presidente d'Aligre,che conosceva tanto bene «la propria compagnia» inviaa Kaunitz una interessantissima nota circa i motivi chedecisero i magistrati favorevoli a Rohan:

«Senza l'aiuto degli intrighi e di molto denaro, il car-dinale sarebbe rimasto intaccato. La leggerezza e l'indi-screzione di questo paese hanno facilitato i mezzi di sa-pere i nomi dei giudici preopinanti e i motivi che deter-minarono le loro conclusioni».

Il presidente de Lemoignon, che occupava in Parla-mento una posizione considerevole e tirava sempre dallasua i presidenti Saron e di Saint-Fargeau e il signor diGlatiny, era amico personale di Lenoir che l'aveva fattoavvicinare al controllore generale. Il presidente de Gil-bert era devoto a Calonne che aveva comperato da lui,per il re, la sua terra di Saint-Etienne; il presidente Le-pelatier de Rosambo, rovinato, «inoltrava frequenti ri-chieste di danaro al dispartimento della Finanza». Bouladi Montgodefroy aveva il nipote impiegato alle dipen-denze del controllore generale. Oursin era cugino di Le-noir e devotissimo anche lui a Calonne, non meno di Pa-squier, che chiedeva al controllore la esecuzione del pa-gamento che suo figlio doveva fare per i diritti dellapropria carica. Delpeche era l'amico di Calonne, e Baril-lon – che aveva l'abitudine di far condividere la propriaopinione al consigliere Le Pileur – sollecitava dal con-trollore l'annullamento della captazione da lui non paga-ta da parecchi anni.

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teau, da lunga pezza legato al Primo Presidente d'Aligre,che conosceva tanto bene «la propria compagnia» inviaa Kaunitz una interessantissima nota circa i motivi chedecisero i magistrati favorevoli a Rohan:

«Senza l'aiuto degli intrighi e di molto denaro, il car-dinale sarebbe rimasto intaccato. La leggerezza e l'indi-screzione di questo paese hanno facilitato i mezzi di sa-pere i nomi dei giudici preopinanti e i motivi che deter-minarono le loro conclusioni».

Il presidente de Lemoignon, che occupava in Parla-mento una posizione considerevole e tirava sempre dallasua i presidenti Saron e di Saint-Fargeau e il signor diGlatiny, era amico personale di Lenoir che l'aveva fattoavvicinare al controllore generale. Il presidente de Gil-bert era devoto a Calonne che aveva comperato da lui,per il re, la sua terra di Saint-Etienne; il presidente Le-pelatier de Rosambo, rovinato, «inoltrava frequenti ri-chieste di danaro al dispartimento della Finanza». Bouladi Montgodefroy aveva il nipote impiegato alle dipen-denze del controllore generale. Oursin era cugino di Le-noir e devotissimo anche lui a Calonne, non meno di Pa-squier, che chiedeva al controllore la esecuzione del pa-gamento che suo figlio doveva fare per i diritti dellapropria carica. Delpeche era l'amico di Calonne, e Baril-lon – che aveva l'abitudine di far condividere la propriaopinione al consigliere Le Pileur – sollecitava dal con-trollore l'annullamento della captazione da lui non paga-ta da parecchi anni.

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D'altra parte, il consigliere d'Outremont era tutto de-dito alla contessa di Brionne, zia del cardinale, e il si-gnor di Guillaume riceveva dei «benefici dalla casa diRohan». D'Outremont si tirava dietro il consigliere Lau-glois. Il signor di Jonville era tutt'uno coi Soubise. IMaurepas avevano fatto risolvere Amelot. E Target,l'avvocato del cardinale, che occupava allora il primoposto nel foro parigino, aveva come amici personaliBertignières, Saint-Vincent e Fréteau, al quale ultimo te-neva dietro il consigliere Lambert. Quanto ai signoriHéron de la Michodière, Dubois e Duport, siccome nonconosciamo i motivi che li fecero agire, cerchiamo dipensare che seguirono i dettami della loro coscienza.

Constatazioni preziose. Si addebitò sempre a carico diMaria Antonietta il ministero Calonne. Quel finanzierefrivolo e prodigo pareva l'uomo fatto apposta per la re-gina infatuata di piaceri, spendereccia e leggera.

Non è Calonne che amoè l'oro che sparpaglia...

si canticchiava per le strade.Il vero si è che Maria Antonietta s'era opposta

all'entrata di Calonne negli affari, non smettendo mai difargli capire il proprio disprezzo: che importa? Fin dalprimo giorno Calonne perseguitò la regina col proprioodio velenoso, fino all'ultimo momento s'è accanito allasua perdita; ma che cosa importa? Le dicerie hanno cor-so legale.

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D'altra parte, il consigliere d'Outremont era tutto de-dito alla contessa di Brionne, zia del cardinale, e il si-gnor di Guillaume riceveva dei «benefici dalla casa diRohan». D'Outremont si tirava dietro il consigliere Lau-glois. Il signor di Jonville era tutt'uno coi Soubise. IMaurepas avevano fatto risolvere Amelot. E Target,l'avvocato del cardinale, che occupava allora il primoposto nel foro parigino, aveva come amici personaliBertignières, Saint-Vincent e Fréteau, al quale ultimo te-neva dietro il consigliere Lambert. Quanto ai signoriHéron de la Michodière, Dubois e Duport, siccome nonconosciamo i motivi che li fecero agire, cerchiamo dipensare che seguirono i dettami della loro coscienza.

Constatazioni preziose. Si addebitò sempre a carico diMaria Antonietta il ministero Calonne. Quel finanzierefrivolo e prodigo pareva l'uomo fatto apposta per la re-gina infatuata di piaceri, spendereccia e leggera.

Non è Calonne che amoè l'oro che sparpaglia...

si canticchiava per le strade.Il vero si è che Maria Antonietta s'era opposta

all'entrata di Calonne negli affari, non smettendo mai difargli capire il proprio disprezzo: che importa? Fin dalprimo giorno Calonne perseguitò la regina col proprioodio velenoso, fino all'ultimo momento s'è accanito allasua perdita; ma che cosa importa? Le dicerie hanno cor-so legale.

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E questo era il potere assoluto della monarchiadell'antico regime! Prendiamo quest'esempio perchèl'abbiamo chiaro e lampante sotto gli occhi. L'onore del-la regina è in giuoco; la corona può venire colpita. Il reaffida la cura del giudizio a un tribunale di cui nessunmembro è stato nominato da lui; a magistrati su cui nonha nessuna presa nè mai l'avrà, in nessun momento dellaloro carriera e in nessun modo; a magistrati che, pertemperamento e per tradizione, gli sono ostili. ComeBeugnot dimostra, lo stesso procuratore del re non è, inParlamento, liberamente scelto da lui. Ma c'è di più: ve-diamo perfino il controllore generale, assistito dal bi-bliotecario del re, presidente del consiglio delle sue fi-nanze, col denaro del re, con le cariche e le pensioni delre, sotto l'occhio del re, – lo vediamo combattere difronte in una circostanza tanto grave, gli interessi del ree la sua autorità! Nessuno se ne meraviglia. C'è forse algiorno d'oggi un governo che avrebbe l'animo di vederefiorire sotto i propri occhi libertà simili a queste?

Nel frattempo, il popolo canterellava:

Se la sentenza del cardinalea voi paresse troppo illegalesappiate pure che la finanza

ma sì!dirige in Francia tutto ad oltranza:

proprio così!

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E questo era il potere assoluto della monarchiadell'antico regime! Prendiamo quest'esempio perchèl'abbiamo chiaro e lampante sotto gli occhi. L'onore del-la regina è in giuoco; la corona può venire colpita. Il reaffida la cura del giudizio a un tribunale di cui nessunmembro è stato nominato da lui; a magistrati su cui nonha nessuna presa nè mai l'avrà, in nessun momento dellaloro carriera e in nessun modo; a magistrati che, pertemperamento e per tradizione, gli sono ostili. ComeBeugnot dimostra, lo stesso procuratore del re non è, inParlamento, liberamente scelto da lui. Ma c'è di più: ve-diamo perfino il controllore generale, assistito dal bi-bliotecario del re, presidente del consiglio delle sue fi-nanze, col denaro del re, con le cariche e le pensioni delre, sotto l'occhio del re, – lo vediamo combattere difronte in una circostanza tanto grave, gli interessi del ree la sua autorità! Nessuno se ne meraviglia. C'è forse algiorno d'oggi un governo che avrebbe l'animo di vederefiorire sotto i propri occhi libertà simili a queste?

Nel frattempo, il popolo canterellava:

Se la sentenza del cardinalea voi paresse troppo illegalesappiate pure che la finanza

ma sì!dirige in Francia tutto ad oltranza:

proprio così!

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Se quei signori del Parlamentohanno sborsato oro ed argentoe per il posto pagato han molto,

ma sì!da loro almeno ci vien prosciolto.

Proprio così!

E dalla strada vicina, in prossimità del palazzo delcardinale, giungeva come un'eco

Fosse il Papa ineducato,gli direbbe questo sol:per chi senza testa è natoil cappello non ci vuol!

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Se quei signori del Parlamentohanno sborsato oro ed argentoe per il posto pagato han molto,

ma sì!da loro almeno ci vien prosciolto.

Proprio così!

E dalla strada vicina, in prossimità del palazzo delcardinale, giungeva come un'eco

Fosse il Papa ineducato,gli direbbe questo sol:per chi senza testa è natoil cappello non ci vuol!

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XXXVI.ORDINI D'ESILIO.

La tristezza che Maria Antonietta lasciò traspariredopo la sentenza del Parlamento ne indicò la portata. Si-gnificò ch'era offesa e, quindi, ne fece un'offesa. Congioia segreta, i cortigiani, gli innumerevoli rivali dei Po-lignac, recavano alla sovrana le loro condoglianze. Unaregina che una decisione giudiziaria ha potuto colpire,non è già più la regina.

Luigi XVI, dopo avere commesso due sbagli – dare inpasto al pubblico l'intrigo della collana e rinviare la fac-cenda in Parlamento – ne commise un terzo. La tatticacomandava di inchinarsi con garbo ripetendo: «Nessunoè più lieto di me dell'innocenza del cardinale!». Invece,per dar soddisfazione alla regina, nervosa e irritata, egliincaricò il barone di Breteuil di portare in via Vieille-du-Temple una lettera di «cachet» che esiliava il principeLuigi nella sua abbazia della Chaise-Dieu, in Alvernia,coll'ordine di dimettersi da tutte le sue funzioni e cari-che di Corte. Rohan ricevette il suo nemico il 2 giugno e

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XXXVI.ORDINI D'ESILIO.

La tristezza che Maria Antonietta lasciò traspariredopo la sentenza del Parlamento ne indicò la portata. Si-gnificò ch'era offesa e, quindi, ne fece un'offesa. Congioia segreta, i cortigiani, gli innumerevoli rivali dei Po-lignac, recavano alla sovrana le loro condoglianze. Unaregina che una decisione giudiziaria ha potuto colpire,non è già più la regina.

Luigi XVI, dopo avere commesso due sbagli – dare inpasto al pubblico l'intrigo della collana e rinviare la fac-cenda in Parlamento – ne commise un terzo. La tatticacomandava di inchinarsi con garbo ripetendo: «Nessunoè più lieto di me dell'innocenza del cardinale!». Invece,per dar soddisfazione alla regina, nervosa e irritata, egliincaricò il barone di Breteuil di portare in via Vieille-du-Temple una lettera di «cachet» che esiliava il principeLuigi nella sua abbazia della Chaise-Dieu, in Alvernia,coll'ordine di dimettersi da tutte le sue funzioni e cari-che di Corte. Rohan ricevette il suo nemico il 2 giugno e

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rispose alteramente. Obbedirà al re che lo manda in esi-liò; ma non ha aspettato l'ordine per dimettersi dalle ca-riche; e le sue dimissioni sono state inviate a Versaillesfin dal mattino. Rohan si mise in viaggio il lunedì 5 giu-gno in una berlina a sei cavalli, accompagnato dal fratel-lo, l'arcivescovo di Cambrai, e dal giovine segretarioRamond de Carbonnières. Era seguito da un'altra berli-na, anch'essa a sei cavalli, e da cinque vetture con baga-gli e numeroso personale. E, vedendolo partire alla voltadell'abazia, i Parigini facevano dei giuochi di parole in-traducibili.

Era un'abazia di benedettini, dove Rohan giunse il 10giugno. Le gazzette olandesi ne diedero subito la descri-zione:

«Situata sulle rive del fiume Senoire, la Chaise-Dieuè costruita benissimo fra due colline, e coronata dallepiù alte montagne. D'inverno, è attorniata da mucchi dineve. Serve da rifugio ai viaggiatori smarriti, che lacampana dalle quattro del mattino alle otto della seranon smette mai di chiamare, e che ricevono dai religiosile cure commoventi dell'ospitalità. Quaranta benedettini,serviti da una quarantina di domestici aspettano nellapiù calma agiatezza, nella sicurezza più perfetta, nellaletizia più inalterabile, che la morte venga a soprender-li».

Queste descrizioni attraenti non impedivano alla no-biltà d'insorgere nuovamente gridando alla tirannia. Lasignora di Marsan si buttò ai piedi della regina perchèottenesse al cardinale, sofferente al ginocchio, un'altra

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rispose alteramente. Obbedirà al re che lo manda in esi-liò; ma non ha aspettato l'ordine per dimettersi dalle ca-riche; e le sue dimissioni sono state inviate a Versaillesfin dal mattino. Rohan si mise in viaggio il lunedì 5 giu-gno in una berlina a sei cavalli, accompagnato dal fratel-lo, l'arcivescovo di Cambrai, e dal giovine segretarioRamond de Carbonnières. Era seguito da un'altra berli-na, anch'essa a sei cavalli, e da cinque vetture con baga-gli e numeroso personale. E, vedendolo partire alla voltadell'abazia, i Parigini facevano dei giuochi di parole in-traducibili.

Era un'abazia di benedettini, dove Rohan giunse il 10giugno. Le gazzette olandesi ne diedero subito la descri-zione:

«Situata sulle rive del fiume Senoire, la Chaise-Dieuè costruita benissimo fra due colline, e coronata dallepiù alte montagne. D'inverno, è attorniata da mucchi dineve. Serve da rifugio ai viaggiatori smarriti, che lacampana dalle quattro del mattino alle otto della seranon smette mai di chiamare, e che ricevono dai religiosile cure commoventi dell'ospitalità. Quaranta benedettini,serviti da una quarantina di domestici aspettano nellapiù calma agiatezza, nella sicurezza più perfetta, nellaletizia più inalterabile, che la morte venga a soprender-li».

Queste descrizioni attraenti non impedivano alla no-biltà d'insorgere nuovamente gridando alla tirannia. Lasignora di Marsan si buttò ai piedi della regina perchèottenesse al cardinale, sofferente al ginocchio, un'altra

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residenza che non fosse quel luogo orribilmente malsa-no».

«— Il cardinale deve assoggettarsi agli ordini del re –rispose la regina.

«— Questo rifiuto mi fa capire quanto la mia presen-za sia sgradita a Vostra Maestà. È l'ultima volta che hol'onore di presentarmi davanti a lei.

«— Signora, ne sarò spiacente».La signora di Marsan si recò allora dal re, sforzandosi

d'intenerirlo al ricordo delle cure che aveva avuto perlui. Luigi XVI rispose che gliene era riconoscentissimoma che per il momento non poteva mutar nulla nella po-sizione del cardinale.

Rohan, da uomo di spirito, si fece rapidamente unaragione del nuovo stato di cose. I canonici del nobile ca-pitolo di Brioude vennero a offrirgli i loro mobili piùpreziosi. I suoi monaci, che non lo avevano conosciuto elo detestavano in ragione stessa della sua assenza, ve-dendolo sempre affabile e di buon umore, lo presero inaffezione. I giorni trascorrevano in una lieta tranquillità,quando parenti e amici giunsero ai propri fini ottenendo-gli un altro luogo d'esilio, nell'abazia dei benedettini diNoirmoutiers, vicino a Tours. Luigi di Rohan vi si recòverso la fine di settembre.

Cagliostro ricevette, lo stesso giorno del cardinale, un«ordine di relegazione». Veniva bandito dal regno consua moglie. Gli lasciavano alcuni giorni per metter ordi-ne nei propri affari. Si ritirò a Passy, donde partì il 13giugno alla volta di Boulogne-sur-Mer. Il 16, s'imbarca-

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residenza che non fosse quel luogo orribilmente malsa-no».

«— Il cardinale deve assoggettarsi agli ordini del re –rispose la regina.

«— Questo rifiuto mi fa capire quanto la mia presen-za sia sgradita a Vostra Maestà. È l'ultima volta che hol'onore di presentarmi davanti a lei.

«— Signora, ne sarò spiacente».La signora di Marsan si recò allora dal re, sforzandosi

d'intenerirlo al ricordo delle cure che aveva avuto perlui. Luigi XVI rispose che gliene era riconoscentissimoma che per il momento non poteva mutar nulla nella po-sizione del cardinale.

Rohan, da uomo di spirito, si fece rapidamente unaragione del nuovo stato di cose. I canonici del nobile ca-pitolo di Brioude vennero a offrirgli i loro mobili piùpreziosi. I suoi monaci, che non lo avevano conosciuto elo detestavano in ragione stessa della sua assenza, ve-dendolo sempre affabile e di buon umore, lo presero inaffezione. I giorni trascorrevano in una lieta tranquillità,quando parenti e amici giunsero ai propri fini ottenendo-gli un altro luogo d'esilio, nell'abazia dei benedettini diNoirmoutiers, vicino a Tours. Luigi di Rohan vi si recòverso la fine di settembre.

Cagliostro ricevette, lo stesso giorno del cardinale, un«ordine di relegazione». Veniva bandito dal regno consua moglie. Gli lasciavano alcuni giorni per metter ordi-ne nei propri affari. Si ritirò a Passy, donde partì il 13giugno alla volta di Boulogne-sur-Mer. Il 16, s'imbarca-

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va per l'Inghilterra. Rétaux di Villette rimase nella Con-cergerie fino al 21 giugno. Aveva avuto lo spavento del-la galera e si rallegrava della sorte toccatagli. NellaConcergerie distraeva i prigionieri col violino che suo-nava a meraviglia. Gli consegnarono gli abiti e il denarodeposti entrando nella Bastiglia. Il 21 giugno, suo fratel-lo, presidente dell'elezione di Bar-sur-Aube, andò a cer-carlo. L'avvocato Jaillant-Deschainets, che aveva difesoVillette davanti al Parlamento, li ricevette la sera a pran-zo e, pochi giorni dopo, il galante segretario della signo-ra de la Motte prese il cammino dell'Italia. Si ricorderàil modo brutale con cui una volta l'ispettore Quidor ave-va intralciato quella gita di piacere. In seguito, a Vene-zia, passeggiando e fantasticando fra le belle fanciulledagli scialli vistosi, lungo i neri canali, Villette composee pubblicò, nel 1790, una storia della Collana: una storiaa modo suo, ch'era in realtà uno sconcio libello in cuiraccoglie o inventa contro Maria Antonietta e la signoradi Polignac le più sporche e miserabili calunnie.

* * *

Quanto a Nicoletta d'Oliva, aveva avuto tal successodi grazia e di seduzione che i giovani vennero in folla adassediarla. Diede dapprima la preferenza al suo avvoca-to, Blondel, e andò a stare con lui, in via Beaubourg. Mala sua salute si era alterata. Era stata scossa da troppeemozioni, la poverina, da parecchi mesi! L'aria dellacampagna le venne consigliata. Venne ricevuta dal suo

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va per l'Inghilterra. Rétaux di Villette rimase nella Con-cergerie fino al 21 giugno. Aveva avuto lo spavento del-la galera e si rallegrava della sorte toccatagli. NellaConcergerie distraeva i prigionieri col violino che suo-nava a meraviglia. Gli consegnarono gli abiti e il denarodeposti entrando nella Bastiglia. Il 21 giugno, suo fratel-lo, presidente dell'elezione di Bar-sur-Aube, andò a cer-carlo. L'avvocato Jaillant-Deschainets, che aveva difesoVillette davanti al Parlamento, li ricevette la sera a pran-zo e, pochi giorni dopo, il galante segretario della signo-ra de la Motte prese il cammino dell'Italia. Si ricorderàil modo brutale con cui una volta l'ispettore Quidor ave-va intralciato quella gita di piacere. In seguito, a Vene-zia, passeggiando e fantasticando fra le belle fanciulledagli scialli vistosi, lungo i neri canali, Villette composee pubblicò, nel 1790, una storia della Collana: una storiaa modo suo, ch'era in realtà uno sconcio libello in cuiraccoglie o inventa contro Maria Antonietta e la signoradi Polignac le più sporche e miserabili calunnie.

* * *

Quanto a Nicoletta d'Oliva, aveva avuto tal successodi grazia e di seduzione che i giovani vennero in folla adassediarla. Diede dapprima la preferenza al suo avvoca-to, Blondel, e andò a stare con lui, in via Beaubourg. Mala sua salute si era alterata. Era stata scossa da troppeemozioni, la poverina, da parecchi mesi! L'aria dellacampagna le venne consigliata. Venne ricevuta dal suo

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tutore, nel villaggio di Passy. L'abate Georgel non potècontenere la propria indignazione.

«Quando uscì dalla prigione – egli scrive – si sonotrovati parecchi rivali pronti a sposarla».

Nicoletta scelse colui ch'era il padre del piccoloGiambattista nato nella Bastiglia; il 24 aprile 1787 spo-sò nella chiesa di San Rocco, Giambattista EugenioToussaint di Beausire, figlio del luogotenente del re pre-posto ai magazzini di sale.

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tutore, nel villaggio di Passy. L'abate Georgel non potècontenere la propria indignazione.

«Quando uscì dalla prigione – egli scrive – si sonotrovati parecchi rivali pronti a sposarla».

Nicoletta scelse colui ch'era il padre del piccoloGiambattista nato nella Bastiglia; il 24 aprile 1787 spo-sò nella chiesa di San Rocco, Giambattista EugenioToussaint di Beausire, figlio del luogotenente del re pre-posto ai magazzini di sale.

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XXXVII.BETTE D'ETIENVILLE ROMANZIERE.

Bette d'Etienville, borghese di Saint-Omer, aspettavaintanto, nella prigione dello Châtelet, che la sua contro-versia con gli orologiai Loque e Vaucher e altri fornitorivenisse regolata dai giudici. Ai primi di luglio si era po-tuto finalmente acciuffare il suo amico, il barone di Fa-ges, contro cui era stato spiccato da oltre otto mesi unmandato d'arresto dal luogotenente criminale. L'avevanoattirato nei giardini del Palais-Royal – in quel tempo, sifaceva tutto al Palais-Royal – col pretesto di farlo trova-re con qualcuno che s'interessava ai casi suoi. De Fagesfu incarcerato nella Concergerie. La sentenza del Châte-let fu emessa il 23 gennaio 1789. A D'Etienville e de Fa-ges era stata inflitta la pena del biasimo; d'Etienville, pergiunta, a tre lire d'ammenda e de Fages a tre lire d'ele-mosina per i poveri prigionieri del Châtelet. Don Mulotnon fu che ammonito e il conte di Précourt scagionatod'ogni colpa.

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XXXVII.BETTE D'ETIENVILLE ROMANZIERE.

Bette d'Etienville, borghese di Saint-Omer, aspettavaintanto, nella prigione dello Châtelet, che la sua contro-versia con gli orologiai Loque e Vaucher e altri fornitorivenisse regolata dai giudici. Ai primi di luglio si era po-tuto finalmente acciuffare il suo amico, il barone di Fa-ges, contro cui era stato spiccato da oltre otto mesi unmandato d'arresto dal luogotenente criminale. L'avevanoattirato nei giardini del Palais-Royal – in quel tempo, sifaceva tutto al Palais-Royal – col pretesto di farlo trova-re con qualcuno che s'interessava ai casi suoi. De Fagesfu incarcerato nella Concergerie. La sentenza del Châte-let fu emessa il 23 gennaio 1789. A D'Etienville e de Fa-ges era stata inflitta la pena del biasimo; d'Etienville, pergiunta, a tre lire d'ammenda e de Fages a tre lire d'ele-mosina per i poveri prigionieri del Châtelet. Don Mulotnon fu che ammonito e il conte di Précourt scagionatod'ogni colpa.

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Il tribunale dichiarava inoltre d'Etienville e de Fagesdebitori dei negozianti per gli oggetti dati loro, con fa-coltà per quelli d'esercitare il diritto d'arresto. E, per ul-timo, i Memoriali stampati dai due compari dovevanoessere distrutti. Il borghese di Saint-Omer e il suo amicobarone se la cavavano, tirate le somme, a buon mercato.Non tralasciarono per questo di ricorrere al Parlamentoil quale li prosciolse effettivamente da ogni accusa pe-nale. L'affare divenne in tal modo «civile» e gli accusatinon si trovarono più di fronte se non un credito di nego-zianti da loro gabbati con tanto garbo e buonumore.

Siccome d'Etienville s'era guadagnato un discretogruzzolo con i suoi memoriali – ne aveva pubblicati tre,uno in fila all'altro, e il suo avvocato non ne distribuivagratuitamente nemmeno un esemplare – potè rimborsarei fornitori, almeno in parte, e fu messo in libertà. Il baro-ne di Fages introdusse un'istanza allo stesso scopo. Gliorefici Loque e Vaucher aderirono e de Fages, a sua vol-ta, fu liberato.

Sui primordii della Rivoluzione, troviamo ancora idue compari in prigione «per debiti, con una «pensionedi 8 soldi, 4 denari al giorno». Essi rivolgono una peti-zione all'Assemblea nazionale «che deve a se stessa ditogliere quell'arresto». La petizione è rinviata al comita-to delle lettere di «cachet». Le tremende giornate di set-tembre trovano de Fages e d'Etienville nel Palazzo dellaForce ma sfuggono alla morte e vengono rimessi in li-bertà.

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Il tribunale dichiarava inoltre d'Etienville e de Fagesdebitori dei negozianti per gli oggetti dati loro, con fa-coltà per quelli d'esercitare il diritto d'arresto. E, per ul-timo, i Memoriali stampati dai due compari dovevanoessere distrutti. Il borghese di Saint-Omer e il suo amicobarone se la cavavano, tirate le somme, a buon mercato.Non tralasciarono per questo di ricorrere al Parlamentoil quale li prosciolse effettivamente da ogni accusa pe-nale. L'affare divenne in tal modo «civile» e gli accusatinon si trovarono più di fronte se non un credito di nego-zianti da loro gabbati con tanto garbo e buonumore.

Siccome d'Etienville s'era guadagnato un discretogruzzolo con i suoi memoriali – ne aveva pubblicati tre,uno in fila all'altro, e il suo avvocato non ne distribuivagratuitamente nemmeno un esemplare – potè rimborsarei fornitori, almeno in parte, e fu messo in libertà. Il baro-ne di Fages introdusse un'istanza allo stesso scopo. Gliorefici Loque e Vaucher aderirono e de Fages, a sua vol-ta, fu liberato.

Sui primordii della Rivoluzione, troviamo ancora idue compari in prigione «per debiti, con una «pensionedi 8 soldi, 4 denari al giorno». Essi rivolgono una peti-zione all'Assemblea nazionale «che deve a se stessa ditogliere quell'arresto». La petizione è rinviata al comita-to delle lettere di «cachet». Le tremende giornate di set-tembre trovano de Fages e d'Etienville nel Palazzo dellaForce ma sfuggono alla morte e vengono rimessi in li-bertà.

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Il barone di Fages torna al proprio domicilio in viadel Bac, sul mercato Boulainvilliers, dove la delazionenon tardò a raggiungerlo. Una lettera anonima, in datadel 26 ventoso (anno II) giorno della festa del radic-chiello (16 febbraio 1794) lo denunzia alla sezione diBrutus del comitato di sorveglianza rivoluzionaria come«ex-nobile, ex-guardia del corpo dell'ex-Monsieur».«Sembra e secondo l'anonimo è indubbio – ch'egli abbia«delle relazioni con i traditori, perchè ha tenuto con miamoglie e mia suocera dei discorsi annunzianti la congiu-ra svelata». La lettera conclude: «Ecco le istruzioni ne-cessarie per far conoscere un uomo ingrato, senza onore,un fannullone e, per dir tutto in una parola, un nobile deltempo passato».

Era gravissimo. La denunzia venne trasmessa dallasezione di Brutus a quella della Fontana di Grenelle;ma, giungendovi, non era più anonima. I membri del co-mitato avevano firmato tutti le dichiarazioni d'un ignotodi cui nessuno aveva potuto controllare la testimonian-za. Che avvenne poi? Il barone di Fages fu ghigliottina-to?

Bette d'Etienville ebbe miglior fortuna, malgrado duenuovi incarceramenti a Besancon, poi a Champlite, nel1793 e 1794. Aveva avuto l'idea ingegnosa di radunarein sei volumetti i trentaquattro principali documenti ememoriali dell'affare della Collana. La collezione otten-ne un esito finanziario non trascurabile. I memorialich'egli aveva redatti per il processo – auctor et actor –avevano rivelato a lui stesso le sue attitudini di scrittore;

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Il barone di Fages torna al proprio domicilio in viadel Bac, sul mercato Boulainvilliers, dove la delazionenon tardò a raggiungerlo. Una lettera anonima, in datadel 26 ventoso (anno II) giorno della festa del radic-chiello (16 febbraio 1794) lo denunzia alla sezione diBrutus del comitato di sorveglianza rivoluzionaria come«ex-nobile, ex-guardia del corpo dell'ex-Monsieur».«Sembra e secondo l'anonimo è indubbio – ch'egli abbia«delle relazioni con i traditori, perchè ha tenuto con miamoglie e mia suocera dei discorsi annunzianti la congiu-ra svelata». La lettera conclude: «Ecco le istruzioni ne-cessarie per far conoscere un uomo ingrato, senza onore,un fannullone e, per dir tutto in una parola, un nobile deltempo passato».

Era gravissimo. La denunzia venne trasmessa dallasezione di Brutus a quella della Fontana di Grenelle;ma, giungendovi, non era più anonima. I membri del co-mitato avevano firmato tutti le dichiarazioni d'un ignotodi cui nessuno aveva potuto controllare la testimonian-za. Che avvenne poi? Il barone di Fages fu ghigliottina-to?

Bette d'Etienville ebbe miglior fortuna, malgrado duenuovi incarceramenti a Besancon, poi a Champlite, nel1793 e 1794. Aveva avuto l'idea ingegnosa di radunarein sei volumetti i trentaquattro principali documenti ememoriali dell'affare della Collana. La collezione otten-ne un esito finanziario non trascurabile. I memorialich'egli aveva redatti per il processo – auctor et actor –avevano rivelato a lui stesso le sue attitudini di scrittore;

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e mise a contribuzione la sua fantasia feconda per arric-chire la letteratura francese di tutta una serie di romanzi,di due o tre volumi ciascuno: i Sacrificî dell'Amore, laPrevenzione della Marchesa, Paolina o i benefici effettidella virtù, Pulcheria o il supposto assassinio, Rosmun-da o la devozione figliale, l'Asilo dell'infanzia, l'Eroi-smo dell'Amore, il Trionfo della verità. Anche i romanzivennero accolti favorevolmente. Se ne trovarono parec-chi nella biblioteca di Maria Antonietta. La Prevenzionedella Marchesa ebbe l'onore di parecchie edizioni. Nel1790, d'Etienville mise alla luce un giornale, il Filantro-po, dove spiegò il più puro umanitarismo rivoluzionario.Diventò in seguito – nessuno l'avrebbe mai immaginato– amministratore generale della Banca agricola. Poveriagricoltori! La banca infatti non tardò a venir dichiaratain istato di fallimento e i suggelli vennero apposti sullecarte dell'ex romanziere. Era imputato «di aver cercatocon false promesse e speranze di benefici chimerici diallettare il pubblico scroccando il denaro degli azioni-sti». Ma anche stavolta i tribunali l'assolsero. È dunqueda stupirsi che, con una tale esperienza della giustizia,Bette d'Etienville abbia intrapreso la riforma della legi-slazione francese? Diffuse le sue teorie illuminate, circatale soggetto importante, nel 1819, in una Lettera aiFrancesi. Poi volle fondare un'Università delle artimeccaniche (1825) e coronò la sua carriera con una bel-la dissertazione sull'Inviolabilità dei possessi (1826).Forse, avrebbe fatto meglio a cominciarla mettendo inpratica quelle massime nuove. Finì i suoi giorni in mise-

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e mise a contribuzione la sua fantasia feconda per arric-chire la letteratura francese di tutta una serie di romanzi,di due o tre volumi ciascuno: i Sacrificî dell'Amore, laPrevenzione della Marchesa, Paolina o i benefici effettidella virtù, Pulcheria o il supposto assassinio, Rosmun-da o la devozione figliale, l'Asilo dell'infanzia, l'Eroi-smo dell'Amore, il Trionfo della verità. Anche i romanzivennero accolti favorevolmente. Se ne trovarono parec-chi nella biblioteca di Maria Antonietta. La Prevenzionedella Marchesa ebbe l'onore di parecchie edizioni. Nel1790, d'Etienville mise alla luce un giornale, il Filantro-po, dove spiegò il più puro umanitarismo rivoluzionario.Diventò in seguito – nessuno l'avrebbe mai immaginato– amministratore generale della Banca agricola. Poveriagricoltori! La banca infatti non tardò a venir dichiaratain istato di fallimento e i suggelli vennero apposti sullecarte dell'ex romanziere. Era imputato «di aver cercatocon false promesse e speranze di benefici chimerici diallettare il pubblico scroccando il denaro degli azioni-sti». Ma anche stavolta i tribunali l'assolsero. È dunqueda stupirsi che, con una tale esperienza della giustizia,Bette d'Etienville abbia intrapreso la riforma della legi-slazione francese? Diffuse le sue teorie illuminate, circatale soggetto importante, nel 1819, in una Lettera aiFrancesi. Poi volle fondare un'Università delle artimeccaniche (1825) e coronò la sua carriera con una bel-la dissertazione sull'Inviolabilità dei possessi (1826).Forse, avrebbe fatto meglio a cominciarla mettendo inpratica quelle massime nuove. Finì i suoi giorni in mise-

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ria spaventosa: esistono certe sue lettere pietose in cuimendica dei soccorsi in qualità di «vecchio uomo di let-tere».

* * *

Finirono dunque poco allegramente gli allegri compa-gni, figli della ventura. Pur tirando loro le orecchie, rin-graziandoli con un sorriso d'avere animato questa storiacon le loro capricciose buffonate. Bette d'Etienville, bor-ghese di Saint-Omer «vivente con nobiltà del suo», ilbarone di Fages-Chaulnes, cadetto di Guascogna auten-tico, il conte di Précourt, cavaliere di San Luigi «cheaveva preso parte a due combattimenti sul mare, tre bat-taglie, cinque assedi, più di venti scontri e duelli e avevafatto tutta la guerra in Polonia dov'era comandante»,senza scordare don Mulot, canonico regolare di San-Vit-tore, sarebbero stati degni colleghi, sotto la penna di Le-sage, di Gil Blas di Santillane, o d'animare con le lorolepide stramberie le commedie d'un Régnard.

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ria spaventosa: esistono certe sue lettere pietose in cuimendica dei soccorsi in qualità di «vecchio uomo di let-tere».

* * *

Finirono dunque poco allegramente gli allegri compa-gni, figli della ventura. Pur tirando loro le orecchie, rin-graziandoli con un sorriso d'avere animato questa storiacon le loro capricciose buffonate. Bette d'Etienville, bor-ghese di Saint-Omer «vivente con nobiltà del suo», ilbarone di Fages-Chaulnes, cadetto di Guascogna auten-tico, il conte di Précourt, cavaliere di San Luigi «cheaveva preso parte a due combattimenti sul mare, tre bat-taglie, cinque assedi, più di venti scontri e duelli e avevafatto tutta la guerra in Polonia dov'era comandante»,senza scordare don Mulot, canonico regolare di San-Vit-tore, sarebbero stati degni colleghi, sotto la penna di Le-sage, di Gil Blas di Santillane, o d'animare con le lorolepide stramberie le commedie d'un Régnard.

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XXXVIII.L'ESECUZIONE DELLA SENTENZA.

Abbiamo lasciata la signora de la Motte nella Concer-gerie, all'oscuro della sentenza che la riguarda. Gli sposiHubert, i guardiani, la trattano con ogni cura. Quandoseppe dell'assoluzione del cardinale salì in una furia taleda prendere il suo vaso da notte e spezzarselo sulla fac-cia. Tremava come una foglia. Il sangue le colava dalviso. Da quel giorno, fecero coricare due donne nellasua stanza.

I magistrati avevano annunziato l'esecuzione dellasentenza per il giorno 13 ma quel giorno non ebbe luo-go. E i novellieri a ripetere che la contessa sarebbe statagraziata dal re; che la Corte decisamente si vergognavadell'iniquità commessa, che la regina arrossiva di lasciardiffamare un'innocente, la sua vittima. Adesso, il ventospira in questo senso. Qualunque cosa la regina faccia onon faccia, qualunque cosa avvenga, il vento soffieràcontro di lei.

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XXXVIII.L'ESECUZIONE DELLA SENTENZA.

Abbiamo lasciata la signora de la Motte nella Concer-gerie, all'oscuro della sentenza che la riguarda. Gli sposiHubert, i guardiani, la trattano con ogni cura. Quandoseppe dell'assoluzione del cardinale salì in una furia taleda prendere il suo vaso da notte e spezzarselo sulla fac-cia. Tremava come una foglia. Il sangue le colava dalviso. Da quel giorno, fecero coricare due donne nellasua stanza.

I magistrati avevano annunziato l'esecuzione dellasentenza per il giorno 13 ma quel giorno non ebbe luo-go. E i novellieri a ripetere che la contessa sarebbe statagraziata dal re; che la Corte decisamente si vergognavadell'iniquità commessa, che la regina arrossiva di lasciardiffamare un'innocente, la sua vittima. Adesso, il ventospira in questo senso. Qualunque cosa la regina faccia onon faccia, qualunque cosa avvenga, il vento soffieràcontro di lei.

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Il 19, si sparse la voce che il procuratore del re avevafinalmente deciso l'esecuzione. L'indomani una folla im-mensa stazionò nei cortili del Tribunale e nelle sue vici-nanze. Le finestre delle case vicine erano affittate aprezzi favolosi ed erano state erette delle impalcatureapposite. Ma trascorse la giornata senza che s'aprisserole porte della Concergerie davanti a Giovanna di Valois;e gli oziosi, che avevano fatto la guardia per ore ed ore,dovettero andarsene con le pive nel sacco. Il luogote-nente generale di polizia temeva l'affluenza della plebe.

I magistrati, gli avvocati difensori si trovavano presidi mira da una gragnuola di richieste: tutti volevano sa-pere l'ora esatta del supplizio, tutti volevano assistervi.

«Mi rivolgo a voi – scriva il duca di Crillon a Target– come nell'occasione più importante della mia vita,benchè non sia che una voglia di donna, incinta: la vo-glia di vedere fustigare un'altra con le verghe che le ave-te preparato voi».

Il mercoledì, 21 giugno, alla cinque del mattino, Gio-vanna di Valois venne destata dal guardiano. Rifiutòd'alzarsi, credendo che la richiamassero davanti allaCorte: non voleva più rispondere a' suoi giudici. Dopomolte istanze, tuttavia, acconsentì a indossare una gon-nellina, un casacchino e a infilarsi le calze. Quandogiunse sulla soglia della corte del Mai, quattro carnefici,veri colossi, aiutati da due inservienti, l'afferrarono, lelegarono le mani e la portarono fino a' pie' del grandesalone. Il cancelliere del Parlamento Breton le ingiunsedi inginocchiarsi per udire la sua sentenza. Essa cambia

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Il 19, si sparse la voce che il procuratore del re avevafinalmente deciso l'esecuzione. L'indomani una folla im-mensa stazionò nei cortili del Tribunale e nelle sue vici-nanze. Le finestre delle case vicine erano affittate aprezzi favolosi ed erano state erette delle impalcatureapposite. Ma trascorse la giornata senza che s'aprisserole porte della Concergerie davanti a Giovanna di Valois;e gli oziosi, che avevano fatto la guardia per ore ed ore,dovettero andarsene con le pive nel sacco. Il luogote-nente generale di polizia temeva l'affluenza della plebe.

I magistrati, gli avvocati difensori si trovavano presidi mira da una gragnuola di richieste: tutti volevano sa-pere l'ora esatta del supplizio, tutti volevano assistervi.

«Mi rivolgo a voi – scriva il duca di Crillon a Target– come nell'occasione più importante della mia vita,benchè non sia che una voglia di donna, incinta: la vo-glia di vedere fustigare un'altra con le verghe che le ave-te preparato voi».

Il mercoledì, 21 giugno, alla cinque del mattino, Gio-vanna di Valois venne destata dal guardiano. Rifiutòd'alzarsi, credendo che la richiamassero davanti allaCorte: non voleva più rispondere a' suoi giudici. Dopomolte istanze, tuttavia, acconsentì a indossare una gon-nellina, un casacchino e a infilarsi le calze. Quandogiunse sulla soglia della corte del Mai, quattro carnefici,veri colossi, aiutati da due inservienti, l'afferrarono, lelegarono le mani e la portarono fino a' pie' del grandesalone. Il cancelliere del Parlamento Breton le ingiunsedi inginocchiarsi per udire la sua sentenza. Essa cambia

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colore. Un fiotto d'ingiurie le esce dalle labbra. Mordequelli che l'avvicinano, si strappa i vestiti, si strappa icapelli. I carnefici sono costretti a farla inginocchiareper forza, trattenendole le mani sulle spalle, e uno diloro le dà un gran colpo sui garetti. Riescono a tenerla, obene o male, in quella posizione durante la lettura dellasentenza. Quando il cancelliere giunse al passo in cuiveniva detto che doveva essere fustigata e marchiata colferro rovente, il suo furore non conobbe limiti: «È ilsangue dei Valois che voi trattate in tal modo!». E rivol-gendosi, tutta fremente, a quelli che, passando per casosi erano fermati ad assistere alla scena, gridò: «E voi po-tete permettere che si tratti così il sangue dei vostri re?Strappatemi a questi carnefici!».

«Lanciava degli urli così tremendi che si udivano pertutto il palazzo».

«Vomitava ingiurie contro tutto il Parlamento, il car-dinale e qualcuno di più sacro ancora».

Voleva essere decapitata. Poi cadde in una specie diprostrazione da cui uscì nell'udire che i suoi beni eranoconfiscati.

Le esecuzioni avvenivano generalmente verso mezzo-giorno. Nessuno in Parigi aveva preveduto un'ora tantomattutina. Le impalcature erano deserte e le finestrechiuse. Ma due o trecento persone, attirate dalla vicinan-za, stavano a guardare Giovanna, con un misto di orroree di compassione. Altre, più lontane, si pigiavano alleporte del grande cancello che era stato chiuso allora.Due monelli, arrampicatisi lungo le sbarre, stavano ag-

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colore. Un fiotto d'ingiurie le esce dalle labbra. Mordequelli che l'avvicinano, si strappa i vestiti, si strappa icapelli. I carnefici sono costretti a farla inginocchiareper forza, trattenendole le mani sulle spalle, e uno diloro le dà un gran colpo sui garetti. Riescono a tenerla, obene o male, in quella posizione durante la lettura dellasentenza. Quando il cancelliere giunse al passo in cuiveniva detto che doveva essere fustigata e marchiata colferro rovente, il suo furore non conobbe limiti: «È ilsangue dei Valois che voi trattate in tal modo!». E rivol-gendosi, tutta fremente, a quelli che, passando per casosi erano fermati ad assistere alla scena, gridò: «E voi po-tete permettere che si tratti così il sangue dei vostri re?Strappatemi a questi carnefici!».

«Lanciava degli urli così tremendi che si udivano pertutto il palazzo».

«Vomitava ingiurie contro tutto il Parlamento, il car-dinale e qualcuno di più sacro ancora».

Voleva essere decapitata. Poi cadde in una specie diprostrazione da cui uscì nell'udire che i suoi beni eranoconfiscati.

Le esecuzioni avvenivano generalmente verso mezzo-giorno. Nessuno in Parigi aveva preveduto un'ora tantomattutina. Le impalcature erano deserte e le finestrechiuse. Ma due o trecento persone, attirate dalla vicinan-za, stavano a guardare Giovanna, con un misto di orroree di compassione. Altre, più lontane, si pigiavano alleporte del grande cancello che era stato chiuso allora.Due monelli, arrampicatisi lungo le sbarre, stavano ag-

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grappati agli stemmi coi fiordalisi. Giovanna ricusò disvestirsi.

«Si difendeva come un leone, con i piedi, le mani, identi, e in modo tale che furono costretti a tagliarle i ve-stiti addosso e perfino la sua camicia, il che è stato dellapiù grande indecenza per tutti gli spettatori».

Le e misero la corda al collo. Alcuni colpi di verga levennero applicati sulle spalle che si rigarono di striscierosse. In quel momento essa sfuggì dalle mani di ferroche la tenevano e si rotolò per terra in preda ad orribiliconvulsioni.

«Il carnefice doveva seguirla per terra a secondach'essa si rotolava».

Quando furono in procinto d'imprimerle sulle spallela lettera V, era sdraiata sulle lastre della corte, a' piè delgrande scalone, appoggiata sul ventre, con la gonnellaall'aria.

«Scopriva tutto il corpo ch'era magnifico e aveva lepiù belle forme» nota il libraio Ruault, beato di vederetutto quel ben di Dio. E davanti allo splendore di quellecoscie bianche, nello spavento silenzioso, un buffonelancia un'oscenità. La carne delicata fuma sotto il ferrorovente. Un leggero vapore azzurrognolo si frammischiaai capelli sciolti. Gli occhi iniettati di sangue sembrava-no uscire dall'orbita, le labbra facevano smorfie atroci.Tutto il corpo in quell'attimo ebbe una convulsione taleche la lettera V venne applicata la seconda volta nonsulle spalle, ma sul seno, «sul suo bel seno», dice il li-braio Ruault. Giovanna ebbe un ultimo sussulto. Cadde

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grappati agli stemmi coi fiordalisi. Giovanna ricusò disvestirsi.

«Si difendeva come un leone, con i piedi, le mani, identi, e in modo tale che furono costretti a tagliarle i ve-stiti addosso e perfino la sua camicia, il che è stato dellapiù grande indecenza per tutti gli spettatori».

Le e misero la corda al collo. Alcuni colpi di verga levennero applicati sulle spalle che si rigarono di striscierosse. In quel momento essa sfuggì dalle mani di ferroche la tenevano e si rotolò per terra in preda ad orribiliconvulsioni.

«Il carnefice doveva seguirla per terra a secondach'essa si rotolava».

Quando furono in procinto d'imprimerle sulle spallela lettera V, era sdraiata sulle lastre della corte, a' piè delgrande scalone, appoggiata sul ventre, con la gonnellaall'aria.

«Scopriva tutto il corpo ch'era magnifico e aveva lepiù belle forme» nota il libraio Ruault, beato di vederetutto quel ben di Dio. E davanti allo splendore di quellecoscie bianche, nello spavento silenzioso, un buffonelancia un'oscenità. La carne delicata fuma sotto il ferrorovente. Un leggero vapore azzurrognolo si frammischiaai capelli sciolti. Gli occhi iniettati di sangue sembrava-no uscire dall'orbita, le labbra facevano smorfie atroci.Tutto il corpo in quell'attimo ebbe una convulsione taleche la lettera V venne applicata la seconda volta nonsulle spalle, ma sul seno, «sul suo bel seno», dice il li-braio Ruault. Giovanna ebbe un ultimo sussulto. Cadde

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sulla spalla d'uno dei carnefici e trovò ancora la forza dimorderlo a sangue, attraverso la veste. Poi svenne.

Una vettura da piazza, dove con lei salirono uno scri-vano d'usciere e due arcieri di veste corta, la trasportòalla Salpétrière. Per via, tentò di buttarsi dalla portiera.

Dopo d'averle bagnato d'acqua di Colonia il viso incui la sabbia s'incollava alle lividure, e raccolti delicata-mente i capelli entro una cuffietta rotonda, la suora offi-ciante fa medicare le sue piaghe. La riveste d'una cami-cia di cotone, molto sottile, morbida, e la rianima con unbrodo caldo inzuppato con qualche fettina di pane. Isuoi orecchini d'oro, detti «di mirza» le vengono tolti. Lipesano, e ser Luigi, segretario dell'Accademia di chirur-gia, che si trovava per caso nell'Ospedale, ne offre dodi-ci lire. In quel punto, Giovanna riacquista i sensi:

«Dodici lire, ma non è che il peso dell'oro!» La ven-dita è conclusa a diciotto lire che messer Luigi si cava ditasca.

E Giovanna viene condotta in prigione. Le assegnanouna delle trentasei loggette private di sei piedi quadrati:favore di cui è debitrice alla prigioniera che ha accon-sentito a cedere la sua cella per andare nel dormitoriocomune dove le detenute si coricavano in sei nello stes-so letto.

«Bisogna sapere che le disgraziate dormono in mag-gioranza sullo stesso pagliericcio e che non giungono adaverne uno per sè se non per via d'anzianità, il che ri-chiede un lungo periodo di tempo. La povera ragazza fa-ceva dunque il massimo dei sacrifici».

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sulla spalla d'uno dei carnefici e trovò ancora la forza dimorderlo a sangue, attraverso la veste. Poi svenne.

Una vettura da piazza, dove con lei salirono uno scri-vano d'usciere e due arcieri di veste corta, la trasportòalla Salpétrière. Per via, tentò di buttarsi dalla portiera.

Dopo d'averle bagnato d'acqua di Colonia il viso incui la sabbia s'incollava alle lividure, e raccolti delicata-mente i capelli entro una cuffietta rotonda, la suora offi-ciante fa medicare le sue piaghe. La riveste d'una cami-cia di cotone, molto sottile, morbida, e la rianima con unbrodo caldo inzuppato con qualche fettina di pane. Isuoi orecchini d'oro, detti «di mirza» le vengono tolti. Lipesano, e ser Luigi, segretario dell'Accademia di chirur-gia, che si trovava per caso nell'Ospedale, ne offre dodi-ci lire. In quel punto, Giovanna riacquista i sensi:

«Dodici lire, ma non è che il peso dell'oro!» La ven-dita è conclusa a diciotto lire che messer Luigi si cava ditasca.

E Giovanna viene condotta in prigione. Le assegnanouna delle trentasei loggette private di sei piedi quadrati:favore di cui è debitrice alla prigioniera che ha accon-sentito a cedere la sua cella per andare nel dormitoriocomune dove le detenute si coricavano in sei nello stes-so letto.

«Bisogna sapere che le disgraziate dormono in mag-gioranza sullo stesso pagliericcio e che non giungono adaverne uno per sè se non per via d'anzianità, il che ri-chiede un lungo periodo di tempo. La povera ragazza fa-ceva dunque il massimo dei sacrifici».

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Prima di mezzogiorno, un distaccamento d'arcieri investe corta andò in piazza di Grève ad inchiodare, sulpalo ch'era stato piantato a quello scopo, il cartello sucui i viandanti poterono leggere la condanna alla galeraa vita inflitta al conte de la Motte. Il 4 settembre, il De-manio fece vendere, a Bar-sur-Aube, in via San Miche-le, mobili, argenteria e gioielli dei due sposi. Fu la finedel supplemento delle Mille e una Notte.

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Prima di mezzogiorno, un distaccamento d'arcieri investe corta andò in piazza di Grève ad inchiodare, sulpalo ch'era stato piantato a quello scopo, il cartello sucui i viandanti poterono leggere la condanna alla galeraa vita inflitta al conte de la Motte. Il 4 settembre, il De-manio fece vendere, a Bar-sur-Aube, in via San Miche-le, mobili, argenteria e gioielli dei due sposi. Fu la finedel supplemento delle Mille e una Notte.

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XXXIX.IL CREDITO DELLA COLLANA.

Prima cura del cardinale, non appena potè applicarela mente al regolamento de' suoi affari, si fu di trovare imezzi per indennizzare i gioiellieri Böhmer e Bassengedel danno patito.

Quei due negozianti s'erano comportati molto male asuo riguardo durante il processo. Avevano visto che, laCollana essendo dispersa e i coniugi La Motte senza ri-sorse, il loro credito era privo di valore se non a patto divenir addossato al cardinale, ipotecando le sue immenserendite. Dunque, nelle loro deposizioni, si sforzarono diincolpare il principe Luigi più che poterono, accusando-lo di essersi presentato a loro come direttamente incari-cato dalla regina dell'acquisto del gioiello.

«Mi fanno parlare come se avessi agito direttamente –scrive il cardinale a Target – mi fanno dire che scrivevoalla regina; mentre ho dato le prove ch'essi hanno sem-pre creduto ad un intermediario».

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XXXIX.IL CREDITO DELLA COLLANA.

Prima cura del cardinale, non appena potè applicarela mente al regolamento de' suoi affari, si fu di trovare imezzi per indennizzare i gioiellieri Böhmer e Bassengedel danno patito.

Quei due negozianti s'erano comportati molto male asuo riguardo durante il processo. Avevano visto che, laCollana essendo dispersa e i coniugi La Motte senza ri-sorse, il loro credito era privo di valore se non a patto divenir addossato al cardinale, ipotecando le sue immenserendite. Dunque, nelle loro deposizioni, si sforzarono diincolpare il principe Luigi più che poterono, accusando-lo di essersi presentato a loro come direttamente incari-cato dalla regina dell'acquisto del gioiello.

«Mi fanno parlare come se avessi agito direttamente –scrive il cardinale a Target – mi fanno dire che scrivevoalla regina; mentre ho dato le prove ch'essi hanno sem-pre creduto ad un intermediario».

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«— Bisognerà ricusare Bassenge – nota Target. – Do-vrebbe essere querelante, non testimonio. La sua verità ètroppo sospetta, l'interesse essendo la misura delle azio-ni umane. Quest'assioma, che non è senza eccezioni, èqui applicabile, sopratutto trattandosi di mercanti. La«condotta di quest'uomo è dimostrata. Si vede come cer-ca di adulare il cardinale nella sua deposizione e comecerca di farlo trovare colpevole. Bisogna smembrarequesta deposizione per farla cadere».

Separatamente interrogati, Böhmer e Bassenge, am-bedue mentendo, si contraddicevano. Böhmer, avvertito,dichiarò allora che la sua memoria era debolissima, chenon avrebbe più risposto e si rimetteva a ciò che avreb-be detto il socio.

Avendo Vergennes chiesto ai gioiellieri la loro procu-ra per rivendicare, a Londra, i diamanti provenienti dallaCollana, Böhmer aveva risposto il 4 ottobre 1785:

Monsignore,Non mi è stato possibile soddisfare alla domanda fat-

tami da parte vostra di dare la mia procura per recla-mare o rivendicare a Londra dei diamanti che debbonoprovenire dalla grande collana che ho consegnata aMonsignor cardinale di Rohan come incaricato da par-te della regina di farne l'acquisto. Nè io nè il mio socionon avendo mai trattato per questa vendita con il signo-re e la signora de la Motte, non possiamo per questa ra-gione nulla reclamare da loro e non abbiamo nessun ti-tolo che ci autorizzi a farlo. Toccherebbe, secondo il pa-

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«— Bisognerà ricusare Bassenge – nota Target. – Do-vrebbe essere querelante, non testimonio. La sua verità ètroppo sospetta, l'interesse essendo la misura delle azio-ni umane. Quest'assioma, che non è senza eccezioni, èqui applicabile, sopratutto trattandosi di mercanti. La«condotta di quest'uomo è dimostrata. Si vede come cer-ca di adulare il cardinale nella sua deposizione e comecerca di farlo trovare colpevole. Bisogna smembrarequesta deposizione per farla cadere».

Separatamente interrogati, Böhmer e Bassenge, am-bedue mentendo, si contraddicevano. Böhmer, avvertito,dichiarò allora che la sua memoria era debolissima, chenon avrebbe più risposto e si rimetteva a ciò che avreb-be detto il socio.

Avendo Vergennes chiesto ai gioiellieri la loro procu-ra per rivendicare, a Londra, i diamanti provenienti dallaCollana, Böhmer aveva risposto il 4 ottobre 1785:

Monsignore,Non mi è stato possibile soddisfare alla domanda fat-

tami da parte vostra di dare la mia procura per recla-mare o rivendicare a Londra dei diamanti che debbonoprovenire dalla grande collana che ho consegnata aMonsignor cardinale di Rohan come incaricato da par-te della regina di farne l'acquisto. Nè io nè il mio socionon avendo mai trattato per questa vendita con il signo-re e la signora de la Motte, non possiamo per questa ra-gione nulla reclamare da loro e non abbiamo nessun ti-tolo che ci autorizzi a farlo. Toccherebbe, secondo il pa-

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rere del nostro consiglio, a Monsignore il cardinale diRohan a dare questa procura, poichè è lui che deveaver consegnato la collana alla La Motte.

Sono, ecc.Firmato: Böhmer.

I gioiellieri erano sostenuti da Sainte-Jarues, il cui in-teresse coincideva col loro, poichè doveva rimborsarsile 800.000 lire anticipate da lui per l'acquisto dei dia-manti; ma, al confronto, messo alla presenza del cardi-nale, il finanziere ebbe vergogna e si ritrattò.

Senz'aspettare la sentenza del Parlamento, che dovevascioglierlo di fronte ai Böhmer, proclamando la sua in-nocenza e dichiarandolo vittima d'una furfanteria, ilprincipe Luigi, col suo carattere generoso e la sua nobil-tà d'animo, aveva già pensato a indennizzare i gioiellie-ri. La sua badia di Saint-Vaast gli dava una rendita di300.000 lire. L'offrì ai gioiellieri fino a estinzione deldebito, aggiungendo inoltre tutta la sua sostanza comecauzione. Böhmer e Bassenge giudicarono che non erasufficiente.

Fin dal primo momento la regina aveva fatto dire aiBöhmer che li prendeva sotto la sua protezione.

«Sua Maestà la regina – scrivono a Breteuil – nonascoltando che i moti della sua anima generosa e sensi-bile, ha spinto la bontà fino al punto di dirci ella stessache saremmo stati soddisfatti, che la nostra collana cisarebbe resa o pagata».

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rere del nostro consiglio, a Monsignore il cardinale diRohan a dare questa procura, poichè è lui che deveaver consegnato la collana alla La Motte.

Sono, ecc.Firmato: Böhmer.

I gioiellieri erano sostenuti da Sainte-Jarues, il cui in-teresse coincideva col loro, poichè doveva rimborsarsile 800.000 lire anticipate da lui per l'acquisto dei dia-manti; ma, al confronto, messo alla presenza del cardi-nale, il finanziere ebbe vergogna e si ritrattò.

Senz'aspettare la sentenza del Parlamento, che dovevascioglierlo di fronte ai Böhmer, proclamando la sua in-nocenza e dichiarandolo vittima d'una furfanteria, ilprincipe Luigi, col suo carattere generoso e la sua nobil-tà d'animo, aveva già pensato a indennizzare i gioiellie-ri. La sua badia di Saint-Vaast gli dava una rendita di300.000 lire. L'offrì ai gioiellieri fino a estinzione deldebito, aggiungendo inoltre tutta la sua sostanza comecauzione. Böhmer e Bassenge giudicarono che non erasufficiente.

Fin dal primo momento la regina aveva fatto dire aiBöhmer che li prendeva sotto la sua protezione.

«Sua Maestà la regina – scrivono a Breteuil – nonascoltando che i moti della sua anima generosa e sensi-bile, ha spinto la bontà fino al punto di dirci ella stessache saremmo stati soddisfatti, che la nostra collana cisarebbe resa o pagata».

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I gioiellieri approfittano di tale disposizione per farsapere a Breteuil che non possono accettare le propostedel cardinale: 1) perehè costui vuole ridurre il credito di1.600.000 lire a 1.400.000 – si è visto come quella ridu-zione venisse anteriormente accettata da loro –; 2) per-chè, in caso di morte del cardinale prima che fosse statoestinto il debito, l'abazia di Saint-Vaast avendo un altrotitolare che ne avrebbe incassate le rendite, essi avreb-bero perso ciò che rimaneva da pagare. D'altronde, ibeni del principe Luigi non sono oberati al punto che lavendita non basterebbe a soddisfare i creditori ipoteca-rii. I Böhmer intendevano essere favoriti in modo spe-ciale. E così avvenne.

Il 15 dicembre 1785, davanti a Margantin, notaio aParigi, venne stipulato un atto mediante cui il cardinalesi riconosceva debitore dei gioiellieri per la somma di1.919.892 lire. Erano, per gli interessi, 319.892 lire dipiù delle 1.600.000 lire, stipulate alla vendita. La som-ma doveva venire rimborsata mediante le rendite diSaint-Vaast, di trimestre in trimestre, a datare dal 1°aprile, e per cura di Giuseppe Liger, fattore del cardinaleper le suddette rendite, in ragione di 225.000 lireall'anno. L'ultimo versamento doveva così finire il 1°gennaio 1795. E il re, per favore particolare, dichiaròche i versamenti avrebbero continuato a esigersi dallefattorie di Saint-Vaast, fino ad estinzione del credito, an-che qualora il cardinale fosse morto prima.

I Böhmer girarono metà del loro credito a Saint-James, in pagamento delle 800.000 lire che gli doveva-

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I gioiellieri approfittano di tale disposizione per farsapere a Breteuil che non possono accettare le propostedel cardinale: 1) perehè costui vuole ridurre il credito di1.600.000 lire a 1.400.000 – si è visto come quella ridu-zione venisse anteriormente accettata da loro –; 2) per-chè, in caso di morte del cardinale prima che fosse statoestinto il debito, l'abazia di Saint-Vaast avendo un altrotitolare che ne avrebbe incassate le rendite, essi avreb-bero perso ciò che rimaneva da pagare. D'altronde, ibeni del principe Luigi non sono oberati al punto che lavendita non basterebbe a soddisfare i creditori ipoteca-rii. I Böhmer intendevano essere favoriti in modo spe-ciale. E così avvenne.

Il 15 dicembre 1785, davanti a Margantin, notaio aParigi, venne stipulato un atto mediante cui il cardinalesi riconosceva debitore dei gioiellieri per la somma di1.919.892 lire. Erano, per gli interessi, 319.892 lire dipiù delle 1.600.000 lire, stipulate alla vendita. La som-ma doveva venire rimborsata mediante le rendite diSaint-Vaast, di trimestre in trimestre, a datare dal 1°aprile, e per cura di Giuseppe Liger, fattore del cardinaleper le suddette rendite, in ragione di 225.000 lireall'anno. L'ultimo versamento doveva così finire il 1°gennaio 1795. E il re, per favore particolare, dichiaròche i versamenti avrebbero continuato a esigersi dallefattorie di Saint-Vaast, fino ad estinzione del credito, an-che qualora il cardinale fosse morto prima.

I Böhmer girarono metà del loro credito a Saint-James, in pagamento delle 800.000 lire che gli doveva-

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no con relativi interessi; e l'altra metà a Nicola GabrieleDeville, segretario del re, contro denaro contante.Sainte-James doveva essere rimborsato per il primo.

Giuseppe Liger, fattore del cardinale, versò le seguen-ti somme: il 1° luglio 1786, a Böhmer e Bassenge56.250 franchi; dal 1° ottobre 1786 al 1° aprile 1787, aSainte-James, creditore dei gioiellieri, 158.590 franchi.Sainte-James in quell'epoca fece fallimento e Liger con-segnò ancora 405.070 franchi a' suoi creditori. Un ulti-mo versamento di 50.000 franchi venne effettuato da Li-ger il 9 febbraio 1790. Totale delle somme ricevute, permano di Liger, ai Böhmer o chi per loro: 669.910 fran-chi.

Sopravvenne la confisca dei beni del clero per operadel governo rivoluzionario e, quindi, la sospensione deipagamenti sulle tenute di Saint-Vaast. Deville, per met-tersi al coperto, s'affrettò a porre il sequestro su tutto ciòch'era di proprietà di Böhmer e sulle sostanze della si-gnora Böhmer, che s'era fatta garante del marito. La cri-si rivoluzionaria intralciava, per di più, qualsiasi trafficodi gioielli. I Böhmer furono rovinati. E, da quel momen-to, assediano l'Assemblea nazionale con i loro ricorsi.Scordando la dichiarazione fatta in precedenza, di nonaver nulla da reclamare dai La Motte, essi chiedono divenir indennizzati sulla vendita dei loro beni; e chiedo-no che sia fatta una vendita di ciò che appartiene perso-nalmente al cardinale, de' suoi mobili e oggetti di fami-glia, che non possono venir confiscati come beni delclero; reclamano anche quello che Rohan possiede al di

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no con relativi interessi; e l'altra metà a Nicola GabrieleDeville, segretario del re, contro denaro contante.Sainte-James doveva essere rimborsato per il primo.

Giuseppe Liger, fattore del cardinale, versò le seguen-ti somme: il 1° luglio 1786, a Böhmer e Bassenge56.250 franchi; dal 1° ottobre 1786 al 1° aprile 1787, aSainte-James, creditore dei gioiellieri, 158.590 franchi.Sainte-James in quell'epoca fece fallimento e Liger con-segnò ancora 405.070 franchi a' suoi creditori. Un ulti-mo versamento di 50.000 franchi venne effettuato da Li-ger il 9 febbraio 1790. Totale delle somme ricevute, permano di Liger, ai Böhmer o chi per loro: 669.910 fran-chi.

Sopravvenne la confisca dei beni del clero per operadel governo rivoluzionario e, quindi, la sospensione deipagamenti sulle tenute di Saint-Vaast. Deville, per met-tersi al coperto, s'affrettò a porre il sequestro su tutto ciòch'era di proprietà di Böhmer e sulle sostanze della si-gnora Böhmer, che s'era fatta garante del marito. La cri-si rivoluzionaria intralciava, per di più, qualsiasi trafficodi gioielli. I Böhmer furono rovinati. E, da quel momen-to, assediano l'Assemblea nazionale con i loro ricorsi.Scordando la dichiarazione fatta in precedenza, di nonaver nulla da reclamare dai La Motte, essi chiedono divenir indennizzati sulla vendita dei loro beni; e chiedo-no che sia fatta una vendita di ciò che appartiene perso-nalmente al cardinale, de' suoi mobili e oggetti di fami-glia, che non possono venir confiscati come beni delclero; reclamano anche quello che Rohan possiede al di

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Page 334: Il processo della collana - liberliber.it · di Rohan, moglie del conte d'Angoulême, avo di France-sco I; erano imparentati coi Borboni stessi per parte di Enrico IV, abbiatico d'una

là del Reno e che non ha potuto essere preso dalla Rivo-luzione; il deposito è stato trasferito nel tesoro del gran-duca di Baden ed è quello ch'essi vogliono colpire; esi-gono il pagamento dal re e dalla regina con minacce; re-clamano dal Tesoro nazionale il saldo «d'un credito sa-cro e che i decreti stessi dell'Assemblea nazionale assi-curano loro».

Böhmer aveva venduto la sua carica di gioielliere del-la corona. Morì a Stoccarda il 18 settembre 1794. La suavedova si rimaritò con il socio Paolo Bassenge. Lascia-rono un figlio, unico erede del credito comune, EnricoAlessandro Bassenge. Costui attaccò gli eredi Liger:

«Invano gli eredi Liger vorrebbero trincerarsi dietro ilsequestro apposto nel 1790 su beni di Saint-Vaast; direnon è fare e sequestro non è saldo. Se, nel corso d'unarivoluzione troppo tempestosa, messer Liger, spinto dal-le circostanze, è stato spossessato della sua affittanzaper circostanze indipendenti dalla sua volontà, se non neha goduto che in parte, se anzi, in consequenza della suarelazione con Sua Eminenza, ha dovuto soccombere sot-to la falce rivoluzionaria, non ne consegue necessaria-mente che i di lui eredi debbano conservare i beni, la so-stanza e noi osiamo dire di più, il pane e l'ultimo denarodell'orfano che vive oggidì dei soli sussidi della benefi-cenza. Se Liger è morto rivoluzionariamente, Böhmer eBassenge sono morti di dolore e di miseria, non lascian-do all'esponente che la carità pubblica per tutta eredità».

Il 28 febbraio 1820, il duca Luigi di Riario-Sforza,colonnello di cavalleria, rivalendosi dei diritti di Enrico

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là del Reno e che non ha potuto essere preso dalla Rivo-luzione; il deposito è stato trasferito nel tesoro del gran-duca di Baden ed è quello ch'essi vogliono colpire; esi-gono il pagamento dal re e dalla regina con minacce; re-clamano dal Tesoro nazionale il saldo «d'un credito sa-cro e che i decreti stessi dell'Assemblea nazionale assi-curano loro».

Böhmer aveva venduto la sua carica di gioielliere del-la corona. Morì a Stoccarda il 18 settembre 1794. La suavedova si rimaritò con il socio Paolo Bassenge. Lascia-rono un figlio, unico erede del credito comune, EnricoAlessandro Bassenge. Costui attaccò gli eredi Liger:

«Invano gli eredi Liger vorrebbero trincerarsi dietro ilsequestro apposto nel 1790 su beni di Saint-Vaast; direnon è fare e sequestro non è saldo. Se, nel corso d'unarivoluzione troppo tempestosa, messer Liger, spinto dal-le circostanze, è stato spossessato della sua affittanzaper circostanze indipendenti dalla sua volontà, se non neha goduto che in parte, se anzi, in consequenza della suarelazione con Sua Eminenza, ha dovuto soccombere sot-to la falce rivoluzionaria, non ne consegue necessaria-mente che i di lui eredi debbano conservare i beni, la so-stanza e noi osiamo dire di più, il pane e l'ultimo denarodell'orfano che vive oggidì dei soli sussidi della benefi-cenza. Se Liger è morto rivoluzionariamente, Böhmer eBassenge sono morti di dolore e di miseria, non lascian-do all'esponente che la carità pubblica per tutta eredità».

Il 28 febbraio 1820, il duca Luigi di Riario-Sforza,colonnello di cavalleria, rivalendosi dei diritti di Enrico

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Page 335: Il processo della collana - liberliber.it · di Rohan, moglie del conte d'Angoulême, avo di France-sco I; erano imparentati coi Borboni stessi per parte di Enrico IV, abbiatico d'una

Alessandro Bassenge, reclamava i beni provenienti dalcardinale e deposti nella cassa del granduca di Baden. Eil 21 agosto 1843, la prima camera del tribunale civiledella Senna doveva ancora decretare la perdita di dirittoda parte dei successori di Nicola Delville, respingendouna domanda relativa all'estinzione del debito della Col-lana introdotta contro il principe Armando di Rohan-Rochefort, legatario di Carlotta Luigia Dorotea di Ro-han-Rochefort, legataria del principe Luigi di Roban.

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Alessandro Bassenge, reclamava i beni provenienti dalcardinale e deposti nella cassa del granduca di Baden. Eil 21 agosto 1843, la prima camera del tribunale civiledella Senna doveva ancora decretare la perdita di dirittoda parte dei successori di Nicola Delville, respingendouna domanda relativa all'estinzione del debito della Col-lana introdotta contro il principe Armando di Rohan-Rochefort, legatario di Carlotta Luigia Dorotea di Ro-han-Rochefort, legataria del principe Luigi di Roban.

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