Sud e Unità d’Italia Il terrore dei Borboni: il collegio ... · I giovani di tante comunità...

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18 Domenica 4 luglio 2010 Domenica 4 luglio 2010 19 di ADRIANO MAZZIOTTI UNA F DI È nel testo della epigrafe riportata sulla lapide mu- rata nella parete esterna della facciata Sud dell’antico Collegio italo-albanese di Sant’Adria- no, in San Demetrio Corone, che si ha prova del concorso e del ruolo non indifferenti svolti dagli Arbereshe di Calabria nel corso delle guerre combattute per l’Unità d’Italia. Il testo riproduce il decreto che Giuseppe Garibaldi, nella sua qualità di Dittatore, emanò il 20 ottobre 1860 da Caserta in segno di riconoscenza per il contributo reso alla causa della Indipendenza e della Unità d’Italia. La lapide è ben vi- sibile ancora oggi nel posto dove il 4 luglio 1907 professori e studenti del Collegio la posero in occasione del primo cen- tenario della nascita dell’Eroe dei due Mondi; ed è la testimo- nianza muta di un decreto che però non divenne mai esecu- tivo. I dodici mila ducati promessi per la restaurazione e la ristrutturazione dell’Istituto non arrivarono mai nelle sue casse. Arrivarono, invece, già da qualche anno prima, accol- ti con grande entusiasmo, i nuovi ideali risorgimentali del- la Italia laica e liberale, i cui echi giunti dalla Francia ave- vano trovato terreno fertile anche in Calabria, e fatto prose- liti tra gli intellettuali e la gioventù di allora, desiderosa di aprirsi alla cultura europea e ai nuovi movimenti nati sotto l’effetto dei tempi e degli accadimenti politici che, specie do- po i moti del 1821, irruppero anche dentro le mura del Col- legio di San Demetrio. Tanto che i Borboni, con giustificato timore, lo definirono “Fucina di diavoli”. E fu così che l’Istituto divenne un attivo centro di conce- pimento e di organizzazione dei moti calabresi del 1844 e del 1848, e i principi della Rivoluzione francese giunti tra le sue vetuste mura ne fecero un fecondo serbatoio di pensiero e azione per la causa politica di quella che, da oltre tre secoli, era diventata la nuova Patria degli italo-albanesi. Un centro di ardenti rivoluzionari e avversari impavidi del regime bor- bonico, che proprio per la sua palese correità nei moti rivo- luzionari anti-borbonici nel cosentino subì una feroce rea- zione da parte del regime, che lo tenne chiuso per due anni fino al 1850; in quanto diventato «un vivaio di giovani esal- tati da sentimenti di libertà e da un senso di idolatria per la rivoluzione francese». Le vicende del collegio di Sant’Adriano si sono, in diversi momenti, incrociate con il contributo dato dai calabresi alle lotte per il Risorgimento nazionale, e l’Istituto, proprio per la sua temuta attività sovversiva, era costantemente tenuto d’occhio dalla polizia borbonica. I giovani di tante comunità albanofone calabresi e lucane che lo frequentavano, in quanto studenti del regio Liceo Ginnasio, assieme a non pochi dei loro professori offrirono un notevole apporto di pensiero, azione e di sangue alla cau- sa della Unità del Paese e della sua Indipendenza. Dei ventuno calabresi che il 5 maggio 1860 salparono da Quarto con Garibaldi, cinque erano stati studenti del colle- gio di San Demetrio Corone. E una volta liberata la Sicilia, le camicie rosse in marcia verso Napoli si ingrossarono di mi- gliaia di volontari delle regioni meridionali, e tanti accorse- ro dai paesi albanesi del cosentino. Una autentica “leva di massa”. Con protagonisti anche tanti contadini che nutri- vano molte speranze nel “liberatore d’Italia” per l’otteni- mento delle terre demaniali, una rivendicazione diventata questione sociale per le masse rurali calabresi. E l’elenco dei patrioti arbereshe che con grande slancio e coraggio parteciparono alle diverse guerre del Risorgi- mento nazionale, sacrificando spesso la vita per rendere l’Italia libera e rimanere fedeli agli ideali di patria e libertà, è davvero lungo. Tra queste colonne, ricordiamo solo alcuni di coloro che rappresentavano la “intellighenzia” del tem- po. I fratelli Domenico e Raffaele Mauro (San Demetrio Coro- ne), furono al fianco di Garibaldi da Quarto fino alla libera- zione di Napoli. Dopo la caduta dei Borboni, Domenico, uo- mo di legge e letterato, sedette al Parlamento nazionale per due legislature. Agesilao Milano (San Benedetto Ullano), studente del Collegio di Sant’Adriano, attentò la vita del re Ferdinando II di Borbone senza riuscire nell’intento e pagò con la morte il suo gesto. Francesco Crispi (Palazzo Adria- no, Palermo), fu tra gli organizzatori della spedizione gari- baldina in Sicilia, ministro e due volte presidente del consi- glio dei ministri. Pasquale Scura (Vaccarizzo Albanese). Ga- ribaldi lo volle ministro Guardasigilli nel governo provviso- rio a Napoli; molto inviso a re Ferdinando II che lo conside- rava un pericoloso sovversivo. Gennaro Placco (Civita), uni- tosi a Garibaldi, combatté da valoroso a Campotenese contro i Borboni, ferito e catturato venne condannato a morte, pena commutata in ergastolo. Raffaele Camodeca (Castroregio), fucilato nel Vallone di Rovito nel 1844. Cesare Marini (San Demetrio Corone), illu- stre avvocato, penalista, civilista e magistrato, nel 1844 venne nominato difensore d’ufficio dei fratelli Bandiera as- sieme ad altri colleghi. Attanasio Dramis (San Giorgio Al- lbanese), attivo cospiratore antiborbonico, più volte incar- cerato, studente del Sant’Adriano e compagno di lotta del Milano, partecipò all'impresa garibaldina e combatté a fian- co dell’eroe corso in Sicilia. Pasquale Baffi (Santa Sofia d’Epiro), aderì al governo provvisorio partenopeo fino alla restaurazione borbonica, quando venne arrestato e condan- nato alla impiccagione. Giuseppe Angelo Nociti (Spezzano Albanese) Con altri studenti del Sant’Adriano e il loro pro- fessore Antonio Marchianò di Macchia Albanese partecipò ai moti insurrezionali di Campotenese. Il terrore dei Borboni: il collegio italo-albanese di Sant’Adriano I giovani di tante comunità albanofone calabresi e lucane insieme a molti loro professori offrirono un notevole apporto alla causa dell’Unità del Paese e della sua indipendenza Sud e Unità d’Italia Il concorso e il ruolo degli arbereshe di San Demetrio Corone nel corso delle guerre combattute per il Risorgimento nazionale CASERTA, 20 Ottobre 1860/ Italia e Vittorio Emanuele/ Il dittatore dell’Italia meridionale/ in considerazione dei segnalati servigi/ resi alla causa nazionale dai prodi e/ generosi albanesi decreta/ cessati i bisogni della guerra e costituita/ l’Italia con Vittorio Emanuele/ dovrà il tesoro di Napoli somministrare immediatamente/ la somma di dodicimila ducati/ per l’ingrandimento del collegio italo - greco/ di S. Adriano. / Io pongo sotto la garanzia della Nazione / e del suo magnanimo sovrano l’esecuzione/ di giustizia del presente decreto/ Giuseppe Garibaldi DIAVOLI UCINA

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18 Domenica 4 luglio 2010 Domenica 4 luglio 2010 19

di ADRIANO MAZZIOTTI

UNA FDI

Ènel testo della epigrafe riportata sulla lapide mu-rata nella parete esterna della facciata Suddell’antico Collegio italo-albanese di Sant’Adria -no, in San Demetrio Corone, che si ha prova delconcorso e del ruolo non indifferenti svolti dagli

Arbereshe di Calabria nel corso delle guerre combattute perl’Unità d’Italia.

Il testo riproduce il decreto che Giuseppe Garibaldi, nellasua qualità di Dittatore, emanò il 20 ottobre 1860 da Casertain segno di riconoscenza per il contributo reso alla causadella Indipendenza e della Unità d’Italia. La lapide è ben vi-sibile ancora oggi nel posto dove il 4 luglio 1907 professori estudenti del Collegio la posero in occasione del primo cen-tenario della nascita dell’Eroe dei due Mondi; ed è la testimo-nianza muta di un decreto che però non divenne mai esecu-tivo. I dodici mila ducati promessi per la restaurazione e laristrutturazione dell’Istituto non arrivarono mai nelle suecasse. Arrivarono, invece, già da qualche anno prima, accol-ti con grande entusiasmo, i nuovi ideali risorgimentali del-la Italia laica e liberale, i cui echi giunti dalla Francia ave-vano trovato terreno fertile anche inCalabria, e fatto prose-liti tra gli intellettuali e la gioventù di allora, desiderosa diaprirsi alla cultura europea e ai nuovi movimenti nati sottol’effettodei tempi edegliaccadimentipolitici che, speciedo-po i moti del 1821, irruppero anche dentro le mura del Col-legio di San Demetrio. Tanto che i Borboni, con giustificatotimore, lo definirono “Fucina di diavoli”.

E fu così che l’Istituto divenne un attivo centro di conce-pimento e di organizzazione dei moti calabresi del 1844 e del1848, e i principi della Rivoluzione francese giunti tra le suevetuste mura ne fecero un fecondo serbatoio di pensiero eazione per la causa politica di quella che, da oltre tre secoli,era diventata la nuova Patria degli italo-albanesi. Un centro

di ardenti rivoluzionari e avversari impavidi del regime bor-bonico, che proprio per la sua palese correità nei moti rivo-luzionari anti-borbonici nel cosentino subì una feroce rea-zione da parte del regime, che lo tenne chiuso per due annifino al 1850; in quanto diventato «un vivaio di giovani esal-tati da sentimenti di libertà e da un senso di idolatria per larivoluzione francese».

Le vicende del collegio di Sant’Adriano si sono, in diversimomenti, incrociate con il contributodato dai calabresi allelotte per il Risorgimento nazionale, e l’Istituto, proprio perlasua temutaattività sovversiva, era costantemente tenutod’occhio dalla polizia borbonica.

I giovani di tante comunità albanofone calabresi e lucaneche lo frequentavano, in quanto studenti del regio LiceoGinnasio, assieme a non pochi dei loro professori offrironoun notevole apporto di pensiero, azione e di sangue alla cau-sa della Unità del Paese e della sua Indipendenza.

Dei ventuno calabresi che il 5 maggio 1860 salparono daQuarto con Garibaldi, cinque erano stati studenti del colle-gio di San Demetrio Corone. E una volta liberata la Sicilia, lecamicie rosse inmarciaverso Napoli si ingrossarono dimi-gliaia di volontari delle regioni meridionali, e tanti accorse-ro dai paesi albanesi del cosentino. Una autentica “leva dimassa”. Con protagonisti anche tanti contadini che nutri-vano molte speranze nel “liberatore d’Italia” per l’otteni -mento delle terre demaniali, una rivendicazione diventataquestione sociale per le masse rurali calabresi.

E l’elenco dei patrioti arbereshe che con grande slancio ecoraggio parteciparono alle diverse guerre del Risorgi-mento nazionale, sacrificando spesso la vita per renderel’Italia libera e rimanere fedeli agli ideali di patria e libertà, èdavvero lungo. Tra queste colonne, ricordiamo solo alcunidi coloro che rappresentavano la “intellighenzia” del tem-

po.I fratelli DomenicoeRaffaeleMauro (SanDemetrioCoro-

ne), furono al fianco di Garibaldi da Quarto fino alla libera-zione di Napoli. Dopo la caduta dei Borboni, Domenico, uo-mo di legge e letterato, sedette al Parlamento nazionale perdue legislature. Agesilao Milano (San Benedetto Ullano),studente del Collegio di Sant’Adriano, attentò la vita del reFerdinando II di Borbone senza riuscire nell’intento e pagòcon la morte il suo gesto. Francesco Crispi (Palazzo Adria-no, Palermo), fu tra gli organizzatori della spedizione gari-baldina in Sicilia, ministro e due volte presidente del consi-glio dei ministri. Pasquale Scura (Vaccarizzo Albanese). Ga-ribaldi lo volle ministro Guardasigilli nel governo provviso-rio a Napoli; molto inviso a re Ferdinando II che lo conside-rava un pericoloso sovversivo. Gennaro Placco (Civita), uni-tosi a Garibaldi, combatté da valoroso a Campotenese controi Borboni, ferito e catturato venne condannato a morte, penacommutata in ergastolo.

Raffaele Camodeca (Castroregio), fucilato nel Vallone diRovito nel 1844. Cesare Marini (San Demetrio Corone), illu-stre avvocato, penalista, civilista e magistrato, nel 1844venne nominatodifensore d’ufficio dei fratelliBandiera as-sieme ad altri colleghi. Attanasio Dramis (San Giorgio Al-lbanese), attivo cospiratore antiborbonico, più volte incar-cerato, studente del Sant’Adriano e compagno di lotta delMilano, partecipò all'impresa garibaldina e combatté a fian-co dell’eroe corso in Sicilia. Pasquale Baffi (Santa Sofiad’Epiro), aderì al governo provvisorio partenopeo fino allarestaurazione borbonica, quando venne arrestato e condan-nato alla impiccagione. Giuseppe Angelo Nociti (SpezzanoAlbanese) Con altri studenti del Sant’Adriano e il loro pro-fessore Antonio Marchianò di Macchia Albanese partecipòai moti insurrezionali di Campotenese.

Il terrore dei Borboni: il collegio italo-albanese di Sant’AdrianoI giovani di tante comunità albanofone calabresi e lucane insieme a molti loro professori

offrirono un notevole apporto alla causa dell’Unità del Paese e della sua indipendenza

Sud e Unità d’ItaliaIl concorso e il ruolo degli arbereshe di San Demetrio Coronenel corso delle guerre combattute per il Risorgimento nazionale

CASERTA, 20 Ottobre 1860/Italia e Vittorio Emanuele/

Il dittatore dell’Italia meridionale/in considerazione dei segnalati servigi/

resi alla causa nazionale dai prodi e/generosi albanesi decreta/

cessati i bisogni della guerra e costituita/l’Italia con Vittorio Emanuele/

dovrà il tesoro di Napolisomministrare immediatamente/la somma di dodicimila ducati/

per l’ingrandimentodel collegio italo - greco/

di S. Adriano. /Io pongo sotto la garanzia della Nazione /

e del suo magnanimo sovrano l’esecuzione/di giustizia del presente decreto/

Giuseppe Garibaldi

D I AV O L IUCINA